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FILOSOFI ED UOMINI DI CULTURA, CREDENTI

Ultimo Aggiornamento: 10/09/2021 19:09
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10/07/2011 15:12
 
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IL CRISTIANESIMO DI KIERKEGAARD

L'amore è un tema centrale in quanto sentimento edificante, è l'agape di Dio verso i propri figli, che però non cancella la forma di amore umano. L'amore è l'espressione dell'interiorità rapportato con la fede, ne segue che Kierkegaard ritenga che bisogna amare il prossimo come noi stessi. Amare per il cristiano è un dovere che segue la volontà di Dio. L'amore e l'amicizia non sono eterni, ma hanno in sé come punto di partenza Dio: devono essere altruistici e dipendenti da abnegazione. L'amore è compimento di una legge. Anche il matrimonio che Dio vuole per i suoi figli è l'unione eterosessuale fra uomo e donna che ha come vincolo l'amore che Dio vuole per le sue creature.

"L'amore è perciò principio e presupposto di ogni edificazione spirituale umana, giacché esso esprime l'azione di tutto l'uomo per l'uomo, azione esplicantesi in totalità nel senso dell'elevazione dell'amore stesso dalla sua significazione esclusiva, meramente sensibile, al significato spirituale inclusivo in Dio di tutta l'umanità". L'amore crede tutto, spera tutto, deve essere disinteressato e caritatevole. L'amore è un rapporto spirituale analogico che investe cielo e terra, Dio e gli uomini. L'amore è il dono gratuito di Dio nella carità. Solo Dio è tutto: "in lui l'amore può compiersi in quell'atto di abnegazione totale, di totale rinuncia che nel sacrificio di sé stesso si consacra in spirito come superiore a ogni differenza che non sia quella che caratterizza l'assoluta Maestà Divina.". Dio solo è in grado di aiutare l'uomo con la sua grazia e da parte dell'uomo è necessaria l'abnegazione cioè l'estrema manifestazione di fede. E' la fede che salva: le opere sono importanti, ma dipende da Dio considerarle. L'uomo per Kierkegaard non deve dimenticare la differenza con Dio: se facesse delle opere un merito, si metterebbe alla pari di Dio. E' Dio perciò che salva con il suo amore; non c'è come per noi cattolici il valore salvifico di mediazione della Chiesa, sposa di Cristo con i sacramenti.

Il pensiero di Kierkegaard risente innegabilmente del luteranesimo. Il filosofo studia Lutero dal 1846 fino al 1848, periodo in cui prova una fervida ammirazione. Più tardi, attaccando la chiesa stabilita sembra quasi che egli abbia un dubbio radicale sulla qualità cristiana della religione luterana. Per Lutero il peccato e la fede sono i due poli del cristianesimo: tutto è peccato senza fede. Anche Kierkegaard risente del pietismo del padre che è un luteranesimo radicalizzato nel senso di completo abbandono a Dio. Ma anche se pervaso dal protestantesimo secondo il filosofo vi è nel luteranesimo "un vizio radicale che ne costituisce il principio stesso e questo vizio consiste nel fatto che Lutero esprime il cristianesimo nell'interesse dell'uomo (…)"; nella religione luterana tutto si incentra nella salvezza individuale dell'anima e non sulla glorificazione di Dio. L'uomo per Kierkegaard non deve agire per sé stesso, ma avvicinandosi al cattolicesimo dice che deve agire per la gloria di Dio. L'antropomorfismo luterano è profondo "tanto che il protestantesimo, dopo aver soppresso la canonizzazione dei santi e dei martiri, propria della tradizione cattolica, ha trovato modo di sostituirla con la canonizzazione del piccolo borghese". Kierkegaard, criticando il luteranesimo così aspramente sembra avvicinarsi al cattolicesimo. Il filosofo infatti riconosce la grandezza del medioevo e del cattolicesimo del periodo che è stata "quella di accentuare il lato di Cristo come modello e non soltanto come dono alla maniera di Lutero". Inoltre aggiunge che il pericolo che il cattolicesimo ha è quello di dare all'imitazione di Cristo "una forma esteriore e legale e nel ridurre il merito all'osservanza meccanica del culto esteriore". Ci dice così che il luteranesimo avrebbe avuto valore se fosse stato correttivo del cattolicesimo del quindicesimo secolo (in cui oggettivamente anche noi cattolici riconosciamo gli errori del potere temporale), dando spazio alla necessità del rapporto personale con Dio. Anche il Concilio Vaticano II ha riconosciuto tale rapporto con Dio e valorizzato, se ricondotto alla chiesa come corpo mistico di Cristo.

L'errore che Kierkegaard attribuisce al protestantesimo è quello di essere diventato la norma tanto da diventare peggiore del male iniziale (il cattolicesimo). In Il diario il filosofo manifesta chiaramente la delusione nei confronti del protestantesimo: il cattolicesimo mantiene per Kierkegaard il concetto dell'ideale cristiano, mentre il protestantesimo è finitezza dal principio alla fine. E a Lutero rimprovera di aver tolto al Papa il potere per darlo al pubblico.

  Kierkegaard: a un passo dal cattolicesimo.

 Ci sono studiosi come Roos, Fabro e Spera che vedono un côté mistico nelle riflessioni kierkegardiane. Fabro vede un orientamento cattolico. "L'interiorità kierkegardiana è cattolica nel fondo. Essa è di fatto di preghiera e di trasporto filiale verso Dio, di impegno ascetico, di mediazione sulle Divine Persone, e sul verbo incarnato e spesso anzi con la guida di autori cattolici (l'Imitazione di Cristo: Taulero, San Bernardo, Blosio, San Alfonso Maria dei Liguori) e di un pietismo sano ispirato alla mistica cattolica ed in opposizione esplicita alle ore silenziose (Stille timer) della vaga interiorità protestante".

Ruttenbeck, prendendo a fondamento molti passi de Il Diario, ritiene che Kierkegaard se fosse vissuto ancora sarebbe diventato cattolico, e ciò anche perché egli si staccò dalla chiesa stabilita di Danimarca. Leggendo Ruttenbeck sembra che Kierkegaard avrebbe pensato che il protestantesimo fosse dal punto di vista cristiano disonestà ed ipocrisia, malgrado una simile constatazione l'entrare nella Chiesa Cattolica è un passo che non si risolse a fare, anche se gli altri se lo aspettavano da lui. Questo pensiero è di estrema chiarezza e dimostra come l'orientamento del filosofo fosse cattolico. Pur rimanendo profonda l'influenza luterana, che è dimostrata nel tema costante dell'inquietudine e dell'angoscia del singolo, Kierkegaard si è avvicinato al cattolicesimo. Ad esempio in Il diario ho notato il fatto che il filosofo riconosce il culto dei santi. "Dio crea dal nulla, meraviglioso si, ma Egli fa una cosa ancora più meravigliosa crea i santi (la coscienza dei santi) dai peccatori". Il filosofo non ha però compreso che i sacramenti, essendo la mediazione salvifica che Cristo, rivelatore del Padre, ci ha dato per mezzo della Chiesa, suo corpo mistico, sono anche le condizioni essenziali dell'interiorità e i mezzi di appropriazione personale. Appare evidente che, malgrado i suoi sforzi, egli rimanga .chiuso in una concezione pessimistica in cui la fede consiste nel disperare assolutamente di sé e nell'abbandonarsi a Cristo crocifisso, in un rapporto con Dio personale ed irrazionale, che anche il cattolicesimo non esclude se mediato dalla Chiesa.

Kierkegaard non crede che la Chiesa, come noi cattolici, con i sacramenti che lavano i peccati operi la giustificazione o remissione dei peccati perché il peccato non è annullato o abolito dalla Grazia di Cristo, ma solo nascosto. Rifiuta così la Chiesa come Corpo Mistico di Cristo che ha Cristo come fondatore capo e sostenitore. Per noi cattolici "Cristo è il capo del corpo della chiesa" (Coll. 1, 18). "La Chiesa infatti è un ovile la cui porta unica e necessaria è Cristo" (Giov. 10, 1-10). "E' pure un gregge di cui Dio stesso apre annunziato che ne sarebbe il pastore e le cui pecore anche se governate da pastori umani, sono però incessantemente condotte al pascolo e nutrite dallo stesso Cristo; il Pastore buono e Principe dei Pastori, il quale ha dato la sua vita per le pecore". Ne segue che noi cattolici crediamo in Dio, in Cristo e la Chiesa che Gesù ci ha dato poiché "Cristo è sempre presente nella sua Chiesa in modo speciale è presente nel sacrificio della messa, nelle persone del ministero, essendo egli stesso che, offertosi nella croce, offre sé stesso ancora tramite il mistero dei sacerdoti". Essendo la Chiesa Corpo Mistico, le cui membra siamo noi nell'unione con il Padre, con il Figlio e con lo Spirito, per noi cattolici Essa è ciò che ci avvicina alla Trinità Economica. Infatti la Chiesa nasce da Cristo unico mediatore che "ha costituito sulla terra e incessantemente sostenuta la sua Chiesa Santa, comunità di fede, di speranza e di carità quale organismo visibile". E il Papa ne è a capo poiché "Pietro in forza del primato (Mat. 16, 13-19) non è altro che un vicario di Cristo e in tal guisa si ha di questo corpo un solo capo principale cioè Cristo, il quale, pur continuando a governare arcanamente la Chiesa (…) visibilmente però la dirige attraverso colui che rappresenta la sua persona poiché, dopo la sua gloriosa ascensione al cielo, non la lasciò edificata soltanto in sé, ma anche in Pietro, quale fondamento visibile". Gesù affida a Pietro le chiavi del regno cioè il compito di pascere le sue pecore: noi. Il potere della Chiesa universale è un privilegio personale che è tramandato ai successori. Ne segue che se il primato di Pietro è quello transapostolico, diventa chiaro che nel volere di Gesù esso debba durare quanto la Chiesa e che il fondamento duri quanto l'edificio. Il primato di Pietro è dato in Persona Ecclesiae cioè è trasmissibile, cosicché il Papa è il capo della Chiesa.

Kierkegaard rimane prigioniero di una concezione che gli preclude il vero significato della Chiesa e dei suoi sacramenti e gli impedisce di comprendere che essi sono l'unico rimedio all'angoscia e al dubbi.

Il cattolico, invece sa trovare Cristo perché è nella Chiesa: è lui stesso Chiesa. La Chiesa Cattolica afferma infatti che la natura umana non è corrotta dal peccato totalmente, ma solo contaminata specialmente per la volontà e che l'uomo può compiere il bene, pentendosi ed affidandosi ai sacramenti.

Ritengo personalmente che Kierkegaard non sia divenuto cattolico per l'influenza radicata dal pessimismo individualistico e creaturale del luteranesimo e del pietismo. Con questo non escludo come dice Ruttenbeck una sua potenziale adesione al cattolicesimo. Se avesse infatti conosciuto la Chiesa tramite la quale discendono nel mondo la certezza, la luce e la pace che Dio vuole per i suoi figli, avrebbe così sentito il cattolicesimo come risposta a questa ricerca dolorosa e a questo pungolo nella carne che è stata la sua fede.

La teologia cattolica contemporanea ha risposto come nella Lumen gentium al singolo cristiano laico visto come popolo santo di Dio. Ne segue che la dimensione del singolo si accompagna a quella ecclesiale poiché "tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio.

La disperazione di Kierkegaard come quella di ogni luterano, condizionata da un individualismo esasperato ed angosciante, è quella di non accogliere il calore della comunità ecclesiastica, come famiglia, come "podere o campo di Dio" (1 Cor. 3,9).

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