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LA FEDE DI PERSONAGGI DELLO SPETTACOLO

Ultimo Aggiornamento: 10/05/2023 08:43
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23/05/2012 22:39
 
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Nel mondo dello spettacolo, dello sport, dell'arte o di altri ambiti importanti della società,  ci sono molti professionisti, che non hanno avuto difficoltà a riconoscere pubblicamente la loro FEDE, o che vi hanno aderito, a seguito delle esperienze fatte.
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La fede presente anche nei vips

Il noto attore e conduttore televisivo Flavio Insinna, che dall’inizio di questo mese conduce un nuovo programma su Canale 5 dopo la morte del padre, che lo ha tenuto lontano dalle telecamere per un anno, ha commentato ad “Avvenire” la sua rinascita dalla depressione: «Quando mio padre è morto so­no rimasto settimane sdraiato per terra a guardare il soffitto, ero scarmigliato e ingrassato. Il dolore resta, ma la fede mi ha aiutato», ha spiegato. «Davanti a una prova come la morte, la fede può vacillare. Ho un rosario sempre in tasca, regalatomi da un amico sacerdote. E sono riuscito a resi­stere. Ho cercato disperatamente di non sen­tirmi tradito, se no avrei avuto la sensazione di avere perso una partita due volte. Se pen­sassi di essere tradito dalla mia luce più for­te che è la mia fede cattolica, sarei nel deser­to. Nel Padre Nostro diciamo “sia fatta la tua volontà”: e io mi piego, sbando, però mi sfor­zo di restare appigliato con testardaggine».

Anche la poco simpatica (questione di gusti) Luciana Littizzetto ha avuto modorecentemente di parlare di sé e del suo privato: «Penso che l’unico senso della vita sia scritto nel Vangelo, che contiene il messaggio più forte e moderno che ci sia. Ma dipende da chi te lo racconta. Modernizzarsi non vuol dire avere un profilo Twitter o mettere le omelie su Internet: la modernità sta nell’essere accoglienti rispetto ai dolori del mondo». Non solo, modernizzarsi significa paradossalmente affondare ancora di più le radici nella Tradizione cristiana, senza piegarsi allo svarione progressista, come invece lei fa (e invita a fare). Peccato comunque che il fazioso quotidiano Libero abbia subitostrumentalizzato questa riflessione della conduttrice.

Il celebre soprano spagnolo Montserrat Caballe ha cantato presso la Sagrada Familia di Barcellona a conclusione del Cortile dei Gentili. Per l’occasione ha rilasciato un’intervista in cui ha spiegato: «Sono stata fortunato ad avere una grande fede, perché i miei genitori erano devoti e così l’hanno passata a me. Ma questa convinzione è radicata nella mia esperienza personale, e in particolare in un momento che ricordo con grande emozione: in uno dei miei viaggi sono andata a pregare in una chiesa ortodossa, ho ritenuto di dovermi scusare alla Madre di Dio perché non ero in una chiesa cattolica. Ma ho sentito una voce che diceva: “Tutto è la mia casa”. Ero pietrificata, ero pallida». La soprano spiega la forte emozione nel cantare opere religiose, specialmente se «in una cattedrale o nella Sala Nervi in Vaticano. E’ quasi come sperimentare la profondità del dolore della Madre di Dio. La fede ti dà così tanto! L’arte e la bellezza sono una via privilegiata per andare vicino a Dio».

Pochi giorni fa l’Atletico Madrid ha vinto la Europa League (ex Coppa Uefa) battendo l’Altetic Bilbao per 3-0, con due gol dell’attaccante Radamel Falcao. Alla fine dell’incontro Falcao ha tolto la maglietta mostrando una frase del Vangelo «Credi, tu Vedrai la gloria di Dio». Alla fine del match ha detto in un’intervista«Grazie a Dio per questo dono. Sono grato ai miei compagni di squadra e allo staff tecnico. Dedico la vittoria a Dio, a mia moglie, alla mia famiglia e a tutti gli appassionati dell’Atletico».

Restando nel mondo calcistico, il celebre calciatore tedesco Franz Beckenbauer  ha scritto (oltre a decine di altri sportivi e uomini noti tedeschi) un contributo per il libro-omaggio a Papa Benedetto XVI per il suo 85esimo compleanno. In un suo articolo recentesull’Osservatore Romano ha raccontato dell’incontro avuto con lui, in udienza priva nel 2005: «È difficile descrivere un momento simile. Il carisma che emana quest’uomo, la sua serenità interiore e la sua dignità, la sua cordialità: tutto ciò mi ha profondamente impressionato. Ho conosciuto tanti personaggi importanti, ma questo incontro è stato qualcosa di speciale, certamente uno dei momenti più commoventi della mia vita che non dimenticherò mai [...]. Nel corso del breve colloquio consegnai a Papa Benedetto XVI il gagliardetto ufficiale dei mondiali Fifa 2006. Ringraziò e fece gli auguri a noi e alla nazionale per i mondiali giocati in patria, che è anche la sua patria. E poi disse: “Guarderò molte partite in televisione”. Del momento della consegna del gagliardetto esiste una foto che ci mostra tutti e due, Papa Benedetto XVI e me. Oggi, quando viaggio, porto sempre con me questa foto. È in cima a tutto nella valigia. L’incontro con Benedetto XVI ha cambiato qualcosa nella mia vita. Da allora vado di nuovo più spesso in chiesa. Quando, poco dopo i mondiali, il Papa è venuto in Germania, ho letto tutti i discorsi che ha tenuto durante la sua visita. In questi continuava a ripetere: “Andate in Chiesa e testimoniate”. Sono parole che ho preso a cuore».

Queste persone sono al centro della vita pubblica, mediatica, persone stimate ed emulate. E’ importante che questo sia il loro approccio -chi più chi meno- alla vita, anche loro sono chiamati -come dice Beckenbauer citando il Papa- ad essere testimoni di quel che davvero conta, al di là dell’effimero successo mediatico. Questo è lo spunto che ha portato alla pubblicazione del libro “Anche loro, inquieti cercatori” (Messaggero editore 2012) di Vito Magno, ovvero una raccolta di oltre cento interviste a uomini e donne del mondo della cultura, dello spettacolo e della religione.


[Modificato da Credente 06/11/2019 13:58]
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23/05/2012 22:42
 
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Senza Medjugorje non avrei potuto interpretare il ruolo di Gesù nel film “Passion Christi”


La passione di Cristo - www.pietrascartata.comBella testimonianza di Jim Caviezel su Medjugorje!, ha interpretato Gesu' nel film Passion

Jim Caviezel, attore statunitense, figlio di un medico oriundo svizzero-slovacco e di una irlandese, è diventato famoso in tutto il mondo per aver interpretato il ruolo di Gesù nel film “Passion Christi” di Mel Gibson.
Le toccanti scene della flagellazione e della crocifissione di Gesù hanno originato molte discussioni sulla fede. In relazione a questo film si è parlato delle conversioni che hanno sperimentato alcuni spettatori. Chi è questo Jim Caviezel che ha recitato in modo così toccante? In una intervista, rilasciata alla rivista “Oasi della Pace”, ha dichiarato che senza le sue esperienze a Medjugorje, dove gli è stata donata una nuova dimensione della fede, non avrebbe potuto interpretare questo ruolo.
L’attore, che nello scorso febbraio ha visitato Medjugorje per la sesta volta, di passaggio a Vienna, ha rilasciato al dott. Christian Stelzer l’ intervista qui di seguito riportata.

 

Jim, potresti raccontaci la tua esperienza a Medjugorje?

Mentre giravo in Irlanda il film “Montecristo”, mia moglie si recò a Medjugorje. Le cose non andavano tanto bene in quel momento anche se ogni settimana lavoravo sette giorni su sette. Un giorno mi telefonò e io dalla sua voce avvertii che c’era stato un cambiamento in lei. Mi cominciò a raccontare di Medjugorje e disse che uno dei veggenti sarebbe venuto in Irlanda. La interruppi con queste parole: “ Io ho un lavoro molto importante da fare. Non posso trovare il tempo per i veggenti” Per di più pensai che io, come cattolico, non dovevo necessariamente accettare né Fatima né Lourdes né Medjugorje. Queste furono le mie riflessioni. E in più mi ricordai che avevo già sentito parlare delle apparizioni di Medjugorje quando frequentavo la scuola cattolica e che io e i miei compagni eravamo molto colpiti, ma, alla notizia che il vescovo del posto aveva dichiarato che le apparizioni non erano vere, avevamo perso ogni interesse.
Il veggente di Medjugorje, Ivan Dragicevic, venne in Irlanda. Da parte mia ero certo che non avrei avuto tempo per lui poiché dovevo lavorare tutti i giorni. E tuttavia un giovedì il mio partner nel film, Richard Harris, si sentì improvvisamente male ed io così fui libero per il resto della giornata. Potei così assistere all’apparizione. Stavo in fondo alla chiesa piena di gente e non avevo idea di ciò che sarebbe successo................
Nel momento dell’apparizione un uomo accanto a me si alzò dalla sua sedia a rotelle e si lasciò cadere in ginocchio; io fui molto colpito: “Questo invalido – pensai – nonostante il suo dolore, s’inginocchia sulle fredde pietre del pavimento per pregare!”
Oggi so che solo Dio poteva sapere esattamente quando e come afferrarmi. Anche se può sembrare assurdo, la domenica successiva inaspettatamente fui ancora libero e così potei incontrare il veggente, come tanto desiderava mia moglie. Durante l’apparizione, inginocchiato accanto a lui, dissi nel mio cuore: “OK, sono qui. Sono pronto. Fai di me quello che vuoi.” In quello stesso momento sentii che qualcosa penetrava in me ; era una sensazione semplice eppure unica.
Quando mi rialzai gli occhi mi si riempirono di lagrime e cominciai a piangere con tutto il cuore.

 

Con Medjugorje avevo cominciato a credere che Gesù è veramente presente nell’Eucarestia e che perdona i miei peccati.
Ivan mi disse: “Jim, l’uomo ha tempo per ciò che ama. Se uno che non ha tempo, improvvisamente incontra una ragazza e se ne innamora, allora lo trova il tempo per lei. Chi non ha tempo per Dio è perché non Lo ama.” Mi domandai impressionato se io avessi tempo per Dio.
Ivan continuò: ”Dio ti chiama e ti invita a pregare con il cuore”. “Come si fa?” gli chiesi. “Comincia a pregare e vedrai”. In quel momento si aprì una finestra nel mio cuore. Mai prima di allora avevo pensato che potesse essere possibile. Andammo poi in un ristorante e devo confessare che il cibo ed il vino non mi sono mai più così piaciuti come quella sera.
In me qualcosa cominciò a cambiare. Varie volte mia moglie aveva provato a coinvolgermi nella recita del rosario, ma io mi ero rifiutato. Adesso però lo volevo recitare, anche se non sapevo esattamente come si faceva. Avevo l’impressione che il mio cuore si era aperto solo per questo. Un giorno mi rivolsi all’autista, che ogni giorno mi portava sul set, dicendogli: ”Non so come voi la pensiate, ma io desidero recitare il rosario.” Con mia sorpresa ricevetti questa risposta: “OK, lo facciamo”.
Alla debole luce di questo amore, che ora sentivo in me, cominciai a riconoscere dove io veramente stavo, quante tentazioni avevo, dov’erano i miei sentimenti, come io ero fragile e come giudicassi dentro di me gli altri.

 

In quale anno sei andato per la prima volta a Medjugorje?

La passione di Cristo - www.pietrascartata.com

Dopo le ultime riprese del film, che si svolsero a Malta, mi decisi ad andare a Medjugorje. Dentro di me ero pieno di aspettative. All’età di venti anni c’era stata come una voce dall’intimo che mi aveva detto che sarei stato un attore. Quando, a quell’epoca, lo raccontai a mio padre ebbi da lui questa risposta: “Se Dio vuole da te qualcosa, allora l’unica cosa certa è che diventerai prete. Perché dovresti diventare un attore?” Neanche io lo capii a quell’epoca. In questo momento mi posi di nuovo la domanda se la volontà di Dio su di me fosse quella di diventare attore e pertanto quella di guadagnare tanto denaro e diventare ricco. Mi rendevo conto della disuguaglianza nel mondo tra quei pochi che hanno fin troppo e quei tanti che non hanno il sufficiente per vivere ed ero sicuro che Dio non volesse ciò e che dovevo dunque decidere chi volessi servire o la ricchezza che non può darmi una felicità durevole o Dio che voleva guidare la mia vita.

Medjugorje mi richiamò alla mente Betlemme e pensai che, come Gesù aveva voluto nascere in un piccolo villaggio, così la Madonna appariva qui, in questo povero paese “in mezzo alle montagne”. (Questa è la traduzione dal croato del nome Medjugorje)
All’inizio fui sorpreso vedendo quanto tempo qui era dedicato alla preghiera. Feci un parallelo con un campo di basket e pensai che anche lì non si gioca una sola volta al giorno, ma continuamente. E tutto sommato anche nella scuola non si legge una volta al giorno, ma continuamente.
Durante i primi giorni a Medjugorje dentro di me ero irrequieto durante la preghiera poiché non ero abituato a pregare così tanto e perciò pregai Dio di aiutarmi. Dopo quattro giorni non volevo far altro che pregare poiché nella preghiera mi sentivo in comunione con Dio. E’ questa una tale esperienza che non posso far altro che augurarla ad ogni cattolico. Forse l’avevo già avuta da bambino e poi l’avevo dimenticata; ora mi veniva di nuovo donata.
Questa esperienza è continuata anche a casa. In famiglia partecipiamo insieme ai sacramenti. Mentre accompagno i figli a scuola recito con loro il rosario e, se a volte non inizio subito, comincia mio figlio a pregare.
La seconda volta che andai a Medjugorje cercai di ripetere la stessa esperienza della prima visita. Questa volta, però, fu differente. Un giorno, dopo pranzo, un gruppo di pellegrini mi invitò ad andare a Siroki Brijeg per visitare Padre Jozo Zovko. Era proprio quello che più desiderava mia moglie. Non conoscevo Padre Jozo, ma lo sentii dire alcune cose che mi commossero molto. Andai verso di lui ed egli mi pose le mani sulle spalle, così anche io feci lo stesso sulle sue. Poi mi impose le mani sul capo e anche io feci altrettanto sul suo. In quel momento io sentii dentro di me queste parole: ” Ti voglio bene, fratello. Quest’uomo ama Gesù.” Padre Jozo si rivolse allora all’interprete chiedendo in croato chi fossi e dicendo che voleva parlare con me. Questo fu l’inizio di un’amicizia che dura ancora.
Quando sentii Papa Giovanni Paolo II esortarci a non aver paura, pensai che tutto per me andava bene e che io non avevo motivo di avere paura. Durante le riprese della “Passione di Cristo” cominciai, però, a comprendere che oggi più che mai la figura del Cristo è controversa.
Quando avevo appena concluso le riprese della “Passione di Cristo” dovetti sperimentare più volte varie forze che volevano distogliermi dal girare quel film.

 

Puoi raccontarci perché hai vissuto così questa esperienza e che rapporto c’è tra il film e Medjugorje?

Tu forse conosci il detto “passare il Rubicone”, che significa che non puoi più tornare indietro. Ecco, per me il film “La Passione di Cristo” è stato questo. Avevo 33 anni quando è iniziata la lavorazione del film, cioè tanti quanti ne aveva Gesù quando fu crocifisso. Mi veniva sempre il dubbio se ero degno di interpretare Gesù. Ivan Dragicevic mi incoraggiava e diceva che Gesù non sempre sceglie i migliori e che lui stesso era la prova di questo.
Senza Medjugorje, che ha aperto il mio cuore alla preghiera e ai sacramenti, non avrei interpretato questo ruolo. Sapevo che, se volevo rappresentare Gesù, dovevo essere vicinissimo a lui. Ogni giorno mi confessavo ed adoravo il SS Sacramento. Anche Mel Gibson partecipava alla messa, se era celebrata in latino, e questo fu un bene per me poiché imparai il latino.
Sempre mi venivano tentazioni dalle quali mi dovevo difendere e in questa lotta sperimentavo una grande pace interiore. Per esempio nella scena dove Maria, la Madonna, si imbatte in Suo Figlio mentre porta la croce, io dovevo dire la seguente battuta: ”Guarda, io faccio ogni cosa nuova” Abbiamo ripetuto questa scena quattro volte, ma io sentivo che c’ero sempre io in primo piano. Poi qualcuno urtò contro la croce ed io sentii la mia spalla sinistra uscire dall’articolazione. Quel subitaneo tremendo dolore mi fece perdere l’equilibrio e caddi pesantemente a terra. Sbattei il viso sulla terra polverosa e mi uscì il sangue dal naso e dalla bocca. Ripetei le parole alla Madre: ”Guarda, io faccio ogni cosa nuova”. Il dolore alla spalla era indescrivibile mentre lentamente abbracciavo la croce ed io sentivo che la scena era di grande impatto. Io avevo cessato di recitare ed era Gesù che si vedeva. La scena era venuta fuori quasi come risposta alla mia preghiera: “Voglio che gli spettatori vedano te, Gesù, non me”.
Durante le riprese non so quanti rosari recitai e questo mi fece vivere in un’atmosfera particolare. Mi rendevo conto che non potevo bestemmiare o lasciarmi andare, se volevo comunicare qualcosa alla troupe dei miei collaboratori. Erano attori famosi, che nella maggior parte dei casi non conoscevano Medjugorje, e noi eravamo felici di averli. Come avrei potuto trasmettere loro qualcosa di Medjugorje se non con la mia stessa vita? Medjugorje significa per me vivere, attraverso i sacramenti, in unità con la Chiesa.
Con Medjugorje avevo cominciato a credere che Gesù è veramente presente nell’Eucarestia e che perdona i miei peccati. Con Medjugorje ho sperimentato quanto è potente la preghiera del rosario e quale dono rappresenta la Messa quotidiana.
Come posso aiutare le persone, se non credendo in Gesù? Ho idea che questo possa accadere quando Gesù Eucarestia è in me e quando le persone, attraverso la mia vita, scorgono Gesù.
Quando girammo la scena dell’ultima cena, io avevo, in tasche speciali all’interno della mia veste, alcune reliquie di santi e anche un pezzetto della croce di Cristo. Era così grande il mio desiderio che Gesù fosse presente che pregai un sacerdote di esporre il Santissimo. Sulle prime rifiutò, ma io lo pregai insistentemente perché ero convinto che, se io avessi fissato Gesù, gli spettatori avrebbero riconosciuto Lui in me. Il sacerdote, con l’Ostia consacrata nelle mani, si mise poco dietro il cameramen e insieme a lui si avvicinava a me. Quando gli spettatori vedono la luce nei miei occhi non si rendono conto che quello è il riflesso dell’Ostia nelle mie pupille e pertanto essi, in realtà, vedono Gesù. 
Anche durante la scena della Crocifissione, mentre io pregavo ininterrottamente, il sacerdote era presente con il SS Sacramento nelle sue mani.
La sfida più grande per me, in questo film, non è stato, come all’inizio avevo pensato, l’imparare a memoria i testi in latino, aramaico e ebraico, ma piuttosto le fatiche fisiche cui dovetti far fronte. Nell’ultima scena, per esempio, quando fui inchiodato sulla croce, avevo una spalla lussata che usciva ogni volta. Durante la flagellazione fui colpito due volte dalla sferza e ne risultò una ferita sulla schiena lunga 14 centimetri, inoltre mi presi un’infiammazione ai polmoni che si riempirono di liquido. Oltre a ciò bisogna calcolare la cronica mancanza di sonno: per mesi mi dovetti svegliare alle tre del mattino per il trucco che richiedeva almeno otto ore.
Un’altra sfida fu anche rappresentata dal freddo che, soprattutto durante la crocifissione, mi fece quasi venir meno; ero vestito solo con una sottile veste di lino e la temperatura esterna era di appena qualche grado sopra lo zero.
Quando girammo l’ultima ripresa c’era una fitta coltre di nuvole e un fulmine colpì la croce dove io ero legato. All’improvviso tutto fu silenzio intorno a me e io sentii i miei capelli rizzarsi sul capo. Circa 250 persone che stavano intorno a me videro come il mio corpo all’improvviso emanò luce e videro un fuoco alla destra e alla sinistra della mia testa. Parecchi, a questa vista, subirono uno schock.
So che “La Passione di Cristo” è un film straordinariamente grande sull’amore, forse uno dei più grandi.
Mai come oggi la figura di Cristo è motivo di controversie. Il creato è oggi minacciato da tanti fattori eppure la fede in Gesù è la fonte della felicità.
Penso che Dio, in questo nostro tempo, ci chiami in modo particolare e che noi perciò dobbiamo dare una risposta nel nostro cuore e con la nostra vita.

 

L’intervista con Jim Caviezel è stata realizzata da Christian Stelzer ed è stata pubblicata nel numero di marzo 2010 della rivista “Oasi della pace”, pubblicata a Vienna. www.oasedesfriedens.at
Traduzione: Anna Maria Spinetti

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30/06/2012 08:34
 
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Il noto attore e conduttore televisivo Flavio Insinna, che dall’inizio di questo mese conduce un nuovo programma su Canale 5 dopo la morte del padre, che lo ha tenuto lontano dalle telecamere per un anno, ha commentato ad “Avvenire” la sua rinascita dalla depressione: «Quando mio padre è morto so­no rimasto settimane sdraiato per terra a guardare il soffitto, ero scarmigliato e ingrassato. Il dolore resta, ma la fede mi ha aiutato», ha spiegato. «Davanti a una prova come la morte, la fede può vacillare. Ho un rosario sempre in tasca, regalatomi da un amico sacerdote. E sono riuscito a resi­stere. Ho cercato disperatamente di non sen­tirmi tradito, se no avrei avuto la sensazione di avere perso una partita due volte. Se pen­sassi di essere tradito dalla mia luce più for­te che è la mia fede cattolica, sarei nel deser­to. Nel Padre Nostro diciamo “sia fatta la tua volontà”: e io mi piego, sbando, però mi sfor­zo di restare appigliato con testardaggine».
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18/07/2012 19:24
 
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Pamela Villoresi: niente giudizi, solo Amore

L’appassionante avventura di una grande attrice. Attraverso l’arte, fino a Dio: come una bambina tra le braccia della Madre

ATTRICE E MADRE
Pamela Villoresi, nata a Prato nel 1957 da madre tedesca, a tredici anni inizia la sua fortunata carriera teatrale; appena maggiorenne instaura un lungo sodalizio con il regista Giorgio Strehler che la lancerà alla conquista di molti premi. Oltre che come attrice teatrale capace di recitare in ben cinque lingue, è nota per aver partecipato a molti sceneggiati televisivi e film di successo: tra questi ricordiamo “Il gabbiano” di Marco Bellocchio (1977), “Il sole anche di notte” dei fratelli Taviani (1990), “Niente è come sembra”, di Franco Battiato (2005), fino al più recente “Amici miei - Come tutto ebbe inizio”, di Neri Parenti (2011). Da sempre attiva nel promuovere la battaglie civili e sindacali della sinistra, nel 2010 si è inaspettatamente candidata, senza successo, alle elezioni regionali del Lazio con la Lista Polverini. Madre di tre figli (di cui una adottata in India) è impegnata a sostenere azioni umanitarie per il Sud del mondo. 



IL FESTIVAL DELLA SPIRITUALITÀ
A Roma dal 3 al 10 giugno si è svolto “Divinamente, festival internazionale della spiritualità”, giunto alla quinta edizione. Frutto del grande impegno di Pamela Villoresi, la manifestazione, che si tiene anche a New York, si propone di stimolare un dialogo tra i vari modi di esprimere il millenario rapporto tra arte e spiritualità nelle varie culture del Pianeta. Quest’anno l’attenzione è stata dedicata alla sfera femminile del Divino ed ha ospitato vari appuntamenti, tra i quali il recital “Dio Maternamente”, diretto e interpretato da Pamela Villoresi stessa. Info su www.divinamente.info


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L’arte ha sempre celebrato la sacralità della Vita e anche oggi ci sono artisti di tutte le culture che esprimono la propria spiritualità attraverso le loro opere. La celebre attrice Pamela Villoresi, condividendo la ricchezza del proprio percorso interiore, offre da anni preziose occasioni per risvegliare la nostra anima.

A giugno si è svolta a Roma la V edizione del suo “Divinamente, festival internazionale della spiritualità”. Qual è il messaggio che vuole comunicare?
«Quest’anno ci concentriamo sull’aspetto femminile del Divino, nel quale siamo sempre abbracciati e dove riscopriamo la nostra natura umana: un’esperienza di accoglienza e di gioia. Ogni religione delinea l’aspetto femminile del Divino in un modo diverso e le proposte di questa edizione le mettono a confronto con varie forme d’arte, rivolte a diverse fasce di età. Il mio spettacolo, “Dio Maternamente” scritto dal grande Mario Luzi, propone Dio che ama e comprende, Dio che è luce, amore e libertà. Fin dalla prima edizione, il nostro festival è stato seguito da molte persone che hanno partecipato a spettacoli di varie culture religiose, contribuendo alla costruzione di un clima di pace e fratellanza. Abbiamo tutti bisogno di concederci una pausa che ci faccia aprire il cuore, confrontandoci con la religione fuori da ogni integralismo e discriminazione». 

Come nacque l’idea del Festival internazionale della spiritualità?
«Con il mio lavoro ho avuto la fortuna di fare molti viaggi straordinari, conoscendo tante culture e approfondendo varie religioni. Circa quindici anni fa la mia esistenza cambiò radicalmente e decisi di provare a portare nel lavoro i miei percorsi personali. Iniziai a proporre spettacoli con tematiche spirituali: inizialmente, impresari e organizzatori reagirono male, obiettando che si trattava di cose noiose; però non mi arresi e, sin dalle prime esibizioni, la risposta del pubblico è sempre stata entusiasta! Nacque in me il desiderio di creare un dialogo tra artisti di tutto il mondo sui temi della spiritualità, aperto anche ad agnostici: lottai per due anni, ma alla fine riuscii a dar vita al Festival. Riscosse talmente tanto successo che dovetti organizzarlo anche a New York! Finalmente, dopo anni di successi professionali, attraverso il lavoro riuscivo ad esprimere anche la mia parte più profonda». 

La sua carriera è stata lunga e piena di riconoscimenti.
«Sin da bambina avevo dentro di me il desiderio di recitare e alla fine della scuola media iniziai a studiare teatro; nel mio gruppo c’era anche Roberto Benigni, un po’ più grande di me, ma già allora molto poetico e fuori da ogni schema. A quindici anni partii per una tournée e mi resi conto di iniziare finalmente a vivere, anche se dovetti affrontare molti sacrifici e rinunce per restare indipendente dalla mia famiglia. Però ne è valsa la pena: oltre alle tante esperienze e persone incontrate, ancora oggi sento il privilegio di soddisfare la mia passione per la poesia e di interpretare alcuni tra i testi più importanti dell’umanità».

Qual è stata la figura che ha più influenzato la sua formazione artistica? 
«Senza dubbio Giorgio Strehler, l’indimenticabile regista con il quale iniziai a recitare appena maggiorenne, continuandoci a lavorare per vent’anni. Lui era una persona eccezionale che comunicava mille emozioni ed ispirazioni: sin dal primo provino si stabilì tra noi una profonda intesa e credo di potermi definire la sua “figlia teatrale”. Spesso Strehler suscitava la rabbia dei miei colleghi, chiedendomi di spiegare agli altri attori quello che voleva in scena; quando iniziai ad avere successo nel cinema, mi disse che si sentiva tradito: ma io volevo esplorare il mio talento in ogni direzione».

Si sente privilegiata per il talento artistico che ha ricevuto in dote?
«Ogni essere umano nasce con dei talenti ed ognuno ha la responsabilità di non sprecarli, esprimendoli per portare frutti concreti. L’artista, in particolare, deve uscire da se stesso e mettersi al servizio delle proprie capacità che gli sono state donate: altrimenti le sue opere, anche se bellissime, saranno solo una proiezione del suo egocentrismo. Invece, quando con l’approfondimento e lo studio ci si apre alla fonte originaria e si diventa strumenti di Dio, le opere d’arte acquistano un valore proprio che va oltre il tempo, testimonianza per lo spettatore della forza divina».

Come si è evoluta la sua ricerca spirituale?
«Da bambina andai a scuola dalle suore, ma crescendo, soprattutto in coincidenza con il periodo del femminismo, ebbi un forte rifiuto dell’apparato ecclesiale; un rigetto che per certe cose provo ancora di fronte ai tanti scandali interni alla Chiesa. Anche di fronte a certi dogmi o alle regole rigide di varie religioni subisco un blocco, che cerco di superare leggendo molto, alla scoperta di testimoni della Chiesa che possano stordire le mie barriere razionali. A volte, durante la Messa, la mia anima viene scaldata da bellissime omelie, ma in altre occasioni sento alcuni sacerdoti dire delle cose assurde, che mi allontanano per mesi dalle celebrazioni. Però il mio percorso continua sempre, sostenuto dal desiderio del divino e dalla preghiera; ma vorrei avere una Fede più salda». 
    
Il suo percorso interiore ha influito sull’esistenza quotidiana? 
«Con l’approfondimento del cammino spirituale la mia esistenza è sicuramente migliorata, diventando più forte ed equilibrata; riesco a dare risposte adeguate ai problemi di ogni giorno e ho potuto liberarmi da rovelli e rancori. È molto positivo riuscire ad affrontare ogni cosa come occasione per imparare, arrivando a pregare anche per chi ha compiuto dei torti nei miei confronti. Ora vivo meglio e mi sento più libera: Gesù lo ha detto chiaramente che è venuto per liberarci e per il poco che io permetto a Cristo di agire nella mia vita ho sperimentato che questo è vero».  
    
Come è entrato Gesù nella sua esistenza?
«L’incontro con il Signore l’ho vissuto soprattutto attraverso la meditazione del Vangelo e la figura di Edith Stein (Santa Teresa Benedetta della Croce, 1891 – 1942, ndr), in particolare con i suoi scritti su Gesù Bambino, promessa di Luce dopo il buio delle nostre cadute. Ma tutta l’arte e la poesia che per secoli hanno rappresentato la figura Cristo mi hanno aiutato ad avvicinarmi a Lui. Ho scoperto l’importanza di non giudicare se stessi e gli altri, atteggiamento indispensabile per ritrovarci e muoverci alla riscoperta della Vita. Lo impariamo anche dal bambino che fa i primi passi: la mamma lo attende a braccia aperte, senza rimproverarlo se sbaglia o cade, e gli dice: “Vieni, sono qui, ti amo”».
    
Ritorna il tema della Maternità divina…
«Ognuno di noi cerca l’abbandono nell’Amore come quando era bambino: tutto il dolore del mondo è racchiuso nel dilemma se si è amati o meno. La Madonna è la più profonda espressione dell’anima femminile del Divino; nel corso degli anni diversi maestri spirituali mi hanno invitata a scoprire la figura di Maria. Iniziai a pregarla con una certa riluttanza, ma poi, grazie a Lei, ho vissuto momenti di grande consolazione: con il Suo amore materno ho sperimentato grandi orizzonti che all’improvviso si riaprono, spazzando via le angosce e riportando fiducia e positività».
    
Abbiamo bisogno di molta fiducia in questo periodo di crisi …
«Nella nostra società la sacralità è assente: se ne ha il desiderio, ma si danno risposte sbagliate. È fondamentale proporre alle persone una riapertura alla Vita, ma è difficile far comprendere questo a chi non intraprende un percorso spirituale. Purtroppo, per inganni secolari, spesso si crede che avvicinandosi alla spiritualità si entri in un percorso di costrizione invece che di libertà. Eppure, io ho l’esperienza che intorno a noi ci sono continuamente delle persone che, anche inconsapevolmente, fungono da angeli e messaggeri, strumenti di Dio per la nostra anima. La crisi c’è, ma cerchiamo di tramutarla in un’occasione per aprire delle porte nuove: come è successo a me, ognuno ne potrà trarre grandi benefici. Di fronte ai gravi problemi economici ed a una classe politica fallimentare, l’unica soluzione è iniziare a cambiare noi stessi e il nostro modo di rapportarci con gli altri».

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18/07/2012 19:30
 
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Il grande Gary Cooper e la sua conversione al cattolicesimo

Lo ricordiamo evocando la sua conversione al Cattolicesimo nel 1958. Già prima della conversione, sua moglie e sua figlia, che erano cattoliche, si fecero accompagnare da Gary ad incontrare Papa Pio XII. Sua figlia Maria, ricordando il momento scrisse: «Eravamo tutti in una sala dorata del Vaticano con moltissimi ospiti. Quando il Papa venne al suo fianco, papà ha voluto inginocchiarsi per baciargli la mano e ha quasi perso l’equilibrio». Già nella metà degli anni Cinquanta, ricorda ancora la figlia «stava cominciando a pensare alla possibile conversione». Il tutto anche grazie ad un sacerdote di cui diventò amico e compagno nelle immersioni, nella caccia ed in ogni sorta di viaggio. Dopo la lettura di un libro del monacoThomas Merton, in cui veniva raccontata la sua conversione, decise di farsi battezzare nella Chiesa cattolica nel maggio 1959. Poche settimane dopo si sono manifestarsi i primi sintomi del cancro che lo ha portato alla morte.

L’influenza della sua conversione fu enorme nel mondo degli artisti. Ernest Hemingway, suo grande amico, ricorda che alcune settimane prima della morte di Cooper ha parlato a lungo con lui di cattolicesimo. Gary alla fine gli ha detto: «Sai, ho preso la decisione giusta». Come ha riconosciuto più tardi, Hemingway non si sarebbe più potuto dimenticare della sua conversazione. Cooper era a letto morente e sembrava la persona più felice sulla terra.

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08/08/2012 12:11
 
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21/08/2012 21:54
 
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Nek e la rinascita della sua fede 

«In quel posto ci sono stato ben tre volte e le assicuro, senza con questo cadere nella sterile ed inutile retorica, che la mia fede prima era molto, ma molto più tiepida, poi si è riscaldata e mi sono infervorato», ha raccontato recentemente. «Indubbiamente devo fare ancora molta strada,ma sono sulla via giusta. Vedo una Chiesa attiva, concreta, vicina alle esigenze di chi soffre». Grazie all’incontro con “Nuovi Orizzonti”, Nek ha trovato una «seconda famiglia»come ha spiegato«perché mi avete fatto capire, mi avete fatto vedere quanto Dio sia vicino, quanto Dio non sia astratto, divinità, ma quanto Dio sia simile a ognuno di noi e quanto opera attraverso la nostra piena disponibilità».

Introdotto in questa grande amicizia, ha collaborato attivamente alla realizzazione del villaggio di “Cittadella Cielo”, per aiutare concretamente quanti desiderano emergere dal buio nel quale sono precipitati. «Oggi sento tutto questo come la mia casa, in cui vengo accolto per ciò che realmente sono», ha raccontato«Posso dire che Medjugorje è un luogo che io consiglio di visitare innanzitutto agli scettici, affinché si rendano conto che lì non c’è nulla di esoterico o di magico. C’è la presenza della Madonna e di Dio, che sono disponibili a entrare in te, se lo vuoi, in punta di piedi, per spalancarti l’anima a cose meravigliose. Anche chi avrà fatto questo viaggio per pura curiosità, tornando a casa si renderà conto di essersi arricchito di qualcosa di importante che, se coltivato con amore, porterà frutto». Su Youtube sono disponibili diverse sue testimonianze molto interessanti.

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21/08/2012 21:57
 
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Testimonianza Filippo Neviani meglio conosciuto come Nek
prima parte


seconda parte
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11/11/2012 15:49
 
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CUCUZZA: RISPETTO LA VITA, DA LAICO. CREDO NEGLI ANGELI,
MA SAPESSE QUANTI DIAVOLI HO INCONTRATO

Rispetto la vita, da laico. Credo negli angeli, ma sapesse quanti diavoli ho incontrato“La vita? É la metafora del sentimento religioso e del trascendente, non riesco proprio a concepire e considerare un mondo privato del  mistero e della bellezza”: parole e musica di Michele Cucuzza, il popolare giornalista di origine siciliana.

Cucuzza: perchè dedicò il titolo del suo programma alla vita, guarda caso un pilastro del Magistero del Papa Benedetto XVI? “Io vengo da una famiglia cattolica di Catania, ho studiato dai salesiani. Pur essendo laico, ho molto, troppo rispetto per il senso del mistero e della vita.

Le confesso che il mio rapporto con la categoria vita è di stampo religioso e che non si può negare nè mortificare il trascendente”. Che cosa è la vita? “La domanda si presta ad una risposta chilometrica, ma ricordandomi dei miei trascorsi giornalistici cerco di sintetizzare. 

La vita è un dono, ma anche un mistero nel quale occorre entrare in punta di piedi, salvaguardando la bellezza del creato, significa esistenza, gioia, a volte anche dolore e rabbia, ma proprio non posso concepire una esistenza privata della mistica della trascendenza, del suo mistero divino e umano al tempo stesso”.

Che spazio ha dedicato alle tematiche religiose nel suo programma?

“Direi sufficiente. Consideri che, senza ovviamente sviscerare i problemi da un punto di vista teologico, sarebbe impossibile, abbiamo trattato Padre Pio,  i funerali di Giovanni Paolo II, invitando in studio cardinali, vescovi e giornalisti specializzati. Con il Vaticano  vanto eccellenti relazioni ed Oltretevere mi stimano”.

Non manca, però chi sottolinea  che La vita in diretta abbia trattato anche di gossip…

“La giudico una critica ingenerosa. La rispetto, ma non condivido. Di  gossip, cioè di pettegolezzo, ne  abbiamo ospitato poco. Io guarderei invece a quanto volte abbiamo dato notizie di maternità e di giovani mamme in dolce attesa. Insomma, abbiamo esaltato la vita in arrivo, con buon gusto e rivendico questo ruolo con fierezza, con dignità , così come tengo a precisare che tutta la redazione non si è mai risparmiata”.

Spesso da voi si è parlato di famiglia..

“Una istituzione fondamentale. Però sarebbe  mettere la testa sotto la sabbia negare che oggi  la famiglia è in crisi. Ma non solo in Italia, nel mondo. C’è chi si lascia e chi si sposa. Ma l’importante è avere presente l’importanza del ruolo della famiglia”.

Papa Benedetto XVI, con ogni buona ragione, fa della famiglia un asse portante del suo Magistero..

“Non sa quanto io lo apprezzi. Non ho avuto ancora la fortuna di conoscerlo personalmente, ma il suo successo, me lo lasci dire da giornalista, consiste nella chiarezza delle idee e nella difesa della verità. In un’epoca di tromboni, di pesci in barile e di falsi profeti, lo ritengo giusto”.

Cucuzza, crede al demonio?

“Sapesse quanti ne ho incontrati e visti”.

In viale Mazzini?

“Ora mi fa peccare. Teologicamente non sono in grado di definire il diavolo. Penso anzi sono sicuro che esista, come incarnazione del male,della negatività e della bugia ed anche io sono stato tentato, senza caderci”.

Dal demonio agli angeli..

“Nutro grande rispetto verso gli angeli. Ho il mio angelo custode che mi protegge e difende. L’angelo rappresenta una creatura gloriosa, bella, positiva, annunzia speranza e gioia. Sarà un caso che anche i non cattolici credono negli angeli? E che si dica sei un angelo? Rifletteteci”.

21/12/2012 14:39
 
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Anche i vips sono umani e figli di nostro signore e sono contenta che si convertano ed abbiano testimonianze di vera fede
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21/12/2012 17:59
 
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Oltre a personaggi dello spettacolo vi sono naturalmente anche personaggi del mondo sportivo...

Tra sport e fede:
Falcao, Mario Ancic e le origini religiose del Celtic

FalcaoL’ultima volta che si era parlato, in questa sede, di Fede e Sport lo si era fatto a proposito delle Olimpiadi di Londra 2012, durante le quali abbiamo avuto testimonianza di una “ribellione” di un buon numero di sportivi al divieto britannico di esporre simboli religiosi durante i giochi.

Ci giunge ora la notizia di un sondaggio, condotto da “Grey Matter Research and Consulting secondo cui gliamericani sarebbero di opinioni molto diverse rispetto a quelle del governo inglese: risulta che il 49% di essi, infatti, vede favorevolmente la pubblica espressione di fede degli atleti, mentre il 32% dichiara di non curarsene e solo il restante 19% afferma di averne una visione negativa.

Il sondaggio ha preso in esame l’opinione di più di 1000 americani adulti e l’uso degli atleti di pregare dopo i giochi, parlare di fede durante le interviste, fare segni religiosi (come il segno della croce prima di entrare in campo, per intendersi). Una percentuale ancora maggiore (il 55%), inoltre, vede positivamente la condivisione di momenti di preghiera da parte di squadre diverse alla fine delle partite, mentre meno approvati sono gli atteggiamenti che suggerirebbero il supporto della divinità nella vittoria del singolo o della squadra.

Tali dati possono aiutarci a rilevare come anche nel mondo dello sport, come tutti i contesti culturali, ci sono dei legami con la sfera religiosa, e non solo a livello esteriore: a questo fine segnaliamo episodi pubblicati recentemente, quali la conversione di Grant Desme, ora frate Matteo, noto giocatore di baseball che nel 2010 decise di abbandonare la carriera per la vita monastica o quella del giocatore di tennis Mario Ancic, o ancora le origini religiose del Celtic di Glasgow, fondato da frate Walfrid nel 1887 per scopi caritativi a favore dei bambini poveri, ancora oggi legato alla fede cattolica e agli intenti caritativi del fondatore (perseguiti oggi attraverso il “fondo di carità del Celtic”). Pochi giorni fa il fuoriclasse dell’Atletico Madrid, l’attaccante Falcaoha dedicato pubblicamente a Dio la sua incredibile prestazione, avendo segnato cinque gol sui sei contro il Deportivo La Coruna.

Lunedì scorso Benedetto XVI ha ricevuto in udienza il presidente del Coni Petrucci e gli atleti che hanno conquistato una medaglia a Londra 2012, dicendo: «Lo sport incide sull’educazione e la spiritualità e deve essere a servizio dell’uomo. Penso a voi, cari atleti, come a dei campioni-testimoni, con una missione da compiere: possiate essere, per quanti vi ammirano, validi modelli da imitare».

 Michele Silvi

22/12/2012 14:49
 
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Molto bello , davvero bello
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19/03/2013 23:07
 
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Da Sergio Parisse a Francesco Totti, sportivi cattolici

Con questo non intendiamo demonizzare lo sport, sia chiaro, ma resta un dato di fatto oggettivo impossibile da negare come ormai molti campioni si impegnino a veicolare, in modo più o meno voluto, messaggi e comportamenti che trovano poi nel grande pubblico, come ad esempio i più giovani, imitatori interessati solo agli aspetti più deteriori. Peraltro ci sono anche quelli che mandano messaggi più rassicuranti in quanto testimoni, tanto nella pratica agonistica quanto nel privato, di uno stile di vita che affonda le sue radici in valori maggiormente degni di essere messi in evidenza. Questi valori, poi, non necessariamente devono trarre origine da convinzioni religiose: però è innegabile che quando ciò avviene ci troviamo di fronte a belle testimonianze che meritano a nostro avviso maggiore risalto.

Radamel Falcao, ad esempio, dopo la finale di Europa League nel maggio 2012, ebbe modo di dichiarare“Sono molto grato ai miei compagni di squadra e allo staff tecnico. Dedico la vittoria a Dio, a mia moglie, alla mia famiglia e a tutti gli appassionati dell’Atletico”. Lo stesso calciatore, oltre che nelle interviste che rilascia, anche su Twitternon manca mai di ringraziare Dio per il coraggio che gli infonde e i compagni di squadra perché lo aiutano ad andare in rete con frequenza.

Altro calciatore spiazzante è Javier “Chicharito” Hernandez, il messicano del Manchester United che ha letteralmente stupito giornalisti e commentatori sportiviaffermando chiaramente“Sono un cattolico, lo dico chiaramente. A casa ho ricevuto una educazione cattolica, soprattutto mia nonna è molto cattolica ed è il fondamento della nostra famiglia”. La sintesi perfetta della sua vita, sempre secondo il giovane calciatore che sta ben figurando nel campionato inglese, si riassume in tre semplici parole:“Dio, la famiglia e la perseveranza”.

Concludiamo questa breve carrellata di personaggi dello sport con Sergio Parisse eFrancesco Totti. In una bella intervista Parisse non nasconde nulla riguardo a certe asperità del suo carattere e a taluni eccessi che gli hanno nuociuto non poco da giovane, problematiche che il noto campione del rugby italiano prova a lasciarsi alle spalle grazie allarinnovata serenità donatagli dalla paternità e da un contesto familiare cattolico che lo ha educato al valore del lavoro come impegno quotidiano. Del romanissimo Totti, invece, si è sempre saputo della sua fede cattolica e di quanto abbiano inciso nella sua vita personalità come quelle di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Dichiarazioni di affetto per la recente rinunzia di Benedetto XVI in un calciatore affermato come Totti sono quasi una rarità. Stupefacente poi l’ammissione riguardo alla fede praticata all’interno della parrocchia di appartenenza a cui si aggiunge pure il nome del sacerdote che lo assiste spiritualmente.

Che altro aggiungere? I campioni dello sport, volenti o no, costituiscono un modello di riferimento per le loro vicende agonistiche e non solo. Bisognerebbe evitare di dare troppa importanza alle loro azioni che fanno tendenza secondo un certo modo di pensare dettato dal gossip. Del resto, quando questi atleti si ritirano a vita privata la luce dei riflettori mediatici si sposta su nuove leve che ricevono in consegna, oltre ad una improvvisa notorietà, a loro volta un ideale testimone che può anche essere improntato alla discontinuità. Però, ammettiamolo senza reticenza alcuna, gli sportivi che nella loro vita si sono fatti “solo” testimoni di virtù praticate sono quelli che preferiamo ricordare meglio.

Salvatore Di Majo

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04/04/2013 16:06
 
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Franco Califano, convertitosi grazie a Papa Ratzinger

Franco CalifanoSabato scorso è morto Franco Califano, artista romano conosciuto sopratutto per la sua “vita spericolata” dedicata all’eccesso e conclusasi con una sorprendente conversione.

Tra le mani nella camera ardente la factotum dell’artista romano, Donatella Diana, le ha messo una foto di Papa Benedetto XVI«Franco Califano voleva farsi confessare da Papa Ratzinger e l’aveva chiesto anche ad un suo amico prete. Volevaun’udienza riservata, non ci è mai riuscito. Riteneva Ratzinger veramente una persona grande, un po’ ruvida, che non aveva nulla da dimostrare», ha detto Diana, che lo ha seguito negli ultimi dodici anni.

Ha poi aggiunto«Quando si è dimesso lo ha difeso con tutti. È stato lui a farlo riconciliare con il sacro, con la cristianità. Per questo tra le mani di Franco ho messo la foto di Papa Ratzinger». Lo stesso Califfo in un’intervista del 2008 aveva dichiarato:«Benedetto XVI mi ha fatto scattare qualcosa dentro e allora mi sono riavvicinato a Dio. A me questo Papa ha dato emozione. Io ho sempre cercato di credere in Dio ma visto che non mi piace il mistero, ho sempre avuto difficoltà ad accogliere la Fede, in assenza di segni. Ora è arrivato, il segno. Con questo Papa che mi fa innamorare».

Lui stesso ha raccontato la sua vita, le sue fissazioni per il sesso, la droga (arrestato più volte), le auto: «mi spostavo in continuazione fra alberghi, residence, città diverse. In effetti non ero uno che badava a spese. Quando usciva un nuovo modello di auto il primo veicolo disponibile era il mio. Per non parlare delle moto (passione che mi è passata quando è arrivato l’ obbligo del casco). Quando avevo storie con attrici importanti abitavo all’ Excelsior o al Grand Hotel. Avevo sempre come minimo tre macchine, una Mercedes, una Jaguar decappottabile e una Maserati o una Ferrari (con la quale ho avuto un pauroso incidente)». Si parla più di centinaia di amanti. Ma tutto questo non lo ha portato ad essere un uomo felice, anzi nel 2010 ha dovuto chiedereun aiuto allo Stato per essere caduto in rovina, economicamente e psicologicamente.

“Ci hai creati per te e il nostro cuore è senza pace finché non riposa in te”, scriveva Sant’Agostino. Il Califfo potrebbe oggi confermare, aggiungendo: “E tutto il resto è noia”.

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30/04/2013 12:08
 
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R. Lewandowski: «sono cattolico, non mi vergogno di Gesù»

Robert LewandowskiFacili le ironie dopo che le due più grandi squadre di calcio spagnole, Barcellona e Real Madrid, hanno preso quattro gol a testa nella partita di andata delle semifinali di Champions League contro, rispettivamente, Bayer Monaco e Borussia Dortmund.

Cristiano Ronaldo e compagni hanno ancora gli incubi di notte a forza di pensare a Robert Lewandowski, attaccante del Borussia Dortmund autore di tutte e quattro le reti segnate al Real Madrid. L’attaccante, scartato in Italia dalla Roma, è uno dei trascinatori anche della sua nazionale, la Polonia. Un campione che non ha timori a parlare pubblicamente della sua fede cattolica, anzi, ha anche aderito alla campagna dei cattolici polacchi chiamata “Non mi vergogno di Gesù”, dicendo: «Il mondo oggi sta andando molto veloce e a volte ci dimentichiamo i nostri valori e ciò che è veramente importante. La fede mi aiuta non solo in campo ma anche fuori da esso per cercare di essere una brava persona e seguire una strada giusta per la mia vita. Aderisco a questa campagna perché io sono cattolico e non mi vergogno di Gesù e di avere fede in Lui. So che Dio sempre mi guarda».

Un altro campione del calcio è certamente Lionel Messi, che ha recentemente dichiaratodi voler dedicare il prossimo Mondiale al suo connazionale Papa Francesco. Javier Zanetti, capitano dell’Inter e anche lui argentino, ha avuto proprio avuto il privilegio di incontrare recentemente il Pontefice: «E’ stato un incontro emozionante perché quando è stato eletto, il primo desiderio che ho avuto è stato quello di incontrarlo»ha dichiarato«Ho potuto farlo ed è stato un privilegio. Ho trovato di fronte a me una persona semplice, con un cuore enorme, che impiegherà tutte le energie necessarie per aiutare i fedeli»Ha poi aggiunto, da cattolico praticante: «La fede è cosi importante nel mondo e noi gli siamo tutti vicini».

Lasciando da parte l’onnipresente mondo del calcio, diamo spazio all’atletica: Daniele Greco ha vinto nel marzo scorso la medaglia d’oro nel salto triplo agli Europei in Svezia, ma ha un solo rimpianto: «Domenica, per più motivi, non sono riuscito ad andare in Chiesa»ha detto«Cantavo nel coro della parrocchia di Galatone», una fede semplice vissuta con amici e fidanzata. «Ma per la mia attività non potevo seguire sempre le prove. Così ora, alla domenica, alternandomi con Federica e con Massimiliano alla chitarra, presto servizio alla comunità da solo. Sant’Agostino diceva che chi canta prega due volte». Una fede vissuta anche nello sport: «Non cerco di migliorarmi per la mia gloria, che è vana. Ma per quella di Dio. Condivido questo dono con Francesca. Quando ci siamo fidanzati, l’anello è stato un rosario. Dalle nostre parti si dice che il vento unisce i fumi e il Signore unisce le persone». Al punto che i due, a breve, trascorreranno qualche giorno di vacanza a Medjugorje.

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14/11/2013 22:43
 
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Usa, la religione si studia sui testi di Bruce Springsteen



Corso in ateneo del New Jersey su rapporto tra cantante e Bibbia




 <br />       AFP
 <br />

New York, 12 nov. (TMNews) - Per anni Bruce Springsteen è stato venerato dai suoi fan con fervore religioso, ha scritto testi che contengono riferimenti alla fede e alla religione e molti dei personaggi femminili delle sue canzoni si chiamano Maria. Adesso un ateneo del New Jersey, la Rutgers University, ha deciso di dedicargli un corso di teologia. Azzan Yadin-Israel, un professore di letteratura ebraica, ha deciso di indagare in che modo Springsteen ha interpretato la bibbia nei suoi testi.

"A un livello letterario Springsteen ha spesso portato figure e storie bibliche sul territorio americano", ha detto Yaddin-Israel al quotidiano locale Rutgers Today. Alcuni esempi: il narratore di 'Adam Raised a Cain' descrive la sua relazione con il padre attraverso la visione biblica del primo padre e figlio, una tempesta apocalittica accompagna il passaggio all'età adulta del protagonista di 'The Promised Land' (già il titolo ha parecchi riferimenti) e ancora in 'In to the Fire', dedicata all'attentato alle Torri Gemelle, si usa la metafora dell'ascesa al cielo in un carro infuocato del profeta Elia.

"A livello teologico il motivo predominante è la redenzione e la santità di ogni giorno. Springsteen riesce a portare i simboli religiosi che spesso sono relegati in una realtà trascendente nel mondo. Nel suo ultimo album ha scritto anche di fede in modo molto chiaro", ha continuato Yadin-Israel. 

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16/01/2014 21:56
 
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Rooney, Messi, Del Porto, Darden:
testimoni di fede

campioni sportSono belli e famosi. Se si impegnassero come “testimonial” di un profumo, di una schiuma da barba, di un aperitivo, di un caffè o di quant’altro, nessuno si prenderebbe la briga di discutere della loro scelta sui più disparati blog, invece basta immettere il loro nome in un motore di ricerca per accorgersi che, nel bene e nel male, sono in molti sul web a commentare le loro azioni e spesso non lesinano sarcasmo.

Perché sono “testimonial” nel senso più vero della parola: sonotestimoni della loro fede in Cristo. Approdati dallo sport, dal professionismo, dai viaggi e dai jet-lag, dalle tensione, dall’agonismo esasperato, dalle rivalità, alla fede.

Mara Santangelo cercando inutilmente, dopo la morte della madre, di mantenere attraverso il tennis una promessa fatta a lei da piccola. Tremmell Darden dopo il parto difficile della moglie che gli ha fatto temere per lei e il suo bambino. Lionel Messi e Carlo Ancelotti da sempre ancorati alla famiglia tradizionale come porto sicuro nella vita e impegnati verso i più deboli. Pierrick Gunther domandandosi, dopo la morte di un caro amico compagno nel rugby, chi avrebbe potuto donargli la pace del cuore. Juan Del Potro sempre fedele alla sua coscienza in un mondo spesso pieno di tentazioni e strade sbagliate, tanto da essere definito da un quotidiano londinese “un santo nello sport”Wayne Rooney, che, pur bacchettato spesso dai “media “inglesi per la sua tenacia nella testimonianza religiosa, non demorde dal parlare del suo riavvicinamento alla fede dopo un’adolescenza sbandata, del suo matrimonio cattolico, dell’importanza della famiglia tradizionale e dei figli.

Quello che più colpisce in questi itinerari così diversi è l’identica “meta” a cui i vari protagonisti sono arrivati dopo multiformi e variegati cammini: una meta di pace, di preghiera, di pienezza di vita, con l’incontro con Gesù e Sua Madre.

Quando il 23 novembre di quest’anno il Pontefice ha ricevuto i delegati dei Comitati olimpici europei, che erano a Roma per la 43ª assemblea generale ha individuato nel rugby in particolare e nello sport in generale una metafora della vita: “Ci sono le azioni individuali, le corse agili verso la ‘meta’. Ecco, nel rugby si corre verso la ‘meta’! Questa parola così bella, così importante, ci fa pensare alla vita, perché tutta la nostra vita tende a una meta. E questa ricerca è faticosa, richiede lotta, impegno, ma l’importante è non correre da soli. Per arrivare bisogna correre insieme, e la palla viene passata di mano in mano, e si avanza insieme, finché si arriva alla meta. E allora si festeggia”

Forse è per questo che lo sport è terreno fertile per le conversioni e il ritorno alla fede: il senso della “meta” di uno scopo preciso fa degli sportivi persone sensibili a un richiamo più alto e definitivo. Del resto lo ricorda anche san Paolo con una famosa metafora (1Corinzi 9, 24-27):“Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato”.

Ma quello che più colpisce, al di là del fenomeno della vicinanza sport-religione, è la reazione spesso ostile dei media, specialmente europei, che vorrebbero rendere invisibile questo fenomeno che è invece in continua crescita. Non piace, non va, al politically correct, che gente bella, famosa, spesso baciata dalla fortuna e dai soldi, abbia il coraggio di parlare pubblicamente di valori più profondi del successo, del denaro e del potere. Speriamo che anche in questo siano un riferimento per i tanti loro ammiratori.


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22/01/2014 15:50
 
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Don Matteo vola negli ascolti,
qual è il segreto?

Nonostante sia la nona serie, appena ricominciata, è seguita in media da 8 milioni e mezzo di spettatori, con uno share oltre il 33%. Come ha spiegato Giuliano Guzzo, il segreto è che don Matteo è un personaggio affascinante nella sua straordinaria normalità. Soprattutto, è un sacerdote vero, un pastore prima che un investigatore. La sua, cioè, non è una caccia all’uomo, o per meglio dire al peccatore, ma al peccato; a don Matteo non interessa tanto una cattura, bensì una liberazione, quella dell’anima dei malfattori. Che puntualmente, prima dell’arresto, chiedono perdono.

L’esito paradossale e bellissimo è che, alla fine di ogni puntata, il colpevole – che pure sarà chiamato a pagare pienamente per le proprie responsabilità – è il personaggio più umano, quello che meglio si spoglia del proprio orgoglio per lasciarsi avvolgere dalla misericordia di Dio, che don Matteo offre nel solo modo in cui un sacerdote può offrirla veramente: con parole semplici, la voce bassa e lo sguardo carico d’amore.

Un altro segreto è che l’attore facilita a interpretare il suo ruolo: «il fatto che io sia credente e praticante è secondario nella scelta del ruolo. Comunque, da cattolico, mi sento particolarmente a mio agio nella veste di un prete. E forse ci metto un po’ di partecipazione interiore in più. Nelle scene dove era previsto che pregassi in chiesa, beh, l’ho fatto veramente»ha spiegato, mostrando una fede forte e genuina.

Francamente, concordiamo con Guzzo, non si sa fino a quando lasceranno a don Matteo la licenza di parlare di Gesù Cristo e dei santi così liberamente, in prima serata, senza neppure un intellettuale laicista che, imprecando contro la Chiesa, ristabilisca la par condicio.


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02/04/2014 17:56
 
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John Lennon si avvicinò a Gesù
negli ultimi anni della sua vita?

john-lennon-220 giorni prima di essere assassinato John Lennon compose due ultimi brani che dimostrano come abbia mostrato uno stretto ed evidente rapporto con Dio…

Molto è stato scritto sulla vena anticlericale o anticristiana del leader dei Beatles, ma la realtà dei fatti è che 20 giorni prima di essere assassinato compose due ultimi brani che dimostrano come John Lennon abbia mostrato uno stretto ed evidente rapporto con Dio. Il cantante morì l’8 dicembre e nel brano “Help me to help myself” (Aiutami ad aiutare me stesso) registrato il 10 novembre e in “You saved my soul” (Tu hai salvato la mia anima) datata 14 novembre, non solo chiedeva aiuto “al Signore ” ma assicurava che mai si era separato da Lui.

Inoltre, questi brani ci svelano come il vero Amore lo abbia salvato da due tentativi di suicidio.

Abbandonando ciò che è frivolo

Anni prima, il compositore aveva scritto che non credeva in Gesù e che anzi i Beatles erano più famosi di Lui; poi ritrattò, ma non si sa se lo fece per ragioni commerciali o per vera convinzione. Tuttavia, la sua nuova spiritualità è stata dimostrata non solo dai riferimenti espliciti presenti in queste canzoni, ma anche dalla reazione di Yoko Ono di fronte a questa nuova situazione.

Come riportato dal critico musicale Julián Ruiz in un articolo pubblicato sul quotidiano El Mundo e sul sito web Plasticos y Decibelios, la sua compagna nascose per 30 anni queste ultime canzoni perché erano la confessione del fatto che “in quei giorni, Lennon si era avvicinato a Cristo e voleva frequentare la Chiesa”. “John ha intrapreso un brutto cammino, sbagliato”, diceva Yoko Ono, che veniva chiamata “Madre”.

Amore di Dio, non degli uomini

“You saved my soul”, apparentemente una canzone d’amore per Yoko, si rivela in realtà una confessione. Fu il vero Amore infatti a salvare la sua anima e ad evitare che si suicidasse in due occasioni. Il cantante di Liverpool ringrazia per questo. Si può capire facilmente il perché sia stata nascosta la parola “Madre”: la canzone, infatti, non lascia spazio ad ambiguità o interpretazioni sul momento spirituale che stava attraversando il compositore. “Help me to help myself” è una vera e propria preghiera di penitenza, con un misterioso carattere premonitore. Invoca il perdono e chiede al Signore di aiutarlo ad esprimere quanto sia duro continuare a vivere.

“Il fondatore dei Beatles non stava attraversando il suo momento migliore perché aveva realizzato tragicamente che nessuno dei brani del suo ultimo album, Double Fantasy, aveva attirato l’interesse della critica, ancor meno quello del pubblico”, sostiene Ruiz. In un altro brano che Yoko non volle pubblicare, Dear John, il fondatore del quartetto di Liverpool dà voce alla consapevolezza di essere ormai al capolinea al livello artistico.

Insieme a Dio, contro il diavolo

Tornando ad “Help me to help myself”, Lennon scrive di essere continuamente perseguitato dall’angelo della distruzione, un chiaro riferimento al diavolo. La canzone è piena di domande e dialoghi con Dio, al quale si rivolge per chiedere aiuto chiamandolo “Signore”. La sua accettazione del Signore si fa indubbia quando, nel mezzo del luogo desolato in cui dice di trovarsi, Lennon afferma che, nonostante tutto, sa in cuor suo che non si era mai separato da Dio.

 

“Well, I tried so hard to stay alive/

But the angel of destruction keeps on houndin´ me all around/

But I know in my heart/

That we never really parted, Oh no”.

 

["Beh, ho provato duramente a restare vivo/

ma l’angelo della distruzione continua a perseguitarmi ovunque/

ma so nel mio cuore/

che non ci siamo mai veramente separati, oh no"]

 

Solamente alla fine, circa dieci anni fa, Yoko Ono decise di includere questa canzone nella nuova edizione dell’album.

Nella seconda parte della canzone, il famoso leader dei Beatles afferma che, nel profondo del suo cuore, non era mai stato soddisfatto.

Quindi chiede aiuto a Dio poiché di Lui si dice che aiuta coloro che vogliono aiutarsi. Lennon affida questa speranzosa richiesta alla bontà di Dio.

 

“They say the Lord helps those who helps themselves,/

So I´m asking this question in the hope that you´ll be kind/

´Cause I know deep inside/

I was never satisfied”.

 

[Dicono che il Signore aiuta chi aiuta se stesso/

così ti faccio questa richiesta nella speranza che tu sia magnanimo/

perché so nel profondo/

che non sono mai stato soddisfatto]

 

Pochissimi tra coloro che hanno contribuito a costruire l’aura di leggenda che avvolge la vita e la carriera artistica di Lennon hanno fatto riferimento a questo testamento spirituale.

Sono melodie e parole che si accordano con la visione del mondo del compositore di Imagine.

 

Testo di “Help me to help myself”

Well, I tried so hard to stay alive

But the angel of destruction keeps on houndin´ me all around

But I know in my heart

That we never really parted.. Oh no…

They say the lord helps those who helps themselves,

So I´m asking this question in the hope that you´ll be kind

´Cause I know deep inside

I was never satisfied, Oh no…

Lord, help me, Lord

Lord help now

Please, help me, Lord, yeah, yeah

Help me to help myself,

Help me to help myself.


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24/04/2014 12:09
 
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Una testimonianza cantata in stile RAP

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09/05/2014 21:06
 
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Ma Benedetto XVI
aveva già risposto a Vasco Rossi

Vasco RossiUno dei più grandi cantanti cristiani italiani è certamenteVasco Rossi. Un’affermazione quasi blasfema, lo sappiamo. Lui sarebbe profondamente in disaccordo, non solo per il suo dichiarato nichilismo/agnosticismo, le sue convinzioni e il suo stile di vita. Eppure, le riflessioni che pone e si pone, nei suoi brani, contengono una profondità e lucidità tale -nella loro semplicità- da confermare (a sua insaputa) la ragionevolezza del cristianesimo.

Vasco Rossi non soltanto canta autenticamente l’uomo, ma individua perfettamente la sua condizione attuale. «Quando cammino in questa valle di lacrime, vedo che tutto si deve abbandonare. Niente dura, niente dura e questo lo saiPerò, non ti ci abitui mai. Chissà perché?». Queste le parole della canzone“Dannate nuvole”, suo recente singolo. «Sono confuso, non son sicuro. Quando mi viene in mente che non esiste niente, solo del fumo. Niente di vero, niente è vero. E forse lo sai. Però, tu continuerai. Chissà perché?».

Domande serie, brucianti -altro che le canzonette che passano continuamente in radio-, davanti alle quali ogni uomo dovrebbe trascorrere l’esistenza. Interessante come sappia individuare la grande confusione in cui versa l’uomo di oggi, la spietata convinzione che “niente dura niente”. Ma, sopratutto, il riconoscere che “non ti ci abitui mai. Chissà perché?”. E’ vero, l’uomo non si accontenta mai, non riesce a placare la domanda di senso, di significato, di “oltre”, chissà perché. E’ una ribellione al pensiero dominante, che indica il nulla come unico destino della vita e un assoluto relativismo come unico modo di pensare.

«L’uomo “sa”, ne ha il confuso e nitido presentimento di essere fatto per una destinazione infinita, che sola può colmare quello “spazio” che egli sente di avere dentro di sé, uno spazio che chiede di essere riempito»ha concordato Benedetto XVI, scrivendo nel 2006. «Inquietudine, insoddisfazione, desiderio, impossibilità di acquietarsi nelle mete raggiunte: queste sono le parole che definiscono l’uomo e la legge più vera della sua razionalità. Egli avverte un’ansia di ricerca continua, che vada sempre più in là, sempre oltre ciò che è stato raggiunto». Fino a qui Vasco e Ratzinger sembrano fare la stessa lettura dell’uomo: davanti alla fragilità del mondo, dentro di noi sentiamo la certezza d’essere fatti per qualcosa che dura.

Ma, se nel primo c’è confusione, incertezza, perplessità, il secondo riesce ad andare oltre, ad offrire una risposta all’altezza della vibrazione della domanda: «Dio,l’infinito, si è calato nella nostra finitudine per poter essere percepito dai nostri sensi, e così l’infinito ha “raggiunto” la ricerca razionale dell’uomo finito. Sta qui la “rivoluzione” cristiana: Dio Creatore “raggiunge”, oggi e permanentemente, la ricerca razionale dell’uomo tra gli uomini: “Io sono la via, la verità e la vita”».

E’ nella natura della ragione desiderare l’infinito. Per alcuni è un’illusione, un tranello. Per altri è una domanda reale, ma senza risposta. Per noi, invece, è la firma che il Creatore ha posto in noi, perché non ci allontanassimo troppo. E’ la prova più evidente che siamo fatti da un Altro e per Altro, e che «il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te» (Sant’Agostino).

 


[Modificato da Credente 03/01/2018 17:46]
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27/05/2014 11:30
 
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ROBERTO VECCHIONI

il cantautore brianzolo nella sua partecipazione al Festival Biblico di Padova propone un viaggio tra musica e Sacra scrittura

Roberto Vecchioni è uno di quei cantautori che hanno raccontato le emozioni, i dolori e gli inciampi dell’uomo semplice, diffidando di chi partiva da tesi certe. Questo fa di lui un esploratore che parte dalla quotidianità per giungere alle radici più profonde dell’umanità; radici nelle quali, come lui stesso ci ha raccontato in questa intervista che vi proponiamo, sente sempre più risuonare le corde del “divino”. E questa ricerca può solo trarre giovamento da un confronto con i testi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Ecco perché la sua presenza sabato 24 maggio (MPX, ore 21) in un incontro dal titolo “La Sacra Scrittura: un viaggio tra musica e letteratura”, non un vero e proprio concerto, ma una conversazione accompagnata da alcune canzoni, sarà un momento davvero speciale per il Festival Biblico di Padova. Giunta alla sua seconda edizione padovana, la rassegna veneta tradizionalmente dedicata a far conoscere e a valorizzare i testi delle Sacre Scritture, tra il 23 e il 25 maggio ospiterà eventi per bambini e adulti, spettacoli teatrali e i contributi di altre personalità di rilievo, tra i quali mons. Giovanni d’Ercole, vescovo di Ascoli Piceno e Derrick De Kerckhove, sociologo e massmediologo canadese.

Quali canzoni sceglierà di proporre nella sua conversazione al Festival Biblico e perché?

Vecchioni: Partiremo da ‘La stazione di Zima’, un viaggio immaginario e immaginato verso l’angolo più sperduto del mondo, che però è il punto d’arrivo di un uomo. Sul treno che porta a Zima c’è Dio e, fra loro, unici viaggiatori, inizia un dialogo, direi quasi un braccio di ferro verbale: Dio propone all’uomo di seguirlo nella bellezza e nella dolcezza del Paradiso, ma l’uomo vuole scendere ugualmente alla stazione – brutta, isolata, finale - tenendosi orgogliosamente stretto alla vita, ai suoi problemi, a tutte le sfumature dei colori che l’esistenza terrena propone, e anche nella sfumatura più oscura del dolore l’uomo può trovare una luce e quella luce non la vuole spegnere mai. Il loro confronto non è la sintesi di un distacco o di un pensare ateo. Per nulla: il dialogo tra l’uomo e Dio sul treno che porta a Zima è la celebrazione stessa dell’esistenza e della sua straordinaria grandezza e bellezza.

Cos’è per lei la Sacra Scrittura? Che cosa ci dice dell’uomo?

Vecchioni: Come mi è già capitato di sottolineare in diverse occasioni, l’Antico Testamento ha racconti bellissimi, tutti orientati al cammino, alla speranza, alla salvezza di un popolo, con Israele metafora del mondo intero. I Vangeli sono i libri più rivoluzionari perché indicano all’uomo il valore più assoluto, l’amore, e soprattutto l’amore per chi non ci ama: è il comandamento unico che li riassume tutti.

Il suo rapporto con la religione, nei suoi testi come nel suo libro Scacco a Dio, si configura come una continua ricerca che parte dalle grandi domande dell’uomo. Sono cambiate le risposte nel corso degli anni?

Vecchioni: Dio m’invia messaggi sempre più forti, ma alcuni neppure li capisco: io sono solo un poetastro, un piccolo uomo che cerca risposte, per se stesso e spero anche per altri, attraverso le emozioni vissute e raccontate in canzoni, libri, dialoghi. Ho la certezza che nulla è casuale e che tutto è causato, che l’inizio non può essere stato un semplice seppur grandissimo ‘bang’. Il fondamento della fede - oggi dall’uomo confusa e sempre più spesso trasformata in conflittuale – è che c’è una ragione. Non ho mai capito subito chi ha sempre avuto una fede assoluta, eccezionale. Io sto con l’uomo che vive alla continua ricerca di risposte: ai tormenti, alle ansie, ai desideri, alle felicità. Sto con l’uomo che attraverso la fede non ha più paura del suo dolore.

Che pensa della Chiesa di papa Francesco?

Vecchioni: Ciò che penso conta relativamente. Conta molto di più rendersi conto che ogni giorno sempre più persone, da ogni angolo del mondo, con culture e storie diverse, con emozioni differenti, orientano i loro sguardi verso gli occhi di papa Francesco, che cammina fra di loro, che parla come loro, che dice ciò che la gente vuole sentire: la semplicità dell’amore.

da Aleteia.org
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09/06/2014 19:22
 
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Il 7 giugno  a Roma per un concerto acustico con testimonianza nella parrocchia San Giuseppe al Trionfale (Via B. Telesio, 4b).

Nati nel 1997 come Sun Eats Hours - supporter tra gli altri dei The Cure, the Offspring e Misfits - i 4 giovani componenti ricevono nel 2004 il premio come miglior punk rock band italiana nel mondo. Nel 2008 sono protagonisti, tramite il cantante Francesco Lorenzi, di una profonda e personale conversione. Una decisione ed una svolta "per dare un taglio più spirituale, solare e diretto alla musica". Un' evoluzione che Sony Music apprezza, decidendo di investire sulla band che pubblica il 22 giugno 2010 "Spiriti del Sole", subito nella Top Ten degli album più venduti in digitale.

Un susseguirsi di concerti li porta in Europa, Israele e Giappone, da Papa Benedetto XVI prima e Papa Francesco poi, passando per la plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura riunita nel 2013 sulle culture giovanili.



"I giovani sognano, ma anche i preti sognano - ha spiegato don Wladimiro Bogoni, parroco guanelliano al Trionfale - ed io sogno di arrivare insieme a loro a quelli più lontani, perché oggi i giovani rischiano di essere i più poveri, se privati di orizzonti e speranza".

A loro l'Opera don Guanella ha consegnato il 14 maggio il premio "Pane e Signore", come ringraziamento per aver saputo dare risposta, attraverso la musica, alla sete di migliaia di giovani che cercano orizzonti di senso".

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18/07/2014 15:17
 
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Conte, l'allenatore che invoca Dio

Ha fatto rumore l'addio di Antonio Conte dalla panchina della Juventus. Tutti ne conoscono le ottime doti di allenatore, ma in pochi conoscono un altro aspetto, meno pratico e più mistico. Conte è un cattolico fervente e in diverse occasioni ha invocato pubblicamente Dio affinché aiutasse lui e la sua squadra ad incamerare risultati importanti nello sport e nella vita.

L' "allenatore di Dio" in un'intervista a Sky Sport, il 24 dicembre 2013, alla vigilia di Natale, racconta il suo rapporto stretto con la fede. «Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia religiosa - spiega Conte - Parlo molto con Dio. Prima di dormire, prego sempre. Faccio il segno della croce anche prima di mangiare, mi affido a Dio e affido a lui i miei ragazzi. Finché Dio è dalla mia parte, non ho paura di niente».

Il Signore torna alla mente dell'allenatore della Juve in una conferenza stampa del 22 novembre 2013, quando affida a Dio il suo giocatore-simbolo. Il giornalista chiede lumi sul futuro di Andrea Pirlo, che ha il contratto in scadenza a fine stagione. Conte risponde in modo lapidario: «Pirlo è un nostro giocatore. Che Dio ce lo conservi sempre». (Tuttosport, 22 novembre 2013)

Un altro dei gesti che restano impressi è il "rituale" dell'acqua benedetta. Siamo al 18 ottobre 2011, primo anno dell'allenatore sulla panchina bianconera, ed è in corso Chievo-Juventus. Il primo tempo finisce 0-0, la Juve non sta giocando una bella partita. All'inizio della ripresa, scrive Blitz quotidiano (18 ottobre 2013), Conte estrae dalla tasca una boccetta di acqua benedetta e si esibisce in un rituale che prevedeva un bacio finale della boccetta. La Juventus non ha vinto poi con il Chievo, ma non ha neanche perso, grazie a un salvataggio sulla linea di porta del suo capitano Alex Del Piero.

Il Signore è stato invocato anche nel momento più importante della sua carriera. Conte allena il Bari e il campionato di serie B volge al termine. Iniziano a circolare voci sempre più insistenti che la Juve lo stia monitorando. «Io guardo al presente - dichiara - e quì a Bari è un presente da sogno. Le voci mi fanno piacere e mi riempiono d'orgoglio, ma io so che il presente di Conte si chiama Bari, poi il futuro...Io sono un cristiano quindi dico che Dio vede e provvede».(Tuttosport, 26 aprile 2009). Il matrimonio con i bianconeri alla fine ci sarà, ma nell'estate 2011.

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17/08/2014 17:10
 
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Antonella Ruggiero: “cattolica da sempre”
Antonella Ruggiero

La celebre cantante parla del suo prossimo album di musica sacra







Per nulla diva e senza vezzi da star, Antonella Ruggiero, artista e cantante dalle doti vocali straordinarie, per anni voce dei Mattia Bazar, confida di aver seguito un suo percorso personale, “un sentire scollegato dai rituali, dai doveri, da quelle che sono in qualche maniera delle imposizioni” e di non aver mai smesso di cercare, spinta da una curiosità innata.







“Sono nata a in una famiglia cattolica – racconta in una intervista a 'Credere' (17 agosto). La mia fede è connessa con lo stupore che mi procura l'osservazione della natura e dei fenomeni naturali. Fin da bambina. Non sono credente perché qualcuno mi ha detto di esserlo o perché ho creduto a letture o parole. È totalmente istintiva e si rafforza costantemente di fronte alla bellezza e alla meraviglia della natura”.




Parlando invece di Luna crescente (Sacrarmonia), l'album di musica sacra del 2001, la Ruggiero ha ricordato di averlo portato anche a Fes, in Marocco, al più grande festival di musica sacra di tutto il mondo: “È stato un viaggio meraviglioso nelle tradizioni, specialmente la nostra, ovviamente, che mi ha dato la possibilità di cantare in luoghi pieni di suggestioni, in sintonia. Mi hanno chiesto di cantare l'Ave Maria nella grotta di Betlemme, per esempio, una delle tante cose che non mi sarei mai aspettata”.




A distanza di tanti anni, la cantante sta ora lavorando a un altro album di musica sacra, che sarà pronto in autunno, “e a questo punto parleranno e si sentiranno i suoni degli organi di grandi chiese che, solitamente, rimangono inaccessibili: organi antichi che sono uno spettacolo e che purtroppo, per vari motivi, non sono mai utilizzati”.

“A Genova, da bambina, ogni domenica con mio nonno andavamo in una chiesa in cui suonavano un organo – ricorda –: rimanevo ipnotizzata, talmente profonda la reazione che mi procurava. Riuscire adesso a realizzare un lavoro del genere mi sembra un sogno”.


[Modificato da Credente 12/06/2016 10:43]
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19/08/2014 15:20
 
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Benedettino appassionato di rock
© Hunter-Desportes



 



Concilia le sue molteplici attività nel cenobio, tra le quali la direzione della pubblicazione Studia Pronostica, con il fatto di dedicare del tempo a quella che è una delle sue passioni da quando aveva 17 anni: la musica pop. Il suo primo ricordo è “Ob-la-di, ob-la-da” “alla radio che stava sul frigorifero di mia madre”, ricorda. All'epoca – anche se non si chiamavano così – c'erano i fricchettoni e lui era uno di loro e cercava, scambiava e acquistava dischi degli Yes, dei Camel, dei Jethro Tull o dei suoi preferiti, i Genesis, i primi che ha visto in un concerto nella sua città natale, Barcellona.

Alcuni anni fa ha scoperto su Youtube gruppi e solisti cristiani, per la maggior parte protestanti, di ogni tipo di stile e Paese che “parlano esplicitamente di Dio” nella loro canzoni e che presenta ogni giorno nel suo programma “L'arpa di Davide” del monastero catalano. Quella scoperta suggerisce che Dio è tornato a cercarlo negli interstizi della sua biografia, anche se egli crede che la sua vocazione religiosa abbia poco a che vedere con la sua predisposizione musicale. Voi che ne pensate?

Com'è la storia che ti sei svegliato con i Beatles?

Il primo ricordo musicale che ho è ascoltare “Ob-la-di, ob-la-da” alla radio che stava sul frigorifero della cucina di mia madre. Poi ci sono state altre canzoni. Sei piccolo, non sai discernere le cose e credi che tutte le canzoni buone debbano essere dei Beatles, anche se non è così. Poi ti rendi conto che c'è altra musica dietro.

A casa mia c'erano dischi di musica classica, e io li mettevo sempre, ma questo è durato fino ai quattordici anni. Da allora ho iniziato a scoprire altri gruppi, come i Supertramp. I fratelli maggiori dei miei amici mi hanno poi portato a scoprire altri gruppi e mi hanno lasciato dischi che mi hanno condotto al rock sinfonico o al rock progressista – era la mia specialità, ma ascoltavo di tutto –, e ho iniziato ad andare ai concerti. Il primo è stato quello dei Genesis, che ho visto nella plaza de toros di Barcellona. Questo ti segna.

Quanti anni avevi?

Diciassette. Avevo scoperto nel 1980 o nel 1981 i Genesis in televisione, quando iniziavano a passare i videoclip, che all'epoca erano una cosa nuova. Mi sono piaciuti tanto che da allora è stata una cosa quasi ossessiva. Ho iniziato a comprare tutti i loro dischi. Mi sono reso conto che non erano importanti solo i Genesis – anche se era il mio gruppo preferito –, ma tutti i componenti separatamente: Peter Gabriel e Phil Collins (iniziava il suo boom). Poi ho scoperto King Crimson, Yes, Camel e Jethro Tull. È tutta una corrente: inizi a trovare amici, ad andare insieme ai concerti…

Salti dalla musica classica al rock sinfonico...

Per me, una delle grandi scoperte è stato Tales from Topographic Oceans degli Yes. Erano virtuosi con gli strumenti e iniziavano sempre i loro concerti con “La consacrazione della primavera” di Stravinski. In qualche modo tutto ha una relazione.

All'epoca non avevo molto denaro per comprare i dischi che volevo e non andavo nemmeno molto al di là del conosciuto. Da lì, però, ho iniziato a non limitarmi agli LP ufficiali, iniziando a cercare cose che davano qualcosa di più: così si diventa collezionisti. Il tuo amico ha un LP con una copertina diversa... Inizi a scriverti con gente di tutto il mondo, a scambiare musica, ad abituarti alle fiere di dischi o ad andarli a cercare direttamente e a inserirti nel mondo dei “fanzine”. E lì inizia ad essere pericoloso.

Cos'ha a che vedere questa passione musicale con la tua vocazione religiosa?

Lo sa Dio, ma direi nulla. La prima cosa che ho pensato quando mi sono prospettato la vocazione è stata cosa avrei fatto della mia collezione di dischi, perché non me la sarei portata in monastero. Sapevo che dovevo rinunciare a tutto questo. Poi le cose sono cambiate molto, oggi vai su Internet e puoi ascoltare qualsiasi cosa. C'è sempre un momento di riposo qui, che ti permette di ascoltare qualcosa. Tutti evolviamo e non è più come vent'anni fa.

Cosa continua a suggerirti la musica che ti è sempre piaciuta?

A volte è semplicemente un riposo, un godere della bellezza. Dall'altro lato, a volte è un salto di livello che ti avvicina maggiormente a Dio. E non solo la musica religiosa, perché ascoltando gli Yes intuisci che c'è qualcosa di Dio.

Nella bellezza c'è sempre qualcosa di Dio.

Sicuramente. A volte, cambiando un po' i testi, ti parlano di Dio. Scopri poi gruppi che facendo pop si riferiscono esplicitamente a Dio nei loro testi. Sono gruppi prevalentemente protestanti, ma ce n'è anche qualcuno cattolico.

Sono tue scoperte?

In effetti sì. Li ho scoperti due o tre anni fa cercando su Youtube. Sono gruppi cristiani che fanno musica incredibile. Da lì poi ti imbatti in solisti e gruppi molto validi che forse non arrivano ai livelli spettacolari delle formazioni che ho menzionato prima ma sono molto buoni, come Hilljong, Jesus Culture, Josh Garrells, Gunjor, Misty Edwards.

Il risultato: curi un programma radiofonico con gruppi cristiani all'emittente del monastero...

Sì, si chiama “L'arpa di Davide”, e mando ogni tipo di stile: pop, rock, hard, reggae, ska, hip-hop Indie, country..., anche se non mi sono ancora buttato sul trance né sull'heavy. Dedico circa venti minuti ogni giorno a presentare un gruppo. La maggior parte è statunitense, ma ce ne sono anche di provenienti da Australia, Inghilterra, Germania... Fondamentalmente cantano in inglese, ma iniziano a farlo anche in castigliano perché le chiese evangeliche si stanno espandendo in Sudamerica. Su Internet si trovano poi le canzoni originali sottotitolate in castigliano o in portoghese.

I monaci ascoltano i programmi?

Dato che è un'emittente ancora in fase sperimentale, al momento si dedica soprattutto a commentare letture e passi del Vangelo, anche se di tanto in tanto c'è qualche spazio che cerca di parlare allo spirito in altro modo; il mio rientra in questa categoria.

Si sente fuori dal monastero?

La copertura è limitata perché lo spazio radioelettrico in Catalogna è molto complicato, ma si può ascoltare su Internet collegandosi alla pagina web del monastero di Montserrat.

Il programma di Carles Xavier si può visionare tutti i giorni alle 21.30 qui

da Aleteia


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05/09/2014 19:33
 
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Il gruppo in cui è "nata" Beyoncé, di nuovo insieme… per Gesù!






La canzone che ha riunito le Destiny's Child è "Say yes", ispirata a un inno Gospel nigeriano






Sebbene le Destiny's Child esistano dal 1990, tuttavia raggiunsero l'apice della notorietà agli inizi del Duemila quando la formazione era composta da Beyoncé Knowles, Kelly Rowland e Michelle Williams, che resero questo gruppo di 
rythm & blues una vera e propria fabbrica di successi.

Nel 2005 si separarono e intrapresero carriere diverse. Beyoncé addirittura fece una rapida scalata fino a diventare una delle più grandi stelle della musica pop di tutti i tempi.
 
Da allora molto raramente sono state viste insieme. L'occasione più recente è stata per una performance nell'intervallo del Superbowl(la finale del campionato nazionale di football americano) del 3 febbraio 2013.
 
Questo fino allo scorso 2 giugno, in cui Michelle Williams ha lanciato il video che ha registrato per il suo prossimo concept album, che uscirà a settembre. Sebbene sia lei la protagonista, partecipano anche le due ex compagne, e le tre appaiono insieme negli ultimi fotogrammi del clip.
 
È, infatti, la prima canzone venduta come singolo in cui intervengono le tre da quando, nove anni fa, c'è stato lo scioglimento. La canzone che le ha riunite è "Say yes", ispirata a un inno Gospel nigeriano. Michelle Williams suona musica cristiana da anni perché - confessa - è ciò che ha nel cuore.
 
E naturalmente il contenuto è esplicito: "Quando Gesù dice sì, nessuno può dire di no", si ripete nel ritornello. Quello che segue si ripete sostanzialmente per tre volte, in cui ciascuna di loro canta – singolarmente – la stessa cosa: "Niente mi preoccupa perché so che tu mi guidi. Quando mi conduci, Signore, vado avanti senza paura perché so che tu hai il controllo. Non ci sono limiti al tuo potere perché sei onnipotente e tutto ti appartiene".
 
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26/09/2014 22:46
 
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Rita Forte: “La Vergine mi ha sempre protetta”






La cantante romana racconta del sostegno speciale ricevuto nei momenti drammatici della vita







 



“La musica è nel mio Dna, uno splendido dono del Signore”. Confessa così la sua passione per la musica la cantante Rita Forte, che con la sua splendida voce ha riempito di emozioni i salotti di tante trasmissioni televisive.

Cresciuta solo dalla mamma Maria Vittoria, rimasta vedova giovanissima, Rita che ha ricevuto il suo primo pianoforte a 6 anni, sa bene cosa significhino gavetta e sacrifici: “Mi sono sempre affidata al Signore – ha confidato ad A Sua Immagine (27 settembre) –. Ho studiato, sono riuscita a laurearmi in Scienze politiche nonostante nutrissi da sempre la passione per la musica.Sicuramente qualcuno dall'alto sta rischiarando il mio cammino: credo sia mia madre che ho perso cinque anni fa. Lei e il mio angelo custodi mi aiutano ogni giorno: dopo un periodo di profonda solitudine dovuto alla sua scomparsa, oggi ho trovato un uomo meraviglioso al mio fianco – il mio primo fidanzato di quando avevo 18 anni – e continuano ad arrivare proposte di lavoro interessanti”.

Per Rita, notata per la prima volta al Festival di Sanremo del 1992da Luciano Rispoli, il rapporto spirituale è fondamentale: “Credere, pregare, sapere che non si è mai soli, che esiste qualcuno disposto a perdonarci mi aiuta tantissimo. La religione mi dà questa forza. Cerco di ringraziare il Signore sempre e non solo quando ho una richiesta da fargli. Poi credo molto nell'angelo custode: mi piace immaginarlo come un 'ponte di luce', un tramite tra noi e Dio”.

La cantante ricorda poi di aver sentito più forte la mano del Signore su di sé dopo essere stata investita a Roma, quando riportò la frattura del bacino: “Come se nulla fosse successo, ho recuperato il 99 per cento della funzionalità motoria. Sono sicura che il Signore mi abbia aiutato non solo nella scelta del medico e delle cure m soprattutto, durante quella terribile giornata in cui è successo il fatto. Quel giorno ho rischiato di morire e poteva determinare conseguenza terribili per il mio avvenire. Invece sono stata protetta”.

Rita racconta quindi la sua speciale sensibilità per le tante edicole mariane sparse per la capitale: “Trovo siano un meravigliosa espressione di devozione popolare. Due restano in assoluto le mie preferite: una è situata su via Nomentana, l'altra all'inizio di via Veneto. Da quando sono ragazza rallento con la macchina e mi fermo a contemplarle, affidando a Maria la mia giornata, i miei pensieri, la mia vita. La Vergine mi ha sempre protetta, tanto che porto assieme a me una piccola ampolla d'acqua benedetta del santuario romano della Madonna del Pozzo”.

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28/10/2014 11:01
 
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Gay e pornoattore:
«l’amore l’ho trovato nella Chiesa cattolica»

Ha abbandonato quel mondo tredici anni fa, dopo un forte momento di conversione alla fede cattolica, mediato da una terrificante esperienza pre-morte: dopo un’orgia particolarmente violenta finì in ospedale: sentì l’amore di sua madre che pregava per lui lì e vide la sua anima scivolare dentro una grossa bocca bavosa. Al risveglio decise di riprendere in considerazione l’affidamento a Dio, se non altro per essere salvato da quel terribile destino.

Prima di questa esperienza l’unico modo per raggiungere per qualche secondo “il luogo felice”, come chiama lui la pace interiore, erano nuove esperienze sessuali con nuovi partner. Ha così iniziato a frequentare la prostituzione omosessuale nei night club, consumando sesso assolutamente anonimo, diventando un attore porno amatoriale.  Eppure, ha spiegato,  tutto quanto aveva sperimentato nella sua burrascosa vita sessuale era odio: odio per gli altri uomini, per la sua stessa vita, per il mondo. Fino a quella rocambolesca conversione che lo ha riavvicinato alla Chiesa Cattolica, alla Messa e ha iniziato davvero una nuova vita: finalmente ha trovato quell’amore, quell’accettazione e quella pace che aveva cercato invano nella pornografia e nei violenti rapporti sessuali che avevano segnato gran parte della sua vita. Una storia molto simile a quella diPhilippe Ariño, di cui abbiamo già parlato.

Certo, l’attrazione per gli altri uomini non è certo magicamente sparita ma lui dice di aver compreso che l’amore, l’accettazione e la pace che ha così ardentemente cercato nel sesso ora lo ha trovato seguendo Gesù, che ridona tutto in abbondanza attraverso una vita spirituale.  LifeSiteNews.com lo ha intervistato e lui ha spiegato la visione che ha maturato su certe tematiche.  Joseph afferma: «credo che la spinta per il matrimonio gay sia uno stratagemma politico imposto alla comunità gay: il concetto di matrimonio gay è stato fuso con successo con quello dell’uguaglianza omosessualeQuesto crea una dinamica per cui tutti i gay si sentono obbligati a sostenere il matrimonio gay, anche se non hanno alcun interesse nel matrimonio per se stessi, perché avrebbe a che fare con la liberazione omosessuale. E la “liberazione omosessuale” è quella sorta di sollievo all’interno della mente omosessuale perché ogni persona che ha abbracciato l’omosessualità vi arriva dopo tante sofferenze. Si cerca, quindi, nello stile di vita [normato da una legge, nda] un tentativo di pace e completezza ma si tratta di un inganno. La pace che loro desiderano non arriverà mai», tantomeno con il matrimonio.

Con il suo libro vuole aiutare coloro che lottano con l’attrazione per lo stesso sesso:«invece di agire su quei desideri», spiega, «sia che si tratti di attività sessuale con un’altra persona o con la visualizzazione di materiale pornografico, c’è bisogno di scavare nei vostri sentimenti e ricordi, per scoprire il vero motivo per cui si hanno questi desideri omosessuali. E’ un processo molto difficile e doloroso, ma deve essere realizzato perché ogni persona che approfondisce lo stile di vita gay è una persona che è stata ferita».

Joseph ha voluto anche mettere in guardia i cristiani da uno stile di evangelizzazione moralista e fondato sulla paura e le condanne: molte persone, a suo dire, sono state allontanate dal cristianesimo da cristiani troppo zelanti, incapaci di mostrare loro l’amore di Cristo. Le persone che iniziano a pensare di lasciare quello stile di vita, dice, cercano solo un amico disinteressato, che non voglia o domandi qualcosa da loro. È sufficiente ascoltare, far sapere che ti importa di loro. Solo dopo arriva il momento di affrontare le verità di fede e l’inizio di un cammino di conversione: prima c’è la relazione, l’amicizia, e la preghiera costante per questi nostri fratelli.


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10/12/2014 22:43
 
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Proprio “Oro” è stato l’ultimo brano cantato da Mango prima del tragico evento sul palco. Ricordiamo anche la morte del fratello Giovanni, anche lui colpito da infarto il giorno seguente durante la veglia in attesa dei funerali del fratello Giuseppe.


«L’artista ha un dovere», diceva, «far riscoprire la bellezza del mondo a quanta più gente possibile, tramite quanto sa esprimere». Sposato con Laura, ha lasciato i due figli Filippo e Angelina. Il primo vorrebbe seguire le orme del padre, ma lui era deciso«Ai talent non lo manderò mai. Lì si creano inconsistenze artistiche e illusioni pericolose. Non si può fare della musi­ca un mestiere senza sacri­fici o gavetta. Anche negli anni Ottanta i discografici non sempre intuivano la qualità di un brano».


Nei suoi brani trattava temi che pochi avevano il coraggio di affrontare, come quello sul matrimonio e sulla fedeltà alla propria metà contenuto in “La sposa”«Scrivendo quasi tutto io sono più diretto»disse«In particolare nel far risaltare valori che il mondo di oggi non esalta quasi più. La sposa è un esempio: però non è solo il canto della fedeltà di una scelta d’amore. È anche una canzone sulla coerenza con noi stessi, sulla necessità di rispettare anzitutto la nostra stessa persona».


Nel suo ultimo album, “L’amore invisibile”, compare una personale riscrittura del brano “L’immenso” di Amedeo Minghi. Mango ha però voluto isolare e ripetere più volte nel finale il verso «L’immenso è Dio»,spiegandone il motivo così: «Andava rimarcata quella riflessione, a mio avviso. Non è vero che oltre il mondo fisico non c’è nulla, ed è bello cantarlo». Ora Pino è faccia a faccia con l’Immenso a cui ha reso onore con la sua voce.






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