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LA CUSTODIA DEL CREATO

Ultimo Aggiornamento: 08/10/2014 14:25
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03/09/2011 16:54
 
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Il pensiero biblico

Ma più profondamente, si deve inoltre osservare la totale infondatezza delle accuse mosse al genuino pensiero biblico. E sono proprio i brani della Genesi «incriminati» [connotati dai due verbi - chiave «dominare» (radah) e «soggiogare» (kabas)] a permettere un’adeguata riflessione teologica ed etica sul rapporto Dio – mondo - uomo1.

Al di là di alcune letture superficiali che possono essere state fatte, la più moderna esegesi identifica nell'idea di «dominio» insita nel verbo radah il governo del mondo, il suo ordinamento gerarchico alla superiorità dell'uomo fatto ad immagine di Dio. Anzi, secondo alcuni esegeti, l'«immagine» di cui parla il testo sacro consisterebbe proprio in tale attitudine a governare il mondo.

Quanto al secondo verbo, esso significa letteralmente «porre il piede su qualcosa in segno di dominio» e quindi prendere possesso di un dato territorio. In sostanza vi è espressa la consegna del mondo come dimora dell'umanità. Dio, dunque, dà il mondo all'uomo come suo habitat perché vi abiti e lo governi, ordinatamente «per suo conto». E un bene che gli è proprio ma che non gli appartiene, un bene da custodire responsabilmente ma non inattivamente. Anzi coltivandolo perché renda, perché fruttifichi, perché in esso sia perpetuata e moltiplicata l'opera della creazione.


La dichiarazione Futuro della creazione e futuro dell'umanità della Conferenza episcopale della Germania Occidentale del 23 Settembre 1980 così precisa la posizione dell'uomo nel mondo, raccogliendo in sintesi le indicazioni offerte dai primi due capitoli del libro della Genesi:


«La Bibbia inizia con due racconti della creazione. Entrambi danno espressione al rapporto fra l'uomo e il resto della creazione. Nel primo racconto della creazione Dio dice ai primi uomini: 'siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci dei mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra' (Gen 1,28). La grandezza sovrana di Dio si riflette nell'uomo che, in quanto immagine e rappresentante di Dio, deve dominare la creazione e assoggettarla a sé. Nel secondo racconto della creazione l'originario ambiente di vita dell'uomo è il giardino 'perché lo coltivasse e lo custodisse' (Gen 2,15).

Dominare e custodire sono le due diverse parole fondamentali che dominano nei due racconti (... ). L'uomo non è riducibile alla funzione di lavorare la terra e plasmare il mondo; allo stesso modo il mondo non si limita ad essere semplice materiale, materia grezza per l'uomo. Dunque, dominare e custodire non sono degli opposti, bensì s’integrano a vicenda. Le creature posseggono il loro valore proprio, sono indipendenti le une dalle altre e sono importanti le une per le altre (cf. Sal 104). Cionondimeno, il loro significato per l'uomo potrebbe essere racchiuso in questa formula: le altre creature esistono per l'uomo, ma l'uomo esiste solo con esse» (Il, n. 3).


E’, dunque, proprio il tema centrale dell'uomo come immagine di Dio a precisare senza possibilità d’equivoci la configurazione, lo statuto, le possibilità e i limiti dell'azione trasformatrice del mondo. Per una signoria che non è sul ma nell'universo e si volge alla sua realizzazione compiuta secondo il disegno di Dio creatore. Lo squilibrio e la devastazione, piuttosto, provengono dal travisamento dell'Adamo d’ogni tempo e d’ogni luogo, che si considera illusoriamente depositario di una supremazia autonoma e autogena (Gn 3). Da questa radice spuria, estranea all'ideale creativo originario e ad esso opposta, viene l'abuso manipolatore distruttivo.


Per la Bibbia, dunque, la desacralizzazione della natura - l’affermazione che essa, in quanto altra da Dio, non è né può essere divina, la sua veste o la sua epifania - non coincide in alcun modo con la sua riduzione ad oggetto sul quale il soggetto umano può rivendicare il dominio a piacimento. Per la Bibbia, infatti, la natura, pur non essendo divina - cioè altra da Dio - resta sempre di Dio, appartenente a lui e non all’uomo. Qualsiasi educazione ad un’etica ecologica, soprattutto per chi si muove nell’orizzonte della tradizione ebraico-cristiana, non può ripartire che da qui: da questa pagina creazionale che se, per un verso, fonda la fuoriuscita del soggetto umano dalla totalità, come vuole la modernità, per l’altro lo mantiene, diversamente da quanto ha pensato e realizzato la modernità, sotto un vincolo che gli impedisce di trasformare il mondo in oggetto.

Stando al primo capitolo della Bibbia, la natura, infatti, non è un soggetto di dominio, ma una realtà sette volte buona (tov): tutta buona (essendo questa valutazione ripetuta per ciascuna delle cose create) e pienamente buona (essendo il numero sette il numero della perfezione e della compiutezza). E lo è, per il testo biblico, almeno ad un triplice livello.


Ad un primo livello la natura è buona perché in essa quanto vi si trova o, vi si potrà trovare, risponde adeguatamente al bisogno di chi l’abita. I traduttori dei LXX della Bibbia, per esprimere questo livello di bontà, hanno fatto ricorso al termine krestos, che vuol dire utile. L’uomo non è una «parte» della natura ma il suo «centro»: però, non in quanto dominatore, bensì in quanto destinatario principale: e destinatario principale non in quanto intelligente o progettuale, ma in quanto povero o essere di bisogno. Ne consegue che, in un’educazione per un’etica ecologica, la vera conversione da operare, non è l’abbandono dell’antropocentrico per fare ritorno al cosmocentrico, ma il passaggio dall’antropocentrismo, inteso come dominio, all’antropocentrico inteso come bisogno e povertà. Il vero antropocentrismo, soprattutto quello della Bibbia, non è l’antropocentrismo di chi, con la sua intelligenza e il suo potere tecnologico, domina la natura, bensì quello di chi, consapevole della destinazione della natura alla felicità dell’uomo, la pone, per principio e di fatto, a suo servizio.


Ad un secondo livello la natura è buona perché essa, oltre a rispondere al bisogno umano, vi risponde con quella particolare modalità che è la compiutezza ed armonia delle forme che appagano l’occhio che le guarda. In questa seconda accezione le cose sono buone perché belle. E’ stata soprattutto la grecità ad avere colto e oggettivato questa dimensione di bontà, per la quale, come è noto, il mondo è kalos kai agathos: dove il bello non sta accanto al buono ma dove, più in profondità, il bello si identifica con lo stesso buono.


Ma al di là della bontà come bellezza, il testo biblico conosce un terzo livello di bontà - quello più radicale e fondativo dei due precedenti - che non si identifica con essa ma la trascende. Solo riscoprendo questo terzo livello di bontà, per la Bibbia è possibile un rapporto con la natura né di dominio né di dipendenza, ma di rispetto e di tenerezza che, nel suo movimento, assume il regno animale e lo stesso regno vegetale. Per la Bibbia e per le grandi tradizioni religiose, la natura è buona - «sette volte» buona, cioè totalmente buona soprattutto secondo questa ultima e radicale accezione: non solo perché risponde al bisogno umano, non solo perché è armonia e perfezione di forme, ma soprattutto perché nasconde e rivela, nella sua profondità ultima, inaccessibile e indicibile, una presenza generosa che, pur sottesa ad essa, non si identifica con essa e la cui bontà è altra sia da quella dell’appetizione che da quella della perfezione: una bontà da non fruire come utile o da riprodurre come forma, ma da accogliere e acconsentire. I LXX, per esprimere questo livello del tob biblico, hanno fatto ricorso al termine agathos, inteso non più come l’equivalente del bello ma come il suo trascendimento. Nell’accezione biblica, infatti, l’affermazione del mondo kalos kai agathos non equivale a identificare la bellezza con la sua bontà, come per la grecità, ma dischiudere, dentro la bellezza del mondo, un’ulteriore dimensione che la trascende.


1 A ciò si potrebbero aggiungere i temi veterotestamentari del sabato e della terra (dono di Dio a vantaggio di tutti) e quelli neotestamentari della diaconia (che esclude ogni dominio e sfruttamento) e della nuova creazione (che ora soffre e geme le doglie del parto). Insieme con il compito aperto alla riflessione teologica per una più approfondita e profetica trattazione del significato dell'attività umana nell'universo nella sua esplicazione presente e nella sua proiezione escatologica.


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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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