CAMMINO DI PERFEZIONE (s.Teresa d'Avila)

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Pagine: [1], 2
Coordin.
00venerdì 2 agosto 2013 19:34

Cammino di perfezione

(Escorial)

JHS

PROLOGO

1. Le sorelle di questo monastero di San Giuseppe, sapendo che avevo il permesso dal padre Presentato fra Domenico Báñez, dell’Ordine di san Domenico, attualmente mio confessore, di scrivere alcune cose sull’orazione, che forse mi verranno bene, per averne trattato con molte persone spirituali e sante, per il grande amore che mi portano hanno tanto insistito affinché ne dica loro qualcosa, che mi sono decisa a farlo, quantunque ci siano tanti libri scritti molto bene da chi sapeva il fatto suo. Sembra che una volontà ben disposta renda, a volte, alcune cose imperfette e lacunose più accettabili di altre più perfette. Per questo motivo, ripeto, sono stati così forti i desideri che ho notato in loro e l’insistenza con cui mi chiedevano, che mi sono decisa ad affrontare il lavoro. Mi sembra che per le loro preghiere e per la loro umiltà, il Signore mi concederà di dire loro qualcosa di utile e di accordarmelo per passarglielo. Se non riuscissi nel mio intento, chi per primo vedrà il mio lavoro – sarà poi il suddetto padre Presentato – lo brucerà e io non avrò perduto nulla nell’obbedire a queste serve di Dio, le quali vedranno che cosa so fare da me quando Sua Maestà non mi aiuta.

2. Penso d’indicare alcuni rimedi per combattere le tentazioni delle religiose, e l’intenzione che mi ha mosso a fondare questa casa, dico a volerla avviata con la perfezione che vi si pratica, come viene esposto nelle nostre stesse Costituzioni. Penso di dire altre cose, come il Signore mi ispirerà e come le comprenderò e mi verranno alla memoria, poiché, non sapendo ancora che cosa devo dire, non posso precisarlo con ordine; e credo sia meglio non seguire uno schema prestabilito, essendo fuori di ogni ordine che rediga io questo lavoro. Il Signore mi aiuti in tutto quello che farò, affinché sia conforme alla sua santa volontà, perché questa è la mia costante aspirazione, anche se le opere sono difettose come lo sono io.

3. So che in me non mancano l’amore e il desiderio di aiutare, per quanto mi è possibile, le mie sorelle a progredire molto nel servizio del Signore; e questo mio amore, unitamente agli anni e all’esperienza che ho di alcuni monasteri, può forse aiutarmi a riuscire in piccole cose meglio dei teologi. Costoro, per il fatto di avere altre occupazioni più importanti e di essere uomini forti, non prestano troppa attenzione a cose che in se stesse non sembrano di alcun valore, mentre tutto può recare danno a chi è così debole come noi donne: molte sono le furberie del demonio per le monache di stretta clausura, contro le quali vede che gli sono necessarie armi nuove. Io, nella mia miseria, mi sono difesa assai male, pertanto vorrei che le mie sorelle imparassero dal mio esempio. Non dirò nulla che non sia frutto d’esperienza, o per averla provata in me o per averla osservata in altre anime, o non mi sia stata fatta comprendere dal Signore durante l’orazione.

4. Pochi giorni fa scrissi una specie di relazione della mia vita. Può darsi che il mio confessore non ve la lasci leggere, perciò riporto alcune cose riguardanti l’orazione conformemente a quelle contenute là, insieme ad altre che mi sembrano necessarie. Il Signore – l’ho supplicato per questo – vi metta la sua mano e lo volga alla sua maggior gloria! Amen.

Coordin.
00venerdì 2 agosto 2013 19:35
Cammino di perfezione
(Escorial)
Sezione 1
CAPITOLO 1
Motivo che m’indusse a fondare questo monastero con una Regola tanto severa e i modi in cui le sorelle se ne1 avvantaggiano, non badando alle necessità del corpo e desiderando il bene della povertà.
1. All’inizio della fondazione di questo monastero (per le ragioni esposte nel libro che ho detto d’aver scritto, dove ho anche parlato di alcune straordinarie grazie con le quali il Signore mi fece conoscere che in questa casa doveva essere servito con molta generosità), non era mia intenzione che ci fosse tanto rigore nella forma esterna [della Regola], né che il monastero mancasse di rendita, anzi, avrei voluto che ci fosse stata la possibilità di non farvi mancare nulla; insomma, ero debole e dappoco, quantunque fossi animata da buone intenzioni e non pensassi certo alla mia comodità.
2. Venni a sapere dei danni provocati in Francia dai luterani e quanto andasse aumentando questa malaugurata setta. Ne provai gran dolore e, come se io potessi o fossi qualcosa, piangevo con il Signore e lo supplicavo di porre rimedio a tanto male. Mi sembrava che avrei dato mille volte la vita per salvare una fra le molte anime che là si perdevano. Ma, vedendomi donna e dappoco, nonché incapace a essere utile in ciò che avrei voluto a servizio del Signore, poiché tutta la mia ansia era, come lo è tuttora, che avendo egli tanti nemici e così pochi amici, che questi almeno fossero buoni amici, decisi di fare quel poco che dipendeva da me. Decisi cioè di seguire i precetti evangelici con tutta la perfezione possibile e di adoperarmi perché queste religiose che sono qui facessero lo stesso. Fiduciosa nella grande bontà di Dio, che aiuta sempre chi decide di lasciare tutto per amore suo, pensai che, essendo tali le mie consorelle come io le avevo immaginate nei miei desideri, le loro virtù avrebbero compensato i miei difetti e così io avrei potuto contentare in qualche cosa il Signore; infine, pensavo che, tutte dedite alla preghiera per i difensori della Chiesa, per i predicatori e per i teologi che la sostengono, avremmo aiutato come meglio si poteva questo mio Signore, così perseguitato da coloro che ha tanto beneficato, da sembrare che questi traditori lo vogliano crocifiggere di nuovo e che egli non abbia dove posare il capo.
3. Oh, mio Redentore, il mio cuore non può giungere a tanto, senza sentirsi spezzare dalla pena! Che cos’è oggi questo atteggiamento dei cristiani? Possibile che a perseguitarvi siano sempre coloro che più vi devono? Coloro ai quali concedete le vostre migliori grazie, che scegliete per vostri amici, fra i quali vivete e ai quali vi comunicate con i sacramenti? Non sono essi sazi dei tormenti che vi sono stati inflitti dagli ebrei, Signore dell’anima mia?
4. Certamente, Signor mio, non fa proprio nulla chi oggi abbandona il mondo; poiché esso vi è così poco fedele, cosa possiamo sperare noi? Forse che meritiamo maggior fedeltà di quanta ne ha mostrato a voi? Forse che abbiamo gratificato con maggiori benefici i cristiani, perché ci debbano serbare amicizia? Dunque? Che cosa ci possiamo aspettare noi che, per bontà del Signore, siamo esenti da quel contagio pestilenziale, mentre coloro che vi si trovano sono già preda del demonio? Un bel castigo si sono guadagnati con le loro mani e un buon profitto di fuoco eterno hanno tratto dai loro piaceri! Se la vedano loro, anche se continua a spezzarmi il cuore vedere che tante anime si perdono. Del male che è stato non mi affliggo tanto, ma vorrei che non si perdesse ogni giorno un maggior numero di anime.
5. Oh, mie sorelle in Cristo, aiutatemi a supplicare il Signore, affinché ci conceda questa grazia, poiché è proprio questo il motivo per cui egli vi ha qui radunate; questa è la vostra vocazione; questo dev’essere il vostro compito, queste le vostre aspirazioni, questo l’oggetto delle vostre lacrime, questo lo scopo delle vostre preghiere; non quello, sorelle mie, di interessi mondani. Quando ci vengono a chiedere certe cose, di pregare Sua Maestà perché conceda rendite e denaro, io me ne rido, ma ne sono anche addolorata. Tale richiesta viene proprio da alcune persone che io vorrei supplicassero Dio di poter calpestare tutto. Esse hanno buone intenzioni e, in fondo, si finisce col farlo, anche se io sono sicura di non essere mai ascoltata in questo genere di preghiere. Il mondo è in fiamme; vogliono nuovamente condannare Cristo, come si dice, raccogliendo contro di lui mille testimonianze; vogliono denigrare la sua Chiesa, e dobbiamo sprecare il tempo nel chiedere cose che, se per caso Dio ce le concedesse, ci farebbero avere un’anima di meno in cielo? No, sorelle mie, non è il momento di trattare con Dio d’interessi di poca importanza. Certo è, se non fosse per venire incontro alla debolezza umana, che si consola nel sentirsi aiutata in tutto, sarei lieta di far capire a tutti che non sono queste le cose per cui supplicare Dio, [nel monastero di] san Giuseppe.
Coordin.
00venerdì 2 agosto 2013 19:36
CAPITOLO 2
Mostra come non ci si debba preoccupare delle necessità corporali e quale sia il vantaggio della povertà.
1. Non pensate, sorelle mie, che, per questo non dobbiate avere di che mangiare, ve l’assicuro io. Non cercate mai di sostentarvi con artifizi umani, perché morirete di fame e giustamente. Tenete gli occhi fissi sul vostro Sposo; è lui a dovervi provvedere del necessario. Una volta che egli è contento di voi, anche coloro che vi sono meno affezionati vi daranno da mangiare, loro malgrado, come l’esperienza vi ha fatto costatare. Se poi, così facendo, doveste morire di fame, fortunate le monache di san Giuseppe! Ve lo dico io, le vostre preghiere saranno accolte e faremo qualcosa di ciò che ci siamo prefisse. Non dimenticatelo mai, per amor di Dio, figlie mie: poiché avete rinunziato alle rendite, rinunziate ugualmente ad ogni preoccupazione circa il vostro nutrimento, altrimenti tutto sarebbe perduto. Coloro che, per volere di Dio, hanno siffatte preoccupazioni, le abbiano pure! È giustissimo, perché essi seguono la loro strada, ma per noi, sorelle, è una pazzia.
2. Contare sulle rendite altrui è, secondo me, pensare vanamente a ciò di cui il prossimo gode; come se con questo gli altri possano cambiare parere e si sentano ispirati a farvi l’elemosina. Lasciate questa cura a colui che può toccare tutti i cuori ed è il padrone delle rendite e di chi le possiede. Noi siamo venute qui seguendo la sua chiamata; le sue parole sono veritiere, perciò si realizzano sempre: passeranno piuttosto i cieli e la terra. Non veniamogli meno noi e non temiamo che egli ci venga meno. E, se talvolta egli ci verrà meno, sarà per un maggior bene, come accadeva ai santi che, quando venivano uccisi per il Signore, vedevano aumentare la gloria a causa del martirio. Bel cambio sarebbe farla presto finita con tutto e godere l’eterna felicità!
3. Considerate, sorelle, l’importanza di questa raccomandazione; il motivo per cui la lascio qui per iscritto è che non la dimentichiate dopo la mia morte; finché vivo, infatti, ve la ricorderò io stessa, conoscendo per esperienza il gran profitto che si ottiene dal metterla in pratica. Meno si possiede, più si è liberi da preoccupazioni, ed il Signore sa che mi pare in verità di avere maggior pena quando le elemosine abbondano che non quando ci mancano. Non so se ciò avvenga per avere ormai visto che il Signore ci viene subito in aiuto. Sarebbe ingannare il mondo se fosse altrimenti: farci passare per povere, senza esserlo nello spirito, ma solo esteriormente. Me ne farei uno scrupolo di coscienza, mi sembrerebbe di approfittare di coloro che ci beneficano, come suol dirsi, e mi sembrerebbe d’essere una di quelle ricche che chiedono l’elemosina. Piaccia a Dio che non sia così perché, là dove esistono – intendo dire dove esistessero – queste preoccupazioni esagerate di avere elemosine, una volta o l’altra si finisce col contrarne l’abitudine e con l’andare a chiedere ciò che non è necessario a chi forse ha più bisogno di noi. Anche se i benefattori, lungi dal perdere alcunché, non potrebbero che guadagnare, noi perderemmo di sicuro. Dio non voglia, figlie mie! Qualora ciò dovesse accadere, preferirei che aveste rendite.
4. In nessun modo, dunque, dovete preoccuparvi di questo; ve lo chiedo come un’elemosina per amore di Dio; e se la più giovane tra voi venisse a scoprire per caso una tale propensione in questa casa, invochi Sua Maestà e lo faccia presente alla sorella maggiore. Con umiltà le dica che è in errore e che, così facendo, a poco a poco si arriverà alla perdita della vera povertà. Io spero nel Signore che ciò non avvenga e che egli non abbandonerà le sue serve. A tal fine, se non altro, poiché mi è stato comandato di scrivere, l’avviso di questa povera peccatrice serva a ricordarvelo.
5. Credetemi, figlie mie, per il vostro bene Dio mi ha fatto capire qualcosa dei tesori racchiusi nello spirito della santa povertà, e quelle tra voi che ne faranno esperienza lo capiranno; forse, però, non tanto come me, perché io non solo non sono stata povera di spirito, malgrado ne avessi fatto il voto, ma insensata. La povertà è un bene che racchiude in sé tutti i tesori del mondo; racchiude anche in sé il tesoro di molte virtù. Non lo affermo assolutamente, perché non conosco il valore di ciascuno di esse e non intendo pronunciarmi su ciò che non conosco, ma per conto mio ritengo che ne abbracci molte. La povertà ci assicura un gran dominio, intendo dire che ci rende padroni di tutti i beni terreni, dal momento che ce li fa disprezzare. Che m’importa, infatti, dei re e dei potenti se non voglio le loro ricchezze, né intendo compiacere ad essi, quando per causa loro mi può accadere di dover dispiacere, sia pur poco, a Dio? Manderei tutto a male: mi sembra infatti che onore e denaro vadano sempre di pari passo. Chi desidera gli onori non disprezza le ricchezze, mentre chi disprezza le ricchezze poco si cura degli onori.
6. Si cerchi di capire bene questo perché, a mio avviso, il desiderio degli onori trae sempre con sé un qualche attaccamento a rendite e a denari; è assai raro, infatti, che sia oggetto di onori, nel mondo, chi è povero; anzi, sebbene ne sia degno, è tenuto in poco conto. La vera povertà trae con sé un onore così grande che sarebbe quasi insopportabile; ma la povertà che si abbraccia solo per Dio non ha bisogno, ripeto, di contentare nessuno tranne lui; ora, è fuori d’ogni dubbio che, non avendo bisogno di nessuno, si abbiano molti amici. Io l’ho costatato per mia esperienza personale.
7. Poiché su questa virtù si sono scritte tante cose che io non so comprendere né tanto meno spiegare, confesso che ero così estasiata che finora non mi sono resa conto della necessità di parlarne. Ora che me ne sono accorta, tacerò, ma ciò che è stato detto resti detto, se si trova che va bene. E sia tutto per amore del Signore, poiché la nostra insegna è la santa povertà che, all’inizio della fondazione del nostro Ordine, era stimata e osservata fedelmente dai nostri santi Padri (chi conosce bene la storia mi ha assicurato che essi non conservavano nulla un giorno per l’altro) e, dal momento che non la pratichiamo più con altrettanta perfezione esteriormente, procuriamo almeno di osservarla in modo perfetto nel nostro intimo. Per due sole ore di vita il premio sarà senza fine; e quand’anche non ve ne fosse altro che quello di seguire un consiglio di Cristo, la paga resterebbe sempre grande.
8. Ecco le armi che devono figurare sulle nostre bandiere e che dobbiamo custodire in ogni circostanza, in casa, nel modo di vestire, nelle parole e soprattutto nel pensiero. Finché vi atterrete a questa norma, non temete che abbia a decadere l’osservanza della Regola in questa casa, con l’aiuto di Dio, perché, come diceva santa Chiara, forti mura sono quelle della povertà. Di queste mura – ella diceva – voleva veder recinti i suoi monasteri, e certamente, se la si osserva davvero, l’onore del monastero e tutto il resto viene salvaguardato molto meglio che non con sontuosi edifici. Guardatevi bene dal costruirne di tali, ve ne scongiuro in nome di Dio e del suo sangue e, se posso dirlo in tutta coscienza, mi auguro che crollino il giorno stesso in cui siano costruiti e vi ammazzino tutte. Ve lo dico con buona coscienza e lo chiederò a Dio.
9. Mi sembra assai sconveniente, sorelle mie, costruire grandi case con il denaro dei poveri: a tanti di loro manca il necessario. Dio non vi permetta mai di avere più di una povera e piccola casa. Cerchiamo di somigliare in qualche cosa al nostro Re, che non ebbe per casa se non la stalla di Betlemme dove nacque. Coloro che le costruiscono grandi, avranno i loro buoni motivi; io non li condanno, certo. Essi nutrono intenzioni diverse. Ma per tredici poverette, qualunque angolo è sufficiente. Se è reso necessario dalla stretta clausura, potrete avere anche un giardino e romitori dove ritirarvi a pregare. Tanto meglio, perché la nostra miserabile natura ha bisogno di sollievo. Ma edifici e dimore spaziose con alcunché di ricercato, niente. Dio ce ne liberi! Ricordatevi sempre che il giorno del giudizio farà tutto cadere: che sappiamo se tal giorno verrà presto?
10. Ora, che la casa di tredici povere piccole monache faccia un gran rumore, cadendo, non sta bene, perché i veri poveri non fanno mai rumore: essi devono essere gente senza rumore perché si abbia di loro compassione. E quale sarà la vostra gioia se vedrete qualcuno scampare dall’inferno per l’elemosina che vi avrà fatto! Tutto, certo, è possibile, tanto più che voi siete molto obbligate a pregare costantemente per le anime dei vostri benefattori, dandovi essi di che vivere. Il Signore, infatti, benché tutto ci venga da lui, vuole anche che siamo riconoscenti alle persone mediante le quali ce lo offre, e non bisogna trascurare questo debito di gratitudine. Non ricordo più quello che avevo cominciato a dire, perché mi sono allontanata dall’argomento. Credo che così abbia voluto il Signore, perché non avrei mai pensato di scrivere quello che ho detto ora qui. Sua Maestà ci sostenga sempre con il suo aiuto, affinché non venga mai meno fra noi la perfezione di povertà. Amen.
Coordin.
00venerdì 2 agosto 2013 19:36
CAPITOLO 3
Continua il medesimo argomento.
1. Tornando al tema principale, che è il fine per il quale il Signore ci ha riunite in questa casa dove io desidero ardentemente che noi siamo almeno un po’ tali da contentare Sua Maestà, dico che nel vedere mali tanto grandi e l’impotenza delle forze umane a isolare il fuoco acceso [da questi eretici] (benché si sia cercato di radunar soldati nell’intento di porre rimedio con la forza delle armi a tale calamità che si estende ogni giorno di più), mi è sembrato necessario seguire la tattica a cui si ricorre in tempo di guerra. Quando i nemici hanno fatto irruzione in tutto il paese, il signore della regione, vedendosi alle strette, si ritira in una città che fa fortificare molto bene; di là piomba di quando in quando su di essi, e coloro che sono nella città, essendo soldati scelti, combattono in modo tale da fare più loro da soli di quel che potrebbero fare molti, se codardi. E così spesso si guadagna la vittoria, o almeno, se non la si ottiene, non si è vinti; infatti, poiché non vi sono traditori, ma gente scelta, non si può cedere che per fame. Qui, da noi, non ci può essere neppure questa fame a farci arrendere: possiamo, sì, morire, ma essere vinte, mai.
2. Ma perché ho detto questo? Affinché voi comprendiate, sorelle mie, che ciò di cui dobbiamo supplicare Dio è che nessuno dei buoni cristiani ora rinchiusi in questo piccolo castello passi al nemico, ma li sostenga tutti con la sua mano ed egli faccia avanzare molto nella via del Signore i capitani di tale castello o cittadella, che sono i predicatori e i teologi. E poiché la maggior parte di essi appartiene agli Ordini religiosi, dobbiamo pregarlo affinché possano raggiungere un alto grado di perfezione del loro stato, essendo ciò particolarmente necessario. Infatti, come ho detto, chi ci deve salvare è il braccio ecclesiastico e non quello secolare. E, poiché noi non possiamo nulla, sia con l’uno sia con l’altro, per aiutare il nostro Re, cerchiamo di fare in modo che le nostre orazioni servano ad aiutare questi servi di Dio i quali, a prezzo di tante fatiche, si sono fortificati con dottrina, virtù e difficili prove, per venire ora in aiuto del Signore.
3. Forse vi domanderete perché insisto tanto su questo punto e perché dobbiamo aiutare quelli che sono migliori di noi. Ve lo dirò, perché non credo che comprendiate ancora bene quanto dobbiate al Signore per il fatto che vi ha condotte in una casa dove siete così libere da interessi materiali, da occasioni pericolose e dal contatto con il mondo. Questa è una grande grazia che non hanno coloro di cui parlo, né conviene oggi, meno che in altri tempi, che siano liberi da tutto ciò perché sono proprio essi che devono sostenere i deboli e dare coraggio ai pavidi. Starebbero bene i soldati senza i capitani! Devono, quindi, vivere fra gli uomini, conversare con loro, soggiornare nei palazzi e anche conformarsi a volte esteriormente a loro. Credete voi, figlie mie, che ci voglia poca virtù per trattare con il mondo, vivere in mezzo al mondo, occuparsi degli affari del mondo, conformarsi, come ho detto, alle conversazioni del mondo, ed essere interiormente estranei al mondo, nemici del mondo, vivere in mezzo al mondo, vivendo in esso come chi vive in esilio e, infine, non essere uomini, ma angeli? Se, infatti, non fosse così, non meriterebbero il nome di capitani, e allora il Signore non permetta che escano dalle loro celle, perché faranno più male che bene. Non è, infatti, questo il tempo che consenta di scorgere imperfezioni in coloro che devono essere di esempio.
4. Se nel loro intimo non hanno la salda convinzione che occorre disprezzare tutti i beni della terra, staccarsi da ciò che ha fine e attaccarsi alle cose eterne, per molto che vogliano dissimularlo, finiranno col rivelarsi quali realmente sono. Del resto, non trattano essi forse con il mondo? Bene, siano pur certi che il mondo non perdonerà loro nulla e che nessuna delle loro imperfezioni potrà sfuggirgli. Delle buone azioni molte passeranno inosservate e fors’anche non saranno considerate tali, ma per quelle cattive o imperfette non sarà così, stiano certi. Ora io mi domando, piena di meraviglia, chi mai abbia potuto indicare al mondo la perfezione, non perché la osservi (perché a ciò non crede di essere minimamente obbligato, come se non fosse tenuto a contentare Dio, sembrandogli di far molto se osserva in una certa misura i comandamenti), ma per condannare tali altri di cui a volte ciò che è virtù sembra sia fatto a soddisfazione personale. Pertanto, non pensiate che a questi uomini sia necessaria solo una limitata grazia divina per sostenere la dura lotta in cui si cimentano; occorre loro, al contrario, un grandissimo aiuto.
5. Ora, due son le cose per cui io vi chiedo di sforzarvi di esser tali da farci meritare di ottenerle da Dio: la prima è che, fra i tanti dotti e religiosi che noi abbiamo, ce ne siano molti i quali possiedano le qualità necessarie a questo fine, come ho detto, e che il Signore vi disponga convenientemente coloro che non lo sono del tutto, perché un uomo perfetto farà più di molti uomini imperfetti. La seconda che, una volta entrati in questa lotta, non certo piccola, ma grandissima – come ho detto – il Signore li sostenga con la sua mano affinché possano salvarsi dai tanti pericoli quali sono quelli che il mondo presenta e riescano ad attraversare questo mare insidioso con le orecchie chiuse al canto delle sirene. Se in questo possiamo qualcosa presso Dio, combattiamo per lui, pur stando in clausura, e io riterrò molto ben impiegate tutte le sofferenze affrontate per fondare questo piccolo ritiro, dove volli che si osservasse la Regola di nostra Signora con la perfezione primitiva.
6. Non vi sembri inutile pregare costantemente a questo scopo, visto che ci sono alcune persone cui appare cosa dura non pregare molto per la propria anima; ma quale preghiera è migliore di questa? Se vi sembra necessaria a scontare le pene del purgatorio dovute ai peccati, tranquillizzatevi: vi saranno scontate anche per mezzo di tale orazione, e se rimane ancora qualcosa, rimanga pure! Che m’importa di stare in purgatorio fino al giorno del giudizio, se con le mie preghiere potrò salvare anche solo un’anima? Tanto più, poi, se giovo al profitto di molte e alla gloria del Signore! Non badate alle pene che hanno una fine, quando si tratta di servire in qualche modo maggiormente colui che ne ha sofferte tante per noi. Lasciatevi sempre consigliare su ciò che costituisce la maggior perfezione, giacché come vi pregherò molto (e dovete considerarlo già detto) e ve ne dirò i motivi, sempre dovete trattare con persone istruite. Pertanto, vi prego, per amore del Signore, di supplicare Dio di esaudirci in questo. Io stessa, pur essendo così miserabile, ne supplico sempre Sua Maestà, perché i miei desideri siano rivolti solo alla sua gloria e al bene della sua Chiesa.
Coordin.
00venerdì 2 agosto 2013 19:37
CAPITOLO 4
Si tratta di tre cose molto importanti per la vita spirituale.
1. Sembra presunzione da parte mia pensare che io possa contribuire in qualche modo a raggiungere questo scopo. Ma io confido, mio Signore, in queste vostre serve che sono qui riunite e che non desiderano né vogliono altro se non contentarvi. Per voi hanno lasciato il poco che avevano e avrebbero voluto aver di più per servirvi meglio con la rinunzia. Voi, mio Creatore, non siete un ingrato perché io possa credere che tralascerete di fare ciò di cui vi supplicano, anzi concederete loro molto di più. Signore dell’anima mia, quando eravate su questa terra, non avete disprezzato le donne, anzi le avete sempre favorite con molta benevolenza ed avete trovato in esse tanto amore e più fede che negli uomini. Infatti vi era fra loro la vostra santissima Madre, grazie ai cui meriti e per poter portare il suo abito meritiamo ciò che abbiamo demeritato per le nostre colpe… [Signore], nel mondo avete onorato le donne… Vi sembra impossibile che non facciamo qualcosa di valido per voi in pubblico, che non osiamo parlare di alcune verità che piangiamo in segreto e che una nostra così giusta richiesta non venga esaudita da voi? Io non lo credo, Signore, e mi affido alla vostra bontà e giustizia. Voi siete il giudice giusto e non fate come i giudici del mondo – i quali come figli di Adamo sono tutti maschi – che ritengono sospetta la virtù praticata dalla donna. O mio Re, dovrà venire il giorno in cui tutti si conoscono. Non parlo per me. Il mondo conosce già la mia miseria e mi sono rallegrata che ciò sia pubblico. Vedo, però, profilarsi dei tempi in cui non esiste più motivo per disprezzare anime virtuose e forti per il fatto che sono donne. Se vi chiederemo onori, rendite e ricchezze, o cose che sanno di mondo, non ascoltateci, Signore; ma se preghiamo per l’onore di vostro Figlio, perché, eterno Padre, non dovreste ascoltare coloro che per voi sacrificherebbero mille onori e mille vite? Non per noi, Signore, che non lo meritiamo, ma per il sangue ed i meriti di vostro Figlio.
2. Oh, eterno Padre! Considerate che tante percosse, tante ingiurie e tanti terribili tormenti non devono essere dimenticati. Come, dunque, mio Creatore, viscere così amorose come le vostre possono sopportare che ciò che fu fatto con tanto ardente amore da vostro Figlio, per piacervi maggiormente, giacché gli ordinaste di amarci, sia tenuto in così poco conto come oggi questi eretici tengono il santissimo Sacramento che privano dei suoi tabernacoli distruggendo le chiese? Se avesse omesso di fare qualcosa per piacervi! Ma ha fatto tutto perfettamente. Non è bastato, eterno Padre, che egli non abbia avuto, mentre visse, né casa né luogo ove posare il capo e che abbia dovuto sempre soffrire tanto, perché ora lo privino dei luoghi ove riunisce i suoi amici, di cui vede la debolezza e di cui sa che, per affrontare le loro battaglie, hanno bisogno di sostenersi con quel celeste alimento? Non aveva egli già pagato in larghissima misura per il peccato di Adamo? Ogni volta che torniamo a peccare, dev’essere sempre questo amorosissimo Agnello a pagare? Non vogliate permetterlo, mio sovrano Signore! Si plachi ormai la vostra Maestà! Non guardate ai nostri peccati, ma alla nostra redenzione operata dal vostro sacratissimo Figlio, ai suoi meriti e a quelli della sua Madre gloriosa e di tanti santi e martiri che sono morti per voi!
3. Ahimè, Signore, come mi dispiace. Chi è costei che ha osato rivolgervi questa preghiera in nome di tutte? Che cattiva mediatrice, figlie mie, avete in me, per presentare le vostre richieste e per ottenere di essere esaudite! Non farà che indignare di più questo sovrano Giudice il vedermi così temeraria, e con giusta ragione! Ma considerate, Imperatore mio, che voi siete Dio di misericordia; abbiate pietà di questa povera peccatrice, di questo vermiciattolo che osa tanto. Guardate, mio Dio, ai miei desideri, alle lacrime con cui vi rivolgo la mia supplica e, per quello che siete, dimenticate le mie opere, abbiate pietà di tante anime che si perdono e soccorrete la vostra Chiesa. Non permettete più disastri tra i cristiani, o Signore! Dissipate, vi prego, queste tenebre!
4. Vi supplico, sorelle mie, per amore del Signore, di raccomandare a Sua Maestà questa poverella sfrontata perché le dia umiltà. E quando le vostre preghiere, desideri, discipline e digiuni non s’indirizzassero più al fine che ho detto, sappiate che non giungereste a realizzare il fine per il quale siete state qui riunite. Il Signore, come alta Maestà, non permetta che ciò si cancelli dalla vostra memoria.
Coordin.
00venerdì 2 agosto 2013 19:38
CAPITOLO 5 (4)
Dimostra come per un’impresa così grande sia necessario farsi coraggio per giungere alla perfezione e raccomanda come mezzo più idoneo l’orazione.
1. Avete ormai visto quanto sia alto il fine che state per conseguire. Per il prelato e vescovo – che è vostro superiore – e per l’Ordine, tutto è già sottinteso in quanto ne ho parlato prima, perché tutto è bene della Chiesa e costituisce, dunque, un obbligo per voi. Ora, ripeto, chi ha avuto l’audacia di scegliere tale impresa, come deve comportarsi per non sembrare troppo temerario agli occhi di Dio e del mondo? È evidente che ha molto da lavorare. Ci sarà di grande aiuto nutrire generosi desideri per sforzarci di ottenere che lo siano anche le opere. Ora, se procuriamo di osservare fino in fondo, con gran diligenza, la nostra Regola e le nostre Costituzioni, spero che il Signore accoglierà le nostre preghiere. Non vi chiedo nulla di nuovo, figlie mie, ma soltanto di rispettare i voti della nostra professione poiché la nostra vocazione costituisce il nostro impegno, benché ci siano grandi differenze nel modo di osservalo.
2. La nostra Regola primitiva dice che dobbiamo pregare incessantemente. Adempiendo questo dovere che è il più importante, con tutto lo zelo possibile, non trascureremo anche di osservare i digiuni, le discipline e il silenzio che l’Ordine comanda. Infatti sapete che l’orazione, per essere vera, deve essere sostenuta da tutte queste pratiche, poiché orazione e comodità non sono compatibili l’una con l’altra.
3. L’orazione è ciò di cui m’avete pregato di dirvi qualcosa, e io vi prego, in cambio di quello che vi dirò, di rileggere spesso e praticare volentieri quanto ho detto finora. Prima di parlare delle cose interiori, cioè dell’orazione, dirò alcune cose necessarie a coloro che vogliono battere il cammino dell’orazione; cose tanto necessarie che con esse, senza essere spiriti contemplativi, si potrà progredire molto nel servizio del Signore, mentre se non si possiedono, è impossibile essere grandi anime contemplative, e chi pensasse di esserlo s’ingannerebbe di molto. Il Signore mi dia il suo aiuto a tal fine e mi suggerisca ciò che devo dire, affinché risulti a sua gloria. Amen!
Coordin.
00venerdì 2 agosto 2013 19:38
CAPITOLO 6 (4)
Parla di tre cose importanti. Spiega la prima di queste che è l’amore del prossimo e indica i danni delle amicizie particolari.
1. Non pensate, amiche e sorelle mie, che siano molte le cose che vi raccomanderò. Piaccia, infatti, al Signore che osserviamo quelle che i nostri santi Padri hanno ordinato e adempiuto nella Regola e nelle Costituzioni che, viste insieme, costituiscono un codice di virtù. Mi limiterò a parlarvi solo di tre cose inerenti alle stesse Costituzioni, essendo molto importante intendere l’obbligo rigoroso di osservarle per avere la pace interna ed esterna, che il Signore ci ha tanto raccomandato: la prima è l’amore reciproco; la seconda, il distacco da tutte le creature; la terza, la vera umiltà che, sebbene sia da me nominata per ultima, è la virtù principale e le abbraccia tutte.
2. Quanto alla prima, cioè avere un grande amore [reciproco], essa è di grandissima importanza, perché non vi è nulla di così gravoso che non si sopporti facilmente fra coloro che si amano, e occorrerebbe che fosse cosa ben dura se riuscisse gravosa. Se questo comandamento fosse osservato nel mondo come si deve, credo che aiuterebbe molto a fare osservare anche gli altri; ma, ora per troppo zelo, ora per poco, non si arriva mai a osservarlo in modo perfetto. Sembra, in proposito, che l’eccesso fra noi non debba essere nocivo, eppure porta con sé tanto male e tante imperfezioni che, a mio giudizio, non può crederlo se non chi è stato testimone oculare. Qui il demonio tende molte insidie, che in coscienze che si sforzano di piacere a Dio alla men peggio si avvertono poco, anzi sembrano ispirazioni virtuose. Coloro che, invece, mirano alla perfezione, se ne rendono perfettamente conto, perché a poco a poco tolgono alla volontà la forza di applicarsi interamente all’amore di Dio.
3. E credo che questo difetto si riscontri nelle donne ancor più che negli uomini; esso reca evidentissimi danni a una comunità, perché ne segue che le monache non si amino tutte ugualmente, che si soffra per il torto subito da una di essa, che si desideri di aver qualcosa da regalarle, che si cerchi il momento per parlarle, e molte volte per dirle che la si ama, più che per parlarle dell’amore che si nutre per Dio. È raro, infatti, che queste grandi amicizie siano rivolte ad aiutarsi vicendevolmente ad amare di più il Signore; anzi, credo che il demonio le faccia nascere per creare fazioni opposte [negli Ordini religiosi]. Si vede subito quando, invece, l’amore è rivolto al servizio [di Dio], perché l’affetto non è guidato dalla passione, ma cerca un aiuto per vincere altre passioni.
4. Vorrei che nei grandi monasteri vi fossero molte amicizie di questo genere. Al monastero di San Giuseppe, ove non siamo e non dobbiamo essere più di tredici, tutte devono sentirsi amiche, tutte devono amarsi, volersi bene e aiutarsi reciprocamente. Per sante che siano, si guardino, per amor di Dio, da queste amicizie particolari, le quali di solito anche tra fratelli sono un veleno – se no, osservate la storia di Giuseppe! Io non vedo in esse alcun vantaggio; se riguardano parenti meno prossimi, peggio ancora: una vera peste. Credetemi, sorelle, che, anche se questo vi sembra esagerato, include un’alta perfezione e una grande pace, ed evita molte occasioni pericolose a quelle che non sono ben salde nella virtù. Se l’affetto inclina più verso una che verso un’altra (né potrà essere altrimenti, trattandosi di un sentimento naturale, che molte volte ci porta ad amare la più imperfetta, se particolarmente dotata di innate attrattive), teniamo a freno il nostro sentimento per non lasciarci dominare da quell’affetto. Amiamo le virtù e le qualità interiori, sforzandoci sempre attentamente di non badare alle qualità esteriori.
5. Non permettiamo mai, sorelle, che il nostro cuore sia schiavo di alcuno, se non si tratta di colui che l’ha riscattato con il suo sangue; guardate che, altrimenti, senza saper come, vi troverete in un tale intrico da non poterne uscire. Oh, Dio mio, le puerilità che nascono da queste amicizie particolari non si contano! E, per evitare che tante debolezze di donne vengano risapute e forse imparate da quelle che non le conoscono, non voglio parlarne dettagliatamente. Certo, però, mi spaventava talvolta il rilevarle (giacché per bontà di Dio in questi casi non mi sono mai lasciata irretire molto e, può darsi per caso, perché mi trovavo invischiata in cose peggiori). Ma, come ho detto, tante volte ho visto cose simili e temo che serpeggino nella maggioranza dei monasteri. Io l’ho osservato in alcuni e so che per la vera e perfetta vita religiosa sono una pessima cosa e nella priora saranno una vera peste. Con questo è detto tutto.
6. Nell’arginare queste parzialità, occorre molta cura fin dal momento in cui comincia a manifestarsi [l’amicizia]; bisogna agire con abilità ed amore più che con rigore. Un rimedio eccellente a tal fine è non stare insieme né parlarsi, se non nelle ore stabilite, secondo l’usanza che ora seguiamo, rispettando le nostre Costituzioni che prescrivono di non stare insieme, ma di rimanere ognuna nella propria cella. Il monastero di San Giuseppe sia, quindi, esente da avere un luogo di lavoro comune perché, pur essendo questa una lodevole usanza, si osserva meglio il silenzio quando ognuna sta per conto proprio, e ci si abitua alla solitudine, ottima disposizione per l’orazione. Ora, siccome questa dev’essere il fondamento di questa casa e poiché, per praticarla, ci siamo riunite, più di ogni altra cosa dobbiamo impegnarci a prediligere ciò che può essere utile per tale esercizio.
7. Ritornando a parlare dell’amore scambievole sembra fuor di proposito raccomandarlo; infatti, come si può essere così barbari da non amarsi, trattandosi e vivendo sempre insieme, senza la possibilità di parlare, né aver relazione, né svagarsi con persone estranee alla casa, sapendo, inoltre, che Dio ci ama e che le nostre sorelle amano lui, visto che per amore di Sua Maestà hanno abbandonato tutto? Tanto più che la virtù attira l’amore, e questo con la grazia di Dio, e io spero che, con l’aiuto di Sua Maestà, essa sarà sempre praticata dalle monache di questa casa. Pertanto, a questo riguardo, mi sembra che non ci siano molte raccomandazioni da fare.
8. Vorrei ora parlare un po’, secondo la mia elementare capacità, di come debba essere questo amore reciproco, in cosa consista l’amore virtuoso – quello che io desidero veder regnare qui – e da quali segni riconosceremo di possedere questa virtù, che è ben grande, se il nostro Maestro e Signore Cristo l’ha raccomandata e con tanta insistenza a tutti, specialmente ai suoi Apostoli. Ma se voi lo troverete minuziosamente spiegato in altri libri, non date importanza a quanto scrivo, perché forse non so quello che dico, se il Signore non mi illumina.
CAPITOLO 7 (4)
Tratta di due tipi diversi di amore e di quanto sia importante conoscere quale sia quello spirituale. Parla dei confessori.
1. Mi propongo ora di parlare di due specie di amore: uno puramente spirituale, perché la sensitività o la tenerezza della natura umana non vengono toccate in esso e l’altro, anch’esso spirituale, ma unito alla nostra sensitività e debolezza. È un fatto che c’interessa molto, perché sono due modi di amarci in cui non s’inserisce nessuna passione umana, la quale creerebbe soltanto disordine in questa unione. Se pratichiamo con moderazione e discrezione l’amore di cui ho parlato, esso risulta assai meritorio in tutto, poiché ciò che ci sembra essere sensitività si trasforma in virtù. Senonché, le due componenti si presentano talvolta frammischiate tanto che non si riesce a individuarle, come capita soprattutto nei confronti di un confessore. Infatti le persone dedite all’orazione, se lo vedono santo e capace di comprendere il loro modo di procedere, si attaccano a lui con molto amore.
2. Qui il demonio scatena molti scrupoli rendendo l’anima inquieta. È proprio ciò che egli vuole. Soprattutto quando il confessore la conduce verso maggiore perfezione, il maligno la turba fino a fargliela abbandonare. E non smette di torturarla con quella tentazione, né con un confessore né con un altro. Ciò che si può fare è non occupare il pensiero per sapere se lo si ama o meno. Se tali persone amano il confessore, lo amino pure, poiché, se nutriamo amore verso chi procura qualche bene al nostro corpo, perché non amare chi s’impegna e lavora per farcelo all’anima? Perché non dovremmo amarlo? Io credo che veramente si progredisca molto se si nutre amore verso il confessore, se egli è santo e spirituale e se vedo che egli fa molto per far progredire la mia anima. La nostra debolezza è tale che questo, talvolta, ci aiuta a fare cose grandi nel servizio di Dio. Se [il confessore] non è così come ho detto, allora c’è pericolo. Un confessore che non è tale potrebbe essere causa di gravi danni per il fatto che egli capisca di essere benvoluto e, nelle case di stretta clausura, più che nelle altre. Siccome è difficile capire quale sia quello davvero buono, occorre grande e accurata attenzione. Sarà meglio ancora se egli non sospetta di essere benvoluto e che non glielo dicano. Il demonio subentra con tale arte da non offrire scappatoie, sicché chi va a confessarsi ritiene di aver solo quello di cui confessarsi e si sente obbligato a manifestarlo. Vorrei, quindi, che si convincessero che non è nulla e di non badarci. Ascoltino questo consiglio: se si accorgono che tutti i colloqui con il confessore servono per far progredire l’anima e se non in lui alcune vanità (e di ciò si rende subito conto chi non vuol lasciarsi abbindolare) e se egli è timorato di Dio, non si preoccupino di sentire qualche tentazione di affetto verso di lui, perché non appena il demonio si sarà stancato smetterà d’intervenire. Ma, se si rendono conto che il confessore trova qualche vana compiacenza in ciò che gli dicono, siano in tutto sospettose e non si abbandonino a lunghe conversazioni con lui, sia sull’orazione che su Dio. Si limitino, piuttosto, a confessarsi stringatamente e a concludere. Meglio ancora sarebbe dire alla madre [priora] che la propria anima non si trova bene con lui e che si vorrebbe cambiare confessore. Sarebbe questa la soluzione migliore, se ci fosse la disponibilità – e spero in Dio che ci sia – e così fare tutto il possibile per non trattare più con lui, anche se si sentisse morire.
3. Badate che tale raccomandazione è molto importante, perché [la vanità in un confessore] è cosa assai pericolosa, un inferno e una rovina per tutta la comunità. E, ripeto, non si deve aspettare che il male sia già grande, ma arrestarlo all’inizio, con tutti i mezzi possibili. Lo potete fare con assoluta buona coscienza. Ma io spero che il Signore non permetterà che persone, le quali devono sempre occuparsi dell’orazione, possano nutrire affetto se non per chi è innamorato di Dio e molto virtuoso. Su ciò non v’è dubbio, altrimenti è ugualmente certo che non sono anime dedite all’orazione. Perché, se lo sono, come qui si esige, ed esse vedono che il confessore non comprende il loro linguaggio, e non è portato a parlare di Dio, non potranno amarlo, perché non somiglia a loro. Se, invece, somiglia, date le pochissime occasioni di male che qui vi saranno, egli, a meno di essere troppo semplice, non si turberà né vorrà turbare le serve di Dio in un luogo dove i suoi desideri non troveranno alcuna soddisfazione, o ben poca.
4. Poiché ho cominciato a parlare di questo male che, come ho detto, è uno dei più gravi che il demonio possa fare in monasteri di clausura, e di cui ci si accorge molto tardi, aggiungo che per esso si può man mano disorientarsi nella via della perfezione, senza conoscerne la causa. Se infatti il confessore vuol suscitare vanità per il fatto che egli vi si abbandona, tiene in poco conto anche le altre mancanze. Dio ci liberi, per la sua maestà, da simili cose! Basterebbe questo a turbare tutte le sorelle, perché la propria coscienza dice loro il contrario di quel che dice il confessore, e se sono costrette ad averne uno solo, non sanno che fare né come riacquistare la pace. Chi infatti doveva tranquillizzarle e soccorrerle è quello che fa loro danno. A tale riguardo ho visto nei monasteri grandi afflizioni – anche se non nel mio [dell’Incarnazione] – e ne ho provato una grande compassione.
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:42
Cammino di perfezione
(Escorial)
Sezione 2
CAPITOLO 25 (16)
Parla della differenza che ci dev’essere nella perfezione di vita fra i contemplativi e coloro che si limitano all’orazione mentale.
1. Pertanto, figlie mie, se volete che vi indichi il cammino per giungere alla contemplazione, permettetemi di dilungarmi un po’ su certe cose, benché esse a prima vista non vi sembrino tanto importanti e, a mio parere, invece, quelle dette qui lo sono sempre; se, poi, non volete ascoltarle né metterle in pratica, restatevene con la vostra orazione mentale per tutta la vita: io vi assicuro, e altrettanto dichiaro a tutto il mondo, che non raggiungerete mai la vera contemplazione. Può anche essere che m’inganni, giudicando gli altri in base a me stessa, che pur ne ho fatto esperienza per vent’anni.
2. Voglio ora spiegare – perché alcune non lo sanno bene – che cos’è l’orazione mentale, e piaccia a Dio che noi la pratichiamo come si deve! Ma io temo ancora che costi molta fatica se non si cerca di acquistare le virtù necessarie, quantunque non in così alto grado come si richiede per la contemplazione. Per non dimenticare di avervi esortate ad essere certe che il Re verrà, voglio spiegarmi meglio, perché se voi scopriste in quel che dico qualcosa che non risponda a verità, non mi credereste più in nulla. E avreste ragione nel caso che lo facessi coscientemente. Ma Dio me ne liberi! Se così fosse, sarebbe perché non ne so o non ne capisco di più. Accade spesso che il Signore ponga un’anima in uno stato deplorevole anche se non proprio in uno stato di peccato, come mi sembra. Il Signore può concedere una visione, sia pur buona, anche ad un’anima in tristi condizioni per strapparla dal cattivo stato e farla tornare a lui, ma non certo per introdurla nella contemplazione. Non posso crederlo. Nell’unione divina, nella quale il Signore gode con l’anima e questa con lui, un’anima in peccato non arriva a godere della limpidezza dei cieli e la gioia degli angeli non può unirsi ad una creatura non sua. Sappiamo che chi si trova in peccato mortale appartiene già al demonio e può godere con lui, visto che già l’ha accontentato. Sappiamo anche che i suoi godimenti diventano poi un continuo tormento già in questa vita. Ma, al Signore non mancheranno veri figli nei quali egli troverà piacere e non ha bisogno di cercarne altri. Sua Maestà farà anche qui come sempre: strapperà dalle mani del demonio anche quelli.
3. Oh, mio Signore, quante volte vi facciamo lottare a corpo a corpo con il demonio! Non doveva bastare che vi foste lasciato prendere fra le sue braccia quando vi portò sul pinnacolo del tempio, per insegnarci a vincerlo? Ma che spettacolo, figlie mie, vedere quel Sole divino congiunto con lo spirito delle tenebre, e che terrore avrà provato tale spirito maledetto, senza sapere di che, perché Dio non permise che l’intendesse! Sia benedetta tanta pietà e misericordia! Che vergogna dovremmo provare noi cristiani di farlo lottare corpo a corpo – come ho detto – con una bestia così immonda! Fu ben necessario allora che le vostre braccia fossero straordinariamente forti, ma come mai non sono rimaste indebolite dopo tanti tormenti sofferti sulla croce? Oh, come tutto quello che si soffre per amore guarisce presto! Pertanto credo che se voi foste rimasto in vita, lo stesso amore che ci portate avrebbe cicatrizzato le vostre piaghe, senza bisogno di altra medicina. Sembra che io dica uno sproposito. Ma non è così: l’amore divino può fare cose ancora più grandi di queste. Per non apparire curiosa – e lo sono davvero – e per non dare un cattivo esempio, non ne riporto nessuna.
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:43
CAPITOLO 26 (16)
Parla della possibilità che Dio talvolta elevi, già in questa vita, l’anima alla contemplazione perfetta e ne indica la causa. Capitolo degno di nota.
1. Quando il Signore vuole, eleva le anime verso di lui nella contemplazione, anche se tali anime non possiedono ancora queste virtù, però di rado e per breve durata. E questo, ripeto, lo fa per provare se con quel favore vorranno disporsi a goderne spesso, ma se non lo fanno, mi perdonino – o, per meglio dire, perdonatemi voi, Signore –, se dico che è un gran male che voi vi rivolgiate a un’anima di tal genere e che essa dopo si rivolga alle cose della terra per attaccarvisi.
2. Sono convinta che sono molti coloro con i quali il Signore fa questa prova, e pochi coloro che si dispongono a godere di tale grazia. Quando il Signore la concede, e non manca da parte nostra la disposizione a riceverla, sono certa che non cesserà mai di colmarci di benefici fino a che non saremo pervenuti a un alto grado. Quando, invece, non ci diamo a Sua Maestà così generosamente come egli si dà a noi, farà già molto lasciandoci l’orazione mentale e visitandoci di quando in quando, come servi della sua vigna. Gli altri, invece, sono figli bene amati; non vorrebbe più allontanarsene, né se ne allontana, perché essi stessi non lo vogliono: li fa sedere alla sua mensa, dà loro da mangiare quello che mangia lui, fino a togliersi il boccone di bocca per darglielo.
3. Oh, commovente impegno, figlie mie! Oh, felice distacco da cose tanto vili e vane, che porta a così alto stato! Figuratevi che cosa importerà, stando fra le braccia di Dio, che il mondo intero vi accusi, o anche si spacchi la testa gridando; non appena diede l’ordine che il mondo fosse fatto, il mondo fu fatto: la sua volontà è opera. Non abbiate, dunque, paura che permetta si sparli di voi, tranne che sia per maggior vostro bene: egli non ama così poco chi gli dà il suo amore. Allora, figlie mie, perché non gli dimostreremo, come possiamo, il nostro amore? Considerate che è un bel cambio dargli il nostro amore per il suo; considerate che egli può tutto e che noi, qui, non possiamo nulla tranne quello di cui ci rende capaci. Ma che cos’è, poi, questo che noi facciamo per voi, Signore, nostro creatore? Proprio nulla; una piccola determinazione! Se, dunque, per ciò che non è nulla, Sua Maestà vuole che meritiamo il tutto, cerchiamo di non essere insensate.
4. Oh, Signore! Tutto il male ci viene dal non tenere lo sguardo fisso su di voi, perché se non guardassimo ad altro che al cammino, arriveremmo presto, ma incorriamo in mille cadute, in mille inciampi e sbagliamo la strada per non tenere gli occhi – ripeto – sul vero cammino. Ci sembra di non averlo mai fatto, tanto ci appare nuovo. È una cosa deplorevole, certo, quel che a volte accade. Non sembriamo nemmeno cristiane, né sembra che abbiamo mai letto nella vita la passione del Cristo. Mio Dio, toccare il punto d’onore! Chi ci dice di non farne caso, sembra non essere nemmeno un cristiano! Ho riso e talvolta pianto per ciò che capita nel mondo e anche, per colpa dei miei peccati, nelle comunità religiose: basta toccare il tasto della sottovalutazione per suscitare insofferenza. Dicono subito che non sono santi ed anch’io dicevo così.
5. Dio ci liberi, sorelle, quando faremo qualcosa di imperfetto, dal dire: «non siamo angeli», «non siamo santi». Considerate che, quantunque non lo siamo, è sempre bene pensare che, mediante i nostri sforzi, Dio ci aiuta ad esserlo. Non dobbiamo temere che egli ci venga meno, se da parte nostra non gli veniamo meno. E poiché non siamo venute qui per altro fine, mano all’opera, come si dice: non vi sia nulla in cui vediamo che si serve meglio il Signore che non crediamo di riuscire a compiere con il suo aiuto. Io vorrei che ci fosse in questa casa tale aspirazione, che fa sempre crescere l’umiltà e fa avere una santa arditezza, perché Dio aiuta le anime forti e non fa preferenza di persone; aiuterà tanto voi che me.
6. Ho molto divagato; voglio ora tornare a ciò che dicevo, cioè spiegare in cosa consistano l’orazione mentale e la contemplazione. Vi sembrerò forse temeraria, ma voi riuscite a sopportare tutto da me: può anche darsi che lo intendiate meglio attraverso il mio linguaggio grossolano che attraverso lo stile elegante di altri.
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:44
CAPITOLO 27 (17)
Dice come non tutte le anime siano adatte alla contemplazione, come alcune vi arrivino tardi e come chi è veramente umile deve procedere con letizia per il cammino attraverso il quale il Signore lo conduce.
1. Finalmente sembra che cominci a trattare dell’orazione, ma mi manca ancora da dire qualcosa di molto importante, perché riguarda l’umiltà, particolarmente necessaria in questa casa, perché tutte dovete attendere all’orazione, come fate. Come ho detto, è di grande interesse cercare di capire il modo per praticare bene l’umiltà: è questo un punto molto importante, indispensabile per tutte le persone che praticano l’orazione. Quella fra voi che è veramente umile, come potrà pensare di possedere tanta virtù quanta ne hanno coloro che giungono ad essere contemplativi? Che Dio, per i meriti di Cristo possa renderla tale, non c’è dubbio, ma il mio consiglio è che sieda sempre all’ultimo posto, come ci ha insegnato il Signore, dandocene l’esempio. Si disponga convenientemente, nell’eventualità che Dio la voglia condurre per questa strada. Se non lo fa, la vera umiltà gioverà a far sì che si ritenga felice di servire le serve del Signore e di lodarlo per averla condotta fra loro, nonostante ella avesse meritato l’inferno.
2. Non dico questo senza un buon motivo perché, ripeto, è molto importante rendersi conto che Dio non conduce tutti per la stessa strada: infatti, può accadere che colui che si crede più indietro sia invece più avanti agli occhi del Signore. Pertanto, non perché tutte in questa casa pratichino l’orazione devono essere tutte contemplative. È impossibile, e sarebbe triste per quella che non lo è, non capire questa verità, che cioè la contemplazione è solo un dono di Dio, è poiché non è necessaria alla nostra salvezza né la si esige da noi, non tema di esserne mai richiesta; per questo non cesserà di essere perfetta in sommo grado, se fa quello che qui ho scritto. Anzi, può essere che abbia molto maggior merito, perché il lavoro è tutto a sue spese e il Signore la tratta come un’anima forte e le tiene riservate tutte insieme le gioie di cui non gode quaggiù. Non si perda quindi d’animo per questo né tralasci di attendere all’orazione né di fare quello che fanno tutte, perché a volte il Signore viene assai tardi, ma dà generosamente e in un solo momento quanto in molti anni ha dato agli altri a poco a poco.
3. Io sono stata quattordici anni senza poter neanche meditare se non con l’aiuto di una lettura. Ci saranno molte persone nella stessa condizione, e altre che, anche mediante la lettura, non riescono a meditare, ma solo a pregare vocalmente; è qui dove si concentrano meglio e trovano un po’ di gusto. Alcune sono di uno spirito così leggero che non sanno concentrarsi in nulla, e sono sempre distratte, a tal punto che se vogliono fermarsi a pensare a Dio, cadono in mille insensatezze, scrupoli e dubbi di fede. Conosco una monaca di età assai avanzata – piacesse a Dio che la mia vita fosse come la sua –, molto virtuosa, penitente e gran serva di Dio, che spende molte ore, già da vari anni, nell’orazione vocale e ordinaria; ma di quella mentale non è stata mai capace. Il meglio che possa fare, quando le riesce, è concentrarsi gradatamente su quello che recita. Il massimo che riesce a fare è recitare lentamente alcune Ave Maria e qualche Padre nostro: il che risulta un’opera molto santa. E ci sono molte altre persone di tal genere; se, però, hanno umiltà, non credo che alla fine ne usciranno con minor merito, ma sono convinta che il loro merito sarà del tutto uguale a quello di coloro che godono di molti diletti. Esse, in certo modo, avranno proceduto con maggior sicurezza, perché non sappiamo se le delizie vengono da Dio o dal demonio. E se non vengono da Dio, il pericolo è maggiore, perché il fine a cui il demonio qui tende è d’ispirare superbia, mentre se vengono da Dio, non c’è nulla da temere, come ho scritto nel mio primo libro.
4. Queste persone procedono, dunque, nell’umiltà e, temendo di non avere consolazioni maggiori per loro colpa, si sforzano sempre di far progressi. Non vedono versare una lacrima, senza che loro sembri, se non ne versano anch’esse, d’esser molto indietro nel servizio di Dio, mentre, probabilmente, sono molto più avanti, perché le lacrime, anche se buone, non sono tutte perfette, e l’umiltà, la mortificazione, il distacco e le altre virtù offrono sempre maggiore sicurezza. Non abbiate, quindi, alcun timore né dubitate di arrivare alla perfezione come i più alti contemplativi.
5. Santa Marta era una gran santa, benché non si dica che fosse contemplativa; allora, che volete di più che arrivare ad essere come questa donna felice, la quale meritò di ospitare tante volte nella sua casa Cristo nostro Signore e dargli da mangiare e servirlo e mangiare anche lei alla sua mensa e addirittura nel suo stesso piatto? Se entrambe fossero rimaste assorte come la Maddalena non ci sarebbe stato nessuno che desse da mangiare all’Ospite divino. Ebbene, pensate che questo monastero, ove siamo riunite, sia la casa di santa Marta, ove dev’esserci di tutto. E coloro che sono scelte a dedicarsi alla vita attiva non mormorino di quelle che sono molto assorte nell’orazione, perché generalmente questa le rende noncuranti di sé e di tutto.
6. Si ricordino che, se tacciono, il Signore risponderà per loro e si ritengano felici di preparargli il pasto; badino che la vera umiltà consiste, credo, specialmente nell’essere disposti, senza alcuna eccezione, a uniformarsi al volere del Signore e a considerarsi sempre indegni di essere chiamati suoi servi. E se la contemplazione, l’orazione mentale e vocale, la cura degli infermi, i vari servizi domestici e il lavoro – e desiderare anche il più umile –, se tutto ciò equivale a servire l’Ospite divino che viene a dimorare, a mangiare e a ricrearsi con noi, che cosa ci importa di attendere ad uno più che ad un altro ufficio?
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:45
CAPITOLO 28 (17)
Parla del molto che si guadagna nel disporsi all’intervento di Dio e di quanto sarebbe dannoso non farlo.
1. Io non dico che la mancanza di contemplazione sia dovuta a voi, ma che dovete essere disposte a ogni esperienza, perché non dipende dalla vostra scelta, bensì da quella del Signore. E se dopo molti anni egli volesse lasciare ognuna nel suo ufficio, sarebbe proprio una bella umiltà voler ricorrere a un’altra scelta di propria iniziativa! Lasciate fare al Padrone della casa che è saggio, potente e sa quello che conviene a voi e che conviene a lui stesso. Siate certe che, facendo quello che dipende da voi e disponendovi alla contemplazione con la perfezione che ho detto, se egli non ve la concede (ma non credo che mancherà di concedervela, se vi è in voi un vero distacco) è perché tiene riservata questa gioia per aggiungerla a tutte le altre di cui vi farà dono, e perché – come ho già detto – vi vuole trattare da anime forti, dandovi da portare quaggiù la croce come Sua Maestà stessa l’ha sempre portata. E quale amicizia migliore di volere per voi ciò che egli volle per sé? Potrebbe anche essere che non aveste un così gran premio nella contemplazione. Sono, questi, giudizi suoi, e non bisogna interferire in essi; è un gran bene che la scelta non dipenda da noi, perché subito – sembrandoci di trovare nella contemplazione una maggior pace – saremmo tutti grandi contemplativi.
2. Io dico, dunque, figlie mie, a chi tra voi Dio non conduce per questa via, che quelli che la seguono, per quanto ho visto e inteso io, non portano una croce più leggera, e che restereste sbalordite se sapeste per quali vie e per quali prove Dio li fa passare. Io conosco lo stato degli uni e degli altri e so quanto siano intollerabili i travagli che Dio dà ai contemplativi: essi sono tanto duri che non si potrebbero sopportare, se egli non li sostentasse con quel cibo di delizie. Ed essendo evidente che proprio coloro che Dio ama particolarmente sono da lui condotti per la via dei travagli, e tanto più grandi quanto più li ama, non c’è ragione di credere che egli aborrisca i contemplativi, specie perché li loda con la sua bocca e li considera suoi amici.
3. Ora, pensare che egli ammetta alla sua intimità gente amante dei piaceri ed esente da travagli è assurdo. Sono sicurissima che Dio assegna loro ben più difficili prove, e siccome li conduce per un cammino aspro e dirupato, in cui a volte sembra loro di smarrirsi, tanto che devono tornare indietro per cominciare di nuovo la strada, è necessario che Sua Maestà li sostenti, non già con acqua, ma con vino, affinché, inebriati, non si rendano conto di quel che soffrono e lo possano sopportare. Per questo, io vedo ben pochi veri contemplativi che non siano pieni di coraggio, perché la prima grazia che il Signore concede loro, se son deboli, è di infondere in essi coraggio e far sì che non temano sofferenze di qualunque genere possano venir loro.
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:45
CAPITOLO 29 (18)
Prosegue sullo stesso argomento e mostra quanto le sofferenze dei contemplativi superino quelle di coloro che sono dediti alla vita attiva. Questo capitolo sarà per loro di grande conforto.
1. Credo che coloro i quali sono dediti alla vita attiva pensino, non appena vedono gli altri oggetto di qualche favore, che sia sempre così. Ebbene, vi dico che forse voi non potreste sopportare neanche un giorno ciò che essi patiscono. E siccome il Signore conosce tutti per ciò che sono, assegna a ciascuno il suo compito, quello che ritiene più conveniente alla sua anima, alla propria gloria e al bene del prossimo. E, se da parte vostra non manca la disposizione adatta, non abbiate paura che il vostro lavoro vada perduto. Badate che dico che tutte dobbiamo tendere a questo scopo, perché non siamo qui per altro; perciò, non dobbiamo limitare i nostri sforzi a un solo anno, o due o anche dieci, affinché non sembri che abbandoniamo per codardia quanto abbiamo intrapreso. Il Signore sa bene che non lasciate nulla d’intentato, come soldati pronti ad eseguire qualsiasi ordine voglia loro dare il capitano, dovendo ricevere da lui la loro paga. E quanto meglio sono pagati di quelli che servono al re! Vanno tristi verso la morte e poi, sa ben Dio come li si paga.
2. Quando li vede dunque presenti e desiderosi di servirlo, il capitano, che già conosce le attitudini di ciascuno, seppure non così bene come il nostro capitano celeste, distribuisce i compiti secondo le forze; se non fossero presenti, certo non assegnerebbe loro nessun compito, né darebbe loro alcun premio. Pertanto, sorelle, datevi all’orazione mentale, e chi non lo potesse fare, a quella vocale, alla lettura e ai colloqui con Dio, come dirò in seguito. Non lasciate di pregare nelle ore di orazione stabilite per tutte. Non si sa quando il capitano chiamerà e vi darà una sofferenza maggiore, mascherata dal gusto. Se non venite chiamate, pensate che non siete fatte per quella. E qui subentra la vera umiltà. Credete sinceramente di essere incapaci anche riguardo a ciò che fate. Andate avanti allegramente, servendo nell’ufficio assegnatovi.
3. Se possiede la vera umiltà, beata la serva di vita attiva che mormora soltanto di se stessa. Desidererei essere come lei, anziché come altre contemplative. Lasci alle altre le loro battaglie, che non son cosa da poco! Non sapete che nelle battaglie gli alfieri e i capitani sono obbligati a combattere più degli altri?
4. Un povero soldato va avanti passo passo e, se talvolta si nasconde per non entrare nella mischia, non glielo fanno notare ed egli non perde né l’onore né la vita. L’alfiere, invece, anche se non combatte, porta la bandiera e non deve lasciarsela sfuggire di mano, anche se lo fanno a pezzi. Gli occhi di tutti sono puntati su di lui. Come potete, dunque, pensare che abbia poche sofferenze colui al quale il re assegna questo incarico? Per un po’ di onore in più, egli è obbligato a soffrire molto di più e tutto va perso se egli concede qualcosa alla sua debolezza. Amiche mie, poiché non ci rendiamo conto né sappiamo ciò che chiediamo, lasciamo fare al Signore che ci conosce meglio di quanto ci conosciamo noi; la vera umiltà si accontenta di ciò che ci viene dato. Vi sono, infatti, persone che sembrano voler chiedere favori al Signore, appellandosi alla sua giustizia! Bel modo di praticare l’umiltà! Pertanto, fa bene colui che conosce tutti, concedendoli ben di rado a costoro; egli vede chiaramente che non sono pronti a bere il suo calice.
5. Il modo di capire, figlie mie, se siete progredite nella virtù, sta nell’esaminare ciascuna in se stessa se è la più miserabile di tutte e se lo dà a vedere con le opere, per il profitto e il bene delle altre; non se ha più gioia nell’orazione e nei rapimenti, o visioni o grazie di questo genere, per conoscere valore delle quali dobbiamo aspettare d’essere nel mondo di là. L’umiltà, invece è una moneta che ha sempre corso; è una rendita che non può mancare, un fondo perpetuo e non un censo redimibile come questi beni che ci possono essere dati e tolti. La vera ricchezza sta in una profonda virtù di umiltà e di mortificazione, in un’assoluta obbedienza, tale da non farci contravvenire d’un punto agli ordini del superiore, che sapete come sia davvero mandato da Dio, perché ne fa le veci. L’obbedienza è ciò su cui dovrei intrattenermi di più, ma poiché senza di essa non si è monache, e io parlo con monache e, a mio giudizio, buone, o almeno che desiderano esserlo, non ne dirò nulla. È una cosa così nota e importante che non occorrerà più di una parola perché non abbiate a dimenticarla.
6. Voglio dire questo: chi è tenuto per voto all’obbedienza e vi manca, non adoperandosi con ogni cura ad adempierlo con la maggiore perfezione, non so perché stia in un monastero; io, per lo meno, le posso assicurare che, finché mancherà a questo suo voto, non arriverà mai ad essere un contemplativo e neanche osserverà bene i doveri della vita attiva. Ne sono assolutamente certa. Anche se si tratta di una persona che non abbia l’obbligo di questa osservanza, se desidera o pretende di arrivare alla contemplazione, bisogna, perché proceda con la sicurezza di essere sulla via giusta, che rimetta con ogni determinazione la sua volontà a un confessore capace di comprenderla. Questa è cosa ormai ben nota, e molti l’hanno scritto, perciò non occorre che ne parli.
7. Concludo, figlie mie, dicendovi che queste virtù sono le virtù che io desidero in voi, quelle che dovete sforzarvi di possedere e quelle che santamente dovete invidiare. Non vi date pena di non avere le altre speciali forme di devozione: non sono un bene sicuro. Può darsi che in alcune persone vengano da Dio, mentre in voi Sua Maestà permetterà che sia un’illusione del demonio e che egli v’inganni, come ha fatto con molte, perché nelle donne è cosa assai pericolosa: quando c’è tanto modo di servire il Signore in ciò che è sicuro, perché esporvi a tali pericoli? Mi sono dilungata tanto in questo, perché so che è opportuno farlo, conoscendo la debolezza della nostra natura. Dio saprà rendere forti coloro che vorrà elevare alla contemplazione; se non lo vorrà, mi fa piacere di avervi dato questi consigli mediante i quali anche i contemplativi avranno di che umiliarsi. Se mi direte, figlie, di non averne bisogno, può darsi che dopo di voi venga qualcuna che ne sarà contenta. Il Signore, per quello ch’egli è, ci illumini affinché possiamo seguire in tutto la sua volontà e non avremo nulla da temere.
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:45
CAPITOLO 30 (19)
Comincia a trattare dell’orazione. Parla alle anime che non possono discorrere con l’intelletto.
1. Sono passati tanti giorni da quando ho scritto le cose precedenti, senza aver avuto l’opportunità di riprendere a trattarne; se volessi sapere quel che dicevo, dovrei rileggerlo, ma per non perdere tempo, lascerò le cose come vengono, senza un ordine. Per le persone di buona intelligenza e per anime esercitate alla meditazione, che possono raccogliersi in se stesse, ci sono tanti ottimi libri, scritti da autori di così grande merito, che sarebbe un errore far conto di quello che dico io in fatto di orazione. Torno a ripetere: vi sono libri che presentano per ogni giorno della settimana i misteri della sacra passione, le meditazioni sul giudizio, sull’inferno, sul nostro nulla e su tutto ciò che dobbiamo a Dio, esposti con dottrina e metodo eccellenti per ciò che riguarda il fondamento e il fine dell’orazione. A chi ha la possibilità di consultarli e ha l’abitudine di seguire questo, non occorre dire che per un così buon cammino il Signore lo condurrà al porto della luce e che a tali principi corrisponderà una fine santa; tutti coloro che potranno seguirlo vi troveranno riposo e sicurezza perché, tenuto a freno l’intelletto, si procede in tutta pace.
2. Ma ciò di cui vorrei trattare e su cui dare qualche consiglio, se il Signore mi concedesse di colpire nel segno (e se non me lo concede, vorrei almeno farvi capire che vi sono molte anime che soffrono il tormento che sto per dire, affinché non vi pesi troppo se lo proverete anche voi, e darvi al riguardo qualche consiglio), è questo. Vi sono anime e intelletti così sbrigliati che somigliano a cavalli senza freno che nessuno può fermare: ora vanno qui, ora lì, sempre in agitazione. Se un abile cavaliere li monta, non sarà sempre in pericolo, ma alcune volte sì, e anche quando sta bene a cavallo, non si presenta bene e i suoi movimenti sono segnati da goffaggine: egli cavalca sempre con grande fatica. Le anime che, per la loro stessa natura – o perché Dio lo permette – si muovono in questa maniera, mi fanno molta compassione, sembrandomi persone assetate che vedono l’acqua da molto lontano e quando vogliono recarsi lì a bere, trovano chi sbarra loro il passo al principio, alla metà e alla fine del cammino. Può darsi che quando, a furia di lottare – e con che dura lotta! – hanno già vinto i primi nemici si lascino vincere dai secondi e preferiscano morire di sete, anziché bere un’acqua che deve costare tanto. Le loro forze si sono esaurite, il coraggio viene loro meno. E se altri ne hanno a sufficienza per vincere anche la seconda schiera di nemici, di fronte alla terza perdono ogni forza, forse proprio quando erano a due passi dalla fonte d’acqua viva di cui il Signore, parlando alla Samaritana, disse che chi l’avesse bevuta non avrebbe avuto più sete; e con quanta ragione e verità, quale si conviene a parole pronunciate dalla bocca della verità stessa! È proprio così: l’anima, dissetandosi a quell’acqua, non avrà più sete delle cose di questa vita, mentre la sete per le cose dell’altra vita cresce in misura assai maggiore di quanto quaggiù possiamo immaginare in virtù della sete naturale. Ma con quanto ardore si desidera avere questa sete! L’anima, infatti, capisce il suo grande valore; benché sia una sete penosissima, estenuante, trae con sé lo stesso appagamento che ne estingue l’arsura; pertanto è una sete che non uccide se non il desiderio delle cose terrene, anzi sazia in modo tale che quando Dio la soddisfa, la più grande grazia che può fare all’anima è lasciarla ancora con questa sete – più beve di quest’acqua e più desidera berne.
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:46
CAPITOLO 31 (19)
Riporta un paragone che facilita la comprensione di ciò che è la contemplazione perfetta.
1. L’acqua – mi viene ora in mente – ha tre proprietà che fanno al mio caso, fra le molte altre che certamente possiede. Una è quella di rinfrescare; infatti, per quanto caldo si abbia, gettandoci nell’acqua, esso scompare; anche un gran fuoco si estingue con essa, salvo che non sia di catrame, perché allora si accende di più. Oh, mio Dio, quale meraviglia è vedere un fuoco che si accende di più con l’acqua, un fuoco forte, potente, non soggetto agli elementi, giacché l’acqua, pur essendo il suo contrario, non lo spegne, ma lo alimenta! Sarebbe molto utile qui poter essere filosofo perché, conoscendo le proprietà delle cose, potrei dare le spiegazioni necessarie, mentre io mi concedo il lusso d’intrattenermi su ciò che non so dire e forse neanche capire.
2. Dal momento in cui Dio, sorelle, vi conduce a bere di quest’acqua – e ve ne sono fra voi che già la bevono –, lo farete di gran gusto, e capirete come il vero amor di Dio, se è nella sua piena forza, cioè ormai spoglio interamente di aspirazioni terrene, librandosi a volo sopra di esse, sia il padrone di tutti gli elementi e del mondo; l’acqua che proviene dalla terra, non temete che possa estinguere questo fuoco: non ha potere su di esso. Anche se sono elementi contrari, esso è ora signore assoluto e non le è soggetto. Pertanto non vi meraviglierete, sorelle, se insisto tanto in questo libro a esortarvi ad acquistare tale libertà. Non è una bella cosa che una povera monaca di San Giuseppe possa giungere a signoreggiare su tutta la terra e sui suoi elementi? E quale meraviglia può destare il fatto che i santi, con l’aiuto di Dio, facessero di essi ciò che volevano? A san Martino ubbidivano il fuoco e le acque, a san Francesco perfino i pesci. Con l’aiuto di Dio e facendo ciò che era possibile, potevano chiederlo quasi di diritto. Cosa pensate quando il salmista dice che tutte le cose sono asservite e poste sotto i piedi dell’uomo, pensate che parli veramente a tutti? Non abbiate paura: io vedo loro assoggettati e messi sotto i piedi dalle cose. Ho conosciuto un cavaliere che è stato ucciso per aver litigato per un mezzo soldo. Guardate a che miserabile somma si è assoggettato! Ogni giorno potete costatare numerosi fatti del genere e conoscere la verità. Certo, il salmista non può mentire, perché le sue parole sono dettate dallo Spirito santo. A me sembra (e può darsi che io non capisca e dica uno sproposito che non ho letto) che sia stato detto per [le anime] perfette che tutte le cose sono sotto il loro dominio.
3. Se poi si tratta di acqua che piove dal cielo, questa sarà ancor meno in grado di spegnerlo, anzi lo ravviva, perché non si tratta più di elementi contrari, ma provenienti dallo stesso luogo; non temete che si danneggino, anzi l’uno concorre all’effetto dell’altro, perché l’acqua l’accende di più ed aiuta a sostenerlo, mentre il fuoco aiuta l’acqua a raffreddarsi. Oh, mio Dio, che cosa straordinaria e meravigliosa è vedere un fuoco che raffredda! E inoltre gela tutte le affezioni del mondo. Quando poi si aggiunge ad essa l’acqua viva del cielo, non c’è da temere che essa infonda un pizzico di calore per nessuna cosa di quaggiù.
4. La seconda proprietà dell’acqua è «lavare ciò che non è pulito». Se non ci fosse acqua per lavare, che sarebbe del mondo? Sapete voi quanto deterga quest’acqua viva, quest’acqua celestiale, quest’acqua chiara, quando nulla l’intorbida, nulla l’infanga, ma la si attinge dalla stessa fonte? Un’acqua che, bevuta una volta, sono certa che lascia l’anima netta e pura d’ogni colpa, perché – come ho scritto altrove – Dio non concede che si beva di quest’acqua (che non dipende dalla nostra volontà), di perfetta contemplazione, di vera unione se non per purificare l’anima e lasciarla netta, liberandola dal fango e da ogni miseria in cui, per le sue colpe, era invischiata. Invece le altre gioie che ci vengono dalla mediazione dell’intelletto, malgrado tutto, attingono a un’acqua che scorre sulla terra; non si beve direttamente alla sorgente. Pertanto, non manca mai lungo questo cammino qualcosa di fangoso che ne ostacola il corso e non è più tanto pura né tanto limpida. Non chiamo «acqua viva» questa orazione, perché – dico –, non è quella che intendo io.
5. La terza proprietà dell’acqua è che «sazia e toglie la sete», perché a me sembra che sete voglia dire desiderio di una cosa di cui si ha tanto bisogno: se ci manca ne moriamo. È strano che se ci manca moriamo, e se è di troppo, ci dà ugualmente la morte, come avviene agli annegati. Oh, mio Signore, potersi vedere così immersa in quest’acqua viva da perderci la vita! Forse ciò non è possibile? Con il desiderio sì, perché l’amore e il desiderio di Dio possono aumentare a tal punto che la nostra natura umana non riesca a sopportarlo, pertanto ci sono state persone che ne sono morte. Io so di una che, se Dio non l’avesse sollecitamente soccorsa con quest’acqua viva in tale abbondanza da farla quasi uscire da sé mediante i rapimenti, si sentiva una sete così grande e il desiderio cresceva così tanto da comprendere chiaramente che, se qualcuno non fosse intervenuto, probabilmente sarebbe morta di sete. Benedetto sia colui che c’invita a bere al suo Vangelo.
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:46
CAPITOLO 32 (19)
Mostra come talvolta i trasporti soprannaturali vadano moderati.
1. Siccome nel Signore, nostro bene, non ci può essere cosa che non sia perfetta, e soltanto lui ci dà quest’acqua della quale abbiamo bisogno, per quanto abbondante possa essere quest’acqua di cui ci fa dono, non può mai essere eccessiva, venendo da lui. Se infatti dà molto, rende l’anima capace – come ho detto – di bere molto, allo stesso modo di un vetraio che fa il vaso della misura necessaria per contenere ciò che vuole mettervi dentro. Quando il desiderio viene da noi, non è mai esente da imperfezione. Se ha in sé qualcosa di buono, ciò si deve all’aiuto del Signore. Ma siamo così poco discreti che, essendo una pena dolce e piacevole, non crediamo mai di esserne sazi; ce ne alimentiamo a dismisura, stimoliamo con tutte le nostre forze questo desiderio e pertanto, alcune volte, ne moriamo. Morte felice! Ma, forse, vivendo, si sarebbero aiutati altri a morire del desiderio di questa morte. E credo che si tratti di un’insidia del demonio, il quale capisce il danno che gli può venire da queste anime, se restano in vita; pertanto le induce a inopportune penitenze per privarle della salute, il che non è poco per lui.
2. Avverto, quindi, l’anima che giunge ad avere questa sete così impetuosa, di stare bene in guardia, perché può esser certa che incorrerà in tale tentazione, e anche se non muore di sete, perderà la salute. In questa crescita del desiderio – quando è tanto grande – cerchi di non incrementarlo, ma di tagliare soavemente il filo della sua veemenza con qualche altra considerazione, perché a volte sarà forse la nostra natura a operare tanto quanto l’amore. Vi sono, infatti, persone che desiderano ardentemente qualunque cosa, sia pur cattiva. Sembra una stoltezza dover frenare un desiderio tanto buono, eppure non lo è, perché io non dico che bisogna annullare il desiderio, ma moderarlo con un altro che forse ci farà guadagnare altrettanto merito.
3. Voglio aggiungere ancora qualcosa per farmi capire meglio. Viene un gran desiderio di vedersi con Dio, liberi da questa prigione del corpo, come l’aveva san Paolo, e persone emotive finiranno col farlo vedere anche esteriormente, senza accorgersene (cosa che si può anche scusare).
4. Chi ha un simile anelito, cambi il desiderio. Se continua a vivere, potrà servire meglio Dio e illuminare qualche anima che sta per perdersi. È un buon motivo di conforto di fronte a un così gran tormento e serve a mitigare la sua pena e a farle guadagnare molto nella carità se, per servire il Signore, si vuole soffrire quaggiù un giorno di più. È come se, vedendo qualcuno sotto il peso di una difficile prova e di un gran dolore, lo si consolasse dicendogli di aver pazienza.
5. E se il demonio ha favorito in qualche modo tale sfrenato desiderio (come aveva fatto con qualcuno al quale aveva proposto di gettarsi in un pozzo per andare a vedere più presto Dio), è segno che non era lontano dal far crescere in lui tale desiderio. È chiaro che se il desiderio gli fosse venuto da Dio, non gli avrebbe nuociuto (è fuor di dubbio perché esso comporta luce, discrezione ed equilibrio). L’avversario, invece, cerca di nuocerci con tutti i mezzi, dovunque può. E siccome egli non disarma mai, non dobbiamo disarmare neanche noi. È questo un punto molto importante per molte cose, e talvolta è tanto necessario da non dimenticarlo.
6. Perché credete, figlie mie, che io abbia voluto parlarvi del fine a cui siamo chiamate e mostrarvi il premio che ci attende prima della battaglia – come si dice –, parlandovi del bene che consegue dal giungere a bere alla fonte celeste di quest’acqua viva? È stato perché non vi affliggiate per le difficoltà e le contrarietà che presenta il cammino, ma procediate in esso con coraggio e non vi stanchiate. Difatti, come ho detto, può darsi che, quando non vi manca che abbassarvi per bere, abbandoniate tutto e perdiate questo bene, disperando di avere la forza di raggiungere e di essere degne di tale dono.
7. Pensate che il Signore invita tutti. Poiché egli è la stessa Verità, non c’è da aver dubbi. Se il suo invito non fosse generale, non ci chiamerebbe tutti, e quand’anche ci chiamasse, non direbbe: Io vi darò da bere. Avrebbe potuto dire: «Venite tutti, perché, infine, non perderete nulla, e io darò da bere a chi vorrò». Ma, avendo detto, senza questa restrizione, «tutti», ritengo certo che a tutti coloro i quali non si fermeranno nel cammino, non mancherà quest’acqua viva.
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:47
CAPITOLO 33 (20)
Dice come, sia pur attraverso vie differenti, non manchi mai il conforto nel cammino dell’orazione.
1. Sembra che io mi contraddica perché, volendo offrire una consolazione alle anime che non arrivano a questo grado, affermavo che il Signore, nostro Bene, ha diverse strade e guida a sé per diverse strade, come in cielo vi sono molte dimore. Lo riaffermo ora perché Sua Maestà, vedendo la nostra debolezza, vi provvide da par suo. Però non disse: «Gli uni vengano per questa strada e gli altri per quella»; anzi, la sua misericordia è stata così grande che non ha impedito ad alcuno di cercare di venire a bere a questa fonte di vita.
2. Sia Egli benedetto! Con quanta ragione avrebbe potuto impedirlo a me! Poiché non mi ordinò di lasciare questo cammino, quando l’ebbi intrapreso, e fece sì che fossi tuffata nel profondo della sorgente, non c’è dubbio che non lo impedirà a nessuno, anzi, pubblicamente ci chiama a gran voce. Ma, essendo infinitamente buono, non ci costringe a farlo e offre da bere in molti modi a coloro che vogliono seguirlo, affinché nessuno sia privo di conforto né muoia di sete. Da questa fonte abbondante infatti derivano ruscelli, alcuni grandi, altri piccoli, e talvolta piccole pozze per i bambini. A costoro basta poca acqua, a quelli che si trovano al principio della via della virtù. Pertanto, sorelle mie, non abbiate paura di morire di sete in questo cammino: non manca mai l’acqua delle consolazioni a tal punto che la sete sia intollerabile. Poiché è così, seguite il mio consiglio e non fermatevi lungo la strada, ma lottate da anime forti fino a morire nella ricerca di questo bene, non essendo voi qui se non per combattere la vostra battaglia. Procedendo sempre con la ferma determinazione di morire piuttosto che lasciar di raggiungere questa fonte per colpa vostra, se il Signore vi farà soffrire un po’ di sete in questa vita, vi darà abbondantemente da bere in quella eterna, ove non dovrete più temere che per vostra colpa debba venire a mancarvi. Piaccia al Signore che non venga a mancarci la sua misericordia! Amen.
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:47
CAPITOLO 34 (20)
Cerca di convincere le sorelle a spronare all’orazione le persone che vanno da loro.
1. Ora, per iniziare questo cammino di cui ho parlato in modo che non si erri fin dal primo momento, parliamo un po’ di come si deve iniziare il nostro viaggio, che è la cosa essenziale, vale a dire la più importante a tutti i fini. Non che non si debba intraprenderlo se non si ha la determinazione di cui parlerò, perché il Signore ci aiuterà gradatamente a perfezionarci, e quand’anche non si facesse che un solo passo, esso ha in sé tanta virtù, che non si deve temere sia un passo perduto né che non ci sarà molto ben ricompensato. Ha annesso grandi indulgenze, più o meno, che sono – diciamo – come chi ha un rosario di indulgenze: se lo recita una volta, guadagna una volta le indulgenze; se, invece, più volte, ne guadagna altrettante di più, ma se non lo recita mai, tenendolo chiuso in uno scrigno, sarebbe meglio che non l’avesse. Pertanto, anche se non si prosegue in questo cammino, dopo averlo cominciato, il poco tratto che di esso si sarà percorso ci darà luce per avanzare bene in altre vie, e tanto maggiore quanto più ci si sarà inoltrati in esso. In conclusione, si può essere certi che non si avrà alcun danno, sotto nessun punto di vista, dall’averlo cominciato, anche se poi si sarà lasciato, perché il bene non è mai causa di male. Pertanto, sorelle, procurate di liberare tutte le persone che tratteranno con voi, se le vedete ben disposte e l’amicizia ve lo consente, dalla paura d’iniziare una ricerca così vantaggiosa. Vi prego, per l’amor di Dio, che la vostra conversazione sia sempre rivolta al maggior bene di coloro con cui parlate, perché la vostra orazione deve servire al profitto delle anime. E poiché dovete chiedere sempre questo al Signore, sarebbe male, sorelle, non cercare di adoperarsi in tutti i modi a conseguirlo.
2. Se volete comportarvi da buone parenti, questa dev’essere la vostra vera manifestazione d’affetto; se da buone amiche, sappiate che non potete esserlo se non in questo modo. Regni nei vostri cuori la verità, come dev’essere a causa della meditazione, e vedrete chiaramente quale sia l’amore che dobbiamo avere verso il prossimo.
Non è più il tempo, sorelle, d’intrattenerci in giochi da bambini, giacché altro non mi sembrano queste amicizie del mondo, anche se son buone; né abbiano mai luogo tra voi espressioni di tal genere: «se mi volete bene», o «non mi volete bene», né con fratelli né con altri, a meno che siano dette in vista di un fine superiore e per il profitto di qualche anima. Può darsi infatti che per attirare l’attenzione e far accettare una verità da un parente, un fratello o altri, dobbiate prima disporveli con tali espressioni e manifestazioni d’affetto, che riescono sempre gradite alla nostra umana sensibilità. Forse stimeranno di più una di queste buone parole – come esse si chiamano – che non molte parole di Dio, e si disporranno meglio, col loro aiuto, ad accogliere, in seguito, quelle divine. Così non ve le impedisco, purché intese a giovare alle anime, ma se non è a tal fine, non potranno procurarvi alcun vantaggio, e potranno recarvi, invece, molto danno, senza che ve ne accorgiate. Si sa che voi siete religiose e che la vostra vita è fatta di orazione. Guardatevi, quindi, dal dire: non voglio che mi reputino virtuosa; il bene o il male che si vede in voi ricade su tutte. Ed è proprio un gran male che persone le quali hanno un obbligo così rigoroso di non parlare se non di Dio, credano sia meglio, in questo caso, far ricorso alle dissimulazioni, a meno che, qualche volta, non sia in vista di un bene maggiore. Questo dev’essere il vostro tratto e il vostro linguaggio; chi vorrà trattare con voi lo impari, altrimenti guardatevi da imparare voi il suo: sarebbe l’inferno.
3. Se vi dovessero considerare come persone grossolane, poco importa; se come ipocrite, ancor meno. Ne guadagnerete che non venga a farvi visita se non chi capirà il vostro linguaggio, perché è fuori d’ogni logica che chi non conosce l’arabo abbia piacere di intrattenersi a lungo con chi non conosce altra lingua. Così nessuno verrebbe più a stancarvi né a nuocervi, perché non sarebbe poco danno cominciare a parlare e apprendere una nuova lingua, spendendo in questo tutto il vostro tempo. E non potete sapere, come me che ne ho fatto esperienza, il gran male che ciò arreca all’anima, perché nel cercare di apprendere una nuova lingua, si dimentica l’altra. S’incorre in una continua inquietudine, dalla quale dovete rifuggire a ogni costo, essendo soprattutto necessario, per entrare in questo cammino di cui ho cominciato a parlare, aver pace e tranquillità nell’anima.
4. Se le persone che tratteranno con voi volessero imparare la vostra lingua, siccome non è vostro compito insegnare, potete dir loro le ricchezze che si guadagnano con il cercare di apprenderla. Questo no stancatevi di ripeterglielo, ma insistete anche con la pietà, con l’amore e con la preghiera perché ne traggano profitto e, avendo compreso quali grandi beni possano ricavarne, vadano a cercarsi un maestro che le istruisca. Non sarebbe piccola grazia che vi farebbe il Signore concedendovi di incitare un’anima al desiderio di questo bene. Ma quante cose si presentano alla mente nel cominciare a trattare di questo cammino. Oh, se avessi molte mani per scrivere per non dimenticare alcune cose mentre sto annotando le altre!
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:48
CAPITOLO 35 (21)
Dice quanto sia importante cominciare a praticare l’orazione con grande risolutezza e non badare agli ostacoli che il demonio frappone.
1. Non vi spaventate, figlie mie, è la strada maestra per il cielo. Percorrendola, si guadagna un gran tesoro e non fa meraviglia che ci sembri costare ben caro. Verrà un tempo in cui si capirà quanto sia un nulla qualunque fatica di fronte a un tanto prezioso premio.
2. Ora, ritornando a parlare di coloro che vogliono giungere a bere di quest’acqua di vita e vogliono arrivare alla stessa fonte, cioè come debbano cominciare, cosa – ripeto – di grande importanza, anzitutto devono partire bene . (Ho letto in qualche libro che si fa bene a ribadire questo principio, cosa che ho letto anche in altri, perciò mi sembra di non perdere nulla nel ripeterlo qui): occorre prendere una risoluzione ferma e decisa di non arrestarsi prima di raggiungere quella fonte, avvenga quel che avvenga, succeda quel che succeda, si fatichi quanto bisogna faticare, mormori chi vuol mormorare; bisogna tendere sempre alla meta, a costo di morire durante il cammino se il cuore non regge agli ostacoli che vi s’incontrano; sprofondi pure il mondo, visto che accade spesso di sentirsi dire: «ci sono pericoli», «la tale per questa strada si è perduta», «un’altra persona si è ingannata», «un’altra, che pregava, è caduta», «fate torto alla virtù», «ciò non è cosa per donne, che possono essere soggette alle illusioni», «sarà meglio che se ne stiano a filare», «non hanno bisogno di tali finezze», «bastano il Pater noster e l’Ave Maria».
3. Questo lo dico anch’io, sorelle, e come se basta! È sempre un gran bene prendere come base della nostra orazione le preghiere pronunziate da una tal bocca [qual è quella del Signore]. In questo hanno ragione, perché se la nostra debolezza non fosse così grande e la nostra devozione così tiepida, non ci sarebbe bisogno di altri procedimenti, né di alcun libro di preghiere; né di altre preghiere.
4. Per questo mi è sembrato opportuno (poiché, come ho detto, parlo ad anime che non possono raccogliersi nella meditazione di misteri, per i quali sembra loro necessario far ricorso a mezzi speciali, e ci sono alcuni spiriti così esigenti che niente li contenta) di stabilire alcune regole sul principio, il progresso e i fini dell’orazione, anche se non indugerò in considerazioni elevate. Come ho detto, di ciò ho già scritto. E non vi potranno togliere libri senza che vi resti il Libro migliore: se lo studiate con umiltà, non avrete bisogno d’altro. Ho sempre amato molto le parole del Vangelo che mi hanno procurato più raccoglimento di libri ben scritti, perché le sue parole uscirono dalla santissima bocca [di Gesù]. Soprattutto quando i libri non erano di un autore riconosciuto di valore, non ho mai avuto voglia di leggerli. Ora, avvicinandomi a questo Maestro della sapienza, ne avrò forse suggerimenti per qualche considerazione che vi soddisfi. Non dico che vi esporrò una spiegazione di queste orazioni divine (non oserei farlo, a parte il fatto che ne sono state scritte molte, e quand’anche così non fosse, sarebbe una stoltezza che lo facessi io), ma solo qualche considerazione sulle parole contenute in esse, perché talvolta sembra che con tanti libri si perda la devozione proprio di quelle cose di cui è assai importante averla. È evidente che quando un maestro insegna una cosa prende anche amore al suo discepolo, gode che il suo insegnamento lo soddisfi e l’aiuta molto nell’apprendimento di esso: lo stesso farà questo Maestro divino con noi.
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:48
CAPITOLO 36 (21)
Prosegue sullo stesso argomento. Parla dell’inganno di alcune dicerie, invitando a non dare ascolto a tutti.
1. Tornando a quanto dicevo, non fate, pertanto, alcun caso dei timori che cercheranno d’ispirarvi, né dei pericoli che vi prospetteranno. Sarebbe ben strano voler andare senza pericoli a impadronirsi di un gran tesoro per una strada che è piena di ladri. Forse che il mondo è divenuto migliore, oggi, per lasciarvelo prendere in pace?! Per il guadagno di un maravedi c’è gente capace di non dormire notti e notti e di tormentarvi nel corpo e nell’anima. Se, dunque, quando voi andate alla conquista di questo tesoro o a rapirlo – poiché, come dice il Signore, sono i violenti ad appropriarsene – per una strada maestra, per una strada sicura, per quella stessa strada percorsa da Cristo, nostro Re, da tutti i suoi eletti e i suoi santi, vi dicono che ci sono tanti pericoli e vi suscitano tanti timori, a quali pericoli non si esporranno coloro che credono di poter riuscire a guadagnare questo tesoro senza seguire una strada? Oh, figlie mie, quanti di più senza confronto ne incontreranno, ma non se ne rendono conto fino a quando non cadono nel vero pericolo, e non c’è alcuno che dia loro una mano; perdono, così, del tutto l’acqua, di cui non possono bere poco né molto, né di pozzo né di ruscello.
2. Vedete ora, dunque, come potranno, senza una goccia di quest’acqua, percorrere un cammino dove ci sono tanti nemici da combattere? È evidente che moriranno di sete nel momento che doveva essere per loro il migliore. E, che lo si voglia o no, tutti, figlie mie, camminiamo verso questa fonte, sebbene in diverse maniere. Credetemi, pertanto, e non lasciatevi ingannare da nessuno che voglia indicarvi altro cammino che non sia quello dell’orazione.
3. Io non entro ora in merito al fatto che debba essere mentale o vocale per tutti, ma dico che voi avete bisogno dell’una e dell’altra. Questo è il dovere dei religiosi. Se qualcuno vi dicesse che ciò rappresenta un pericolo, ritenete lui stesso un pericolo e fuggitelo: non dimenticatevi mai di questo consiglio, che forse vi sarà necessario. Un pericolo sarà non avere umiltà né altre virtù, ma che il cammino dell’orazione sia cammino di pericoli, Dio non lo vorrà mai. Sembra che il demonio abbia inventato questo spauracchio, e con tale artifizio è riuscito a far cadere alcuni che erano incamminati per la via dell’orazione.
4. Guardate un po’ quanto è cieco il mondo a non far caso delle molte migliaia di anime – come si dice – che sono cadute nell’eresia e in altri gravi mali, per non aver praticato l’orazione e senza saper nemmeno cosa fosse (e questo è molto da temere). Se, poi, nel gran numero di esse, il demonio, per meglio svolgere la sua trama, ha incluso alcune – poche – che praticavano l’orazione, ciò gli è servito per incutere gran paura ad altre e allontanarle dalla virtù. Chi si appiglia a questa difesa di fuggire dall’orazione per evitarne i pericoli, stia bene in guardia, perché fugge il bene per salvarsi dal male. Non ho mai visto un’invenzione così: è chiaro che è opera del demonio. Oh, mio Signore, prendete le difese della vostra causa! Vedete come s’intendono al rovescio le vostre parole. Non permettete che le vostre serve cadano in simili debolezze. Figliole, fatevi coraggio. Il Pater noster e l’Ave Maria non ve li toglieranno di certo.
5. Voi avrete sempre qualche persona che vi aiuterà, perché il vero servo di Dio, al quale Sua Maestà ha dato la luce per scorgere il vero cammino, ha questo vantaggio: che fra tali terrori gli cresce il desiderio di non fermarsi. Vede chiaramente dove il demonio si prepara a colpirlo e non solo si sottrae all’urto, ma gli rompe la testa. Il maligno si affligge di questa sconfitta più di quanto possa godere di tutti i piaceri che gli arrecano le sue vittime. In tempi di disordini e di zizzanie da lui suscitate – in cui sembra che si trascini dietro tutta la cristianità, quasi accecata dalle apparenze di santo zelo –, Dio fa intervenire qualcuno che apra loro gli occhi, esortandoli a rendersi conto che il demonio, per impedire che vedessero il cammino, glielo ha avvolto di nebbia. (Grandezza di Dio! Uno o dieci che dicano la verità hanno, a volte, più potere di molti riuniti insieme!). A poco a poco tornano a far scoprire il cammino, perché Dio infonde loro coraggio. Se si dice che non vi deve essere orazione, essi si adoperano a far capire quanto sia utile, se non con le parole, almeno con le opere. Se si dice che non è conveniente fare molto spesso la comunione, allora essi la fanno con maggior frequenza. Basta che appena ci sia una persona senza alcun timore, vi si aggiunge un altro; il Signore torna gradatamente a riconquistare ciò che aveva perduto.
6. Lasciate, dunque, sorelle mie, tutte queste paure; non fate alcun caso, in questioni del genere, dell’opinione della gente. Badate che non sono, questi, tempi di credere a chiunque, ma solo a coloro di cui vedrete la vita conforme a quella di Cristo. Cercate di avere coscienza pura, umiltà, disprezzo di tutte le cose del mondo, di credere fermamente a ciò che insegna la santa madre Chiesa, e non c’è dubbio che andrete per la strada buona. Lasciate perdere i timori dove non c’è di che temere. Se qualcuno tenta di suscitarveli, esponetegli con umiltà il cammino che seguite. Ditegli che la vostra Regola v’impone di pregare incessantemente – com’è vero – e che dovete osservarla. Qualora vi replicasse che ciò va riferito alla preghiera vocale, chiedetegli un po’ se la mente e il cuore non devono accompagnare le parole. Se vi risponderà di sì – perché non potrà certo dire altrimenti – vedrete la sua implicita confessione che dovete necessariamente fare l’orazione mentale e anche giungere alla contemplazione, se Dio ve la concede.
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:49
CAPITOLO 37 (22)
Spiega che cosa sia l’orazione mentale.
1. La differenza fra l’orazione mentale e vocale non consiste nel tener la bocca chiusa o no. Se, pregando vocalmente, sono del tutto consapevole e persuasa di parlare con Dio, più attenta a lui che alle parole che dico, l’orazione mentale e vocale sono unite. Se poi mi si viene a dire che state parlando con Dio quando, recitando l’Ave Maria, avete il pensiero alle cose del mondo, non posso che tacere. Ma se [starete attente a lui], com’è giusto fare parlando con un tale Signore, è bene che consideriate chi è colui con il quale parlate e chi siete voi, non foss’altro che per rispettare la convenienza dovuta. Come potete infatti chiamare il principe Altezza, e osservare il cerimoniale di prammatica per parlare a un grande, se non vi rendete conto della sua condizione e della vostra? Il rispetto da testimoniargli formalmente deve conformarsi alla sua dignità e alle regole d’uso, che dovrete pur conoscere, altrimenti sarete mandate via come persone grossolane, e non tratterete alcun affare. Una volta mi è capitato questo: non ero abituata a parlare con grandi signori, ma per necessità dovevo trattare con uno al quale si dava il titolo di «Vostra Signoria» e così mi avevano insegnato a fare. Io, però, siccome sono un po’ limitata e non ne avevo l’abitudine, nell’arrivare lì non riuscivo bene. Perciò decisi di manifestargli il mio imbarazzo, ridendoci su, affinché egli non si offendesse quando gli davo solo il titolo di «Vostra Grazia». E così feci. Ma è possibile, mio Signore? È possibile, mio sovrano? Come si può sopportarlo, Principe di tutto il creato? Voi siete, Dio mio, il Re eterno, perché il regno che avete è vostro e non vi è stato dato in prestito. Esso dura per sempre. Siate benedetto! Quando nel Credo si dice che il vostro regno non avrà fine, è raro che io non ne provi una gioia particolare. Vi lodo, Signore, e vi benedico e tutte le cose vi lodino per sempre: infine, il vostro regno durerà eternamente. Non permettete dunque mai, Signore, che chi parla con voi ritenga sufficiente farlo soltanto con la bocca.
2. Com’è possibile, o cristiani? Sapete ciò che dite? Vorrei alzare la voce, pur essendo quella che sono e discutere con coloro che dicono che non c’è bisogno di orazione mentale. Io son certa che voi non capite e neppure sapete che cosa sia l’orazione mentale né come bisogna fare quella vocale né che cosa s’intenda per contemplazione, perché se lo sapeste non condannereste da un lato quel che lodate dall’altro.
3. Io vi dirò sempre, figlie, ogni volta che me ne ricorderò, di unire l’orazione mentale a quella vocale, e vi raccomando di non intimorirvi a questo riguardo; io so come vanno a finire certi timori, e quindi non vorrei che alcuno vi procurasse qualche turbamento, essendo di gran danno procedere per questo cammino con paura. È molto importante rendersi conto che si è sulla buona strada. Infatti, se si dice a un viandante che ha sbagliato, che ha smarrito la strada, lo si costringe ad andare da una parte all’altra stancandosi nella ricerca del cammino che deve percorrere: perde tempo e arriva più tardi. Chi può dire che fate male se, cominciando a recitare le Ore o il rosario, cominciate anche a pensare con chi state per parlare e chi siete voi che parlate, per vedere come dovrete trattare con lui? Ora io vi dico, sorelle, che, se la profonda riflessione richiesta da questi due punti si facesse come conviene, prima di cominciare l’orazione vocale, cioè le Ore e il rosario, avreste dedicato già molto tempo a quella mentale. Certamente, non dobbiamo parlare alla buona ad un principe, come si fa con un contadinello o come con una poveretta come noi, alla quale non importa se le diamo del tu o del voi.
4. È vero che l’umiltà del nostro Re è tale che, per quanto io, grossolana come sono, non sappia parlargli se non con rozzo linguaggio, non tralascia di aiutarmi né mi vieta di avvicinarmi a lui. Neppure le sue guardie mi respingono, perché gli angeli del cielo conoscono bene la natura del loro Re, il quale si compiace maggiormente della rozzezza di un umile pastorello, vedendo che se più sapesse più direbbe, che di quanti bei ragionamenti gli facciano i teologi con le loro delucidazioni, se in loro manca l’umiltà. Non perché egli è buono noi dobbiamo essere irriverenti. Non foss’altro per ringraziarlo di sopportare il cattivo odore che sente per la nostra vicinanza, è bene che si cerchi di conoscerlo. È vero che lo si capisce subito quando ci si avvicina a lui, come per i grandi della terra basta che ci dicano chi furono i loro antenati, i milioni di rendita, il titolo di nobiltà e non c’è da sapere altro perché nel mondo, per onorare qualcuno, non si tiene conto dei meriti personali, per grandi che essi siano, ma delle ricchezze.
5. Oh, mondo miserabile! Figlie mie, rendete gran lode a Dio per avervi concesso di lasciare cosa tanto vile, dove non si fa stima delle persone per i loro pregi intrinseci, ma per quello che possiedono i loro affittuari e i loro vassalli. È questo davvero un buon motivo di divertimento per voi quando vi prendete insieme un po’ di ricreazione, perché costituisce un gradevole svago rendersi conto dell’accecamento in cui passano il loro tempo quelli che vivono nel mondo.
6. Oh, Re della gloria, Signore dei signori, Imperatore di tutti gli imperatori, Santo dei santi, Potere sopra tutti i poteri, Sapienza sovrana di tutti i sapienti, la stessa Sapienza! Signore, voi siete la Verità stessa, la stessa ricchezza: non cesserete mai di regnare, per sempre.
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:49
CAPITOLO 38 (22)
Continua a parlare dell’orazione mentale.
1. Sì, avvicinandovi a lui cercate di pensare chi sia colui con il quale vi disponete a parlare o al quale già state parlando. Neppure con mille vite delle nostre arriverete a comprendere come meriti di essere trattato questo Signore, di fronte al quale gli angeli tremano. Egli impera su tutto: volere, per lui, è agire. Sarà dunque giusto, figlie mie, che ci adoperiamo a raggiungere alcune di tali grandezze del nostro Sposo e che comprendiamo con chi siamo sposate e quale vita dev’essere la nostra. Oh, mio Dio! Quaggiù, quando ci si sposa, anzitutto si conosce la persona, con le sue qualità e le sue sostanze; e noi, già promesse in matrimonio, come lo sono tutte le anime in virtù del battesimo, non potremo pensare al nostro Sposo prima del giorno delle nozze, in cui ci farà entrare nella sua casa? Visto che qui non proibiscono di farlo a quelle che sono promesse agli uomini, perché devono impedire a noi di cercare di sapere chi sia il «nostro» Uomo, chi sia suo Padre, quanto possiede, quale il paese dove mi condurrà dopo sposata, quale sia la sua condizione, come potrò meglio contentarlo, in che cosa compiacerlo e studiare il modo di conformare il mio temperamento al suo? Perché, infatti, una donna sia una buona sposa, non le danno altro consiglio che questo, anche se il marito è un uomo di condizioni molto umili. Mio Sposo, dunque, si dovrà proprio in tutto far meno apprezzamento di voi che degli uomini? Se ad essi ciò non sembra giusto, lascino in pace le vostre spose, che devono trascorrere la vita con voi. E che vita felice! Se uno sposo è tanto geloso da non volere che la sua sposa esca di casa o tratti con alcuno, non sarà certo una bella cosa non cercare di compiacerlo e non capire come sia giusto adeguarsi a tale desiderio, e non voler trattare con altri, poiché in lui si ha tutto ciò che si può desiderare!
2. Comprendere queste verità, figlie mie, è fare orazione mentale. Se a tali considerazioni volete aggiungere qualche preghiera vocale, va benissimo. Ma non vogliate, vi scongiuro, parlare con Dio e pensare ad altre cose, perché questo significherebbe non capire che cosa sia l’orazione mentale. Credo di avervelo spiegato abbastanza. Nessuno v’intimidisca con tali paure. Sia lodato Dio che è potente sopra tutti e nessuno potrà vietarvi di farlo. Peraltro, se qualcuna di voi non riesce a recitare vocalmente con la suddetta attenzione, sappia che non fa ciò cui è obbligata. Se vuole pregare con perfezione, deve tendervi con tutte le sue forze, sotto pena di non adempiere il suo dovere di sposa di un così grande Re. Supplicatelo, figlie, che egli mi dia la grazia di fare anch’io ciò che vi consiglio, perché ancora non vi sono arrivata. Sua Maestà, per quello che è, vi provveda.
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:50
CAPITOLO 39 (23)
Tratta di quanto sia necessario, per chi ha cominciato il cammino dell’orazione, non tornare indietro, e insiste sull’importanza di procedere in esso con salda determinazione.
1. Quante digressioni sto facendo! Dico che è molto importante cominciare con grande determinazione, per tante ragioni che, a dirle tutte, ci sarebbe da dilungarsi molto, e in altri libri in parte sono già state esposte. Ve ne voglio dire solo due o tre. La prima è che, quando ci determiniamo a dedicare un po’ del nostro tempo e dare qualcosa (non certo senza interesse, ma con enorme guadagno) a chi tanto ci ha dato e ci dà di continuo, non è giusto non dargliela con assoluta generosità, ma solo come chi fa un prestito per riprendersi quello che ha dato. Questo a me non sembra un dono. Inoltre, colui al quale si è prestato qualcosa resta sempre un po’ dispiaciuto quando essa gli viene ripresa, specialmente se sono amici e se quello che gliel’ha prestata gli deve molte cose dategli senza alcun interesse. A ragione ciò gli sembrerà una grettezza e un segno di ben scarsa benevolenza, se non vuol lasciargli in dono nemmeno una piccola cosa sua, non foss’altro come testimonianza di affetto amichevole.
2. Qual’è la sposa che, avendo ricevuto dal suo sposo molti gioielli di valore, non gli dia almeno un anello, non per quel che vale, perché ormai tutto ciò che possiede gli appartiene, ma come segno d’amore, come pegno ch’ella sarà sua fino alla morte? E merita forse meno questo nostro Signore perché ci prendiamo gioco di lui, prima dandogli e poi riprendendoci subito quel niente che gli abbiamo dato? Almeno questo po’ di tempo che ci risolviamo a dedicargli – di tutto quello che sciupiamo per noi stesse o per chi non ce ne sarà grato – visto che vogliamo darglielo, diamoglielo libere da ogni altro pensiero, staccate da preoccupazioni terrene, e con ferma determinazione di non riprenderglielo mai più, nonostante le difficoltà, i contrasti o le aridità. Consideriamo quel tempo come cosa non più nostra e pensiamo che ci può essere richiesto a buon diritto, se non vogliamo consacrarglielo interamente.
3. Dico interamente non nel senso che sia un riprendersi quanto abbiamo dato se tralasciamo l’orazione un giorno o anche più, a causa di legittime occupazioni. Sia ben salda la volontà, perché il nostro Dio non è meticoloso e non bada a piccolezze. Pertanto, avrà di che esservi grato: qualcosa gli avete dato. L’altro modo di agire va bene per chi non è generoso, anzi così avaro che non ha il coraggio di donare; è già molto che presti. Comunque, faccia qualcosa, perché questo Imperatore tiene conto di tutto e in tutto si adegua a ciò che desideriamo. Nel tener conto di quel che facciamo, non è affatto esigente, ma generoso: per quanto grande sia il nostro debito, egli non esita a condonarlo. È così attento a ricompensarci, che non abbiate a temere che un semplice levar d’occhi nel ricordo di lui resti senza premio.
4. Il secondo motivo è dato dal fatto che il demonio non ha mano libera di tentarci; teme molto le anime ben determinate, perché sa per esperienza che lo pregiudicano moltissimo e che quanto egli ordisce a loro danno, si converte a profitto di esse e d’altri, e ch’egli ne esce con perdita. Ma non dobbiamo mai cessare di stare in guardia né fidarci troppo di questo, perché siamo in lotta con una genia di traditori che non osano, in generale, attaccare chi è vigilante, essendo assai vili; ma se si accorgono della nostra distrazione, possono recarci un gran danno. E se vedono che qualcuno è incostante e non persevera nel bene, né ha la ferma decisione di farlo, non lo lasceranno in pace né giorno né notte; gli frapporranno paure e ostacoli a non finire. Io lo so molto bene per esperienza; per questo ve ne posso parlare e vi dico che non c’è nessuno che sappia quanto ciò sia importante.
5. Il terzo motivo – di gran peso per l’argomento che trattiamo – è che allora si combatte con coraggio. Si sa ormai che qualunque cosa avvenga non si deve tornare indietro. È come chi, impegnato in una battaglia, se sa che, una volta vinto, non gli sarà risparmiata la vita e che, se non muore nella mischia, dovrà morire subito dopo, è sicuro, a mio avviso, che combatterà con maggiore accanimento né temerà troppo i colpi avversi, avendo presente l’importanza che ha per lui la vittoria. È, altresì, necessario cominciare con la sicurezza che, se non vogliamo lasciarci vincere, riusciremo vittoriosi; su questo non c’è il minimo dubbio: per quanto piccolo sia il guadagno che ne potremo ricavare, ci ritroveremo molto ricchi. Non temete che il Signore, dopo averci chiamato a bere a questa fonte, vi lasci morire di sete. Ve l’ho già detto e vorrei ripetervelo mille volte, perché il non conoscere bene la bontà del Signore per esperienza personale, anche se la si conosce per fede, rende le anime molto pavide. È davvero un gran vantaggio aver fatto esperienza dell’amicizia e della dolcezza con cui tratta coloro che vanno per questo cammino.
6. Non mi meraviglio che coloro i quali non l’hanno provato esigano la sicurezza di un qualche interesse. Ma voi già sapete che quest’interesse è del cento per uno fin da questa vita e che il Signore dice: Chiedete e vi sarà dato. Se non credete a Sua Maestà, che ce lo assicura in vari passi del Vangelo, serve a poco, sorelle, che io mi rompa la testa a ripetervelo. Dico tuttavia a chi avesse qualche dubbio che non si perde nulla a farne la prova, perché ha questo di buono un tale viaggio: frutta più di quel che si chiede o che riusciremmo a desiderare. Non c’è dubbio, e io so che è così; e se trovaste che non è la verità, non credete più a quanto vi dico. Voi, sorelle, lo sapete per esperienza, ed io posso presentarmi a voi come testimone, per la bontà di Dio. Per quelle che verranno dopo di voi, è bene averlo detto.
7. Ho già detto che mi occupo di anime che non possono raccogliersi né costringere l’intelletto a un’orazione mentale, né fare alcuna meditazione. Non voglio qui neanche pronunciare il nome di queste due cose, non essendo alla loro portata. Vi sono, in realtà, molte persone alle quali solo il nome sembra sia causa di spavento.
8. Siccome può darsi che qualcuna di tali anime venga in questa casa (e, come ho detto, non tutte possono andare per lo stesso cammino), ciò che voglio consigliarvi (e anche potrei dire insegnarvi, perché come vostra madre mi è lecito farlo) è il modo in cui dovete pregare vocalmente, in quanto è giusto che comprendiate quello che dite. E siccome chi è incapace di pensare a Dio può darsi che si stanchi anche di lunghe preghiere, non voglio affatto parlarvi di esse, ma solo di quelle che, come ogni cristiano, dobbiamo necessariamente recitare, cioè il Pater noster e l’Ave Maria.
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:50
CAPITOLO 40 (24)
Tratta dell’orazione vocale e dice come si abbini a quella mentale.
1. È evidente, come ho detto, che dobbiamo sapere quello che diciamo. Non devono poter dire di noi che parliamo senza essere coscienti delle nostre parole, salvo che basti, a nostro avviso, seguire l’abitudine, contentandoci solo di pronunciare le parole. Se basti o no, non è affar mio; lo diranno i dotti e lo diranno alle persone che, per aver ricevuto luce da Dio, andranno a chiederglielo. Per coloro che non appartengono al nostro stato, non mi pronuncio. Ciò che io vorrei che noi facessimo, figlie mie, è non contentarci solo di questo. Quando, infatti, dico «credo», mi sembra giusto e doveroso che sappia ciò che credo; e quando dico «Padre nostro», l’amore esige che io comprenda chi sia questo Padre. E inoltre che cerchiamo di vedere chi sia il Maestro che ci ha insegnato tale preghiera.
2. Se volessimo obiettare che basta sapere, una volta per sempre, chi è il Maestro, e che non c’è motivo di ricordarvelo, potreste altrettanto affermare che basta dire l’orazione una volta nella vita. Vi è molta differenza fra maestro e maestro. E se anche per quelli che ci danno insegnamenti quaggiù è molto grave non ricordarcene, a maggior ragione si deve dire dei maestri dell’anima ai quali, se siamo dei buoni discepoli, è impossibile non portar loro amore, onorarli e ricordarli spesso. Come allora dimenticarsi di un tale Maestro qual è colui che ci ha insegnato questa preghiera e con tanto amore e desiderio di giovarci? Dio non voglia che non ci ricordiamo di lui recitandola; anche se non [ci ricordiamo] sempre, a causa della nostra debolezza, almeno spesso.
3. Anzitutto voi sapete che questo celeste Maestro c’insegna a pregare in solitudine, come egli sempre faceva quando pregava e non perché ne avesse bisogno, ma per impartire un insegnamento a noi.
4. Già si è detto che non si può parlare nello stesso tempo con Dio e con il mondo, mentre altro non fanno quelli che recitano preghiere e al tempo stesso ascoltano quanto si dice intorno, o si soffermano a pensare a ciò che viene loro in mente, senza preoccuparsi d’altro. Si sa che non è cosa buona fare così. Ciò che noi possiamo fare è cercare la solitudine. Piaccia a Dio che ciò basti – ripeto – per comprendere con chi stiamo e quali siano le risposte del Signore alle nostre domande. Credete forse che egli taccia? Anche se non lo udiamo, parla chiaramente al cuore, quando è il cuore a pregarlo. È bene, una volta ammesso che dobbiamo essere in solitudine, considerare che a ciascuna di noi il Signore ha insegnato e continua ad insegnare quest’orazione, e il Maestro non è mai così lontano dal discepolo d’aver bisogno d’alzare la voce, anzi gli è molto vicino. Io vorrei che voi foste convinte di questa verità, che per ben recitare il Pater noster dovete restare presso il Maestro che ve l’ha insegnato.
5. Direte che già questo è meditare e che voi non potete né volete fare altro che pregare vocalmente. E avete una qualche ragione. Ma io vi dichiaro, in verità, che non so come si possa separare l’orazione mentale dalla vocale, se si vuol fare bene quella vocale, sapendo chi sia colui al quale parliamo. Ed è anche un dovere cercare di pregare con attenzione. Piaccia a Dio che con questi mezzi si riesca a recitare bene il Pater noster e che non si finisca, nel dirlo, col pensare a cose del tutto fuori luogo. Io l’ho provato varie volte: e il miglior rimedio che trovo di fronte alla distrazione è tener fisso il pensiero su colui al quale rivolgo le parole. Pertanto, abbiate pazienza, come è necessario per essere monache e anche, come mi sembra, per pregare da buoni cristiani.
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:51
CAPITOLO 41 (25)
Dice quanto bene riceva un’anima che fa con perfezione la preghiera vocale, e come avvenga talvolta che Dio la elevi da questa preghiera a favori soprannaturali.
1. Mentre state recitando il Pater noster, se lo recitate bene, può darsi benissimo che il Signore vi elevi a contemplazione perfetta. Sua Maestà fa vedere così che ascolta chi gli parla e gli risponde sospendendogli l’intelletto, arrestandogli l’immaginazione, fermandogli – come si dice – le parole in bocca in modo che, anche se vuole, non può parlare se non a prezzo di grandi sforzi.
2. L’anima capisce che questo divino Maestro opera nella sua anima senza rumore di parole, nella sospensione delle potenze che non operano più. Questa è la contemplazione perfetta.
3. Da ciò capirete la differenza che c’è fra la contemplazione e l’orazione mentale, come avevo detto. La seconda consiste nel pensare e intendere di che cosa parliamo, con chi parliamo e chi siamo noi che osiamo rivolgere la parola a un così gran Signore. Considerare tutto questo e altre cose del genere, come, ad esempio, il poco che abbiamo fatto per lui e il molto che siamo obbligate a servirlo, è orazione mentale. Non pensate ad astruserie di altro genere, né vi spaventi il suo nome. Recitare il Pater noster o ciò che vorrete, è orazione vocale. Ma considerate un po’ che musica stonata sarà senza quella mentale: perfino le parole avranno spesso un suono discordante. In queste due specie di orazione noi possiamo far qualcosa, con l’aiuto di Dio; nella contemplazione di cui ho parlato or ora, nulla: è Dio a far tutto; si tratta di opera sua che supera le nostre umane possibilità.
4. Siccome ho trattato di questo meglio che ho potuto nel libro che ho scritto (e così non occorre trattarne qui in modo particolare perché ho già esposto tutto ciò che sapevo), quelle tra voi che avranno la grazia di essere elevate dal Signore allo stato di contemplazione – e alcune, come avevo detto, vi sono già giunte – cerchino di procurarsi [il mio libro] non appena sarò morta perché è molto importante per voi. Per quelle, invece, che non vi sono arrivate basta che si sforzino solo di mettere in pratica ciò che ho detto in questo libro, cercando di guadagnare meriti in tutti i modi possibili, supplicando il Signore con insistenza ed aiutandosi con le proprie forze. Il resto lo darà in dono lo stesso Signore e non ve lo negherà se continuate a combattere sino alla fine del cammino, com’è stato detto.
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:52
CAPITOLO 42 (26)
Indica come raccogliere il pensiero e parla dei mezzi per riuscirvi. È un capitolo assai utile per coloro che cominciano a praticare l’orazione.
1. Ora, ritornando alla nostra orazione vocale, bisogna pregare in modo che senza rendercene conto, Dio ci conceda insieme l’altra, ma per questo – ripeto – occorre pregare come si deve.
L’esame di coscienza, il recitare il Confiteor e il farsi il segno della croce, si sa bene che devono essere la prima cosa. Subito dopo, figlie mie, poiché siete sole, cercate di trovare una compagnia. E quale compagnia migliore di quella dello stesso Maestro che ci ha insegnato la preghiera che state per recitare? Immaginatevi questo nostro Signore vicino a voi e considerate con quale amore e con quanta umiltà vi istruisce; credetemi, fate il possibile per non privarvi di un così buon amico. Se vi abituerete a tenervelo vicino, se egli vedrà che lo fate con amore e che vi adoperate a contentarlo, non potrete, come suol dirsi, togliervelo d’attorno; vi assisterà sempre; vi aiuterà in tutte le vostre difficoltà; l’avrete con voi dappertutto; credete che sia poca cosa aver sempre al fianco un tale amico?
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:53
Cammino di perfezione
(Escorial)
Sezione 3
CAPITOLO 49 (29)
Prosegue sullo stesso argomento. È un capitolo molto utile.
1. Ma anche questo è un rimedio da poco, non molto perfetto. È meglio per voi, invece, che la prova duri, che voi restiate in quello stato di contraddizione e di umiliazione e che vogliate esserlo per amore del Signore che è in voi. Volgete lo sguardo su voi stesse e guardatevi interiormente, come ho detto. Vi troverete il vostro Maestro che non vi verrà mai meno; anzi, quanto minori saranno le consolazioni esterne, tanto più egli vi riempirà di gioia. È pieno di compassione e non abbandona mai le anime afflitte che hanno fiducia in lui solo. Questo lo dice Davide, cioè di non aver mai visto il giusto abbandonato e in un altro passo [afferma] che il Signore è vicino ai cuori affranti. O ci credete o no. Ma se ci credete, perché vi tormentate tanto?
2. Oh, Signore mio, se vi conoscessimo bene, non c’importerebbe nulla di nulla, perché voi siete molto generoso con chi veramente si dà a voi! Credetemi, amiche, è una gran cosa capire tale verità per rendersi conto che le grazie e i favori di quaggiù son tutti una menzogna quando allontanano anche un po’ l’anima dal raccogliersi in sé. Oh, mio Dio, chi potrebbe far capire questo ai mortali? Non io, di certo; so che, pur essendovi tenuta più d’ogni altra, non riesco a capirlo come si deve.
3. Oh, se ci fosse qualcuno capace di spiegare come può questa santa compagnia, che circonda il Santo dei Santi che abita nelle anime, non impedire all’anima di ritrovarsi sola con il suo Sposo, quando ella, raccolta nel suo intimo, vuole entrare in questo paradiso con il suo Dio e chiude la porta a tutte le cose del mondo. Perché sappiate che non si tratta qui di un fatto soprannaturale, ma di un’operazione dipendente dalla nostra volontà, che possiamo realizzare noi stesse, sempre con l’aiuto di Dio. Come si presuppone nel presente libro quando si dice «possiamo». Veramente nulla si può fare senza di lui. Ma qui non si tratta, infatti, di un silenzio delle potenze, ma di racchiuderle nell’anima.
4. Ciò si ottiene in vari modi. Come è scritto in alcuni libri, che trattano dell’orazione mentale, noi dobbiamo distaccarci da tutto per avvicinarci interiormente a Dio.
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:53
CAPITOLO 50 (29)
Parla del grande vantaggio che deriva da questo modo di fare orazione.
1. Siccome non parlo del modo in cui fare bene l’orazione vocale, non c’è bisogno di dilungarmi su di essa. Ciò che pretendo è soltanto che ci rendiamo conto di chi è presente, con chi parliamo, senza voltargli le spalle (e mi sembra di fare così parlando con Dio e, al tempo stesso, pensando a mille cose!). Tutto il danno deriva dal non comprendere che Dio è veramente vicino, mentre lo si immagina lontano, e quanto lontano, se andiamo a cercarlo in cielo! Perché non contemplare il tuo volto, Signore, quando sei vicino a noi? Ci sembra che gli uomini non ci ascoltino se vediamo che essi non ci guardano. E perché chiudiamo gli occhi per non vedere che tu ci guardi? Come faremo allora a capire se hai udito ciò che abbiamo detto? Solo questa cosa mi sono proposta di farvi comprendere: per abituare con facilità il nostro intelletto ad essere sicuro di ciò che dice e con chi sta parlando è necessario raccogliere in noi stessi i sensi esteriori e dare loro di che occuparsi. Abbiamo il cielo dentro di noi, giacché il Signore del cielo è nel nostro intimo.
2. Se una volta abbiamo cominciato ad acquistare l’abitudine di prendere gusto a non sentire la necessità di gridare per parlargli – perché Sua Maestà ci farà sentire ch’egli è là, dentro di noi – reciteremo con molta tranquillità il Pater noster e tutte le altre orazioni. Lo stesso Signore ci aiuterà a non stancarci; giacché poco tempo dopo i nostri sforzi di stare uniti a lui, egli ci capirà per mezzo di segni. E se, precedentemente, per farci capire da lui dovevamo recitare il Pater noster molte volte, ora egli ci capirà fin dalla prima. Egli è vivamente desideroso di risparmiarci ogni fatica; anche se in un’ora non lo recitiamo più di una volta basta, purché comprendiamo di essere con lui, siamo consapevoli delle nostre richieste, del vivo desiderio che egli ha di esaudirle come Padre e del piacere che prova nello stare con noi e che noi stiamo con piacere con lui; egli non ama che ci rompiamo la testa. Per questo, sorelle, per amor di Dio, abituatevi a recitare il Pater noster con un tale raccoglimento e ne vedrete il profitto in poco tempo. Infatti, è un modo di pregare che abitua presto l’anima a non perdersi in distrazioni e abitua le potenze a non agitarsi, come il tempo vi farà capire. Vi prego solo di provarlo, anche se sarà un poco faticoso, come succede in tutte le cose che non rientrano nelle nostre abitudini. Ma soprattutto vi assicuro che, in breve tempo, sarà una vera consolazione per voi scoprire che questo santo Padre cui rivolgete le vostre parole è dentro di voi e ciò senza stancarvi tanto a cercarlo.
3.Sua Maestà voglia insegnare questo tipo di orazione a quelle tra voi che non lo conoscono. Da parte mia, vi confesso che non ho mai saputo che cosa fosse pregare con soddisfazione e consolazione finché il Signore non me l’ha insegnato; ho sempre trovato tanti vantaggi in quest’abitudine di raccoglimento interiore, che per tal motivo mi sono così dilungata in proposito. Magari voi tutte lo sapete già. Ma, in seguito, verrà forse qualcuna che non ne sa nulla. Per questo motivo non deve pesarvi il fatto che io l’abbia detto qui. Vediamo ora come fa il nostro buon Maestro che comincia a pregare il suo santo Padre per noi e cosa gli chiede. È bene che noi lo comprendiamo.
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:54
CAPITOLO 51 (30)
Dice quanto importi capire ciò che si domanda nell’orazione.
1. Chi è colui, per quanto sconsiderato sia, che dovendo chiedere una grazia a una persona autorevole, non pensi anzitutto come chiedergliela, per riuscirle accetto e non sembrarle scortese? Non deve forse sapere cosa chiedere e comprendere il bisogno che ne ha, specialmente se chiede una cosa importante, come quella che c’insegna a chiedere il nostro buon Gesù? Ma ecco quel che mi sembra degno di nota. Non potevate, Signor mio, concludere con una parola e dire: dateci, Padre, quello che a noi conviene? Per chi conosce tutto così bene, mi sembra che non ci fosse bisogno d’altro.
2. Oh, Sapienza degli angeli, per voi e per vostro Padre ciò poteva bastare! Così, infatti, voi vi siete espresso nell’orazione dell’Orto degli ulivi; avete manifestato il vostro desiderio e il vostro timore e, poi, vi siete rimesso alla sua volontà. Ma, mio Signore, voi ci conoscete e, sapendo che non siamo così sottomessi alla vostra volontà come lo eravate voi a quella di vostro Padre, avete ritenuto necessario precisare bene le domande per farci considerare un po’ se ciò che gli chiediamo ci conviene e, in caso contrario, indurci a non chiederglielo. Siamo così fatti, in realtà, che se non ci viene dato quello che chiediamo, con questo libero arbitrio di cui disponiamo non accetteremo ciò che il Signore voglia darci. D’altronde, anche se è il meglio, non crediamo mai di essere ricchi se non quando abbiamo il denaro tra le mani.
3. Oh, mio Dio, com’è debole la nostra fede! Tanto debole che non riusciamo a capire né quanto sia certo il castigo né quanto lo sia il premio che avremo! Per questo è bene, figlie mie, che sappiate ciò che chiedete nel Pater noster affinché, se il Padre eterno ve lo concederà, non abbiate a rifiutarglielo; considerate assai attentamente se vi conviene; altrimenti non chiedeteglielo, ma pregate Sua Maestà di illuminarvi, perché siamo ciechi e proviamo ripugnanza per i cibi che devono darci la vita, mentre ricerchiamo quelli che ci condurranno alla morte. E che morte spaventosa ed eterna!
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:55
CAPITOLO 52 (30)
Commenta le parole: Sanctificetur nomen tuum, adveniat regnum tuum. Inizia con la spiegazione dell’orazione di quiete.
1. Il buon Gesù, dunque, dice: Sia santificato il tuo nome, venga a noi il tuo regno. Ma considerate, figlie mie, l’infinita sapienza del nostro Maestro. Considerate qui, con me, perché è bene rendersene conto, che cosa chiediamo con questo regno. Sua Maestà ha visto che non potevamo santificare, lodare, esaltare né glorificare e celebrare degnamente questo santo nome dell’eterno Padre con le nostre scarse possibilità, se non provvedeva a darci quaggiù il suo regno, e per questo il buon Gesù pose queste due richieste l’una accanto all’altra. Voglio dirvi qui quello che ne penso, affinché possiamo comprendere non solo ciò che gli chiediamo, ma quanto importi insistere per ottenerlo e fare di tutto per piacere a colui che ci può esaudire. Nel caso che non vi soddisfi questa mia spiegazione, trovate voi altre considerazioni. Il nostro Maestro vi autorizzerà, purché vi sottomettiate in tutto a ciò che insegna la Chiesa, come faccio anch’io, sempre, e non vi darei da leggere questo libro se non dopo che sia stato rivisto da persone competenti e, se in esso si trovasse qualche errore, sappiate che ciò non è dovuto a malizia, bensì ad ignoranza.
2. Ora, il gran bene che c’è nel regno dei cieli, insieme con molti altri, è non tenere più in alcun conto le cose della terra, ma sentire in sé un gran riposo e una piena felicità, gioire della gioia di tutti, godere di una pace eterna e provare una profonda soddisfazione interiore nel vedere che tutti santificano e lodano il Signore, ne benedicono il nome e nessuno l’offende. Tutti lo amano e l’anima stessa non attende ad altro, se non ad amarlo, perché lo conosce. E così l’ameremmo quaggiù, conoscendolo, anche se non con questa perfezione e continuità, ma sempre molto diversamente da come lo amiamo.
3. A quanto dico, sembrerebbe che dobbiamo essere angeli per rivolgergli questa richiesta e pregare bene vocalmente. Ben lo desidererebbe il nostro divino Maestro, visto che ci prescrive di rivolgergli una richiesta così sublime, e si può essere certi che egli non ci suggerisce di chiedere cose impossibili. Sarebbe possibile pertanto, con l’aiuto di Dio, che un’anima vivente ancora in quest’esilio l’ottenesse, anche se non con la perfezione di quelle che son libere da questo carcere, perché dopo tutto si è ancora tra i flutti del mare e in viaggio. Ma vi sono momenti in cui il Signore, vedendoci stanchi del cammino, ci procura un riposo delle potenze e una serenità dell’anima tali da far chiaramente capire, per segni manifesti, quale sia il sapore di ciò che viene dato a coloro che egli introduce nel suo regno; e a quelli di cui esaudisce quaggiù la richiesta dà pegni capaci di alimentare la grande speranza di andare a godere eternamente ciò che qui ci viene dato a sorsi.
4. Se non mi accusassero di parlare di contemplazione, verrebbe a proposito, in questa richiesta del Pater, dire qualcosa sull’inizio della pura contemplazione, chiamata, da coloro che ne sono favoriti, orazione di quiete. Ma – ripeto – io tratto di orazione vocale, e a chi non ne abbia esperienza sembra che una cosa non vada bene con l’altra, mentre io so che si conciliano perfettamente. Perdonatemi se ve ne voglio parlare, perché conosco molte persone le quali, mentre pregano vocalmente – com’è stato detto – sono elevate da Dio, senza che esse sappiano come, a un alto grado di contemplazione. Per questo, figlie, desidero tanto che recitiate bene le preghiere vocali. Conosco una monaca, ad esempio, che non poté mai praticare se non l’orazione vocale e, attaccata ad essa, realizzava tutto. Se invece non pregava così, l’intelletto si smarriva talmente che diventava un supplizio. Magari avessimo tutte un’orazione mentale così perfetta com’era la sua vocale! In certi Pater noster che recitava in onore delle varie volte in cui il Signore sparse il suo sangue – e in poche altre preghiere – impiegava due o tre ore. Una volta venne da me piena d’angoscia perché non sapeva elevarsi alla contemplazione, ma solo pregare vocalmente. Era già anziana ed aveva trascorso molto bene nonché religiosamente la sua vita. Le chiesi cosa recitasse: vidi allora che, fedele al Pater noster, arrivava alla pura contemplazione e il Signore la elevava anche fino all’unione. Io ne lodai il Signore e invidiai la sua orazione vocale. Non pensate, voi che siete nemici dei contemplativi, di non poterlo diventare anche voi, se recitate le orazioni vocali come devono essere recitate, con una coscienza pura. Lo ripeterò ancora. Ma chi non vuole udirlo, non ci badi e tiri avanti.
Coordin.
00sabato 3 agosto 2013 08:55
CAPITOLO 53 (31)
Continua a spiegare che cosa sia l’orazione di quiete. È un capitolo molto importante.
1. Questa orazione di quiete, in cui – ripeto – il Signore comincia a mostrarci che ascolta la nostra richiesta, è per darci già quaggiù il suo regno, affinché lodiamo sinceramente il suo nome e procuriamo che lo facciano altri. Non mi dilungo molto nelle spiegazioni, avendone già parlato in un altro luogo, come ho detto. Ne dirò solo qualcosa.
2. Questa è già una cosa soprannaturale che non possiamo procurarci da noi, nonostante ogni nostra diligenza possibile. L’anima, infatti, entra ormai nella pace o ve la fa entrare il Signore con la sua divina presenza, come fece con il giusto Simeone. Allora tutte le potenze restano inattive e l’anima si rende conto, per virtù di una consapevolezza del tutto estranea a quella procurata dai sensi esterni, d’essere ormai assai vicina al suo Dio, tanto che, innalzandosi un po’ di più, diverrebbe una cosa sola con lui, mediante l’unione. Mi esprimo così non perché lo veda con gli occhi del corpo o con quelli dell’anima. Nemmeno il giusto Simeone, guardando il glorioso Gesù, vedeva più di un Bambino poverissimo; dai panni che l’avvolgevano e dalle poche persone che l’accompagnavano nella processione, l’avrebbe piuttosto creduto pellegrino, figlio di povera gente che Figlio del Padre celeste; ma lo stesso infante divino glielo fece intendere. A questa medesima comprensione l’anima giunge qui, anche se non con uguale chiarezza, non sapendo ancora come riesca a capirlo; vede solo che è nel suo regno, o per lo meno vicino al Re che glielo deve dare, e si sente compresa di tale rispetto da non osare chiedere nulla.
3. Si è come tramortiti, interiormente ed esteriormente, al punto che l’uomo esteriore (cioè il corpo, perché forse verrà da voi qualche sempliciotta che non sa cosa sia interiore ed esteriore) non vorrebbe muoversi, allo stesso modo di chi, arrivato quasi al termine del cammino, si concede un po’ di riposo, provando grandissimo sollievo nel corpo e grande soddisfazione. L’anima è così felice solo di vedersi vicino alla fonte, che anche prima di bere si sente già sazia. Le sembra che non ci sia altro da desiderare: le potenze sono talmente assopite che non vorrebbero muoversi; tutto le appare d’impedimento ad amare, anche se le potenze non sono così assopite da non percepire chi sia colui presso il quale si trovano, e in grazia di chi possono qualcosa. Il loro pensiero è placido e tranquillo. Desiderano soltanto che il corpo non si muova minimamente per non destare le loro potenze. Coloro che sono pervenuti a questo stadio pensano a una sola cosa, non a molte. Dà loro pena il parlare: per dire un solo Pater noster possono impiegare anche un’ora. Sono così prossimi a Dio che s’intendono per segni. Stanno nel palazzo accanto al loro Re e capiscono che egli comincia a dar loro fin da questa vita «il suo regno». Talvolta scendono loro le lacrime, senza afflizioni, ma con molta dolcezza. Tutto il loro desiderio è che venga santificato il suo nome in quel momento. Non hanno l’impressione di stare nel mondo, né vorrebbero vederlo né udirlo, per vedere e udire soltanto il loro Dio. Nulla dà loro pena e nulla sembra possa dargliene.
4. Nel libro [della Vita] in cui ho trattato dell’orazione di quiete, ho dimenticato di dire quanto segue. Accade, spesso, che l’anima sia immersa in una quiete profonda e che l’intelletto sia così distratto da non accorgersi che quanto avviene si svolge nella sua casa. A dire la verità, a me sembra essere un ospite in casa altrui; va allora in cerca di altro alloggio. Non è contento della casa in cui si trova, perché non sa stare fermo. Parlo di me stessa, giacché credo che non succederà così agli altri. Ma io, a volte, desidero morire, incapace come sono di porre un rimedio. Altre volte, sembra che l’intelletto si stabilisca nella sua casa, assieme alla volontà e, quando i due vanno d’accordo, è un paradiso, come avviene di due sposi: se si amano, ognuno vuole quel che vuole l’altro, mentre, se sono male accoppiati, si vede subito l’inquietudine che un marito può dare a sua moglie. La volontà pertanto, quando si trova in questa quiete – e si faccia attenzione a questo consiglio che è molto importante –, non faccia caso dell’intelletto più che di un pazzo, perché, se lo vuole trascinare con sé, forzatamente dovrà distrarsi e in parte turbarsi. Al grado di orazione a cui è giunta tutto ciò sarà affaticarsi per non guadagnare nulla, anzi, perdere quello che il Signore le concede senza alcuna fatica da parte sua.
5. Fate attenzione a questo paragone, suggeritomi dal Signore durante l’orazione, che mi sembra cada a proposito qui: l’anima è come un bambino lattante attaccato al seno della madre, la quale, senza che egli faccia lo sforzo di succhiare, gli spreme il latte in bocca per tenerezza. Così avviene qui dove, senza alcun lavoro dell’intelletto, il Signore s’introduce nell’anima e vuole che ci si renda conto che egli vi è presente e desidera che si succhi il latte da lui offerto. In tutto ciò l’anima deve capire il dono che egli le fa ed il suo amore. Se si mette a lottare con l’intelletto per farlo partecipe del suo stato, trascinandolo con sé, non potrà arrivare a tutto e necessariamente si lascerà cadere il latte dalla bocca, perdendo così quel sostentamento divino.
6. La differenza tra questa orazione e quella in cui tutta l’anima è unita a Dio è che in quest’ultima non si ha neanche bisogno d’inghiottire il nutrimento; lo pone il Signore all’interno di noi stessi, senza che sappiamo come. Nell’altra, invece, sembra volere che si lavori un po’, anche se il lavoro si compie con tanta tranquillità che quasi non si avverte. Chi è giunto a questa orazione comprende chiaramente ciò che dico, se con attenzione riflette su quanto ho esposto dopo averlo letto. Guardate, è importante! Altrimenti vi sembrerà arabo. Così, quando l’anima si trova in questa orazione, sperimenta una felicità dolce e profonda della volontà. Benché non possa precisare in cosa consista, vede tuttavia che è assai diversa da ogni soddisfazione terrena e che non basterebbe essere padroni del mondo con tutti i suoi piaceri per poter sentire in sé quella gioia. Questa è nell’intimo della volontà, mentre i piaceri della vita essa li gode, mi sembra, all’esterno della volontà, come, per così dire, nella superficie di essa. Quando dunque si vede elevato a un alto grado di orazione (che è, come ho già detto, evidentemente soprannaturale), non si preoccupi se l’intelletto si lasciasse andare alle maggiori insensatezze del mondo. Si rida di esso, lo consideri come un pazzo e se ne resti nella sua quiete, incurante del suo andirivieni. Qui la volontà è potente sovrana e lo richiamerà a sé senza che voi ve ne occupiate. Se poi l’anima vuol richiamarlo a viva forza, perde l’energia che ha contro di esso in virtù del nutrirsi e accogliere in sé quel divino sostentamento, sì che né l’uno né l’altro guadagneranno nulla, ma entrambi perderanno, e potremmo dire che «chi troppo vuole nulla stringe». L’esperienza ve lo farà capire; per comprenderlo senza che lo dicano gli altri, occorre molto, ma per praticarlo e tenerlo presente, dopo averne letto [la descrizione], basta poco.
7. Ora dunque concludiamo dicendo che per tutto il tempo in cui si sente soddisfazione e piacere le anime possono già credere di stare nel suo regno e che l’eterno Padre abbia esaudito la richiesta di darglielo loro quaggiù. Oh, benedetta domanda che ci fa chiedere un così gran bene senza saperlo! Oh, benedetto modo di domandare! Per questo, sorelle, vorrei che considerassimo bene come recitiamo quest’orazione celestiale e stiamo attente a ciò che chiediamo. È chiaro, una volta che Dio ci ha fatto questa grazia non dobbiamo più preoccuparci delle cose del mondo, in quanto il Signore, arrivando nell’anima, la sgombra di ciò che la occupa. Non dico che tutti coloro che lo chiedono debbano essere, per ciò stesso, staccati completamente dal mondo, ma desidero che almeno capiscano quello che loro manca, si umilino. Non dovrebbero chiedere una cosa così grande come se chiedessero una cosa da nulla e, se il Signore concedesse loro ciò che chiedono, non dovrebbero mai perderlo di vista.
8. Ma vi sono persone, e io sono stata una di esse, alle quali il Signore dà sentimenti di devozione, sante ispirazioni, luce sulla vanità del tutto e, infine, il dono di quiete, mentre esse fanno le sorde. E vi sono anime talmente desiderose di parlare e di dire molte orazioni vocali in gran fretta, come chi vuole portare a termine presto il suo compito, nella misura in cui sono obbligate a recitarle ogni giorno. E sebbene il Signore ponga loro nelle mani il suo regno, donando loro questa orazione di quiete e pace interiore, non lo accettano, perché pensano di far meglio con le loro preghiere, e così si distraggono dall’orazione di quiete.
9. Voi, sorelle, non fatelo, e state bene attente quando il Signore vi concederà questa grazia. Badate che, perdendola, perdereste un gran tesoro e che fate molto di più pronunciando di quando in quando una sola parola del Pater noster che recitandolo molte volte in fretta, senza riflettere. Colui che voi pregate è così vicino che non mancherà di ascoltarvi. Credetemi, in questo consiste il lodare e santificare veramente il suo nome. Infatti voi allora glorificherete il Signore come persone della sua casa, lo loderete con maggiore affetto e fervore e, infine, vi sembrerà impossibile fare a meno di servirlo. Vi raccomando di fare molta attenzione a questo consiglio, perché è molto importante.
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 22:23.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com