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PERSECUZIONI CONTRO I CREDENTI IN CRISTO

Ultimo Aggiornamento: 02/02/2023 12:13
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16/12/2012 12:57
 
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SRI LANKA : chiese attaccate da buddisti radicali, cristiani chiedono libertà religiosa

16 dicembre 2012
Sconcerto nelle comunità cristiane srilankesi dopo gli ultimi episodi di violenza perpetrata da monaci e laici buddisti radicali: come riferito dall’agenzia Fides, i cristiani rinnovano al governo l'appello alla difesa della libertà religiosa. 

La comunità è scossa dopo l'attacco a una chiesa protestante, il 9 dicembre scorso, a Weeraketiya, nel distretto di Hambantota, provincia meridionale dello Sri Lanka. Una folla di circa mille persone in preda a un furore religioso, fra i quali numerosi monaci buddisti, hanno preso d'assalto l'edificio e ferito il pastore Pradeeep. La folla ha devastato la chiesa, distruggendo arredi sacri, attrezzature, auto parcheggiate. 

Il giorno prima dell'incidente, un gruppo di buddisti e di monaci aveva visitato il pastore, intimandogli che, senza il permesso del clero buddista, non poteva condurre culto cristiano a Weeraketiya, pena la distruzione della chiesa. Dopo il rifiuto del pastore, che ha invocato i diritti costituzionali, è giunto l'attacco.

Nel 2012 le comunità cristiane in Sri Lanka, di diverse confessioni, hanno registrato circa 50 casi di attacchi da parte buddista. 

Nel settembre scorso il vescovo cattolico di Mannar, mons. Rayyappu Jospeh - che aveva chiesto un’indagine internazionale sugli abusi commessi dal governo nella guerra civile, ai danni dei ribelli tamil - era stato lievemente ferito da una sassaiola, nell'attacco a una chiesa cattolica e Karusal, nel distretto di Mannar. 

Ad agosto 2012 alcuni monaci buddisti hanno occupato i locali della Chiesa Avventista del Settimo giorno nella città di Deniyaya (sempre nel Sud dell'isola), trasformandola in un tempio buddista. 

Oltre il 70% dei 20,4 milioni di persone in Sri Lanka sono buddisti, e appartengono perlopiù al gruppo etnico dominante, quello singalese. I cristiani sono stimati a 8,4 per cento della popolazione, e il 40% di loro appartiene alla minoranza etnica tamil. 

Fra i gruppi buddisti violenti vi è il "Buddhist Power Force" ("Bodu Bala Sena") che recentemente ha chiesto ai suoi seguaci di "difendere il Paese dai musulmani e dai cristiani". Il movimento più potente è il partito politico dei monaci buddisti, il "Jathika Hela Urumaya" ("Fronte Nazionale della Libertà"), partner del governo di coalizione. (A.G.)
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27/12/2012 22:46
 
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SRI LANKA, NATALE IN CARCERE PER CENTINAIA DI MIGRANTI CATTOLICI 

di Melani Manel Perera
27/12/2012 12:33
Per cercare lavoro avevano tentato di raggiungere in modo illegale Australia e Nuova Zelanda. La vita delle loro famiglie e il 25 dicembre passato in prigione. Migrante tornato in libertà: "Questi detenuti sono persone innocenti".

Chilaw (AsiaNews) - Un Natale "senza gioia, pace e condivisione" per decine di famiglie cattoliche dello Sri Lanka. I loro uomini - mariti e padri - sono in prigione, alcuni anche da tre mesi, per aver provato a raggiungere in modo illegale Australia e Nuova Zelanda, in cerca di un lavoro. Dal loro arresto, solo poche famiglie (anche non cattoliche) hanno raccolto i soldi necessari per pagare la cauzione, perché la maggior parte di loro è troppo povera. Anche la macchina della giustizia non aiuta: molte udienze vengono aggiornate e posticipate, senza spiegare i motivi.

È il caso di Anthony Dencil, cattolico di 47 anni, detenuto nella prigione di Negombo da tre mesi. Egli non sapeva di essere su un'imbarcazione illegale: il capitano lo aveva assunto come cuoco. Ora sua moglie Deepa Renuka Kumari, buddista, è l'unica fonte di reddito: ma con 300 rupie al giorno, non sa come sfamare i loro tre figli di 20, 14 e 5 anni, perché "carne e verdure costano troppo". "Prima del 25 dicembre - racconta ad AsiaNews -, gli abbiamo portato vestiti puliti per partecipare alla messa di Natale, e alcune immagini di Gesù".

Jude Anthony, 49 anni, è uscito di prigione pochi giorni prima di Natale. È rimasto in carcere per sei mesi. Secondo l'uomo, cattolico e padre di quattro figlie, "questi detenuti sono persone innocenti. Solo la nostra povertà ci ha spinto a correre questo rischio. Se avessimo avuto un lavoro, non avremmo tentato di emigrare".
SRI LANKA, NATALE IN CARCERE PER CENTINAIA DI MIGRANTI CATTOLICI 

di Melani Manel Perera
27/12/2012 12:33
Per cercare lavoro avevano tentato di raggiungere in modo illegale Australia e Nuova Zelanda. La vita delle loro famiglie e il 25 dicembre passato in prigione. Migrante tornato in libertà: "Questi detenuti sono persone innocenti".

Chilaw (AsiaNews) - Un Natale "senza gioia, pace e condivisione" per decine di famiglie cattoliche dello Sri Lanka. I loro uomini - mariti e padri - sono in prigione, alcuni anche da tre mesi, per aver provato a raggiungere in modo illegale Australia e Nuova Zelanda, in cerca di un lavoro. Dal loro arresto, solo poche famiglie (anche non cattoliche) hanno raccolto i soldi necessari per pagare la cauzione, perché la maggior parte di loro è troppo povera. Anche la macchina della giustizia non aiuta: molte udienze vengono aggiornate e posticipate, senza spiegare i motivi.

È il caso di Anthony Dencil, cattolico di 47 anni, detenuto nella prigione di Negombo da tre mesi. Egli non sapeva di essere su un'imbarcazione illegale: il capitano lo aveva assunto come cuoco. Ora sua moglie Deepa Renuka Kumari, buddista, è l'unica fonte di reddito: ma con 300 rupie al giorno, non sa come sfamare i loro tre figli di 20, 14 e 5 anni, perché "carne e verdure costano troppo". "Prima del 25 dicembre - racconta ad AsiaNews -, gli abbiamo portato vestiti puliti per partecipare alla messa di Natale, e alcune immagini di Gesù".

Jude Anthony, 49 anni, è uscito di prigione pochi giorni prima di Natale. È rimasto in carcere per sei mesi. Secondo l'uomo, cattolico e padre di quattro figlie, "questi detenuti sono persone innocenti. Solo la nostra povertà ci ha spinto a correre questo rischio. Se avessimo avuto un lavoro, non avremmo tentato di emigrare".
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27/12/2012 22:48
 
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IERI ERA SANTO STEFANO MARTIRE. OGGI, OGNI 5 MINUTI, MUORE UN CRISTIANO 


Nigeria, Somalia, Mali, Pakistan, Corea del Nord. Nel 2012 sono stati uccisi per la loro fede 105 mila cristiani. Parla Introvigne

Centocinquemila cristiani uccisi per la loro fede nel 2012. Questa è la stima dei cristiani uccisi nel mondo a causa della loro fede. Significa un morto ogni 5 minuti. Di seguito pubblichiamo l’intervista che Debora Donnini a Massimo Introvigne, coordinatore dell’Osservatorio della libertà religiosa in Italia, e andata in onda sulle frequenze di Radio Vaticana. 

Introvigne: “Il centro forse più avanzato di statistica religiosa è quello fondato e diretto – fino alla sua morte nel 2011 – da David Barret, negli Stati Uniti. Secondo questo centro, si stima che anche quest’anno, nel 2012, siano stati uccisi per la loro fede 105 mila cristiani: questo significa un morto ogni 5 minuti. Le proporzioni, dunque, sono spaventose…”

Ci sono Paesi, come la Nigeria, dove a causa della violenza fondamentalista dei Boko Aram è pericoloso perfino andare a Messa, cioè andare a Messa significa rischiare la vita…
Le aree di rischio sono molte, se ne possono identificare sostanzialmente tre principali: i Paesi dove è forte la presenza del fondamentalismo islamico – la Nigeria, la Somalia, il Mali, il Pakistan e certe regioni dell’Egitto – i Paesi dove esistono ancora regimi totalitari di stampo comunista, in testa a tutti la Corea del Nord e i Paesi dove ci sono nazionalismi etnici, che identificano l’identità nazionale con una particolare religione, così che i cristiani sarebbero dei traditori della Nazione, penso alle violenze nello stato dell’Orissa, in India. 

Certamente, in molti di questi Paesi andare a Messa o anche andare al catechismo – in Nigeria c’è stata anche una strage di bambini che andavano a catechismo – è diventato di per se stesso pericoloso.

In Pakistan la legge sulla blasfemia per i cristiani, davvero, rappresenta un grande pericolo… Proprio in nome di questa legge ricordiamo Asia Bibi, la donna madre di cinque figli tutt’ora in carcere, condannata a morte proprio in nome di questa norma…

L’Italia è stato il primo Paese ad adottare Asia Bibi. Certamente i suoi sforzi finora le hanno salvato la vita, ma non dobbiamo dimenticare le esecuzioni ed i linciaggi, perché qualche volta è la folla stessa – magari esaltata da qualche predicatore – a linciare l’accusato prima della condanna. In Pakistan sono diventate scene, purtroppo, consuete e non c’è solo il caso di Asia Bibi.

Perché secondo lei c’è tanto odio verso i cristiani nel mondo, appunto, tanto da essere il gruppo religioso più perseguitato?
Da una parte c’è la persecuzione cruenta, i morti ammazzati e le torture, che derivano da alcune specifiche ideologie: l’ideologia del fondamentalismo islamico radicale, le versioni più aggressive degli etno-nazionalismi e, naturalmente, quanto ancora sopravvive della vecchia ideologia comunista. 

Senza mettere assolutamente sullo stesso piano dei morti – che sarebbe certamente sbagliato – dobbiamo, però, ricordare che ci sono fenomeni di intolleranza, che è un fatto culturale, o di discriminazione attraverso misure legislative ingiuste, che si verificano anche nei nostri Paesi, anche in Occidente, come il Santo Padre ha ricordato ancora nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2013. Non a caso, nel discorso degli auguri di Natale alla Curia Romana di qualche giorno fa, il Papa si è soffermato sui pericoli e su, per così dire, una dittatura culturale, esercitata da una specifica ideologia e tra le varie c’è quella del “gender”. Queste ideologie, evidentemente, si sentono minacciate dalla voce dei cristiani e dalla voce della Chiesa e, quindi, le loro lobby mettono in atto campagne di intolleranza e di discriminazione.

Santo Stefano è morto chiedendo al Signore di non imputare ai suoi assassini questo peccato. Dalle testimonianze da lei raccolte emerge che i cristiani, chiaramente tramite la misericordia di Dio, riescono a perdonare i loro persecutori?

Naturalmente quando si parla dei 105 mila morti all’anno, questi non sono tutti martiri nel senso teologico del termine. Tuttavia, all’interno di questo numero ce n’è uno – più piccolo certamente – che comprende persone che molto consapevolmente offrono la loro vita per la Chiesa e spesso pregano anche per i loro persecutori e a questi offrono il perdono.

E questo colpisce, perché poter perdonare, in qualche modo, i propri persecutori è veramente un’opera che viene dal Signore…

Devo dire che questa è una caratteristica unica del cristianesimo, perché molte altre culture – precristiane e anche post cristiane – parlano, invece, del diritto ed anche di un vero e proprio dovere d’onore della vendetta. Il cristianesimo ha avuto questa grande funzione civilizzatrice, che oggi si tende a dimenticare, di avere sostituito la logica della vendetta con la logica del perdono.


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29/12/2012 23:32
 
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VATICANO - Gli Operatori pastorali uccisi nell’anno 2012

Città del Vaticano (Agenzia Fides) – Alla fine dell’anno civile, come consuetudine, l’Agenzia Fides pubblica l’elenco degli operatori pastorali che hanno perso la vita in modo violento nel corso degli ultimi 12 mesi. Dalle informazioni raccolte, nell’anno 2012 sono stati uccisi 12 operatori pastorali, quasi tutti sacerdoti, si tratta infatti di 10 sacerdoti, 1 religiosa, 1 laica.
Per il quarto anno consecutivo, con il numero più elevato di operatori pastorali uccisi, figura al primo posto l’AMERICA, bagnata dal sangue di 6 sacerdoti. Segue l’AFRICA, dove sono stati uccisi 3 sacerdoti e una religiosa. Quindi l’ASIA, dove hanno trovato la morte un sacerdote ed una laica. 
(SL) (Agenzia Fides 29/12/2012)
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06/01/2013 23:06
 
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di Vittorio Messori

Il papa ha ricordato che molti Paesi, soprattutto musulmani, si difendono dalle accuse sostenendo che da loro è riconosciuta libertà di culto. Ma libertà vera non c’è, replica Benedetto XVI, quando ai cristiani è permesso soltanto di celebrare le loro liturgie nel chiuso delle chiese (in Arabia Saudita anche questo è proibito) mentre è rigorosamente vietato manifestare in pubblico la propria fede. Non c’è libertà quando il mostrare una croce sul tetto di una chiesa o appesa a una collanina significa essere aggrediti e, spesso arrestati. Non c’è di certo libertà quando si arriva addirittura alla pena di morte per coloro che scegliessero il battesimo, in contrasto con la religione di stato.

Tre sono oggi gli “ambienti“ principali di persecuzione. Vi è quanto resta di comunismo (o presunto tale): in Cina, dove la sola militanza a stento tollerata è quella nella Chiesa “patriottica“, cioè quella creata e sorvegliata dal regime, che nomina persino i vescovi; nella Corea del Nord che , stando agli osservatori, <<è probabilmente in assoluto il luogo dove è più pericoloso dirsi cristiani>>; a Cuba, dove il castrismo ormai moribondo alterna momenti di tolleranza e di intolleranza.

Vi sono poi i nazionalismi etnici, le tradizioni “razziali“ che suscitano periodiche esplosioni di furore persecutorio proprio tra coloro che, stando alla “leggenda rosa“ occidentale, sarebbero campioni di tolleranza e di accoglienza: induisti e buddisti.

Infine, vi è l’oceano islamico che circonda i tropici, dove le rare zone di relativa tranquillità e di quasi eguaglianza per i cristiani sono state cancellate dalla rinascita di un estremismo che (spesso con l’aiuto di Europa ed Usa: vedasi Medio Oriente e Africa del Nord) ha travolto governi e culture che tentavano di mettere in atto una lettura del Corano più pacifica e aperta.

Un’altra zona di persecuzione sanguinaria dovrebbe essere aggiunta: l’Africa nera, dove le autorità statali sono spesso evanescenti e impotenti, travolte da un caos di continui scontri tra tribù ed etnie e dove la caccia al cristiano è tra i passatempi preferiti da bande di irregolari, di predoni, di discepoli fanatici di stregoni.

Rimedi ? Ben difficile, forse impossibile suggerirne, vista la vastità, la profondità e insieme la diversità di ciò che istiga all’odio e alla strage nei confronti di chi crede nel Vangelo. Va comunque osservato che ormai da più di due secoli i cristiani si trovano solo e sempre dalla parte dei perseguitati, mai da quella dei persecutori.

Va pur detto, con la necessaria umiltà e, insieme, con verità: in tanta tragedia è, questo, un segno di nobiltà spirituale. Nessuno che opprima o uccida potrà mai trovare una istigazione o una approvazione nel vangelo.
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11/01/2013 13:50
 
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ALLARME
SIRIA, VILLAGGIO CRISTIANO RISCHIA DI SCOMPARIRE

11 gennaio 2013
Circa mille fedeli cristiani, fra greco-ortodossi e cattolici latini, sono intrappolati nel piccolo villaggio di Yaakoubieh, tutto cristiano, a Nord di Aleppo. Ridotti allo stremo, senza cibo, senza elettricità, in mancanza dei beni di prima necessità, si trovano nel bel mezzo di pesanti combattimenti fra forze lealiste e gruppi di opposizione. 

Sono impossibilitati a lasciare il villaggio e «sono in condizioni disastrose, dove rischiano l’estinzione». È l’allarme lanciato, tramite l’agenzia Fides, dal frate francescano padre François Kouseiffi, che a Beirut si occupa della cura e dell’assistenza di circa 500 rifugiati siriani.

Prima della guerra nel villaggio vivevano circa 3.000 cristiani fra armeni, ortodossi e cattolici, ora sono quasi tutti fuggiti. Nel villaggio ci sono tuttora delle suore francescane che condividono la sorte dei civili. «La situazione è molto grave. I fedeli sono intrappolati. I contatti i con i cristiani rimasti sono sporadici. Hanno lanciato l’allarme per la loro sopravvivenza. Rischiano di morire nel silenzio generale». 
La situazione è resa ancora più critica dalla recente ondata di gelo di questi ultimi giorni: «Siamo in piena emergenza umanitaria. Raccontano il loro dramma, le loro speranze, e sognano un futuro migliore per il loro Paese», ha dichiarato padre Kouseiffi. 

Ieri l’Unicef ha lanciato un appello per nuove donazioni perché sono ormai terminati i fondi messi a disposizione dalla comunità internazionale per i rifugiati. Sono ora necessarie nuove donazioni per sostenere particolarmente chi risiede nei campi in Giordania e che si trova ora a combattere con gli effetti dell’inverno peggiore dell’ultimo decennio. 

«Sono terminate le risorse raccolte nel 2012 e non sono arrivati nuovi finanziamenti per quest’anno. Rivolgiamo un appello urgente alla comunità internazionale e ai donatori in generale affinché si trovino nuovi finanziamenti prima possibile», ha dichiarato la rappresentante dell’Unicef in Giordania Dominique Hyde. «Le prossime 72 ore saranno un test decisivo della nostra abilità di rispondere ai bisogni chiave dei bambini e delle loro famiglie a Zaatari», il campo profughi nel deserto giordano vicino al confine siriano che ospita 62mila persone. 

Il governo di Amman e altri attori «stanno facendo tutto il possibile per garantire che i servizi vengano mantenuti e che i bambini stiano al caldo e al riparo», ha concluso Hyde.

Avvenire.it
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13/01/2013 17:56
 
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ASIA/LAOS - Cristiani scomparsi: lettera aperta al Presidente del paese

Vientiane (Agenzia Fides) – Sono famiglie cristiane che, all’improvviso, “scompaiono nel nulla”: quello che riguarda, fra gli altri casi, la famiglia Boontheong, della provincia di Luang Namtha, o Khamsone Baccam, della provincia di Udomsay, è un fenomeno grave e preoccupante che, negli anni, ha riguardato diversi leader cristiani in Laos. Per questo il governo laotiano dovrebbe fasi carico di una inchiesta e fare chiarezza. 

Lo afferma, in una Lettera aperta inviata al presidente laotiano Choummaly Sayasone, e pervenuta all’Agenzia Fides, l’Ong “Christian Solidarity Worldwide” (CSW), ricordando la precarietà in cui vivono le comunità cristiane nel piccolo paese asiatico.

Boontheong, cristiano di etnia khmu, è scomparso il 3 luglio 2004 insieme con la moglie e suo figlio di sette anni. Prima della sua scomparsa, Boontheong era stato minacciato e imprigionato dalla polizia locale, a causa della sua fede cristiana. Da oltre otto anni non si hanno sue notizie.

Khamsone Baccam, altro laotiano convertito al cristianesimo, è scomparso nel gennaio 2007, quando la moglie lo ha visto salire su un veicolo di agenti di polizia. Non si sa se sia vivo o morto. Sono storie, notano fonti di Fides, che tuttora lacerano le comunità cristiane in Laos, creando amarezza e sofferenza.

Ong come “Christian Solidarity Worldwide” e “Human Rights Watch for Lao Religious Freedom” esortano il governo a indagare su tutti i cristiani scomparsi e a fornire informazioni. Negli ultimi anni, notano, il Laos, ha visto miglioramenti nella libertà religiosa e una sensibile riduzione del numero di “prigionieri di coscienza” cristiani. Tuttavia, esistono tuttora notevoli restrizioni e detenzioni arbitrarie verso i cristiani, e il cristianesimo è spesso percepito come “una religione straniera”. 

In Laos vivono circa 45.000 cattolici e, secondo la “Lao Evangelical Church” (LEC), riconosciuta nel paese, oltre 100mila cristiani protestanti di diverse denominazioni, anche se questa cifra non può comprendere tutti gli aderenti alle cosiddette “chiese domestiche”. 

(PA) (Agenzia Fides 12/1/2013)
ASIA/LAOS - Cristiani scomparsi: lettera aperta al Presidente del paese

Vientiane (Agenzia Fides) – Sono famiglie cristiane che, all’improvviso, “scompaiono nel nulla”: quello che riguarda, fra gli altri casi, la famiglia Boontheong, della provincia di Luang Namtha, o Khamsone Baccam, della provincia di Udomsay, è un fenomeno grave e preoccupante che, negli anni, ha riguardato diversi leader cristiani in Laos. Per questo il governo laotiano dovrebbe fasi carico di una inchiesta e fare chiarezza. 

Lo afferma, in una Lettera aperta inviata al presidente laotiano Choummaly Sayasone, e pervenuta all’Agenzia Fides, l’Ong “Christian Solidarity Worldwide” (CSW), ricordando la precarietà in cui vivono le comunità cristiane nel piccolo paese asiatico.

Boontheong, cristiano di etnia khmu, è scomparso il 3 luglio 2004 insieme con la moglie e suo figlio di sette anni. Prima della sua scomparsa, Boontheong era stato minacciato e imprigionato dalla polizia locale, a causa della sua fede cristiana. Da oltre otto anni non si hanno sue notizie.

 Khamsone Baccam, altro laotiano convertito al cristianesimo, è scomparso nel gennaio 2007, quando la moglie lo ha visto salire su un veicolo di agenti di polizia. Non si sa se sia vivo o morto. Sono storie, notano fonti di Fides, che tuttora lacerano le comunità cristiane in Laos, creando amarezza e sofferenza.

Ong come “Christian Solidarity Worldwide” e “Human Rights Watch for Lao Religious Freedom” esortano il governo a indagare su tutti i cristiani scomparsi e a fornire informazioni. Negli ultimi anni, notano, il Laos, ha visto miglioramenti nella libertà religiosa e una sensibile riduzione del numero di “prigionieri di coscienza” cristiani. Tuttavia, esistono tuttora notevoli restrizioni e detenzioni arbitrarie verso i cristiani, e il cristianesimo è spesso percepito come “una religione straniera”. 

In Laos vivono circa 45.000 cattolici e, secondo la “Lao Evangelical Church” (LEC), riconosciuta nel paese, oltre 100mila cristiani protestanti di diverse denominazioni, anche se questa cifra non può comprendere tutti gli aderenti alle cosiddette “chiese domestiche”. 

(PA) (Agenzia Fides 12/1/2013)
 
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13/01/2013 18:01
 
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IRAN, PASTORE TORTURATO IN CARCERE: ''HA ABBANDONATO L'ISLAM PER CRISTO''

Sahid Abedini, 32 anni, minacciato di morte nel carcere di Evin a Teheran dove si trova da settembre. La denuncia della moglie: “Rischia di morire per apostasia”

REDAZIONE
ROMA 12 GENNAIO 2013
Il pastore irano-americano Sahid Abedini è stato torturato e minacciato di morte nel carcere di Evin a Teheran dove si trova recluso dallo scorso settembre. Lo ha riferito la moglie del religioso all'emittente televisiva `Voice Of America´, spiegando di aver ricevuto in modo clandestino una lettera dal marito nella quale spiega i maltrattamenti a cui è stato sottoposto negli ultimi mesi di carcere.

Abedini è stato arrestato a settembre al suo rientro in Iran dagli Stati Uniti per visitare i parenti. L’uomo, 32 anni convertitosi al cristianesimo, è diventato pastore nel 2008 e nel 2010, a seguito di matrimonio con una cittadina americana, ha acquisito la doppia cittadinanza. Secondo quanto sostiene la moglie di Abedini, «al momento le autorità non sono state chiare sui capi d'accusa a suo carico, ma molto probabilmente la conversione dall'Islam al cristianesimo potrebbe essere la motivazione del suo arresto».

Il caso di Abedini è simile a quello dell'altro pastore iraniano Yusef Nadarkhani, che dopo tre anni di reclusione è stato rilasciato a settembre. Nadarkhani era stato condannato a morte, in primo grado, per il reato di apostasia. È stato nuovamente arrestato lo scorso dicembre in occasione della festa di Natale e resta in carcere. Non si conoscono le motivazioni del nuovo arresto. Secondo la legge islamica vigente in Iran l'abbandono dell'Islam per un'altra religione è sanzionato con la pena di morte.

Vatican insider
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26/01/2013 15:57
 
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Ateismo di stato in Corea del Nord:
6mila cristiani nei gulag

Ragazza north koreaLa Corea del Nord ha stabilito un record: per l’11esimo anno consecutivo è il paese che perseguita di più i cristiani nel mondo. Lo ha stabilito il consueto rapporto annuale sulla persecuzione dei cristiani stilato dall’organizzazione internazionale Open Doors, il regime ateo-comunista di Pyongyang è il più repressivo nei confronti dei cristiani, peggio anche di Arabia Saudita (secondo posto), Afghanistan e Iraq (terzo e quarto).

Sul rapporto si legge che si «contrasta con veemenza ogni tipo di religione. I cristiani sono visti come persone ostili, meritevoli di arresto, detenzione, tortura e anche esecuzioni pubbliche». Secondo le stime di Open Doors, «nonostante la pesante repressione, esiste un movimento crescente di chiese sotterranee che conta circa 400 mila cristiani» su una popolazione di 24,5 milioni di abitanti.

Riferendosi poi al terribile campo di concentramento per prigionieri politici di Yodok, il rapporto ricorda che «in Corea del Nord c’è un sistema di campi di lavoro, compreso il famigerato campo n. 15, dove si trovano almeno 6 mila cristiani».  Secondo una fonte di Daily Nk, organo di informazione composto da dissidenti del Nord, «le autorità nordcoreane dividono i dissidenti in diverse categorie a seconda della ragione per cui cercano di scappare. Quelli che portano con sé una Bibbia o hanno stretto contatti con cristiani cinesi vengono di solito giustiziati». Un cristiano è stato recentemente ucciso proprio per questi motivi. Ricordiamo che assieme alla Cina, la Corea del Nord è uno dei pochi Paesi che ancora è guidato ufficialmente dall’ateismo di stato.

Dalla Russia invece, ex fortezza dell’ateismo governativo, si apprende che l’ora di religione è divenuta obbligatoria nelle scuole. Una decisione che non riteniamo per nulla condivisibile, stupisce tuttavia riflettere sulla portata del cambiamento avvenuto, quando fino a pochi anni fa il dittatore Stalin imponeva ore diateismo scientifico nelle scuole e nelle facoltà universitarie, come ha recentemente ricordato la scrittrice russa Ljudmila Ulitskaja, la poetessa Ol’ga Aleksandrovna Sedakova e sopratutto Andrey Kuraev.

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01/02/2013 16:14
 
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14/02/2013 11:14
 
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ASIA/LAOS - Tre Pastori cristiani arrestati per “diffusione del Vangelo”

Savannakhet (Agenzia Fides) – Evangelizzare può significare l’arresto in Laos. La polizia del distretto di Pinh, nella provincia di Savannakhet, ha arrestato tre Pastori cristiani, guida di piccole comunità locali, con l’accusa di “diffondere la religione cristiana”. Come riferito all’Agenzia Fides, i tre sono: il Pastore Mr. Bounma, della Chiesa del villaggio di Alowmai, e il Pastore Somkaew, del villaggio di Kengsainoi (due villaggi nel distretto di Phin); il Pastore Bounmee, del villaggio di Savet, nel distretto di Sepon, sempre in provincia di Savannakhet.
L’episodio è avvenuto il 5 febbraio scorso, quando tre Pastori cristiani hanno acquistato in un negozio locale un film in Dvd di contenuto cristiano e ne hanno commissionate tre copie. Per testare la buona riuscita del lavoro, il proprietario del negozio, insieme con i tre Pastori, ha continuato a guardare il film. Ma un poliziotto, entrato nel negozio, ha contattato il suo superiore di polizia: il tenente Khamvee e altri due agenti sono giunti nel negozio e hanno arrestato i tre pastori. Anche il proprietario del negozio è stato tratto agli arresti e poi rilasciato. A nulla sono servite le spiegazioni dei tre, che sostenevano di aver commissionato copie del film per il loro uso domestico: l’accusa di supposta “diffusione di religione cristiana” è valsa la detenzione che l’Ong “Human Rights Watch for Lao Religious Freedom” denuncia come “del tutto arbitraria”. In una nota inviata a Fides, l’Ong chiede l’immediato rilascio dei tre e sollecita il governo laotiano a punire le autorità di polizia del distretto di Pinh per gli abusi di potere compiuti sui cristiani. 
Fonti di Fides confermano l’atteggiamento repressivo della polizia verso i cristiani nella provincia di Savannakhet. A settembre 2012, nello stesso distretto di Pinh, la polizia ha arrestato altri tre Pastori (il Pastore Bounlert, il Pastore Adang, il Pastore Onkaew), tuttora in condizioni di carcere duro, per “attività religiose illecite” (vedi Fides 29/9/2012). (PA) (Agenzia Fides 8/2/2013)

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21/02/2013 06:56
 
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SIRIA: UN CRISTIANO ARMENO UCCISO IN ''ODIUM FIDEI''. CONTINUANO VIOLENZE E SEQUESTRI

20 febbraio 2013
Un cristiano della comunità armena apostolica è stato ucciso a bruciapelo da terroristi in preda a furore religioso. L'uomo - di cui l'agenzia Fides preferisce non diffondere le generalità per motivi di sicurezza della sua famiglia - secondo la comunità armena locale, è “un martire del conflitto siriano, perché ucciso in odium fidei”.

L’uomo si trovava in un convoglio diretto ad Aleppo. Il pulmino su cui trovava è stato fermato per strada da un gruppo di miliziani islamisti che hanno chiesto le carte di identità dei viaggiatori. Avendo notato che il cognome dell'uomo terminava con il suffisso “ian”, lo hanno identificato come un armeno. Lo hanno dunque fermato e perquisito, scoprendo che portava una grande croce al collo.

A quel punto uno dei terroristi ha sparato sulla croce, dilaniando il petto dell'uomo. Secondo una fonte di Fides nella comunità armena, i “terroristi erano esaltati, erano fuori di sè, come sotto l'effetto di droghe”. La modalità utilizzata da questi posti di blocco, disseminati sulle strade siriane, è comune alle varie bande. Gli autobus sono fermati da posti di blocco, i viaggiatori subiscono ruberie o vengono selezionati per sequestri mirati, come è accaduto ai due sacerdoti Michel Kayyal (armeno cattolico) e Maher Mahfouz (greco ortodosso) rapiti il 9 febbraio e ancora in mano ai sequestratori.

In un altro episodio, segnalato a Fides, un gruppo di cristiani si stava recando da Qamishli a Beirut, per fuggire dalla drammatica situazione locale. Il bus è stato centrato da un razzo che ha ucciso due persone: un uomo di nome Boutros e una 22enne di nome Naraya, prossima al matrimonio. I banditi hanno rubato tutto. Il gruppo ha preferito tornare indietro a Qamishli, piuttosto che affrontare un viaggio con pericolo mortale. (R.P.)

Radio Vaticana
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22/02/2013 07:06
 
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SIRIA: CRISTIANO TRUCIDATO PERCHE' PORTAVA LA CROCE AL COLLO. LA COMUNITA' ARMENA: «È UN MARTIRE»

Febbraio 21, 2013 Leone Grotti
Yohannes A. è stato trucidato da un gruppo di ribelli, estremisti islamici, su un pulmino mentre si dirigeva ad Aleppo. La comunità armena: «Ucciso in odium fidei».

Yohannes A. è stato trucidato in Siria da un gruppo di ribelli mentre si dirigeva nella città di Aleppo perché cristiano. Il pulmino su cui si trovava insieme ad altri civili, tutti musulmani, è stato fermato a un posto di blocco da un gruppo di fondamentalisti, che usano questa tattica per prendere ostaggi o derubare i civili approfittando del caos generato dalla guerra civile. Quando i ribelli hanno capito dal cognome di Yohannes che era un cristiano armeno, l’hanno preso e perquisito, scoprendo la croce che portava al collo.

MARTIRE. Secondo Fides, che ha ascoltato la comunità cristiana, informata dai testimoni oculari, uno degli uomini ha sparato sulla croce dilaniando il petto di Yohannes. La comunità dei cristiani armeni parla di «martire, ucciso in odium fidei».

SACERDOTI SEQUESTRATI. All’interno della guerra civile siriana, che va avanti ormai da quasi tre anni, terroristi ed estremisti islamici si sono inseriti nella battaglia tra il regime di Bashar al-Assad e i diversi gruppi di ribelli. I terroristi stranieri sono i più abili nella guerriglia e servono alla causa, anche se, come testimoniato da più voci, prendono di mira le comunità cristiane e derubano e rapiscono i cittadini siriani. Michel Kayyal e Maher Mahfouz, ad esempio, sacerdoti armeno cattolico il primo e greco ortodosso il secondo, sono stati sequestrati da una di queste bande il 9 febbraio scorso e ancora non si hanno notizie di loro.

PAURA FONDAMENTALISMO. Secondo l’Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, monsignor Silvano Maria Tomasi, «bisogna creare le premesse politiche per un dialogo con tutte le parti coinvolte. Altrimenti i gruppi dell’opposizione più fondamentalisti prenderanno sempre più potere rendendo sempre più difficile un futuro democratico per la Siria dove possano partecipare tutte le minoranze in particolare, anche la minoranza cristiana».
@LeoneGrotti

Siria: cristiano trucidato per la sua fede. «È un martire» | Tempi.it
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28/02/2013 10:39
 
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"BRUCEREMO CASE E CHIESE'',LA PROMESSA DEGLI ISLAMISTI

di Anna Bono
28-02-2013

“Bruceremo case e chiese. Per Pasqua preparatevi al disastro”: a essere minacciati in questi termini non sono i cristiani in Nigeria, Pakistan o Iraq, ma in Tanzania, il paese dell’Africa orientale affacciato sull’oceano Indiano noto in tutto il mondo per i suoi parchi naturali ricchi di fauna selvatica, le nevi del Kilimajaro e le splendide spiagge di Zanzibar, l’arcipelago al largo della costa. Da alcuni giorni un movimento integralista islamico, Uamsho (Risveglio), invia ai sacerdoti tanzaniani SMS con questo contenuto e in cui inoltre viene rivendicata la paternità dell’omicidio di un sacerdote cattolico, ucciso il 17 febbraio, e si minacciano stragi: “ringraziamo i nostri giovani, addestrati in Somalia, che hanno ucciso un infedele. Molti altri moriranno”.

Padre Evarist Mushi – l’infedele giustiziato – è stato ucciso a Zanzibar. Erano le 7 del mattino e stava parcheggiando l’auto all’ingresso della sua parrocchia, San Giuseppe, dove avrebbe celebrato poco dopo la messa domenicale, quando degli uomini appostati nelle vicinanze gli hanno sparato colpendolo alla testa e fuggendo poi a bordo di una motocicletta. Due giorni dopo, sempre a Zanzibar, una chiesa evangelica in costruzione è stata incendiata durante la notte.

Non si tratta di episodi isolati né tanto meno, come invece sostengono le autorità tanzaniane preoccupate che la notizia di attentati terroristici possa nuoce al settore turistico, di crimini occasionali, commessi da delinquenti comuni e che nulla hanno a che vedere con la religione.
A Natale, sempre a Zanzibar, un commando in motocicletta ha sparato a un altro prete cattolico, padre Ambrose Mkenda, mentre rientrava a casa, ferendolo gravemente. Due mesi prima, a ottobre, diverse chiese in tutto il paese sono state bruciate e distrutte da folle di islamici inferociti. A scatenarne la collera era stata la notizia che un ragazzino cristiano avesse profanato il Corano, imbrattandolo di urina, durante una discussione tra bambini riguardante i poteri soprannaturali del testo sacro: un bambino islamico sosteneva che chi gioca con un Corano viene trasformato in serpente o diventa matto.

In poche ore tre chiese erano state bruciate e una distrutta nella sola capitale Dar es Salaam e a Zanzibar gli islamici insorti avevano demolito un edificio di proprietà della chiesa evangelica Assemblee di Dio. In molte moschee del paese era risuonato allora il monito: “continueremo ad attaccare le chiese cristiane finché non ne resterà neanche una in tutto il Tanzania”. Già a maggio tre chiese erano state distrutte a Zanzibar da centinaia di islamici, al grido “Allah è grande”.

Il vescovo di Zanzibar, Monsignor Agostino Shao non ha dubbi: “siamo nel mirino dei fondamentalisti islamici” ha dichiarato di recente ad Aiuto alla Chiesa che soffre, confidando la sua preoccupazione per il futuro dei cristiani tanzaniani. La situazione è particolarmente grave nell’arcipelago di Zanzibar dove il 99% degli abitanti sono musulmani, mentre nel paese complessivamente cristiani e musulmani costituiscono entrambi circa il 30% della popolazione. A Zanzibar sorgevano buona parte delle chiese e degli istituti religiosi, in tutto 25, distrutti negli ultimi anni in Tanzania ed è nell’arcipelago che prolifera Uamsho, il movimento integralista e indipendentista ritenuto responsabile di molte delle azioni terroristiche commesse a partire dal 2001, anno in cui è stato fondato.

A rendere più aggressivi gli estremisti islamici avrebbe contribuito lo stesso presidente Jakaya Kikwete rimangiandosi la promessa fatta ai musulmani durante la campagna elettorale per le presidenziali del 2010 di modificare la costituzione per consentire l’introduzione di norme conformi alla shari’a, la legge coranica. Un indicatore del deteriorarsi della situazione, specialmente a Zanzibar, è dato dal fatto che mentre in passato solo nei villaggi succedeva che venissero attaccate delle chiese, da qualche tempo anche nella capitale dell’arcipelago i cristiani subiscono minacce e intimidazioni. Per questo molte famiglie cristiane ormai decidono di spostarsi sulla terra ferma sperando di essere più al sicuro.

Ma il moltiplicarsi degli attentati islamici contro i cristiani, come è noto, è un fenomeno che riguarda anche altri paesi africani. Coincide non a caso con il “sorpasso” del Cristianesimo, divenuto prima religione del continente: stando ai dati presentati lo scorso settembre al congresso organizzato dal Cesnur (Centro studi sulle nuove religioni) in Marocco, i cristiani sono infatti il 46,5% della popolazione africana, i musulmani il 40,5%. È dal 2006 che lo sceicco libico Ahmed al Qataani denuncia l’avanzata del Cristianesimo a scapito dell’Islam: in Africa – sostiene – ogni ora 667 musulmani si convertono al Cristianesimo, 16.000 al giorno, sei milioni ogni anno. Basta a spiegare le crescenti azioni terroristiche contro i cristiani: “gli ultra-fondamentalisti – secondo il direttore del Cesnur, professor Massimo Introvigne – pensano che la battaglia decisiva per sapere se il mondo sarà musulmano o cristiano si combatta in Africa e che l’Islam la stia perdendo. Per questo reagiscono con le bombe”.

lanuovabq.it
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02/03/2013 09:36
 
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BENGASI, 48 EGIZIANI CRISTIANI ARRESTATI PER MOTIVI RELIGIOSI

2 marzo 2013
L’arresto è avvenuto dopo la denuncia di alcuni islamisti urtati dalle immagini cristiane portate con se dal gruppo di egiziani, tutti ambulanti del mercato di Bengasi. Per punizione a ognuno di loro è stato rasato il capo. Per le autorità essi sono immigrati clandestini e il fermo non avrebbe nulla a che a fare con la religione.

Bengasi (AsiaNews/Agenzie) - Gli islamisti di Bengasi continuano a dare la caccia ai lavoratori cristiani presenti nel Paese con presunte accuse di proselitismo. L'ultimo caso riguarda l'arresto di 48 commercianti egiziani copto-ortodossi arrestati la scorsa settimana nella capitale della Cirenaica. Il fermo è scattato dopo la denuncia da parte di alcuni cittadini libici, insospettiti da alcune immagini religiose portate con sé dai venditori, tutti ambulanti nel mercato di Bengasi. In un video subito sequestrato dalla polizia essi appaiono rinchiusi in una piccola stanza guardati a vista da alcuni uomini con la tipica barba portata dai salafiti (v. foto). Dalle immagini i 48 appaiono in evidente deperimento fisico, molti mostrano lividi ed escoriazioni. Ad ognuno di loro è stato rasato il capo.

Il caso ha suscitato indignazione fra la popolazione di Bengasi, che in ottobre è insorta contro le milizie armate salafite accusate di aver organizzato l'attentato al consolato degli Stati Uniti costato la vita all'ambasciatore Cristopher Stevens. Ieri le autorità hanno diffuso un comunicato in cui dichiarano che i venditori ambulanti sono stati arrestati per aver violato le leggi sull'immigrazione e non per questioni religiose. Tuttavia, questo è l'ennesimo caso di discriminazione contro i cristiani residenti in Libia. A metà febbraio quattro cittadini stranieri - un egiziano, un sudafricano, un sud coreano e uno svedese con passaporto Usa - sono stati arrestati con l'accusa di diffondere bibbie e altro materiale religioso.

Il dilagare dell'estremismo islamico sta colpendo anche gli ordini religiosi cattolici presenti da decenni sul territorio libico, impegnate nel lavoro ospedaliero e nella cura degli anziani. A gennaio gli islamisti hanno spinto alla fuga le suore Francescane del Gesù Bambino di Barce e le Orsoline del Sacro Cuore di Gesù di Beida. In ottobre è toccato invece alle suore del convento della Sacra Famiglia di Spoleto di Derna, costrette a lasciare la Libia a causa delle continue minacce degli estremisti islamici, nonostante il parere contrario degli abitanti della città.
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06/03/2013 08:44
 
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LIBIA: UOMO ARMATO ENTRA NELLA CATTEDRALE DI TRIPOLI E SPARA AL PRETE CATTOLICO, SALVO PER MIRACOLO

Marzo 5, 2013 Redazione
È successo ieri. Un uomo armato con una scusa è entrato nella chiesa di San Francesco e ha fatto fuoco, mancando il sacerdote. Monsignor Martinelli: «Gesto sorprendente, siamo molto preoccupati».

Non c’è pace per i cristiani in Libia, bersagliati senza sosta dagli estremisti islamici. Un uomo armato è entrato ieri nella cattedrale cattolica della capitale Tripoli e ha sparato contro padre Magdi, ma lo ha mancato: «Lo voleva uccidere, ha aperto il fuoco da 2-3 metri con un Ak-47» afferma il vicario monsignor Giovanni Martinelli, spiegando che sono in corso accertamenti da parte delle autorità.

«GESTO SORPRENDENTE». «È la prima volta che succede una cosa del genere, siamo molto preoccupati» ha aggiunto Martinelli. «Abbiamo informato le autorità, stiamo cercando di capire le motivazioni di questo gesto sorprendente». Ancora non si conoscono le generalità dell’uomo, che è entrato con una scusa nella chiesa di San Francesco. Episodi di questa gravità erano già avvenuti a Bengasi, la capitale dei ribelli e delle milizie estremiste, nell’oriente del paese, ma mai in Tripolitania.

COPTI ARRESTATI E SUORE CACCIATE. Nei giorni scorsi circa 100 cristiani copti con passaporto egiziano sono stati arrestati con l’accusa di “proselitismo” e torturati in prigione. A metà febbraio quattro cristiani sono stati arrestati per proselitismo, che in Libia è vietato e punibile anche con la pena di morte secondo una legge della tanto odiata era Gheddafi. Inoltre molte suore sono state costrette ad abbandonare la Cirenaica, perché minacciate da bande armate di estremisti islamici, e come dichiarato da Daimasso Bruno, giardiniere del cimitero italiano a Tripoli, «non passa giorno senza che le nostre tombe siano profanate e vandalizzate».
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16/04/2013 08:16
 
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I cristiani nigeriani nell'inferno di Boko Haram

di Riccardo Bicicchi

09/04/2013 - Sale il numero delle vittime ad opera del gruppo integralista. Nonostante il clima di violenza, spiega il vescovo di una delle diocesi più a rischio, «rimarremo». Un articolo dal Corriere.it per approfondire la situazione nello stato africano

C’è una linea immaginaria in Nigeria, che dal nord scende di trasverso fino al confine orientale, tagliando fuori lo spigolo di Paese che si incunea tra il Camerun, ad est, Ciad e Niger a nord.
Difficile attraversare quella linea con disinvoltura: i contractors occidentali sono spariti da tempo, troppo rischioso, non ci vanno facilmente i media stranieri, non ci si avventurano ormai quasi più neanche i nigeriani del sud, che un tempo vi si affollavano per stabilire fiorenti commerci.

Al di là si estende un lembo di terra dai panorami sconfinati di savana aperta che si rarefà via via in deserto man mano che si sale a nord, poche città grandi, simili più a paesoni di casette basse dal tetto di lamiera ondulata, strade polverose battute da un sole implacabile: il resto è campagna, punteggiata di villaggi di fango, ombreggiati da rade acacie, catene montuose, impervie colline di pietra compatta grigio scura, mandrie di buoi gibbosi dalle lunghe corna diritte accompagnate dai nomadi Fulani, i folletti delle pianure, che vivono in simbiosi con gli animali nel loro eterno peregrinare.

Questo posto è oggi una delle zone ad alto rischio dell’Africa, per certi versi la peggiore. Qui non è guerra, non ci sono linee, bande o fazioni identificabili, non puoi dire «ecco, qui sono al riparo, al sicuro»; qui è terrorismo della peggiore specie, strisciante, continuo, violenza primitiva, che usa il coltello più delle armi sofisticate, si muove al buio, quando la paura allunga le grinfie, nei vicoli dei quartieri di città come nei villaggi isolati delle campagne. 
Siamo nel cuore delle zone infestate dall’odio fanatico di Boko Haram, la setta integralista che ha steso su tutto un velo pesante, palpabile, di terrore soffocante, difficile da raccontare.
Boko Haram. Suona quasi bene, pronunciato con l’acca aperta e aspirata della lingua Hausa, sa di deserto, di vento tra i cespugli spinosi, evoca carovane in marcia, lunghe teorie di viaggiatori, le corse dei cavalli tra le dune, qualcosa di misterioso ed evanescente. E invece è la morte.

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16/04/2013 18:03
 
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ASIA/INDIA - Una chiesa bruciata: violenza di fondamentalisti indù in Chhattisgarh
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 <br /> Kondagaon (Agenzia Fides) – Non c’è pace per i cristiani nello stato indiano del Chhattisgarh, in India centrale. Lo stato, al confine con gli stati di Orissa e Madhya Pradesh, si delinea come uno di quelli in cui la violenza di noti gruppi estremisti indù sta creando maggior problemi alle minoranze religiose, con attacchi continui verso i cristiani, accusandoli di “conversioni forzate”. 
 <br /> 
 <br /> Alcun giorni fa una piccola chiesa è stata data alle fiamme nel distretto di Kondagaon in Chhattisgarh. Come ricorda all’Agenzia Fides una nota della “Evangelical Fellowship of India”, denominazione che riunisce diverse comunità cristiane evangeliche, un anno fa i cristiani nel villaggio Chhote Salna avevano costruito una cappella, con legno e paglia. L'edificio è stato dato alle fiamme la notte del 2 aprile, e i fedeli locali non hanno potuto fare nulla per domare le fiamme. Il terreno per la costruzione della chiesa è stato donato da un fedele locale, e la cappella era luogo di culto per diverse famiglie sparse nel distretto. Il giorno dopo l’incendio, i credenti sono stati pubblicamente insultati e minacciati dai fondamentalisti indù del villaggio, appartenente al gruppo estremista “Vishwa Hindu Parishad”, che li hanno accusati di convertire le persone con la frode e con la seduzione. I fedeli hanno sporto denuncia alla polizia locale. Fonti di Fides ricordano che il 13 marzo scorso, nel distretto di Jagdalpur, in Chhattisgarh, un gruppo di fondamentalisti indù, insieme con alcuni agenti di polizia, ha demolito una chiesa, sostenendo fosse edificata in modo illegale.
 <br /> 
 <br /> Una altro episodio di intimidazione è avvenuto nel distretto di Balrampur Ramanujganj, sempre in Chhattisgarh. Alla fine di marzo, mentre una comunità di fedeli cristiani era riunita in preghiera nel villaggio di Nagra, una folla istigata da fondamentalisti indù ha interrotto la riunione accusando i cristiani di promuovere “conversioni forzate con mezzi fraudolenti”. Anche la polizia locale, intervenuta sul posto, ha chiesto agli organizzatori ad interrompere l'incontro. Come riferito a Fides, i cristiani, ribadendo il desiderio “di pace e di libertà di culto”, hanno inviato al Primo ministro del Chhattisgarh un appello per la salvaguardia dei diritti delle minoranze e delle chiese, chiedendo di intraprendere un'azione immediata contro gli autori delle violenze. 
 <br /> 
 <br /> (PA) (Agenzia Fides 16/4/2013)
 <br /> 
 <br /> foto d'archivio
ASIA/INDIA - Una chiesa bruciata: violenza di fondamentalisti indù in Chhattisgarh

Kondagaon (Agenzia Fides) – Non c’è pace per i cristiani nello stato indiano del Chhattisgarh, in India centrale. Lo stato, al confine con gli stati di Orissa e Madhya Pradesh, si delinea come uno di quelli in cui la violenza di noti gruppi estremisti indù sta creando maggior problemi alle minoranze religiose, con attacchi continui verso i cristiani, accusandoli di “conversioni forzate”. 

Alcun giorni fa una piccola chiesa è stata data alle fiamme nel distretto di Kondagaon in Chhattisgarh. Come ricorda all’Agenzia Fides una nota della “Evangelical Fellowship of India”, denominazione che riunisce diverse comunità cristiane evangeliche, un anno fa i cristiani nel villaggio Chhote Salna avevano costruito una cappella, con legno e paglia. L'edificio è stato dato alle fiamme la notte del 2 aprile, e i fedeli locali non hanno potuto fare nulla per domare le fiamme. Il terreno per la costruzione della chiesa è stato donato da un fedele locale, e la cappella era luogo di culto per diverse famiglie sparse nel distretto. Il giorno dopo l’incendio, i credenti sono stati pubblicamente insultati e minacciati dai fondamentalisti indù del villaggio, appartenente al gruppo estremista “Vishwa Hindu Parishad”, che li hanno accusati di convertire le persone con la frode e con la seduzione. I fedeli hanno sporto denuncia alla polizia locale. Fonti di Fides ricordano che il 13 marzo scorso, nel distretto di Jagdalpur, in Chhattisgarh, un gruppo di fondamentalisti indù, insieme con alcuni agenti di polizia, ha demolito una chiesa, sostenendo fosse edificata in modo illegale.

Una altro episodio di intimidazione è avvenuto nel distretto di Balrampur Ramanujganj, sempre in Chhattisgarh. Alla fine di marzo, mentre una comunità di fedeli cristiani era riunita in preghiera nel villaggio di Nagra, una folla istigata da fondamentalisti indù ha interrotto la riunione accusando i cristiani di promuovere “conversioni forzate con mezzi fraudolenti”. Anche la polizia locale, intervenuta sul posto, ha chiesto agli organizzatori ad interrompere l'incontro. Come riferito a Fides, i cristiani, ribadendo il desiderio “di pace e di libertà di culto”, hanno inviato al Primo ministro del Chhattisgarh un appello per la salvaguardia dei diritti delle minoranze e delle chiese, chiedendo di intraprendere un'azione immediata contro gli autori delle violenze. 

(PA) (Agenzia Fides 16/4/2013)
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25/04/2013 22:25
 
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Documentario sui credenti uccisi dall’ateismo sovietico

GulagPochi giorni fa Israele si è fermata completamente per due minuti per ricordare le vittime dell’Olocausto. Far memoria delle vittime di un così immane disastro è sicuramente necessario per non dimenticare cosa ha potuto procurare la follia umana.

Dispiace però vedere che non tutte le vittime dei totalitarismi del ‘900 vengono commemorate o perlomeno fatte presenti alle nuove generazioni. Il caso in questione riguarda i 12 milioni di russi, e non solo, che dal 1917 fino al 1990 sono stati fatti uccidere, torturare o confinare nei gulag dalladittatura sovietica.

Ma ciò che neanche i pochi informati sanno è che queste milioni di persone, o almeno la maggior parte, hanno subito tali atrocità solamente perché avevano fede in Dio. Uno dei concetti principali che le nostre intellighenzie pretendono ancora di tener nascosto è che alla base del comunismo e dei totalitarismi da esso derivanti c’è un totale e viscerale odio verso qualsiasi forma di religione.

Le dittature novecentesche, che siano di stampo nazista o comunista, una cosa hanno in comune: l’ateismo, frutto dell’assolutizzazione dello stato. Questa assolutizzazione pretende di omologare l’uomo, di sradicarlo da tutto ciò che non porta al bene dello stato. Lo stato diventa l’unico organismo in grado di portare il benessere ai propri “cittadini”. Qualsiasi forma istituzionale che si appropri degli obbiettivi dello stato, come la Chiesa, che ha come “obbiettivo” la salvezza dell’uomo, deve essere eliminata, semplicemente perché toglie allo stato la possibilità di esercitare il monopolio sull’uomo stesso (Si veda Luigi Negri, False accuse alla Chiesa, Piemme, pag 66-70). Questo era l’obbiettivo di Lenin eStalin, questo era l’obbiettivo di Hitler.

Tutto questo lo mostra chiaramente un documentario realizzato da Kevin Gonzales sui martiri dell’URSS, su queste milioni di persone morte per la loro fede religiosa. E’ intitolato“Martiri in USSR: l’ateismo militante nell’ex Unione Sovietica”. Quello a cui mira Gonzales è informare le nuove generazioni su fatti accaduti nel loro paese, che nessuno accenna o spiega nella Russia di oggi. Questo non è vero solo per la Russia, ma anche per l’Italia, dove il mito comunista continua ad aleggiare nella nostra cultura grazie, o meglio, per colpa della Resistenza, e che non permette di scalfire minimamente questa devastante ideologia.

Ancora oggi troviamo paesi che ci mostrano i risultati di questa “dottrina illuminata”: basti l’esempio della Corea del Nord, paese dove i diritti umani, ancora nel 2013, sono tra i piùbassi del mondo, dove il partito annienta qualsiasi opposizione direttamente con la pena di morte (ricorda non poco la Russia sovietica). La prossima uscita del documentario, e anche questo articolo per quanto possibile, cercano di mostrare la realtà dei fatti, che ancora in questa società “democratica” e liberale non riesce a vedere la luce. Occorre anche ricordare che il comunismo, come ideologia e come partito, è condannato e scomunicatodalla Chiesa Cattolica fin dal 1949.

Luca Bernardi

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29/04/2013 20:10
 
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SOS KAZAKISTAN: ALLARME PER LA LIBERTA' RELIGIOSA NEGATA
La "Chiesa del silenzio" nel paese dell'ex blocco sovietico dove ancora vige la repressione nei confronti dei fedeli

GIACOMO GALEAZZI
CITTÀ DEL VATICANO 29 APRILE 2013
Dai gulag di Stalin alle censure sui libri. In Kazakistan “la libertà religiosa non esiste”, denunciano le organizzazioni internazionali, mentre si intensificano gli episodi di persecuzione ai danni delle minoranze confessionali. I membri delle comunità religiose e i difensori dei diritti umani informano che nel paese non c’è libertà di fede.

L'ex repubblica sovietica è ricchissimo di risorse naturali (soprattutto petrolio) e anche l'Italia vi ha ingenti interessi economici nel settore energetico. Inoltre gli Stati Uniti hanno costruito negli ultimi anni enormi basi militari per rifornire di armi e materiale le proprie missioni in Afghanistan. Nelle biblioteche e nelle università kazache, tutti i volumi di letteratura religiosa, importati o stampati nel paese, devono essere sottoposti al controllo di ispettori statali, testimonia AsiaNews.

Nei giorni scorsi, l'Agenzia per gli affari religiosi (Ara) ha effettuato una verifica sui molti volumi della Biblioteca nazionale di Almaty. L'ispezione, definita "normale" dal direttore Gulisa Balabekova, rientra all'interno dei controlli obbligatori previsti dal nuovo Codice penale.Pochi giorni fa, il presidente Nursultan Nazerbayev ha dichiarato che nel Paese "la libertà religiosa è garantita", ma dall'inizio del 2013 gli episodi di persecuzione ai danni delle minoranze si sono intensificati. Il nuovo Codice Penale, proposto all'inizio dell'anno, ha infatti irrigidito le limitazioni ai danni dei gruppi confessionali, introducendo ferrei controlli sul possesso di libri religiosi e proibendo la discussione in pubblico della propria fede. Sergei Duvanov, giornalista indipendente kazako, riporta a Forum18 che in Kazakhstan è diventato rischioso anche promuovere l'ateismo. Lo testimonia il caso recente di un uomo arrestato nell'est del Paese per aver incitato al disprezzo delle religioni.

Tuttavia, le minoranze più esposte alle politiche adottate dal governo rimangono i gruppi islamici, i membri della comunità battista e i Testimoni di Geova; questi ultimi vittima di numerose sanzioni dall'inizio del 2013, puntualizza l'agenzia del Pontificio Istituto Missioni Estere.Lo stesso giornalista ha poi concluso affermando che "in Kazakhstan, la gente non è libera di predicare o promuovere la propria fede; la libertà di parola non si estende alla sfera religiosa". Guidato dal 1989 dal presidente Nursultan Nazarbayev (confermato con il 95% dei voti, nell’aprile 2011) negli anni immediatamente successivi al crollo dell'Unione Sovietica, il Paese è stato da più parti considerato un modello da seguire sia per il percorso intrapreso verso la democrazia che per il livello raggiunto nel rispetto dei diritti umani e del pluralismo religioso.

Come documenta il rapporto Acs sulla libertà religiosa, negli ultimi anni, è però aumentata la volontà del governo di rafforzare il controllo statale su tutte le attività religiose e un passo in questa direzione è stata l’approvazione di due nuove leggi contenenti pesanti restrizioni legali alla libertà di religione. Varate il 13 ottobre 2011 per volere di Nazarbayev, esse mirano alla nazionalizzazione delle comunità religiose, seguendo il modello di controllo utilizzato in Cina. Considerate parte della tradizione, solo la Chiesa ortodossa russa e la comunità islamica kazaka, sono escluse da queste restrizioni; per sopravvivere a livello nazionale ed evitare sanzioni, le realtà non autoctone devono dimostrare di avere almeno 5mila membri. «Le nuove leggi sulla registrazione e il controllo delle comunità religiose mettono a rischio la Chiesa cattolica; si prevedono, infatti, restrizioni sui visti dei leader religiosi stranieri, quando circa il 50% dei sacerdoti e dei vescovi cattolici, proviene da altri Paesi», ha dichiarato don Edoardo Canetta, missionario italiano e professore universitario, da 11 anni in Kazakistan.

L’applicazione delle nuove leggi sulla libertà religiosa hanno cancellato 579 comunità protestanti, sette islamiche, gruppi e comunità di fede, con meno di 50 persone registrate; secondo il Kairat Lama Sharif, responsabile per gli affari religiosi, dal 21 ottobre, data di entrata in vigore del provvedimento, il numero delle realtà religiose è sceso del 13%. Molte comunità protestanti, fra cui i cristiani battisti e gli Avventisti del settimo giorno, saranno costrette a celebrare le proprie funzioni in abitazioni private e sotto lo stretto controllo delle autorità. Il Governo ha inviato una lettera a tutte le comunità, invitandole ad adeguarsi alle nuove normative oppure a fermare subito le propria attività. Le autorità hanno concesso un anno per raggiungere il limite di fedeli necessario per la registrazione, ma, nei 12 mesi, nessuna realtà con un numero di fedeli inferiore a 50, potrà celebrare funzioni pubbliche, anche se in regola con le leggi precedenti.

vatican insider
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17/05/2013 09:17
 
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813 CRISTIANI DECAPITATI, UNO DOPO L’ALTRO, PERCHE’ NON VOLLERO RINNEGARE GESU’

 

Ma noi siamo ancora un popolo? Abbiamo ancora un’identità nazionale, un vero senso di appartenenza? E’ ancora permesso parlare di “identità”? O il solo patriottismo sentito, consentito e vissuto è quello per la “nazionale” per antonomasia, ossia per gli azzurri?

L’unico che sui media continua a porre questi interrogativi – solo apparentemente accademici – è Ernesto Galli Della Loggia. Lo fa da anni, ma ben pochi sembrano capire quanto profondamente queste domande abbiano a che fare con la situazione attuale del nostro Paese (anche quella economica) e con il suo sognato o sperato “rinascimento”.

Infatti aver dilapidato un patrimonio morale, culturale, civile e religioso è ancor più grave dell’aver dilapidato un patrimonio economico, anzi a ben vedere ne rappresenta l’antefatto, la premessa.

Ho ripensato allo smarrimento della nostra memoria in questi giorni perché mi ha scritto una signora polacca, che si è sposata in Italia e vive qui da vent’anni.

La sua lettera prendeva spunto dalla solenne canonizzazione – domenica scorsa, in Piazza San Pietro, da Roma – degli 813 abitanti di Otranto, che nel 1480 – per non rinnegare il loro battesimo e per non passare all’Islam, come pretendeva l’invasore musulmano – furono decapitati “in odio alla fede” cristiana uno dopo l’altro (mentre donne e bambini della città pugliese venivano deportati come schiavi).

L’invasione era stata voluta da Maometto II (1430-1481), il sultano che già nel 1453, alla guida di 260 mila turchi, aveva  conquistato Bisanzio, mettendo a ferro e fuoco la “seconda Roma”, quindi spazzando via quella che era stata per più di mille anni la capitale del cristianesimo orientale.

Il passo successivo programmato dal sultano era la conquista della nostra Roma: la basilica di San Pietro era destinata a diventare una moschea come Santa Sofia.

L’invasione dell’Italia cominciava dunque dallo sbarco sulle coste salentine. Ma la resistenza della città di Otranto permise al re di Napoli, Ferdinando, di organizzare le forze e di riconquistare Otranto.

Così il martirio di quella città salvò l’Italia meridionale e la stessa Roma. A quel sacrificio il nostro Paese deve moltissimo.

Alfredo Mantovano, che è salentino e particolarmente affezionato alla memoria dei martiri di Otranto, di cui ha scritto la storia, ha fatto un’osservazione importante:

“Ciò che rende questo straordinario episodio pieno di significato, anche per l’europeo di oggi, è che nella storia della cristianità non sono mai mancate testimonianze di fede e di valori civili, né sono mai mancati gruppi di uomini che hanno affrontato con coraggio prove estreme. Mai però è accaduto un episodio di proporzioni così vaste: un’intera città dapprima combatte come può, e tiene testa per più giorni all’assedio; poi risponde con fermezza alla proposta di abiura. Sul Colle della Minerva, al di fuori del vecchio Primaldo, non emerge alcuna individualità, se è vero che degli altri martiri non si conosce il nome, a riprova del fatto che non sono pochi eroi, bensì è una popolazione intera che affronta la prova”.

La signora polacca mi scrive, nella sua lettera, che non conosceva quell’antica vicenda (prima della canonizzazione di domenica) che l’ha molto colpita. Probabilmente – osserva – la stragrande maggioranza degli italiani non ne sa nulla e non ne ha mai sentito parlare a scuola.

Poi aggiunge:

“Penso che, se un fatto simile fosse accaduto nel mio paese, anche i ragazzi ne conoscerebbero la  data a memoria, tanto ne sentirebbe parlare durante le lezioni di storia. Un fatto così straordinario e glorioso dovrebbe essere motivo di orgoglio anche patriottico. E’ singolare che gli italiani abbiano dovuto aspettare tre papi stranieri: Giovanni Paolo II per la beatificazione, Benedetto XVI per confermare il fatto di martirio e Francesco per la canonizzazione, per venirne a conoscenza…”.

Certamente il popolo polacco ha un rapporto con la propria storia e la propria identità molto più vivo del nostro. Ed è questo che gli ha permesso di trovare le forze morali per superare tragedie enormi come la simultanea invasione da parte della Germania nazista e dell’Urss, nel 1939, e il tentato annientamento nazista della nazione polacca, a cui poi han fatto seguito 45 anni di dittatura “sovietica”.

Papa Wojtyla ci ha mostrato quanto bella e grande possa essere la memoria viva delle proprie radici nazionali, quante energie spirituali e umane sprigioni. E ci ha fatto capire che avere una forte identità non significa affatto intolleranza verso le identità altrui (il nazionalismo infatti è la caricatura pervertita del vero patriottismo).

Anzi, significa amore e comprensione per le identità degli altri: in mille occasioni Giovanni Paolo II ha mostrato a noi italiani la bellezza e la grandezza della nostra storia. Esortandoci a non dimenticarla e a non tradirla.

Ma il martirio degli abitanti di Otranto testimonia anzitutto la forza della fede cristiana: c’è qualcosa che vale più della vita ed è per questo che vale la pena vivere, è questo che dà senso all’esistenza, al lavorare, all’amare, al soffrire, al gioire.

Infatti quello di Otranto non fu il sacrifico di una pattuglia di soldati ardimentosi o di un pugno di eroi. Ma di un’intera popolazione, della gente più semplice di cui neanche si tramandano i nomi, se si eccettua quello del loro eroico vescovo Stefano Pendinelli e del sarto Antonio Primaldo, colui che parlò a nome di tutti: “Credere tutti in Gesù Cristo, figlio di Dio, ed essere pronti a morire mille volte per lui”.

Secondo le cronache antiche egli si rivolse ai suoi concittadini con queste parole:

“Fratellimiei, sino oggi abbiamo combattuto per defensione della patria e per salvar lavita e per li signori nostri temporali,ora è tempo che combattiamo per salvarl’anime nostre per il nostro Signore,quale essendo morto per noi in croceconviene che noi moriamo per esso,stando saldi e costanti nella fede e conquesta morte temporale guadagneremola vita eterna e la gloria del martirio”.

Dallo scritto di Mantovano colgo un’altra perla significativa. Giovanni Paolo II, nel 1980, parlando dei martiri di Otranto disse: “i Beati Martiri ci hanno lasciato – e in particolare hanno lasciato a voi – due consegne fondamentali: l’amore alla patria terrena; l’autenticità della fede cristiana. Il cristiano ama la sua patria terrena. L’amore della patria è una virtù cristiana”.

C’è di che riflettere.

 

Antonio Socci

 

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31/05/2013 09:13
 
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VIETNAM: CONDANNATI 8 CRISTIANI DEGLI ALTIPIANI PER ''MINACCIA'' ALL'UNITA' NAZIONALE 

30 maggio 2013
Un tribunale degli Altipiani centrali in Vietnam ha condannato otto membri della minoranza etnica montagnard, in gran parte cristiani e spesso vittima di persecuzioni nel Paese, a pene variabili da 3 a 11 anni di carcere. I giudici li hanno riconosciuti colpevoli di "minaccia all'unità dello Stato", per la loro appartenenza a un gruppo cattolico "non riconosciuto" dai vertici comunisti di Hanoi. Nelle ultime settimane si sono moltiplicati gli attacchi del governo contro religioni, blogger e gruppi dissidenti, considerati una "minaccia" perché contrari al dominio del partito unico e la richiesta di maggiore libertà personale. La Corte della provincia di Gia Lai ha condannato una parte degli imputati perché avrebbero lavorato per un movimento in esilio, nel tentativo di dar vita a uno Stato indipendente abitato da popolazioni indigene negli Altipiani centrali. Le altre persone alla sbarra - riporta l'agenzia AsiaNews - sono state incriminate per aver "sobillato" e incitato alla rivolta migliaia di manifestanti in piazza nel 2008 per protestare contro l'esproprio forzato delle loro case, per far posto a un impianto idroelettrico. Gli otto cristiani condannati hanno un'età variabile fra i 32 e i 73 anni e sono finiti in galera per aver violato l'articolo 87 del codice penale, che punisce quanti "mettono in pericolo l'unità politica", incitando "alla divisione" o all'odio religioso. Scott Johnson, della Montagnard Foundation, con base negli Usa, parla di sentenza ingiustificata, perché queste persone legate alle minoranze etniche "vogliono solo vivere nella loro terra e godere dei diritti di base"; essi "non sono terroristi, non sono separatisti e non sono alla ricerca di uno Stato indipendente". In realtà, conclude, è un "pretesto" usato dal governo per reprimere la libertà religiosa e i movimenti slegati dal partito. Da anni le "tribù dei monti" subiscono una persecuzione religiosa da parte del governo, retaggio dei tempi della guerra in Vietnam quando le tribù si sono schierate a fianco degli Stati Uniti nel tentativo di dar vita a una nazione autonoma. Nel tempo le autorità di Hanoi hanno continuato a reprimerle, accusandole di "secessione" ed espropriando con questo pretesto i terreni. In molti hanno cercato rifugio in Cambogia, ma Phnom Penh ha più volte rispedito al mittente i fuggiaschi, in violazione alle norme Onu sui rifugiati politici. La loro appartenenza alla comunità cristiana rappresenta infine un ulteriore elemento di sospetto, che agli attacchi di natura etnico-politica unisce anche una persecuzione di matrice confessionale. (R.P.)

Radio Vaticana
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08/06/2013 08:56
 
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07/06/2013 
INDIA
I cristiani dell'Andhra Pradesh nel mirino degli estremisti indù

di Nirmala Carvalho 
Sajan George, capo del Global Council of Indian Christians, denuncia il clima di terrore instaurato dal Rashtriya Swayanmsevak Sang (Rss). Lo scorso 5 giugno oltre 50 estremisti hanno attaccato la comunità protestante di Mandal (Hyderabad). Sei pastori sono stati picchiati fino a lasciarli svenuti. L'assalto è avvenuto davanti agli occhi delle autorità.

Hyderabad (AsiaNews) - Il Rashtriya Swayanmsevak Sang, movimento estremista indù, ha instaurato un regime del terrore in Andhra Pradesh con il benestare delle autorità. Da mesi la comunità protestante subisce continue aggressioni da parte dei gruppi radicali. L'ultima risale allo scorso 5 giugno, quando un gruppo di 50 estremisti armati di bastoni e pietre ha assaltato la Telugu Baptist Church di Mandal, villaggio situato nel distretto di Ranga Reddy (Hyderabad).

Per Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians, tali fatti minano la reputazione della Repubblica indiana che tenta di porsi nel mondo come Paese tollerante e laico. "Questi estremisti intolleranti - afferma - hanno creato un loro regno del terrore in Andra Pradesh e minacciano l'esistenza dei cristiani".

L'attacco è avvenuto a mezzogiorno, mentre era incorso la riunione mensile della comunità. Secondo alcuni testimoni gli indù hanno fatto irruzione nell'edificio e trascinato in strada sei pastori accusati di conversioni forzate al cristianesimo, picchiandoli fino a lasciarli svenuti. Il fatto è avvenuto nella completa indifferenza delle autorità.

Ieri, la comunità protestante di Mandal ha organizzato un sit-in di protesta davanti alla sede del governo locale per chiedere alle autorità l'arresto dei responsabili dell'attacco e il rispetto della libertà religiosa e di culto.
 
 
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11/06/2013 07:34
 
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PAKISTAN: ANCORA ABUSI CONTRI I CRISTIANI NEL PUNJAB

10 giugno 2013

Ai cristiani viene negata loro la dignità di esseri umani: è la denuncia che giunge all’agenzia Fides dal distretto di Kasur, nella provincia del Punjab, distretto già noto per il caso di stupro, tuttora impunito, della 15enne cristiana Fouzia Bibi.
L’organizzazione non governativa “Lead” (Legal Evangelical Association Development”), ha segnalato a Fides un altro episodio in cui i cristiani di Kasur subiscono abusi e maltrattamenti da parte dei musulmani. Nei giorni scorsi alcuni musulmani locali hanno abusato, deriso, percosso e umiliato pubblicamente uomini e donne cristiane, lavoratori agricoli o pastori. Come riferito all'agenzia Fides, a scatenare la violenza fisica e psicologica, un banale sconfinamento di alcune greggi del cristiano Shoukat Masih, nelle terre di alcuni musulmani. Gli animali sono stati sequestrati e quando i fedeli sono andati a reclamarli, sono iniziate le percosse. Il 2 giugno alcuni uomini musulmani sono penetrati nella casa di una famiglia cristiana, percuotendo le tre donne Arshad Bibi, Sajida e Saruyia, spogliandole e poi costringendole a girare nude per le strade, mentre venivano derise e molestate, sotto gli occhi di tutti gli abitanti del villaggio, che non sono intervenuti. Lo stesso umiliante trattamento è stato riservato a due anziani cristiani, genitori di Shoukat Masih. Espressa la volontà di denunciare il fatto, “alcuni funzionari di polizia anche hanno fatto irruzione a casa nostra insieme a proprietari musulmani e ci hanno minacciato di coinvolgerci in una causa penale” racconta Shoukat Masih. I fedeli si sono rivolti al rev. Saleem Gill all’Ong “Lead”, guidata dall’avvocato Mushtaq Gill per chiedere assistenza legale. E’ stato così possibile registrare una denuncia ufficiale (“First Inforamtion Report”) sull’accaduto. Altre famiglia cristiane del luogo hanno raccontato di aver subito abusi e maltrattamenti dai proprietari terrieri musulmani, che sono loro datori di lavoro. (R.P.)

Radio Vaticana
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13/06/2013 23:08
 
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Ateismo di stato in Corea del Nord:
6mila cristiani nei gulag

Ragazza north koreaLa Corea del Nord ha stabilito un record: per l’11esimo anno consecutivo è il paese che perseguita di più i cristiani nel mondo. Lo ha stabilito il consueto rapporto annuale sulla persecuzione dei cristiani stilato dall’organizzazione internazionale Open Doors, il regime ateo-comunista di Pyongyang è il più repressivo nei confronti dei cristiani, peggio anche di Arabia Saudita (secondo posto), Afghanistan e Iraq (terzo e quarto).

Sul rapporto si legge che si «contrasta con veemenza ogni tipo di religione. I cristiani sono visti come persone ostili, meritevoli di arresto, detenzione, tortura e anche esecuzioni pubbliche». Secondo le stime di Open Doors,«nonostante la pesante repressione, esiste un movimento crescente di chiese sotterranee che conta circa 400 mila cristiani» su una popolazione di 24,5 milioni di abitanti.

Riferendosi poi al terribile campo di concentramento per prigionieri politici di Yodok, il rapporto ricorda che «in Corea del Nord c’è un sistema di campi di lavoro, compreso il famigerato campo n. 15, dove si trovano almeno 6 mila cristiani».  Secondo una fonte di Daily Nk, organo di informazione composto da dissidenti del Nord, «le autorità nordcoreane dividono i dissidenti in diverse categorie a seconda della ragione per cui cercano di scappare. Quelli che portano con sé una Bibbia o hanno stretto contatti con cristiani cinesi vengono di solito giustiziati». Un cristiano è stato recentemente ucciso proprio per questi motivi. Ricordiamo che assieme alla Cina, la Corea del Nord è uno dei pochi Paesi che ancora è guidato ufficialmentedall’ateismo di stato.

Dalla Russia invece, ex fortezza dell’ateismo governativo, si apprende che l’ora di religione è divenuta obbligatoria nelle scuole. Una decisione che non riteniamo per nulla condivisibile, stupisce tuttavia riflettere sulla portata del cambiamento avvenuto, quando fino a pochi anni fa il dittatore Stalin imponeva ore di ateismo scientifico nelle scuole e nelle facoltà universitarie, come ha recentemente ricordato la scrittrice russa Ljudmila Ulitskaja, la poetessa Ol’ga Aleksandrovna Sedakova e sopratutto Andrey Kuraev.

[Modificato da Credente 13/06/2013 23:09]
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25/06/2013 23:37
 
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CENTRAFRICA, L'ALLARME DEI VESCOVI PER IL PERICOLO ''ISLAMIZZAZIONE'' 
Il drammatico appello della conferenza episcopale mentre 500mila persone rischiano di essere ridotte alla fame entro la fine dell'anno

DAVIDE DEMICHELIS
ROMA
Cinquecentomila persone rischiano di essere ridotte alla fame entro la fine dell’anno, nella Repubblica Centrafricana. Lo ha reso noto l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari in un rapporto pubblicato il 21 giugno.

La carestia è dovuta soprattutto alla guerra e ai saccheggiamenti di cui si sono resi colpevoli i soldati della Seleka, la formazione che oggi controlla il governo nazionale. “Per scongiurare questo rischio stiamo distribuendo semi di arachidi, mais, sesamo ed altre sementi a 85 gruppi sparsi in sette diocesi”.

Padre Elysée Guedjandé è il responsabile della Caritas nazionale della Repubblica Centrafricana, che ha subito molti attacchi da parte di cellule impazzite di soldati governativi (ad esempio, il furto di 22 auto). Ma continua ad operare in tutto il Paese, nonostante le condizioni di sicurezza siano ancora molto precarie. Il 19 giugno ad esempio, un gruppo di soldati di Seleka, si è recato presso l’Ufficio governativo della Sicurezza Sociale della capitale, Bangui, ed ha portato via quattro veicoli.

Erano militari governativi, che però sostenevano di vantare dei crediti con il presidente Michel Djotodia, insediato con il colpo di Stato del 24 marzo scorso. Gli uomini armati che si impossessano di questi mezzi, spesso sostituiscono le targhe con scritte quali “Ce ne freghiamo della morte” oppure “Che lo vogliano o no arriveremo” e poi circolano liberamente, spesso per saccheggiare i granai o commettere violenze contro le persone. “Le vittime di queste violenze sono quasi sempre cristiani e animisti, e non i musulmani” denuncia padre Elysée. Nel villaggio di Dékoa sono state date alle fiamme 225 case, tutte di cristiani.

La Caritas ha appena finito di ricostruirle e tutti i legittimi proprietari sono tornati nel loro villaggio. Anche nella diocesi di Bangassou sono state bruciate cinquecento abitazioni, ancora una volta di cristiani e animisti. L’Arcivescovo di Bangui, monsignor Dieudonné Nzapalainga, ha promosso una serie di incontri con le chiese protestanti e l’Imam della capitale, per promuovere il dialogo interreligioso.

I vescovi del Centrafrica si sono riuniti dal 12 al 23 giugno, a Bangui, ed hanno inviato un messaggio a tutti i loro connazionali, proclamato oggi in occasione della celebrazione conclusiva dell’incontro presso la cattedrale di Notre Dame di Bangui: “Non si è mai visto un conflitto così grave, lungo e violento nel nostro Paese. Tutto questo risponde a un’agenda nascosta?”.

I musulmani sono meno del dieci per cento della popolazione. Il presidente in carica, Djotodia, quando era a capo dei ribelli e non aveva ancora conquistato il potere, ha scritto una lettera a tutti i musulmani chiedendo il loro aiuto, promettendo in cambio l’islamizzazione forzata di tutta la popolazione.

I vescovi denunciano anche “L’ardore e la determinazione con cui elementi di Seleka hanno profanato i luoghi di culto ed i beni dei cristiani, minando così la coesione sociale dei centrafricani. L’unità del popolo centrafricano è stata messa alla prova dalle azioni di alcuni nostri fratelli musulmani, che noi deploriamo”.

E concludono: “La crisi ci ha fatto correre il rischio di un grave conflitto religioso e di implosione del tessuto sociale, ma noi invitiamo i cristiani ad impegnarsi nella riconciliazione e nella ricostruzione sociale”.

Vatican insider
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30/06/2013 07:50
 
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AFRICA/CENTRAFRICA - “Una situazione mai vista prima in Centrafrica” afferma Mons. Nzapalainga

Bangui (Agenzia Fides)-“Una situazione mai vista prima nel nostro Paese” afferma Sua Ecc Mons. Dieudonné Nzapalainga, Arcivescovo di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, in un’intervista concessa al “Journal de Bangui”, alla vigilia della sua partenza per Roma, dove il 29 giugno, riceverà il palio da Papa Francesco. 
Come riportato da Fides (vedi Fides 25/6/2013) i Vescovi centrafricani si sono riuniti di recente per fare il punto sulla drammatica situazione nel Paese. Mons. Nzapalainga sottolinea che tutti i Vescovi hanno affermato che nelle loro singole diocesi la situazione è così drammatica che si può sintetizzare con l’espressione “di mai visto prima” per il livello di distruzione causato dai ribelli Seleka.

“Di mai visto prima” per quanto riguarda le distruzioni dei beni civili e dell’amministrazione dello Stato (in particolare gli archivi. “Che cosa spinge queste persone ad annichilire la memoria, bruciando i documenti amministrativi e gli altri archivi?” si chiede l’Arcivescovo). “Mai visto prima” un simile accanimento contro i cristiani, cattolici e protestanti. Le strutture della Chiesa sono state pesantemente colpite, almeno un centinaio di automezzi delle diocesi e delle missioni sono stati rubati, al punto che Sua Ecc. Juan José Aguirre Munos,Vescovo di Bangassou è costretto a muoversi a piedi per svolgere il suo servizio pastorale (vedi Fides 5/6/2013).

“Di mai visto prima” come numero di mercenari tra le file della ribellione che vivono sulle spalle della stremata popolazione centrafricana.

Di tutto questo Mons. Nzapalainga porterà testimonianza al Santo Padre, insieme alla speranza e alla volontà di riportare la pace nel Paese.
“La mia speranza- dice l’Arcivescovo di Bangui- è vedere la Repubblica Centrafricana unita. Che tutti i suoi figli, tutte le sue regioni, tutte le sue tribù, tutte le sue etnie possano sentirsi centrafricani, perché l’unità dà la forza”. “È ora di sfidare i nostri interessi egoistici e di cercare quello ci unisce” conclude Mons. Nzapalainga. 

(L.M.) (Agenzia Fides 28/6/2013)
AFRICA/CENTRAFRICA - “Una situazione mai vista prima in Centrafrica” afferma Mons. Nzapalainga

Bangui (Agenzia Fides)-“Una situazione mai vista prima nel nostro Paese” afferma Sua Ecc Mons. Dieudonné Nzapalainga, Arcivescovo di Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, in un’intervista concessa al “Journal de Bangui”, alla vigilia della sua partenza per Roma, dove il 29 giugno, riceverà il palio da Papa Francesco. 
Come riportato da Fides (vedi Fides 25/6/2013) i Vescovi centrafricani si sono riuniti di recente per fare il punto sulla drammatica situazione nel Paese. Mons. Nzapalainga sottolinea che tutti i Vescovi hanno affermato che nelle loro singole diocesi la situazione è così drammatica che si può sintetizzare con l’espressione “di mai visto prima” per il livello di distruzione causato dai ribelli Seleka.

“Di mai visto prima” per quanto riguarda le distruzioni dei beni civili e dell’amministrazione dello Stato (in particolare gli archivi. “Che cosa spinge queste persone ad annichilire la memoria, bruciando i documenti amministrativi e gli altri archivi?” si chiede l’Arcivescovo). “Mai visto prima” un simile accanimento contro i cristiani, cattolici e protestanti. Le strutture della Chiesa sono state pesantemente colpite, almeno un centinaio di automezzi delle diocesi e delle missioni sono stati rubati, al punto che Sua Ecc. Juan José Aguirre Munos,Vescovo di Bangassou è costretto a muoversi a piedi per svolgere il suo servizio pastorale (vedi Fides 5/6/2013).

“Di mai visto prima” come numero di mercenari tra le file della ribellione che vivono sulle spalle della stremata popolazione centrafricana.
 
Di tutto questo Mons. Nzapalainga porterà testimonianza al Santo Padre, insieme alla speranza e alla volontà di riportare la pace nel Paese.
“La mia speranza- dice l’Arcivescovo di Bangui- è vedere la Repubblica Centrafricana unita. Che tutti i suoi figli, tutte le sue regioni, tutte le sue tribù, tutte le sue etnie possano sentirsi centrafricani, perché l’unità dà la forza”. “È ora di sfidare i nostri interessi egoistici e di cercare quello ci unisce” conclude Mons. Nzapalainga. 

(L.M.) (Agenzia Fides 28/6/2013)
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01/07/2013 09:36
 
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Camerun: appello della Caritas per i nigeriani in fuga da "Boko Haram"

30 giugno 2013
Continuano a cercare rifugio nel nord del Camerun, al confine con lo Stato nigeriano di Borno i cittadini della Nigeria costretti alla fuga dalle violenze del gruppo fondamentalista "Boko Haram". L’Osservatore Romano riferisce l’appello della Caritas locale: “Se nessuna azione sarà organizzata nelle prossime settimane, il rischio di una tragedia umanitaria sarà inevitabile”, riferiscono dalla diocesi di Maroua-Mokolo, dove, da circa un anno, sono iniziate ad arrivare famiglie, in prevalenza cristiane e animiste, spaventate dagli scontri in corso fra "Boko Haram" ed esercito. La situazione è diventata ancora più delicata nelle ultime settimane, al punto che, solo il 10 giugno, circa diecimila persone hanno oltrepassato il confine tra Nigeria e Camerun. Altre difficoltà potrebbero arrivare con l’inizio, ormai imminente, della stagione delle piogge. La Caritas sottolinea dunque la situazione delle quarantamila famiglie rifugiate nei distretti di Koza e Mayo e nel dipartimento di Mayo Sava. “Notiamo con rammarico — scrive in una lettera il referente della Caritas, Edouard Kaldapa — un completo silenzio riguardo alla condizione di queste popolazioni rifugiate”. “Questa situazione dura da più di un anno e né i media nazionali né quelli internazionali se ne sono occupati. Nessuno vuole correre il rischio di avvicinarsi a queste zone isolate dei monti Mandara e dell’Estremo-Nord, eppure i bisogni sono urgenti”, prosegue l’operatore umanitario. La Caritas, preoccupata in particolare per lo scarso accesso all’acqua e le condizioni igieniche precarie, fa appello ad una risposta rapida. “Il poco che queste persone hanno portato con sé — spiega Kaldapa — finirà presto. Stiamo entrando nella stagione delle piogge e questo è il momento di impegnarsi nei campi per raccogliere il necessario per sfamare le famiglie, ma senza terra a disposizione per i rifugiati sarà difficile”. L’atmosfera complessiva è di grande insicurezza: “malgrado la presenza di alcuni elementi del Battaglione di intervento rapido (le forze speciali dispiegate nella zona dal Governo camerunense), i rifugiati e la popolazione locale vivono nell’inquietudine”. (D.M.)

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 181


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05/07/2013 08:28
 
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AFRICA/EGITTO - DOPO LA DEPOSIZIONE DI MORSI, RAPPRESAGLIE CONTRO I CRISTIANI 

Minya (Agenzia Fides) – Tra gli episodi di violenza che si susseguono in Egitto dopo la deposizione del presidente Morsi figura anche l'assalto alla parrocchia copto-cattolica di san Giorgio, nel villaggio di Delgia, a 60 chilometri da Minya.

Dalla sera di mercoledì 3 luglio gruppi di fanatici islamisti hanno prima saccheggiato e poi dato alle fiamme la casa del parroco e i locali dei gruppi parrocchiali. “Ringraziando Dio non ci sono state vittime e feriti” racconta all'Agenzia Fides il Vescovo copto cattolico di Minya Botros Fahim Awad Hanna “ma l'allarme continua. Gli integralisti hanno chiuso le strade d'ingresso al villaggio. Urlano slogan contro i cristiani, dicono che vogliono distruggere tutto e in queste ore stanno provando di nuovo a assaltare la chiesa. La polizia locale è impotente, io ho chiamato al Cairo per chiedere l'intervento dell'esercito”. 

L'assalto alla parrocchia di san Giorgio è finora l'episodio più grave di violenza contro i cristiani registrato nelle ore drammatiche vissute dal Paese. Ma minacce e intimidazioni contro comunità cristiane si registrano anche in altre località egiziane. 

(GV) (Agenzia Fides 4/7/2013).

foto d'archivio
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07/07/2013 07:34
 
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EGITTO, UCCISO UN PRETE COPTO. ANCORA SCONTRI TRA FRATELLI MUSULMANI E MANIFESTANTI

Luglio 6, 2013
Redazione
È stato assassinato oggi a el-Arish, capoluogo della provincia egiziana del Sinai Settentrionale: lo hanno riferito fonti delle forze di sicurezza locali

Un prete copto è stato assassinato oggi a el-Arish, capoluogo della provincia egiziana del Sinai Settentrionale: lo hanno riferito fonti delle forze di sicurezza locali, secondo cui il religioso è stato crivellato di proiettili. La penisola da due giorni è interessata da diversi attacchi di miliziani armati che si ritiene siano seguaci dei gruppi islamisti come i Fratelli Musulmani, cui fa capo il deposto presidente Mohamed Morsi: l’omicidio sarebbe tuttavia il primo delitto a sfondo settario nella regione, dove finora erano state prese di mira solo le autorità civili.

VENDETTA CONTRO I CRISTIANI. Gli integralisti islamici hanno criticato ferocemente nei giorni scorsi il papa copto Tawadros, leader spirituale degli otto milioni di cristiani d’Egitto, per essersi schierato contro Morsi e a favore dei militari golpisti. Pochi giorni fa la parrocchia copto-cattolica di san Giorgio, nel villaggio di Delgia, a 60 chilometri da Minya, è stata assaltata da gruppi di fanatici che lo scorso 3 luglio hanno saccheggiato e bruciato la casa del sacerdote e i locali della parrocchia.

SCONTRI E VITTIME. Intanto continuano gli scontri tra Fratelli Musulmani, manifestanti ed esercito. Ieri, nel venerdì della rabbia, sono morte almeno 36 persone, altre 1.000 sono rimaste ferite in tutto il Paese. Nella notte l’Alleanza nazionale a sostegno della legittimità, un cartello di partiti e movimenti islamici di cui fa parte anche la Fratellanza, ha annunciato nuove proteste “pacifiche” per chiedere che venga reinsediato Morsi. Nelle stesse ore la polizia ha arrestato Khairat al-Shater, uno dei più influenti collaboratori di Morsi.
Nuova Discussione
Rispondi
Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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