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PERLE PATRISTICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:57
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16/02/2010 11:53
 
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Teniamo fissi gli occhi sul sangue di Cristo, per comprendere quanto sia prezioso davanti a Dio suo Padre: fu versato per la nostra salvezza e portò al mondo intero la grazia della penitenza.
Passiamo in rassegna tutte le epoche del mondo e constateremo come in ogni generazione il Signore abbia concesso modo e tempo di pentirsi a tutti coloro che furono disposti a ritornare a lui. Noè fu l'araldo della penitenza e coloro che lo ascoltarono furono salvi.
Giona predicò la rovina ai Niniviti e questi, espiando i loro peccati, placarono Dio con le preghiere e conseguirono la salvezza. Eppure non appartenevano al popolo di Dio.
Non mancarono mai ministri della grazia divina che, ispirati dallo Spirito Santo, predicassero la penitenza. Lo stesso Signore di tutte le cose parlò della penitenza impegnandosi con giuramento: Com'è vero ch'io vivo — oracolo del Signore — non godo della morte del peccatore, ma piuttosto della sua penitenza (cfr. Ez 33, 11). Aggiunse ancora parole piene di bontà: Allontànati, o casa di Israele, dai tuoi peccati. Di' ai figli del mio popolo: Anche se i vostri peccati dalla terra arrivassero a toccare il cielo, fossero più rossi dello scarlatto e più neri del cilicio, basta che vi convertiate di tutto cuore e mi chiamiate « Padre », ed io vi tratterò come un popolo Santo ed esaudirò la vostra preghiera (cfr. Is 1,18; 63,16; 64,7; Ger 3,4; 31,9).
Volendo far godere i beni della conversione a quelli che ama, pose la sua volontà onnipotente a sigillo della sua parola.
Obbediamo perciò alla sua magnifica e gloriosa volontà. Prostriamoci davanti al Signore supplicandolo di essere misericordioso e benigno. Convertiamoci sinceramente al suo amore. Ripudiamo ogni opera di male, ogni specie di discordia e gelosia, causa di morte. Siamo dunque umili di spirito, o fratelli. Rigettiamo ogni sciocca vanteria, la superbia, il folle orgoglio e la collera. Mettiamo in pratica ciò che sta scritto. Dice, infatti, lo Spirito Santo: Non si vanti il saggio della sua saggezza, né il ricco delle sue ricchezze, ma chi vuol gloriarsi si vanti nel Signore, ricercandolo e praticando il diritto e la giustizia (cfr. Ger 9,22-23; 1 Cor 1,31). Ricordiamo soprattutto le parole del Signore Gesù quando esortava alla mitezza e alla pazienza: Siate misericordiosi per ottenere misericordia; perdonate, perché anche a voi sia perdonato; come trattate gli altri, così sarete trattati anche voi; donate e sarete ricambiati; non giudicate, e non sarete giudicati; siate benevoli, e sperimenterete la benevolenza; con la medesima misura con cui avrete misurato gli altri, sarete misurati anche voi (cfr. Mt 5, 7; 6, 14; 7, 1.2). Stiamo saldi in questa linea e aderiamo a questi comandamenti. Camminiamo sempre con tutta umiltà nell'obbedienza alle sante parole. Dice infatti un testo sacro: Su chi si posa il mio sguardo se non su chi è umile e pacifico e teme le mie parole? (cfr. Is 66, 2).
Perciò, avendo vissuto grandi e illustri eventi, corriamo verso la meta della pace, preparata per noi fin da principio. Fissiamo fermamente lo sguardo sul Padre e Creatore di tutto il mondo, e aspiriamo vivamente ai suoi doni meravigliosi e ai suoi benefici incomparabili.

Dalla «Lettera ai Corinzi» di san Clemente I, papa e martire

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26/02/2010 21:27
 
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Dalle "Regole ampie" di san Basilio.

Qst. 2. PG 31,908-912.



L'amore di Dio non si insegna. Non abbiamo irnparato da nessuno a
gioire della luce né ad essere attaccati alla vita più che ad ogni
altra cosa. Nessuno ci ha neppure insegnato ad amare coloro che ci
hanno messo al mondo o ci hanno allevato.

Allo stesso modo, o meglio, a più forte ragione, non è un insegnamento
datoci dall'esterno quel che ci fa amare Dio. Nella natura stessa
dell'essere vivente - voglio dire dell'uomo - si trova un germe che
contiene in sé il principio di questa inclinazione ad amare. E solo
alla scuola dei comandamenti di Dio è possibile raccogliere questo
seme, coltivarlo con diligenza, nutrirlo con cura e portarlo a pieno
sviluppo mediante la grazia divina.

Abbiamo ricevuto il precetto di amare Dio, sicché possediamo una
forza, immessa in noi fin dalla prima strutturazione del nostro
essere, che ci spinge ad amare. Siamo portati per natura a desiderare
le cose belle, anche se il bello appare diverso all'uno e all'altro.
Ora, che cosa c'è da ammirare più della divina bellezza? Quale
desiderio spirituale è così ardente e quasi inarrestabile come quello
che Dio fa nascere nell'anima purificata da tutti i vizi, la quale
esclami con cuore sincero: Sono malata d'amore? (Ct 2,5). Del tutto
ineffabile e inesprimibile è lo splendore della bellezza divina. Però,
propriamente parlando è bello e amabile ciò che è buono. Ora Dio è
buono. E se anche non abbiamo conosciuto dalla sua bontà quel che egli
sia, dobbiamo grandemente amarlo e averlo caro per il solo fatto di
essere stati da lui generati; restiamo continuamente sospesi alla
memoria di lui, come bimbi aggrappati alla mamma.

Dalle "Regole ampie" di san Basilio.
Qst. 2. PG 31,908-912.
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26/02/2010 21:28
 
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La santa e beata Trinità è indivisibile. La sua unita è tale che
quando viene nominato il Padre, va immediatamente pensato sia il
Verbo sia lo Spirito che è nel Figlio. E se viene nominato il Figlio,
va inteso che il Padre è nel Figlio e che lo Spirito non è fuori del
Verbo.

Unica infatti è la grazia che venendo dal Padre attraverso il Figlio
si compie nello Spirito Santo. Unica pure è la divinità e non c'è che
un solo Dio, che è al di sopra di tutto, agisce per tutto ed è in
tutte le cose.

Dio non è come l'uomo, e la sua natura non è il frutto di una
divisione di parti. Il Padre non genera il Figlio cedendo parte di
sé, per cui il Figlio diventerebbe a sua volta padre: Dio come tale
non viene da un padre. Tanto meno il Figlio è parte del Padre e non
genera, anche se lui è stato generato; invece è tutto immagine e
splendore di tutto il Padre.

In seno alla divinità solo il Padre è in senso proprio "Padre" e il
Figlio è in senso proprio "Figlio"; solo di loro ha valore affermare
che da sempre il Padre è Padre e da sempre il Figlio è Figlio.

Come il Padre non potrebbe mai essere figlio, così il Figlio non
potrebbe mai diventare padre. E come il Padre non cesserà mai di
essere soltanto Padre, così il Figlio non cesserà mai di essere
soltanto Figlio.

È una pazzia anche solo pensare e dire che al nome di Figlio si possa
aggiungere quello di fratello e al nome di Padre quello di nonno.
Nelle Scritture lo Spirito non è chiamato né, figlio, perché non lo
si immagini fratello del Figlio, né è detto figlio del Figlio, perché
il Padre non sia pensato nonno. Ma il Figlio è detto Figlio del
Padre, e lo Spirito è Spirito del Padre.

In questo modo la divinità della Trinità santa è una, e una la nostra
fede in essa.

Dalle "Lettere a Serapione sullo Spirito Santo" di sant'Atanasio.
Epistolae ad Serapionem. I,14.16. PG 26,565.569.
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26/02/2010 21:28
 
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Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove
sono? Come ricorderete, sono queste le parole del Salvatore quando
rimproverò l'ingratitudine dei nove lebbrosi. Essi avevano saputo
rivolgere a Dio domande, suppliche, preghiere, come dice san Paolo,
quando si erano messi a gridare: Gesù maestro, abbi pietà di noi!
Tuttavia mancò loro il rendimento di grazie che conclude la suddetta
enumerazione paolina, perché non tornarono indietro, non vennero a
ringraziare il Signore.

Anche oggi, molti chiedono con una certo accanimento ciò di cui
si riconoscono mancanti; però si direbbe che siano ben pochi quelli
che manifestano un'adeguata riconoscenza per i benefici ricevuti. Non
vi è nulla di male a chiedere con insistenza. Ma se ti mostri
ingrato, in realtà la tua domanda rimane inadempiuta.

Forse è anche per bontà che il Signore non accoglie le richieste
degli ingrati. Così ci evita di essere giudicati tanto più
imperdonabili quanto più tralasciamo di manifestare riconoscenza per
un cumulo di benefici in continuo aumento. In tal caso negare
misericordia è proprio della misericordia.

Beato invece quel Samaritano che riconobbe di non avere nulla
che non avesse ricevuto. Egli custodì il deposito ricevuto e fece
ritorno nel rendimento di grazie. Beato l'uomo che per ogni dono
della grazia, ritorna verso Cristo, nel quale si trova la pienezza di
tutti i doni. Il fatto di mostrarci riconoscenti a lui per i benefici
ricevuti, significa creare in noi lo spazio adeguato a riceverne
ancora di più grandi. L'ingratitudine sola impedisce in noi il
progresso della crescita.

L'uomo felice è colui che si reputa Samaritano, cioè straniero e
il quale, magari per piccoli favori, ringrazia sempre con non piccola
gratitudine. Egli sa perfettamente che i doni del Regno che Dio gli
concede, si rivolgono nella sua persona a un estraneo, cioè a
qualcuno che non ha nessun titolo che lo raccomandi.

Quanto a noi, poveri e miseri come siamo, finché dura la nostra
consapevolezza di essere degli estranei, ci mostriamo timorosi,
umili, devoti. Ma poi dimentichiamo facilmente quanto poco ci erano
dovuti i benefici che Dio ci elargì. A torto presumiamo di essere gli
intimi del Signore, senza far attenzione fino a qual punto
meriteremmo di sentirci dire: I nemici di Dio saranno quelli della
sua casa. Infatti, allora lo offendiamo con più facilità, dimentichi
che i nostri peccati meriteranno di essere condannati con severità
maggiore, secondo le parole del salmista: Se mi avesse insultato un
nemico, l'avrei sopportato.

Fratelli, umiliamoci sempre di più sotto la potente mano di Dio
e mettiamo ogni sforzo a rigettare ben lontana l'ingratitudine,
questo vizio odioso, enorme. Invece, di tutto cuore dedichiamoci al
rendimento di grazie, in modo da attirare su di noi il favore del
nostro Dio, l'unico che ci possa salvare.

E la nostra non sia una riconoscenza solo a parole, a fior di
labbro, ma una riconoscenza capace di tradursi in opere, in realtà
concreta. Infatti un'azione di grazie, vale a dire un ringraziamento
vissuto più che parlato è quanto richiede il Signore nostro Dio,
datore di ogni grazia, lui che è benedetto nei secoli. Amen.

Dai discorsi di san Bernardo.
Sermo XXVII De diversis, 5-6.8. PL 183, 614-616.
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26/02/2010 21:30
 
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E` veramente impossibile riconoscere Dio con gli occhi della carne
dal momento che ciò che è incorporeo non può essere percepito dallo
sguardo materiale. D`altronde è proprio l`unigenito Figlio di Dio a
confermarcelo dicendo: Nessuno ha mai visto Dio (Gv 1,18). E allora,
anche se qualcuno comprende quanto si legge in Ezechiele nel senso
che il profeta abbia quasi veduto Iddio, ascolti bene ciò che afferma
la Scrittura. Il profeta vide una somiglianza della gloria del
Signore (Ez 2,1): non il Signore in persona, ma unicamente
una «somiglianza della sua gloria», quindi neppure la sua vera gloria
com`è in realtà. Eppure, benché avesse contemplato soltanto una
parvenza della gloria divina, e nemmeno la gloria vera, il profeta
stramazzò a terra per lo sgomento. Perciò, se il trovarsi di fronte
ad una semplice somiglianza della gloria di Dio atterriva e
sconcertava a quel modo persino i profeti, quando qualcuno ardisse
fissare il proprio sguardo su Dio stesso, perderebbe la vita. E` la
Scrittura stessa a testimoniarcelo: Nessuno vedrà il mio volto, e
continuerà a vivere (Es 33,20).
Per questo motivo Dio, nella sua infinita bontà, ha disteso
il cielo come un velo che nascondesse la sua divinità, perché noi non
morissimo. Non è una mia opinione questa, ma è il profeta stesso ad
affermare: Se spalancassi i cieli, il timore di te s`impadronirebbe
dei monti fino a farli scomparire (Is 64,1). Perché allora ti
meraviglia il fatto che Ezechiele stesso, nel contemplare una
semplice parvenza della gloria divina, cadde al suolo?
Quando il servo di Dio Gabriele apparve a Daniele, costui ne
rimase subito sconcertato e, a una simile vista, stramazzò anch`egli
a terra. Né il profeta osò rispondere, fino a quando l`angelo non
trasformò il proprio aspetto in quello di un figlio d`uomo (cf. Dn
8,17; 10,15-16). Se la vista di Gabriele faceva tremare i profeti,
nel caso in cui Dio in persona si fosse mostrato nella sua essenza,
non sarebbero forse tutti morti?
Non è quindi concesso a occhi corporei di contemplare la
natura divina; dalle opere divine siamo tuttavia in grado di farci
un`idea della sua potenza, secondo quanto afferma lo stesso Salomone:
Infatti dalla grandiosità e bellezza delle creature è dato
riconoscere, con le dovute proporzioni, il loro creatore (Sap 13,5).
D`altronde, egli non afferma che dalle creature si perviene
senz`altro ad un`adeguata comprensione del loro creatore, ma aggiunge
anzi «con le dovute proporzioni». E allora, tanto più maestoso
apparirà a ciascuno Dio, quanto più sublime sarà stata la
contemplazione delle creature raggiunta dall`uomo. Quando, infatti,
costui avrà elevato la propria anima sulle vette più alte della
contemplazione, egli si formerà altresì intorno a Dio una conoscenza
più profonda.
Vuoi sapere che non è possibile conoscere l`essenza di Dio?
Lo affermano i tre fanciulli che nella fornace lodano Dio: Benedetto
sei tu che scruti gli abissi, sedendo sui cherubini (Dn 3,55). Dimmi
un po` come sono fatti i cherubini; e soltanto allora, provati a
discernere colui che siede sopra di loro. Il profeta Ezechiele, per
quanto possibile, abbozzò una loro descrizione, dicendo: Quattro
volti ciascuno; uno d`uomo, un altro di leone, un terzo d`aquila,
l`ultimo di vitello (Ez 1,6); e sei ali ciascuno (Is 6,2); e occhi
dappertutto (Ap 7,8); e sotto ognuno di loro una ruota divisa in
quattro parti (Ez 10,12). Pur tuttavia, nonostante questa descrizione
profetica, non siamo ancora in grado di farcene un`idea esatta. Se,
infatti, non ci sentiamo capaci di discernere il trono, che il
profeta ha appena descritto, come potremo mai comprendere colui che
vi siede sopra, I`invisibile e ineffabile Iddio?
E` davvero impossibile capire bene che cosa sia Dio. Quando
osserviamo le sue opere, però, ci è possibile innalzare a lui delle
lodi.

Cirillo di Gerusalemme, Catechesi battesimale, 9,1-3
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26/02/2010 21:31
 
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La carità verso il prossimo si manifesta in molti modi, e non soltanto
nel dare. Ascolta come. Può capitarti che te ne vai da qualche parte
con il prossimo e ti rendi conto che vorresti ricevere più onore di
lui, invece di rallegrarti che egli riscuota la medesima stima che te.
Così facendo, non lo consideri come te stesso. Ha detto infatti
l'Apostolo: Gareggiate nello stimarvi a vicenda.

Se hai qualcosa da mangiare e noti in te la voglia di gustartela da
solo, per ingordigia e non per bisogno, di nuovo non consideri il
prossimo come te stesso.

Vedi il fratello lodato e non ti congratuli con lui, perché non ricevi
le medesime lodi; invece, dovresti dire: "L'elogio al fratello si
estende a me, perché è un mio membro.

Anche in tale occasione tu non hai amato il prossimo tuo come te
stesso. Ciò vale per tutti i casi analoghi.

Ecco ancora un altro modo di considerare il prossimo come se stesso.
Se apprendi dai padri la via di Dio e il tuo fratello ti interroga,
non essere avaro nel mostrarti sollecito di lui e nell'aiutarlo. Ma
poiché sai che e tuo fratello, digli quanto hai appreso, con timore di
Dio e senza atteggiarti a maestro, cosa che non ti giova.

La libertà è la verità espressa chiaramente. Buona perciò è la
libertà, ma deve essere gestita nel timore di Dio.

Se quando hai bisogno di qualcosa, non lo dici aspettan­do che il tale
*o il tal'altro te lo dia da sé, ecco quello che accade: potrà darsi
ch'egli ignori la tua necessità, oppure, saputala, se ne dimentichi; o
anche, volendoti mettere alla prova, faccia così per vedere se hai
pazienza. Ora avviene che tu ti sdegni contro di lui e così cadi in
peccato.

Se invece gli parli con franchezza, non succederà nulla di tutto questo.

Tu però disponi bene il tuo pensiero fin da prima, per­ché, se dopo
aver chiesto ciò che cerchi non lo ottieni, tu non rimanga afflitto o
indignato e cominci a mormorare. Dì piuttosto al tuo pensiero:
"Probabilmente non potrà fornirmi quanto gli ho chiesto; oppure io non
ne sono degno e perciò Dio non gli ha permesso di darmelo".

E bada di non incupirti per quel rifiuto, perdendo la libertà nei suoi
riguardi, così da non osare chiedergli mai più nul­la, quando la
necessita lo richieda. Cerca di custodire sempre te stesso senza
turbamento rispetto a quel rifiuto.

D'altra parte, se uno ti chiede di che cosa hai biso­gno, anche in
questo caso dì la verità. E se, preso alla sprovvista, tu dicessi:
"Non ho bisogno", smentisciti e sog­giungi: "Scusami, ho parlato a
vanvera, perché ho bisogno di tenere quella cosa".

Dalle lettere di Barsanufio e Giovanni di Gaza (Lettera 339)
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26/02/2010 21:32
 
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Svégliati, o uomo: per te Dio si è fatto uomo. «Svégliati, o tu che
dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà» (Ef 5, 14). Per te,
dico, Dio si è fatto uomo.
Saresti morto per sempre, se egli non fosse nato nel tempo. Non
avrebbe liberato dal peccato la tua natura, se non avesse assunto una
natura simile a quella del peccato. Una perpetua miseria ti avrebbe
posseduto, se non fosse stata elargita questa misericordia. Non
avresti riavuto la vita, se egli non si fosse incontrato con la tua
stessa morte. Saresti venuto meno, se non ti avesse soccorso. Saresti
perito, se non fosse venuto.
Prepariamoci a celebrare in letizia la venuta della nostra salvezza,
della nostra redenzione; a celebrare il giorno di festa in cui il
grande ed eterno giorno venne dal suo grande ed eterno giorno in
questo nostro giorno temporaneo così breve. «Egli è diventato per noi
giustizia, santificazione e redenzione perché, come sta scritto, chi
si vanta si vanti nel Signore» (1 Cor 1, 30-31).
«La verità è germogliata dalla terra» (Sal 84, 12): nasce dalla
Vergine Cristo, che ha detto: «Io sono la verità» (Gv 14, 6). «E la
giustizia si è affacciata dal cielo» (Sal 84, 12). L'uomo che crede
nel Cristo, nato per noi, non riceve la salvezza da se stesso, ma da
Dio. «La verità è germogliata dalla terra«, perché «il Verbo si fece
carne» (Gv 1, 14). «E la giustizia si è affacciata dal cielo», perché
«ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall'alto» (Gv 1, 17).
«La verità è germogliata dalla terra»: la carne da Maria. «E la
giustizia si è affacciata dal cielo», perché «l'uomo non può ricevere
nulla se non gli è stato dato dal cielo» (Gv 3, 27).
«Giustificati per la fede, noi siamo in pace con Dio» (Rm 5, 1) perché
«la giustizia e la pace si sono baciate» (Sal 84, 11) «per il nostro
Signore Gesù Cristo», perché «la verità è germogliata dalla terra»
(Sal 84, 12). «Per mezzo di lui abbiamo l'accesso a questa grazia in
cui ci troviamo e di cui ci vantiamo nella speranza della gloria di
Dio (Rm 5, 2). Non dice «della nostra gloria», ma «della gloria di
Dio», perché la giustizia non ci venne da noi, ma si è «affacciata dal
cielo». Perciò «colui che si gloria» si glori nel Signore, non in se
stesso.
Dal cielo, infatti per la nascita del Signore dalla Vergine... si fece
udire l'inno degli angeli: «Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace
sulla terra agli uomini di buona volontà» (Lc 2, 14). Come poté venire
la pace sulla terra, se non perché la verità è germogliata dalla
terra, cioè Cristo è nato dalla carne? «Egli è la nostra pace, colui
che di due popoli ne ha fatto uno solo» (Ef 2, 14) perché fossimo
uomini di buona volontà, legati dolcemente dal vincolo dell'unità.
Rallegriamoci dunque di questa grazia perché nostra gloria sia la
testimonianza della buona coscienza. Non ci gloriamo in noi stessi, ma
nel Signore. E' stato detto: «Sei mia gloria e sollevi il mio capo»
(Sal 3, 4): e quale grazia di Dio più grande ha potuto brillare a noi?
Avendo un Figlio unigenito, Dio l'ha fatto figlio dell'uomo, e così
viceversa ha reso il figlio dell'uomo figlio di Dio. Cerca il merito,
la causa, la giustizia di questo, e vedi se trovi mai altro che grazia.

Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo (Disc. 185; Pl 38, 997-999)
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26/02/2010 21:33
 
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Nell'evento che celebriamo la colomba apparsa sul capo di Gesù fu come
un indice puntato su Cristo per mostrare ai giudei e a Giovanni
Battista che Gesù era il Figlio di Dio. Ma non era soltanto per
questo: insegnava anche a noi che, quando riceviamo il battesimo, lo
Spirito Santo discende nel nostro cuore. Per noi, ormai, non c'è
bisogno di forme visibili; la fede è sufficiente e non necessita di
miracoli. I miracoli - come dice Paolo - non sono fatti per i fedeli,
ma per i non credenti. Ma per che motivo lo Spirito Santo si manifesta
sotto la forma di una colomba? Perché la colomba è dolce e pura: lo
Spirito Santo apparve sotto quell'aspetto, perché è il principio di
tali virtù. Questa colomba ci fa inoltre ricordare una vicenda che
abbiamo letto nel Vecchio Testamento. Quando tutta la terra fu
inondata dal diluvio e l'intero genere umano corse il rischio di
perire, la colomba apparve per annunziare la fine del cataclisma,
portando un ramo d'ulivo nel becco; tornava la pace su tutta la terra.

La colomba non porta più oggi agli uomini un rametto d'olivo, ma
mostra colui che dovrà liberarli da tutti i mali e ci fa intravedere
grandi speranze. Essa non fa uscire dall'arca un uomo solo, destinato
a ripopolare la terra, ma quando appare attira tutta la terra al
cielo; al posto del ramo di olivo, reca a tutti gli uomini l'adozione
a figli di Dio. Dov'è infatti la dignità di figli adottivi di Dio,
sono distrutti tutti i mali e si effonde ogni bene. Perciò il
battesimo dei giudei cede il posto al nostro battesimo; una
trasformazione analoga a quella di Pasqua accade in questo sacramento.
Il Signore Gesù, celebrando allo stesso tempo entrambe le pasque,
abolisce l'antica e istituisce la nuova; qui, ricevendo il battesimo
giudaico, dà inizio al nuovo battesimo della Chiesa. Ciò che farà più
tardi sulla medesima mensa, lo fa adesso nel medesimo fiume: delinea
l'immagine e mette subito dopo in risalto la vera realtà.

Soltanto il battesimo di Cristo possiede la grazia dello Spirito; essa
non si trova in quello di Giovanni. Perciò 1o Spirito Santo non
discese su nessuno di coloro che il Precursore aveva battezzato, ma
soltanto su colui che ci avrebbe donato la grazia del secondo
battesimo. Così possiamo riconoscere che il miracolo non dipende da
chi dà, ma da chi riceve il battesimo. Allora soltanto i cieli si
aprirono e lo Spirito Santo discese. Da quel momento Gesù ci fa
transitare dal vecchio modo di vivere alla. vita nuova aprendo davanti
a noi le porte della dimora celeste. Vi fa discendere lo Spirito per
chiamare gli uomini alla loro patria beata. Anzi, non pago di
chiamarci, ci comunica una sovrana dignità. Non fa di noi angeli o
arcangeli, ma ci rende i figli e i prediletti di Dio.

Consideriamo, fratelli, l'amore di chi ci ha chiamati, la beata
condizione di lassù e conduciamo una vita degna dell'onore ricevuto in
dono da Dio. Crocifissi con Cristo al mondo, crocifiggiamo il mondo in
noi; dedichiamo tutto l'impegno a vivere quaggiù come si vive in
cielo. Non pensiamo di aver qualcosa in comune con la terra per la
ragione che non siamo ancora saliti col corpo fino al cielo; il nostro
capo regna già lassù. Quando il Signore venne per la prima volta sulla
terra, assumendo la natura umana, la elevò al cielo perché, anche
prima di giungere lassù, sapessimo che non è impossibile vivere sulla
terra come in cielo. Sforziamoci di conservare la nobile nascita che
ci è stata conferita sin dall'inizio con il battesimo. Ogni giorno
salpiamo alla ricerca di questo regno eterno e consideriamo tutte le
realtà presenti così sbiadite., anzi smorte come sogni evanescenti.

Dalle "Omelie sul vangelo di Matteo" dì san Giovanni Crisostomo.
Comm. al vang. Mt.XII,3-4. PC 57,205-207

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26/02/2010 21:34
 
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Nostro Signore vuole che gli parliamo e lui a sua volta ci parlerà.
Chiunque può dialogare con il Signore. Non è forse venuto per tutti?
Non ci ha forse detto: Venite a me voi tutti? 1. (Mt 11. 28) Questo
colloquio tra il Signore e l'anima è la vera adorazione.

Va da nostro Signore così come sei: la tua preghiera sia spontanea e
naturale. Prima di servirti di un libro, da fondo alla tua riserva di
pietà e di amore; prediligi il libro inesauribile dell'umile amore.

Se la mente è fuorviata o i sensi si assopiscono, un buon libro che ti
rimetta in carreggiata sarà certamente utile; ricordati però che il
Maestro preferisce la povertà del nostro cuore ai più sublimi pensieri
e agli slanci d'amore presi a prestito da altri.

Il Signore vuole il tuo cuore, non quello altrui; desidera
l'espressione e la preghiera del tuo cuore come manifestazione diretta
che lo ami.

Sarà spesso il frutto di un sottile amor proprio, di impazienza o
svogliatezza non voler presentarsi al Signore con la propria miseria o
con una povertà umiliata. Eppure,è quanto nostro Signore preferisce a
tutto il resto; questo ama, questo benedice.

Se ti senti arido, rendi gloria alla grazia di Dio, senza di, cui non
puoi nulla; spalanca allora l'anima verso il cielo, come il fiore
dischiude il calice all'alba per accogliere la rugiada fecondatrice.

Ti senti del tutto impotente, la mente nel buio, il cuore schiacciato
dal peso del suo nulla, il corpo dolente? Adora da povero. Sguscia
fuori dalla tua povertà, e va! a stabilirti in nostro Signore,
offrigli la tua pochezza perché lui la arricchisca. Sarà un capolavoro
degno della sua gloria.

A volte una nera tentazione ti potrà sconquassare e incupirti: senti
che tutto in te si ribella e ti spinge ad abbandonare l'adorazione,
insinuando che invece di servire Dio non fai che offenderlo e
disonorarlo. Non ascoltare quella subdola voce; la tua è adorazione
autentica, l'adorazione di chi lotta e resta fedele a Gesù contro sé
stesso.

Non è affatto vero che tu sia sgradito al Signore; al contrario,
rallegri il Maestro che ti sta guardando e ha permesso a Satana di
turbarti. In quel momento Dio si aspetta l'omaggio della perseveranza.

Fiducia, semplicità e amore siano i sentieri per cui giungerai
all'adorazione.

Vuoi essere felice in amore? Vivi continuamente nella bontà di Gesù
Cristo, che è sempre nuova per noi; in lui segui il lavoro del suo
amore su di te. Contempla la bellezza delle sue virtù, la luminosità
del suo amore piuttosto che le sue vampe; in noi il fuoco dell'amore
fa presto a sparire, mentre rimane la sua verità.

Inizia la tua adorazione con un atto di amore e apri la tua anima
all'azione divina. Sai perché ti incagli per via? Perché se non si
prende l'avvio con l'amore si sbaglia senz'altro rotta. Guarda il
bambino: non abbraccia forse la mamma prima di obbedirle? L'amore è
l'unica porta del cuore.

Ma vuoi essere nobile in amore? Parla all'Amato di lui stesso. Parla a
Gesù del suo Padre celeste ch'egli tanto ama, parlagli delle opere che
compì per la sua gloria; allieterai il suo cuore e ti amerà maggiormente.

Soffermati con Gesù a contemplare il suo amore per tutti gli uomini:
il suo cuore e anche il tuo si dilateranno dì gioia e dì felicità.
Parla a Gesù della sua amatissima Madre e gli rinnoverai la gioia di
un bravo figliolo; ricordagli i suoi santi, per glorificare la sua
grazia in essi.

Il vero segreto dell'amore sta nel dimenticarsi come fece san Giovanni
Battista, proteso solo ad esaltare e glorificare il Signore Gesù.
L'amore autentico non guarda quello che dà, ma ciò che merita l'amato.

In cambio Gesù, contento di te, porterà su di te il colloquio; ti
manifesterà il suo amore, e il tuo cuore sboccerà ai raggi di quel
sole come il fiore raggrinzito dall'umidità notturna si schiude alla
luce calda del giorno. La sua tenera voce ti penetrerà dentro come il
fuoco in una materia infiammabile. Tu esclamerai come la sposa del
Cantico: Dolcezza e il suo palato; egli e tutto delizie!2(C t 5.16)
Allora lo ascolterai silenzioso o, meglio, con l'amore più forte e soave.

Ecco, puoi venire nel cuore di Gesù. L'amore te ne ha dischiuso la
porta: entra, ama, adora.

(Da "La divina Eucaristia" di san Giuliano Eymard.
La divine Eucharistie, Poussielgue, Parigi,1873,sèr.I,ch.I,1‑7.)

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26/02/2010 21:35
 
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Finché sulla terra saremo circondati dalla carne che lotta contro lo
spirito e la cui sapienza è nemica di Dio e non può in alcun modo
sottostare alla legge di Dio (Rm 8,7), noi siamo nella tentazione.
Giobbe, inoltre, con queste parole ci ha insegnato che tutta la vita
dell`uomo su questa terra è tentazione: Forse che non è una
tentazione la vita dell`uomo sopra la terra? (Gb 7,1). Ciò medesimo
traspare dal salmo diciassettesimo: In te sarò liberato dalla
tentazione (Sal 17,30). Paolo stesso, d`altronde, nello scrivere ai
Corinti, dice: Non vi hanno assalito che tentazioni umane; ora Dio è
fedele e non permetterà che siate tentati oltre la vostra capacità,
ma con la tentazione vi procurerà anche la via di scampo, affinché
possiate sostenerla (1Cor 10,13); e ciò affermò non perché noi non
venissimo tentati, ma affinché Dio ci concedesse di non esser tentati
al di sopra delle nostre forze...
Chi ha mai potuto ritenere con conoscenza di causa che gli
uomini non abbiano tentazioni? Quando mai un uomo sarà così al sicuro
da non dover combattere per non peccare? Uno è povero? Ebbene, stia
attento a non rubare e profanare il nome di Dio (Pr 30,9). E` ricco?
Stia allora attento a non sentirsi troppo sicuro: egli, infatti,
può «divenire un gran mentitore» e affermare, insuperbendosi: «Chi mi
vede?». Neppure Paolo, ricco in ogni parola e in ogni scienza (1Cor
1,5), è immune dal pericolo di inorgoglirsene e di peccare; per
questo ha bisogno dello stimolo di Satana, che lo schiaffeggia per
non farlo inorgoglire (2Cor 1,5). Se qualcuno, avendo compreso il
bene, ha evitato il male, legga ciò che è scritto nel secondo libro
delle Cronache intorno ad Ezechia, del quale si narra come sia
incorso nella tracotanza del cuore (cf. 2Cr 32,25). Se poi qualcuno,
dal momento che non abbiamo molto parlato a proposito del povero, si
preoccupa poco, come se la tentazione, quando si è poveri, non si
avvertisse, sappia che l`insidiatore tende tranelli per sconfiggere
il povero e il bisognoso (cf. Sal 36,14), segnatamente in conformità
a quanto afferma Salomone, dicendo che il povero non sostiene la
minaccia (Pr 13,8). C`è forse bisogno di ricordare quanti, avendo
male amministrato le loro ricchezze materiali, si videro inflitta la
medesima pena, e nel medesimo luogo, del ricco del Vangelo? E quanti
furono, peraltro, coloro i quali, mal sopportando la povertà e
vivendo in maniera servile e dimessa, sconveniente ai santi,
decaddero dalla speranza delle cose celesti? Come neppure sono immuni
dal peccato coloro i quali si trovano in una condizione intermedia
fra la ricchezza e la povertà. Chi, poi, è sano e robusto
fisicamente, ritiene per questo di essere sano e robusto di fronte ad
ogni tentazione? E di chi altro, se non della persona sana e
vigorosa, è proprio il peccato con il quale viene violato il tempio
di Dio (1Cor 3,17)? Nessuno oserà soffermarsi esplicitamente su tale
brano, trattandosi di cose evidenti per tutti. D`altra parte, però,
qual è mai il malato che sia riuscito a sottrarsi alla tentazione di
distruggere il luogo sacro di Dio, trovandosi nell`ozio in quel
periodo di tempo, e non abbia assecondato almeno qualcuno dei
pensieri impuri? C`è forse bisogno di dire quante cose lo turbino
oltre a queste, se non procura di serbar puro il suo cuore, con ogni
sollecitudine? Molti, infatti, vinti dalle sofferenze e non essendo
in grado di sopportare virilmente le malattie, finirono quasi
coll`ammalarsi più con l`anima che col corpo. Altresì molti, per
scongiurare l`infamia, si vergognarono di sostenere generosamente il
nome di Cristo e precipitarono nella condanna eterna. Qualcuno, poi,
ritiene che per lui cesserà la tentazione, il giorno in cui egli avrà
conseguito gloria presso gli uomini. Per coloro i quali si
inorgogliscono, come se fosse un valore, della gloria ottenuta presso
molti, valgono le dure parole della Scrittura: «Ricevettero la
mercede dagli uomini», e le altre parole ancora più lampanti: Come
potete voi credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri e non
cercate la gloria che viene dall`unico Dio? (Gv 5,44)...
Non dobbiamo dunque pregare di non essere tentati (il che,
infatti, è impossibile), ma di non venire sopraffatti dalla
tentazione, ciò che capita, appunto, a coloro che ne sono posseduti e
vinti. Se in un passo diverso dall`orazione (domenicale) sta scritto,
con parole facilmente comprensibili: «Perché non entriate in
tentazione», dobbiamo così rivolgerci nella stessa orazione a Dio
Padre: «Non ci indurre in tentazione». Vale la pena vedere in che
senso si debba intendere che Dio induca in tentazione chi non prega o
chi non viene esaudito. Ripugnerebbe, infatti, ritenere che, se uno
vinto, entra nella tentazione, Dio lo abbia indotto in tentazione,
come se lo abbandonasse alla disfatta. Non è assurdo, infatti,
convincersi che il buon Dio, il quale non può recare frutti cattivi,
possa far cadere qualcuno nel peccato?...
Io credo, invece, che Dio governi ogni anima razionale avendo
di mira la loro vita eterna. Le anime, infatti, da parte loro, sono
sempre dotate di libero arbitrio e perciò spontaneamente esse si
trovano nelle migliori condizioni, fino a salire all`apice del bene,
ovvero, a motivo della loro negligenza, esse discendono in vari modi
verso un sempre maggior numero di mali. Ciò nondimeno, dal momento
che una più breve guarigione suscita in talune persone la
trascuratezza delle loro malattie al punto che, avendole essi curate
così facilmente, in seguito, una volta risanati, cadono nuovamente
nelle medesime infermità; allora, non senza motivo, Iddio abbandona
queste anime alla loro malizia, lasciandovela crescere e diffondersi
fino a diventare insanabile, affinché queste, rimaste così a lungo
nel male e nel peccato sino alla nausea e alla sazietà, si rendano
alla fine conto del loro danno e rimpiangano di aver intrapreso il
male. In tal modo, queste anime, una volta guarite, potranno
conservare con maggior sicurezza la riacquistata sanità...
Le tentazioni sopravvengono affinché appaia chiaramente ciò
che siamo o perché si conoscano le cose nascoste nel nostro cuore: lo
dimostra quanto viene affermato dal Signore nel libro di Giobbe,
scritto altresì nel Deuteronomio, e che in tal modo suona: Ritieni
che io abbia risposto a te in maniera diversa da farti apparire
giusto? (Gb 40,3). Nel Deuteronomio, poi: Ti ha umiliato, ti ha fatto
provare la fame e ti ha fatto mangiare la manna (Dt 8,3), e ti ha
condotto nel deserto tra serpenti che mordono e scorpioni (Dt 8,15),
affinché diventassero note le cose che sono nel tuo cuore (Dt 8,2)...
Dopo aver diligentemente esaminato queste cose per chiedere
consapevolmente a Dio di non entrare in tentazione, ma di essere
liberati dal male e dopo avere scrutato noi stessi, una volta
divenuti degni, ascoltando Dio, di essere esauditi da lui,
scongiuriamolo affinché, nella tentazione, non rimaniamo mortificati,
colpiti e infuocati dai dardi incandescenti del maligno (Ef 6,16).
Vengono accesi, infatti, tutti coloro che hanno i cuori divenuti come
fornelli (Os 7,6) come dice uno dei dodici [profeti minori: n.d.t.];
diversamente accade, invece, per coloro i quali con lo scudo della
fede estinguono i dardi infuocati scagliati dal maligno (Ef 6,16)
contro di loro; coloro, cioè, che hanno in se stessi fiumi di acqua
che zampilla per la vita eterna (Gv 4,14), che non permettono al
maligno di appiccare il fuoco, ma facilmente lo estinguono con un
diluvio di pensieri divini e salutari impressi dalla contemplazione
della verità nell`anima di chi si sforza di diventare spirituale.

Origene, La preghiera, 29,1-30,3

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26/02/2010 21:36
 
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La Vergine Maria non fu come la terra che servì per creare l'uomo;
questa offrì al Creatore la materia mantenendosi passiva e aliena da
ogni attività. Maria invece fu lei stessa l'artefice e l'agente
secondo di quello che attirò in terra l'Artista divino. Alludo qui
direttamente alla sua vita immacolata, puro scintillio di santità,
che rinunciando a ogni forma di male, seppe praticare tutte le virtù.

L'anima di Maria era più pura della luce, il suo corpo
spiritualizzato al massimo, più raggiante del sole, più terso del
cielo, più santo dei troni dei cherubini. La sua mente si alzava fino
alle vette e volava più alta degli angeli; il suo amore per Dio
consumava ogni desiderio dell'anima sua, per cui la Vergine possedeva
Dio ed era a lui unita al di là di quanto sia capace l'intelletto
umano.

Proprio questo suo tendere costante verso la Bellezza, nella pratica
congiunta dell'anima e del corpo, valse ad attirare su di lei lo
sguardo di Dio che l'arricchì con il suo splendore; il fascino della
Vergine attirò l'impassibile, e colui che l'uomo con la sua colpa
aveva allontanato si fece carne a motivo della Vergine.

Quando Dio volle trarre Eva dal costato di Adamo, anziché prevenire
e persuadere l'uomo, lo fece cadere nel sonno e gli sottrasse una
parte del suo corpo. Ma quando si trattò della Vergine, Dio iniziò
con l'annuncio e, prima di compiere la sua opera, attese la risposta
di Maria.

Nel momento di creare Adamo, Dio si rivolge soltanto al proprio
Figlio, dicendo: Facciamo l'uomo. Gn 1,26. Ma allorché si tratta di
introdurre nel mondo il suo primogenito, l'ammirabile Consigliere, e
di dar vita al secondo Adamo, il Padre celeste rende la Vergine
partecipe del suo disegno. Questo grande consiglio, di cui parla
Isaia, Is 9,6 LXX questo stupendo piano di Dio, fu stabilito dal
Padre e ratificato dalla Vergine.

L'incarnazione non fu soltanto opera del Padre che decise e che
nella sua potenza copri la Vergine con la sua ombra, e opera dello
Spirito che si rese presente. Ma fu anche opera della volontà e della
fede di Maria. Senza il Padre, senza la sua potenza e il suo Spirito,
questo piano non poteva essere ideato; ma il disegno di Dio non
avrebbe avuto compimento senza la volontà e la fede dell'Immacolata.

Dopo averla avvertita, dopo averla ispirata ad accettare, Dio fece
della Vergine sua madre: Maria era pienamente consapevole e
disponibile, quando il Verbo prese carne in lei. Come questi fu
concepito perché lo volle, così Maria concepì in piena libertà e
divenne madre dopo aver dato il proprio assenso.

Ammessa a partecipare al piano di Dio, non fu strumento passivo,
mosso dall'esterno; si offrì spontaneamente e diventò la cooperatrice
di Dio e della sua provvidenza nei riguardi del genere umano, così da
essere associata in modo tutto particolare alla grazia donata da Dio.

E ancora: poiché il Salvatore era uomo e figlio dell'uomo, non solo
nel corpo ma anche nello spirito, nell'intelligenza, nella volontà,
in tutto ciò che è umano, egli doveva avere una madre perfetta.
Questa madre doveva preparare la sua nascita offrendo non solo il
proprio corpo, ma anche lo spirito, la volontà e tutto l'essere. Ecco
perché la Vergine divenne madre nel corpo e nell'anima, portando nel
suo seno, fino alla nascita ineffabile, colui che si è fatto
veramente, totalmente uomo.

Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai
detto. La Vergine parla e la sua parola è efficace: E il Verbo si
fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi. Gv 1,14.

Dopo la sua risposta a Dio, Maria riceve lo Spirito che trae da lei
la carne tutta impregnata di divinità. Voce della potenza di Dio! Il
Verbo divino s'incarna grazie alla parola della madre; il Creatore
assume una natura creata in seguito alla parola della creatura. Sia
la luce! Gn 1,3 aveva detto Dio. E la luce fu. Allo stesso modo, dopo
che la Vergine ebbe parlato, la vera luce apparve. Colui che illumina
ogni uomo Gv 1,9 che viene al mondo, prese carne e fu portato nel suo
seno. Le parole della Vergine hanno fatto della terra un paradiso,
svuotando gli inferi dei suoi prigionieri. Il cielo è diventato
dimora dell'uomo, che si è congiunto con gli angeli, sicché terra e
cielo formano un unico coro attorno a colui che appartiene ad
entrambi nello stesso tempo, è eterno e tuttavia entrò nel divenire.

Dalle Omelie di Nicola Cabàsilas.
Omelia per 1'Annunciazione, 3-8.10. PO XIX, 485-494
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26/02/2010 21:36
 
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Dal vangelo secondo Giovanni:
20,19-31
La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato,
mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli, per timore
dei Giudei,
venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse.
Pace a voi!
-------------------------------------------------

Dopo aver mostrato ai discepoli le stimmate, segni irrefutabili della sua
passione, il Signore ripeté per la seconda volta: "Pace a voi!" Poi aggiunse:
"Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". In altre parole: Vi mando con
il medesimo amore, con uguale autorità; vi invio per la medesima funzione e la
medesima dignità; vi rendo partecipi del mio onore e della mia missione. Proprio
quell'amore del Padre che mi ha fatto scendere nel mondo, quell'amore che lo
spinse a dare il suo unico Figlio, lo stesso amore adesso spinge me a inviarvi a
salvare gli uomini. L'autorità, la potenza conferitami dal Padre per scacciare i
demoni, guarire gli infermi, ridare la vita ai morti, insomma per comandare a
tutte le forze della natura, anzi, per rimettere i peccati, ciò che è ben più
grande, tutto questo io lo dò ugualmente a voi. A chiunque rimetterete i peccati
saranno rimessi.

Delego poi a voi anche le credenziali che il Padre mi aveva affidato. Mi creò
sacerdote, anzi sommo sacerdote-, mi inviò come apostolo e ambasciatore. Ora io
mando voi al mio posto come apostoli e ambasciatori. Così potrete dire con piena
verità: Noi fungiamo da ambasciatori di Cristo, come se Dio esortasse per mezzo
nostro. cf 2Cor 5,20.

"Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre
e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che
vi ho comandato", Mt 28,19-20. per tema che paghi della gloria conferita dal
battesimo e dalla fede, si approprino la salvezza senza curarsi di obbedire ai
precetti divini. Il beneficio della mia passione e della mia croce non deve
essere occasione d'inerzia, ma stimolare all'impegno e coinvolgere sul serio.
Eppure una missione così centrale non può essere trasmessa in modo efficace
senza che lo Spirito la accompagni investendola con la forza di Dio. Perciò:
"Ricevete lo Spirito Santo, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò
che io vi ho detto".ii cf Gv 14,26. 25

Poi il Signore terminò quelle parole aggiungendo un gesto nuovo: egli soffiò su
di essi. Che significa tale rito? La Sapienza eterna non fa nulla senza essere
motivata. Con quel segno visibile, ella manifestava la grazia invisibile dello
Spirito divino conferito in quell'istante ai discepoli. Così i sacramenti della
nuova Legge significano all'esterno quello che operano dentro: il battesimo,
lavando materialmente il corpo, produce l'interna abluzione dell'anima;
l'eucaristia, mentre nutre il corpo, innesta nell'anima un'energia divina.
Perciò quando Gesù, alitando sui discepoli, comunica loro lo Spirito Santo che
lo inabita, il suo respiro significa il dono interiore e la partecipazione a
questo medesimo Spirito.

In tale evento sì possono assaporare la bontà e la sapienza di Dio: la bontà
perché egli chiama i discepoli a condividere un compito tanto sublime; la
sapienza, perché nel farli partecipi della sua missione, dona loro anche il suo
Spirito. Quando Dio sceglie qualcuno perché eserciti una funzione, lo correda
delle doti necessarie alla piena attuazione di essa. Ricordiamo, ad esempio,
quando il Signore designò i settanta anziani per guidare il suo popolo,
alleviando così la carica di Mosè. Egli prese lo spirito che era sul patriarca e
lo infuse sui settanta anziani. Anche ora che si associa i discepoli nel lavoro
apostolico, comunica ad essi il suo Spirito; illuminati dal Soffio divino, essi
compiranno opere divine e diventeranno uomini di Dio.

Questo alitare del Signore sui discepoli raffigura con plasticità la dignità
nuova che la sua incarnazione ha conferito al nostro essere. Un tempo, allorché
Dio formò il corpo dell'uomo dalla polvere del suolo, egli soffiò nelle sue
narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente. Gn 2,7. Ancor oggi
Dio effonde il suo alito sull'uomo. Soffiandoci sopra, egli muta in Dio, per
così dire, quella polvere che aveva cambiato in creatura umana alitando su di
lei la prima volta. Il fango diventato un uomo, ora è elevato sino a Dio. chi ha
in sé lo Spirito di Dio è Dio, fino ad un certo punto.

Siamo perciò più debitori a colui che ci ha redenti che a colui che ci creò. Al
Creatore dobbiamo il nostro essere umano, mentre grazie al Redentore siamo
diventati partecipi della natura divina. Questo dono non è stato soltanto
conferito agli apostoli, ma a tutti i giusti nella persona degli apostoli,
giacché sta scritto: "Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli
appartiene". 2 Pt 1,4.


Dai "Discorsi" di Luigi di Granada.
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26/02/2010 21:37
 
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Nella semplicità di Dio l'unità delle Persone consiste nella comunione
della divinità. Uno è anche lo Spirito Santo, nella sua propria realtà; ma è
congiunto al Padre, che è uno, per il Figlio, che è uno, e per mezzo suo
completa la beata Trinità, degna di ogni lode.

Lo Spirito è intimamente imparentato con il Padre e il Figlio. Lo palesa il
fatto che egli non è posto nella moltitudine delle creature, ma è da solo
proferito. Egli non è infatti uno fra molti, ma è l'unico. Come uno è il Padre e
uno il Figlio, così anche uno è lo Spirito Santo. Perciò tanto lontano si trova
dalla natura creata quanto una cosa solitaria verosimilmente lo è da ciò che è
congregato in un tutto numeroso. Egli è unito al Padre e al Figlio quanto il
solo è in intimità col solo.

Quindi è ovvio: lo Spirito condivide la natura del Padre e del Figlio. Ma
ecco altre prove. Si dice che lo Spirito Santo è da Dio: non al modo in cui ogni
cosa è da Dio, ma come colui che proviene da Dio: non al modo della generazione,
come il Figlio, ma come soffio dalla sua bocca. Evidentemente non parlo di bocca
corporea, né il soffio è un alito che si dissolve. L'espressione va intesa in
modo degno di Dio, per cui questo soffio è sostanza vivente, che ha potere di
santificazione. Questo simbolo ci aiuta a capire meglio l'intimità delle
Persone, ma il loro modo di esistenza resta indicibile.

Lo Spirito Santo è stato chiamato Spirito di Dio e Spirito di verità, che
procede dal Padre: Spirito forte, Spirito retto, Spirito creatore. Spirito Santo
è l'appellativo che gli conviene di più e che gli è proprio, quello che più di
ogni altro esprime l'essere tutto incorporeo, puramente immateriale e semplice.
Perciò anche il Signore quando vuole insegnare a colei che credeva si dovesse
adorare Dio in un luogo, che l'incorporeo non si può circoscrivere, dice che Dio
è Spirito.

Perciò chi sente parlare dello Spirito non si immaginerà una natura
contenuta entro certi limiti, sottoposta a variazioni e mutamenti. Non va
paragonato con le creature, ma lanciandoci con il pensiero a quanto è più alto,
è necessario pensare a una natura intelligente di illimitata potenza, di
infinita grandezza, senza dimensioni di tempo e di secoli, elargitrice dei
propri beni.

Tutto ciò che ha un carattere sacro, da lui lo deriva. Di lui hanno bisogno
gli esseri che hanno vita e, come irrorati dalla sua rugiada, ricevono vigore e
sostegno nel loro esistere e agire in ordine al fine naturale per il quale sono
fatti. Capace di perfezionare gli altri, lo Spirito per sé non viene meno in
nessuno; vive senza bisogno di rifare le sue forze e anzi rifornisce la vita;
non ingrandisce per progressivi accrescimenti, ma è la pienezza continua; è
stabile in sé ed è insieme ovunque.


Quali sono le operazioni dello Spirito Santo? Indicibili per la loro
grandezza, innumerevoli per la quantità. Come noi potremo comprendere le realtà
che sono anteriori ai secoli? Quali erano le sue operazioni prima che esistesse
la creatura pensante? Quali sono i suoi benefici profusi a vantaggio della
creazione? Quale potenza manifesterà nei secoli venturi? Egli infatti era,
preesisteva e coesisteva con il Padre e con il Figlio prima dei secoli. Anche se
tu concepirai qualcosa che fosse prima dei secoli, troverai che essa è
posteriore allo Spirito.

Se tu ripensi alla creazione, vedrai che le potenze dei cieli si sono
consolidate per lo Spirito: consolidamento che va inteso nella inalterabilità
dell'abitudine a ben operare. E' lo Spirito, infatti, che ha loro conferito
l'intimità con Dio, l'impeccabilità, la beatitudine senza tramonto.

L'avvento di Cristo: lo Spirito lo precede. L'incarnazione di Cristo: lo
Spirito ne è inseparabile. Miracoli, doni di guarigione: avvengono per lo
Spirito Santo. I demoni sono scacciati nello Spirito di Dio. Il diavolo, alla
presenza dello Spirito, è privato di ogni suo potere. La remissione dei peccati
avviene nella grazia dello Spirito. Siete stati lavati, siete stati santificati,
siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del
nostro Dio!

Il nostro accesso all'intimità con Dio si compie mediante lo Spirito.
Infatti Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida:
Abbà, Padre! La risurrezione dai morti è operata dallo Spirito. Mandi il tuo
Spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra.

Se si intende questa creazione come un ritorno alla vita di chi è morto,
come non chiamare grande l'operazione dello Spirito, che ci distribuisce la vita
dalla risurrezione e predispone le nostre anime a quella vita spirituale? Si può
anche intendere per creazione la trasformazione in meglio, che avviene quaggiù,
di coloro che sono caduti in peccato, come quando Paolo dice: Se uno è in
Cristo, è una creatura nuova. Allora il rinnovamento, che qui avviene, e il
cambiamento di questa vita terrestre e passibile nella cittadinanza celeste per
dono dello Spirito, tutto questo innalza le nostre anime al colmo dello stupore.

Dobbiamo forse temere in queste cose di oltrepassare il limite della sua
dignità attribuendo allo Spirito eccessivi onori? O, al contrario, non dobbiamo
temere di abbassare la nozione che abbiamo, anche quando ci sembrasse di
proclamarne i massimi attributi, concepiti dalla mente e dalla lingua umana?

Lo Spirito Santo perfeziona gli esseri razionali, portando a compimento la
loro eminente dignità. Infatti, colui che ormai non vive più secondo la carne, è
guidato dallo Spirito di Dio, poiché prende il nome di figlio di Dio e diviene
conforme all'immagine del Figlio unigenito. Perciò viene detto spirituale. Come
in un occhio sano vi è la capacità di vedere, così nell'anima che ha questa
purezza vi è la forza operante dello Spirito. Perciò Paolo augura agli Efesini
che i loro occhi siano illuminati nello Spirito di sapienza.

E come l'arte in colui che l'ha acquisita, così la grazia dello Spirito in
colui che l'ha accolta, è sempre compresente, senza tuttavia che operi
ininterrotta. Anche l'arte è in potenza nell'artista, in atto lo è quando egli
operi a sua norma. Altrettanto lo Spirito da una parte è sempre presente a chi
ne è degno, dall'altra opera secondo la necessità, o in profezie, o in
guarigioni, o in altre azioni prodigiose.

Come nei corpi ci sono la salute, il calore, o in genere disposizioni
passeggere, così spesso è presente lo Spirito nell'anima; ma egli non permane in
quelli che per l'instabilità del carattere rifiutano alla leggera la grazia che
hanno ricevuto.

Come il Padre si rende visibile nel Figlio, così il Figlio si rende
presente nello Spirito. Perciò l'adorazione nello Spirito indica un'attività del
nostro animo, svolta in piena luce. Lo si apprende dalle parole dette alla
Samaritana. Essa infatti, secondo la concezione errata del suo popolo, pensava
si dovesse adorare in un luogo particolare; ma il Signore, facendole mutare
idea, le disse che si deve adorare in spirito e verità, chiaramente definendo se
stesso la Verità.

Dunque, come per adorazione nel Figlio intendiamo l'adorazione
nell'immagine di colui che è Dio e Padre, così intenderemo l'adorazione nello
Spirito come adorazione di colui che esprime in se stesso la divina essenza del
Signore Dio. Perciò anche nell'adorazione lo Spirito Santo è inseparabile dal
Padre e dal Figlio.

Se vivi fuori dello Spirito non potrai separartene, come non riuscirai a
separare la luce da quanto vedi. È impossibile infatti vedere l'immagine di Dio
invisibile, se non nell'illuminazione dello Spirito. Chi fissa gli occhi
sull'immagine, è incapace di separare la luce dall'immagine, poiché quel che fa
vedere un oggetto necessariamente si vede insieme con esso.

Nello Spirito che ci illumina noi vediamo lo splendore della gloria di Dio.
Attraverso il Figlio, impronta dell'essere divino, risaliamo a colui al quale
impronta e sigillo appartengono, e al quale l'una e l'altro sono perfettamente
uguali


Dal trattato "Sullo Spirito Santo" di s. Basilio Magno.
De Spiritu Sancto, XVIII.
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09/03/2010 13:23
 
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Dall'apologetico di Tertulliano

Cap. XIII. La Regola di fede

È proprio questa regola di fede, che noi professsiamo come base della difesa
nostra: è essa che ci da la linea nella nostra ferma credenza.

Che vi è un Dio solo, creatore del mondo, ne alcun altro al di fuori di Lui.
Questi ha tratto il tutto, esistente nell'Universo, dal nulla per mezzo del
Verbo Suo, generato al principio delle cose tutte: Figlio Suo fu chiamato questo
Verbo, e nel nome di Dio apparve ai Patriarchi sotto varie figure; in ogni tempo
fu ascoltato dai Profeti, e di poi discese per lo spirito e virtù di Dio padre,
in Maria Vergine, e nel seno di Lei divenne carne e da Essa ebbe vita Gesù
Cristo. E nuova legge Egli promulgò alle genti, e formulò una nuova promessa di
un Regno dei Cieli; fece dei miracoli, fu posto in croce, ma nel terzo giorno
della Sua morte risorse, e ascese in Cielo, dove sedè alla destra del Padre Suo;
e mandò in terra la potenza dello Spirito Santo, in vece Sua, chè fosse la guida
di tutti i credenti. Egli poi ritornerà in pieno fulgore di gloria e di luce per
prendersi i Santi e condurseli ai frutti della vita eterna e delle celesti
promesse, e per giudicare i profani, pronunciando contro di loro la condanna del
fuoco eterno, dopo aver compiuta la restituzione dei corpi agli uni e agli
altri.

XIV.

La regola dì fede è cio che pienamente soddisfa l'anima nostra, senza andar più
oltre cercando.

Questa è stata la regola che Cristo ha stabilito; ed io ve lo proverò; ed essa
non può dar luogo fra noi a controversie o a questioni di sorta, al di fuori di
quelle che vengono sollevate dalle eresie, che creano gli eretici,

Del resto, se la base della regola di fede resterà inalterata, potrai anche
discutere, esaminare, considerare quanto sarà di tuo piacimento, se qualche cosa
in essa potrà per te rivestire carattere di ambiguità o sembrarti avvolta in un
velo di oscuro. È vero certamente che vi è qualche dotto, nostro fratello, che
ha avuto il dono di conoscere i segreti della più profonda saggezza; vi è pur
qualcuno, dico, che ha familiarità con chi possiede esperienza di simili
questioni; e che è preso, con voi, forse, dal desiderio di ricercare troppo
avidamente. Ma, in fondo in fondo, è meglio ignorare qualche cosa, piuttosto che
venire poi a conoscere quello che non sì deve, dal momento che tu sai già quello
che a te è doveroso sapere. Il Signore ha detto: è la tua fede quella che ti ha
salvato (58), non l'esame delle Scritture, che nella tua abilità hai condotto
con sottigliezza di spirito critico. In che cosa consiste la fede? nella regola
della fede stessa. Essa ha la sua legge, e la salvezza ti viene appunto
dall'osservanza scrupolosa di questa: ma l'abilità nell'interpretazione della
Scrittura, risiede solo in un principio di curiosità, e il suo prestigio
l'attìnge solo dal potere acquistare il nome di uomo saggio ed erudito: ma, di
fronte alla fede, la ricerca abile e sottile ceda le armi, e la gloria lasci il
passo alla salvezza: almeno esse non facciano chiasso e non frappongano
ostacoli; se ne stiano in tutta pace. È raggiungere il grado più alto di
sapienza, il non saper nulla che possa opporsi o contrastare alla regola dì
fede.

Ebbene; supponiamo ora che gli eretici non siano i nemici dichiarati della
verità e che a noi non sia fatto obbligo alcuno di fuggirli; ma che cosa è,
insomma, questa nostra relazione con gente che confessa apertamente di dover
ricercare ancora ? Se essi sono sinceri nell'affermare che ancora hanno ardore
di ricerca, ciò significa manifestamente che fino ad ora non hanno trovato
niente di sicuro, e perciò anche quelle parti di dottrina che sembrano intanto
considerare come inalterabili, non possono, viceversa, convincerci che
nell'animo loro non serpeggi il dubbio, perche essi appunto sono sotto l'affanno
tormentoso di ricerche nuove. E tu, dunque, che vai cercando, o cristiano, e
rivolgi lo sguardo a coloro che pur vanno vagando nella ricerca stessa, tu, con
loro, siete avvolti nelle tenebre del dubbio, e, incerti, vi rivolgete a chi sta
in maggiore incertezza della vostra, ed è quindi inevitabile che come ciechi,
guidati da ciechi, voi precipitiate nell'abisso . Ma essi vogliono trarci in
inganno e usano di questo mezzo: noi ricerchiamo ancora, dicono; e questo, per
far penetrare fra noi i loro scritti, sperando appunto nel nostro intimo
turbamento, che potrebbe derivare da questa ansia tormentosa della ricerca; ma
dopo, quando hanno fatto tanto di giungere all'animo nostro, ecco che essi tosto
si ergono a difensori, a sostenitori di ciò che prima dicevano formare ancora
l'oggetto della loro ricerca. A noi dunque sta di confutarli con tanta energia
ed efficacia, così che essi sappiano che noi intendiamo sconfessare, non Cristo,
ma costoro. Cercano essi ancora? evidente indizio che nulla essi possiedono di
sicuro, e se nulla hanno di ben saldo nel loro spirito, essi non hanno mai
creduto, e se non hanno avuto sicurezza e fermezza di fede, a loro non s'addice
il nome di Cristiani.

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26/03/2010 21:02
 
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Consolazione della penitenza
La condizione della nostra fragile natura non ammette che qualcuno sia senza macchia. Perciò l`ultimo nostro rimedio è rifugiarci nella penitenza, che ha un posto non piccolo fra le virtù, essendo miglioramento di noi stessi: così, se cadiamo o per le parole o per le opere, subito ci ravvediamo, confessiamo di aver peccato e chiediamo perdono a Dio, il quale, nella sua misericordia, non lo nega se non a chi persevera nell`errore. E` grande l`aiuto della penitenza, è grande la sua consolazione. Essa è la guarigione delle ferite del peccato, la speranza, il porto di salvezza: chi la nega, toglie a se stesso la vita della sua vita, perché nessuno può essere tanto giusto che la penitenza non gli sia talvolta necessaria. Ma noi, anche se non abbiamo peccato, dobbiamo tuttavia aprire la nostra anima a Dio e scongiurarlo ugualmente per le nostre colpe, ringraziandolo anche nelle avversità. Porgiamo sempre a Dio questo ossequio; l`umiltà infatti è grata, è cara a lui: egli che accetta il peccatore convertito piú volentieri del giusto superbo, quanto piú accetterà il giusto che confessa i propri torti e lo renderà sublime nei regni dei cieli, a misura della sua umiltà!
Questo deve presentare a Dio chi veramente lo venera: queste sono le vittime, questo è il sacrificio placatore; ecco dunque il vero culto: quando l`uomo offre all`altare di Dio i pegni del suo spirito. La sua somma maestà si allieta di chi cosí lo venera; lo accoglie come figlio e gli elargisce il dono dell`immortalità.

(Lattanzio, Divinae instit. epit., 67)
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23/04/2010 16:04
 
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Glorificazione di Dio per la bellezza del creato

"Se Dio manifesta una cura così sollecita anche nei confronti di cose di modesto valore (l’erba e i fiori, ad esempio), come potrà dimenticare te, che sei la più eccellente delle sue creature? Perché dunque ha creato cose tanto belle? Per manifestare la sua sapienza e la grandezza della sua potenza, affinché conoscessimo in tutto la sua gloria.

Non soltanto i cieli narrano la gloria di Dio (Sal 18,2), ma anche la terra, come rileva Davide, quando cantava: Lodate il Signore, alberi da frutto e tutti i cedri (Sal 148,9). Alcune creature, infatti, rendono lode al Creatore con i loro frutti, altre con la loro grandezza, altre ancora con la loro bellezza.

Un’altra dimostrazione della grande sapienza e potestà di Dio, risiede nel fatto ch’egli orni di tanta bellezza anche gli oggetti più vili (che cosa c’è, infatti, di più vile di ciò che oggi esiste, ma domani non sarà più?). Se dunque Dio ha donato anche al fieno ciò che non gli era affatto necessario (a che cosa serve, infatti, la sua bellezza? ad alimentare il fuoco?), com’è possibile ch’egli non conceda a te ciò di cui hai bisogno? Se il Signore ha decorato generosamente la cosa più vile fra tutte, e non per una qualche utilità, ma unicamente per bellezza; molto più onorerà te, la più preziosa delle sue creature, in quelle cose che ti sono necessarie."

Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 22,1
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31/05/2010 15:18
 
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Dal "Commento su Gioele" di san Girolamo, sacerdote
(PL 25,967-968)
Ritornate a me

"Ritornate a me con tutto il vostro cuore" (Gl 2,12) e mostrate la penitenza dell'anima con digiuni, pianti e battendovi il petto: affinché, digiunando adesso, dopo siate satollati; piangendo ora, dopo ridiate; battendovi ora il petto, dopo siate consolati. Nelle circostanze tristi ed avverse vi è consuetudine di strapparsi le vesti. Così fece, secondo il vangelo, il sommo Sacerdote per rendere più grave l'accusa contro il Signore, nostro Salvatore, e così pure Paolo e Barnaba all'udire parole blasfeme. Ebbene Gioele dice: "Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e benigno, tardo all'ira e ricco di benevolenza" (Gl 2,13).
Ritornate dunque al Signore vostro Dio, da cui vi siete allontanati per il male che avete fatto, e non disperate mai del perdono per la gravità delle colpe, perché l'infinita misericordia le cancellerà tutte per quanto gravi. Il Signore infatti è buono e misericordioso. Vuole piuttosto la penitenza che la morte del peccatore. E paziente e ricco di compassione e non imita l'impazienza degli uomini, ché anzi aspetta per lungo tempo la nostra conversione. Il Signore "è misericordioso e benigno, tardo all'ira e ricco di benevolenza e si impietosisce riguardo alla sventura. Chi sa che non cambi …" (Gl 2,13-14). È pienamente disposto a perdonare e a pentirsi della sentenza di condanna che aveva preparata per i nostri peccati. Se noi ci pentiamo di quanto abbiamo fatto di male, egli si pentirà della decisione di castigo che aveva preso e del male che aveva minacciato di farci. Se noi cambiamo vita anch'egli cambierà la sentenza che aveva predisposto. Quando diciamo che ci ha minacciato del male, certo non ci riferiamo a un male morale, ma a una pena dovuta giustamente a chi ha mancato.Gioele dopo aver rilevato la misericordia di Dio verso chi si pente, soggiunge: "Chi sa che non cambi e si plachi e lasci dietro a sé una benedizione" (Gl 2,13-14). Il profeta intende dire: lo assolvo il mio mandato, vi esorto alla penitenza perché so che Dio è oltremodo clemente, come si ricava anche dalla preghiera di David: "Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia: nella tua grande bontà cancella il mio peccato" (Sal 50,1.3). Però siccome non possiamo conoscere la profondità delle ricchezze della sapienza e della scienza di Dio - è sempre il pensiero del profeta Gioele - mitigo la mia affermazione e, più che presumere, auguro dicendo: "Chi sa che non cambi e si plachi?". Dicendo: "Chi sa?" bisogna intendere che è cosa impossibile, o per lo meno difficile a sapersi.La frase: Offerta e libazione per il Signore nostro Dio (cfr. Gl 2,14) l'interpretiamo così: dopo che il Signore avrà elargito la sua benedizione e avrà perdonato i nostri peccati, noi possiamo offrire i nostri sacrifici a Dio.
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06/09/2010 15:47
 
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Dalla PRIMA LETTERA DI CLEMENTE AI CORINTI

La Chiesa di Dio che è a Roma alla Chiesa di Dio che è a Corinto, agli eletti santificati nella volontà di Dio per nostro Signore Gesù Cristo. Siano abbondanti in voi la grazia e la pace di Dio onnipotente mediante Gesù Cristo.
Elogio dei Corinti
I, 1. Per le improvvise disgrazie e avversità capitatevi l'una dietro l'altra, o fratelli, crediamo di aver fatto troppo tardi attenzione alle cose che si discutono da voi, carissimi, all'empia e disgraziata sedizione aberrante ed estranea agli eletti di Dio. Pochi sconsiderati e arroganti l'accesero, giungendo a tal punto di pazzia che il vostro venerabile nome, celebre e amato da tutti gli uomini, è fortemente compromesso. 2. Chi, fermandosi da voi, non ebbe a riconoscere la vostra fede salda e adorna di ogni virtù? Ad ammirare la vostra pietà cosciente ed amabile in Cristo? Ad esaltare la vostra generosa pratica dell'ospitalità? A felicitarsi della vostra scienza perfetta e sicura? 3. Facevate ogni cosa, senza eccezione di persona, e camminavate secondo le leggi del Signore, soggetti ai vostri capi e tributando l'onore dovuto ai vostri anziani. Esortavate i giovani a pensare cose moderate e degne. Raccomandavate alle donne di compiere tutto con coscienza piena, dignitosa e pura, amando sinceramente, come conviene, i loro mariti; insegnavate a ben accudire alla casa, attenendosi alla norma della sottomissione e ad essere assai prudenti.
II, 1. Tutti eravate umili e senza vanagloria, volendo più ubbidire che comandare, più dare con slancio che ricevere. Contenti degli aiuti di Cristo nel viaggio e meditando le sue parole, le tenevate nel profondo dell'animo, e le sue sofferenze erano davanti ai vostri occhi. 2. Così una pace profonda e splendida era data a tutti e un desiderio senza fine di operare il bene e una effusione piena di Spirito Santo era avvenuta su tutti. 3. Colmi di volontà santa nel sano desiderio e con pietà fiduciosa, tendevate le mani verso Dio onnipotente, supplicandolo di essere misericordioso se in qualche cosa, senza volerlo, avevate peccato. 4. Giorno e notte per tutta la vostra comunità vi adoperavate a salvare con pietà e coscienza il numero dei suoi eletti. 5. Gli uni verso gli altri eravate sinceri, semplici e senza rancori. 6. Ogni sedizione ed ogni scisma era per voi orribile. Vi affliggevate per le disgrazie del prossimo e ritenevate le sue mancanze come vostre. 7. Senza pentirvi mai di ogni buona azione, eravate pronti ad ogni opera di bene. 8. Ornati di una condotta virtuosa e venerata, compivate ogni cosa nel timore di Lui: i comandamenti e i precetti del Signore erano scritti nella larghezza del vostro cuore.
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05/10/2010 12:09
 
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RUFINO DI AQUILEIA

COMMENTO AL SIMBOLO DEGLI APOSTOLI ( Rufino di Aquileia)

Come tramandano i nostri predecessori (At 2, 14), dopo l’ascensione del Signore, quando per la venuta dello Spirito Santo sopra ad ognuno degli apostoli si posarono lingue di fuoco perché essi parlassero con diversi e svariati linguaggi sì che nessuna gente straniera, nessuna lingua barbara sembrasse loro inaccessibile e preclusa, fu loro comandato di partire alla volta di ogni singola nazione per predicare la parola di Dio (At 1, 5). Sul punto di partire e di separarsi gli uni dagli altri, stabiliscono in comune la norma della loro futura predicazione, perché non avvenisse che, allontanandosi gli uni dagli altri, comunicassero qualcosa di diverso a coloro che invitavano ad abbracciare la fede di Cristo. Perciò stando tutti insieme e ripieni di Spirito Santo, mettendo insieme ciò che ognuno sentiva, compongono – come abbiamo detto – questa breve traccia della loro futura predicazione, e stabiliscono di dare tale norma a quanti avrebbero creduto.

La vollero chiamare simbolo per molte e motivate ragioni. Infatti in greco la parola simbolo significa indizio e apporto collettivo, cioè ciò che più persone mettono insieme: infatti proprio questo fecero gli apostoli in quei loro discorsi, mettendo insieme ciò che ognuno sentiva. È detto poi indizio e segno perché in quel tempo, come dice l’apostolo Paolo ed è riferito negli Atti degli apostoli (2Cor 11, 13; At 15, 1; Rom 16, 18). molti dei Giudei circoncisi fingevano di essere apostoli di Cristo e per guadagno e ingordigia partivano a predicare, nominando, sì, Cristo ma annunziandolo non secondo le schiette linee della tradizione. Perciò essi stabilirono questo segno, al fine che si riconoscesse colui che annunziava Cristo veramente secondo le norme apostoliche. Dicono infine che anche nelle guerre civili viene osservata tale usanza: poiché uguale è la foggia delle armi e medesimo il suono della voce e uno solo il modo di vivere e uguali le norme del combattere, ognuno dei generali dà ai suoi soldati simboli che sono tenuti segreti, che in latino sono definiti segni (signa) e indizi (indicia): in tal modo, se per caso ci si imbatte in qualcuno di cui non si è sicuri, questi interrogato sul simbolo, rivela se sia nemico o amico.

Stabilirono infine che tali norme non fossero trascritte su fogli di qualsiasi genere bensì fossero ritenute a memoria, perché fosse certo che nessuno le avrebbe apprese da un testo scritto, che talvolta può anche venire nelle mani di chi non è credente, e che invece tutti le avrebbero apprese dalla tradizione degli apostoli. Perciò, come abbiamo detto, al momento di allontanarsi per andare a predicare, gli apostoli stabilirono questa norma della loro concordia e della loro fede: non come i figli di Noè, al momento di allontanarsi gli uni dagli altri costruirono con mattoni cotti e catrame una torre la cui cima toccasse il cielo (Gen 11, 1-9); ma con pietre vive e perle del Signore edificarono una difesa della fede che potesse stare salda di fronte al nemico: né i venti l’avrebbero spinta giù né i fiumi in piena l’avrebbero travolta né i turbini delle tempeste l’avrebbero scossa (1Pt 2, 5; Mt 13, 45; 7, 27). Perciò bene a ragione i figli di Noè, che sul punto di separarsi fra loro costruirono la torre della superbia, furono condannati a confondere le loro lingue, perché nessuno potesse comprendere le parole del suo vicino; invece agli apostoli, che costruivano la torre della fede, è stata donata la conoscenza di tutte le lingue: così è stato dimostrato che quello era segno di peccato, questo invece segno di fede.

[Modificato da Coordin. 05/10/2010 12:10]
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30/10/2010 08:34
 
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SAN GIUSTINO

dalla Prima Apologia di S. Giustino

Superiorità della fede in Dio


 X. - 1. Noi invece abbiamo appreso che Dio non ha bisogno di offerte materiali da parte di uomini, dal momento che vediamo che è Lui stesso a somministrare ogni cosa; abbiamo imparato, e ne siamo convinti e crediamo, che Egli accoglie solo coloro che imitano il bene che è in Lui, cioè sapienza e giustizia e benignità, e tutto ciò che è proprio di Dio, il quale non può prendere alcun nome che Gli si imponga.


2. Abbiamo appreso anche che Egli, in quanto è buono, ha creato in principio tutte le cose dalla materia informe per gli uomini; e se questi si mostreranno, nei fatti, degni del Suo volere, abbiamo appreso che diverranno degni di vivere con Lui regnando insieme con Lui, resi incorruttibili ed immuni dal dolore.


3. Come infatti, all'inizio, trasse alla vita chi non esisteva, così riteniamo che saranno giudicati degni dell'immortalità e della vita presso di Lui coloro che, nelle loro scelte, preferiranno ciò che Gli è gradito.


4. Incominciare ad esistere non dipendeva da noi; ma seguire ciò che gli è caro, scegliendo con le facoltà razionali di cui Egli stesso ci fece dono, questo sì ci persuade e ci conduce alla fede.


5. E crediamo che sia un vantaggio per tutti gli uomini non essere impediti dall'imparare queste dottrine, ma anzi essere spinti verso di esse.


6. Quanto infatti non furono in grado di fare le leggi umane, lo avrebbe compiuto il Logos divino, se i cattivi demoni non avessero disseminato menzogne ed empie accuse prendendo come alleate le passioni, che in ognuno sono del tutto malvagie e per natura varie. Ma nessuna di queste accuse ci riguarda.


XI. - 1. E voi, sentito dire che noi attendiamo un regno, senza riflessione avete supposto che parlassimo di un regno umano, mentre parliamo di quello divino, come appare anche dal fatto che, interrogati da voi, confessiamo di essere cristiani, pur sapendo che per chi confessa è riservata, come pena, la morte.


2. Se, infatti, ci attendessimo un regno terreno, negheremmo per non essere uccisi e cercheremmo di vivere nascosti per conseguire il nostro scopo: ma, dal momento che abbiamo le speranze rivolte non al presente, non ci diamo pensiero di coloro che ci uccidono: in ogni modo si deve morire.

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03/11/2010 15:25
 
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La santità dei vergini (S.Ambrogio)


   Chi vuole unirsi a Dio imitando i santi non deve soffermare il proprio pensiero su nessuna occupazione materiale, giacché se lo lascia disperdere in varie direzioni non è più in grado di dirigere verso Dio la propria mente ed i propri desideri.

   Penso di poter spiegare quest'insegnamento più chiaramente con un esempio. Supponiamo che dell'acqua sgorgata da una sorgente si disperda a caso in vari rivoli. Finché scorre così, essa non si rivela adatta a soddisfare nessun bisogno dell'agricoltura, giacché la sua dispersione in molti rigagnoli fa sì che ciascuno di questi sia povero, poco efficiente, lento e senza forza. Se invece questi rivoli confusi fossero riuniti insieme e ciò che era disperso in molte direzioni venisse raccolto in modo da formare un unico corso, quest'acqua resa abbondante e vigorosa potrebbe essere usata per molti scopi utili. Allo stesso modo mi sembra che si comporti l'intelligenza umana: se si diffonde dappertutto, disperdendosi nel suo corso in ciò che piace sempre agli organi sensoriali, non possiede una forza sufficiente per dirigersi verso il vero bene; se invece venisse richiamata indietro, e riunita e tenuta insieme senza potersi più disperdere, in modo da muoversi secondo l'energia che le è propria e che la natura le ha dato, nulla più le impedirebbe di elevarsi e di toccare le verità degli esseri.
  
Come l'acqua stretta in un condotto viene spinta spesso verso l'alto da una pressione proveniente dal basso senza potersi disperdere, benché il suo movimento naturale la porti ad andare piuttosto verso il basso, così anche la mente umana, quando è serrata da ogni parte dalla continenza come da uno stretto condotto, è portata dal suo movimento naturale verso il desiderio delle realtà più alte e non può più disperdersi.
   Ciò che è in perenne movimento e che ha ricevuto dal creatore tale proprietà naturale non può mai stare fermo, e non avendo più la possibilità di muoversi verso le cose vane non può non dirigersi tutto verso la verità: le vie che portano alla futilità gli sono sbarrate da ogni parte. Analogamente, vediamo anche che nei crocicchi i viandanti non si sbagliano sulla giusta via da percorrere quando evitano di andare vagando per altre strade che hanno in precedenza imparato.
   Come colui che viaggia riesce a mantenersi sul giusto cammino se si tiene lontano dai sentieri che lo fanno smarrire, così il nostro pensiero può riconoscere le verità degli esseri se abbandona ogni vanità. Il ricordo di questi grandi profeti sembra dunque insegnarci proprio a non farci prendere prigionieri dalle cose che vengono ricercate nel mondo.
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18/11/2010 15:18
 
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Dalle «Catechesi» di S.Cirillo diGerusalemme.
(Catech. 20, Mistagogica 2, 4-6; PG 33, 1079-1082)

Il battesimo, segno della passione di Cristo
Siete stati portati al santo fonte, al divino battesimo, come Cristo dalla croce fu portato al sepolcro.
E ognuno è stato interrogato se credeva nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; avete professato la fede salutare e siete... stati immersi tre volte nell'acqua e altrettante siete riemersi, e con questo rito avete espresso un'immagine e un simbolo. Avete rappresentato la sepoltura di tre giorni del Cristo.
Il nostro Salvatore passò tre giorni e tre notti nel seno della terra. Nella prima emersione voi avete simboleggiato il primo giorno passato da Cristo nella terra. Nell'immersione la notte. Infatti, chi è nel giorno si trova nella luce, invece colui che è immerso nella notte, non vede nulla. Così voi nell'immersione, quasi avvolti dalla notte, non avete visto nulla. Nell'emersione invece vi siete ritrovati come nel giorno.
Nello stesso istante siete morti e siete nati e la stessa onda salutare divenne per voi e sepolcro e madre.
Ciò che Salomone disse di altre cose, si adatta pienamente a voi: «C'è un tempo per nascere e un tempo per morire» (Qo 3, 2), ma per voi al contrario il tempo per morire è stato il tempo per nascere. L'unico tempo ha causato ambedue le cose, e con la morte ha coinciso la vostra nascita.
O nuovo e inaudito genere di cose! Sul piano delle realtà fisiche noi non siamo morti, né sepolti, né crocifissi e neppure risorti. Abbiamo però ripresentato questi eventi nella sfera sacramentale e così da essi è scaturita realmente per noi la salvezza.
Cristo invece fu veramente crocifisso e veramente sepolto ed è veramente risorto, anche nella sfera fisica, e tutto questo è stato per noi dono di grazia. Così infatti partecipi della sua passione mediante la rappresentazione sacramentale, possiamo realmente ottenere la salvezza.
O traboccante amore per gli uomini! Cristo ricevette i chiodi nei suoi piedi e nelle sue mani innocenti e sopportò il dolore, e a me, che non ho sopportato né dolore, né fatica, egli dona gratuitamente la salvezza mediante la comunicazione dei suoi dolori.
Nessuno pensi che il battesimo consista solo nella remissione dei peccati e nella grazia di adozione, come era il battesimo di Giovanni che conferiva solo la remissione dei peccati. Noi invece sappiamo che il battesimo, come può liberare dai peccati e ottenere il dono dello Spirito santo, così anche è figura ed espressione della Passione di Cristo. E' per questo che Paolo proclama: «Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme con lui nella morte» (Rm 6, 3-4a).
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07/12/2010 22:21
 
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CONTEMPLAZIONE E PREGHIERA

1. Dovremmo parlare come il Grande Dottore, S. Paolo, senza aver bisogno delle Scritture o degli insegnamenti degli altri Padri, o illustre Longino, coscienti di essere direttamente "istruiti da Dio", in maniera da apprendere e conoscere le cose importanti in Lui e tramite Lui. Infatti, fummo chiamati a custodire le Tavole della Legge dello Spirito incise nei nostri cuori, a conversare con Gesù mediante la preghiera pura, senza intermediari come fossimo dei Cherubini.

 

2. Comincerò col dire con l'aiuto di Dio che dà la parola a chi annunzia questi beni, come si può trovare Cristo ricevuto nel battesimo dello Spirito (non sapete che lo Spirito abita nel vostro cuore?); quindi come si può andare avanti; infine i modi di custodire quanto è stato trovato.

I principianti hanno come punto di partenza l'azione; quelli che sono lungo il sentiero raggiungono l'illuminazione; chi è arrivato al termine trova la purificazione e la resurrezione dell'anima.

3. Due sono i modi per trovare l'energia dello Spirito che sacramentalmente ci fu data nel Battesimo:

a - la pratica, a prezzo di sforzi prolungati, dei comandamenti: permette la rivelazione di questo dono. San Marco ci dice: "nella misura in cui pratichiamo i comandamenti esso fa risplendere in noi la sua luce".

b - mediante la sottomissione, raggiunta con l'invocazione metodica e costante del Signore Gesù, cioè con la memoria di Dio. Più lungo è il cammino del primo modo, più rapido quello del secondo, purchè si sia appreso a scavare la terra con vigore e perseveranza per scoprire l'oro. Volendo scoprire e conoscere senza errori la verità, cerchiamo di raggiungere l'energia del cuore ponendoci oltre le forme e le figure, liberiamo l'immaginazione da qualsiasi forma o impressione di cose chiamate sante, nè soffermiamoci a contemplare alcuna luce. Cerchiamo di tenere attiva nel cuore l'energia della preghiera che dà tepore e gioia alla mente, e che accende nell'anima un amore indicibile verso Dio e verso gli uomini. Non piccola umiltà e contrizione nascerà dalla preghiera; essendo la preghiera, anche sui principianti, l'instancabile azione dello Spirito che comincia nel cuore come fuoco gioioso e termina in una luce che diffonde un odore soave.

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04/02/2011 10:29
 
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QUARTA CATECHESI MISTAGOGICA

L'eucarestia

1. Questa istruzione del beato Paolo vi rende pienamente consapevoli dei divini misteri di cui siete considerati degni, divenuti un solo corpo e un solo sangue con Gesù Cristo. Ora egli ha proclamato: «Nella notte in cui nostro Signore Gesù Cristo fu tradito, prese il pane e dopo aver reso grazie lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Poi prese il calice e rese grazie disse: Prendete e bevete, questo è il mio sangue». Gesù stesso si è manifestato dicendo del pane: «Questo è il mio corpo». Chi avrebbe ora il coraggio di dubitarne? Egli stesso l'ha dichiarato dicendo: «Questo è il mio sangue». Chi lo metterebbe in dubbio dicendo che non è il suo sangue?
Le nozze di Cana

2. Egli di sua volontà una volta cambiò a Cana di Galilea l'acqua in vino, e non è degno di fede se muta il vino in sangue? Invitato alle nozze fisiche fece questo miracolo strepitoso. E noi non lo confesseremo molto più, avendo dato ai figli dello sposo la gioia del suo corpo e del suo sangue?
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07/02/2011 21:39
 
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APOSTOLICI
Il titolo di Dio è applicato a Cristo è testimoniato dai padri apostolici del primo secolo, quando ancora non si parlava di trinità e di dogmi. Facciamo riferimento a Ignazio morto nel 107, a Giustino martire verso il 165, a Melitone di Sardi autore di un’apologia rivolta a Marco Aurelio verso il 170, a Teofilo morto presumibilmente nel 185, a Clemente Alessandrino (153-207) e ad Ireneo vescovo di Lione vissuto tra il 140 ed il 200 dopo Cristo. A tal proposito si veda:
Ignazio agli Efesini, VII, 2 (Dio nella carne);
Ignazio agli Efesini, XVIII,2 (Il nostro Dio Gesù Cristo è stato portato nel seno di Maria);
Ignazio agli Efesini, XIX, 3 (Dio apparso in forma umana);
Ignazio agli Smirnesi , I, 1 (Gesù Cristo Dio);
Ignazio ai Romani, III, 3 (Gesù Cristo nostro Signore Dio);
Ignazio ai Romani, VI, 3 (La passione del mio Dio);
Ignazio ai Tralliani, VII, 1 (Gesù Cristo Dio);
Ignazio a Policarpo, VIII, 3 (Dio nostro Gesù Cristo);
Giustino martire, Prima Apologia, 63, 14 (Il Figlio, Parola e Primogenito di Dio, è anche Dio);
Giustino martire, Dialogo con Trifone, 115,4 (nostro Sacerdote e Dio e Cristo, figlio del Padre dell’universo);
Teofilo ad Autolico, Secondo libro, 22 (La Parola generata da Dio è Dio);
Ireneo, Esposizione della predicazione apostolica, 47 (Il Padre è Dio ed il Figlio è Dio, perché chi è nato da Dio è Dio);
Ireneo, Contro le Eresie, I, 10, 1-3 (Gesù Cristo, nostro Signore e Dio e Salvatore e Re);
Ireneo, Contro le Eresie, III, 8, 3 (Colui che ha creato tutte le cose è giustamente chiamato, insieme al suo Verbo, solo Dio e Signore);
Clemente Alessandrino, Pedagogo, I, 2 (Dio in forma di uomo);
Clemente Alessandrino, Pedagogo, II, 3 (Dio attento alle piccole cose e Signore dell’universo);
Melitone di Sardi, Omelia sulla Pasqua (Il Signore pur essendo Dio, si fece uomo e soffrì per chi soffre, fu prigioniero per il prigioniero, condannato per il colpevole e, sepolto per chi è sepolto, risuscitò dai morti).
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10/03/2011 22:03
 
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Gregorio il sinaita:  Contemplazione e prehiera


Gli inizi della grazia nella preghiera si manifestano differentemente, secondo l'Apostolo, lo Spirito divide i suoi doni conformemente al suo volere. Elia Tesbite ce ne offre l'esempio. In alcuni lo spirito del timore passa spaccando le montagne, sbriciolando le rocce, i cuori induriti, in maniera tale che al carne sembra trafitta da chiodi e lasciata morta. In altri, si produce un movimento, un'esultanza, chiamata dai Padri un balzo, immateriale ma sostanziale nell'intimo: sostanziale perchè ciò che non ha essenza o sostanza non può esistere. In altri, principalmente in coloro che sono avanti nella preghiera, Dio produce una luminosa brezza, leggera e piacevole, mentre Cristo prende dimora nel cuore e misteriosamente appare nello Spirito. Per questo sul monte Horeb Dio disse ad Elia: Il Signore non è nel primo o nel secondo stato, nelle azioni personali dei principianti, ma nell'aura lieve della luce, indicando la perfetta preghiera.

 Bisogna tener presente che l'esultanza e il tripudio possono essere di due specie, una tranquilla ed è la pulsione, il gemito, l'intima azione dello Spirito; ed una intensa, il trasalimento, lo slancio, il volo possente del cuore vivo nel cielo divino. L'anima liberata dalle passioni riceve dallo Spirito divino le ali che la portano all'amore.

 Nel cuore di ogni principiante operano due distinte energie: una che proviene dalla grazia, l'altra che discende dall'errore. Marco il grande eremita così ne parla: "Esiste un'energia spirituale ed un'energia satanica sconosciuta dai principianti". Ed inoltre: triplice è la fiamma che brucia nelle energie dell'uomo, una è accesa dalla grazia, la seconda è portata dall'errore e dal peccato, la terza proviene dalla sovrabbondanza del sangue. Talassio l'Africano chiama quest'ultima: temperamento, e questo può essere domato e pacificato con un'equilibrata astinenza.

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29/03/2011 08:49
 
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Il regno dei cieli è di coloro che somigliano ai bambini


"Allora gli furono condotti dei fanciulli perché imponesse loro le mani e pregasse per essi. I discepoli li sgridarono, ma Gesú disse loro: «Lasciate che i fanciulli vengano a me, poiché di quelli che sono come loro è il regno dei cieli «; e dopo aver imposto loro le mani, proseguí il suo cammino" (Mt 19,13-15). Per qual motivo i discepoli allontanano da Gesú i fanciulli? A causa della sua dignità. Che fa allora il Maestro? Per insegnar loro a essere umili e a calpestare il fasto e la gloria mondana, non solo accoglie i fanciulli, ma li abbraccia e promette il regno dei cieli a quelli che sono come loro: affermazione questa che già ha fatto precedentemente. Anche noi, dunque, se vogliamo ereditare il regno dei cieli, cerchiamo con grande impegno di acquistare questa virtù: il termine, infatti, la meta della filosofia è appunto la semplicità unita alla prudenza. Questa è vita angelica. L`anima del bambino, infatti, è pura da ogni passione: non serba rancore per quelli che l`offendono, ma si accosta a loro come ad amici, come se nulla fosse accaduto. E per quanto la madre lo picchi, il bambino sempre la ricerca e la preferisce a tutti. E quand`anche tu gli presentassi una regina con il suo diadema, egli non la preferirebbe a sua madre, anche se la madre fosse vestita di stracci: guarderebbe infatti con maggior piacere a lei, ricoperta di quei poveri abiti, che non alla regina con tutti i suoi ornamenti: ché il bambino sa distinguere i suoi dagli estranei, non per la loro ricchezza o per la loro povertà, ma per l`amore che essi hanno per lui e che lui sente per loro. Non ricerca niente piú del necessario, ma quando il seno della madre l`ha saziato allora si stacca da esso. Il fanciullo non si dà pena, come facciamo noi, per futili motivi, come ad esempio per la perdita di denaro e per cose simili; né si rallegra come noi per cose passeggere: non si estasia, infatti, davanti alla bellezza dei corpi. Perciò Gesú ha detto: «Di quelli che sono come loro è il regno dei cieli», affinché noi facciamo per libera volontà ciò che i fanciulli fanno per natura.

Siccome i farisei non avevano altro movente alle loro azioni se non la malvagità e l`orgoglio, per questo il Signore ripete ai suoi discepoli in ogni occasione il comando di essere semplici, e mentre allude ai farisei istruisce i discepoli. Niente infatti come il comando e la preminenza spinge gli uomini all`arroganza. Orbene, siccome i discepoli avrebbero goduto di grande onore per tutta la terra, il Signore previene il loro spirito e non permette che essi abbiano qualche sentimento umano, che ricerchino gli onori della moltitudine o si offrano a spettacolo davanti alle folle. Benché queste cose sembrino insignificanti, tuttavia esse sono causa di grandi mali. Cosí i farisei, per aver desiderato i saluti, l`autorità e i primi posti, hanno raggiunto il culmine della malvagità; di qui sono passati a concepire la piú furiosa passione per la gloria e sono precipitati infine nell`empietà. Ecco perché si allontanano da Gesú, dopo aver attirato su di sé la sua maledizione per averlo tentato; i fanciulli, invece, ottengono la sua benedizione, essendo liberi da tutte queste passioni.

Diventiamo anche noi come i fanciulli e siamo come loro privi di malizia. Non vi è infatti altro modo di vedere il cielo.


(Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 62, 4)


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05/04/2011 08:43
 
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1. La risurrezione di Lazzaro


Il Signore e Salvatore nostro Cristo Gesú ha certo manifestato la potenza della sua divinità con numerosi segni e con miracoli di ogni specie, ma particolarmente alla morte di Lazzaro, come avete appena udito, carissimi, nella presente lettura, mostrando di essere colui del quale era stato scritto: "Il Signore della potenza è con noi, nostra rocca è il Dio di Giacobbe" (Sal 45,8). Questi miracoli, il Signore e Salvatore nostro li ha operati sotto due aspetti: materiale e spirituale, cioè producendo un effetto visibile e un altro invisibile, manifestando per mezzo dell`effetto visibile la sua invisibile potenza. Prima, con un`opera visibile, rese al cieco nato la vista della luce (cf.Gv 9,1-38) per illuminare con la luce della sua conoscenza, per mezzo della sua invisibile potenza, la cecità dei Giudei. Nella presente lettura, egli rese la vita a Lazzaro che era morto (cf.Gv 11,1-44), al fine di risuscitare dalla morte del peccato alla vita i cuori increduli dei Giudei. Di fatto molti Giudei credettero a Cristo Signore a causa di Lazzaro: riconobbero nella sua risurrezione una manifestazione della potenza del Figlio di Dio, poiché comandare alla morte in forza della propria potenza non rientra fra le capacità della condizione umana, ma è proprio della natura divina. Leggiamo invero che anche gli apostoli hanno risuscitato dei morti, ma essi hanno implorato il Signore perché li risuscitasse (cf. At 9,40; 20,9-12); essi li hanno sí risuscitati, non però con le loro forze, o per virtù propria, ma dopo aver invocato il nome di Cristo che comanda alla morte e alla vita: il Figlio di Dio invece ha risuscitato Lazzaro per virtù propria. Infatti appena il Signore disse: "Lazzaro, vieni fuori" (Gv 11,43), quegli uscí subito dal sepolcro: ;la morte non poteva trattenere colui che veniva chiamato dalla Vita. Il fetore della tomba era ancora nelle narici dei presenti allorché Lazzaro era già in piedi e vivo. La morte non attese di sentirsi ripetere il comando dalla voce del Salvatore, perché essa non era in grado di resistere alla potenza della Vita; e pertanto a una sola parola del Signore la morte fece uscire dal sepolcro il corpo di Lazzaro e la sua anima dagli inferi, cosí tutto Lazzaro uscí vivo dal sepolcro, dove non era completo ma solo col suo corpo. Ci si risveglia piú lentamente dal sonno che non Lazzaro dalla morte. Il fetore del cadavere era ancora nelle narici dei Giudei che già Lazzaro stava in piedi e vivo. Ma consideriamo ora l`inizio della stessa lettura.

Il Signore disse dunque ai suoi discepoli, come avete udito carissimi, nella presente lettura: "Lazzaro, l`amico nostro, dorme ma io vado a risvegliarlo" (Gv 11,11). Il Signore disse bene. "Lazzaro, l`amico nostro, dorme," perché in realtà egli stava per risuscitarlo da morte come da un sonno. Ma i discepoli, ignorando il significato delle parole del Signore, gli dicono: "Signore, se dorme, guarirà" (Gv 11,12). Allora in risposta "disse loro chiaro: Lazzaro è morto, ma sono contento per voi di non essere stato là affinché crediate" (Gv 11,14-15). Se il Signore qui afferma di rallegrarsi per la morte di Lazzaro in vista dei suoi discepoli, come si spiega che in seguito pianse sulla morte di Lazzaro? (cf.Gv 11,35). Occorre, al riguardo, badare al motivo della sua contentezza e delle sue lacrime. Il Signore si rallegrava per i discepoli, piangeva per i Giudei. Si rallegrava per i discepoli, perché con la risurrezione di Lazzaro egli sapeva di confermare la loro fede nel Cristo; ma piangeva per l`incredulità dei Giudei, perché neppure di fronte a Lazzaro risorto avrebbero creduto a Cristo Signore. O forse il Signore pianse per cancellare con le sue lacrime i peccati del mondo. Se le lacrime versate da Pietro poterono lavare i suoi peccati, perché non credere che i peccati del mondo siano stati cancellati dalle lacrime del Signore? In effetti, dopo il pianto del Signore, molti fra il popolo dei Giudei credettero. La tenerezza della bontà del Signore vinse in parte l`incredulità dei Giudei e le lacrime da lui teneramente versate addolcirono i loro cuori ostili. E forse per questo la presente lettura ci riferisce l`uno e l`altro sentimento del Signore, cioè la sua gioia e il suo pianto, perché "chi semina nelle lacrime", com`è scritto, "mieterà nella gioia" (Sal 125,5). Le lacrime del Signore sono dunque la gioia del mondo: infatti per questo egli versò lacrime, perché noi meritassimo la gioia. Ma ritorniamo al tema. Disse dunque ai suoi discepoli: "Lazzaro, l`amico nostro, è morto; ma io sono contento per voi di non essere stato là, affinché crediate". Rileviamo anche qui un mistero: come il Signore può dire di non essere stato là [dove Lazzaro era morto]? Infatti quando dice chiaramente: "Lazzaro è morto" dimostra all`evidenza di essere stato lí presente. Né il Signore avrebbe potuto parlare cosí, dal momento che nessuno l`aveva informato, se non fosse stato lí presente. Come il Signore poteva non essere presente nel luogo dove Lazzaro era morto, lui che abbraccia con la sua divina maestà ogni regione del mondo? Ma anche qui il Signore e Salvatore nostro manifesta il mistero della sua umanità e della sua divinità. Egli non si trovava lí con la sua umanità, ma era lí con la sua divinità, perché Dio è in ogni luogo.

Quando il Signore giunse da Maria e da Marta, sorelle di Lazzaro, alla vista della folla dei Giudei, chiese: "Dove l`avete messo?" (Gv 11,34). Forse che il Signore poteva ignorare dove era stato posto Lazzaro, lui che, sebbene assente, aveva preannunciato la morte di Lazzaro e che con la maestà del suo essere divino è presente dappertutto? Ma il Signore, cosí facendo, si attenne a un`antica sua consuetudine. Infatti, allo stesso modo chiese ad Adamo: "Adamo, dove sei?" (Gen 3,9). Egli interrogò Adamo non perché ignorava dove si trovasse, ma perché Adamo confessasse il suo peccato con le proprie labbra e potesse cosí meritarne il perdono. Interrogò anche Caino: "Dov`è tuo fratello Abele"? ed egli rispose: "Non so" (Gen 4,9). Dio non interrogò Caino quasi che non sapesse dove si trovava Abele, ma per potergli imputare, sulla base della sua risposta negativa il delitto commesso contro il fratello. Di fatto Adamo ebbe il perdono perché confessò il peccato commesso al Signore che lo interrogava; Caino invece fu condannato alla pena eterna, perché negò il suo delitto. Cosí anche nel nostro caso, quando il Signore chiede: "Dove l`avete messo?" non pone la domanda quasi che ignori dove sia stato sepolto Lazzaro, ma perché la folla dei Giudei lo segua fino al suo sepolcro e, constatando nella risurrezione di Lazzaro la divina potenza di Cristo, essi divengano testimoni contro sé stessi qualora non credano a un miracolo cosí grande. Infatti il Signore aveva loro detto in precedenza: "Se non credete a me, credete almeno alle mie opere e sappiate che il Padre è in me e io sono in lui" (Gv 10,38). Quando poi giunse presso il sepolcro, disse ai Giudei che stavano intorno: "Levate via la pietra" (Gv 11,39). Che dobbiamo dire? Forse che il Signore non poteva rimuovere la pietra dal sepolcro con un semplice comando, lui che, con la sua potenza, ha rimosso le sbarre degli inferi? Ma il Signore ha ordinato agli uomini di fare ciò che era nelle loro possibilità; ciò che invece appartiene alla virtù divina, lo ha manifestato con la propria potenza. Infatti rimuovere la pietra dal sepolcro è possibile alle forze umane, ma richiamare un`anima dagli inferi è solo in potere di Dio. Ma, se l`avesse voluto, avrebbe potuto rimuovere facilmente la pietra dal sepolcro con una sola parola chi con la sua parola creò il mondo.

Quand`ebbero dunque rimosso la pietra dal sepolcro, il Signore disse a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori", dimostrando cosí di essere colui del quale era stato scritto: "La voce del Signore è potente, la voce del Signore è maestosa" (Sal 28,4), e ancora: "Ecco che darà una voce forte alla sua potenza" (Sal 67,34). Questa voce che ha subito richiamato Lazzaro dalla morte alla vita è veramente una voce potente e maestosa, e l`anima fu restituita al corpo di Lazzaro prima che il Signore avesse fatto uscire il suono della sua voce. Sebbene il corpo fosse in un luogo e l`anima in un altro, tuttavia questa voce del Signore restituí subito l`anima al corpo e il corpo obbedí all`anima. La morte infatti fu rimossa alla voce di una cosí grande potenza. E nulla di strano, certamente, che Lazzaro sia potuto risorgere per una sola parola del Signore, quando ha dichiarato egli stesso nel Vangelo che quanti sono nei sepolcri risorgeranno alla sola e unica parola, dicendo: "Viene l`ora in cui i morti ascolteranno la voce del Figlio di Dio e risorgeranno" (Gv 5,25). Senza dubbio, all`udire la parola del Signore, la morte avrebbe potuto allora lasciar liberi tutti i morti, se non avesse capito che era stato chiamato soltanto Lazzaro. Dunque, quando il Signore disse: "Lazzaro, vieni fuori, subito egli uscí legato piedi e mani e la faccia ravvolta in un sudario" (Gv 11,44). Che diremo qui ancora? Forse che il Signore non poteva spezzare le bende nelle quali Lazzaro era stato sepolto, lui che aveva spezzato i legami della morte? Ma qui il Signore e Salvatore nostro manifesta nella risurrezione di Lazzaro la duplice potenza della sua operazione per tentare d`infondere almeno cosí la fede nei Giudei increduli. Infatti non desta minor meraviglia veder Lazzaro poter camminare a piedi legati che vederlo risuscitare dai morti...


(Cromazio di Aquileia, Sermo 27, 1-4)


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06/10/2011 22:41
 
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Dalla «Lettera ai cristiani di Filadelfia» di sant\'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire
(Capp. 1, 1 - 2, 1; 3, 2 - 5; Funk, 1, 226-229)
Uno solo è il vescovo con i presbiteri e i diaconi
    Ignazio, detto anche Teoforo, alla chiesa di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo che si trova a Filadelfia, in Asia, che è oggetto dell\'amore di Dio e da lui è resa salda nella concordia, ricolma di gioia nella passione del Signore nostro e, irremovibilmente certa della sua risurrezione, gode di ogni dono della misericordia divina.
    Io saluto nel sangue di Gesù Cristo questa chiesa, che è mia gioia eterna e indefettibile, soprattutto se sono uniti tutti i suoi membri con il vescovo, con i presbiteri e con i diaconi, scelti secondo il pensiero di Gesù Cristo, e da lui resi forti e saldi, secondo la sua volontà, mediante il suo Santo Spirito.
    So che il vostro vescovo non ha ottenuto né da se stesso né dagli uomini il ministero che esercita a servizio della comunità, né per propria ambizione, ma gli è stato affidato dall\'amore di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo. Sono rimasto ammirato della sua amabilità; con il suo silenzio egli fa più di quelli che si perdono in vani discorsi. I voleri divini trovano in lui una perfetta risonanza come le corde sonore nella cetra. Perciò la mia anima si compiace dei suoi sentimenti verso Dio, che so virtuosi e perfetti, e della sua fermezza e cordialità che sono un riflesso della bontà del Dio vivente.
    Voi, dunque, figli della luce e della verità, fuggite le divisioni e le perverse dottrine. Siate un gregge docile e fedele, che segue ovunque il suo pastore. Quelli, infatti, che appartengono a Dio e a Gesù Cristo sono tutti con il vescovo. E quelli che si ravvedono e ritornano all\'unità della Chiesa saranno anch\'essi di Dio per vivere secondo Gesù Cristo.
    Non illudetevi, fratelli miei, chi segue un fautore di divisioni «non erediterà il regno di Dio» (1 Cor 6, 10); chi cammina nella strada dell\'eresia non è in accordo con la passione di Cristo.
    Procurate dunque di partecipare ad un\'unica Eucaristia, perché non vi è che un\'unica carne del Signore nostro Gesù Cristo e un unico calice che ci unisce nel suo sangue e un unico altare, come uno solo è il vescovo con il collegio dei presbiteri e i diaconi, miei compagni di ministero. Comportatevi in modo che qualunque cosa facciate, la facciate secondo Dio.
    Fratelli miei, il mio cuore sovrabbonda di amore per voi e con la più grande gioia cerco di premunirvi, non io, ma Gesù Cristo. Sono, è vero, incatenato per lui, ma il mio timore si è fatto più grande perché mi vedo ancora imperfetto. La vostra preghiera mi renderà perfetto dinanzi a Dio. Mi affido al Vangelo come alla carne di Cristo, e mi tengo unito al collegio dei presbiteri come agli apostoli. Così potrò ottenere l\'eredità a cui la misericordia di Dio mi ha destinato.
09/10/2011 10:17
 
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Dal «Commento su Aggeo» di san Cirillo d\'Alessandria, vescovo
(Cap. 14; PG 71, 1047-1050)
Il mio nome è glorificato tra le genti
    Al tempo della venuta del nostro Salvatore apparve un tempio divino senza alcun confronto più glorioso, più splendido ed eccellente di quello antico. Quanto superiore era la religione di Cristo e del Vangelo al culto dell\'antica legge e quanto superiore è la realtà in confronto alla sua ombra, tanto più nobile è il tempio nuovo rispetto all\'antico.
    Penso che si possa aggiungere anche un\'altra cosa. Il tempio era unico, quello di Gerusalemme, e il solo popolo di Israele offriva in esso i suoi sacrifici. Ma dopo che l\'Unigenito si fece simile a noi, pur essendo «Dio e Signore, nostra luce» (Sal 117, 27), come dice la Scrittura, il mondo intero si è riempito di sacri edifici e di innumerevoli adoratori che onorano il Dio dell\'universo con sacrifici ed incensi spirituali. E questo, io penso, è ciò che Malachia profetizzò da parte di Dio: Io sono il grande Re, dice il Signore; grande è il mio nome fra le genti, e in ogni luogo saranno offerti l\'incenso e l\'oblazione pura (cfr. Ml 1, 11).
    Da ciò risulta che la gloria dell\'ultimo tempio, cioè della Chiesa, sarebbe stata più grande. A quanti lavorano con impegno e fatica alla sua edificazione, sarà dato dal Salvatore come dono e regalo celeste Cristo, che è la pace di tutti. Noi allora per mezzo di lui potremo presentarci al Padre in un solo Spirito (cfr. Ef 2, 18). Lo dichiara egli stesso quando dice: Darò la pace in questo luogo e la pace dell\'anima in premio a chiunque concorrerà a innalzare questo tempio (cfr. Ag 2, 9). Aggiunge: «Vi do la mia pace» (Gv 14, 27). E quale vantaggio questo offra a quanti lo amano, lo insegna san Paolo dicendo: La pace di Cristo, che sorpassa ogni intelligenza, custodisca i vostri cuori e i vostri pensieri (cfr. Fil 4, 7). Anche il saggio Isaia pregava in termini simili: «Signore, ci concederai la pace, poiché tu dai successo a tutte le nostre imprese» (Is 26, 12).
    A quanti sono stati resi degni una volta della pace di Cristo è facile salvare l\'anima loro e indirizzare la volontà a compiere bene quanto richiede la virtù.
    Perciò a chiunque concorre alla costruzione del nuovo tempio promette la pace. Quanti dunque si adoperano a edificare la Chiesa o che sono messi a capo della famiglia di Dio (cfr. Ef 2, 22) come mistagoghi, cioè come interpreti dei sacri misteri, sono sicuri di conseguire la salvezza. Ma lo sono anche coloro che provvedono al bene della propria anima, rendendosi roccia viva e spirituale (cfr. 1 Cor 10, 4) per il tempio santo, e dimora di Dio per mezzo dello Spirito (cfr. Ef 2, 22).
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