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CHIARIMENTI SU PAGINE DI STORIA

Ultimo Aggiornamento: 10/04/2022 15:30
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10/03/2015 12:51
 
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La persecuzione religiosa
iniziò con Lenin (e peggiorò con Stalin)

GulagDopo che Krusciov denunciò apertamente i crimini di Stalin, si sparse per un buon periodo la teoria che la Rivoluzione Russa era in sé qualcosa di positivo e che fu il dittatore georgiano a farla deviare dai suoi buoni propositi commettendo eccidi e massacri.

È superfluo dire che questa ipotesi non ha oggi alcun fondamento tra gli storici in quanto il “Terrore”iniziò fin da subito sotto Lenin andato al potere con un colpo di stato nel 1917: deportazioni, incendi di villaggi, fucilazione di ostaggi, eccidi di classe vennero attuati dal dittatore per costruire la nazione russa sulla base dell’ideologia comunista. In questa prospettiva non c’era alcun spazio per la religione in quanto Lenin considerava compito del socialismo educare il popolo alla scienza per “lottare contro le tenebre della religione”.

Nel fare questo il partito bolscevico utilizzò una tattica binaria che prevedeva di attaccare frontalmente la religione o di utilizzare una fitta opera di propaganda per far si che la popolazione abbandonasse le proprie credenze superstiziose. A farne le spese più pesanti fu la Chiesa ortodossa perché maggioritaria nel paese, ma soffrirono di questa persecuzione tutte le fedi ivi compresa quella cattolica nonostante la Santa Sede avesse accolto con favore la caduta degli zar (questi avevano difatti discriminato e perseguitato i cattolici), e avesse tenuto un atteggiamento di neutralità durante la guerra civile temendo anzi che una vittoria dei “Bianchi” potesse rimettere sul trono l’autocrazia zarista. Tra i primi provvedimenti del governo comunista vi fu quello di confiscare le terre e i monasteri degli ortodossi, furono tolti i sussidi statali ai sacerdoti e furono posti i seminari e le scuole sotto il controllo dello stato. Nella costituzione emanata il 10 luglio 1918 nonostante si stabilisse la separazione tra Chiesa e Stato e si garantisse a tutti i cittadini “libertà di propaganda religiosa o antireligiosa”; in pratica si confermavano i provvedimenti anticlericali e anzi l’articolo 65escludeva dal diritto di voto i ministri di qualsiasi culto (provvedimento esteso anche ai criminali comuni, ai malati di mente e agli agenti della polizia zarista).

Simile politica suscitò la resistenza di vasti strati della popolazione (stando i rapporti comunisti tra febbraio e maggio del 1918 furono uccise 687 persone mentre tentavano di difendere i beni della chiesa ortodossa). Fino a quando durò la guerra civile tuttavia Lenin si guardò bene dall’effettuare una campagna sistematica di ateismo militante, sebbene la propaganda continuò a dipingere il clero come un “servo del capitalismo” e localmente vi furono violenze contro vescovi, preti, fedeli e luoghi di culto senza che il dittatore intervenisse a porvi termine. Anzi, con il consolidamento del potere, la persecuzione si fece più dura: gran parte dei monasteri e dei conventi furono soppressi e le loro proprietà incorporate dallo stato o vendute, sepolcri e reliquie dei santi furono dissacrati per dimostrare la falsità della credenza ortodossa che stabiliva che i corpi dei santi rimanessero integri dopo la morte e vescovi e preti ortodossi e cattolici furono imprigionati con accuse pretestuose di appoggiare i controrivoluzionari o di non rispettare le leggi sovietiche in materia di culto (le autorità comuniste volevano infatti cercare di evitare che le campagne contro il clero fossero viste come una guerra di religione).

Nel 1922 vi fu una terribile carestia che provocò milioni di morti. Per alleviare le sofferenze della popolazione il patriarca di Mosca,Belavin Tichon, ordinò che tutti gli oggetti preziosi all’interno delle chiese, esclusi quelli usati per i sacramenti, fossero donati allo stato. Lenin tuttavia ignorò quest’offerta e volle invece approfittare della carestia per rinnovare la persecuzione contro la Chiesa ordinando la confisca di tutti i beni: «È adesso soltanto adesso, mentre nelle regioni afflitte dalla carestia c’è il cannibalismo e le strade sono ingombre di centinaia se non migliaia di cadaveri che possiamo (e perciò dobbiamo) cercare di acquisire i beni preziosi [n.d.a. della Chiesa] con l’energia più brutale e spietata per sopprimere qualsiasi resistenza senza fermarci di fronte a nulla (…) Più rappresentanti della borghesia reazionaria e del clero reazionario riusciremo a giustiziare in questa faccenda, meglio sarà» scrisse ai membri del PolitbjuroOttomila religiosi furono uccisi, migliaia tra vescovi e sacerdoti furono imprigionati ed esiliati senza contare il numero dei fedeli morti mentre difendevano gli oggetti consacrati. Il governo sovietico pose il patriarca agli arresti domiciliari e sostenne un movimento scismatico che dichiarò decaduto il patriarcato. Nel frattempo, i giornali avevano avviato una feroce propaganda ateista e furono inventati riti e festività collettive da contrapporre a quelle religiose tradizionali.

Su richiesta della Chiesa Ortodossa la Santa Sede cercò di intercedere presso Lenin per chiederli di fermare la persecuzione, ma la risposta del Commissario per gli Affari Esteri all’inviato della Santa Sede fu totalmente negativa e saccente al punto che arrivò ad affermare che «era assolutamente falso parlare di persecuzioni dei ministri della religione». Da parte sua, il Vaticano decise di tenere i contatti aperti per cercare una mediazione nonostante la persecuzione antireligiosa colpisse anche i suoi fedeli, e fra il 1922 e il 1923 la Santa Sede fornì aiuti per la carestia riuscendo a nutrire circa 120.000 persone al giorno, fino a quando la missione non fu interrotta per imposizione del governo bolscevico (cfr. E. Gentile, Contro Cesare, Milano 2010 pp. 49-80).

Dopo la morte di Lenin e l’ascesa al potere di Stalin la situazione religiosa subì un notevole peggioramento, ma il carattere repressivo dell’Unione Sovietica non fu un’invenzione staliniana ma era già presente fin dagli esordi della presa del potere di Vladimir Lenin.

Mattia Ferrari


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