CLEMENTE ALESSANDRINO (150-215 d.C.)

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00lunedì 20 giugno 2011 08:49

Tito Flavio Clemente, meglio conosciuto come Clemente Alessandrino (150 circa – 215 circa), è stato un teologo, filosofo, apologeta e scrittore cristiano greco antico del II secolo.

 

Biografia

Clemente nacque da genitori pagani, presumibilmente, ad Atene intorno al 150. Solo in età adulta si convertì al Cristianesimo. Dopo essersi convertito viaggiò di luogo in luogo alla ricerca di una istruzione sempre migliore, legandosi di volta in volta a maestri diversi: ad un greco ionico, ad un altro della Magna Grecia, ad un terzo di Siria, dopo tutti questi si rivolse ancora ad un egiziano, ad un assiro, e ad un ebreo di Palestina convertito. Alla fine, intorno al 180, presso la scuola di teologia di Alessandria d'Egitto (Didaskaleion), incontrò il filosofo Panteno (che egli nomina quale ape sicula) e, nei suoi insegnamenti, "trovò la pace".

Il luogo stesso fu ben scelto. Era naturale che la speculazione cristiana dovesse avere una casa ad Alessandria. Questa grande città era al tempo stesso sia un centro di cultura che commerciale. Sotto la lunga protezione dello stato era sorta e si era sviluppata una grande università. La tendenza intellettuale era vasta e tollerante, per questo divenne una città multietnica e multiculturale. I filosofi erano critici o eclettici, e Platone era il preferito tra i vecchi maestri. Il Neoplatonismo, la filosofia della nuova rinascita pagana, aveva un profeta ad Alessandria nella persona di Ammonio Sacca. Anche gli ebrei, che erano molto numerosi, vi poterono respirare la sua atmosfera liberale, e poterono assimilare la sua cultura secolare. Questi ultimi formarono la colonia più illuminata della Diaspora. Avendo abbandonato l'uso dell'ebraico, trovarono necessario tradurre le Sacre Scritture in greco, che era loro più familiare. Filone di Alessandria, il loro primo pensatore, divenne una sorta di Platone ebreo. Alessandria era, insomma, uno dei luoghi principali in cui trovare quel particolare miscuglio di paganesimo e speculazione cristiana noto come gnosticismo. Basilide e Valentino stessi insegnarono là. E non sorprende, perciò, trovarvi anche qualche cristiano colpito, di tanto in tanto, dallo spirito scientifico. In questo ambiente, in una data incerta, comunque nella seconda metà del II secolo, sorse "una scuola di istruzione orale". Qui venivano effettuate delle letture alle quali potevano assistere anche uditori pagani, mentre l'insegnamento avanzato era impartito separatamente ai cristiani. Essa era un'istituzione ufficiale della Chiesa. Panteno fu il primo insegnante il cui nome è stato tramandato. Clemente prima assistette e poi succedette a Panteno stesso nella direzione della scuola (circa 190), quando Panteno venne designato dal patriarca Demetrio di Alessandria come missionario in India. Prima del pontificato di Papa Vittore I (188-199), comunque, Clemente era già noto come scrittore cristiano. Intorno a questo periodo probabilmente compose l'"Esortazione ai greci" (Protreptikos pros Ellenas), le "Disposizioni" (Hypotyposeis), la "Miscellanea" (Stromateis) ed il "Pedagogo" (Paidagogos). Sotto la sua guida dal, 190 al 202 la scuola alessandrina divenne molto famosa. Qui si formarono famosi teologi come Origene Adamantio che gli fu successore alla guida della stessa.

Louis Duchesne (Histoire ancienne de l'Eglise, I, pagina 334 e seguenti) riassunse in questo modo gli anni successivi della vita Clemente. Non terminò la sua vita ad Alessandria poiché la quinta persecuzione si abbatté sull'Egitto nell'anno 202, ed i catecumeni furono colpiti in special modo. La scuola catechetica di Alessandria ne soffrì di conseguenza. Nei primi due libri della "Miscellanea", scritti in questo periodo, si trova più di un'allusione alla crisi. Alla fine Clemente fu obbligato a scappare. Poco tempo dopo si trovava a Cesarea in Cappadocia, ospite del suo amico ed antico alunno il vescovo Alessandro. La persecuzione era comunque crudele anche in quel luogo e Clemente adempì ad un ministero di amore: dopo che Alessandro fu imprigionato per la sua fede in Cristo, Clemente si prese cura della Chiesa di Cesarea al suo posto, ne fortificò i fedeli, e fu addirittura capace di fare nuove conversioni. Questi avvenimenti vengono narrati in una lettera scritta nel 211 o 212 da Alessandro per congratularsi con la Chiesa di Antiochia per l'elezione Asclepiade alla guida della diocesi. In un'altra lettera, scritta intorno al 215 ad Origene, Alessandro, però, parlava di Clemente come di una persona defunta. In questi ultimi anni Clemente prese parte anche alla controversia pasquale (questione quartodecimana).

Retaggio clementino

Clemente non ebbe grande influenza nello sviluppo della teologia, se non la sua influenza personale sul giovane Origene. Le sue opere furono copiate di quando in quando, come da Sant'Ippolito di Roma nel suo Chronicon, da Arnobio e da Teodoreto di Cirro. San Girolamo ne ammirava la cultura, mentre Papa Gelasio I, nel catalogo attribuitogli, menzionava le sue opere, ma aggiungeva, "non devono in nessun caso essere accettate". Fozio I di Costantinopoli nel Bibliotheca biasimava una serie di errori dedotta dai suoi scritti, ma mostrava una propensione benevola verso Clemente, che, nella storia, era stato ridimensionato dalla grandiosità del suo allievo Origene, che gli succedette alla guida della Scuola di Alessandria. Fino al XVII secolo, Clemente fu venerato come santo, il suo nome veniva citato nei martirologi, e la sua festa ricorreva il 4 dicembre. Ma quando il Martirologio Romano fu riformato da Papa Clemente VIII, dietro consiglio del cardinale Cesare Baronio, il suo nome fu eliminato dal calendario. Papa Benedetto XIV ratificò la decisione del suo predecessore per il fatto che la vita Clemente era poco conosciuta, che non ebbe mai un culto pubblico all'interno della Chiesa e che alcune delle sue dottrine erano, se non errate, almeno sospette. In tempi più recenti il favore nei confronti di Clemente si è accresciuto, vuoi per il suo affascinante stile letterario, vuoi per il suo attraente candore, vuoi per lo spirito coraggioso che lo rese un pioniere della teologia o per la sua inclinazione verso le speculazioni filosofiche. Il suo spirito era già moderno, inoltre, per l'epoca, era insolitamente colto: aveva una conoscenza completa dell'intera letteratura biblica e cristiana, delle opere sia ortodosse che eretiche; era versato nelle lettere ed aveva una eccellente conoscenza dei poeti e dei filosofi pagani, che amava citare e dei quali ha preservato un gran numero di frammenti di opere perdute. La mole di avvenimenti e citazioni raccolta e assemblata nelle sue opere è un evento eccezionale per l'antichità, sebbene non sia improbabile che utilizzase i florilegia (antologie) dai quali traeva brani di prima qualità.

La dottrina

Per gli studiosi non è stato facile riassumere i punti principali degli insegnamenti di Clemente, infatti, mancava di precisione tecnica e non ricercò mai un'esposizione ordinata. È facile, perciò, mal giudicarlo. Attualmente, viene accettato il giudizio di Tixeront: le regole della fede di Clemente erano ortodosse; accettava l'autorità delle tradizioni della Chiesa, inoltre, prima di tutto, era un cristiano che accettava "la legge ecclesiastica", tuttavia, si sforzava anche di rimanere filosofo, e portava la speculazione sul perché della vita nelle materie religiose. "Sono pochi", affermava "coloro i quali avendo fatto bottino dei tesori degli egiziani, ne fanno arredi per il Tabernacolo." Egli si predispose, perciò, ad usare la filosofia come strumento per trasformare la fede in scienza, e la rivelazione in teologia. Gli gnostici già avevano affermato di possedere la scienza della fede, ma erano, piuttosto, meri razionalisti o puri sognatori. Clemente non aveva nulla, se non la fede come base per le sue speculazioni. Per questo motivo non può essere accusato di aver volontariamente sviluppato posizioni non ortodosse. Ma Clemente era un pioniere in un'impresa difficile e si deve ammettere che fallì nel suo alto intendimento. Era cauto nell'accostarsi alle Sacre Scritture per sviluppare la sua dottrina, tuttavia adoperò male il testo e ne uscì una esegesi difettosa. Aveva letto tutti i libri del Nuovo Testamento ad eccezione della Seconda lettera di Pietro e della Terza lettera di Giovanni. "Infatti", dice Tixeront, i "suoi studi sulla forma primitiva delle scritture Apostoliche sono del valore più alto." Sfortunatamente, interpretò le Sacre Scritture secondo lo stile di Filone, pronto a trovare allegorie dappertutto. I fatti narrati nell'Antico Testamento divennero, così, puramente simbolici. Tuttavia, non si permise tale ampia libertà col Nuovo Testamento.

Lo speciale interesse che Clemente coltivava lo condusse ad insistere sulla differenza tra la fede del cristiano ordinario e la scienza del perfetto, tanto che i suoi insegnamenti su questo punto sono proprio la sua caratteristica principale. Il cristiano perfetto ha una comprensione particolare dei "grandi misteri" dell'uomo, della natura, della virtù, che il cristiano ordinario accetta senza comprendere. Ad alcuni è sembrato che Clemente esagerasse il valore morale della conoscenza religiosa; si deve tuttavia ricordare che non lodava la mera conoscenza fine a se stessa, ma la conoscenza che si trasformava in amore. È la perfezione cristiana che egli celebrava. Il cristiano perfetto, il vero gnostico, che Clemente amava descrivere, deve condurre una vita di calma inalterabile. E qui il pensiero clementino è indubbiamente intriso di Stoicismo. In questo caso, infatti, non stava realmente descrivendo il cristiano, con i suoi sentimenti e i suoi desideri sotto il dovuto controllo, ma l'ideale Stoico che ha sopito i suoi sentimenti. Il perfetto cristiano, quindi, doveva condurre una vita di devozione assoluta; l'amore nel suo cuore lo avrebbe dovuto incitare a vivere in una unione sempre più stretta con Dio attraverso la preghiera, a lavorare per la conversione delle anime, ad amare i suoi nemici e, persino, a sopportare il martirio stesso.

Clemente fu anche un precursore della controversia Trinitaria. Insegnò che nella Divinità erano presenti tre Termini. Alcuni critici dubitano se li distinguesse come Persone, ma una attenta lettura delle sue opere lo prova. Il Secondo Termine della Trinità era il Verbo. Fozio credeva che Clemente professasse una molteplicità di Verbi mentre, in realtà, Clemente tratteggiava soltanto una distinzione tra l'attributo immanente dell'intelligenza del Padre Divino ed il Verbo fatto Persona che era il Figlio, eternamente generato ed in possesso di tutti gli attributi del Padre. Essi, insieme, erano un unico Dio. Fino a questo punto, infatti, questa nozione di unità proposta da Clemente sembrava avvicinarsi al Modalismo, o, addirittura all'errore opposto del Subordinazionismo. Ciò, tuttavia può essere spiegato altrimenti: Clemente dovrebbe essere giudicato, a differenza di quanto si fa generalmente con gli altri scrittori, non da una frase colta qui o là, ma dalla globalità dei suoi insegnamenti. Dello Spirito Santo non parlò molto e, quando si riferiva alla terza Persona della Trinità, si basava strettamente su quanto riportato dalle Sacre Scritture. Era, inoltre, un convinto assertore della duplice natura di Cristo. Cristo era l'Uomo-Dio che ci beneficia sia come Dio che come uomo. Clemente, evidentemente, vedeva Cristo come una Persona (il Verbo). Fozio accusava Clemente anche di Docetismo. Tuttavia, Clemente riconosceva chiaramente in Cristo un vero corpo, ma lo credeva immune dalle necessità comuni della vita, come mangiare e bere e pensava che l'anima di Cristo fosse esente dalle passioni, dalla gioia e dalla tristezza.

Per questi motivi Clemente è considerato il primo gnostico cristiano. Per Clemente era problema essenziale mostrare come il cristianesimo fosse superiore a qualsiasi filosofia, tuttavia cercava anche di spiegare che nella fede cristiana era contenuto quanto di meglio la filosofia avesse prodotto prima di Cristo. Egli distingueva tra la funzione svolta dalla filosofia prima di Cristo e la funzione che avrebbe dovuto svolgere dopo di lui. Sottolineava come, attraverso la filosofia, fosse possibile avvicinarsi alla verità che comunque si sarebbe completata solo attraverso la rivelazione. Come San Giustino martire, Clemente individuava in tutti gli uomini la presenza di una scintilla divina che permetteva di accedere alla fede. Secondo questa prospettiva, il cristianesimo appariva non come la negazione, bensì come il completamento della tradizione filosofica: esso non ha il carattere settario attribuito alle scuole filosofiche o ai gruppi gnostici, non è prerogativa di una minoranza, Dio chiama a sé tutti indistintamente. Questa lettura della fede attraverso la filosofia potrebbe essere stata scelta da Clemente per avvicinare le classi colte dell'Alessandria del suo tempo, presso le quali la filosofia godeva di molto prestigio.

Opere

"Protrettico" (Protreptokos pros Ellenas)

Il "Protrettico" o "Esortazione ai Greci" è un persuasivo appello alla fede, scritto in un tono molto alto. In questa opera, Clemente cercava di dimostrare la trascendenza della religione cristiana mettendo in contrapposizione il cristianesimo con l'abiezione dei riti pagani e con le vane speranze dei poeti e dei filosofi pagani. L'opera termina con la descrizione del cristiano timorato di Dio. Questo scritto fu composto in risposta a coloro che predicavano quanto fosse sbagliato abbandonare l'antica religione.

"Disposizioni" (Hypotyposeis)

Si tratta di un'opera in otto libri in buona parte persi salvo alcuni frammenti in greco riportati da Eusebio di Cesarea, Ecumenio, Massimo il Confessore, Giovanni Moschos e Fozio. Essa fu tradotta in latino da Tirannio Rufino con il titolo di Dispositiones. Secondo Zahn, un frammento in latino, Adumbrationes Clementis Alexandrini in epistolas canonicas, tradotto da Flavio Magno Aurelio Cassiodoro e depurato dai passaggi non ortodossi, riporta, in parte, il testo clementino. Eusebio descriveva le "Disposizioni" come un commentario compendiato con commenti dottrinali e storici sull'intera Bibbia e sui non canonici "Epistola di Barnaba" e "Apocalisse di Pietro". Fozio che lo aveva anche letto, lo descriveva, invece, come una serie di chiarimenti sui testi biblici della Genesi, dell'Esodo, dei Salmi, dell'Ecclesiaste e delle epistole paoline e cattoliche. Tuttavia aggiungeva che l'opera è buona, ma contiene anche delle "empietà e favole", come l'eternità della materia, la molteplicità dei Verbi (Logoi), il docetismo e la metempsicosi. In ogni caso, alcuni studiosi più conservatori sono inclini a credere che Fozio abbia dato troppo rilievo agli errori di Clemente, qualunque essi fossero. Lo stile di Clemente, infatti, è difficoltoso, le sue opere sono piene di citazioni ed i suoi insegnamenti sono difficilmente riconducibili ad un corpus dottrinario unico. E questa opera primeva, essendo un commentario su parti isolate delle Sacre Scritture, dovette essere particolarmente soggetta a incomprensioni. Tuttavia, le sue opere superstiti mostrano Clemente in una luce migliore.

"Miscellanea" (Stromateis)

L'opera si compone di ben otto libri, dei quali i primi quattro sono antecedenti a quella successiva, il "Pedagogo". Quando ebbe finito quest'ultimo lavoro, Clemente tornò alla "Stromateis", che non terminò mai. Le prime pagine dell'opera sono andate perdute, inoltre, ciò che è noto fin dai tempi di Eusebio come l'ottavo libro altro non è se non una raccolta di citazioni di filosofi pagani. È probabile, come ha suggerito von Annin, che Clemente intendesse avvalersi di questi materiali insieme ad estratti da Teodoto e dalla scuola valentiniana ed all'Eclogae Propheticae. Nella "Miscellanea" Clemente rinunciò ad ogni ordine e pianificazione. Egli comparava l'opera ad un prato dove tutti i generi di fiori crescono a caso, oppure ad una collina ombrosa o montagna su cui crescevano alberi di ogni genere. La sua analisi mostra che si trattava di una serie di appunti su argomenti vari, probabilmente note sulle sue lettura alla scuola. Tuttavia è il più completo dei lavori di Clemente. Lo scritto inizia con l'importanza della filosofia nella ricerca della conoscenza cristiana. In questa parte, forse voleva difendere il suo metodo scientifico dalla critica dei confratelli più conservatori. Nel prosieguo Clemente dimostra come la fede è riferita alla conoscenza, ed enfatizza la superiorità della rivelazione sulla filosofia. La verità di Dio deve essere trovata nella rivelazione, un'altra sua parte può essere rinvenuta nella filosofia. È precipuo dovere del cristiano non trascurare nulla. La scienza religiosa, dedotta dalla sua duplice fonte (rivelazione e filosofia) è anche elemento di perfezione, il cristiano istruito ("il vero gnostico") è il cristiano perfetto. Colui che è asceso a questa quota è lontano dalla tentazione delle passioni; è unito a Dio, ed in un senso misterioso è uno con Lui. Tale era la linea di pensiero indicata nell'opera, che è piena di digressioni.

Pedagogo (Paidagogos)

È un trattato pratico in tre libri. Il suo scopo era quello di addestrare il cristiano ad una vita disciplinata per divenire un cristiano istruito. Nei tempi antichi il paedagogus era lo schiavo che era continuamente responsabile di un ragazzo, il suo compagno. Da lui dipendeva la formazione del carattere del ragazzo. Tale è l'ufficio della Parola Incarnata verso gli uomini. Nulla è troppo comune o banale per la cura del Pedagogo. La sua influenza ricade sui dettagli minuti della vita, sul modo di mangiare, di bere, di dormire, di vestire, di svagarsi ecc. Il tono morale di questo lavoro è gentile; molto bello è l'ideale di una vita trasfigurata descritta alla fine. Nelle edizioni successive delle opere di Clemente, il "Pedagogo" è seguito da due corti poemi, il secondo, dedicato al Pedagogo stesso, è opera di qualche pio lettore dell'opera; il primo, intitolato "Inno al Salvatore Cristo" (Hymnos tou Soteros Christou), nei manoscritti che lo contengono, viene attribuito a Clemente. L'inno potrebbe essere opera di Clemente (Bardenhewer), o antecedente, come il Gloria in excelsis Deo (Westcott).

"Quale ricco si può salvare?" (tis ho sozomenos plousios)

Si tratta di un'omelia basata su Marco, X, 17-31 in cui Clemente dimostra che la ricchezza non viene condannata dai Vangeli come intrinsecamente cattiva, ma la sua moralità dipende dall'uso buono o cattivo che se ne fa. L'opera si conclude con la narrazione della vicenda del giovane che fu battezzato, si perse, e fu riconvertito da Giovanni apostolo ed evangelista. La data del trattato è ignota, comunque si è conservato in maniera pressoché completa..

"Lettera di Mar Saba"

A Clemente è stata anche attribuita la Lettera di Mar Saba, nella quale egli riporta estratti del Vangelo segreto di Marco. Questa lettera, scoperta da Morton Smith nel 1958 nel monastero di Mar Saba che si trova a sud di Gerusalemme, ma che potrebbe essere un falso dello stesso Smith.[1]

Considerazioni

Alcuni studiosi[senza fonte] vedono nelle opere principali di Clemente, l'"Esortazione", il "Pedagogo", la "Miscellanea" una grande trilogia che rappresenta una graduale iniziazione alla vita cristiana (fede, disciplina, conoscenza), tre stadi che corrispondono ai tre gradi dei misteri neoplatonici (purificazione, iniziazione, e visione). Concetti così fondamentali erano indubbiamente ben presenti a Clemente, ma difficilmente si può dire se siano stati ben compresi, era troppo disordinato.

Coordin.
00lunedì 20 giugno 2011 08:54

Da una catechesi di Papa Benedetto XVI

... Nel suo complesso, la catechesi clementina accompagna passo passo il cammino del catecumeno e del battezzato perché, con le due «ali» della fede e della ragione, essi giungano a un’intima conoscenza della Verità, che è Gesù Cristo, il Verbo di Dio. Solo questa conoscenza della Persona che è la Verità, è la «vera gnosi», l’espressione greca che sta per «conoscenza», per «intelligenza». È l’edificio costruito dalla ragione sotto impulso di un principio soprannaturale. La fede stessa costruisce la vera filosofia, cioè la vera conversione nel cammino da prendere nella vita. Quindi l’autentica «gnosi» è uno sviluppo della fede, suscitato da Gesù Cristo nell’anima unita a Lui. Clemente distingue poi due gradini della vita cristiana. Primo gradino: i cristiani credenti che vivono la fede in modo comune, ma pur sempre aperta agli orizzonti della santità. E poi il secondo gradino: gli «gnostici», cioè quelli che conducono già una vita di perfezione spirituale. In ogni caso il cristiano deve partire dalla base comune della fede, e attraverso un cammino di ricerca deve lasciarsi guidare da Cristo e così giungere alla conoscenza della Verità e delle verità che formano il contenuto della fede. Tale conoscenza, ci dice Clemente, diventa nell’anima una realtà vivente: non è solo una teoria, è una forza di vita, è una unione di amore trasformante. La conoscenza di Cristo non è solo pensiero, ma è amore che apre gli occhi, trasforma l’uomo e crea comunione con il Logos, con il Verbo divino che è Verità e Vita. In questa comunione, che è la perfetta conoscenza ed è amore, il cristiano raggiunge la contemplazione, l’unificazione con Dio.

Clemente riprende al termine la dottrina secondo cui il fine ultimo dell’uomo è divenire simile a Dio. Siamo creati ad immagine e similitudine di Dio, ma questo è anche una sfida, un cammino; infatti lo scopo della vita, l’ultima destinazione è veramente divenire simili a Dio. Ciò è possibile grazie alla connaturalità con Lui, che l’uomo ha ricevuto nel momento della creazione, per cui egli è già di per sé immagine di Dio. Tale connaturalità permette di conoscere le realtà divine, a cui l’uomo aderisce anzitutto per fede e, attraverso la fede vissuta, la pratica della virtù, può crescere fino alla contemplazione di Dio. Così nel cammino della perfezione Clemente annette al requisito morale tanta importanza quanta ne attribuisce a quello intellettuale. I due requisiti vanno insieme, perché non si può conoscere senza vivere e non si può vivere senza conoscere. L’assimilazione a Dio e la contemplazione di Lui non possono essere raggiunte con la sola conoscenza razionale: a questo scopo è necessaria una vita secondo il Logos, una vita secondo la Verità. E di conseguenza, le buone opere devono accompagnare la conoscenza intellettuale come l’ombra segue il corpo.

Due virtù soprattutto ornano l’anima del «vero gnostico». La prima è la libertà dalle passioni (apátheia); l’altra è l’amore, la vera passione, che assicura l’intima unione con Dio. L’amore dona la pace perfetta, e pone «il vero gnostico» in grado di affrontare i più grandi sacrifici, anche il sacrificio supremo nella sequela di Cristo, e lo fa salire di gradino in gradino fino al vertice delle virtù. Così l’ideale etico della filosofia antica, cioè la liberazione dalle passioni, viene da Clemente ridefinito e coniugato con l’amore, nel processo incessante di assimilazione a Dio.

In questo modo l’Alessandrino costruisce la seconda grande occasione di dialogo tra l’annuncio cristiano e la filosofia greca. Sappiamo che san Paolo sull’Aeropago in Atene, dove Clemete è nato, aveva fatto il primo tentativo di dialogo con la filosofia greca – e in gran parte era fallito –, ma gli avevano detto: «Ti sentiremo un’altra volta». Ora Clemente riprende questo dialogo, e lo nobilita in massimo grado nella tradizione filosofica greca. Come ha scritto il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II nell’Enciclica Fides et ratio, l’Alessandrino giunge a interpretare la filosofia come «un’istruzione propedeutica alla fede cristiana» (n. 38). E, di fatto, Clemente è arrivato fino al punto di sostenere che Dio avrebbe dato la filosofia ai Greci «come un Testamento loro proprio» (Strom. 6,8,67,1). Per lui la tradizione filosofica greca, quasi al pari della Legge per gli Ebrei, è ambito di «rivelazione», sono due rivoli che in definitiva vanno al Logos stesso. Così Clemente continua a segnare con decisione il cammino di chi intende «dare ragione» della propria fede in Gesù Cristo. Egli può servire d’esempio ai cristiani, ai catechisti e ai teologi del nostro tempo, ai quali Giovanni Paolo II, nella medesima Enciclica, raccomandava di «recuperare ed evidenziare al meglio la dimensione metafisica della verità, per entrare così in un dialogo critico ed esigente … con il pensiero filosofico contemporaneo» (n. 105).

Concludiamo facendo nostra qualche espressione della celebre «preghiera a Cristo Logos», con la quale Clemente conclude il suo Pedagogo. Egli supplica così: «Sii propizio ai tuoi figli»; «concedi a noi di vivere nella tua pace, di essere trasferiti nella tua città, di attraversare senza esserne sommersi i flutti del peccato, di essere trasportati in tranquillità dallo Spirito Santo e dalla Sapienza ineffabile: noi, che di notte e di giorno, fino all’ultimo giorno cantiamo un canto di ringraziamento all’unico Padre, … al Figlio pedagogo e maestro, insieme allo Spirito Santo. Amen!» (3,12,101).

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