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COSA SAPPIAMO DEL PARADISO ?

Ultimo Aggiornamento: 21/04/2021 17:00
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25/02/2016 12:06
 
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La domanda posta nel titolo "COSA SAPPIAMO DEL PARADISO ?"  ci mette sicuramente in difficoltà perchè, pur trovando al riguardo, alcuni versetti nella Scrittura, in realtà riusciamo a capire poco perchè non siamo in grado ora di SPERIMENTARE ciò che troviamo descritto e rivelato nella Scrittura, ma che riguarda una condizione futura.
   In ogni caso, proprio a partire dai brevi brani e singoli versetti, vorremmo tentare almeno di tracciare quelle linee essenziali, che servono a comprendere che Dio non ha fatto l'uomo per la sofferenza terrena ma perchè sia associato al suo gaudio eterno.
Ma per quale motivo dovremmo indagare su una condizione che non ancora possiamo sperimentare? Una risposta ci viene dall'esortazione di s.Paolo che raccomanda:
Colossesi 3,2 ... pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra.
Come potremmo pensare alle cose di lassù se non ne avessimo alcuna idea, sia pure molto lontana dalla realtà?
Ecco quindi che la nostra ricerca, per quanto destinata a non trovare rappresentazioni sufficienti, servono comunque a farci desiderare la nostra destinazione finale che è poi insito nel nostro più intimo desiderio.

Nel Nuovo Testamento si menzione tre volte la parola PARADISO, nei seguenti versetti:

Luca 23,43 Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».

2Cor 12,4 fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare.

Apoc 2,7 Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Al vincitore darò da mangiare dell'albero della vita, che sta nel paradiso di Dio.





[Modificato da Credente 21/06/2016 18:13]
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25/02/2016 12:06
 
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Esaminiamo innanzitutto i versetti che contengono il termine PARADISO.

Nel testo originale il termine greco è PARADEISON, in tutti e tre i versetti citati.  PARADISO, dunque è il termine italiano che traduce quello originale quasi in maniera identica.

Luca 23,43 (Gesù) Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».

Gesù, sulla croce promette a uno dei due malfattori che sarebbe stato con lui in paradiso. Era stato sufficiente che quel malfattore gli chiedesse fiduciosamente di ricordarsi di lui, dal momento che si vedeva condannato alla stessa pena di Gesù a cui riconosceva la morte da innocente. Evidentemente il riconoscimento di subire una giusta pena a differenza di Colui che riteneva innocente e tanto potente da poter decidere la sua sorte futura, furono gli ingredienti sufficienti a ottenere la remissione di tutti i suoi peccati e la promessa del paradiso.

Da tale promessa si evince solo che Gesù prospetta al malfattore una condizione di felicità.

Il secondo versetto è

2Cor 12,4 fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare.

Leggiamo anche il contesto:

1 Bisogna vantarsi? Non è una cosa buona; tuttavia verrò alle visioni e alle rivelazioni del Signore.
2 Conosco un uomo in Cristo che quattordici anni fa (se fu con il corpo non so, se fu senza il corpo non so, Dio lo sa), fu rapito fino al terzo cielo. 3 So che quell'uomo (se fu con il corpo o senza il corpo non so, Dio lo sa) 4 fu rapito in paradiso, e udì parole ineffabili che non è lecito all'uomo di pronunciare. 5 Di quel tale mi vanterò; ma di me stesso non mi vanterò se non delle mie debolezze. 6 Pur se volessi vantarmi, non sarei un pazzo, perché direi la verità; ma me ne astengo, perché nessuno mi stimi oltre quello che mi vede essere, o sente da me.

Paolo definisce prima "terzo cielo", la condizione che gli fu data di sperimentare pur senza sapere se con o senza il proprio corpo.
Questo evidenza che Paolo non esclude che vi sia una parte della propria persona che possa sussistere senza il corpo. In pratica egli lo suppone come possibile e quindi ciò significa che tutti noi abbiamo una parte spirituale che può vivere senza il corpo.
S.Paolo continua dicendo che egli fu rapito IN PARADISO . Non dice cosa vi ha visto, ma precisa solo che le cose udite sono ineffabili. E aggiunge che NON E' LECITO PRONUNCIARE.
E' difficile sapere cosa intendesse Paolo con l'espressione NON E' LECITO PRONUNCIARE.  
Voleva forse dire che non gli era permesso riferire nulla di quanto aveva udito? Forse tale rivelazione riguardava lui soltanto o la sua missione e non  altri?
O forse intendeva che NON E' POSSIBILE PRONUNCIARE, per la impossibilità di rendere una pallida idea di ciò che aveva udito?

COnfrontando le tante traduzioni esistenti, sembra che la prima ipotesi sia la più verosimile. Dunque a Paolo non era consentito riferire nulla di quanto aveva udito. Possiamo però dedurre dal verso 5 che le cose sperimentate  costituivano motivo di vanto e che egli si vantava appunto da uomo spirituale di quell'uomo che aveva avuto tale esperienza, mentre essendo ancora nel corpo fisico poteva vantarsi solo delle sue debolezze. Ci si vanta solo di cose magnifiche, meravigliose che danno gioia e gloria. E tale doveva essere dunque la condizione che Paolo aveva vissuto nel PARADISO.




[Modificato da Credente 25/02/2016 23:39]
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25/02/2016 12:07
 
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In altra occasione però Paolo accenna a qualcosa che potrebbe far meglio capire cosa egli avesse sperimentato.

1Cor 2,9 Sta scritto infatti: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano.
10 Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio.
11 Chi conosce i segreti dell'uomo se non lo spirito dell'uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. 12 Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato.

Il versetto 9, cita un versetto ricavato da Isaia 64:4 (confr. Isaia 65:17; 55:8-9), adattandolo per indicare la condizione futura ed eterna di quanti amano Dio.
Tale condizione, dice Paolo, sorpassa ogni cosa che sia stata vista da occhi umani, o che sia stato udito da orecchie umane, e sorpassa addirittura quanto possa essere concepibile o immaginabile da cuore umano.
Specifica poi che lo Spirito permette di conoscere tutto ciò che Dio ha donato. Si ricollega forse all'esperienza che ha avuto del paradiso? Non lo sappiamo ma possiamo comunque accostare le due cose.
Infatti da una parte Paolo dice che non è neppure immaginabile cosa ci aspetta se amiamo Dio, dall'altra dice che lo Spirito ha fatto conoscere tutto ciò che Dio ha donato.

Significa molto probabilmente che a lui e ad alcuni come lui viene dato da Dio la grazia di fare esperienza di questa realtà che ci attende al termine della vita, per poter affrontare il rigore della vita terrena e per essere luce per gli altri.

[Modificato da Credente 26/02/2016 00:00]
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28/02/2016 21:00
 
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Vi sono alcune altre espressioni nella Scrittura che possono darci qualche elemento di comprensione:

1Corinzi 6,17      Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito.

Sapienza 3,7   Nel giorno del loro giudizio risplenderanno; come scintille nella stoppia, correranno qua e là.

Daniele 12,3  I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre.

Sap, 3, 5: Per una breve pena riceveranno grandi benefici,
perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé:  
6 li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come un olocausto.
7 Nel giorno del loro giudizio risplenderanno; come scintille nella stoppia, correranno qua e là.

1Gv 3,2 Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.





Occorre fare una precisazione. Quando noi moriamo, la parte spirituale vivrà nella condizione a cui Il Signore giudicherà di destinarla. Ma questa condizione sarà temporanea, ed in attesa della resurrezione finale, in cui i corpi gloriosi dei risorti saranno riunite alle loro anime.
Questo emerge dai seguenti versetti.

Ap 6,9 Quando l'Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l'altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa. 10 E gridarono a gran voce: «Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e verace, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue sopra gli abitanti della terra?». 11 Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro.

Mat 22,30 Alla risurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo.

Luca 20,36 e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio.

 

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Cosa possono significare le suddette espressioni? Cerchiamo di comprenderle

1Corinzi 6,17      Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito.

Questo versetto può essere inteso come riferito tanto alla vita presente che a quella futura.

Naturalmente, ora però generalmente non abbiamo una cognizione che si avvicini neppure lontanamente alla realtà futura.
Sappiamo tuttavia che per mezzo dello Spirito Santo, che si degna di unirsi al nostro spirito, noi possiamo unirci a Dio fino a formare addirittura uno spirito solo con Lui. 
Una tale fusione di spiriti, sarà certamente esaltante, appagante,  tanto da renderci felici in sommo grado, soprattutto sapendo che una tale condizione sarà permanente e indefettibile. In questa vita, per quanto si possa essere in una condizione gioiosa, vi è sempre un sottofondo di amarezza, se solo pensiamo che qualcuno o qualcosa può alterare la nostra temporanea gioia.

Le altre tre citazioni bibliche sopra riportate hanno in comune un elemento: e cioè che i salvati RISPLENDERANNO.
Lo splendore viene paragonato a quello di astri del firmamento facendo intendere che maggiore sarà stata la loro fedeltà a Dio, maggiore sarà il loro splendore. Tale caratteristica viene unita al fatto che essi CORRERANNO.  Lascia supporre loro leggerezza e la velocità con cui potranno muoversi, simili ad un lampo, che viene descritto come il diffondersi e il muoversi delle scintille in un campo di stoppie.



[Modificato da Credente 07/04/2017 13:46]
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01/03/2016 23:06
 
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Veniamo ora a questa espressione usata da Giovanni nella sua prima lettera:

1Gv 3,2 Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.

Proviamo ad immaginare le bellezze del creato, delle piante, degli animali, delle persone umane.
Vi sono delle cose che sono spettacolari, altre che richiamano la nostra simpatia, altre ancora sono buone.
Delle creature ammirevoli, alcune ci possono attrarre a tal punto da non voler mai cessare di guardarle.
Pensiamo che questa serie innumerevole di soggetti creati sono solo un pallido riflesso della bellezza, della sapienza e della potenza di Colui che le ha pensate e fatte esistere.
Quanto maggiore della loro bellezza e grazia, sarà dunque la Sua bellezza e la Sua grazia ?
Quanto non sarà appagante il suo sguardo, la sua natura che potremo vedere in tutta la sua sfolgorante magnificenza e gloria?
E poi, noi abbiamo una idea di cosa si prova quando si ama una persona in quanto molti hanno fatto e fanno l'esperienza dell'AMORE. Non solo per quanto riguarda un generico affetto, ma anche della esperienza fisica dell'acme di felicità che si raggiunge nell'amore coniugale, in cui vi è una fusione totale dei corpi e delle anime dei due esseri che diventano una sola cosa.

Ebbene quell'acme di gioia profonda e forse massima rispetto a tutte le altre gioie della vita, sono solo un pallido riflesso dell'acme di gioia che avremo quando saremo fusi con l'Essere Eterno divenendo un solo spirito con Lui che è Spirito.
Quanto sarà più appagante questo Amore Eterno, senza alcuna imperfezione , senza alcuna limitazione, senza alcun ostacolo da superare per fruirne, senza alcuna interruzione nella appagante ed esaltante soddisfazione del nostro più intimo desiderio ?

S.Paolo ci dice in 1 Cor.1,21 È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l'unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito Santo nei nostri cuori.

Per mezzo dello Spirito Santo noi che siamo ancora su questa terra possiamo avere un acconto, o meglio un assaggio di quello che il Signore ha preparato per coloro che lo amano, pur senza vederlo ora.

Ecco dunque dei termini di paragone, anche se molto limitati e riferiti solo per analogia rispetto a ciò che sarà la realtà del PARADISO, ma che ci permette di avere una qualche idea di quello che ci aspetta se avremo fede e saremo fedeli.
[Modificato da Credente 04/05/2016 16:56]
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04/05/2016 17:05
 
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Eccoci alle parole forse più estese, più solenni e almeno in qualche misura, più adatte a rappresentare una reale esperienza del mondo futuro che sperimenteranno i salvati:

Ap, 21, 1: Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più.

2 Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
3 Udii allora una voce potente che usciva dal trono: «Ecco la dimora di Dio con gli uomini!
Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il "Dio-con-loro".
4 E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate».
5 E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»; e soggiunse: «Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci.
6 Ecco sono compiute! Io sono l'Alfa e l'Omega,
il Principio e la Fine. A colui che ha sete darò gratuitamente
acqua della fonte della vita. 
7 Chi sarà vittorioso erediterà questi beni; io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio.

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Sono le parole ispirate che ci aiutano a capire per quanto possibile la realtà ineffabile che attende i redenti.

Vediamo qui di seguito qualche commento alle parole dell'Apostolo:


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Da un commento evangelico:

Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perchè il primo cielo e la prima terra, erano passati e il mare non era più.

Come il corpo contaminato dal peccato deve morire per risorgere quale organo della vita nuova superiore, così l'abitazione dell'umanità peccatrice ha da subire una trasformazione che la renda adatta ad esser la dimora di un'umanità rinnovata e santa. Si trova di già nell'Antico Testamento l'annunzio di nuovi cieli e nuova terra. «Ecco, è detto nel secondo Isaia, io creo dei nuovi cieli e una nuova terra; non ci si ricorderà più delle cose di prima» Isaia 65:17; ma, dal contesto, risulta che si tratta di un innovamento parziale simile a quello del millennio, la cui prospettiva, nell'Antico Testamento, si confonde con quella dello stato definitivo. Il passare del mondo di prima non equivale al suo annientamento, e l'apparizione del nuovo non è necessariamente dovuta ad una creazione dal nulla; una radicale trasformazione, per opera del fuoco secondo 2Pietro 3:10-13, basta a render ragione delle espressioni qui usate. «E non saranno, d'altronde, i veri scienziati che negheranno la possibilità d'una simile rivoluzione, in un tempo in cui l'azione formidabile degli invisibili, degli infinitamente piccoli, degli ioni ed elettroni; nel momento in cui l'infinita ricchezza del serbatoio delle forze cosmiche è stata messa in evidenza, in cui il gran mistero delle cose, lungi dall'essere chiarito, è stato spinto indietro in illimitate profondità» (P. Vallotton). Il solo particolare che ci sia dato è alquanto misterioso. Il mare non era più; perchè? Perchè rappresenta dei pericoli, perchè simboleggia le agitazioni della vita presente, perchè separa e tien lontani i popoli gli uni dagli altri mentre la futura umanità formerà una sola famiglia, perchè non è luogo d'abitazione nè può dare dei frutti, perchè ricorda il caos ecc. Ci saranno elementi di verità in parecchie di queste risposte; ma è difficile dire quale sia da preferire.

21:2:
E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scender giù dal cielo d'appresso a Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.

Gerusalemme è presentata ad un tempo come l'abitazione dei santi e come la personificazione della chiesa glorificata. Perciò è la città santa ed è la sposa di Cristo. E frequente nell'Antico Testamento questo rappresentare una nazione o una città come una donna. Nell'Apocalisse la chiesa degenere è una meretrice ed è Babilonia. La Gerusalemme veduta da Giovanni è nuova rispetto all'antica calpestata dai pagani ed anche rispetto a quella del millennio che non è ancora santa se non in senso relativo. Questa scende dal cielo d'appresso a Dio (cfr. Galati 4:26; Ebrei 12:22) perchè è opera di Dio: lo è come dimora da lui preparata per gli eletti e lo è come società dei salvati, redenti da Cristo, santificati dallo Spirito, fatti degni della comunione perfetta col loro Dio. Infatti essa è pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Cfr. Apocalisse 19:7 e le note a quel passo. E giunto per lei il giorno delle nozze, immagine della sua perfetta ed eterna felicità. «L'immagine [della sposa] è quella che meglio raffigura la giovinezza perenne, e l'eterna maraviglia dell'amore che rende beata una vita d'amore, la quale, dopo migliaia di secoli, avrà la stessa freschezza che aveva al principio» (Allo).

21:3:
E udii una gran voce dal trono, che diceva: Ecco il tabernacolo di Dio cogli uomini: ed Egli abiterà con loro, ed essi saranno suoi popoli, e Dio stesso sarà con loro e sarà loro Dio.

La gran voce può esser d'un angelo o d'una delle creature viventi. Essa proclama che nello stato perfetto saranno adempiute le figure e le promesse antiche in cui l'ideale del popolo di Dio era fatto consistere nell'abitazione di Dio in mezzo ad esso. Cfr. Apocalisse 7:15. Nel tabernacolo mosaico Dio era presente soltanto simbolicamente; e il popolo non poteva avervi libero accesso perchè contaminato dal peccato; nella nuova Gerusalemme Dio abiterà col popolo suo reso perfetto. Essa risponderà al nome datole nella visione d'Ezechiele: 'L'Eterno è quivi' Ezechiele 48:35. Da notare la variante significativa alle promesse fatte ad Israele (Ezechiele 37:27; Geremia 31:33; Zaccaria 8:8 ecc.) d'essere il popolo di Dio. A significare che, insiem con Israele, godranno della presenza di Dio tutte le anime salvate di qualunque nazione, la voce dice: 'saranno suoi popoli.' Tale almeno è la lez. dei Codd. A e alef. Una parte dei critici sopprime le ultime parole di Apocalisse 21:1 'e sarà loro Dio' che mancano in varii manoscritti. «Così, nota il Bonnet, il cielo della Bibbia, l'essenza stessa della felicità eterna non sta affatto in quel che l'immaginazione o il sentimento hanno potuto sognare all'infuori di Dio; essa sta nella comunione reale, vivente con Dio, nel possesso e nel godimento di Dio stesso. Per degli esseri giunti alla perfezione, compenetrati dall'amor di Dio... non v'è nulla al disopra di questo, nulla che l'oltrepassi. Una tale sorte dell'anima creata ad immagine di Dio... è sola degna e dell'anima e di Dio. Il confronto tra questa realtà perfetta e i sogni assurdi od impuri coi quali l'umanità spesso si è fatto un cielo, basta da solo a provarci che qui abbiamo una rivelazione divina».

21:4:
e asciugherà ogni lagrima dagli occhi loro

Cfr. Apocalisse 7:17; Isaia 25:8.

e la morte non sarà più

cfr. Apocalisse 20:14. Presso Dio fonte di vita, non c'è più posto per la morte salario del peccato, e ogni lagrima - ce ne sono di molte specie - è asciugata dalla sua bontà piena di tenerezza. Con la morte spariranno i dolori che la seguono e che la precedono: nè ci saran più cordoglio, nè grido, nè dolore, poichè le cose di prima sono passate.

Dei riscattati dell'Eterno, profetava Isaia: «Verranno a Sion con canti di gioia; un'allegrezza eterna coronerà il loro capo otterranno gioia e letizia, e il dolore e il gemito fuggiranno» Isaia 35:10.

21:5:
E Colui che siede sul trono disse: Ecco io fo ogni cosa nuova ed aggiunse (lett. e dice): Scrivi, perchè queste parole sono fedeli e veraci.

E, la prima volta nell'Apocalisse che Giovanni ode la parola diretta di Dio Padre che siede sul trono. Essa conferma la voce proceduta dal trono. Il rinnovamento della vita umana e dell'abitazione dei redenti, rispondente all'avvenuto rinnovamento dei cuori, di cui nella 2Corinzi 5:17, fa parte del piano eterno di Dio ed è conforme alla sua essenza, poich'Egli è santità e amore. Queste parole si riferisce a quelle pronunziate dalla voce, a quelle di Dio stesso relative al rinnovamento di tutte le cose ed anche alle promesse che seguono. Giovanni deve scriverle perchè la certezza assoluta della speranza cristiana darà coraggio ai credenti nella prova e sarà salutare ammonimento a chiunque le leggerà.
[Modificato da Credente 04/05/2016 17:28]
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21/06/2016 17:59
 
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Dal commento di Lino Pedron
IL MONDO NUOVO

(21,1–22,5)

UN NUOVO CIELO E UNA NUOVA TERRA

Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono:
« Ecco la dimora di Dio con gli uomini!
Egli dimorerà tra di loro 
ed essi saranno suo popolo 
ed egli sarà il "Dio-con-loro". 
E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; 
non ci sarà più la morte,
né lutto, né lamento, né affanno,
perché le cose di prima sono passate».
E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»; e soggiunse: «Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci.
Ecco sono compiute!
Io sono l'Alfa e l'Omega,
il Principio e la Fine.
A colui che ha sete darò gratuitamente 
acqua della fonte della vita. 
Chi sarà vittorioso erediterà questi beni;
io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio. 
Ma per i vili e gl'increduli, gli abietti e gli omicidi, gl'immorali, i fattucchieri, gli idolàtri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. E' questa la seconda morte».



Seguendo la lettura dell’Apocalisse abbiamo percorso un viaggio: dal tumulto della storia umana e dalle sue contraddizioni alla pace e alla semplicità del regno di Dio. Ci è stato messo sotto gli occhi l’intero cammino dell’umanità, dal passato al presente e dal presente al futuro.

La pagina che stiamo leggendo è infatti in punto terminale verso cui l’umanità è incamminata. Anche in questa parte conclusiva abbiamo la presentazione di tre visioni: la nuova creazione, la nuova Gerusalemme, il fiume dalle acque abbondanti.

Al centro, come sempre, il trono di Dio. È dal trono che proviene la voce che spiega il contenuto della visione ed è "Colui che sedeva sul trono" che afferma: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose". È dal trono che scaturisce il fiume di acqua viva. L’immagine del trono è importante e ricorrente, e l’uso che se ne fa è molto istruttivo. Nella maggioranza dei casi l’immagine è contrapposta polemicamente ai molti troni che gli uomini innalzano ai potenti e ai falsi dei.

La tesi dell’Apocalisse è trasparente: soltanto il trono di Dio ha diritto di essere innalzato nella città dell’uomo, perché soltanto il trono di Dio libera e riunisce. Soltanto davanti al trono di Dio l’uomo deve inchinarsi, e soltanto all’unica e assoluta sovranità di Dio è dovuta l’adorazione. Mentre il trono degli uomini è l’espressione dello sforzo orgoglioso e impotente di salire verso l’alto, quasi per rapire all’unico signore il suo dominio, la sovranità di Dio invece è, al contrario, un movimento che discende verso il basso, dal cielo al cuore della nostra storia: come appunto la Gerusalemme celeste che discende dal cielo, da presso Dio.

C’è una profonda differenza tra il trono di Dio e il trono degli uomini. Il trono degli uomini esprime la volontà che s’innalza per dominare e piegare gli altri ai propri interessi. Il trono di Dio esprime la volontà di chi, già in alto, si avvicina all’uomo per amarlo e salvarlo: "lo sarò il suo Dio ed egli sarà suo figlio" (21,7).

Se è vero che l’immagine che domina e dà stabile fondamento a tutto il resto è quella del trono di Dio, è altrettanto vero che l’idea qui più ricorrente è la novità: cielo nuovo, terra nuova, nuova Gerusalemme, tutte le cose nuove.

L’aggettivo nuovo, nel suo uso biblico, esprime globalmente il desiderio dell’uomo che, finalmente!, succeda qualcosa di diverso, e insieme esprime la consapevolezza che gli uomini non riescono a fare nulla di veramente diverso: molte chiacchiere e molte promesse, ma sempre, alla fine, le stesse cose. L’uomo biblico si è accorto che la novità è possibile soltanto a Dio: l’uomo non la raggiunge da solo, ma unicamente nell’obbedienza al Signore e nell’accoglienza del suo dono. È Dio che fa nuove tutte le cose (21,5). Solitamente nell’Apocalisse, Dio non parla: altri parlano a suo nome. Ma qui egli prende direttamente la parola, quasi per sottolineare che ciò che sta dicendo è la cosa più importante di tutte. Egli ci dà la conferma che il sogno degli uomini di un rinnovamento globale non è sogno, ma realtà.

*****

vv. 1–4. Se il vecchio mondo è scomparso (20,11), Dio metterà al suo posto un nuovo cielo e una nuova terra (Gen 1,1). Il testo aggiunge esplicitamente che non vi sarà più il mare. Scomparirà così la caotica e inquietante potenza da cui era emersa la bestia satanica (13,1). La nuova Gerusalemme scenderà allora dal cielo sulla nuova terra che rappresenta l’opposto dell’empia città di Babilonia. La nuova Gerusalemme è paragonata a una figura femminile: appare come una sposa che si è adornata per essere condotta dallo sposo (21,9ss). Anche Paolo parla della Gerusalemme dell’alto e la chiama la nostra madre, indicando con quel nome la nuova creazione che ha già avuto inizio per la comunità cristiana (Gal 4,26). La prostituta Babilonia è stata ormai condannata (17,3ss; 18,1ss), ma la comunità cristiana è la sposa di Cristo (19,7).

Una voce celeste proclama, con numerose espressioni dell’Antico Testamento, che Dio è nuovamente presente. Dio rimarrà per l’eternità con gli uomini di tutti i popoli. Allora sarà scomparso ogni dolore (7,16-17), e la morte stessa non ci sarà più. Infatti le cose di prima, ossia il vecchio mondo, che viveva sotto il segno del peccato, della sofferenza e della morte, è scomparso.

vv. 5–8. Giunti ormai alla fine del libro, Dio stesso prende la parola (1,8) e conferma che quell’immagine del nuovo mondo è vera. Egli fa nuove tutte le cose (2Cor 5,27; Gal 6,15) e dà a Giovanni l’ordine di scrivere le sue parole, che sono incrollabili e certe, e di trasmetterle alle comunità che vivono ancora nella tribolazione e nella persecuzione. La sua parola è vera perché egli è il principio e la fine (1,8), il creatore e il reggitore dell’universo. Ciò che egli dice, avviene (Sal 33,9). Egli disseterà gli uomini dando loro gratuitamente l’acqua della vita (7,17; Gv 4,10.14; 7,37–38). Egli dona senza fine la sua grazia misericordiosa. Questa promessa veritiera deve fortificare il coraggio della chiesa ancora militante. Come ciascuna delle sette lettere si chiudeva con una parola di vittoria (2,7; ecc.), così anche il discorso di Dio termina con una promessa ai vincitori: chi vince sarà figlio di Dio, e Dio sarà il suo Dio. Mentre quelli che saranno rimasti fedeli riceveranno questa eredità, gli infedeli cadranno nella perdizione eterna (2,11; 20,6.15). Il brano termina con una solenne ammonizione: i codardi e gli increduli non avranno la salvezza. La comunità deve comprendere questo serio avvertimento come un appello alla perseveranza.

 

 

LA NUOVA GERUSALEMME

Poi venne uno dei sette angeli che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli e mi parlò: «Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell'Agnello». 10 L'angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. 11 Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. 12 La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele. 13 A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre porte. 14 Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello.
15 Colui che mi parlava aveva come misura una canna d'oro, per misurare la città, le sue porte e le sue mura. 16 La città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L'angelo misurò la città con la canna: misura dodici mila stadi; la lunghezza, la larghezza e l'altezza sono eguali. 17 Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall'angelo. 18 Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. 19 Le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo, 20 il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l'ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l'undecimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. 21 E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta è formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente.
22 Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio. 23 La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello.
24 Le nazioni cammineranno alla sua luce 
e i re della terra a lei porteranno la loro magnificenza. 
25 Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, 
poiché non vi sarà più notte.
26 E porteranno a lei la gloria e l'onore delle nazioni. 
27 Non entrerà in essa nulla d'impuro, 
né chi commette abominio o falsità,
ma solo quelli che sono scritti
nel libro della vita dell'Agnello.

Un angelo aveva accompagnato Giovanni nel deserto per mostrargli la grande prostituta, cioè la città pagana, la società idolatra (18,3ss), i cui contrassegni evidenti sono l’insofferenza di Dio ("è coperta di nomi blasfemi"), il lusso sfacciato e volgare ("vestita di porpora e di scarlatto, adorna di gioielli e di pietre preziose"), la capacità di attrarre nella propria visione idolatra tutti i popoli della terra ("madre di tutte le abominazioni della terra"), la persecutrice dei cristiani ("ebbra del sangue dei santi e dei martiri di Gesù"). Ora lo stesso angelo conduce Giovanni su un monte altissimo per fargli contemplare la città santa, la nuova Gerusalemme. Le due città sono una l’opposto dell’altra: Babilonia si erge contro Dio, Gerusalemme discende da Dio. L’architettura della città di Dio dà la netta sensazione della completezza, della definitività e dell’armonia. Così il simbolismo del numero dodici, il numero della pienezza (le dodici porte, i dodici basamenti), e il simbolismo del quadrato ("la città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza"). Tutto è compiuto, armonico, simmetrico: non vi si può aggiungere né togliere nulla. È chiaro che Giovanni non sta descrivendo il piano di una città, ma il volto della comunità salvata e purificata da Dio. Sono cadute tutte le contraddizioni che ora caratterizzano la convivenza, è caduta la frammentarietà, la disarmonia, la provvisorietà.

Inoltre Giovanni accumula immagini che creano il senso dell’armoniosità, della trasparenza e della preziosità: lo splendore della città è come quello delle gemme ed è tutta costruita con oro e pietre preziose. Ma a differenza di Babilonia, che ostenta i suoi gioielli per mostrare la propria gloria, la nuova Gerusalemme risplende della gloria di Dio.

Ed è proprio questo il tratto più importante: la nuova città è in comunione con Dio, una comunione diretta, trasparente, senza veli e mediazioni: "Non vidi alcun tempio in essa, perché il Signore Dio, l’Onnipotente, l’Agnello sono il suo tempio". Dio non è più incontrato attraverso qualcosa, ma faccia a faccia, e questo è il grande sogno dell’uomo, l’ansia profonda di ogni sua ricerca. Sono caduti i veli, e Dio è di fronte.

Notiamo che è solo con l’aiuto di un angelo di Dio che Giovanni ha compreso l’idolatria di Babilonia e ha contemplato la nuova Gerusalemme. Al di là del simbolo, l’insegnamento è chiaro: è alla luce della parola di Dio, cioè nell’ascolto, nella preghiera, nella fede, che la comunità cristiana trova lucidità per scoprire l’idolatria del mondo presente e per ritrovare la certezza del mondo futuro. Senza l’aiuto della parola di Dio la lettura della storia perde lucidità e si confonde con la lettura mondana: la comunità credente finisce col ragionare come il mondo. Oppure smarrisce la speranza, vede il fallimento e non scorge, nel profondo, il germe carico di promessa delle novità di Dio.

*****

vv. 9–17. Gli angeli stanno a guardia delle dodici porte (Is 62,6) che si aprono verso i quattro punti cardinali per permettere il libero accesso alla città (Ez 48,30ss). Ciascuna delle porte porta scritto il nome di una delle dodici tribù d’Israele (Ez 48,31ss) poiché Gerusalemme è la città del popolo di Dio. Però questo non è più limitato al popolo dell’antica alleanza, ma è la comunità di Gesù Cristo di cui sono stati chiamati a far parte giudei e pagani (7,4ss). Perciò Giovanni aggiunge che i dodici basamenti portano scritto il nome dei dodici apostoli; la chiesa infatti è costruita sul fondamento degli apostoli e dei profeti (Ef 2,20; Mt 16,18), che formano la base su cui poggia l’intero edificio. L’angelo, che con la sua canna d’oro misura la città, ne comunica a Giovanni le enormi dimensioni. La città ha una pianta quadrata. Nell’antichità il quadrato e il cubo erano considerati immagini della perfezione e, secondo le notizie trasmesseci dalla tradizione antica, anche Babilonia era una città a pianta quadrata. La misura di dodicimila stadi, che corrisponde a circa 2.400 km, riguarda non solo la lunghezza e la larghezza, ma anche l’altezza. Questo cubo dalle dimensioni colossali richiama alla mente la concezione che si aveva nel mondo antico della volta celeste; le dimensioni del cubo e la frequente ripetizione del numero dodici vogliono simboleggiare la massima perfezione. I 144 cubiti indicati per le mura, presumibilmente devono riferirsi al loro spessore (= 70 metri circa) e non alla loro altezza.

vv. 18–27. La descrizione della bellezza indicibile della città prosegue con la menzione del ricchissimo materiale usato per costruirla (Is 54,11; Tb 13,16-17). La città è d’oro puro e trasparente e le sue fondamenta sono adornate di sfavillanti pietre preziose (4,3), i cui nomi sono indicati in una successione molto simile a quelle delle analoghe liste dell’Antico Testamento (Es 28,17ss; 39,10ss; Ez 28,13).

Le porte della città sono formate da dodici perle meravigliose. La strada che attraversa la città celeste è anch’essa d’oro purissimo. Le materie preziose ricordate in questa lista non vanno interpretate separatamente, ma viste tutte insieme come un modo per descrivere la luminosa e risplendente bellezza della nuova Gerusalemme, colma della presenza di Dio. Lo sguardo di Giovanni si rivolge ora all’interno della città. Nel mondo antico il santuario era considerato il luogo nel quale era presente la divinità, e di conseguenza si immaginava anche l’esistenza di un tempio nel cielo (11,19; 14,15.17; 15,5ss); ma nel nuovo mondo non ci sarà più bisogno di un santuario, perché Dio e l’Agnello abiteranno in mezzo alla città. Non si adorerà più in un edificio a ciò consacrato, ma soltanto in spirito e verità (Gv 4,24). La luce eterna che emana dalla presenza di Dio illumina la nuova Gerusalemme. Perciò non c’è più la notte, e non occorre più la luce del sole e della luna; infatti solo Dio stesso e l’Agnello sono la luce (1Gv 1,5) che espelle definitivamente ogni oscurità (22,5). Ormai il giorno luminoso non ha più fine, perciò le porte della città non si chiudono, ma rimangono ininterrottamente aperte e permettono in ogni tempo un libero accesso. Accorrono dunque da ogni parte gli adoratori che camminano alla luce della nuova Gerusalemme. Su questo punto Giovanni si ricollega a certe promesse dell’Antico Testamento che in origine non si riferivano a una città celeste, ma alla futura gloria di Sion e della Gerusalemme della terra (Is 60). Quelle profezie si sono ora miracolosamente adempiute: accorrono alla città i popoli pagani, che però non sono più pagani perché ricevono il diritto di cittadinanza della città. I re portano regali e doni preziosi in segno di omaggio. Tutto ciò che è impuro è bandito dalla città: nelle sue mura abitano solo i cittadini del cielo, i cui nomi sono scritti nel libro della vita (3,5; 13,8; 17,8).

 


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21/06/2016 18:02
 
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LE ORIGINI E LA CONCLUSIONE





Mi mostrò poi un fiume d'acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell'Agnello. In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall'altra del fiume si trova un albero di vita che dá dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell'albero servono a guarire le nazioni.
E non vi sarà più maledizione.
Il trono di Dio e dell'Agnello
sarà in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno;
vedranno la sua faccia 
e porteranno il suo nome sulla fronte.
Non vi sarà più notte
e non avranno più bisogno di luce di lampada,
né di luce di sole,
perché il Signore Dio li illuminerà 
e regneranno nei secoli dei secoli.

La terza visione propone le idee principali già ribadite dalle prime due. La simbologia richiama chiaramente il cap. 2 della Genesi: il paradiso terrestre. Le origini della storia umana e la conclusione si ricongiungono. Ma la visione di Giovanni si ricollega a Gen 2 passando attraverso la rielaborazione che ne ha fatto Ezechiele (cap. 47): dal tempio scaturisce la sorgente di acqua viva che cresce fino a trasformarsi in un fiume maestoso, tra due rive di alberi lussureggianti.

C’è un’idea di fondo molto chiara: l’acqua scaturisce dal tempio, cioè da Dio. È da Dio che viene la vita e il mondo nuovo, non da altri.

Abbiamo detto che l’inizio e la fine si congiungono, le prime pagine della Bibbia fluiscono nelle ultime. La Bibbia si apre con il racconto di un paradiso perduto: Adamo ed Eva hanno perso la comunione con Dio, l’amicizia tra di loro e l’armonia con la terra. Gli uomini di fede che hanno scritto quelle antichissime pagine hanno compreso che il mondo così come oggi lo troviamo è un mondo decaduto, è la conseguenza del peccato. Per darsi una spiegazione hanno guardato indietro, verso il passato. La nostra pagina invece, che non solo conclude l’Apocalisse, ma la Bibbia intera, rovescia la prospettiva: non la nostalgia verso il paradiso perduto, ma la speranza verso un mondo nuovo che sta nascendo. Lo sguardo è in avanti, non all’indietro. Il mondo, così com’è, è frutto del peccato (questo l’Apocalisse lo dice con molto vigore), ma è anche un mondo in cui la forza della presenza di Dio sta operando. È un mondo che soffre nel travaglio del parto, e le crisi che l’attraversano sono momenti di crescita, e non semplicemente castighi per le molte idolatrie commesse. Un mondo degno dell’uomo non è un sogno svanito, anche se è vero che il peccato sembra sciupare ogni cosa. La conclusione a cui ci porta l’Apocalisse è questa: il mondo nuovo, il mondo degno dell’uomo non è un sogno, ma è una certezza. Il mondo nuovo è una realtà sicura come è sicura la promessa di Dio.

Il paragone con le prime pagine della bibbia può essere ulteriormente approfondito. Là un movimento che andava dalla pace al travaglio (dal paradiso terrestre alla fatica del lavoro, alla morte, alle lotte fratricide, al diluvio, alla schiavitù dell’Egitto ... ), e dall’universale al particolare (dall’intera umanità al popolo di Abramo). Qui invece è tutto alla rovescia: dal travaglio della storia umana alla pace di Dio, dalle comunità cristiane (a cui sono rivolte le sette lettere e l’intero libro) all’umanità intera.

Ma L’Apocalisse non è solo una visione di consolazione, neppure nelle sue pagine conclusive. È anche un drastico avvertimento. Dal mondo nuovo di Dio ci possono essere anche degli esclusi, dei quali l’Apocalisse tenta di tracciare una descrizione, quasi un elenco: una descrizione che però deve essere compresa alla luce di tutto il discorso apocalittico per non essere fraintesa. Che ci possano essere degli esclusi è ribadito con forza due volte: 21,8.27. Come si vede da questi due passi, le mancanze che l’uomo commette sono molte, ma ciò che è più importante capire è che tutte sono indicative di una scorrettezza più profonda, che possiamo chiamare "menzogna" o anche "idolatria". È qui la radice di tutto. Più volte l’Apocalisse ci ha fatto capire che la menzogna non è semplicemente la mancanza di sincerità, come il dire bugie, ma è una falsità esistenziale, un modo scorretto di impostare l’intera vita e la società: cioè una vita impostata su falsi valori, su ideali che pretendono servire l’uomo e in realtà lo distruggono, pretendono appellarsi alla verità, ma in realtà sono a vantaggio di interessi di parte, possono perfino presentarsi in nome di Dio, ma in realtà non fanno che idolatrare l’uomo. Tutto questo è la menzogna e l’idolatria, cioè una filosofia e un’impostazione pagana dell’esistenza.

Non tutto conduce alla novità di Dio e alla Gerusalemme celeste. Soltanto la strada dei martiri, che sono coloro che rifiutano l’idolatria e impostano la vita sulla parola di Dio, vi conduce.

*****

vv. 1–5. Con la venuta della nuova Gerusalemme è tornato il paradiso anticamente perduto. Un fiume limpido come il cristallo sgorga dal trono di Dio e dell’Agnello (Gen 2,10-14; Ez 47; GI 4,18; Zc 14,8). Le sue acque donano la vita; ne deriva una crescita rigogliosa e un’abbondante benedizione. La fine dei tempi corrisponde ai tempi delle origini: l’albero della vita, che era al centro del paradiso terrestre (Gen 2,9; 3,22) verdeggia anche nel nuovo mondo di Dio (2,7; 22,14.19).

Siccome la visione si avvicina al testo di Ez 47,7.12, dove il profeta osserva le piante sulle due rive del fiume, forse l’albero della vita in questa pagina va inteso come un singolare collettivo: sulle due rive del fiume ci sono alberi della vita. Le loro radici attingono alle acque della vita del fiume e i rami fruttificano, con abbondanza paradisiaca, dodici volte all’anno. Le foglie danno guarigione ai popoli che accorrono (21,3), perché nel nuovo mondo di Dio non ci sarà più né malattia, né dolore, né morte (21,4). Secondo la promessa di Zc 14,11 nella città non vi sarà più nulla di maledetto, perché il peccato sarà stato definitivamente eliminato insieme al diavolo e alla morte. Il luogo della presenza divina nella nuova Gerusalemme non sarà più il tempio, ma il trono di Dio e dell’Agnello, e i suoi servi lo serviranno e avranno comunione con Dio e con Cristo. Sulla terra nessun uomo aveva potuto vedere Dio perché al cospetto della santità divina avrebbe dovuto morire (1,17). Ma adesso i servi di Dio, che portano il suo nome sulla fronte e sono quindi segnati come sua proprietà, possono vederlo com’è (Mt 5,8; 1Gv 3,2). Lo splendore di Dio li illumina in ogni tempo (21,23-25) ed essi parteciperanno al governo di Dio sull’universo (1,6; 5,10). Come la condanna che ha colpito i dannati rimane eternamente valida (20,10), così i beati regneranno con Dio e saranno con lui per tutta l’eternità.


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10/09/2018 16:53
 
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Ma che paradiso è quel “riposo eterno”?


GATES TO HEAVEN
 




La vita eterna è un perenne cominciare nell’amore, è l’esperienza di un Dio che è inesauribilmente Colui che inizia ad amare...


Come sarà la vita eterna? L’unica via possibile di risposta a questa domanda ci è offerta nell’esperienza pasquale delle origini, nell’incontro da cui ha avuto inizio il movimento cristiano nella storia. I pavidi fuggiaschi del Venerdì Santo sono diventati i coraggiosi testimoni di Pasqua, pronti a dare la vita per amore di Gesù, annunciato come il Crocifisso Risorto. Che cosa ha indotto questi uomini a trasformare la loro paura davanti alla morte nell’audacia dell’annuncio fino al dono della vita? E’ stato l’incontro di cui i racconti delle apparizioni, riportati dagli evangelisti e da Paolo, sono testimonianza.


Questi racconti non possono essere armonizzati tra loro da un punto di vista cronologico e geografico: c’è però in essi una struttura fondamentale, che ritorna costantemente, articolata in tre momenti, l’iniziativa del Risorto, il riconoscimento da parte dei discepoli e la missione, la vita nuova che scaturisce dall’incontro vivificante e trasformante.


L’iniziativa del Risorto è alla base dei racconti pasquali: Gesù «si mostrò loro vivente» (At 1.3). E questo “mostrarsi vivente”, questa oggettiva esperienza dell’iniziativa che viene da Colui che, prigioniero della morte, si offre ora Signore della vita, che è anche l’inizio della fede cristiana nella storia. I discepoli, raggiunti dall’iniziativa del Risorto che appare loro, vengono illuminati e profondamente segnati e trasformati da essa.- Se questa esperienza pasquale può essere in qualche modo vista come anticipazione della vita eterna, perché è in essa che l’Eterno si è manifestato nella vittoria sulla morte di Gesù il Cristo, è fondato pensare che un primo aspetto della vita eterna sarà quello dell’iniziativa eterna nell’amore di Dio.


La vita eterna è un perenne cominciare nell’amore, è l’esperienza di un Dio che è inesauribilmente Colui che inizia ad amare, non perché sia necessitato o costretto a cominciare sempre di nuovo nell’amore, ma perché nella Sua infinita gratuità non è mai stanco di cominciare ad amare. Vita eterna è sorgività eterna dell’Amore, partecipazione alla circolazione dell’amore tanto antico e sempre nuovo della vita trinitaria di Dio, e perciò all’iniziativa del Padre, all’accoglienza del Figlio, alla comunione unificante e liberante dello Spirito, che a Pasqua ci sono stati rivelati. E’ per questo che non è possibile concepire la vita eterna come eterna ripetizione dell’identico: se Dio che ama è eternamente nuovo nell’amore, la vita eterna, iniziativa di questo amore divino, non potrà non esser eterna novità, eterno sgorgare dell’amore dalla Sorgente inesauribile di esso, che è il mistero del Padre.


Il secondo momento presente nei racconti delle apparizioni del Risorto è il processo di riconoscimento, che porta i discepoli a identificare nel Signore che appare loro il Gesù che essi avevano conosciuto nei giorni della sua vita terrena. Questo riconoscimento avviene superando le resistenze e le fatiche dell’oscurità della fede. «E’ il Signore!» è il grido gioioso in cui culmina l’aprirsi degli occhi della fede nel cuore dei discepoli. Se è legittimo vedere nell’esperienza pasquale un anticipo di eterno, è possibile pensare che la vita eterna sarà un eterno processo di riconoscimento nell’amore, e cioè una scoperta sempre nuova dell’amore divino, che in Gesù è stato rivelato nel frammento del tempo. Come gli uomini delle origini cristiane, camminando attraverso l’oscurità della fede vissuta nella più totale libertà, hanno risposto all’iniziativa di amore del Risorto confessandolo come Signore della loro vita e della storia, così nella vita eterna all’iniziativa inesauribile dell’amore divino risponderà l’umile confessione della lode, il cantico eternamente nuovo dei redenti, che proclameranno Gesù Signore e Cristo e adoreranno il Padre, al quale il Risorto li ha condotti nello Spirito. La vita eterna in questo senso è eterno procedere verso le profondità del Padre, scoperta inesauribile della Sorgente eterna, novità sempre nuova del cammino verso l’abisso mai risolto del mistero di Dio.


E, infine, nell’esperienza pasquale all’iniziativa del Risorto ed al riconoscimento che ad essa corrisponde da parte dei discepoli, fa seguito la missione: «Di questo sarete testimoni!». Coloro che hanno incontrato il Risorto non possono fermare nel segreto del cuore l’intensità dell’esperienza che hanno vissuto. Essi devono “andare” ad annunciare Colui che, abbandonato nell’oscurità del Venerdì Santo, è stato costituito Signore e Cristo per la riconciliazione del mondo. L’esperienza registrata dai racconti delle apparizioni pasquali è trasformante: essa segna per sempre coloro che la vivono nella forza dell’incontro col Risorto, spingendoli a dare tutto, finanche la vita per amore di Lui. Se c’è una corrispondenza fra questo “anticipo d’eterno” e l’eternità del futuro della vita in Dio, bisogna domandarsi a che cosa corrisponderà nella vita eterna il momento di “missione”, di trasformazione profonda e di proiezione al di fuori di sé verso gli altri per la causa di Dio. E’ possibile riconoscervi il permanente “invio”, il sempre nuovo cominciare, che nella storia dell’amore eterno sempre di nuovo si compie. All’iniziativa eterna dell’amore corrisponde il processo eterno del riconoscimento dell’amore in un perenne nuovo inizio, in una perennità del dono da parte del Padre e in una perennità della risposta da parte del Figlio e in Lui della creatura ammessa per grazia alla festa senza fine del Regno di Dio.


 

C’è come una missione nel seno della Trinità, di cui le missioni storiche del Figlio e dello Spirito sono rivelazione e proiezione per la nostra salvezza. Questo eterno invio del Figlio nello Spirito da parte del Padre fonda l’eterno invio dei “figli nel Figlio” perché realizzino nel tempo e nell’eternità l’unico, profondo senso dell’esistenza: la gloria di Dio tutto in tutti. All’eternità dell’invio corrisponde l’eternità del lasciarsi inviare: la vita eterna è il permanente ricominciare nel saperci fatti per la gloria di Dio; è la gioia di voler sempre di nuovo, nel giorno eterno di Dio, ricominciare a dire di sì all’Amore più grande di ogni amore.


In questo senso si può dire che la vita eterna è il giorno senza fine, non come attimo che tutto consumi in una ripetizione eterna dell’identico, ma come inesauribile processo di vita in cui tutto sempre comincia nell’intensità dell’amore divino. Vita eterna – a partire dall’anticipo d’eterno che è l’esperienza pasquale del Risorto – è dunque iniziare ad amare e rispondere all’amore nella perenne novità dell’essere in Dio, senza fine partecipi della Sua gloria. Nell’eternità la festa sarà un perenne cominciare ad amare da parte di Dio, un perenne e sempre nuovo sapersi amata da parte della creatura ed un suo perenne e sempre nuovo rispondere all’amore, avvolta nel movimento senza fine dell’eterna provenienza dell’amore, il Padre, dell’eterna venuta dell’amore, il Figlio, e dell’avvenire dell’amore eterno, lo Spirito.


L’immagine del “riposo” può certo essere utilizzata, allora, se con essa non si intenda l’assenza della vita, ma si voglia esprimere la gratuità della festa e della libertà del sempre nuovo iniziare ad amare.


Il giorno senza tramonto è la festa dell’amore che non conosce fine, che “è”, anzi, sempre e solo, di nuovo e in modo nuovo, “inizio”.


(da Jesus)


Qui l’articolo tratto da “Dimensione Speranza”




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19/11/2019 21:25
 
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Come saremo noi coniugi nella vita eterna?


MARE, COPPIA, NUOTARE




Il matrimonio cristiano è una vocazione alla santità che come tale si compie nel perimetro della vita terrena; l’amore prima mediato dallo sposo e dalla sposa diventa immediato in Dio, quando vivremo la nuova dimensione della vita eterna -Dio ci aiuti a raggiungerlo! -; ma del nostro legame non resterà traccia?




In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e gli posero questa domanda:
«Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello.
C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli.
Allora la prese il secondo
e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli.
Da ultimo anche la donna morì.
Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito;
ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito;
e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio.
Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe.
Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui». (Luca 20,27-38.)

Cerchiamo di contestualizzare questo Vangelo. Chi erano i sadducei? I sadducei erano l’elitè della società ebraico-palestinese del tempo di Gesù. Da loro proveniva quella classe dirigente e sacerdotale che spesso rappresentava gli ebrei di fronte ai romani. Erano pochi ma molto influenti. Non credevano, ed è quello che più ci interessa, nella vita eterna e nella resurrezione dai morti. Gesù, attraverso questa parola, ha voluto mettere in evidenza come su questo punto i sadducei sbagliano e conferma che siamo invece fatti per vivere in eterno. Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi. Questo blog aiuta a riflettere sulla nostra chiamata all’amore sponsale e questo Vangelo pone una questione importante. Come sarà la nostra vita nell’eterno di Dio? Come sarà la relazione tra gli sposi?

Non lo sappiamo come non sappiamo quasi nulla della vita eterna. E’ qualcosa che non ci appartiene ancora e che non possiamo comprendere. Ci sono però alcune riflessioni che possiamo fare assumendo alcune realtà e verità che conosciamo.

Il matrimonio è una vocazione. Attraverso il matrimonio possiamo rispondere all’amore di Dio. L’altro/a diventa mediatore tra noi e Dio. Amando l’altro/a possiamo amare Dio. Amando il fratello/la sorella che vediamo e che tocchiamo possiamo riamare Dio che non vediamo. Il matrimonio è un sacramento del corpo. Il corpo è parte integrante del matrimonio. Noi possiamo vivere il nostro matrimonio solo attraverso il corpo. Non basta la nostra parte più profonda e spirituale (la volontà, l’anima, il cuore) ma serve che l’amore che nasce nella nostra parte più profonda ed intima possa diventare visibile e concreto attraverso il corpo. Non c’è infatti matrimonio senza il primo rapporto fisico.

Da queste verità della nostra fede è chiaro che il matrimonio cessa con la morte. In paradiso potremo amare Dio direttamente senza più nessuna mediazione. Viene meno quindi lo scopo principale del matrimonio. Anche il nostro corpo sarà diverso, sarà trasfigurato, non sappiamo come ma sappiamo che sarà diverso. E’ quindi poco sensato e plausibile credere che la nostra sessualità possa essere vissuta come la viviamo ora.

Quindi non ci sarà più matrimonio, lo conferma anche Gesù, ma davvero possiamo pensare che i coniugi Quattrocchi, i coniugi Martin, Pietro e Gianna Beretta Molla, e tante altre coppie che hanno incarnato un amore matrimoniale stupendo poi non ne portino i segni anche nella vita eterna? Non ci credo. Di sicuro, più che una certezza è una speranza, resterà un’amicizia particolare. Sono sicuro che Luisa avrà un posto speciale nel mio cuore anche in Paradiso. Tutto quello che ho costruito con lei in questa vita non si cancella, non si resetta. Tutti i gesti di tenerezza, di cura, di intimità, di perdono, di ascolto, di presenza, di condivisione di gioie e dolori, tutte queste esperienze restano impresse in modo indelebile nel mio cuore. Il giorno della mia morte lascerò tutto qui in questa vita. Nella mia valigia porterò solo il mio cuore, l’amore dato e ricevuto e lei ne è parte integrante. Sono sicuro che il giorno del nostro matrimonio, il 29 giugno 2002, è iniziata una relazione che durerà per sempre. Nella vita eterna sarà sicuramente diversa e trasfigurata, ma ancora più bella e meravigliosa perché vissuta nella luce e alla presenza di Dio.

 

Papa Francesco in Amoris Laetitia cita un’affermazione di Tommaso D’Aquino che potete leggere nella Summa contra Gentiles. Una frase che spiega in modo preciso tutto il senso di questo articolo: Dopo l’amore che ci unisce a Dio, l’amore coniugale è la «più grande amicizia». Credo che questo sarà vero  per sempre. Questa amicizia non ci verrà mai tolta.

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO SUL BLOG MATRIMONIO CRISTIANO


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21/04/2021 16:57
 
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Includiamo qui anche alcuni scritti di mistici cristiani, che hanno in qualche modo, sperimentato lo stato di beatitudine celeste e ne ha fatto il racconto, secondo le loro capacità espressive.


- da una visione della mistica Maria Valtorta -




 

 
 
 
“Tenterò descrivere la inesprimibile, ineffabile, beatifica visione della tarda sera di ieri, quella che dal sogno dell'anima mi con­dusse al sogno del corpo per apparirmi ancor più nitida e bella al mio ritorno ai sensi. E prima di. accingermi a questa descrizio­ne, che sarà sempre lontana dal vero più che non noi dal sole, mi sono chiesta: :' Devo prima scrivere, o prima fare le mie pe­nitenze? ". Mi ardeva di descrivere ciò che fa la mia gioia, e so che dopo la penitenza sono più tarda alla fatica materiale dello scrivere.
Ma la voce di luce dello Spirito Santo — la chiamo così perché è immateriale come la luce eppure è chiara come la più sfolgo­rante luce, e scrive per lo spirito mio le sue parole che son suono e fulgore e gioia, gioia, gioia— mi dice avvolgendomi l'anima nel suo baleno d'amore; " Prima la penitenza e poi la scrittura di ciò che è la tua gioia. La penitenza deve sempre precedere tut­to, in te, poiché è quella che ti merita la gioia. Ogni visione nasce da una precedente penitenza e ogni penitenza ti apre il cammino ad ogni più alta contemplazione. Vivi per questo. Sei amata per questo. Sarai beata per questo. Sacrificio, sacrificio. La tua via, la tua missione, la tua forza, la tua gloria. Solo quando ti addor­menterai in Noi cesserai di esser ostia per divenire gloria ".
Allora ho fatto prima tutte le mie giornaliere penitenze. Ma non le sentivo neppure. Gli occhi dello spirito " vedevano " la sublime visione ed essa annullava la sensibilità corporale. Com­prendo, perciò, il perché i martiri potessero sopportare quei sup­plizi orrendi sorridendo. Se a me, tanto inferiore a loro in virtù, una contemplazione può, effondendosi dallo spirito ai sensi cor­porali, annullare in essi la sensibilità dolorifica, a loro, perfetti nell'amore come creatura umana può esserlo e vedenti, per la loro perfezione, la Perfezione di Dio senza velami, doveva acca­dere un vero annullamento delle debolezze materiali. La gioia della visione annullava la miseria della carne sensibile ad ogni sofferenza.

Ed ora cerco descrivere.
Ho rivisto ' il Paradiso. E ho compreso di cosa è fatta la sua Bellezza, la sua Natura, la sua Luce, il suo Canto. Tutto, insomma. Anche le sue Opere, che sono quelle che, da tant'alto, infor­mano, regolano, provvedono a tutto l'universo creato. Come già l'altra volta, nei primi del corrente anno, credo, ho visto la Ss. Trinità. Ma andiamo per ordine.
Anche gli occhi dello spirito, per quanto molto più atti a so­stenere la Luce che non i poveri occhi del corpo che non pos­sono fissare il sole, astro simile a fiammella di fumigante luci­gnolo rispetto alla Luce che è Dio, hanno bisogno di abituarsi per gradi alla contemplazione di questa alta Bellezza.
Dio è così buono che, pur volendosi svelare nei suoi fulgori, non dimentica che siamo poveri spiriti ancor prigionieri in una carne, e perciò indeboliti da questa prigionia. Oh! come belli, lucidi, danzanti, gli spiriti che Dio crea ad ogni attimo per esser anima alle nuove creature! Li ho visti e so. Ma noi... finché non torneremo a Lui non possiamo sostenere lo Splendore tutto d'un colpo. Ed Egli nella sua bontà ce ne avvicina per gradi.
Per prima cosa, dunque, ieri sera ho visto come una immensa rosa. Dico " rosa " per dare il concetto di questi cerchi di luce festante che sempre più si accentravano intorno ad un punto di un insostenibile fulgore.
Una rosa senza confini! La sua luce era quella che riceveva dal­lo Spirito Santo. La luce splendidissima dell'Amore eterno. To­pazio e oro liquido resi fiamma... oh! non so come spiegare! Egli raggiava, alto, alto e solo, fisso nello zaffiro immacolato e splen­didissimo dell'Empireo, e da Lui scendeva a fiotti inesausti la Lu­ce. La Luce che penetrava la rosa dei beati e dei cori angelici e la faceva luminosa di quella sua luce che non è che il prodotto della luce dell'Amore che la penetra. Ma io non distinguevo santi o angeli. Vedevo solo gli immisurabili festoni dei cerchi del pa­radisiaco fiore.
Ne ero già tutta beata e avrei benedetto Dio per la sua bontà, quando, in luogo di cristallizzarsi così, la visione si aprì a più ampi fulgori, come se si fosse avvicinata sempre più a me per­mettendomi di osservarla con l'occhio spirituale abituato ormai al primo fulgore e capace di sostenerne uno più forte.
E vidi Dio Padre: Splendore nello splendore del Paradiso. Linee di luce splendidissima, candidissima, incandescente. Pensi tei: se io lo potevo distinguere in quella marea di luce, quale doveva esser la sua Luce che, pur circondata da tant'altra, la annullava facendola come un'ombra di riflesso rispetto al suo splen­dere? Spirito... Oh! come si vede che è spirito! E' Tutto. Tutto tanto è perfetto. E' nulla perché anche il tocco di qualsiasì altro spinto del Paradiso non potrebbe toccare Dio, Spirito perfettis­simo, anche con la sua immaterialità: Luce, Luce, niente altro che Luce.
Di fronte2 al Padre Iddio era Dio Figlio. Nella veste del suo Corpo glorificato su cui splendeva l'abito regale che ne copriva le Membra Ss. senza celarne la bellezza superindescrivibile3. Maestà e Bontà si fondevano a questa sua Bellezza. I carbonchi delle sue cinque Piaghe saettavano cinque spade di luce su tutto il Paradiso e aumentavano lo splendore di questo e della sua Persona glorificata.

Non aveva aureola o corona di sorta. Ma tutto il suo Corpo emanava luce, quella luce speciale dei corpi spiritualizzati che in Lui e nella Madre è intensissima e si sprigiona dalla Carne che è carne, ma non è opaca come la nostra. Carne che è luce. Questa luce si condensa ancor di più intorno al suo Capo. Non ad aureola, ripeto, ma da tutto il suo Capo. Il sorriso era luce e luce lo sguardo, luce trapanava4 dalla sua bellissima Fronte, senza ferite. Ma pareva che, là dove le spine un tempo avevano tratto sangue e dato dolore, ora trasudasse più viva luminosità.
Gesù era in piedi col suo stendardo regale in mano come nella visione che ebbi in gennaio, credo.
Un poco più in basso di Lui, ma di ben poco, quanto può es­serlo un comune gradino di scala, era la Ss. Vergine. Bella co­me lo è in Ciclo, ossia con la sua perfetta bellezza umana glori­ficata a bellezza celeste.
Stava fra il Padre e il Figlio che erano lontani tra 5 loro qual­che metro. (Tanto per applicare paragoni sensibili). Ella era nel mezzo e, con le mani incrociate sul petto — le sue dolci, candidis­sime, piccole, bellissime mani — e col volto lievemente alzato — il suo soave, perfetto, amoroso, soavissimo volto — guardava, adorando, il Padre e il Figlio.
Piena di venerazione guardava il Padre. Non diceva parola, tutto il suo sguardo era voce di adorazione e preghiera e can­to. Non era in ginocchio. Ma il suo sguardo la faceva più pro­strata che nella più profonda genuflessione, tanto era adorante. Ella diceva: " Sanctus! ", diceva: " Adoro Te! " unicamente col suo sguardo.
Guardava il suo Gesù piena di amore. Non diceva parola. Ma tutto il suo sguardo era carezza. Ma ogni carezza di quel suo occhio soave diceva: " Ti amo! ". Non era seduta. Non toccava il Figlio. Ma il suo sguardo lo riceveva come se Egli le fosse in grem­bo circondato da quelle sue materne braccia come e più che nel­l'Infanzia e nella Morte. Ella diceva: "Figlio mio!", "Gioia mia! ", " Mio amore! " unicamente col suo sguardo.

Si beava di guardare il Padre e il Figlio. E ogni tanto alzava più ancora il volto e lo sguardo a cercare l'Amore che splendeva alto, a perpendicolo su Lei. E allora la sua luce abbagliante, di perla fatta luce, si accendeva come se una fiamma la investisse per arderla e farla più bella. Ella riceveva il bacio dell'Amore e si tendeva con tutta la sua umiltà e purezza, con la sua carità, per rendere carezza a Carezza e dire: " Ecco. Son la tua Sposa e ti amo e son tua. Tua per l'eternità ". E lo Spirito fiammeggia­va più forte quando lo sguardo di Maria si allacciava ai suoi fulgori.
E Maria riportava il suo occhio sul Padre e sul Figlio. Pareva che, fatta deposito dall'Amore, distribuisse questo. Povera im­magine mia! Dirò meglio. Pareva che lo Spirito eleggesse Lei ad essere quella che, raccogliendo in sé tutto l'Amore, lo portasse poi al Padre e al Figlio perché i Tre si unissero e si baciassero di­venendo Uno. Oh! gioia comprendere questo poema di amore! E vedere la missione di Maria, Sede dell'Amore!
Ma lo Spirito non concentrava i suoi fulgori unicamente su Maria. Grande la Madre nostra. Seconda solo a Dio. Ma può un bacino, anche se grandissimo, contenere l'oceano? No. Se ne empie e ne trabocca. Ma l'oceano ha acque per tutta la terra. Così la Luce dell'Amore. Ed Essa scendeva in perpetua carezza sul Padre e sul Figlio, li stringeva in un anello di splendore. E si allargava ancora, dopo essersi beatificata col contatto del Pa­dre e del Figlio che rispondevano con amore all'Amore, e si stendeva su tutto il Paradiso,Ecco che questo si svelava nei suoi particolari... Ecco gli an_ geli. Più in alto dei beati, cerchi intorno al Fulcro del Cielo che è Dio Uno e Trino con la Gemma verginale di Maria per cuore Essi hanno somiglianzà più viva con Dio Padre. Spiriti perfetti ed eterni, essi sono tratti di luce, inferiore unicamente a quella di Dio Padre, di una forma di bellezza indescrivibile. Adorano... sprigionano armonie. Con che? Non so. Forse col palpito del loro amore. Poiché non son parole; e le linee delle bocche non smuo­vono la loro luminosità. Splendono come acque immobili per­cosse da vivo sole. Ma il loro amore è canto. Ed è armonia così sublime che solo una grazia di Dio può concedere di udirla senza morirne di gioia.
Più sotto, i beati. Questi, nei loro aspetti spiritualizzati, han­no più somiglianzà col Figlio e con Maria. Sono più compatti, di­rei sensibili all'occhio e — fa impressione — al tatto, degli an­geli. Ma sono sempre immateriali. Però in essi sono più marcati i tratti fisici, che differiscono in uno dall'altro. Per cui capisco se uno è adulto o bambino, uomo o donna. Vecchi, nel senso di decrepitezza, non ne vedo: Sembra che anche quando i corpi spi­ritualizzati appartengono ad uno morto in tarda età, lassù cessino i segni dello sfacimento della nostra carne. Vi è maggior impo­nenza in un anziano che in un giovane. Ma non quello squallore di rughe, di calvizie, di bocche sdentate e schiene curvate pro­prie negli umani. Sembra che il massimo dell'età sia di 40, 45 anni. Ossia virilità fiorente anche se lo sguardo e l'aspetto sono di dignità patriarcale.

Fra i molti... oh! quanto popolo di santi!... e quanto popolo di angeli! I cerchi si perdono, divenendo scia di luce per i tur­chini splendori di una vastità senza confini! E da lungi, da lungi, da questo orizzonte celeste viene ancora il suono del sublime alleluia e tremola la luce che è l'amore di questo esercito di an­geli e beati...
Fra i molti vedo, questa volta, un imponente spirito. Alto, se­vero, e pur buono. Con una lunga barba che scende sino a metà del petto e con delle tavole in mano. Le tavole sembrano quelle cerate che usavano gli antichi per scrivere. Si appoggia con la mano sinistra ad esse che tiene, alla loro volta, appoggiate al g1' nocchio sinistro. Chi sia non so. Penso a Mosè o a Isaia. Non so perché. Penso così. Mi guarda e sorride con molta dignità. Null'altro. Ma che occhi! Proprio fatti per dominare le folle e pe­netrare i segreti di Dio.
Lo spirito mio si fa sempre più atto a vedere nella Luce. E vedo che ad ogni fusione delle tre Persone, fusione che si ripete con ritmo incalzante ed incessante come per pungolo di fame insaziabile d'amore, si producono gli incessanti miracoli che sono le opere di Dio.
Vedo che il Padre, per amore del Figlio, al quale vuole dare sempre più grande numero di seguaci, crea le anime. Oh! che bello! Esse escono come scintille, come petali di luce, come gem­me globulari, come non sono capace di descrivere, dal Padre. E' uno sprigionarsi incessante di nuove anime... Belle, gioiose di scendere ad investire un corpo per obbedienza al loro Autore. Come sono belle quando escono da Dio! Non vedo, non Io posso vedere essendo in Paradiso, quando le sporca la macchia origi­nale.
Il Figlio, per zelo per il Padre suo, riceve e giudica, senza soste, coloro che, cessata la vita, tornano all'Origine per esser giudicati. Non vedo questi spiriti. Comprendo se essi sono giudicati con gioia, con misericordia, o con inesorabilità, dai mutamenti del­l'espressione di Gesù. Che fulgore di sorriso quando a Lui si pre­senta un santo! Che luce di mesta misericordia quando deve se­pararsi da uno che deve mondarsi prima di entrare nel Regno! Che baleno di offeso e doloroso corruccio quando deve ripudiare in eterno un ribelle!


E' qui che comprendo ciò che è il Paradiso. E ciò di che è fat­ta la sua Bellezza, Natura, Luce e Canto. E' fatta dall'Amore. Il Paradiso è Amore. E' l'Amore che in esso crea tutto. E' l'Amore la base su cui tutto si posa. E' l'Amore l'apice da cui tutto viene.
Il Padre opera per Amore. Il Figlio giudica per Amore. Maria vive per Amore. Gli angeli cantano per Amore. I beati osannano per Amore. Le anime si formano per Amore. La Luce è perché è l'Amore. Il Canto è perché è l'Amore. La Vita è perché è l'A­more. Oh! Amore! Amore! Amore!... Io mi annullo in Te. Io ri­sorgo in Te, Io muoio, creatura umana, perché Tu mi consumi. Io nasco, creatura spirituale, perché Tu mi crei.
Sii benedetto, benedetto, benedetto, Amore, Terza Persona! Sii benedetto, benedetto, benedetto, Amore, che sei amore delle Due Prime! Sii benedetto, benedetto, benedetto, Amore, che ami i Due
che ti precedono! Sii benedetto Tu che mi ami. Sii benedett me che ti amo perché mi permetti di amarti e conoscerti , o Luce mia...                                                                                  
Ho cercato nei fascicoli, dopo aver scritto tutto questo, la cedente contemplazione del Paradiso. Perché? Perché diffido se pre di me e volevo vedere se una delle due era in contraddizione con l'altra. Ciò mi avrebbe persuasa che sono vittima di un inganno.
No. Non vi è contraddizione. La presente è ancor più nitida ma ha le linee essenziali uguali. La precedente è alla data 10 gen­naio 1944 . E da allora io non l'avevo mai più guardata. Lo as­sicuro come per giuramento.


Dice a sera Gesù:

« Nel Paradiso che l'Amore ti ha fatto contemplare vi sono uni­camente i " vivi " di cui parla Isaia nel cap. 4, una delle profezie che saranno lette domani l'altro 7. E come si ottiene questo esser " vivi " lo dicono le parole susseguenti. Con lo spirito di giustizia e con lo spirito di carità si annullano le macchie già esistenti e si preserva da novelle corruzioni 8.
Questa giustizia e questa carità che Dio vi da e che voi gli do­vete dare, vi condurranno e vi manterranno all'ombra del Ta­bernacolo eterno. Là il calore delle passioni e le tenebre del Ne­mico diverranno cosa innocua ' poiché saranno neutralizzate dal Protettore vostro Ss., che più amoroso di chioccia per i suoi nati vi terrà al riparo delle sue ali e vi difenderà contro ogni sopran naturale assalto. Ma non allontanatevi mai da Lui che vi ama.
Pensa, anima mia, alla Gerusalemme che ti è stata  mostrata.  Non merita ogni cura per possederla? Vinci. Io ti attendo.   Noi  ti attendiamo. Oh! questa parola che vorremmo dire a tutti i  creati, almeno a tutti i cristiani, almeno a tutti i cattolici, possiamo dire a tanto pochi!
Basta perché sei stanca. Riposa pensando al Paradiso. »



FONTE:

“I quaderni del 1944”
Edizioni CEV
- Dettati, visioni e rivelazioni di Gesù e Maria Santissimi a Maria Valtorta-

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21/04/2021 17:00
 
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 dalle parole di Padre Pio apparso dal Cielo ad un'anima privilegiata -

 


Padre Pio da vivo appariva a molti per bilocazione; anche dopo la morte continua a manifestarsi a certe persone.
È apparso ad un'anima privilegiata ed ha dettato il seguente messaggio. Si riporta fedelmente.


Padre Pio è apparso circonfuso di luce meravigliosa, in mezzo ai fiori e circondato dagli Angeli. Le sue piaghe erano luminose, ma più che tutto la piaga del costato. Sul petto aveva una Croce, però senza Crocifisso.
Il Crocifisso era lui.
"Caro fratello,
scrivi, non aver paura! Sono Padre Pio! Viva eternamente Gesù Re e Padrone di tutto l'universo!
Dal trono della mia gloria faccio giungere a te la mia parola, mentre sei nel mare tempestoso della vita umana, che si dibatte e nuota nel letamaio di ogni sozzura.
Io, Padre Pio, amante di Gesù Crocifisso, copia vivente della sua vita crocifissa, ho il permesso di comunicarti quanto mi è avvenuto appena spirato.
L'Onnipotente Iddio, giustissimo ed amabilissimo, ha permesso che l'anima mia rimanesse ancora per tre giorni nel globo terrestre, ai piedi del Tabernacolo, per riparare tutte le irriverenze che si erano commesse a causa della mia presenza affollata ed attenzionata nel luogo santo di Dio.
L'essere rimasto tre giorni ai piedi del Tabernacolo non vuol dire discapito della santità, che l'infinita bontà di Dio ha voluto elargirmi.
Nell'istante del mio trapasso ho compreso nella luce di Dio il bisogno di un atto completo di riparazione, per tutte le anime che hanno commesso per tanti anni per causa mia tante mancanze di riverenza innanzi al Santissimo Sacramento.
L'anima innamorata di Dio, conoscendo alla luce del Sole Eterno che si avvicina la bellezza di Dio, si precipita da se stessa a donare al Signore l'ultimo attestato d'amore e di riparazione. Quindi nulla di strano quei tre giorni di riparazione. Contemporaneamente sono stato degno di essere simile a Cristo sino all'ingresso della fulgente gloria che mi attendeva.
Non è rimasto Cristo tre giorni e tre notti nel sepolcro? E il corpo verginale della dolcissima nostra Mamma Immacolata non è rimasto sulla terra tre giorni e tre notti?
Imperscrutabili disegni divini che la ragione umana stenta a capire!
Ma mentre l'anima Santissima di Gesù godeva la gloria beatifica della sua Divinità nel seno del Padre suo Celeste, per me i tre giorni passati ai piedi del Tabernacolo sono stati un po' penosi.
 
Poi l'anima mia vibrò il suo volo, sostando nelle mansioni del Cielo per contemplare tutta la grandezza di un Dio Onnipotente. Dopo varcai la soglia ultima, ove l'anima mia inabissandosi contemplò tutti gli arcani che si godono nel Paradiso.
Non parlo del gran premio dovuto a tante mie sofferenze, poiché, se mi fosse stato possibile, avrei preferito rimanere sulla terra a soffrire sino alla fine del mondo, per riparare una sì grande Maestà Divina tanto oltraggiata e per potere salvare ancora altre anime.
Oh, anime trasandate, avvalorate la vostra esistenza! Fatene grande tesoro per la vita eterna!
La mia missione però continuerà ancora; non sarò inoperoso; accompagnerò le anime che mi furono care, vigilerò quelle vacillanti nella Fede. Sarò con voi finché disporrà così la Divina Volontà.
Invocatemi nei vostri assilli penosi, nella tormentosa valle di lacrime! Vi aiuterò e vi assisterò affinché non vacilli la vostra Fede e rendiate gloria al Signore, che vi ha creati dal nulla.
In Cielo sono in continuo colloquio con Dio per salvare le anime; ma specialmente ricorro alla Regina del Cielo e della terra; assieme alla Madonna svolgo la mia missione ... E’ tempo di grande corruzione nel mondo, ma è anche tempo di grande misericordia da parte di Dio, che ancora attende affinché i suoi meriti infiniti vengano utilizzati.
Ti ho detto che il Purgatorio l'ho fatto ai piedi del Tabernacolo; così è piaciuto al Signore. Potevo farne di più e diversamente.
Il mio Purgatorio l'ho fatto in vita sulla terra, segnato dalle Piaghe di Gesù Crocifisso e con l'anima continuamente in una penosa angoscia, simile a quella che patì Gesù sulla Croce nella sua dolorosa agonia. Ho potuto vivere tanto per l'assistenza che mi donava il Signore.
 
Vuoi sapere quale sia la mia gloria? Puoi formarti una pallida idea.
Vi sono delle gioie paradisiache che si esplorano sempre più e si rimane sempre estasiati. Però non è per tutti la medesima gloria. L'anima che ha amato di più, che ha sofferto di più e che si è conservata nella vera purezza, quest'anima è capace di gustare il mistero comprensivo della Celeste Gerusalemme.
Io mi trovo accanto al mio caro Padre Francesco, circondato dai Serafini e dai Cherubini, i quali osannano l'inno dell'amore e della gloria.
Nel mondo si vive senza Fede, oppure con Fede languida.
Quelli che sono un po' vicini al Signore, potrebbero lavorare di più ed impreziosire l'anima di succhi vitali.
Beate quelle anime, che da api industriose arrivano a raggiungere la meta celeste con la loro corona sul capo ben formata!
Intanto si pensa a godere nel mondo e si pecca tanto. Ci sono minacce di Dio inesorabili. Tutta la Corte celeste adora e supplica l'Onnipotenza Divina affinché si plachi. Quindi ... pregate tutti ed offrite!
 
Tutti dicono: È morto Padre Pio! E' morto Padre Pio! -
Ma come si dice « morto » chi raggiunge la vera vita, l'eternità?
L'anima immortale lascia la sua spoglia corporale per godere la vera felicità. Morti sono tutti quelli che vivono lontani da Dio, senza vivere la vera vita, cioè la grazia divina. L'anima morta alla grazia, vivendo nelle tenebre, ha il suo corpo come un cadavere ambulante, senza consistenza essenziale. Tutta la vita che anima il corpo è la sostanza reale diffusa dalla vita dell'anima. Quindi quel titolo di «morte» per i seguaci di Cristo è assurdo. Si dovrebbe dire «passaggio», «viaggio alla casa paterna».
Nel mondo si viaggia tanto, conducendo la propria anima nel misero frale che la racchiude; quindi sono le facoltà intellettuali che agiscono, protette dall'anima.
Guai a quelli che non conoscono bene cosa significhi passare dalla terra all'eternità! Si sente grande paura perché non si vive di realtà vitale; per tal motivo si dà molto adito all'umanità, vivendo una vita di mezze misure.
Amate la vera vita che vi conduce a Cristo! La carne deve servire di strumento per tesoreggiare il viaggio per le nozze eterne! Niente paura! Chi sa viaggiare, troverà il suo trionfo, il trionfo di aver bene custodito il tesoro dell'anima immortale in una spoglia terrestre, il corpo, il quale alla fine risorgerà splendente per godere la beatitudine celeste. Più il corpo si tiene a freno mortificandone le forti passioni, più si mantiene nella purezza, più serve per operare il bene e maggiormente risplenderà nella beata eternità.
La morte non è morte per chi ha vissuto la vita di Cristo, ma è vita. L'anima è il centro vitale di tutto l'essere umano; appena lascia il corpo, si lancia come freccia a Dio, Fonte di vita, per iniziare la vita senza fine. Stando così le cose, le anime in grazia di Dio non devono sentire quel senso di terrore all'approssimarsi dell'ora suprema dell'incontro con il Creatore.
 
Da parecchi sono stato giudicato scontroso, irascibile.
Eccone il motivo! Quante lotte intime dovetti superare contro il nemico dell'orgoglio, che a volte fortemente mi molestava e quindi in certe circostanze propizie dovevo agire diversamente.
Ma non si deve facilmente giudicare un'anima, che umilmente ama, serve e si sacrifica per la gloria di Dio.
Caro fratello in Cristo e con Cristo, ti raccomando di occuparti attualmente come poter onorare sempre più la gran Madre di Dio e Madre nostra.
Se tu fossi in Cielo, notando ciò che d'impuro regna nel cuore dell'uomo e come l'uomo vorrebbe capovolgere i piani di Dio manifestati attraverso la Redenzione umana per mezzo di Maria Immacolata, tu ti vorresti precipitare, se ti fosse possibile, sulla terra per manifestare al mondo la verità infallibile del Verbo Incarnato nel seno purissimo di Maria Vergine, per opera e virtù dello Spirito Santo.
Pur sapendo tu tutto ciò che vi è nel mondo, non puoi arrivare a comprenderlo pienamente, non trovandoti nell'eterno splendore di Dio.
Quanta costernazione ed anche paura, per esprimermi umanamente, reca in noi l'Infinita Giustizia di Dio che, vuole procedere nel vedere la sua Infinita Maestà vilipesa ed oltraggiata!
 
Tu, fratello mio, vorresti comprendere come i Beati possano godere e contemporaneamente avere costernazione e paura.
Sappi che essendo noi felici in Cielo, siamo costretti ad umanizzarci per farci comprendere meglio.
Non fu costretto ad umanizzarsi il Verbo di Dio, Gesù, per salvare l'umanità? Nulla perciò di strano se noi ci manifestiamo dolenti ed addolorati e se potremo assistere terrorizzati davanti alla grande sventura terribile che colpirà tutta l'umanità inquinata nella colpa senza via di scampo.
Gli Angeli, pur essendo Puri Spiriti, quando occorre non prendono le forme umane? Tutto è possibile a Dio, purché Egli lo voglia.
La manifestazione dolorosa deve apparire tale, quanto è costata alla redenzione di un Dio Onnipotente, di modo che l'uomo s'immedesimi dell'orrore che desta a Dio la sua presenza tenebrosa.
Quando il cielo è sereno e brilla il sole, l'uomo è felice di poter agire comodamente e senza incontrare ostacolo; ma quando il cielo si mostra offuscato e promette una torrenziale pioggia, allora sì che l'uomo prende dei provvedimenti per riguardarsi ... sempre volendolo.
Quanti scopi nefandi di libertinaggio immorale!
I cattivi, volendo mascherare la loro corruzione, vogliono offuscare o annullare gli attributi di Dio nella creazione e nella Redenzione per l'uomo caduto ed adesso depravato da tante nefandezze.
Il mondo cammina nelle tenebre; non vi è più via di scampo; peggio di Sodoma e Gomorra dovrebbe essere colpito ed addirittura ridotto nel nulla.
Non tardare a stillare un po' di luce del Cielo nelle anime; ma prima di tutto questa luce dovrebbero riceverla le anime consacrate..., rimodernate..., che vogliono cambiare la Manna Celeste con le ghiande degli animali immondi.
Cosa succederà nel mondo? ... Di fremiti angosciosi è pervasa la nostra gioia nel Cielo, poiché tutti abbiamo degli esseri umani sulla terra che ci appartengono. Premùrati! Non aver pausa di riflessione! Scrivi, parla, scuoti i cuori che si vogliono ingolfare nel letamaio.
Sono più di tutto i nostri Fratelli Consacrati quelli che amareggiano il «Pane della Vita», perché incominciano a marcire con la loro condotta.
Che prospettiva trafiggente! ... Che Babilonia di vedute! ... L'ora è gravissima e per i primi saranno loro ad essere coinvolti dalla bufera, poiché per loro e per mezzo di loro si attinge tanto male nel mondo.
 
Metti in atto il tuo programma:
1° Manifestare al mondo l'Immacolatezza di Maria Vergine;
2° Manifestare che le Anime Consacrate, non volendo seguire le norme della purezza e della continenza verginale, non sono degne di rimanere nel servizio di Dio presso i Tabernacoli Santi.
Occorre molta preghiera, un po' di penitenza, più vicinanza verso Gesù Eucaristia, più dedizione ed immolazione. Ci vogliono delle vittime che riparino, delle anime ostie, delle anime pure. La sofferenza delle anime pure penetra i Cieli.
Che non dormano i fedeli! Aiutino gli interessi del loro Creatore; evitino i passatempi inutili, la televisione a lungo tempo!
Privazione, penitenza, zelo per la gloria di Dio!
Ti propongo di manifestare al mondo ancora due problemi importanti, che si valorizzano tanto nella Gloria Beatifica, ove ci troviamo. Se ci fosse possibile scendere sulla terra, saremmo pronti a venire per tesoreggiare ognuno di noi quei vuoti, grandi e piccoli, sfuggiti inutilmente per il tempo perduto.
Dio ha creato l'uomo, non per perdersi nel tempo, ma per salvarsi e santificarsi per mezzo del tempo, utilizzato per la Celeste Patria che attende tutti.
È la perdita del tempo passato inutilmente nel peccato, che gradatamente trascina nell'inferno.
In secondo luogo, inculca la necessità di vivere alla presenza di Dio. Com'è importante vivere alla presenza di Dio!
Il Signore stesso disse ad Abramo, quando lo costituì padre di grande generazione: Cammina alla mia presenza e sii perfetto!
Giuseppe, figlio di Giacobbe, invitato a fare il male in casa di Putifarre, si rifiutò energicamente dicendo: Come posso io fare una cattiva azione alla presenza del mio Dio? - In conseguenza di ciò fu calunniato e poi rinchiuso in una prigione.
Ma il Signore era con Giuseppe e lo premiò facendolo entrare nelle grazie del governatore della prigione, il quale gli affidò tutti i prigionieri e tutti stavano ai suoi ordini.
Inoltre il Signore lo premiò dandogli il, dono della Profezia e così uscì dalla prigione e fu costituito vice Re d'Egitto.
La casta Susanna, invitata a peccare, al pensiero « Dio mi vede! » disse il suo « no » risoluto. I tentatori delusi costruirono una calunnia e la condannarono a morte.
Il Signore volle premiarla e mandò il Profeta Daniele a scoprire la calunnia. Furono condannati gli accusatori di Susanna ed essa fu liberata da quell'infame calunnia, che doveva condurla al martirio.
 
Problemi importantissimi sono questi degli ultimi tempi tanto peccaminosi di scandali! Si vive come se Dio non esistesse e quelli che conoscono la divina esistenza, cercano di sfuggire il loro sguardo da Dio per non procurarsi preoccupazioni nella libertà della loro condotta traviata.
Tante anime si pascolano a conoscere ed a sapere quello che io abbia fatto e detto a San Giovanni Rotondo; ma non si sanno fermare ad una base ferma e convincente.
Ti raccomando di insistere per fare progredire l'amore ed il bisogno verso quell'atto supremo dell'infinito amore che ha prodigato Gesù nel donare tutto se stesso senza limiti alle anime.
Che si senta questa gratitudine verso Gesù Eucaristia e che si metta in pratica! Il Tabernacolo è la sorgente della vita; è sostegno, pace, aiuto, conforto delle anime affrante.
Si deve andare a Gesù con vera fede e non per abitudine, per dimenticarlo al più presto possibile! Vivere di fede, di quella fede viva che trasporta le anime verso le cose sublimi e non tuffarsi troppo sulla terra!
Il mondo è un passaggio. Si sappia lottare per svincolarsi dalle cose fugaci.
 
Se le anime non si avvicinano spesso al Fuoco Eucaristico, rimangono assiderate, senza slanci, tiepide, disadorne. E che ne riceve Gesù di consolazione da queste anime, che non hanno la forza di saper volare al di sopra di tutto il creato?
Si deve vivere assodate nella convinzione pratica per come si deve amare e servire il Signore.
Oh, se le anime conoscessero bene e avvalorassero il grande dono di Dio, rimasto vivente sulla terra, come si vivrebbe diversamente la vita!
Dal Tabernacolo si attinge ogni tesoro; l'anima si beatifica e vive trasformata in Dio. Senza sentire fame e sete del Dio Vivente, si vive una vita vuota, oscura, la quale non riceve alcuno incremento.
 
Si attribuiscono a me miracoli, profezie, bilocazione, stigmatizzazione, ecc. Ma io non sono stato altro che un indegno strumento del Signore. Senza la pioggia caduta dal cielo, la terra non produce che triboli e spine.
In qualche modo Gesù si deve servire di qualche anima per dimostrare al mondo la sua esistenza e la sua onnipotenza. A tante anime il Signore ha donato tante grazie, ma poi se l'è ritirate, perché vuole la corrispondenza. Il seme deve germogliare; il terreno deve essere fertile. Solamente si deve sapere accogliere Dio che bussa e se non si apre generosamente ad accogliere la sua visita ... passa oltre ... non si ferma a fare la sua dimora; occorre disposizione e questo è dovere; il rimanente lo fa Lui e lo sa fare bene.
L'anima però che cerca e vuole la visita di Dio, si deve appartare dal frastuono del mondo.
Il buon Dio ha trovato me ... solitario e nella preghiera; ha bussato alla porta del mio cuore ed io l'ho accolto, pensando che era doveroso accogliere un Dio che mi aveva creato.
 
Amare Dio è il massimo dovere della vita ed io l'ho compreso fin da bambino, come lo comprendono anche adesso tanti bambini non ancora avviziati dal mondo.
Sono le famiglie che tengono la porta chiusa alla luce del sole! Sono le famiglie sciupatrici del tempo attorno al televisore, circondate dai loro piccoli! Attendono con ansia le puntate interessanti e non si preoccupano dei piccoli che attingono tanto veleno nei loro cuoricini innocenti ... e quindi il Signore passa!
Questo è il tempo attuale: il passaggio di Dio, senza donargli la libertà di fermarsi! E poi ... povere famiglie, che di una casa formano una stamberga di ribellione!
Io, per grazia di Dio, ho riempito la mia giornata e credo di aver fatto il mio dovere nel donare all'amore tutto ciò che Lui per amore ha donato a me lungo il suo Calvario.
 
Se si sapesse quanto viene centuplicatamene ricompensato da Dio ogni minimo atto, fatto per amor suo! A tutte quelle migliaia di persone che sono venute a trovarmi a San Giovanni Rotondo, non badando a scomodità e sacrifici, domando:
Avete cambiata la vostra condotta? Quali frutti avete ricavato nell'avvicinare un povero servo di Dio? Se foste tutte cambiate, avreste portato la luce nel mondo. I vostri contatti con me hanno portato pochi frutti, altrimenti il mondo non peggiorerebbe sempre più!
Pensate: Se il seme sotto terra non muore, non prende radice; se l'uomo non muore a tutte le inclinazioni della carne, non può avere vita.
L'uomo e la donna, nel paradiso terrestre, non hanno saputo né lottare né vincere la lotta diabolica dell'orgoglio e sono stati vinti, caduti nelle zampe di Satana; il loro peccato è caduto su tutta la generazione sino alla fine del mondo e quindi la lotta rivive sempre nell'uomo, perché prodotta dal peccato. Come un padre snaturato, menando una vita scandalosa, perverte con il suo cattivo esempio anche i figli, così Adamo ha pervertito il mondo.
Quello che adesso sto annunziando, tu, caro fratello, lo puoi liberamente riferire, poiché è urgente che l'umanità si scuota e si svegli, che non dorma nel pantano della colpa, che riconosca l'onnipotenza di Dio, tre volte Santo, e che dal suo cuore sgorga latte e miele e non livore.
I flagelli se li procura l'uomo con le sue manifestazioni di ribellione contro l'Altissimo Dio. L'uomo, abbandonato a se stesso da Dio, si avvia verso il baratro di ogni perdizione.

Scrivi anche questo:
Non si comprende abbastanza la grande importanza dell'anima quando deve comparire innanzi all'Infinita Maestà di un Dio Giudice.
Anche certi Santi, pur avendo eccelsa santità, hanno per pochi istanti attesa l'entrata nell'eterna gloria per certe cose che sembrano all'occhio umano dei nonnulla.
Ogni anima deve corrispondere secondo i talenti elargiti dal Signore.
Ti lascio, o fratello, questa eredità:
Il Crocifisso, l'Eucaristia, il Cuore Immacolato di Maria e le anime da salvare!"

Don Giuseppe Tomaselli
(morto in concetto di santità )

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