CIRILLO DI GERUSALEMME (315

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00lunedì 8 settembre 2014 20:03
Cirillo di Gerusalemme
LE CATECHESI
Traduzione, introduzione e note a cura di Calogero Riggi 3
.INTRODUZIONE


1. Stile di vita e metodo catechetico di Cirillo 1
Cirillo di Gerusalemme nacque in Palestina verso il 315; non conosciamo con precisione né il luogo e la data di nascita né come abbia passato l’adolescenza e il periodo di formazione, ma visse certo i suoi primi anni mentre la Terra Santa, da sempre luogo privilegiato di evangelizzazione, dopo Nicea diventava anche punto di riferimento per l’approfondimento del messaggio, nonché mèta di pellegrinaggi per le sue memorie bibliche stimolanti per la loro valenza storica e mistica 2

Costantino vi faceva demolire le memorie di Aelia pagana, il Capitolium e il tempio di Giove, innalzando al loro posto i sacri edifici del Golgota, della Risurrezione e della Pentecoste; e Cirillo dovette lì irrobustire la sua fede, forse in ambiente familiare vivendola da monaco (monázon) fino a rendersi idoneo al ministero sacerdotale 3
Di fatto fu ordinato diacono da Macario, suo vescovo già padre conciliare a Nicea, e poi presbitero da Massimo, di quello successore nell’episcopato e nella costantiniana opera edilizia, che conosciamo anche da Egeria pellegrina ai luoghi santi verso la fine del secolo 4 .
Da presbitero predicò sul Golgota, dove s’innalzavano sulla cripta della Santa Croce e a custodia del Santo Sepolcro le basiliche del Martirio e dell’Anastasi con annesso battistero. Da qui poté anche additare la cosiddetta «chiesa superiore degli apostoli», nel luogo dove era disceso lo Spirito Santo 5
. Queste testimonianze della vera morte e della vera risurrezione del Signore dovevano sfatare i docetismi che negando la realtà dell’incarnazione sminuivano la personalità divina e umana del Cristo.
Perciò, preposto ancora forse da presbitero 6 alla cura della catechesi, se ne servì apologeticamente, senza dividere il popolo di Dio su questioni aperte. Poi, ordinato vescovo dal suo metropolita ariano Acacio 7 , non ne seguì la teologia opposta al consustanziale niceno, ma pur aderendo alla dottrina della divinità del Figlio si attenne alla biblica espressione «simile al Padre»; e fu quindi sospettato dai niceni di filoarianesimo e dagli arianeggianti di filomarcellianesimo 8
. Di fatto, militò tra gli omeusiani che dicevano il Verbo di natura simile a quella del Padre, ma non come in un partito da cui si sarebbe staccato cambiando bandiera. Questa accusa di Rufino 9 pare infondata, perché il mutamento deve essere attribuito a un clima di adattamento pastorale, comune ai campioni più intransigenti del credo niceno. Epifanio credette anche lui di doverlo adattare ai tempi , e Cirillo ad esso aderì senza sostanziali ondeggiamenti tra le versioni ariane e sabelliane , sia quando sembrò prendere partito per l’omeusiano Silvano al Concilio di Seleucia del 359 sia quando poi aderì ai chiarimenti di Atanasio2 . Girolamo lo disse filoariano perché prevenuto contro di lui; ma più giustamente Teodoreto ne spiegò il comportamento dicendolo catecheta più che teologo 13 .
Di fatto fu soprattutto un pastore proteso alla formazione cristiana del popolo. Rimase catecheta anche quando contro dualisti e doceti, ebioniti e pagani fece l’apologista: non fu però come Epifanio un cacciatore di eresie, né di lui ebbe gli spiriti battaglieri. Il suo metodo fu esigente e incisivo, ma anche dolce e cordiale; la sua oratoria dovette essere ammirata anche nei luoghi che lo ospitarono lungo gli esili, perché pastoralmente convincente, ricca di opportune e vivaci sollecitazioni, spesso colorite di immagini suadenti e fascinose. Per quanto riguarda la forma letteraria, invero, non possiamo esprimere un giudizio obiettivo, poiché non sappiamo se a lui o ai suoi stenografi sia da attribuire lo stile saltellante che talora ci sconcerta, per troppi incisi e frequenti citazioni bibliche, retorici interrogativi ed esclamativi. Deposto dal Concilio di Gerusalemme nel 357, si rifugiò ad Antiochia. Qui poté confermarsi nei princìpi ermeneutici già adottati in ambiente palestinese, dove l’influsso di Origene e di Eusebio di Cesarea era temperato dai modelli di Silvano e Diodoro di Tarso fondati su una visione cosmologica e antropologica della storia, esemplare per tipi e antitipi. Quando perciò lasciò Antiochia per andare in esilio a Tarso, gli fu permesso di esercitare anche lì le sue funzioni di vescovo e catecheta, finché non fu restituito alla sua sede nel 359. Qui la sua attività di pastore e di educatore dovette essere particolarmente incisiva, se gli procurò un secondo esilio che durò fino al 361, anno della morte di Costanzo che lo aveva perseguitato nonostante la sua devozione, mentre aveva lasciato indisturbato Epifanio campione dei filoniceni
Simile paradosso del resto si verificò con Valente che tenne in esilio Cirillo dal 367 al 378 mentre non osò toccare Epifanio
. Dopo la morte di Valente, anche il vescovo di Gerusalemme poté tornare a vivere indisturbato nella sua sede, per undici anni dedito a risanare le ferite inferte alla sua comunità dal malgoverno precedente
. Se ne assentò solo nel 381 per partecipare al Concilio Ecumenico di Costantinopoli, che in lui riconobbe finalmente il legittimo e degno vescovo della madre di tutte le Chiese
. I padri conciliari di fatto onorarono l’uomo di Dio che si era sempre impegnato a catechizzare il suo popolo estraneandosi dagli estremismi teologici, pur combattendo in ogni circostanza contro gli ariani. Di fatto, benché nelle varie fasi della sua vita abbia tenuto diversi atteggiamenti nei confronti d’una terminologia che infine non riscontrava nella Scrittura, a questa fu sempre sostanzialmente fedele nella catechesi trinitaria, cristologica, pneumatologica e sacramentaria.

2. Gli scritti di Cirillo e il suo cristocentrismo
Le opere di solito ritenute di Cirillo sono: a) la più nota e importante costituita di 23 conferenze, cioè di una procatechesi, diciotto catechesi preparatorie al battesimo e cinque catechesi rivolte ai neofiti; b)una lettera inviata al «piissimo» imperatore Costanzo sulla croce luminosa apparsa nel 351 a Gerusalemme; c) un’omilia sul paralitico della piscina di Betzaetà (Gv. 5, 5); d) frammenti di altre omilie o di commentari perduti, uno sul miracolo di Cana (Gv. 2), un altro sulle parole di Gesù circa il suo ritorno al Padre (Gv. 16, 28). Incerta è l’attribuzione dell’omilia sull’incontro di Simeone col Bambino Gesù al tempio, nonché di discorsi contro i pagani, di una cronologia ovvero di una storia ecclesiastica. Sugli scritti di certa o dubbia autenticità e sugli apocrifi, fa bene il punto Le Bachelet in DTC 3, 2533-2537. La catechesi di Cirillo, ha scritto A. Paulin , è centrata sul simbolo di fede che ha come asse privilegiato la storia della salvezza preannunziata nell’AT dai profeti, realizzata nel NT dal Cristo e predicata dalla Chiesa apostolica sulle orme del messaggio paolino: basta annunziare Cristo Gesù Signore perché nello splendore del suo volto risplende quello di tutta la Trinità (2 Cor. 4, 5-6). La questione trinitaria nel IV secolo era preponderante rispetto a quella dell’uomo nostro Signore
. Cirillo la tocca incidentalmente, mai approfondendo il tema dell’anima di Gesù, senza cadere però esplicitamente nell’errore degli ariani che dalla presenza del Figlio di Dio nella carne del Cristo traevano la conclusione che non ci fosse bisogno di ammettere in Gesù un’anima umana. Come ha fatto notare il p. Orbe , il catecheta di Gerusalemme si rifà, attraverso Eusebio di Cesarea, alla tradizione apologetica che riteneva la generazione del Figlio dal Padre connessa con l’unzione eterna dello Spirito Santo. Di fatto, rispetto al teologo filoariano si mostra indipendente, negando ogni precedente e contemporaneo subordinazionismo. Vero è che di fronte alle questioni trinitarie, probabilmente per ragioni pastorali, scelse di non predicare altro che Gesù crocifisso, scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani (1 Cor. 1, 23). Senza prendere partito fra le correnti teologiche del tempo e senza approfondire l’ancora iniziale questione cristologica, prese come punto di partenza universalmente riconosciuto la Sacra Scrittura, utilizzandone fatti e detti con metodo soprattutto tipologico. Seguì quindi un’ermeneutica caratteristica della Palestina, mediana tra Alessandria e Antiochia; seguì la cosiddetta esegesi alessandrina secondo il metodo della scuola di Cesarea, dove la tradizione origeniana s’era contaminata con quella più rispettosa del metodo storico-tipologico. Il nostro catecheta peraltro aderì ai temi che erano stati preferiti dalla Chiesa delle origini, in Siria da Ignazio, in Palestina da Giustino, in Asia e in Gallia da Ireneo. Predicò come essi del Padre che fin dall’eternità con unzione tipica unse il Figlio come suo mediatore d’incorruttibilità (eis ty´pon aphtharsías), e nella pienezza dei tempi ne realizzò l’antitipo ungendolo col medesimo suo Spirito sulle rive del Giordano perché desse pubblico inizio alla sua missione redentrice, come Lógos mediatore, cosmico e antropologico. Probabilmente, Cirillo si era formato a questo cristocentrismo alla scuola di Eusebio di Cesarea che aveva sviluppato la simile dottrina stoica e medioplatonica sulle orme dei Padri apostolici (attorno a Ignazio) e apologisti (attorno a Giustino) con un’esegesi biblica di stampo storico-tipologico. Secondo la tradizione arcaica articolò la sua spiegazione del simbolo, sottolineando la centralità del Cristo e del suo sangue, filo rosso che collega in sé tutti i misteri della redenzione, come Lógos in accezione etimologica, che lega (légei) i termini del mistero storico e metastorico dell’unzione nel seno del Padre e sulle rive del Giordano. Di fatto l’Uomo-Dio – egli dice – non ebbe bisogno di nuova consacrazione per compire la missione affidatagli dal Padre, ma volle che volteggiasse su di lui in forma di colomba lo Spirito prima di dare inizio alla sua missione, perché ne traesse profitto l’uomo per la sua maturazione. Come spiegò Ireneo (Haer. 4, 5, 1; Epid. 47), allora l’olio o profumo di letizia unse con il Cristo Introduzione 11.anche ogni altro uomo chiamato a maturare frutti di immortalità («ut maturescens in eis fructificet immortalitatem»).
Cristo è quindi per Cirillo il Lógos significante su cui fin dalla creazione si modellarono le realtà significate ab aeterno, che solo in lui hanno la loro ragione di esistere e trovano la luce di comprensione: solo coloro che da Cristo prendono con il nome anche la grazia della dottrina possono riconoscerlo come colui che dall’eternità è Re e Sommo Sacerdote dell’universo e universale Mediatore che collega al Padre. Come Giustino aveva conquistato alla fede evangelica il giudeo Trifone con argomenti tipologici adatti alla mentalità palestinese, così fece anche Cirillo specialmente per gli illuminandi che in gran parte provenivano dal giudaismo. Additò in Gesù il vero Cristo, tale non come tanti altri così chiamati perché unti re o sacerdoti o profeti secondo il progredire del tempo (katà prokopén), ma come colui che dall’eternità è tale per natura (katà phy´sin) e per eccellenza (kat’exochén). Egli fu crocifisso, ma la sua croce fu gloriosa e come tale fu riconosciuta anche dal sole che impallidì e dalla terra che tremò per la malvagità degli uomini: il Golgota dove Cristo fu crocifisso allora restituì alla materia la bontà perduta nel paradiso di delizie. Il Cristo risuona in tutte le catechesi, prima come dal di fuori (periéchesis) e poi dal di dentro (enéchesis) a partire dalla preparazione prossima al battesimo, quando Gesù inabita nel cuore del battezzando attraverso le ispirazioni del suo Spirito. Tale del resto è il linguaggio di tanti altri Padri. Tra i quali il Touttée ama ricordare Niceta di Remesiana mettendone a confronto le conferenze catechetiche. Il contenuto della procatechesi e della prima catechesi di Cirillo avrebbe il suo riscontro nel libro I di Niceta rivolto «ai competenti», cioè ai catecumeni prossimi al battesimo; la sesta catechesi cirilliana avrebbe lo stesso contenuto dei libri II e III delle catechesi preparatorie al battesimo «sugli errori dei pagani» e «sull’unica Maestà»; i discorsi II, IV e IX del vescovo di Gerusalemme toccherebbero il tema che svolge quello di Remesiana nel libro IV «contro l’arte degli indovini». Ma il punto d’incontro più significativo è certamente quello «sul Simbolo», che ha il suo vertice nella tipologia «della vittima dell’agnello pasquale» cioè dell’Agnello (di natura mista: ovina e cioè divina, e caprina ossia umana), che fu immolato sulla croce gloriosa per illuminare il mistero della libertà e della necessità che ci angoscia
. La croce dove fu inchiodato il Figlio sembrò a Cirillo fatta del legno d’ulivo che produce l’olio dell’unzione di letizia. Platone ne aveva visto il segno nel cielo, facendone forse il tipo del limite esistenziale, e Mani ne aveva creato il mito del Gesù passibile. Nel 351 Cirillo vedrà perpetuarsi nella gloria la tragedia del Golgota, all’apparire di «una gigantesca croce di luce estendentesi fino al santo Monte degli Ulivi». Non gli sembrò un’illusione collettiva ma la profezia di «molti anni pacifici» 23 .

3 Schema delle «Catechesi» e la questione dell’autenticità
La catechesi propone una sintesi della dottrina cristiana come primo nutrimento del fedele, la cui tessera di riconoscimento è il simbolo dell’assemblea (symbolé = conlatio). Cirillo ne considerò fondamento l’articolo di fede che professa il Cristo morto in croce per i nostri peccati, risuscitato dal sepolcro il terzo giorno, poi apparso a Cefa e ai Dodici (Procat. 6); e si preoccupò soprattutto di un ascolto totalizzante della Parola nelle opere di vera conversione, degne del buon olivo e della vite dai dolci grappoli (Cat. 1-2). Invitò quindi a vivere i segni dell’acqua e dell’unzione come pregustazione della gioia celeste (Cat. 3-4), con la fede di Abramo e di Pietro (Cat. 5).
L’ascolto della verità di fede ha inizio dal primo articolo che è il fondamento di tutti gli altri, garanzia di verità contro ogni errore: v’è solo un Dio, né v’è un secondo principio a lui contrapposto come bestemmiano gnostici e manichei, facendo di lui un principio luminoso di ben limitata potenza e grandezza (Cat. 6). Questa fede rivelata nell’AT è confermata nel Nuovo, più esplicito riguardo al Figlio (Cat. 7): per prima cosa crediamo nel Padre onnipotente e onniveggente (Cat. 8) il quale creò con sapienza il cielo e la terra perché l’universo ne canti le lodi (Cat. 9).
Ma chi crede nel Padre ne riconosce anche il Figlio di pari potenza e sapienza, rivelatosi già nell’AT e venuto nella pienezza dei tempi come Medico, Salvatore, Re, Sacerdote (Cat. 10). Pietro lo riconobbe Figlio del Dio vivente, una cosa sola col Padre, suo Verbo sussistente con lui creatore e signore del mondo (Cat. 11). Generato dal Padre prima dei secoli, nella pienezza dei tempi nacque da una Vergine secondo che i profeti avevano annunziato (Cat. 12); morto in croce, discese agli inferi per portare anche lì la salvezza, e risorto dopo tre giorni, salì sotto gli occhi dei suoi primi testimoni al cielo (Cat. 14), donde tornerà infine a giudicare i vivi e i morti (Cat. 15).
Seguono due conferenze sullo Spirito Santo, che nel battesimo sarà fonte di grazia, forza e luce per la testimonianza. Ne partecipano i profeti e i martiri, ai quali elargisce i suoi doni come ad Elisabetta e a Zaccaria, a Giovanni Battista e al vecchio Simeone: si nega ai superbi che giungono a dirsi sue ipostasi, come Simon Mago maestro di ogni falsa gnosi, Montano corifeo di fanatici spirituali, Mani sedicente inviato del Padre della grandezza (Cat. 16). Da sempre col Padre e col Figlio, lo Spirito ne elargisce le grazie e i carismi, come fece discendendo su Noè e su Gesù in forma di colomba per operare la santificazione delle acque, discendendo sugli apostoli adunati nel Cenacolo in forma di lingue di fuoco a sostegno della Chiesa e del ministero apostolico (Cat. 17). L’ultima prebattesimale ravviva la fede nella risurrezione e nella vita eterna, che sempre motivarono per una vita secondo giustizia, anche i pagani che crearono il mito della Fenice (Cat. 18). Le cinque catechesi ai neofiti spiegano i riti dei misteri del battesimo, della crismazione e dell’Eucaristia. Il battesimo è stato preceduto nel vestibolo da una triplice rinunzia a satana e alle sue seduzioni, e da una professione di fede trinitaria (Cat. m. 1). Il sacramento è preceduto dal duplice rito dello spogliamento dei vecchi abiti e dall’imposizione di nuove vesti, poi dall’unzione con olio esorcizzato segno dell’innesto in Cristo vero Olivo; è amministrato con triplice immersione, segno di appartenenza a Cristo morto e risorto: nel Giordano santificò le acque che non solo rimettono i peccati e conferiscono la grazia, ma rendono partecipi alle sue sofferenze (Cat. m. 2). Particolare significato acquista nel contesto cirilliano la crismazione che unge il cresimando con santo my´ ron antitipo di quello con cui il Padre dall’eternità unse il Cristo (Cat. m. 3). Del sacramento dell’Eucaristia si ricorda la divina istituzione nell’ultima cena, quando il Signore dando attuazione alle figure antiche trasformò il pane e il vino nel vero suo corpo e nel vero suo sangue (Cat. m. 4). Segue la descrizione dei vari momenti di cui consta la celebrazione liturgica: a) bacio di pace e purificazione delle mani; b) anafora preceduta dal prefazio e costituita da preghiere di lode, invocazione dello Spirito Santo ovvero epiclesi, intercessioni per i vivi e per i morti; c) preghiera del Padre Nostro con domanda del pane sostanziale per l’oggi eterno; d) riti di comunione costituiti da un previo monito del pontefice perché si accostino solo i santi, da un invito a ricevere il corpo di Cristo cui si risponde Amen, dalla devota comunione, che già prefigurata nell’AT, nel NT prefigura la comunità dei fedeli uniti agli angeli del cielo (Cat. m. 5). Le mistagogiche contengono allusioni alle prebattesimali (Cat. 19, 9; 23, 1), né tra le une e le altre c’è differenza sostanziale, perché le divergenze di ordine liturgico notate già dal protestante Albertinus, e recentemente da Schermann, Quasten ecc., non possono per sé essere attribuite a diversità di tempo e di autore. Né si può certo argomentare a partire da una certa diversità di stile, che può essere attribuita a diversità di stenografo o di contenuto. Anche le diverse attribuzioni dei codici non ci possono indurre a metterne in discussione l’autenticità cirilliana. Il Simler, che per primo sollevò la questione, non diede credito ai codici che portano diverse attribuzioni ora al solo Cirillo, ora al solo Giovanni II, ora ad entrambi; la storia ci dimostra che i vescovi spesso hanno firmato documenti di illustri predecessori facendoli propri
. I riformatori, come l’Albertinus cui rispose punto per punto il Touttée, polemizzavano; e i cattolici riprendendo i loro argomenti filologici non fecero mistero delle loro finalità apologetiche. Le dichiarò per esempio il Grodecius primo editore delle mistagogiche in greco con versione latina, affermando di avere messo la filologia al servizio della teologia: «ut ex mirabili quadam concordia diversae linguae et translationis, constans veritas institutionum elucesceret».

Solo col tempo le polemiche si affievolirono; agli inizi del secolo XVIII il protestante Milles, benché nei codici delle Catechesi riscontrasse delle vistose anomalie di attribuzione, le pubblicò tutte dandone la paternità a Cirillo di Gerusalemme , dicendo irragionevole credere alle diverse attribuzioni di documenti che in ultima analisi esprimevano il messaggio autentico della Chiesa plane .primaeva. Per lui le conferenze rivolte a quanti ut baptizarentur petebant non si discostano da quelle predicate ad nuper baptizatos, e aveva torto il Rivetus nel giudicare alieno dallo stile di Cirillo quello delle catechesi di contenuto mistagogico, cui si confaceva una forma contractior pressiorque.
Coordin.
00domenica 3 dicembre 2017 08:47
Dalle «Catechesi» di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo
(Cat. 15, 1. 3; PG 33, 870-874)
Le due venute di Cristo
Noi annunziamo che Cristo verrà. Infatti non è unica la sua venuta, ma ve n'è una seconda, la quale sarà molto più gloriosa della precedente. La prima, infatti, ebbe il sigillo della sofferenza, l'altra porterà una corona di divina regalità. Si può affermare che quasi sempre nel nostro Signore Gesù Cristo ogni evento è duplice. Duplice è la generazione, una da Dio Padre, prima del tempo, e l'altra, la nascita umana, da una vergine nella pienezza dei tempi.
Due sono anche le sue discese nella storia. Una prima volta è venuto in modo oscuro e silenzioso, come la pioggia sul vello. Una seconda volta verrà nel futuro in splendore e chiarezza davanti agli occhi di tutti.
Nella sua prima venuta fu avvolto in fasce e posto in una stalla, nella seconda si vestirà di luce come di un manto. Nella prima accettò la croce senza rifiutare il disonore, nell'altra avanzerà scortato dalle schiere degli angeli e sarà pieno di gloria.
Perciò non limitiamoci a meditare solo la prima venuta, ma viviamo in attesa della seconda. E poiché nella prima abbiamo acclamato: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Mt 21, 9), la stessa lode proclameremo nella seconda. Così andando incontro al Signore insieme agli angeli e adorandolo canteremo: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Mt 21, 9).
Il Salvatore verrà non per essere di nuovo giudicato, ma per farsi giudice di coloro che lo condannarono. Egli, che tacque quando subiva la condanna, ricorderà il loro operato a quei malvagi, che gli fecero subire il tormento della croce, e dirà a ciascuno di essi: «Tu hai agito così, io non ho aperto bocca» (cfr. Sal 38, 10).
Allora in un disegno di amore misericordioso venne per istruire gli uomini con dolce fermezza, ma alla fine tutti, lo vogliano o no, dovranno sottomettersi per forza al suo dominio regale.
Il profeta Malachia preannunzia le due venute del Signore: «E subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate» (Ml 3, 1). Ecco la prima venuta. E poi riguardo alla seconda egli dice: «Ecco l'angelo dell'alleanza, che voi sospirate, ecco viene ... Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare» (Ml 3, 1-3).
Anche Paolo parla di queste due venute scrivendo a Tito in questi termini: «È apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna a rinnegare l'empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo» (Tt 2, 11-13). Vedi come ha parlato della prima venuta ringraziandone Dio? Della seconda invece fa capire che è quella che aspettiamo.
Questa è dunque la fede che noi proclamiamo: credere in Cristo che è salito al cielo e siede alla destra del Padre. Egli verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti. E il suo regno non avrà fine.
Verrà dunque, verrà il Signore nostro Gesù Cristo dai cieli; verrà nella gloria alla fine del mondo creato, nell'ultimo giorno. Vi sarà allora la fine di questo mondo, e la nascita di un mondo nuovo.
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