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ABIOGENESI

Ultimo Aggiornamento: 03/09/2023 18:42
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27/06/2011 23:38
 
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L’enigma dell’abiogenesi


di Michele Forastiere*
*insegnante di matematica e fisica in un liceo scientifico.

L’enigma dell’abiogenesi e l’esperimento di Miller

 
 
di Michele Forastiere*
*insegnante di matematica e fisica in un liceo scientifico.

 

Il problema della nascita della vita dalla materia inanimata (la cosiddetta “abiogenesi”) è sicuramente centrale nel dibattito sull’evoluzione. Sappiamo bene quanto facilmente questo argomento tenda a riscaldare gli animi nelle controversie sul darwinismo. D’altro canto – comunque la si pensi – è innegabile che la storia dei viventi sulla Terra deve essere cominciata in un momento ben preciso, prima del quale non esisteva che materia inanimata.

In primo luogo, occorre tenere presente che ogni attività svolta dagli organismi viventi comporta una lotta costante contro la tendenza della materia a decadere verso il disordine. Detto in altri termini, la vita è un fenomeno “anti entropico”. Ciò è permesso dal Secondo Principio della Termodinamica, poiché la biosfera è un sistema che scambia energia con l’esterno. Come si sa, la fonte energetica primaria è il Sole, grazie al quale avviene la fotosintesi – che permette la crescita degli organismi autotrofi (le piante) – che costituiscono la fonte di energia biochimica per alcuni organismi eterotrofi (gli erbivori) – che sono il nutrimento di altri organismi eterotrofi (i predatori). Avrò semplificato un po’ troppo: però le cose vanno oggi più o meno così.

Ma cosa succedeva all’inizio della storia? Molti studiosi ritengono che i primi viventi, comparsi qualcosa come tre miliardi e mezzo di anni fa, fossero eterotrofi. È però evidente che, se una parte di loro non si fosse molto presto avviata verso la fotosintesi, non sarebbe stata possibile l’evoluzione di organismi complessi (si sarebbero esaurite prima le risorse). Ciò nonostante, non vi era alcun vantaggio evolutivo immediato (nell’accezione darwiniana) nella comparsa sulla scena degli autotrofi. Come dire: se capita, capita; ma un salto del genere non è destinato ad accadere in virtù di qualche legge fondamentale. E il fatto che sia capitato è stato indubbiamente un gran bel colpo di fortuna.

Ma se non fosse stato quello il colpo di fortuna più grosso? Proviamo a riflettere sul momento preciso della transizione da materia inanimata a vita. Non mi addentrerò nelle inesauribili polemiche che ruotano intorno al famigerato esperimento di Miller; diamo pure per scontata l’esistenza di un “brodo primordiale” traboccante delle molecole essenziali per la vita primitiva – lipidi, amminoacidi, nucleotidi. La prima cosa da osservare è che il processo di replicazione del DNA/RNA – presente anche nelle più semplici forme di vita – non è una reazione chimica spontanea, perché corrisponde a una diminuzione del disordine. In altri termini, l’avvio dell’evoluzione biologica richiede per forza l’esistenza di una “macchina” associata, cioè un processo in grado di diminuire l’entropia del sistema. Il problema dell’abiogenesi si riduce, dunque, all’individuazione del primitivo “motore” termodinamico che avrebbe dato il calcio d’inizio all’inesauribile catena di reazioni biochimiche che sostengono la vita.

Girando su Internet mi sono imbattuto nel video divulgativo prodotto da Jack W. Szostak, professore della “Harvard Medical School”. Szostak ritiene di aver trovato il meccanismo all’origine dell’evoluzione biologica. Il ragionamento seguito è grosso modo il seguente: 1) Nel “brodo primordiale” si formano spontaneamente microscopiche bolle formate da una pellicola di grasso (vescicole lipidiche) che permettono l’ingresso delle molecole piccole (nucleotidi isolati), ma non l’uscita delle molecole grandi (una doppia elica di nucleotidi in successione casuale, che definiamo “DNA/RNA casuale”). 2) La riproduzione spontanea del “DNA/RNA casuale” avviene intorno alle fumarole sottomarine, dove si generano correnti circolari che permettono la rottura della doppia elica (nei punti in cui l’acqua è calda) e la sua successiva riproduzione (dove l’acqua è fredda). 3) Una vescicola grande tenderà a “risucchiare” le vescicole piccole, ingrandendosi; a un certo punto, poi, si frammenterà ripartendo il proprio “materiale genetico” tra le “vescicole figlie”. 4) In questo modo verrà selezionato il “DNA/RNA casuale” che si ricombina più velocemente. 5) Analogamente, in seguito verrà selezionata qualsiasi mutazione casuale capace di accrescere l’efficienza di riproduzione e di “predazione” delle vescicole.

E, conclude Szostak, “Questo è tutto”! Secondo me, però, questo sarebbe tutto… se la faccenda fosse davvero così semplice. Il modello di Szostak, infatti, non ha niente a che vedere con alcun microorganismo reale, neanche nella più primitiva versione ipotizzabile. In effetti, Szostak non descrive affatto un plausibile “motore” molecolare interno per la duplicazione del DNA/RNA, bensì un gigantesco e inefficiente “motore” esterno! Provo a fare un paragone: diciamo che una cellula vivente equivale a un telefono cellulare. Bene, in questa ottica il modello appena visto descriverebbe una locomotiva a vapore. È vero che i due oggetti hanno in comune alcuni principi fisici fondamentali; però nessuno si sognerebbe di affermare che un cellulare funziona più o meno come un treno a vapore, né che la costruzione del primo si deduce banalmente da quella del secondo. Neanche Szostak, dunque, risolve il dilemma di partenza: come potrebbe essere comparso il “motore” biochimico primordiale, se non per puro caso?

Se di caso si deve parlare, allora, vale la pena di chiedersi se la nascita della vita possa essere stata davvero solo un evento fortunato, e di provare a calcolare quanta fortuna sia stata coinvolta in esso. Un calcolo del genere ha senso, perché coinvolge solo processi chimici, che possono essere sottoposti ad analisi probabilistica. In realtà, c’è chi lo ha già fatto: e sembrerebbe che la fortuna occorrente sia veramente tanta – anche avendo a disposizione tutte le galassie dell’Universo e tutto il tempo trascorso dalla sua nascita.

Abbiamo esaminato in dettaglio le difficoltà insite in un certo tentativo di spiegazione riduzionistica della nascita della vita dalla materia inanimata. Ricordo che ci eravamo lasciati con un’osservazione e una promessa. L’osservazione era che la probabilità dell’apparizione – imprevista e casuale – di un meccanismo di traduzione/replica doveva essere estremamente bassa. La promessa era quella di dimostrare quest’ultima affermazione.

A parte le risposte date da studiosi più o meno invisi al darwinismo (come Luciano Benassi ), penso che la dimostrazione migliore sia quella fornita dal biologo evolutivo Eugene Koonin. Egli osserva che perfino nei più semplici sistemi biologici moderni (i virus a RNA) il meccanismo di “copiatura” del codice genetico richiede l’azione di una proteina specifica formata da 300 amminoacidi. A sua volta, naturalmente, l’informazione relativa alla “fabbricazione” di questa proteina deve essere codificata da una catena di RNA. Ora, è noto che un singolo amminoacido è “memorizzato” da una serie di tre molecole appartenenti alla famiglia dei nucleotidi. Dunque, una proteina formata da una sequenza di 300 amminoacidi viene “memorizzata” da una particolare catena di 900 nucleotidi. Koonin mette subito in evidenza due paradossi legati al problema dell’origine.

1) Per ottenere la minima complessità necessaria all’avvio dell’evoluzione biologica, si richiede la preesistenza di un meccanismo biochimico già notevolmente evoluto.

2) Il secondo riguarda la possibilità di pervenire al sistema di traduzione/replica mediante la selezione darwiniana: fino a che il complesso biochimico che effettua la traduzione dal DNA o RNA alle proteine non produce molecole funzionali, non esiste alcun vantaggio evolutivo che ne favorisca la selezione.
Provo a fare un paragone: facciamo finta che quella che segue sia la “parola” minima necessaria per far partire l’evoluzione: “NELMEZZODELCAMMINDINOSTRAVITAMIRITROVAIPERUNASELVAOSCURA”.  Diciamo che dobbiamo ottenere il nostro obiettivo lanciando moltissime volte un dado a 21 facce, su ognuna delle quali è impressa una lettera dell’alfabeto. Bene, Koonin afferma in pratica che non ci potremo ritenere soddisfatti fino a che non otterremo esattamente la sequenza giusta, perché qualunque differenza – anche di un solo carattere – renderebbe la frase incomprensibile. Riuscite a immaginare quanto sia improbabile infilare per caso la sequenza giusta? Bene, il nostro biologo evolutivo lo ha calcolato esattamente, ed è giunto alla conclusione che sarebbe veramente molto improbabile, anche avendo a disposizione miliardi di dadi e miliardi di anni di lanci. Su questo file PDF è possibile seguire l’intero procedimento di Koonin. Alla fine dei calcoli Koonin stabilisce che sarebbe praticamente certa – da qualche parte e in qualche epoca dell’Universo – la comparsa di una catena di RNA con n =102. È come dire che sarebbe relativamente facile – avendo a disposizione miliardi di anni e miliardi di pianeti su cui lanciare i dadi – concatenare per caso la “parola”: “NELMEZZODELCAMMINDINOSTRAVITAMIRIT”. Purtroppo, secondo Koonin il sistema minimo non potrebbe essere costituito da meno di 1800 nucleotidi. Il guaio è che, in tal caso, sarebbe richiesta una quantità di risorse probabilistiche ben 10 elevato alla 1018-sima volte superiore a quella disponibile (faccio notare che solo per leggere questo numero dobbiamo ripetere 113 volte la parola “miliardi”)! Avendo a disposizione un solo Universo, non avrei difficoltà a definire questa eventualità decisamente impossibile.

Come ho avuto modo di discutere in “Evoluzionismo e cosmologia” (Edizioni Cantagalli 2011), tale osservazione porta Koonin a sostenere l’esistenza di infiniti universi (il cosiddetto multiverso). D’altra parte, quali alternative rimangono in mano a uno scienziato (ultradarwinista o meno) che non voglia accettare il multiverso? Non molte, credo. Forse rimane solo una possibilità: che l’avvio dell’evoluzione biologica dipenda da un qualche meccanismo molecolare tuttora sconosciuto ma molto semplice, tanto da poter comparire facilmente nel “brodo primordiale”: insomma, un vero e proprio nano-robot molecolare. Bene, non credo che valga la pena di considerare come scientifica un’idea del genere, al momento nient’altro che un indimostrato mito tecnologico. E dunque? Penso proprio che possiamo tranquillamente concludere con questa semplice osservazione: nonostante i proclami, l’abiogenesi rimane ancora oggi un enigma irrisolto.


[Modificato da Credente 03/09/2023 18:42]
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