BRANI SCELTI DI S.AGOSTINO

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AmarDio
00mercoledì 3 febbraio 2010 17:38
Letture di Brani scelti da testi di S. Agostino



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DAL DISCORSO 291
NASCITA DI GIOVANNI BATTISTA

Mirabile la nascita di Giovanni in vista di Cristo.
1. Non c'è bisogno che vi si dica quale ricorrenza oggi celebriamo, perché tutti avete ascoltato la lettura del Vangelo. È in questo giorno che abbiamo ricevuto san Giovanni, precursore del Signore, il figlio di una donna sterile che annunzia il Figlio della Vergine, ma tuttavia, il servo che annunzia il Signore. Infatti, nell'imminenza della venuta del Dio fatto uomo da una vergine, un uomo straordinario, nato da una donna sterile, lo precedette: perché venga riconosciuto il Dio uomo quando quest'uomo singolare si dichiara indegno di sciogliergli il legaccio del sandalo. Ammira Giovanni con tutto il tuo slancio: quanto di meraviglioso trovi è a esaltazione di Cristo. Se ne avvantaggia Cristo, dico, non perché tu dài qualcosa a Cristo, ma in quanto tu progredisci in Cristo. Ammira dunque Giovanni con tutte le tue forze. Hai sentito quel che devi ammirare. Fu annunziato per mezzo dell'angelo al padre sacerdote: l'angelo rende muto il padre incredulo; resta muto in attesa di riavere la parola alla nascita del figlio. Una donna sterile diventa madre, sebbene vecchia, diventa madre; duplice impedimento alla fecondità, l'essere sterile e avanzata in età. Quale egli sarà è detto dall'angelo: in lui si adempirà quanto è detto; e, quale somma meraviglia, è ripieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre. Quindi, al sopraggiungere di Maria santa, esulta nel grembo materno; e, non potendo a voce, sussulta per salutare Cristo. Nasce, rende la voce al padre; il padre, a parole, dà il nome al figlio: tutti sono stupiti di tanta grazia (1). Che altro è, infatti, se non grazia? Perciò, quando questo Giovanni meritò Dio? Quando meritò Dio, prima che fosse chi si doveva meritare? O grazia gratuitamente data!

Dalla grandezza di Giovanni va compresa la maestà di Cristo.
2. Tutti ammirano, stupiscono e parlano per impulso del loro cuore, così che si scrivesse per noi che leggere: Che sarà mai questo bambino? Infatti la mano del Signore era con lui (2). Che sarà mai questo bambino? Va oltre i limiti della natura umana. Noi abbiamo conosciuto i bambini: Che sarà mai di questo bambino? Perché dici: Che sarà mai di questo bambino? Infatti la mano del Signore era con lui? Che la mano del Signore è con lui, già lo sappiamo; ma non sappiamo che sarà. Certamente sarà molto grande chi, all'inizio della vita, è stato così grande. Che sarà uno che è così piccino? Che sarà? Rimane stordita l'umana debolezza, i cuori di quanti vi riflettono tremano: Che sarà mai di questo bambino? Sarà grande: ma che sarà chi sarà più grande di lui? Egli sarà veramente grande: ma che sarà colui che di questo grande sarà più grande ancora? Se quello che comincia ora ad esistere diventerà tanto grande, che sarà chi già era? Ma che ho detto: chi "era"? Anche Zaccaria era prima di Giovanni, assai di molto anteriori a Giovanni erano e Abramo e Isacco e Giacobbe. Prima di Giovanni esistevano certamente il cielo e la terra. Chi sarà colui che era in principio? In principio, infatti - che è prima di Giovanni e prima di ogni uomo - Dio creò il cielo e la terra (3). Ma vuoi sapere per mezzo di chi lo fece? In principio Dio non creò il Verbo, ma il Verbo era. In principio era il Verbo, e il Verbo era non uno qualsiasi, ma era Dio il Verbo. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui (4). E da ultimo fu creato colui che era perché non perisse quanto aveva fatto. Che sarà mai di questo bambino? Infatti la mano del Signore era con lui. Se il bambino sarà così grande perché la mano del Signore è con lui, che sarà la mano stessa del Signore? In realtà è Cristo la mano del Signore, il Figlio di Dio la mano di Dio, il Verbo di Dio la mano di Dio. Qual è dunque la mano del Signore se non quella per cui tutte le cose sono state create? Che sarà mai di questo bambino? Infatti la mano del Signore era con lui. Umana debolezza, come ti comporterai nei riguardi del giudice, tu che sei così esitante verso l'araldo? Ma, anche ora, che ho detto? Faccio riferimento ad una consuetudine umana. E che ho detto? Ho fatto riferimento all'araldo e al giudice: e l'araldo, uomo e il giudice, uomo. Ho indicato ciò che era evidente, chi avrà detto quel che era occulto? Il Verbo si fece carne(5): tuttavia il Verbo non si cambiò in carne. Il Verbo si fece carne assumendo ciò che non era, non perdendo ciò che era. Ecco, abbiamo considerato con ammirazione la nascita del suo araldo, che oggi celebriamo, ma vediamo di apprendere in vista di chi avvenne.

L'angelo fu inviato a Zaccaria ed a Maria. Come venne esaudita la preghiera di Zaccaria.
3. L'angelo Gabriele si recò da Zaccaria, non da Elisabetta sua moglie, madre di Giovanni: l'angelo Gabriele si recò, ripeto, da Zaccaria, non da Elisabetta. Perché? Perché da Zaccaria Elisabetta avrebbe concepito Giovanni. Perciò l'angelo, annunziando la venuta di Giovanni per nascita, non si diresse verso il seno che l'avrebbe accolto, ma verso la sorgente della vita. Annunziò che sarebbe stato figlio di entrambi, ma si rivolse al padre. Giovanni infatti sarebbe venuto al mondo dall'unione coniugale. Di nuovo ecco ancora Gabriele e si recò da Maria, non da Giuseppe: da chi avrebbe assunto quella carne, da chi avrebbe avuto inizio, proprio da lei si recò l'angelo. Ma in che modo l'angelo annunziò la nascita del figlio al padre, il sacerdote Zaccaria? Non temere - disse - Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita (6). E che, fratelli miei, quel sacerdote era entrato nel Santo dei santi allo scopo di impetrare figli dal Signore? Lungi dal pensarlo! Dice alcuno: Come lo provi? Zaccaria infatti non rivelò che avesse chiesto nella preghiera. Unica la spiegazione che espongo in breve. Se avesse chiesto un figlio, avrebbe creduto quando gli veniva annunziato. L'angelo afferma che avrebbe un figlio e quello non crede? Aveva di certo impetrato questo? Chi è che prega senza speranza? O chi non crede mentre spera? Se tu non speri, perché chiedi? Se speri, perché non credi? Che, dunque? È stata esaudita - disse - la tua preghiera. Ecco infatti Elisabetta concepirà, e ti darà un figlio (7). Perché? Perché è stata esaudita la tua preghiera. Se Zaccaria avesse detto: Perché? ho pregato per questo? Non è assolutamente che l'angelo si fosse ingannato o avesse ingannato nel parlare? È stata esaudita la tua preghiera: ecco infatti che tua moglie partorirà. Ma perché fu detto questo? Perché Zaccaria stava compiendo un sacrificio per il bene del popolo; il sacerdote stava compiendo un sacrificio per il bene del popolo, il popolo attendeva il Cristo; Giovanni annunziava Cristo.

Maria benedetta tra le donne.
4. Dunque, l'angelo, proprio il medesimo, va da Maria vergine: Ave - dice - piena di grazia, il Signore è con te: è già con te Colui che sarà in te. Benedetta tu fra le donne (8). Secondo una peculiarità della lingua ebraica, la Scrittura attesta che tutte le femmine ordinariamente sono chiamate donne: non se ne stupiscano né restino scandalizzati quanti non sono soliti ascoltare le Scritture. Dice chiaramente il Signore in un passo delle Scritture: Mettete da parte le donne che non si sono unite con uomini (9). Infine richiamate alla memoria la stessa nostra origine: riguardo alla formazione di Eva dal fianco dell'uomo, che cosa dice la Scrittura? Il Signore gli tolse una costola e ne plasmò la donna (10). Già è chiamata donna, tratta senz'altro dall'uomo, ma non ancora unita all'uomo. Quindi, allora nell'udire dall'angelo: Benedetta tu fra le donne, ritenetelo in tal senso, come se dicesse, secondo il nostro uso: Benedetta tu fra le femmine.

Annunzio simile a Zaccaria ed a Maria, diverse le loro disposizioni interiori. Il proposito di verginità.
5. Un figlio è promesso a Zaccaria, un figlio è promesso anche alla santa Maria, ed ella pure pronunzia quasi le stesse parole che aveva detto Zaccaria. Infatti, che cosa aveva detto Zaccaria? Come posso conoscere questo? Io infatti sono vecchio e mia moglie sterile e avanzata negli anni (11). E Maria santa che cosa dice? Come avverrà questo? Simile il suono delle parole, diverse le disposizioni interiori. All'udito ci risuona un'espressione simile, ma, attraverso le parole dell'angelo, possiamo conoscere la differenza dei sentimenti. Davide peccò e, rimproverato dal Profeta, disse: Ho peccato, subito dopo gli fu detto: il peccato ti viene perdonato (12). Peccò Saul e, rimproverato dal Profeta, disse: Ho peccato e il peccato non gli venne perdonato, ma l'ira di Dio rimase su di lui (13). Che vuol dire questo se non che il suono delle parole è simile, diverso lo spirito? L'uomo infatti può udire il suono della voce, Dio scruta i cuori. Quindi, che in quelle parole di Zaccaria non ci fosse stata fede, ma dubbio e diffidenza, lo fece capire l'angelo togliendo la parola e condannando l'incredulità. Veramente Maria disse: Come avverrà questo? Poiché non conosco uomo (14). Riconoscetevi il proposito di verginità. Prevedendo l'unione coniugale, quando mai avrebbe detto: Come avverrà questo? Se infatti doveva avvenire, come di regola avviene in tutti i bambini, non avrebbe detto: Come avverrà? Ma quella, memore del suo proposito, consapevole della santità del voto, nel dire: Come avverrà questo? Poiché non conosco uomo, aveva infatti avuto coscienza di quel che aveva offerto in voto. Essendo estranea ad una tale possibilità, dato che i figli nascono solo dalle donne maritate e per l'unione coniugale - cosa di cui, da parte sua, aveva deciso di non voler sapere - dicendo: Come avverrà questo? volle sapere il modo, non dubitò dell'onnipotenza di Dio. Come avverrà questo? Qual è il modo per il quale questo avverrà? Annunziandomi un figlio, considerami interiormente disponibile, spiegami il modo. La Vergine santa poté appunto turbarsi, o certamente ignorare il disegno di Dio circa il modo da lui voluto perché avesse un figlio, quasi avesse respinto il voto di verginità. Che le avrebbe detto dunque? Sposati, unisciti al marito? Dio non lo avrebbe detto: accettò infatti il voto di verginità da lei, come Dio. Accettò da lei quello che egli stesso aveva donato. Perciò, dimmi, messaggero di Dio: Come avverrà questo? Fa' attenzione all'angelo che sa che quella domanda, non diffida. Quindi, poiché si accorse che quella voleva sapere, non diffidava, non si rifiutò di informarla. Intendi come: resterà la tua verginità, tu credi soltanto il vero, conserva la verginità, ricevi l'integrità. Poiché la tua fede è integra, anche la tua integrità resterà inviolata. Infine, ascolta come avverrà questo: Lo Spirito Santo scenderà su di te, e la potenza dell'Altissimo stenderà su di te la sua ombra (15). Tale adombramento non conosce ardore di libidine. Per questo, perché lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo stenderà su di te la sua ombra, perché hai fede concepisci, perché non per connubio, ma credendo sarai madre: Colui che nascerà da te sarà dunque santo e sarà chiamato Figlio di Dio (16).

Maria, per grazia madre del Figlio di Dio.
6. Chi sei tu che sarai madre? Come lo hai meritato? da chi lo hai ricevuto? perché si formerà in te chi ha creato te? Come mai, dico, un bene così grande a te? Sei vergine, sei santa, hai fatto voto; ma se è molto quanto hai meritato, anzi, è veramente molto di più quel che hai ricevuto. Come dunque lo hai meritato? Si forma in te chi ha creato te, si forma in te mediante colui per il quale tu hai avuto l'esistenza: anzi persino mediante colui per il quale è stato creato il cielo e la terra, per il quale tutte le cose sono state create, si fa carne in te il Verbo di Dio, ricevendo un corpo, non perdendo la divinità. E il Verbo si congiunge alla carne, e il Verbo si unisce alla carne; ed il talamo di questo così grande connubio è il tuo grembo. Ripeto, il talamo di un così grande connubio, cioè del Verbo e della carne, è il tuo grembo: da dove quale sposo esce dalla stanza nuziale (17). Nel suo concepimento ti trova vergine, nato, ti lascia vergine. Concede la fecondità, non priva dell'integrità. Perché a te questo? Pare che stia facendo una domanda indiscreta alla Vergine, e quasi che questa mia petulanza risulti di imbarazzo alla sua riservatezza. Noto però che la Vergine va turbandosi e tuttavia ecco che risponde e mi avverte: Mi chiedi donde a me questo? Ho ritegno a farti conoscere il mio bene, ascolta il saluto da parte dell'angelo e riconosci che in me è la tua salvezza. Credi a Colui al quale ho creduto. Vuoi sapere donde a me questo? Sia l'angelo a risponderti. Dimmi, angelo, donde questo a Maria? L'ho già detto nel saluto: Ave, piena di grazia (18).


1 - Cf. Lc 1.

2 - Lc 1, 66.

3 - Gn 1,1.

4 - Gv 1, 1-3.

5 - Gv 1, 14.

6 - Lc 1, 13.

7 - Lc 1, 13.

8 - Lc 1, 28.

9 - Nm 31, 17 (sec. LXX).

10 - Gn 2, 22.

11 - Lc 1, 18.

12 - 2 Sam 12, 13.

13 - Cf. 1 Sam 15, 30.35.

14 - Lc 1, 34.

15 - Lc 1, 35.

16 - Lc 1, 35.

17 - Sal 18, 6.

18 - Lc 1, 28.
Credente
00domenica 7 febbraio 2010 12:41
Sulla tua Parola getteremo le reti o Signore!

Dal commento di s.Agostino alla pesca miracolosa

[Il mistero della Chiesa adombrato nelle due scene di pesca.]

7. ... è mediante un fatto che il Signore ci presenta la Chiesa quale sarà alla fine del tempo, così come con un'altra pesca ha presentato la Chiesa quale è nel tempo presente. Il fatto che egli abbia compiuto la prima pesca all'inizio della sua predicazione, questa seconda, invece, dopo la sua risurrezione, dimostra che quella retata di pesci rappresentava i buoni e i cattivi di cui ora la Chiesa è formata; questa invece rappresenta soltanto i buoni che formeranno definitivamente la Chiesa, quando, alla fine del mondo, sarà compiuta la risurrezione dei morti. Inoltre, nella prima pesca, Gesù non stava, come ora, sulla riva del mare, quando ordinò di gettare le reti per la pesca; ma salito in una delle barche, quella che apparteneva a Simone, pregò costui di scostarsi un po' da terra, poi, sedutosi, dalla barca istruiva le folle. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: Va' al largo e calate le reti per la pesca (Lc 5, 3-4). E il pesce che allora pescarono fu raccolto nelle barche, perché non furono tirate le reti a terra come avviene ora. Per questi segni, e per altri che si potrebbero trovare, in quella pesca fu raffigurata la Chiesa nel tempo presente; in questa, invece, è raffigurata la Chiesa quale sarà alla fine dei tempi. E' per questo motivo che la prima pesca fu compiuta prima della risurrezione del Signore, mentre questa seconda è avvenuta dopo; perché nel primo caso Cristo raffigurò la nostra vocazione, nel secondo la nostra risurrezione. Nella prima pesca le reti non vengono gettate solo a destra della barca, a significare solo i buoni, e neppure solo a sinistra, a significare solo i cattivi. Gesù dice semplicemente: Calate le reti per la pesca, per farci intendere che i buoni e i cattivi sono mescolati. Qui invece precisa: Gettate la rete alla destra della barca, per indicare quelli che stavano a destra, cioè soltanto i buoni. Nel primo caso la rete si strappava per indicare le scissioni; nel secondo caso, invece, siccome nella suprema pace dei santi non ci saranno più scissioni, l'evangelista ha potuto rilevare: e benché i pesci fossero tanti - cioè così grossi - la rete non si strappò. Egli sembra alludere alla prima pesca, quando la rete si strappò, per far risaltar meglio, dal confronto con quella, il risultato positivo di questa pesca. Nel primo caso presero tale quantità di pesce che le due barche, stracariche, affondavano (cf. Lc 5, 3-7), cioè minacciavano di affondare: non affondarono, ma poco ci mancò. Donde provengono alla Chiesa tutti i mali che deploriamo, se non dal fatto che non si riesce a tener testa all'enorme massa che entra nella Chiesa con dei costumi del tutto estranei alla vita dei santi e che minacciano di sommergere ogni disciplina? Nel secondo caso, invece, gettarono la rete a destra della barca, e non potevano più tirarla per la grande quantità di pesci. Che significa: non riuscivano più a tirarla? Significa che coloro che appartengono alla risurrezione della vita, cioè alla destra, e finiscono la loro vita nelle reti del cristianesimo, appariranno soltanto sulla riva, cioè alla fine del mondo, quando risorgeranno. Per questo i discepoli non riuscivano a tirare la rete per rovesciare nella barca i pesci che avevano presi, come invece avvenne di quelli per il cui peso la rete si strappò e le barche rischiarono di affondare. La Chiesa possiede tutti questi pesci che sono a destra della barca, ma che rimangono nascosti nel sonno della pace, come nel profondo del mare, sino alla fine della vita, allorché la rete, trascinata per un tratto di circa duecento cubiti, giungerà finalmente alla riva.
Coordin.
00martedì 9 febbraio 2010 22:20
Quando leggiamo il versetto 3 e 4 del primo cap. di Giovanni, generalmente lo troviamo così :

3 tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. 4 In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;

Nella traduzione che usava Agostino invece la frase veniva letta senza spezzare le frasi contrassegnate dal numero del versetto. La frase che ne risultava dava origine ad alcune discussioni. Ecco come poi Agostino interpreta la frase in questione e che è differente da come la leggiamo noi oggi.

Ciò che fu fatto, in lui è vita (Gv 1, 3-4). Si potrebbe dire anche: Ciò che in lui fu fatto, è vita. Seguendo questa punteggiatura, risulta che tutto ciò che esiste è vita. E in verità, quale cosa non è stata creata in lui? Egli è, infatti, la sapienza di Dio, di cui sta scritto in un salmo: Tutto hai fatto nella tua sapienza (Sal 103, 24). Se, dunque, Cristo è la sapienza di Dio, e il salmo dice: Tutto hai fatto nella tua sapienza, ogni cosa allora è stata fatta in lui, così come ogni cosa è stata fatta per mezzo di lui. Se tutto, fratelli carissimi, è stato fatto in lui, e se tutto ciò che è stato fatto in lui, è vita, allora anche la terra è vita, anche il legno è vita. Sì, diciamo che il legno è vita, ma intendendo il legno della croce, dal quale abbiamo ricevuto la vita. Dunque, anche la pietra sarebbe vita? Ma è sbagliato intendere così, perché in questo modo si offrirebbe a quella sordida setta dei manichei un nuovo pretesto per dire che la pietra possiede la vita, che un muro ha l'anima, che una corda, la lana, un vestito, hanno un'anima. E' così infatti che essi usano spropositare, e, ripresi e controbattuti, rispondono appellandosi alle Scritture. Perché, dicono, è scritto: Ciò che in lui fu fatto, è vita. Se davvero tutto in lui fu fatto, tutto è vita. Ebbene, non lasciarti ingannare, segui questa punteggiatura: Ciò che fu fatto; qui pausa, e poi continua: in lui è vita. Che cosa vuol dire? La terra è stata creata, ma questa terra creata non è la vita. E' che nella sapienza stessa esiste spiritualmente una certa idea secondo cui fu fatta la terra: questa idea è vita.

17. Cercherò di farmi capire meglio che posso alla Carità vostra. Un artigiano si mette a fare un armadio. Ma prima l'armadio egli ce l'ha nella mente: se egli prima di fabbricarlo non ne avesse l'idea nella mente, come potrebbe costruirlo? Naturalmente l'armadio che è nella mente dell'artigiano, non è precisamente quello che poi noi vediamo coi nostri occhi. Nella mente c'è l'opera in maniera invisibile e soltanto una volta realizzata sarà visibile. Quando l'armadio sarà costruito, cesserà forse per questo di esistere nella mente? No, l'idea è stata realizzata nell'opera, ma rimane nella mente del costruttore. L'armadio potrà anche marcire, e dall'idea che è nella mente se ne potrà fabbricare un altro. Considerate, dunque, l'armadio come idea e l'armadio come opera eseguita. L'armadio fabbricato non è vita, ma l'armadio come idea è vita, essendo viva l'anima dell'artefice nella quale esistono tutte queste cose, prima che vengano alla luce. Altrettanto si può dire, fratelli carissimi, della sapienza di Dio, per mezzo della quale sono state fatte tutte le cose: come mente creatrice, essa le possiede tutte prima ancora che siano realizzate; di conseguenza quanto è stato fatto per mezzo di quella idea creatrice, non tutto è vita, ma tutto ciò che è stato fatto è vita in lui. Guarda la terra: essa è nella mente del suo Creatore; guarda il cielo: esso è in quella mente; guarda il sole e la luna: sono anch'essi nella mente creatrice. E mentre fuori di essa sono corpi, nella mente di Dio sono vita. Cercate di capirmi, se potete. Il tema è grandioso. E questa grandezza non deriva da me o per mezzo di me che lo affronto, che evidentemente non sono grande, ma da colui che davvero è grande. Non sono io che ho detto queste cose. Io sono piccolo; ma non è piccolo colui al quale io mi rivolgo per potervele comunicare. Comprenda ciascuno come può, quanto può; e chi non può, nutra il suo cuore per arrivare a comprendere. E di che lo nutrirà? Si nutra di latte, e diventerà capace di cibo solido. Non si allontani da Cristo nato dalla carne, finché arriverà a Cristo nato dall'unico Padre, al Verbo che è Dio presso Dio, per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte: quella è infatti la vita che in lui è luce degli uomini.

Dal commento al Vangelo di Giovanni
Credente
00lunedì 1 marzo 2010 09:47
Il matrimonio è un bene.

3. 3. Ciò che vogliamo dire ora, riferendoci a questa condizione di nascita e di morte che conosciamo e nella quale siamo stati creati, è che il connubio del maschio e della femmina è un bene. E tale unione è approvata a tal punto dalla divina Scrittura che non è consentito di passare a nuove nozze a una donna ripudiata dal marito, finché il marito vive, né è consentito di risposarsi all'uomo respinto dalla moglie, finché non sia morta quella che lo ha abbandonato. Se dunque il matrimonio è un bene, come viene confermato anche nel Vangelo, quando il Signore proibisce di ripudiare la moglie se non per fornicazione 8, e quando accoglie l'invito a partecipare a una cerimonia nuziale 9, ciò che giustamente si ricerca è per quali motivi sia un bene. E mi sembra che sia tale non solo per la procreazione dei figli, ma anche perché stringe una società naturale fra i due sessi. Altrimenti non continuerebbe a chiamarsi matrimonio anche nei vecchi, specie quando avessero perduto i figli, o non li avessero avuti affatto. Ora invece in un matrimonio riuscito, anche dopo molti anni, per quanto sia appassita l'attrazione giovanile tra il maschio e la femmina, rimane una viva disposizione d'affetto tra il marito e la moglie. Anzi, quanto migliori sono i coniugi, tanto più presto cominceranno ad astenersi di reciproco accordo dall'unione della carne: in tal modo non diventa in seguito inevitabile non potere più ciò che ancora si vorrebbe, ma si acquista il merito di aver rinunciato fin da prima a ciò che ancora si poteva. Se dunque ci si mantiene fedeli al rispetto e alla stima che un sesso deve all'altro, anche quando ormai il corpo di entrambi è stremato e quasi cadavere, rimane, tanto più sincera quanto più è sperimentata e tanto più accetta quanto più è dolce, la castità degli animi congiunti dal sacro rito. Hanno anche questo vantaggio i matrimoni, che l'intemperanza della carne o dell'età giovanile, anche se in sé è da riprovare, viene rivolta all'onesto scopo di propagare la prole, cosicché l'unione coniugale dal male della libidine produce un bene. Inoltre così la concupiscenza carnale viene frenata e in un certo qual modo arde più pudicamente, perché la mitiga il sentimento della paternità. Si frappone infatti una specie di dignità nell'ardore del piacere, se nel momento in cui l'uomo e la donna sono congiunti l'uno con l'altro, pensano di essere padre e madre.

Valore della fedeltà.

4. 4. A ciò si aggiunge che mentre essi si rendono a vicenda il debito coniugale, anche quando esigono questo dovere in maniera piuttosto eccessiva e sregolata, sono tenuti comunque alla reciproca fedeltà. E a questa fedeltà l'Apostolo attribuisce un diritto tanto grande da chiamarla potestà, quando dice: Non è la moglie che ha potestà sul proprio corpo, ma il marito; allo stesso modo non è il marito che ha potestà sul proprio corpo, ma la moglie 10. La violazione di questa fedeltà si dice adulterio, quando, o per impulso della propria libidine, o per accondiscendenza a quella altrui, si hanno rapporti con un'altra persona contrariamente al patto coniugale. Così si infrange la fedeltà, che anche nelle cose più basse e materiali è un grande bene dello spirito, e perciò è certo che essa dev'essere anteposta perfino alla conservazione fisica, sulla quale si fonda la nostra vita temporale. Un filo di paglia di fronte a un mucchio d'oro è praticamente un nulla; tuttavia la buona fede, quando viene osservata coscienziosamente, si tratti d'oro o di paglia, non sarà certo di minor valore perché è osservata in cosa di minor valore. Quando poi la lealtà viene impegnata per commettere un peccato, certo sorprende che si possa far ricorso lo stesso a questo termine; ma ad ogni modo, qualunque sia la natura di questa lealtà, se il peccato avviene anche contro di essa, è più grave. Si deve eccettuare solo il caso che essa sia trasgredita proprio per tornare alla buona fede autentica e legittima, cioè per correggere la perversione della volontà ed emendare il peccato. Poniamo il caso che uno, non potendo rapinare da solo una vittima, trovi un compagno nell'iniquità, e pattuisca con lui di compiere insieme il misfatto e di spartire il bottino, ma una volta commesso il delitto si tenga egli solo tutta la preda. Il compagno senza dubbio si rammarica e si lagna che non gli sia stata mantenuta la buona fede, ma nel suo stesso rincrescimento deve pensare che piuttosto la lealtà avrebbe dovuto essere osservata con una condotta onesta proprio nei confronti della società, perché non si depredasse ingiustamente un essere umano, se sente con quanta iniquità gli sia stata mancata la fede nell'alleanza delittuosa. L'altro, che fu disonesto da tutt'e due le parti, dev'essere giudicato senz'altro più colpevole. Ma se egli si fosse pentito del delitto commesso insieme e non avesse voluto dividere con il complice la preda proprio per restituirla a quello cui era stata strappata, neppure il traditore lo potrebbe giudicare traditore. Ugualmente, se una donna che tradisce la fedeltà coniugale, è fedele all'amante, è in ogni caso una donna colpevole; ma se non lo è neppure all'amante, è peggiore. Però se essa si pente della colpa, e tornando alla castità coniugale scioglie l'accordo adulterino, mi sorprenderebbe se proprio l'amante la considerasse una traditrice.

Senza l'intenzione della fedeltà e l'accettazione della prole non vi può essere matrimonio.

5. 5. Ci si domanda anche per solito se si deve parlare di matrimonio, quando un uomo e una donna, entrambi liberi da altri legami coniugali, si uniscono non per procreare figlioli, ma solo per soddisfare la reciproca intemperanza, ponendo però tra di loro la condizione che nessuno dei due abbia rapporti con altra persona. In un caso del genere forse parlare di matrimonio non sarebbe fuor di proposito, purché essi osservino vicendevolmente questa condizione fino alla morte di uno dei due e purché, anche non essendosi uniti a questo scopo, tuttavia non abbiano escluso la prole, come avviene invece quando la nascita di figli non è desiderata o addirittura è evitata con qualche pratica riprovevole. Ma se mancano i due elementi della fedeltà e della prole, o anche uno solo di essi, non vedo in qual maniera potremo chiamare matrimonio simili unioni. In effetti, se un uomo si unisce temporaneamente con una compagna, finché non ne trovi da sposare un'altra all'altezza della sua condizione sociale ed economica, nell'intenzione è un adultero, e non con quella che intende trovare, ma con questa con la quale vive maritalmente, pur non essendo unito a lei da matrimonio. Perciò anche la donna che conosce ed accetta questa situazione mantiene un rapporto senz'altro impudico con colui al quale non è congiunta dal patto coniugale. Certo, se ella si mantiene fedele, e dopo che l'uomo si è sposato regolarmente non pensa a sposarsi a sua volta, ma da parte sua si prepara a rinunciare del tutto alla vita coniugale, non oserei chiamarla adultera alla leggera; però nessuno potrà sostenere che non pecca, quando risulta unita a un uomo di cui non è la moglie. Ad ogni modo, se una donna simile, per quello che la riguarda, da quell'unione non desidera altro che i figli, e tutto ciò che subisce oltre lo scopo della procreazione lo subisce contro voglia, certo deve essere anteposta a molte maritate che abusano dei loro diritti: infatti queste, benché non siano adultere, spesso costringono i mariti, pur desiderosi di astenersi, ad assolvere il debito coniugale, non per il desiderio di avere figli, ma per l'ardore della concupiscenza. Però anche nel matrimonio di donne simili c'è appunto questo di buono, che sono maritate. E per questo si sono sposate, perché, ridotta al vincolo legittimo, la loro concupiscenza non vada traboccando senza freno e senza regola. Anzi in tal modo contro la congenita e irrefrenabile debolezza della carne essa trova nel matrimonio il legame indissolubile della fedeltà, e se, per se stessa, tende a una progressiva sregolatezza dei sensi, dal matrimonio riceve la casta regola della procreazione. Certo è vergognoso fare del marito uno strumento di libidine, tuttavia è onesto non volersi unire se non al marito e non aver figli se non dal marito.

6. Ci sono anche uomini incontinenti a tal punto, che non hanno riguardo neppure per le mogli che hanno già concepito, ma qualsiasi cosa facciano tra loro gli sposi di sregolato, di vergognoso o di abietto è difetto degli uomini, non colpa delle nozze.

I rapporti coniugali, anche eccessivi, evitano colpe più gravi.

6. 6. Nel caso quindi che il dovere coniugale sia preteso in maniera eccessiva, l'Apostolo non dà una norma vincolante, ma per indulgenza concede agli sposi che si possano unire anche senza lo scopo della procreazione. Perciò benché siano i cattivi costumi a spingere i coniugi a questi rapporti, le nozze li difendono dall'adulterio e dalla fornicazione. Infatti non è che quegli eccessi siano consentiti grazie alle nozze, ma grazie alle nozze sono perdonati. Pertanto gli sposi sono tenuti alla fedeltà nei rapporti sessuali intesi alla procreazione dei figli, e questa è la prima forma di società conosciuta dal genere umano in questa vita mortale. Ma hanno anche l'obbligo di darsi sostegno reciprocamente nella debolezza della carne, per evitare rapporti illeciti; così, anche se ad uno di essi piacesse una perpetua continenza, non vi si può attenere senza il consenso dell'altro. Per questo infatti non è la moglie che ha potestà sul proprio corpo, ma il marito; allo stesso modo non è il marito che ha potestà sul proprio corpo, ma la moglie 11. Quindi anche ciò che l'uno pretende dal matrimonio o l'altra dal marito non a motivo della procreazione, ma della debolezza carnale, non deve essere reciprocamente negato, perché l'incontinenza, sia essa di un solo coniuge o di entrambi, sotto la tentazione di Satana, non li trascini in colpevoli depravazioni 12. Infatti quando il rapporto coniugale avviene con lo scopo di procreare è senza colpa; quando avviene per soddisfare la concupiscenza, ma con il coniuge a motivo della fedeltà coniugale, rappresenta una colpa veniale; l'adulterioo la fornicazione rappresentano un peccato mortale. E per questo l'astensione da ogni rapporto è senz'altro preferibile addirittura allo stesso rapporto coniugale che avviene per procreare. invece

7. Quell'astensione comporta certo un maggior merito, ma rendere il debito coniugale non è affatto una colpa, esigerlo oltre la necessità di procreare è un peccato veniale, fornicare addirittura o commettere adulterio è un peccato da punire. Dunque l'affetto coniugale deve badare a non provocare la dannazione dell'altro, cercando di procacciare maggiori meriti per sé. Infatti chi ripudia la propria moglie, eccettuato il caso di fornicazione, la induce a commettere adulterio 13. Una volta che il patto nuziale è stato stretto, riveste una forma tale di sacramento, che non viene annullato neppure con la stessa separazione: la donna, finché vive il marito che l'ha abbandonata, se sposa un altro commette adulterio; e la responsabilità della colpa ricade su colui che l'ha ripudiata.

Il sacramento rende indissolubile il matrimonio.

7. 7. Mi sembrerebbe strano, poi, se dal fatto che è consentito ripudiare una moglie adultera si deducesse che, ripudiata quella, è pure consentito prenderne un'altra. A questo punto infatti la sacra Scrittura presenta un difficile problema. L'Apostolo dice che per ordine del Signore la donna non deve abbandonare il marito, ma se lo abbandona non deve passare a nuove nozze, oppure deve riconciliarsi con lui 14. L'unico caso in cui può abbandonare il marito, sempre senza passare a nuove nozze, è che questi sia adultero; altrimenti, abbandonando un uomo che adultero non è, lo indurrebbe a diventarlo. Probabilmente è possibile e giusto che la donna si riconcili con il marito, o sopportando, se essa non è capace di osservare la continenza, oppure aspettando che si sia emendato. Come poi possa essere permesso all'uomo di risposarsi, dopo aver ripudiato una moglie adultera, io proprio non lo vedo, dal momento che alla donna che ha abbandonato un marito adultero ciò non è permesso. Se le cose stanno così, quel vincolo che unisce i coniugi ha una forza tale che, pur essendo stato stretto allo scopo di procreare, non può essere sciolto neppure per questo stesso scopo di procreare. Infatti un uomo potrebbe rimandare la moglie sterile e prenderne una da cui avere figli, e invece non è consentito; e ormai ai tempi nostri e secondo il costume romano non è consentito nemmeno avere più mogli in vita contemporaneamente. Eppure senz'altro, se l'uno o l'altra si risposasse di nuovo, abbandonato il coniuge adultero, potrebbero nascere diverse creature. Ma se ciò non è consentito, come sembra prescrivere la regola divina, a nessuno può certo sfuggire che cosa significa una così assoluta fermezza del vincolo coniugale. Io penso che in nessun modo esso potrebbe avere una forza così grande se, pur nella condizione umana di debolezza e mortalità, non assumesse il sigillo di un valore più alto: ma questo sigillo, anche quando gli uomini cercano di staccarsene o di scioglierlo, rimane incancellabile fino al loro castigo. Giacché non si abolisce l'unione nuziale neppure quando interviene il divorzio; di modo che i coniugi sono tra loro tali anche se separati, mentre commettono adulterio con quelli con i quali si uniscono anche dopo il ripudio, sia la donna con un uomo che un uomo con una donna. Ma questa condizione coniugale non appartiene che alla città del nostro Dio, sul suo santo monte 

Credente
00lunedì 1 marzo 2010 10:14
La penetrazione dei numeri utile per l'approfondimento della Scrittura.

16. 25. L'ignoranza dei numeri impedisce di comprendere molte cose poste nella Scrittura in forma traslata o figurativa. Ad esempio, una mente che io chiamerei nobile non può non rimanere sorpresa dal perché mai Mosè, Elia e lo stesso nostro Signore abbiano digiunato quaranta giorni 35. Questo fatto comporta un groviglio di simbologie che non si scioglie se non mediante la conoscenza e la meditazione del numero in parola, il quale contiene il dieci preso quattro volte, quasi che si sia voluta inserire nel tempo la conoscenza di tutte le cose. Difatti il corso del giorno e dell'anno si svolgono sulla base del numero quattro: il giorno secondo frazioni orarie costituenti il mattino, il mezzogiorno, la sera e la notte; l'anno, secondo i mesi, della primavera, dell'estate, dell'autunno e dell'inverno. Orbene, noi, che pur viviamo nel tempo, ci dobbiamo astenere, o con altro termine " digiunare ", dai piaceri temporali in vista dell'eternità nella quale vogliamo avere la vita. Anzi, dallo stesso fluire del tempo ci si offre l'ammaestramento del disprezzo delle cose temporali e della brama delle cose eterne. Quanto poi al numero dieci, esso a sua volta ci inculca simbolicamente la conoscenza del Creatore e della creatura; l'essere trino infatti è proprio del Creatore, mentre il sette indica la creatura, a motivo della vita e del suo corpo. Nella vita infatti ci sono tre elementi, per i quali ci si dice anche di amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente 36. Quanto poi al corpo, vi appaiono manifestissimi i quattro elementi da cui risulta. In questo numero dieci presentato a noi nella prospettiva temporale, mentre lo si moltiplica per quattro, ci si dà l'ordine di vivere con castità e continenza, segregati dai piaceri temporali, che sarebbe poi il digiunare per quaranta giorni. A questo ci richiama la legge, rappresentata dalla persona di Mosè, a questo i Profeti rappresentati da Elia; a questo lo stesso nostro Signore, che, quasi ricevesse la testimonianza dalla Legge e dai Profeti, là sul monte risplendette in mezzo a loro di fronte ai tre discepoli che lo guardavano stupiti 37. Successivamente si ricerca come dal numero quaranta si formi il cinquanta, numero altamente sacro nella nostra religione a motivo della Pentecoste 38. Questo numero moltiplicato per tre - a motivo dei tre periodi: prima della legge, sotto la legge e sotto la grazia, o a motivo del nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo - con l'aggiunta eminentissima, cioè, della stessa Trinità si riferisce al mistero della Chiesa quando sarà perfettamente purificata. Si arriverà cioè a quei centocinquantatré pesci, presi dalle reti gettate a destra nella pesca dopo la risurrezione del Signore 39. Così in moltissime altre forme numeriche certe misteriose rappresentazioni sono poste nelle sacre Scritture, forme che rimangono inesplorate ai lettori a causa dell'ignoranza dei numeri.


AmarDio
00martedì 9 marzo 2010 13:05
Dal commento di s.Agostino al Vangelo di Giovanni

Tommaso, uno dei dodici, detto Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: Abbiamo veduto il Signore! Ma egli disse loro: Se non vedo nelle sue mani il foro dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo costato, non credo. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa, e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, e si fermò nel mezzo, e disse: Pace a Voi! Poi dice a Tommaso: Poni qui il tuo dito, e vedi le mie mani; e porgi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere incredulo ma credente! Gli rispose Tommaso: Signore mio e Dio mio! Vedeva e toccava l'uomo, ma confessava Dio che non vedeva né toccava. Attraverso ciò che vedeva e toccava, rimosso ormai ogni dubbio, credette in ciò che non vedeva. Gesù gli dice: Hai creduto, perché mi hai veduto. Non gli dice: perché mi hai toccato, ma perché mi hai veduto; poiché la vista è come un senso che riassume tutti gli altri. Infatti nominando la vista siamo soliti intendere anche gli altri quattro sensi, come quando diciamo: Ascolta e vedi che soave melodia, aspira e vedi che buon odore, gusta e vedi che buon sapore, tocca e vedi come è caldo. Sempre si dice "vedi", anche se vedere è proprio degli occhi. E' così che il Signore stesso dice a Tommaso: Poni qui il tuo dito e vedi le mie mani. Gli dice: Tocca e vedi, anche se Tommaso non aveva certo gli occhi nelle dita. Dicendo: Hai creduto perché hai veduto, il Signore si riferisce sia al vedere che al toccare. Si potrebbe anche dire che il discepolo non osò toccarlo, sebbene il Signore lo invitasse a farlo. L'evangelista infatti non dice che Tommaso lo abbia toccato. Sia che lo abbia soltanto guardato, sia che lo abbia anche toccato, ha creduto perché ha veduto; e perciò il Signore esalta e loda, a preferenza, la fede dei popoli, dicendo: Beati quelli che pur non vedendo, avranno creduto! (Gv 20, 24-29). Usa il tempo passato, in quanto egli considera, nella predestinazione, come già avvenuto ciò che sarebbe avvenuto nel futuro.
Coordin.
00giovedì 18 marzo 2010 22:26

Rivolgiamo domande al Signore su quale che sia la base del giudizio e, in una discussione umilissima, entriamo in colloquio con un Padre di famiglia così eccelso. Che dici, o Signore, o Pastore buono? Tu sei infatti il buon Pastore, tu che sei mite Agnello, il medesimo Pastore e pascolo, il medesimo Agnello e leone. Che dici? Vogliamo ascoltare, tu aiutaci ad intendere. Io sono - dice - il buon pastore. Chi è Pietro? O non è pastore, o non è buono? Vediamo se non è pastore. Mi ami? Tu, Signore, gli dicesti: Mi ami? Rispose: Amo. E tu a lui: Pasci le mie pecore. Tu, proprio tu, Signore, con la tua domanda, con la conferma autorevole della tua bocca, dell'amante facesti il pastore. Quindi è pastore colui al quale hai affidato le pecore da condurre al pascolo. Lo hai raccomandato tu stesso, è pastore. Ora vediamo se non è buono. Veniamo a scoprirlo appunto nella domanda e nella risposta di lui. Tu chiedesti se ti amasse. Rispose: Amo. Tu vedesti il cuore e che rispose il vero. Non è buono allora chi ama il Buono per eccellenza? Donde viene una risposta tratta dal più profondo di sé? Donde quel Pietro che ha nel suo cuore, testimoni i tuoi occhi, rattristato perché tu gli rivolgesti la domanda non solo uan volta, ma una seconda e una terza, in modo da cancellare con una triplice confessione di amore il peccato del rinnegamento tre volte ripetuto; ecco quindi il motivo del suo rattristarsi, nell'essere stato ripetutamente richiesto da lui che sapeva quale sarebbe stata la risposta alla sua domanda e aveva già donato quello che andava ascoltando; di ciò rattristato, esce in questa espressione: Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo 6. Poteva egli mentire nel fare una tale confessione, anzi, nel dichiarare il suo impegno? Perciò, in risposta, disse sinceramente il suo amore per te, e dal profondo del cuore fece udire la voce dell'amante. Ma tu hai detto: L'uomo buono dal suo buon tesoro trae cose buone 7. Di conseguenza, e pastore e buon pastore; certamente un nulla a confronto con la potenza e la bontà del Pastore dei pastori, ma tuttavia anch'egli e pastore e buono, e ugualmente buoni gli altri pastori.

Uno solo, tuttavia, il buon pastore: Cristo.
5.
Perché non fai valere presso i buoni pastori un solo pastore, se non in quanto nell'unico Pastore fai conoscere l'unità? E il Signore stesso lo espone più chiaramente mediante il nostro ministero richiamando alla memoria della Carità vostra il medesimo passo del Vangelo, e dicendo: Ascoltate che cosa ho raccomandato; ho detto: Io sono il buon pastore , perché tutti gli altri, tutti i pastori buoni sono mie membra. Un solo Capo, un solo corpo, un solo Cristo.Ne segue che egli è anche il Pastore dei pastori, e i molti pastori appartengono a un solo pastore, e le pecore sono insieme ai pastori. Tali espressioni che altro dicono, se non quanto afferma l'Apostolo: Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra; e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo; così anche Cristo ? Perciò se così anche Cristo, giustamente Cristo, avendo in sé tutti i pastori buoni, fa valere uno solo, dicendo: Io sono il buon pastore. Io sono, io sono uno, tutti con me nell'unità sono una cosa sola. Chi pasce indipendentemente da me, pasce in opposizione a me. Chi non raccoglie con me, disperde. Ascoltate allora come quella medesima unità sia raccomandata con più ardore. Ho altre pecore - egli dice - che non sono di questo ovile. Si riferiva infatti al primo ovile della stirpe di Israele. Ma c'erano altri Israeliti secondo la fede, che erano ancora fuori, in mezzo ai pagani, predestinati, non ancora radunati. Li conosceva chi li aveva predestinati; li conosceva chi era venuto a redimerli versando il proprio sangue. Vedeva quelli che non vedevano ancora; conosceva quelli che ancora non credevano in lui. Ho altre pecore - egli dice - che non sono di questo ovile, perché non sono della stirpe di Israele. Ma tuttavia non saranno fuori di questo ovile perché anche queste devo condurre così che si faccia un solo gregge ed un solo pastore
AmarDio
00venerdì 2 aprile 2010 16:16
OMELIA 56

La lavanda dei piedi.

Sempre ci lava i piedi, colui che sempre intercede per noi; e ogni giorno abbiamo bisogno di lavarci i piedi, cioè di dirigere i nostri passi sulla via della salvezza.

1. Essendosi messo a lavare i piedi dei discepoli, il Signore venne a Simon Pietro, il quale gli dice: Signore, tu lavare i piedi a me? (Gv 13, 6). Chi non si spaventerebbe nel vedersi lavare i piedi dal Figlio di Dio? Sebbene sia segno di temeraria audacia per il servo contraddire il Signore, per l'uomo opporsi a Dio, tuttavia Pietro preferì questo piuttosto che lasciarsi lavare i piedi dal suo Signore e Dio. Né dobbiamo credere che Pietro sia stato il solo a spaventarsi e a rifiutare il gesto del Signore, quasi che gli altri, prima di lui, avessero accettato volentieri e senza scomporsi quel servizio. Le parole del Vangelo, veramente, si lascerebbero più facilmente intendere nel senso che Gesù comincia a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli col panno di cui si era cinto, e subito dopo viene a Simon Pietro, facendo supporre che il Signore avesse già lavato i piedi a qualcuno, e che, dopo, fosse arrivato al "primo" degli Apostoli. Chi non sa infatti che il beatissimo Pietro era il primo degli Apostoli? In realtà non è da pensare che sia arrivato a lui dopo aver lavato i piedi ad altri, ma che abbia cominciato da lui. Quando, dunque, cominciò a lavare i piedi dei discepoli, si appressò a colui dal quale doveva cominciare, cioè a Pietro; e allora Pietro rimase senza fiato, come sarebbe rimasto senza fiato qualsiasi altro di loro, e disse: Signore, tu lavare i piedi a me? Tu? A me? E' meglio meditare che tentare di spiegare queste parole, nel timore che la lingua sia incapace di esprimere quanto l'anima è riuscita a concepire.

[La protesta di Pietro.]

2. Ma Gesù risponde, e gli dice: Ciò che io faccio, tu adesso non lo comprendi: lo comprenderai dopo. E tuttavia, sgomento per l'altezza di quel gesto del Signore, Pietro non lascia fare ciò di cui ancora non comprende il motivo: ancora non accetta, ancora non tollera che Cristo si umili ai suoi piedi. Non mi laverai - gli dice - i piedi in eterno. Che significa in eterno? Significa: mai accetterò, mai sopporterò, mai permetterò una cosa simile. Si dice infatti che una cosa non accadrà in eterno se non accadrà mai. Allora il Salvatore vince la riluttanza del malato spaventandolo col pericolo che corre la sua salute. Gli risponde: Se non ti laverò, non avrai parte con me. Gli dice: Se non ti laverò, pur trattandosi soltanto dei piedi, così come si usa dire: "mi calpesti", quando soltanto i piedi vengono calpestati. Ma Pietro combattuto fra l'amore e il timore, spaventato più all'idea di perdere Cristo che di vederselo umiliato ai suoi piedi, Signore - dice - non soltanto i piedi, ma anche le mani e il capo! (Gv 13, 7-9). Cioè, davanti a questa minaccia, io ti do da lavare tutte le mie membra; non solo non ti sottraggo più quelle inferiori, ma ti presento altresì quelle superiori. Purché tu non mi rifiuti di aver parte con te, non ti rifiuto nessuna parte del mio corpo che tu voglia lavare.

3. Gli risponde Gesù: Chi si è lavato, non ha bisogno che di lavarsi i piedi; ed è tutto mondo (Gv 13, 10). Può darsi che qualcuno colpito, si domandi: Se è del tutto mondo, che bisogno ha di lavarsi i piedi? Il Signore però sapeva quel che diceva, anche se la nostra debolezza non riesce a penetrare i suoi segreti. Tuttavia, nella misura che egli si degna istruirci ed educarci con la sua legge, per quel poco che mi è dato di capire e di esprimere, tenterò con il suo aiuto, di dare una risposta a questo problema profondo. Anzitutto non mi è difficile dimostrare che nelle parole del Signore non vi sono contraddizioni. Non si può forse dire, parlando correttamente, che uno è del tutto mondo eccetto che nei piedi? Sarebbe più elegante dire: è del tutto mondo, ma non i piedi; il che è lo stesso. E' questo che il Signore dice: Non ha bisogno che di lavarsi i piedi, perché è del tutto mondo. Vale a dire: è interamente pulito, eccetto i piedi, oppure: ha bisogno di lavarsi soltanto i piedi.

4. Ma perché questa frase? che vuol dire? e perché è necessario ricercarne il significato? E' il Signore che così si esprime, è la verità che parla: anche chi è pulito ha bisogno di lavarsi i piedi. A che cosa vi fa pensare, fratelli miei? A che cosa se non a questo, che l'uomo nel santo battesimo è lavato tutto intero compresi i piedi, tutto completamente; ma siccome poi deve vivere nella condizione umana, non può fare a meno di calcare con i piedi la terra? Gli stessi affetti umani, di cui non si può fare a meno in questa vita mortale, sono come i piedi con cui ci mescoliamo alle cose terrene; talmente che, se ci dicessimo immuni dal peccato, inganneremmo noi stessi e la verità non sarebbe in noi (cf. 1 Io 1, 8). Ogni giorno ci lava i piedi colui che intercede per noi (cf. Rm 8, 34); e ogni giorno noi abbiamo bisogno di lavarci i piedi, cioè di raddrizzare i nostri passi sulla via dello spirito, come confessiamo quando nell'orazione del Signore diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori (Mt 6, 12). Se infatti - come sta scritto - confessiamo i nostri peccati, colui che lavò i piedi ai suoi discepoli senza dubbio è fedele e giusto da rimetterceli e purificarci da ogni iniquità (1 Io 1, 9), cioè da purificarci anche i piedi con cui camminiamo sulla terra.

[Cristo purifica la sua Chiesa.]

5. La Chiesa dunque, che Cristo purifica con il lavacro dell'acqua mediante la parola, è senza macchia e senza rughe (cf. Ef 5, 26-27) in coloro che subito dopo il lavacro di rigenerazione vengono sottratti al contagio di questa vita, cosicché, non calpestando la terra, non hanno bisogno di lavarsi i piedi; non solo: lo è pure in coloro ai quali la misericordia del Signore ha concesso di emigrare da questo mondo anche con i piedi lavati. Ma anche ammesso che la Chiesa sia pura in coloro che dimorando in terra vivono degnamente, questi tuttavia hanno bisogno di lavarsi i piedi, non essendo del tutto senza peccato. Perciò il Cantico dei Cantici dice: Mi son lavati i piedi; dovrò ancora sporcarmeli? (Ct 5, 3). La Sposa dice così in quanto, per raggiungere Cristo, deve camminare sulla terra. Si presenta qui un'altra difficoltà. Cristo non è forse lassù in alto? Non è forse asceso in cielo, dove siede alla destra del Padre? Non esclama l'Apostolo: Se siete risuscitati con Cristo, cercate le cose che stanno in alto, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; abbiate la mente alle cose dell'alto, non a quelle della terra (Col 3, 1-2)? Come mai allora, per raggiungere Cristo, siamo costretti a camminare coi piedi in terra, dal momento che occorre piuttosto avere il cuore in alto verso il Signore, per poter essere sempre con lui? Vedete bene, o fratelli, che oggi non abbiamo il tempo per affrontare con calma una tale questione. Anche se voi non ve ne rendete conto, io vedo che occorre un serio approfondimento. Perciò vi chiedo di rimandarla piuttosto che trattare la questione con fretta e superficialmente, non defraudando ma rinviando la vostra attesa. Il Signore, che oggi ci fa vostri debitori, ci concederà di pagare il debito.
Credente
00domenica 4 aprile 2010 08:56

Dal DISCORSO 116

SULLE PAROLE DEL VANGELO DI LC 24, 36 47:
"GESÙ APPARVE IN MEZZO A LORO E DISSE: LA PACE SIA CON VOI" ECC.

Cristo risorto apparve con il corpo.

1. 1. Come avete sentito, il Signore dopo la sua risurrezione apparve ai suoi discepoli e li salutò dicendo: La pace sia con voi 1. Ecco, la pace è il saluto della salvezza, poiché lo stesso termine "salute" prende il nome dalla salvezza. Che c'è dunque di meglio del fatto che la stessa Salvezza saluti l'uomo? La nostra salvezza infatti è Cristo. Proprio lui è la nostra salvezza, lui che fu per noi coperto di ferite, inchiodato sul legno della croce e poi, deposto dal legno, fu posto nel sepolcro. Dal sepolcro però risorse con le ferite risanate, ma conservando le cicatrici. Giudicò infatti fosse utile per i suoi discepoli che fossero conservate le sue cicatrici, perché venissero guarite con esse le ferite del loro cuore. Quali ferite? Le ferite dell'incredulità. Poiché egli apparve ai loro occhi mostrando la sua carne reale, ma essi credettero di vedere uno spirito. Questa è una ferita non leggera del cuore, poiché coloro che conservarono questa ferita diedero origine a una eresia funesta. Non crederemo dunque che i discepoli furono feriti per il fatto che furono guariti presto? La Carità vostra rifletta: se i discepoli fossero rimasti con quella ferita, credendo che il corpo sepolto di Cristo non fosse risorto, ma che uno spirito avesse ingannato gli occhi umani prendendo l'apparenza di un corpo; se fossero rimasti con questa fede, o meglio in questo rifiuto della fede, si sarebbe dovuto piangere la loro morte spirituale e non le loro ferite.

Il dubbio dei discepoli.

2. 2. Ma che cosa dice il Signore Gesù? Perché siete turbati e nel vostro cuore sorgono tali pensieri? 2. Se nel vostro cuore sorgono tali pensieri, essi provengono dalla terra. Ciò ch'è bene per l'uomo non è già che dei pensieri si elevino nel suo cuore, ma che il suo cuore ascenda in alto, dove l'Apostolo voleva mettere il cuore dei credenti, ai quali diceva: Se siete risorti con Cristo, pensate alle cose del cielo, dove Cristo è assiso alla destra di Dio; cercate le cose del cielo e non quelle della terra. Voi infatti siete già morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio; quando apparirà Cristo, ch'è la vostra vita, allora anche voi apparirete nella gloria insieme con lui 3. In quale gloria? In quella della risurrezione. In quale gloria? Ascolta l'Apostolo il quale, a proposito di questo corpo, afferma: È seminato nel disonore, ma risorgerà nella gloria 4. Gli Apostoli non volevano attribuire questa gloria al loro Maestro, al loro Cristo, al loro Signore; non credevano che avesse potuto risuscitare il suo corpo dal sepolcro; lo credevano uno spirito, eppure vedevano il corpo ma non prestavano fede ai propri occhi. Noi invece crediamo alla loro parola senza che ci mostrino il Cristo risuscitato. Ecco, a Cristo in persona, che faceva vedere se stesso, non credevano. Ferita funesta! Si mostrino le medicine per le cicatrici. Perché siete turbati e pensieri [di dubbio] sorgono nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi 5, ove fui inchiodato. Toccatemi e guardate 6. Ma voi guardate senza guardare. Toccatemi e guardate. Che cosa? Che uno spirito non ha né ossa né carne, come vedete che ho io 7. E dicendo ciò (così è stato letto) mostrò loro le mani e i piedi 8.

Come gli Apostoli venivano convinti della risurrezione di Cristo.

3. 3. Ma essi erano ancora esitanti a credere, stupefatti per la gioia 9. C'era già la gioia, ma persisteva ancora l'esitazione a credere. S'era infatti avverato un fatto incredibile, ma tuttavia s'era avverato! È forse ora incredibile che il corpo del Signore è risorto dal sepolcro? Lo ha creduto tutto il mondo; chi però non ha creduto è rimasto immondo. Allora tuttavia era un fatto incredibile, e [da Cristo] veniva mostrato non solo agli occhi ma ancora alle mani, al fine di far entrare nel cuore la fede mediante i sensi del corpo e in tal modo potesse essere annunciato per tutto il mondo a coloro che non avrebbero visto o toccato e tuttavia avrebbero creduto senza aver dubbi. Avete qui - disse - qualcosa da mangiare? 10. Quante prove aggiunse per confermare la fede il buon Maestro della fede! Non aveva fame, eppure chiedeva da mangiare. Egli quindi mangiò perché ne aveva volontà, non perché ne avesse necessità. I discepoli dunque riconoscano la realtà del corpo, come lo riconobbe il mondo grazie alla loro predicazione.

Credente
00mercoledì 19 maggio 2010 12:55

IL COMBATTIMENTO CRISTIANO

 

Il diavolo è il nostro avversario.

1. 1. La corona della vittoria non si promette se non a coloro che combattono. Nelle divine Scritture, inoltre, troviamo con frequenza che si promette a noi la corona, se vinceremo. Ma per non dilungarci a richiamare molti passi, presso l’apostolo Paolo si legge con molta chiarezza: Ho compiuto la mia opera, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede, ora mi resta la corona di giustizia. Dobbiamo dunque conoscere quale sia questo avversario, vinto il quale, saremo incoronati. È quello stesso che il Signore nostro vinse per primo, sicché anche noi, se perseveriamo in lui. E perciò la Potenza e la Sapienza di Dio  e il Verbo, per mezzo del quale furono fatte tutte le cose, che è il Figlio unigenito, rimane immutabile al di sopra di ogni creatura. E poiché sotto di Lui sta anche la creatura che non ha peccato, quanto più sta sotto di Lui ogni creatura peccatrice? E poiché sotto di Lui sono tutti gli angeli santi, molto più a Lui sono sottoposti gli angeli prevaricatori, di cui il diavolo è il capo. Ma poiché quest’ultimo aveva ingannato la nostra natura, l’unigenito Figlio di Dio si è degnato di assumere la nostra stessa natura, affinché da essa stessa fosse vinto il diavolo, e quello che il Figlio di Dio ha sottoposto a sé, fosse sottoposto anche a noi. È appunto quello che indica quando dice: Il principe di questo mondo è stato cacciato fuori. Non perché il diavolo è stato cacciato fuori dal mondo, come credono alcuni eretici, ma fuori dalle anime di coloro che aderiscono alla parola di Dio e non amano il mondo, di cui egli è il capo; infatti egli domina su quelli che amano le cose temporali, che sono contenute in questo mondo visibile, non perché egli sia padrone di questo mondo, ma perché è fonte di tutte quelle cupidige, per le quali si brama tutto ciò che è passeggero, cosicché a lui sono soggetti quelli che trascurano l’eterno Dio ed amano le cose caduche e mutevoli. La radice di tutti i mali è la cupidigia: seguendo la quale alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da sé tormentati con molti dolori . Per mezzo di questa cupidigia il diavolo regna sull’uomo e occupa il suo cuore. Tali sono tutti quelli che amano questo mondo. Il diavolo poi è cacciato fuori, quando di tutto cuore si rinuncia a questo mondo. Così infatti si rinuncia al diavolo, che è principe di questo mondo, quando si rinuncia a ciò che è corrotto, alle pompe e ai suoi corifei. Ecco perché lo stesso Signore, avendo già assunto trionfalmente la natura dell’uomo, disse: Sappiate che io ho vinto il mondo .

Occorre vincere la cupidigia per vincere il diavolo.

Credente
00lunedì 14 febbraio 2011 10:15
La carità si consegue e si custodisce con l’umiltà.

Contro la superbia, madre dell’invidia, principalmente lotta tutta l’ascesi cristiana. Questa insegna l’umiltà, con la quale si consegue e si custodisce la carità, di cui sta scritto: La carità non è invidiosa. E, come se gli andassimo a chiedere il motivo per cui non è invidiosa, subito aggiunge: La carità non si gonfia. (1Cor 13, 4) È come se dicesse: Non è invidiosa perché non è superba. Il Maestro dell’umiltà, Cristo, cominciò con l’annientare se stesso prendendo la forma di schiavo, diventando simile agli uomini e, quanto all’aspetto esterno, riscontrato effettivamente come un uomo. Umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte, e morte di croce. (Fil 2, 7-8) Quanto poi alla sua dottrina, chi potrà spiegare con linguaggio semplice con quanta solerzia ci inculchi l’umiltà e come insista fortemente nel comandarla? E chi riuscirà a raccogliere tutte le testimonianze che illustrano questo argomento? Per portare a termine una tale impresa o solo per provarci, occorrerebbe scrivere un libro a parte proprio sull’umiltà. Mentre l’argomento di quest’opera è un altro: e dell’umiltà ci si occupa solo perché da un bene così grande deve, con ogni cura, essere tenuta lontana la superbia.

(De s. virginitate 31.31)
Credente
00sabato 5 marzo 2011 11:42
IL MALE E LA VERITÀ

Sant'Agostino, Confessioni, VII, 12-20.



Allora mi fu chiaro anche che sono buone le cose soggette a corruzione, perché non potrebbero corrompersi né se fossero sommi beni, nè se non fossero beni. Se fossero beni sommi, sarebbero incorruttibili. Se non fossero beni per nulla, non avrebbero in sé nulla di corruttibile. La corruzione è infatti un danno; se la sua opera non consistesse nell'alterare ciò che è buono, non farebbe certo danno. E dunque: o la corruzione non è un danno, il che è impossibile; oppure, ed è cosa certissima, tutte le cose che si corrompono patiscono privazione di valore. Se poi sono private di tutto quanto il bene, allora non potranno esistere più. Se invece esistono senza possibilità di corruzione, allora esistono in una condizione migliore, perché rimangono incorruttibili. Qual cosa può essere più assurda di questa e cioè pretendere che una cosa divenga migliore per aver perduto ogni bene? Dunque la privazione completa di ogni valore equivale alla non esistenza delle cose. Perciò finché sono, sono bene. Dunque tutto ciì che esiste è bene; e il male, di cui cercavo l'origine, non è una sostanza, se fosse tale infatti sarehbe bene. Infatti o sarebbe una sostanza incorruttibile, e allora sarebbe inevitabilmente un grande bene; o sarebbe una sostanza corruttibile, ma allora questa non potrebbe certo corrompersi, senza essere buona. Così vidi e mi fu chiaro che tu hai fatto buone tutte le cose e che non c'è nessuna sostanza che tu non abbia fatto. E poiché non hai fatto tutte le cose uguali, è per questo che esse sono buone singolarmente e sono buone nella loro totalità. Infatti il nostro Dio ha fatto tutte le cose assai buone. Quindi per te il male non esiste affatto; non solo per te, ma neppure per tutto ciò che tu hai creato, perché fuori della tua creazione non esiste cosa che, irrompendo, possa sconvolgere l'ordine che tu vi hai imposto. Tra le parti del creato ve ne sono certo alcune che, per non essere in accordo con alcune altre, sono giudicate cattive, mentre si accordano con altre ancora e perciò sono buone e sono buone in se stesse. Inoltre tutte queste parti che non si accordano fra loro, si accordano poi con la porzione inferiore dell'universo, che noi chiamiamo terra, la quale è provvista di un suo cielo, percorso da nubi e da venti, a lei confacente. Ormai mi guarderò bene dal dire: Potessero non esistere, cose di tal genere! Quand'anche vedessi soltanto queste cose, potrei certo desiderarne di migliori, ma non potrei mancare di lodarti anche per esse.
[...]
E capii per esperienza che non c'è da stupirsi se ad un palato malato il pane stesso, così gradito ad un palato sano, è penoso e se la luce, amabile per gli occhi limpidi, è odiosa per quelli feriti. Così la tua giustizia è sgradita ai cattivi. Tanto più lo sono la vipera ed il vermiciatolo, che tu hai creato buoni, adatti alle parti inferiori del creato. A queste i malvagi si adattano nella misura in cui non ti assomigliano, mentre si accordano alle parti superiori nella misura in cui ti assomigliano. Cercai allora quale mai fosse l'essenza della malvagità e trovai che essa non è una sostanza, bensì la perversione della volontà, che si distoglie dalla sostanza per eccellenza, cioè da te, o Dio, per volgersi alle cose più basse, con le viscere proiettate fonti e il ventre tumefatto.
[...]
Ma allora, dopo la una lettura delle opere dei filosofi platonici, quando ebbi appreso a cercare la verità al di là delle realtà dei corpi, vidi le tue perfezioni invisibili, divenute intelligibili attraverso le cose create e, pur essendone respinto nel mio tentativo, compresi che cosa fosse questa verità che le tenebre dell'anima mia ancora non riti consentivano di contemplare. Ero certo che tu esisti; che tu sei infinito, senza tuttavia spanderti attraverso spazi finiti o infiniti; che tu sei veramente Colui che é, sempre medesimo a te stesso, serva mai diventare un altro, né essere diversamente in qualcuna delle tue parti o in taluno dei tuoi movimenti; che le altre cose procedono tutte quante da te, per
questa sola prova, però decisiva e cioè perché sono. Di tutto questo, io ne ero certo; tuttavia ero ancora troppo debole per godere di te. Cianciavo sì su questi ctrgamenti, come se fossi sapiente; ma se non avessi cercato la via nel Cristo, nostro Salvatore, sarei stato ben presto morente, e non sapiente. Mi aveva preso una smania di sembrare sapiente, pieno com'ero del mio castigo e non ne avevo gli occhi gonfi di pianto e per di più ero tutto orgoglioso della mia scienza. Non avevo infatti ancora quella carità che edifica sul fondamento dell'umiltà, che è Gesù Cristo. Quando mai quei libri me l'avrebbero insegnata? Tuttavia credo che tu abbia voluto ch'io m'imbattessi in quelli, prima di meditare le tue Scritture, perché si imprimessero nella mia memoria le disposizioni da essi lasciatemi, cosicché, quando poi i tuoi libri mi avessero ammansito e sotto il tocco delle tue dita avessi rimarginato le mie ferite, sapessi distinguere e rilevare la differenza che intercorre fra la presunzione e la confessione, fra coloro che vedono la mèta da raggiungere, ma non vedono la strada e la via che invece porta alla patria beata, non solo per vederla, ma pure per abitarla. Se fossi stato istruito fin dall'inizio dalle tue sante Scritture, se avessi assaporato la tua dolcezza, praticandole e se mi fossi imbattuto solo dopo in quelle opere, forse esse mi avrebbero sradicato dal fondamento della pietà. Oppure, se anche avessi perseguito nei sentimenti salutari di cui mi ero imbevuto, mi sarei immaginato che si poteva pur derivarli dal solo studio di quei libri.
Credente
00domenica 10 aprile 2011 12:24
Arrivato, dunque, Gesù trovò Lazzaro già da quattro giorni nella tomba (Gv 11, 15-17). Molto si potrebbe dire su questi quattro giorni, come di altri passi oscuri della Scrittura, che consentono diverse interpretazioni secondo la diversa capacità di chi legge. Diremo anche noi quello che ci sembra voglia significare il morto di quattro giorni. Come infatti nel cieco dalla nascita vedemmo rappresentato tutto il genere umano, così in questo morto possiamo vedervi rappresentati molti; poiché una medesima cosa può esser rappresentata in più modi. Quando l'uomo nasce, nasce già con la morte; perché eredita da Adamo il peccato. E' per questo che l'Apostolo dice: Per causa di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e mediante il peccato la morte, e in tal modo la morte passò in tutti gli uomini in cui tutti hanno peccato (Rm 5, 12). Ecco il primo giorno della morte, che l'uomo deriva dalla sua triste origine. Poi cresce, comincia a toccare l'età della ragione per cui prende coscienza della legge naturale che tutti gli uomini portano scritta nel cuore: Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te. Forse che questo s'impara sui libri, e non si legge invece nelle pagine della natura stessa? Vuoi forse essere derubato? Certamente non lo vuoi. Ecco la legge scolpita nel tuo cuore: Non fare ciò che non vuoi per te. Ma gli uomini trasgrediscono anche questa legge: ed ecco il secondo giorno della morte. Dio promulgò la legge per mezzo di Mosè suo servo; in essa sta scritto: Non uccidere, non commettere adulterio, non dire falsa testimonianza, onora il padre e la madre, non desiderare la roba del tuo prossimo, non desiderare la donna del tuo prossimo (Es 20, 12-17). Questa è la legge scritta, ed anch'essa viene disprezzata: ecco il terzo giorno della morte. Che cosa rimane? Viene il Vangelo, viene annunciato il Regno dei cieli, ovunque si predica Cristo; si minaccia l'inferno, si promette la vita eterna; ma anche questa legge viene disprezzata; gli uomini trasgrediscono il Vangelo: ecco il quarto giorno della morte. A ragione si può dire che ormai il morto emana fetore. Non ci sarà dunque misericordia per costoro? Non è possibile. Il Signore non disdegna di accostarsi anche a tutti questi morti per risuscitarli.

Dall'omelia 49 del commento al Vangelo di Giovanni
Coordin.
00lunedì 21 novembre 2011 08:35
L'INCREDIBILE E' DIVENUTO CREDIBILE
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... il mondo crede che il corpo di Cristo sia stato elevato al cielo e uomini dotti e ignoranti, ad eccezione di pochissimi, dotti o ignoranti, che restano ormai ostinati e stupefatti, hanno creduto alla resurrezione della carne ed alla ascensione al cielo. Se costoro hanno creduto ciò che è credibile, scoprano la propria stoltezza quelli che non credono; se invece hanno creduto una cosa incredibile, diventa incredibile proprio l'aver creduto questo!

Due sono in tal caso le cose incredibili: la risurrezione del nostro corpo per l'eternità e il fatto che il mondo crederà a una cosa tanto incredibile; ebbene Dio stesso, prima che si realizzasse una delle due, ha preannunciato che si sarebbero realizzate entrambe. Di questi due fatti incredibili, noi vediamo che ne è già accaduto uno: il mondo crede e ciò che è incredibile. Perchè allora disperare che accada anche ciò in cui il mondo ha creduto, visto che è già accaduto l'incredibile, che cioè il mondo crede in una cosa così incredibile, dal momento che questi due fatti incredibili, uno dei quali lo costatiamo e l'altro lo crediamo, sono stati preannunciati in quelle stesse scritture per mezzo delle quali il mondo ha creduto?

Se poi si guarda alla maniera in cui il mondo ha creduto, la si scopre ancor più incredibile. Cristo mandò infatti verso il mare di questo mondo, muniti delle reti della fede, dei pescatori ignoranti nelle discipline liberali, completamente all'oscuro di quel che riguarda le dottrine di costoro, inesperti di grammatica, senza le armi della dialettica e lo sfoggio della retorica; eppure Cristo ha preso pesci d'ogni genere, così numerosi e tanto sorprendenti quanto più rari, e addirittura ha preso gli stessi filosofi.

A quei due fatti incredibili, se vogliamo, anzi proprio perchè dobbiamo volerlo, aggiungiamo questo terzo: sono dunque tre i fatti incredibili, che tuttavia si sono realizzati. E' incredibile che Cristo sia Risorto nella sua carne e sia salito al cielo con essa; è incredibile che il mondo abbia creduto una cosa tanto incredibile; è incredibile che uomini di umile e misera condizione, pochissimi e ignoranti, abbiano potuto far credere efficacemente al mondo ed ai suoi sapientiuna cosa tanto incredibile.

Di questi tre fatti, i nostri avversari non vogliono credere al primo; sono costretti a prendere atto del secondo; non riescono a rendersene conto, se non credono al terzo.

La resurrezione di Cristo e la sua ascensione al cielo con il corpo con cui resuscitò sono ormai predicate e credute in tutto il mondo; se non sono credibili, come mai vengono già credute su tutta la faccia della terra?

Se molti uomini illustri, importanti e dotti avessero affermato d'aver visto e si fossero preoccupati di rendere di pubblico dominio quel che avevano visto, non ci sarebbe da sorprendersi se il mondo avesse loro creduto, ma anzi sarebbe assai difficile che costoro non vogliano credere; se invece, come è in realtà, il mondo ha creduto a quel che hanno detto e hanno scritto d'aver visto pochi uomini oscuri, ignoranti e di misere condizioni, perchè quei pochi che sono rimasti tanto ostinati non credono ancora a questo mondo che ormai crede?

In realtà, se il mondo ha creduto ad un numero così esiguo di uomini umili, sconosciuti e ignoranti, è perchè la divinità stessa s'impose in testimoni così disprezzabili, in modo ben più mirabile.

Il linguaggio con cui convincevano consisteva in fatti mirabili, non in parole. Quelli che non avevano visto Cristo risorgere nella carne e con essa ascendere al cielo, credevano infatti a coloro che raccontavano di averlo visto, non solo con la parola, ma anche con segni prodigiosi.

Uomini che sapevano di possedere una sola lingua, o al massimo due, di colpo sentivano parlare con stupore nelle lingue di tutte le nazioni; vedevano uno zoppo dalla nascita, dopo quarant'anni, alzarsi guarito ad una loro parola, nel nome di Cristo; vedevano che i panni che erano stati a contatto con il loro corpo erano utili per guarire gli ammalati; che tutti quelli che venivano sulla loro strada, colpiti da diverse malattie, in modo che fossero toccati dalla loro ombra, normalmente riacquistavano di colpo la salute, e molte altre meraviglie, compiute nel nome di Cristo per opera loro; infine anche la resurrezione di morti.

E se poi ammettono che ciò accadde così come si legge, noi possiamo aggiungere a quei tre fatti tanti altri fatti incredibili; per far credere ad uno solo di quei fatti incredibili, vale a dire la ressurezione della carne e l'ascensione, noi raccogliamo tante testimonianze di fatti incredibili, eppure non riusciamo ancora a piegare verso la fede quegli increduli, per la loro tremenda ostinazione.

Se poi non credono che per mezzo degli apostoli di Cristo siano stati operati anche questi miracoli, perchè si credesse a quanti predicano la risurrezione e l'ascensione di Cristo, a noi basta soltanto questo grande miracolo: tutta la faccia della terra ha creduto senza aver bisogno d'alcun miracolo.

Credente
00sabato 26 novembre 2011 13:01
(Disc. 256, 1. 2. 3; PL 38, 1191-1193)
Cantiamo l'alleluia a Dio che è buono,
che ci libera da ogni male

    Cantiamo qui l\'alleluia, mentre siamo ancora privi di sicurezza, per poterlo cantare un giorno lassù, ormai sicuri. Perché qui siamo nell\'ansia e nell\'incertezza. E non vorresti che io sia nell\'ansia, quando leggo: Non è forse una tentazione la vita dell\'uomo sulla terra? (cfr. Gb 7, 1). Pretendi che io non stia in ansia, quando mi viene detto ancora: «Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione»? (Mt 26, 41). Non vuoi che io mi senta malsicuro, quando la tentazione è così frequente, che la stessa preghiera ci fa ripetere: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori»? (Mt 6, 12).
    Tutti i giorni la stessa preghiera e tutti i giorni siamo debitori! Vuoi che io resti tranquillo quando tutti i giorni devo domandare perdono dei peccati e aiuto nei pericoli? Infatti, dopo aver detto per i peccati passati: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori», subito, per i pericoli futuri, devo aggiungere: «E non ci indurre in tentazione» (Mt 6, 13).
    E anche il popolo, come può sentirsi sicuro, quando grida con me: «Liberaci dal male»? (Mt 6, 13). E tuttavia, o fratelli, pur trovandoci ancora in questa penosa situazione, cantiamo l\'alleluia a Dio che è buono, che ci libera da ogni male.
    Anche quaggiù tra i pericoli e le tentazioni, si canti dagli altri e da noi l\'alleluia. «Dio infatti è fedele; e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze» (1 Cor 10, 13). Perciò anche quaggiù cantiamo l\'alleluia. L'uomo è ancora colpevole, ma Dio è fedele. Non dice: «Non permetterà che siate tentati», bensì: «Non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d'uscita e la forza per sopportarla» (1 Cor 10, 13). Sei entrato nella tentazione, ma Dio ti darà anche il modo di uscirne, perché tu non abbia a soccombere alla tentazione stessa: perché, come il vaso del vasaio, tu venga modellato con la predicazione e consolidato con il fuoco della tribolazione. Ma quando vi entri, pensa che ne uscirai, «perché Dio è fedele». Il Signore ti proteggerà da ogni male ... veglierà su di te quando entri e quando esci (cfr. Sal 120, 7-8).
    Ma quando questo corpo sarà diventato immortale e incorruttibile, allora cesserà anche ogni tentazione, perché «il corpo è morto». Perché è morto? «A causa del peccato». Ma «lo Spirito è vita». Perché? «A causa della giustificazione» (Rm 8, 10). Abbandoneremo dunque come morto il corpo? No, anzi ascolta: «Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Cristo dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti, darà la vita anche ai vostri corpi mortali» (Rm 8, 10-11). Ora infatti il nostro corpo è nella condizione terrestre, mentre allora sarà in quella celeste. O felice quell\'alleluia cantato lassù! O alleluia di sicurezza e di pace! Là nessuno ci sarà nemico, là non perderemo mai nessun amico. Ivi risuoneranno le lodi di Dio. Certo risuonano anche ora qui. Qui però nell\'ansia, mentre lassù nella tranquillità. Qui cantiamo da morituri, lassù da immortali. Qui nella speranza, lassù nella realtà. Qui da esuli e pellegrini, lassù nella patria. Cantiamo pure ora, non tanto per goderci il riposo, quanto per sollevarci dalla fatica. Cantiamo da viandanti. Canta, ma cammina. Canta per alleviare le asprezze della marcia, ma cantando non indulgere alla pigrizia. Canta e cammina. Che significa camminare? Andare avanti nel bene, progredire nella santità. Vi sono infatti, secondo l\'Apostolo, alcuni che progrediscono sì, ma nel male. Se progredisci è segno che cammini, ma devi camminare nel bene, devi avanzare nella retta fede, devi progredire nella santità. Canta e cammina.
Credente
00venerdì 16 dicembre 2011 23:36
Dal «Commento sui salmi» di sant'Agostino, vescovo
(Sal 37, 13-14; CCL 38, 391-392)
Il tuo desiderio è la tua preghiera

Mi faceva urlare il gemito del mio cuore (cfr. Sal 37, 9). C'è un gemito segreto del cuore che non è avvertito da alcuno. Ma se il tormento di un desiderio afferra il cuore in modo che la sofferenza intima venga espressa e udita, allora ci si domanda quale ne sia la causa. Chi ascolta dice fra sé: Forse geme per questo, forse gli è accaduto quest\'altro. Ma chi lo può capire se non colui ai cui occhi, alle cui orecchie si leva il gemito? I gemiti, che gli uomini odono se qualcuno geme, sono per lo più i gemiti del corpo, ma non è percepito il gemito del cuore. Chi dunque capiva perché urlava? Aggiunge: Ogni mio desiderio sta davanti a te (cfr. Sal 37, 10). Non davanti agli uomini che non possono percepire il cuore, ma davanti a te sta ogni mio desiderio. Se il tuo desiderio è davanti a lui, il Padre, che vede nel segreto, lo esaudirà.
Il tuo desiderio è la tua preghiera: se continuo è il tuo desiderio, continua è pure la tua preghiera. L'Apostolo infatti non a caso afferma: «Pregate incessantemente» (1 Ts 5, 17). S'intende forse che dobbiamo stare continuamente in ginocchio o prostrati o con le mani levate per obbedire al comando di pregare incessantemente? Se intendiamo così il pregare, ritengo che non possiamo farlo senza interruzione. Ma v'è un'altra preghiera, quella interiore, che è senza interruzione, ed è il desiderio. Qualunque cosa tu faccia, se desideri quel sabato (che è il riposo in Dio), non smetti mai di pregare. Se non vuoi interrompere di pregare, non cessare di desiderare. Il tuo desiderio è continuo, continua è la tua voce. Tacerai, se smetterai di amare. Tacquero coloro dei quali fu detto: «Per il dilagare dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà» (Mt 24, 12). La freddezza dell'amore è il silenzio del cuore, l'ardore dell'amore è il grido del cuore. Se resta sempre vivo l'amore, tu gridi sempre; se gridi sempre, desideri sempre; se desideri, hai il pensiero volto alla pace.
«E davanti a te sta ogni mio desiderio» (Sal 37, 10). Se sta davanti a Lui il desiderio, come può non essere davanti a Lui anche il gemito che è la voce del desiderio? Perciò egli continua: «E il mio gemito a te non è nascosto» (Sal 37, 10), ma lo è a molti uomini. Talora l'umile servo di Dio sembra dire: «E il mio gemito a te non è nascosto»; ma talora pare anche che egli rida: forse che allora quel desiderio è morto nel suo cuore? Se c'è il desiderio, c'è pure il gemito: questo non sempre arriva alle orecchie degli uomini, ma non cessa di giungere alle orecchie di Dio
Coordin.
00giovedì 5 gennaio 2012 15:36
Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo
(Disc. 194,34; PL 38,1016-1017)
Saremo saziati dalla visione del Verbo

Chi potrà mai conoscere tutti i tesori di sapienza e di scienza che Cristo racchiude in sé, nascosti nella povertà della sua carne? Per noi, da ricco che era, egli si è fatto povero, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà (cfr. 2 Cor 8,9). Assumendo la mortalità dell'uomo e subendo nella sua persona la morte, egli si mostrò a noi nella povertà della condizione umana: non perdette però le sue ricchezze quasi gli fossero state tolte, ma ne promise la rivelazione nel futuro. Quale immensa ricchezza serba a chi lo teme e dona pienamente a quelli che sperano in lui!
Le nostre conoscenze sono ora imperfette e incomplete, finché non venga il perfetto e il completo. Ma proprio per renderci capaci di questo egli, che è uguale al Padre nella forma di Dio e simile a noi nella forma di servo, ci trasforma a somiglianza di Dio. Divenuto figlio dell'uomo, lui unico figlio di Dio, rende figli di Dio molti figli degli uomini. Dopo aver nutrito noi servi attraverso la forma visibile di servo, ci rende liberi, atti a contemplare la forma di Dio.
Infatti «noi siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui perché lo vedremo così come egli è» (1Gv 3,2). Ma che cosa sono quei tesori di sapienza e di scienza, che cosa quelle ricchezze divine, se non la grande realtà capace di colmarci pienamente? Che cosa è quell'abbondanza di dolcezza se non ciò che è capace di saziarci?
Dunque: «Mostraci il Padre e ci basta» (Gv 14,8). E in un salmo una voce che ci interpreta o parla per noi, dice rivolgendosi a lui: Sarò saziato all'apparire della tua gloria (cfr. Sal 16,15). Egli e il Padre sono una cosa sola e chi vede lui vede anche il Padre. «Il Signore degli eserciti è il re della gloria» (Sal 23,10). Facendoci volgere a lui, ci mostrerà il suo volto e saremo salvi; allora saremo saziati e ci basterà.
Ma fino a quando questo non avvenga e non ci sia mostrato quello che ci appagherà, fino a quando non berremo a quella fonte di vita che ci farà sazi, mentre noi camminiamo nella fede, pellegrini lontani da lui, e abbiamo fame e sete di giustizia e aneliamo con indicibile desiderio alla bellezza di Cristo che si svelerà nella forma di Dio, celebriamo con devozione il Natale di Cristo nato nella forma di servo.
Se non possiamo ancora contemplarlo perché è stato generato dal Padre prima dell'aurora, festeggiamolo perché nella notte è nato dalla Vergine. Se non lo comprendiamo ancora, perché il suo nome rimane davanti al sole (cfr. Sal 71,17), riconosciamo il suo tabernacolo posto nel sole. Se ancora non vediamo l'Unigenito che rimane nel Padre, ricordiamo lo sposo che esce dalla stanza nuziale (cfr. Sal 18,6). Se ancora non siamo preparati al banchetto del nostro Padre, riconosciamo il presepe del nostro Signore Gesù Cristo.
Coordin.
00giovedì 9 febbraio 2012 06:59
Dal «Commento alla Lettera ai Galati» di sant'Agostino, vescovo
(Nn. 37. 38; PL 35, 2131-2132)
Cristo sia formato in voi

Dice l'Apostolo: «Siate come me» (Gal 4, 12). Io sono nato giudeo, ma, guidato da considerazioni spirituali, ripudio ogni concezione esclusivamente materiale. «Poiché anch\'io sono stato come voi» (Gal 4, 12), cioè uomo. Poi opportunamente e con discrezione ricorda il suo amore per loro, perché non lo considerino come loro nemico. Proprio così si esprime: Ve ne prego, fratelli, non mi avete offeso in nulla (cfr. Gal 4, 12); come se dicesse: Non dovete pensare che io voglia offendervi.
Sempre sul medesimo argomento aggiunge: «Figlioli miei» (Gal 4, 19). Lo dice perché lo imitino realmente come un padre. E completa: «Che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi!» (Gal 4, 19). Questo lo ha detto piuttosto come se rappresentasse la Madre Chiesa. Infatti anche in un altro passo dice: «Siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature» (1 Ts 2, 7).
Cristo nasce e si forma in colui che crede per mezzo della fede, esistente nell'uomo interiore; in colui che è chiamato alla libertà della grazia; in colui che è mite e umile di cuore, e che non si gloria nella nullità dei suoi meriti e delle sue opere, in colui che ascrive i suoi meriti al dono divino. Costui si identifica con Cristo. Così colui che ha detto: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25, 40), chiama il vero credente il più piccolo dei suoi, cioè un altro se stesso. Infatti Cristo viene formato in chi riceve l'immagine di Cristo. Ma riceve l\'immagine di Cristo, chi aderisce a Cristo con vero amore spirituale. Ne segue che egli diventa copia di Cristo e, per quanto lo consente la sua condizione, diventa Cristo stesso. Così afferma Giovanni: «Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato» (1 Gv 2, 6).
Ma poiché gli uomini sono concepiti dalle madri per essere formati, e, una volta formati, sono partoriti per venire alla luce, può recare sorpresa ciò che è stato detto: «Che io di nuovo partorisco nel dolore, finché non sia formato Cristo in voi!» (Gal 4, 19). A meno che intendiamo che questo parto stia al posto delle preoccupazioni dolorose attraverso le quali li ha partoriti perché nascessero in Cristo. In tal senso li partorisce ancora, preoccupato com'è dei pericoli di seduzione, dai quali li vede minacciati. La dolorosa sollecitudine nei loro riguardi, cioè questa specie di maternità spirituale, perdura finché arrivino tutti all'unità della fede nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo, perché non siano sballottati da qualsiasi vento di dottrina (cfr. Ef 4, 13-14).
Perciò non tanto per l'inizio della fede, essendo essi già nati, ma per la crescita e la maturità è stato affermato: «Che io di nuovo partorisco nel dolore, finché non sia formato Cristo in voi!» (Gal 4, 19). Altrove tratta di questo parto con altri termini, quando dice: «Il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le chiese. Chi è debole, che anch\'io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema?» (2 Cor 11, 28-29).
Coordin.
00venerdì 17 febbraio 2012 08:19
Dai «Trattati sulla prima lettera di Giovanni» di sant'Agostino, vescovo
(Tratt. 4, 6; PL 35, 2008-2009)
Il desiderio del cuore si spinge verso Dio

Che cosa ci è stato promesso? «Noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 2). La lingua si è espressa meglio che ha potuto, ma il resto bisogna immaginarlo con la mente. Infatti cosa ha rivelato lo stesso Giovanni a paragone di colui che è, o che cosa possiamo dire noi creature che siamo così lontane dalla sua grandezza?
Ritorniamo perciò a soffermarci sulla sua unzione, su quella unzione che ci insegna interiormente quanto non siamo capaci di esprimere in parole. E poiché ora non potete avere questa visione, vostro compito è desiderarla.
L'intera vita del fervente cristiano è un santo desiderio. Ciò che poi desideri, ancora non lo vedi, ma vivendo di sante aspirazioni ti rendi capace di essere riempito quando arriverà il tempo della visione.
Se tu devi riempire un recipiente e sai che sarà molto abbondante quanto ti verrà dato, cerchi di aumentare la capacità del sacco, dell'otre o di qualsiasi altro contenitore adottato. Ampliandolo lo rendi più capace. Allo stesso modo si comporta Dio.
Facendoci attendere, intensifica il nostro desiderio, col desiderio dilata l'animo e, dilatandolo, lo rende più capace.
Cerchiamo, quindi, di vivere in un clima di desiderio perché dobbiamo essere riempiti. Considerate l'apostolo Paolo che dilata il suo animo, per poter ricevere ciò che verrà. Dice infatti: «Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto» (Fil 3, 13).
Allora che cosa fai in questa vita, se non sei arrivato alla pienezza del desiderio? «Questo soltanto so: Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (Fil 3, 13-14). Paolo ha dichiarato di essere proteso verso il futuro e di tendervi pienamente. Era consapevole di non essere ancora capace di ricevere «quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo» (1 Cor 2, 9).
La nostra vita è una ginnastica del desiderio. Il santo desiderio sarà tanto più efficace quanto più strapperemo le radici della vanità ai nostri desideri. Già abbiamo detto altre volte che per essere riempiti bisogna prima svuotarsi. Tu devi essere riempito dal bene, e quindi devi liberarti dal male. Supponi che Dio voglia riempirti di miele. Se sei pieno di aceto, dove metterai il miele? Bisogna liberare il vaso da quello che conteneva, anzi occorre pulirlo. Bisogna pulirlo magari con fatica e impegno, se occorre, perché sia idoneo a ricevere qualche cosa.
Quando diciamo miele, oro, vino, ecc., non facciamo che riferirci a quell'unica realtà che vogliamo enunziare, ma che è indefinibile.
Questa realtà si chiama Dio. E quando diciamo Dio, che cosa vogliamo esprimere? Queste due sillabe sono tutto ciò che aspettiamo. Perciò qualunque cosa siamo stati capaci di spiegare è al di sotto della realtà. Protendiamoci verso di lui perché ci riempia quando verrà. «Noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 2).
Coordin.
00domenica 26 febbraio 2012 06:46
Dal «Commento sui salmi» di sant'Agostino, vescovo
(Sal 60, 2-3; CCL 39, 766)
In Cristo siamo stati tentati e in lui abbiamo vinto il diavolo

«Ascolta, o Dio, il mio grido, sii attento alla mia preghiera» (Sal 60, 1). Chi è colui che parla? Sembrerebbe una persona sola. Ma osserva bene se si tratta davvero di una persona sola. Dice infatti: «Dai confini della terra io t'invoco; mentre il mio cuore è angosciato» (Sal 60, 2).
Dunque non si tratta già di un solo individuo: ma, in tanto sembra uno, in quanto uno solo è Cristo, di cui noi tutti siamo membra. Una persona sola, infatti, come potrebbe gridare dai confini della terra? Dai confini della terra non grida se non quella eredità, di cui fu detto al Figlio stesso: «Chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra» (Sal 2, 8).
Dunque, è questo possesso di Cristo, quest'eredità di Cristo, questo corpo di Cristo, quest\'unica Chiesa di Cristo, quest\'unità, che noi tutti formiamo e siamo, che grida dai confini della terra.
E che cosa grida? Quanto ho detto sopra: «Ascolta, o Dio, il mio grido, sii attento alla mia preghiera; dai confini della terra io t'invoco». Cioè, quanto ho gridato a te, l'ho gridato dai confini della terra: ossia da ogni luogo.
Ma, perché ho gridato questo? Perché il mio cuore è in angoscia. Mostra di trovarsi fra tutte le genti, su tutta la terra non in grande gloria, ma in mezzo a grandi prove.
Infatti la nostra vita in questo pellegrinaggio non può essere esente da prove e il nostro progresso si compie attraverso la tentazione. Nessuno può conoscere se stesso, se non è tentato, né può essere coronato senza aver vinto, né può vincere senza combattere; ma il combattimento suppone un nemico, una prova.
Pertanto si trova in angoscia colui che grida dai confini della terra, ma tuttavia non viene abbandonato. Poiché il Signore volle prefigurare noi, che siamo il suo corpo mistico, nelle vicende del suo corpo reale, nel quale egli morì, risuscitò e salì al cielo. In tal modo anche le membra possono sperare di giungere là dove il Capo le ha precedute.
Dunque egli ci ha come trasfigurati in sé, quando volle essere tentato da Satana. Leggevamo ora nel vangelo che il Signore Gesù era tentato dal diavolo nel deserto. Precisamente Cristo fu tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato anche tu. Perché Cristo prese da te la sua carne, ma da sé la tua salvezza, da te la morte, da sé la tua vita, da te l'umiliazione, da sé la tua gloria, dunque prese da te la sua tentazione, da sé la tua vittoria.
Se siamo stati tentati in lui, sarà proprio in lui che vinceremo il diavolo. Tu fermi la tua attenzione al fatto che Cristo fu tentato; perché non consideri che egli ha anche vinto? Fosti tu ad essere tentato in lui, ma riconosci anche che in lui tu sei vincitore. Egli avrebbe potuto tener lontano da sé il diavolo; ma, se non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe insegnato a vincere, quando sei tentato.
Coordin.
00martedì 6 marzo 2012 08:21
Dai «Commenti sui salmi» di sant'Agostino, vescovo
(Salmo 140, 4-6; CCL 40, 2028-2029)
La Passione di tutto il Corpo di Cristo

Signore, a te ho gridato, accorri in mio aiuto (cfr. Sal 140, 1). Questo lo possiamo dire tutti. Non lo dico io, bensì il Cristo totale. Ma fu detto da Cristo più specialmente in persona del corpo, perché mentre era quaggiù, pregò portando la nostra umanità, pregò il Padre in persona del corpo. Mentre infatti pregava, da tutto il suo corpo stillavano gocce di sangue, secondo quanto troviamo nel vangelo: «Gesù pregò più intensamente, e sudò sangue» (Lc 22, 44). Che cosa significa questa effusione di sangue da tutto il corpo, se non la passione che tutta la Chiesa continua a sopportare nei suoi martiri?
Signore, a te ho gridato, accorri in mio aiuto; ascolta la mia voce quando ti invoco (cfr. Sal 140, 1). Credevi che fosse già terminata la pena del gridare, quando dicevi: «Ho gridato a te». Hai gridato, sì, ma non crederti ormai al sicuro. Se fosse passata definitivamente la tribolazione, non occorrerebbe più gridare; ma, se la tribolazione della Chiesa, cioè del corpo di Cristo, continua sino alla fine del mondo, non dire soltanto: «Ho gridato a te, accorri in mio aiuto», ma aggiungi: «ascolta la mia voce, quando ti invoco».
«Come incenso salga a te la mia preghiera, le mie mani alzate come sacrificio della sera» (Sal 140, 2).
Ogni cristiano sa che questa espressione viene attribuita al capo stesso. Infatti sul finire della sera il Signore esalò in croce il suo spirito, che poi di nuovo avrebbe ripreso. Non lo esalò infatti contro la sua volontà. Però siamo stati raffigurati anche in questo caso.
Qual parte di lui, infatti, pendeva dalla croce, se non ciò che aveva assunto da noi? Ed allora, come potrebbe avvenire che in un dato momento il Padre lasci e abbandoni l\'unico suo Figlio, che è con lui un solo Dio? Tuttavia Cristo, crocifiggendo la nostra debolezza sulla croce, in cui, come dice l'Apostolo: «Il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con Lui» (Rm 6, 6), gridò con la voce della nostra stessa umanità: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Sal 21, 1).
Questo, dunque, è il sacrificio vespertino: la passione del Signore, la croce del Signore, l'offerta della vittima di salvezza, l'olocausto gradito a Dio. E nella sua risurrezione cambiò quel sacrificio vespertino in offerta mattutina. La preghiera, dunque, che si eleva incontaminata da un cuore fedele, sale come incenso dal santo altare.
Niente è più gradito del profumo del Signore. Di questo soave profumo olezzino tutti i credenti.
«Il nostro uomo vecchio, sono parole dell'Apostolo, è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato» (Rm 6, 6).
Coordin.
00domenica 11 marzo 2012 06:49
Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo
(Trattato 15, 10-12. 16-17; CCL 36, 154-156)
Arrivò una donna di Samaria ad attingere acqua

«E arrivò una donna» (Gv 4, 7): figura della Chiesa, non ancora giustificata, ma ormai sul punto di esserlo. È questo il tema della conversazione.
Viene senza sapere, trova Gesù che inizia il discorso con lei.
Vediamo su che cosa, vediamo perché «Venne una donna di Samaria ad attingere acqua». I samaritani non appartenevano al popolo giudeo: erano infatti degli stranieri. È significativo il fatto che questa donna, la quale era figura della Chiesa, provenisse da un popolo straniero. La Chiesa infatti sarebbe venuta dai pagani, che, per i giudei erano stranieri.
Riconosciamoci in lei, e in lei ringraziamo Dio per noi. Ella era una figura non la verità, perché anch\'essa prima rappresentò la figura per diventare in seguito verità. Infatti credette in lui, che voleva fare di lei la nostra figura. «Venne, dunque, ad attingere acqua». Era semplicemente venuta ad attingere acqua, come sogliono fare uomini e donne.
«Gesù le disse: Dammi da bere. I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana? I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani» (Gv 4, 7-9).
Vedete come erano stranieri tra di loro: i giudei non usavano neppure i recipienti dei samaritani. E siccome la donna portava con sé la brocca con cui attingere l'acqua, si meravigliò che un giudeo le domandasse da bere, cosa che i giudei non solevano mai fare. Colui però che domandava da bere, aveva sete della fede della samaritana.
Ascolta ora appunto chi è colui che domanda da bere. «Gesù le rispose: Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4, 10).
Domanda da bere e promette di dissetare. È bisognoso come uno che aspetta di ricevere, e abbonda come chi è in grado di saziare. «Se tu conoscessi», dice, «il dono di Dio». Il dono di Dio è lo Spirito Santo. Ma Gesù parla alla donna in maniera ancora velata, e a poco a poco si apre una via al cuore di lei. Forse già la istruisce. Che c\'è infatti di più dolce e di più affettuoso di questa esortazione: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è Colui che ti dice: Dammi da bere, forse tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva»?
Quale acqua, dunque, sta per darle, se non quella di cui è scritto: «È in te la sorgente della vita»? (Sal 35, 10).
Infatti come potranno aver sete coloro che «Si saziano dell'abbondanza della tua casa»? (Sal 35, 9).
Prometteva una certa abbondanza e sazietà di Spirito Santo, ma quella non comprendeva ancora, e, non comprendendo, che cosa rispondeva? La donna gli dice: «Signore dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua» (Gv 4, 15). Il bisogno la costringeva alla fatica, ma la sua debolezza non vi si adattava volentieri. Oh! se avesse sentito: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò»! (Mt 11, 28). Infatti Gesù le diceva questo, perché non dovesse più faticare, ma la donna non capiva ancora.
Coordin.
00domenica 18 marzo 2012 09:07
Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo
(Tratt. 34, 8-9; CCL 36, 315-316)
Cristo è via alla luce, alla verità, alla vita

Il Signore in maniera concisa ha detto: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8, 12), e con queste parole comanda una cosa e ne promette un\'altra. Cerchiamo, dunque, di eseguire ciò che comanda, perché altrimenti saremmo impudenti e sfacciati nell\'esigere quanto ha promesso, senza dire che, nel giudizio, ci sentiremmo rinfacciare: Hai fatto ciò che ti ho comandato, per poter ora chiedere ciò che ti ho promesso? Che cosa, dunque, hai comandato, o Signore nostro Dio? Ti risponderà: Che tu mi segua.
Hai domandato un consiglio di vita. Di quale vita, se non di quella di cui è stato detto: «È in te la sorgente della vita»? (Sal 35, 10).
Dunque mettiamoci subito all'opera, seguiamo il Signore: spezziamo le catene che ci impediscono di seguirlo. Ma chi potrà spezzare tali catene, se non ci aiuta colui al quale fu detto: «Hai spezzato le mie catene»? (Sal 115, 16). Di lui un altro salmo dice: «Il Signore libera i prigionieri, il Signore rialza chi è caduto» (Sal 145, 7. 8).
Che cosa seguono quelli che sono stati liberati e rialzati, se non la luce dalla quale si sentono dire: «Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre»? (Gv 8, 12). Sì, perché il Signore illumina i ciechi. O fratelli, ora i nostri occhi sono curati con il collirio della fede. Prima, infatti, mescolò la sua saliva con la terra, per ungere colui che era nato cieco. Anche noi siamo nati ciechi da Adamo e abbiamo bisogno di essere illuminati da lui. Egli mescolò la saliva con la terra: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Mescolò la saliva con la terra, perché era già stato predetto: «La verità germoglierà dalla terra» (Sal 84, 12) ed egli dice: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6).
Godremo della verità, quando la vedremo faccia a faccia, perché anche questo ci viene promesso. Chi oserebbe, infatti, sperare ciò che Dio non si fosse degnato o di promettere o di dare?
Vedremo faccia a faccia. L'Apostolo dice: Ora conosciamo in modo imperfetto; ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia (cfr. 1 Cor 13, 12). E l\'apostolo Giovanni nella sua lettera aggiunge: «Carissimi, noi fin d\'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che, quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 2). Questa è la grande promessa.
Se lo ami, seguilo. Tu dici: Lo amo, ma per quale via devo seguirlo? Se il Signore tuo Dio ti avesse detto: Io sono la verità e la vita, tu, desiderando la verità e bramando la vita, cercheresti di sicuro la via per arrivare all'una e all\'altra. Diresti a te stesso: gran cosa è la verità, gran bene è la vita: oh! se fosse possibile all\'anima mia trovare il mezzo per arrivarci!
Tu cerchi la via? Ascolta il Signore che ti dice in primo luogo: Io sono la via. Prima di dirti dove devi andare, ha premesso per dove devi passare: «Io sono», disse, «la via»! La via per arrivare dove? Alla verità e alla vita. Prima ti indica la via da prendere, poi il termine dove vuoi arrivare. «Io sono la via, Io sono la verità, Io sono la vita». Rimanendo presso il Padre, era verità e vita; rivestendosi della nostra carne, è diventato la via.
Non ti vien detto: devi affaticarti a cercare la via per arrivare alla verità e alla vita; non ti vien detto questo. Pigro, alzati! La via stessa è venuta a te e ti ha svegliato dal sonno, se pure ti ha svegliato. Alzati e cammina!
Forse tu cerchi di camminare, ma non puoi perché ti dolgono i piedi. Per qual motivo ti dolgono? Perché hanno dovuto percorrere i duri sentieri imposti dai tuoi tirannici egoismi? Ma il Verbo di Dio ha guarito anche gli zoppi.
Tu replichi: Sì, ho i piedi sani, ma non vedo la strada. Ebbene, sappi che egli ha illuminato perfino i ciechi.
Coordin.
00mercoledì 28 marzo 2012 09:49
Dal «Commento sui salmi» di sant'Agostino, vescovo
(Salmo 85, 1; CCL 39, 1176-1177)
Gesù Cristo prega per noi, prega in noi, è pregato da noi

Dio non poteva elargire agli uomini un dono più grande di questo: costituire loro capo lo stesso suo Verbo, per mezzo del quale creò l'universo. Ci unì a lui come membra, in modo che egli fosse Figlio di Dio e figlio dell'uomo, unico Dio con il Padre, un medesimo uomo con gli uomini.
Di conseguenza, quando rivolgiamo a Dio la nostra preghiera, non dobbiamo separare da lui il Figlio, e quando prega il corpo del Figlio, esso non deve considerarsi come staccato dal capo. In tal modo la stessa persona, cioè l'unico Salvatore del corpo, il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, sarà colui che prega per noi, prega in noi, è pregato da noi.
Prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio.
Riconosciamo, quindi, sia le nostre voci in lui, come pure la sua voce in noi. E quando, specialmente nelle profezie, troviamo qualche cosa che suona umiliazione, nei riguardi del Signore Gesù Cristo, e perciò non ci sembra degna di Dio, non dobbiamo temere di attribuirla a lui, che non ha esitato a unirsi a noi, pur essendo il padrone di tutta la creazione, perché per mezzo di lui sono state fatte tutte le creature.
Perciò noi guardiamo alla sua grandezza divina quando sentiamo proclamare: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente è stato fatto» (Gv 1, 1-3). In questo passo ci è dato di contemplare la divinità del Figlio di Dio, tanto eccelsa e sublime da sorpassare ogni più nobile creatura.
In altri passi della Scrittura, invece, sentiamo che egli geme, prega, dà lode a Dio. Ebbene ci è difficile attribuire a lui queste parole. La nostra mente stenta a discendere immediatamente dalla contemplazione della sua divinità al suo stato di profondo abbassamento. Temiamo quasi di offendere Cristo, se riferiamo alla sua umanità le parole che egli dice. Prima rivolgevamo a lui la nostra supplica, pregandolo come Dio. Rimaniamo perciò perplessi davanti a quelle espressioni e ci verrebbe fatto di cambiarle. Ma nella Scrittura non si incontra se non ciò che gli si addice e che non permette di falsare la sua identità.
Si desti dunque il nostro animo e resti saldo nella sua fede. Tenga presente che colui che poco prima contemplava nella sua natura di Dio, ha assunto la natura di servo. È divenuto simile agli uomini, e «apparso in forma umana, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte» (Fil 2, 7-8). Inoltre ha voluto far sue, mentre pendeva dalla croce, le parole del salmo: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Sal 21, 1).
È pregato dunque per la sua natura divina, prega nella natura di servo. Troviamo là il creatore, qui colui che è creato. Lui immutato assume la creatura, che doveva essere mutata, e fa di noi con sé medesimo un solo uomo: capo e corpo.
Perciò noi preghiamo lui, per mezzo di lui e in lui; diciamo con lui ed egli dice con noi.
Coordin.
00lunedì 2 aprile 2012 07:48
Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo
(Disc. Guelf. 3; PLS 2, 545-546)
Gloriamoci anche noi nella Croce del Signore

La passione del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo è pegno sicuro di gloria e insieme ammaestramento di pazienza.
Che cosa mai non devono aspettarsi dalla grazia di Dio i cuori dei fedeli! Infatti al Figlio unigenito di Dio, coeterno al Padre, sembrando troppo poco nascere uomo dagli uomini, volle spingersi fino al punto di morire quale uomo e proprio per mano di quegli uomini che aveva creato lui stesso.
Gran cosa è ciò che ci viene promesso dal Signore per il futuro, ma è molto più grande quello che celebriamo ricordando quanto è già stato compiuto per noi. Dove erano e che cosa erano gli uomini, quando Cristo morì per i peccatori? Come si può dubitare che egli darà ai suoi fedeli la sua vita, quando per essi, egli non ha esitato a dare anche la sua morte? Perché gli uomini stentano a credere che un giorno vivranno con Dio, quando già si è verificato un fatto molto più incredibile, quello di un Dio morto per gli uomini?
Chi è infatti Cristo? È colui del quale si dice: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio»? (Gv 1, 1). Ebbene questo Verbo di Dio «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Egli non aveva nulla in se stesso per cui potesse morire per noi, se non avesse preso da noi una carne mortale. In tal modo egli immortale poté morire, volendo dare la vita per i mortali. Rese partecipi della sua vita quelli di cui aveva condiviso la morte. Noi infatti non avevamo di nostro nulla da cui aver la vita, come lui nulla aveva da cui ricevere la morte. Donde lo stupefacente scambio: fece sua la nostra morte e nostra la sua vita. Dunque non vergogna, ma fiducia sconfinata e vanto immenso nella morte del Cristo.
Prese su di sé la morte che trovò in noi e così assicurò quella vita che da noi non può venire. Ciò che noi peccatori avevamo meritato per il peccato, lo scontò colui che era senza peccato. E allora non ci darà ora quanto meritiamo per giustizia, lui che è l\'artefice della giustificazione? Come non darà il premio dei santi, lui fedeltà personificata, che senza colpa sopportò la pena dei cattivi?
Confessiamo perciò, o fratelli, senza timore, anzi proclamiamo che Cristo fu crocifisso per noi. Diciamolo, non già con timore, ma con gioia, non con rossore, ma con fierezza.
L'apostolo Paolo lo comprese bene e lo fece valere come titolo di gloria. Poteva celebrare le più grandi e affascinanti imprese del Cristo. Poteva gloriarsi richiamando le eccelse prerogative del Cristo, presentandolo quale creatore del mondo in quanto Dio con il Padre, e quale padrone del mondo in quanto uomo simile a noi. Tuttavia non disse altro che questo: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6, 14).
Coordin.
00mercoledì 4 aprile 2012 08:29
Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo
(Tratt. 84, 1-2; CCL 36, 536-538)
La pienezza dell\'amore

Il Signore, o fratelli carissimi, ha definito la pienezza dell\'amore con cui dobbiamo amarci gli uni gli altri con queste parole: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13). Ne consegue ciò che il medesimo evangelista Giovanni dice nella sua lettera: Cristo «ha dato la sua vita per noi, quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli», (1 Gv 3, 16) amandoci davvero gli uni gli altri, come egli ci ha amato, fino a dare la sua vita per noi.
Questo appunto si legge nei Proverbi di Salomone: Quando siedi a mensa col potente, considera bene che cosa hai davanti; e poni mano a far le medesime cose che fa lui (cfr. Pro 23, 1-2).
Ora qual è la mensa del grande e del potente, se non quella in cui si riceve il corpo e il sangue di colui che ha dato la vita per noi? E che significa assidersi a questa mensa, se non accostarvisi con umiltà? E che vuol dire considerare bene che cosa si ha davanti, se non riflettere, come si conviene, a una grazia sì grande? E che cosa è questo porre mano a far le medesime cose se non ciò che ho detto sopra e cioè: come Cristo ha dato la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo essere disposti a dare la nostra vita per i fratelli? È quello che dice anche l\'apostolo Pietro: «Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme» (1 Pt 2, 21). Questo significa fare le medesime cose. Così hanno fatto con ardente amore i santi martiri e, se non vogliamo celebrare inutilmente la loro memoria, se non vogliamo accostarci infruttuosamente alla mensa del Signore, a quel banchetto in cui anch'essi si sono saziati, bisogna che anche noi, come loro, siamo pronti a ricambiare il dono ricevuto.
A questa mensa del Signore, perciò, noi non commemoriamo i martiri come facciamo con gli altri che ora riposano in pace, cioè non preghiamo per loro, ma chiediamo piuttosto che essi preghino per noi, per ottenerci di seguire le loro orme. Essi, infatti, hanno toccato il vertice di quell'amore che il Signore ha definito come il più grande possibile. Hanno presentato ai loro fratelli quella stessa testimonianza di amore, che essi medesimi avevano ricevuto alla mensa del Signore.
Non vogliamo dire con questo di poter essere pari a Cristo Signore, qualora giungessimo a rendergli testimonianza fino allo spargimento del sangue. Egli aveva il potere di dare la sua vita e di riprenderla, mentre noi non possiamo vivere finché vogliamo, e dobbiamo morire anche contro nostra voglia. Egli, morendo, uccise subito in sé la morte, mentre noi veniamo liberati dalla morte solo mediante la sua morte. La sua carne non conobbe la corruzione, mentre la nostra, solo dopo aver subito la corruzione, rivestirà per mezzo di lui l'incorruttibilità alla fine del mondo. Egli non ebbe bisogno di noi per salvarci, ma noi, senza di lui, non possiamo far nulla. Egli si è mostrato come vite a noi che siamo i tralci, a noi che, senza di lui, non possiamo avere la vita.
In fine, anche se i fratelli arrivano a dare la vita per i fratelli, il sangue di un martire non viene sparso per la remissione dei peccati dei fratelli, cosa che invece egli ha fatto per noi. E con questo ci ha dato non un esempio da imitare, ma un dono di cui essergli grati.
I martiri dunque, in quanto versarono il loro sangue per i fratelli, hanno ricambiato solo quanto hanno ricevuto dalla mensa del Signore.
Manteniamoci sulla loro scia e amiamoci gli uni gli altri, come Cristo ha amato noi, dando se stesso per noi.
Credente
00giovedì 5 aprile 2012 00:48
Dio trae il bene dal male, la giustizia dall'ingiustizia

«Non vi ho forse scelto io, voi Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!» (Gv 6, 70). Forse ci saremmo aspettati che il Signore dicesse: «Ho scelto voi undici». Poteva forse scegliere anche un diavolo? E tra gli eletti ci può essere un diavolo? ... Forse anche Giuda è stato eletto per essere utilizzato, senza che lo volesse e lo sapesse, per uno scopo buono? Questo è secondo lo stile di Dio... utilizza a fine di bene le cattive azioni dei malvagi.... Il malvagio usa per il male tutti i doni di Dio, mentre chi è buono volge al bene anche le cattive azioni dei malvagi. E chi è più buono del Dio unico? A questo proposito una volta il Signore ha detto: «Solo Dio è buono» (Mc 10,18)....

E chi è peggiore di Giuda? Tra tutti i seguaci del Maestro, tra i dodici Apostoli, a lui era stata affidata la borsa e l'incarico di provvedere ai poveri (Gv 13,19): ingrato per tanto privilegio e per tanto onore, accettò il denaro e perdette la giustizia, tradì la Vita (Mt 26,15); perseguitò, da nemico, colui che aveva seguito come discepolo. ... Ma il Signore seppe utilizzare anche la sua malvagità. Sopportò il tradimento per redimerci. Ecco come il delitto di Giuda fu convertito in un bene.

Quanti martiri Satana perseguitò? Se Satana avesse smesso di perseguitare, oggi non celebreremmo il loro glorioso martirio... Il malvagio non pregiudica la bontà di Dio. Sia pure artefice di male: il supremo Artefice non permetterebbe il male se non sapesse utilizzarlo, affinché tutto concorra al bene.
Coordin.
00sabato 14 aprile 2012 23:17
Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo
(Disc. 8 nell'ottava di Pasqua 1, 4; PL 46, 838. 841)
Nuova creatura in Cristo

Rivolgo la mia parola a voi, bambini appena nati, fanciulli in Cristo, nuova prole della Chiesa, grazia del Padre, fecondità della Madre, pio germoglio, sciame novello, fiore del nostro onore e frutto della nostra fatica, mio gaudio e mia corona, a voi tutti che siete qui saldi nel Signore.
Mi rivolgo a voi con le parole stesse dell\'apostolo: «Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri» (Rm 13, 14), perché vi rivestiate, anche nella vita, di colui del quale vi siete rivestiti per mezzo del sacramento. «Poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più Giudeo, né Greco; non c'è più schiavo, né libero; non c'è più uomo, né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 27-28).
In questo sta proprio la forza del sacramento. È infatti il sacramento della nuova vita, che comincia in questo tempo con la remissione di tutti i peccati, e avrà il suo compimento nella risurrezione dei morti. Infatti siete stati sepolti insieme con Cristo nella morte per mezzo del battesimo, perché, come Cristo è risuscitato dai morti, così anche voi possiate camminare in una vita nuova (cfr. Rm 6, 4).
Ora poi camminate nella fede, per tutto il tempo in cui, dimorando in questo corpo mortale, siete come pellegrini lontani dal Signore. Vostra via sicura si è fatto colui al quale tendete, cioè lo stesso Cristo Gesù, che per voi si è degnato di farsi uomo. Per coloro che lo temono ha riserbato tesori di felicità, che effonderà copiosamente su quanti sperano in lui, allorché riceveranno nella realtà ciò che hanno ricevuto ora nella speranza.
Oggi ricorre l\'ottavo giorno della vostra nascita, oggi trova in voi la sua completezza il segno della fede, quel segno che presso gli antichi patriarchi si verificava nella circoncisione, otto giorni dopo la nascita al mondo. Perciò anche il Signore ha impresso il suo sigillo al suo giorno, che è il terzo dopo la passione. Esso però, nel ciclo settimanale, è l'ottavo dopo il settimo cioè dopo il sabato, e il primo della settimana. Cristo, facendo passare il proprio corpo dalla mortalità all'immortalità, ha contrassegnato il suo giorno con il distintivo della risurrezione.
Voi partecipate del medesimo mistero non ancora nella piena realtà, ma nella sicura speranza, perché avete un pegno sicuro, lo Spirito Santo. «Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio. Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria» (Col 3, 1-4).
Coordin.
00martedì 24 aprile 2012 05:58
Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo
(Disc. 34, 1-3. 5-6; CCL 41, 424-426)
Cantiamo al Signore il canto dell\'amore

«Cantate al Signore un canto nuovo; la sua lode nell\'assemblea dei fedeli» (Sal 149, 1).
Siamo stati esortati a cantare al Signore un canto nuovo. L'uomo nuovo conosce il canto nuovo. Il cantare è segno di letizia e, se consideriamo la cosa più attentamente, anche espressione di amore.
Colui dunque che sa amare la vita nuova, sa cantare anche il canto nuovo. Che cosa sia questa vita nuova, dobbiamo saperlo in vista del canto nuovo. Infatti tutto appartiene a un solo regno: l\'uomo nuovo, il canto nuovo, il Testamento nuovo. Perciò l\'uomo nuovo canterà il canto nuovo e apparterrà al Testamento nuovo.
Non c\'è nessuno che non ami, ma bisogna vedere che cosa ama. Non siamo esortati a non amare, ma a scegliere l\'oggetto del nostro amore. Ma che cosa sceglieremo, se prima non veniamo scelti? Poiché non amiamo, se prima non siamo amati. Ascoltate l\'apostolo Giovanni: Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo (cfr. 1 Gv 4, 10).
Cerca per l'uomo il motivo per cui debba amare Dio e non troverai che questo: perché Dio per primo lo ha amato. Colui che noi abbiamo amato, ha dato già se stesso per noi, ha dato ciò per cui potessimo amarlo.
Che cosa abbia dato perché lo amassimo, ascoltatelo più chiaramente dall'apostolo Paolo: «L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori» (Rm 5, 5). Da dove? Forse da noi? No. Da chi dunque? «Per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5).
Avendo dunque una sì grande fiducia, amiamo Dio per mezzo di Dio.
Ascoltate più chiaramente lo stesso Giovanni: «Dio è amore; chi sta nell\'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1 Gv 4, 16).
Non basta dire: «L\'amore è da Dio» (1 Gv 4, 7). Chi di noi oserebbe dire ciò che è stato detto: «Dio è amore»? Lo disse colui che sapeva ciò che aveva.
Dio ci si offre in un modo completo. Ci dice: Amatemi e mi avrete, perché non potete amarmi, se già non mi possedete.
O fratelli, o figli, o popolo cristiano, o santa e celeste stirpe, o rigenerati in Cristo, o creature di un mondo divino, ascoltate me, anzi per mezzo mio: «Cantate al Signore un canto nuovo».
Ecco, tu dici, io canto. Tu canti, certo, lo sento che canti. Ma bada che la tua vita non abbia a testimoniare contro la tua voce.
Cantate con la voce, cantate con il cuore, cantate con la bocca, cantate con la vostra condotta santa. «Cantate al Signore un canto nuovo».
Mi domandate che cosa dovete cantare di colui che amate? Parlate senza dubbio di colui che amate, di lui volete cantare. Cercate le lodi da cantare? L'avete sentito: «Cantate al Signore un canto nuovo». Cercate le lodi? «La sua lode risuoni nell'assemblea dei fedeli».
Il cantore diventa egli stesso la lode del suo canto.
Volete dire le lodi a Dio? Siate voi stessi quella lode che si deve dire, e sarete la sua lode, se vivrete bene.
Credente
00domenica 6 maggio 2012 17:49
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