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24/10/2017 13:10 | |
La morte di Gesù in croce
Una lenta e dolorosissima agonia, tra spasimi muscolari e sintomi di soffocamento, precedeva la morte, che sopravveniva generalmente per asfissia, quando il crocifisso non riusciva a sollevarsi facendo leva sui calcagni inchiodati. Oltre alla terribile lotta tra la vita e la morte, la pena della crocifissione aveva un aspetto osceno e infamante, che assumeva connotazioni religiose nell’ambiente giudaico. Se per i romani la croce era il servile supplicium, indegna di un uomo libero e cittadino romano, per i Giudei richiamava l’immagine del cadavere “appeso al legno”, oggetto della maledizione di Dio. L’orrore per la condanna alla morte di croce è testimoniato da Filone, che descrive i misfatti perpetrati da Flacco – prefetto di Alessandria e dell’Egitto dal 32 al 38 d.C. – contro i Giudei di Alessandria. Il culmine delle torture e dell’ignominia, a cui furono esposti i corpi dei malcapitati, era la crocifissione (Filone, In Flaccum 9 [72]; 10 [84-85]). Nei testi di Qumran, in cui si menziona la crocifissione di Giudei, si allude al testo di Dt 21,22-23: il cadavere dell’uomo ucciso per un crimine degno di morte, quando è appeso all’albero, deve essere sepolto lo stesso giorno «perché l’appeso è una maledizione di Dio» (4QpNah I, 6-8 [4Q169], fr. 3-4, col. I; cf. Rotolo del tempio, LXIV,4-13). Il crocifisso, fatto pubblico spettacolo nelle sue sofferenze atroci e nella sua morte, è privato di quel residuo di dignità e rispetto che si riserva a chi muore. In una parola, la morte sul legno della croce, simbolo della criminalità punita e della tortura più efferata, è la dissacrazione totale della persona umana.
Per superare lo scandalo della morte infame di Gesù sulla croce, i Vangeli la rileggono alla luce dei Salmi. Gesù muore come il giusto perseguitato, affidando la sua causa a Dio. Egli rifiuta di bere il vino, che viene offerto ai condannati a morte prendendo lo spunto dal Libro dei Proverbi: «Date bevande inebrianti a chi si sente venir meno e vino a chi ha l’amarezza nel cuore» (Prv 31,6; Mc 15,23). Matteo precisa che si tratta di vino mescolato con fiele, richiamando il Salmo della passione del giusto (Sal 69,22; Mt 27,34). La spartizione delle vesti del crocifisso è riletta con le parole del Salmo, in cui gli avversari, sicuri della morte del giusto, si spartiscono le sue vesti «gettandovi la sorte» (Sal 22,19). Per l’autore del quarto Vangelo il gesto dei soldati, che si dividono le vesti di Gesù e gettano la sorte sulla sua tunica, corrisponde alla parola profetica del Salmo (Gv 19,23-24).
L’aspetto ignominioso e sconcertante della morte di Gesù in croce si coglie nelle provocazioni e negli insulti dei passanti, dei capi dei sacerdoti e dei briganti crocifissi con lui (Mc 15,29-32; Mt 27,39-44; Lc 23,35-39). Nelle parole di sfida e di oltraggio, rivolte a Gesù morente, riecheggiano le accuse fatte contro di lui davanti al sinedrio e a Pilato. La sua pretesa messianica è smentita dalla sua morte in croce. Egli muore nella totale solitudine, abbandonato da Dio e condannato dagli uomini. Per riscattare l’aspetto scandaloso della morte di Gesù in croce, si ricorre alle immagini del “giorno del Signore”.
Il profeta Amos annuncia il giudizio di Dio, dicendo: «In quel giorno… farò tramontare il sole a mezzo giorno e oscurerò la terra in pieno giorno» (Am 8,9). L’ora della morte di Gesù è segnalata dall’oscurità che, in pieno giorno, copre tutta la terra: «Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio» (Mc 15,33; Mt 27,55). Luca, che attenua il carattere apocalittico della scena, spiega il buio su tutta la terra come eclisse di sole (Lc 23,44-45). Matteo invece, che accentua i tratti apocalittici, dice che alla morte di Gesù la terra si scuote, le rocce si squarciano e i morti risorgono (Mt 27,51-53).
Prima di morire, secondo il racconto di Marco e Matteo, Gesù grida a gran voce: Gesù prega con le prime parole del Salmo 22,2, riportate in una forma mista ebraico-aramaica e nella versione greca.
L’invocazione iniziale di Dio, Elì, offre lo spunto per inserire il riferimento al profeta Elia, il profeta atteso per preparare il “giorno del Signore” (Mal 3,23). Il grido di Gesù può essere frainteso come invocazione di Elia nella forma ebraica Eli di Matteo, non in quella aramaica di Marco: Eloì.
Il profeta Elia, il soccorritore dei moribondi, è invocato nella sventura estrema. Il gesto del soldato, che porge una spugna imbevuta di aceto, richiama il lamento del giusto perseguitato: «Hanno messo veleno nel mio cibo e quando avevo sete mi hanno dato aceto» (Sal 69,22; Mc 15,36; Mt 27,48-49). Luca, che trasforma il grido finale di Gesù in una preghiera di fiducia, ispirata al Salmo 31,6, omette il richiamo al soccorso di Elia, ma accenna all’aceto (Lc 23,36.46). L’autore del quarto Vangelo riporta la scena della spugna immersa in un vaso pieno di aceto e accostata alla bocca di Gesù, che chiede da bere (Gv 19,28-29). Nel racconto giovanneo della passione l’ultima parola di Gesù sigilla la sua opera: «È compiuto!» (Gv 19,30).
Nel racconto di Marco la morte di Gesù è seguita da due scene che ne mettono in risalto il significato: il velo del tempio si squarcia in due da cima a fondo e il centurione, che si trova di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, esclama: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39). Con la morte di Gesù si compie la sua parola profetica sulla fine del tempio. La proclamazione dell’ufficiale, che assiste alla morte di Gesù, è la risposta alle provocazioni degli avversari. Matteo, che dilata lo scenario apocalittico con il terremoto e la risurrezione dei giusti, motiva l’esclamazione del centurione e di quelli che fanno la guardia con lui: «Alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano…» (Mt 27,54). Luca omette il riferimento al velo del tempio squarciato, e presenta la scena del centurione con il suo linguaggio: «dava gloria a Dio dicendo: “Veramente quest’uomo era giusto”» (Lc 23,47). |