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ABIOGENESI

Ultimo Aggiornamento: 03/09/2023 18:42
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17/04/2011 22:53
 
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ABIOGENESI

Uno dei "nodi" fondamentali della storia della vita sulla terra è, ovviamente, quello della sua comparsa.
Si tratta di un "nodo" così complesso che lo stesso Darwin preferì lasciarlo insoluto, aggirando più o meno brillantemente il problema; eppure, "sciogliere il nodo" dell'origine della vita era indispensabile per tutta la costruzione darwiniana dell'evoluzionismo: se i primi viventi non si sono "evoluti" dalla materia per cause puramente meccaniche, a che scopo attribuire ai meccanismi delle "piccole variazioni casuali" e della "selezione naturale" la successiva comparsa di tutte le specie animali e vegetali?
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17/04/2011 22:54
 
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La "generazione spontanea" e la moderna "abiogenesi" (1)

La teoria secondo cui la vita sarebbe sorta casualmente dalla materia inorganica non è, in fondo, che la versione moderna di una credenza vecchia quanto la osservazione superficiale della natura, la "generazione spontanea": quella, per intenderci, in base alla quale gli antichi credevano che le anguille nascessero dalla melma dei fiumi, le zanzare dai miasmi delle paludi, le mosche dalla carne putrefatta, e così via.

Le ricerche di Oparin
Le moderne "teorie abiogenetiche" sono quasi tutte variazioni di quella proposta negli anni 1930 dal biologo sovietico Aleksandr Ivanovic' Oparin (1894-1980) (2), che ipotizzava un'atmosfera primitiva a carattere fortemente riducente, composta di idrogeno, vapore acqueo, metano, azoto e ammoniaca.

In tale atmosfera, la cui esistenza non è suffragata da dati sperimentali, ma è indispensabile alla teoria, le scariche elettriche dei fulmini e le radiazioni ultraviolette solari avrebbero provocato la sintesi di semplici composti organici, fra cui amminoacidi, purine e pirimidine, che, disperdendosi negli oceani, avrebbero formato il cosiddetto "brodo prebiotico", nel quale, per reazioni chimiche successive, si sarebbero formate casualmente le prime proteine e acidi nucleici e, infine, i primi organismi viventi.

Le ipotesi di Oparin non ebbero molto seguito, anche perché allora le teorie sulla formazione del sistema solare non prevedevano un'atmosfera diversa da quella attuale per la terra primitiva. Ma all'inizio degli anni 1950 il chimico statunitense Harold Clayton Urey (1893-1981) escogita un'ipotesi sulla formazione del sistema solare in accordo con la teoria di Oparin (3) e nel 1955 il chimico pure statunitense Stanley Lloyd Miller pubblica i risultati di esperimenti, durante i quali aveva ottenuto una miscela di composti organici, fra cui alcuni amminoacidi, facendo passare scariche elettriche attraverso miscele gassose di metano, ammoniaca, vapore acqueo e idrogeno (4).

Gli esperimenti di Miller
Gli esperimenti di Miller, successivamente confermati ed estesi, sia pure con qualche lieve modifica per quanto riguarda la composizione dell'"atmosfera primordiale", da esperimenti successivi (5), diedero un grande impulso alla "ipotesi abiogenetica" e sono citati da tutti i testi di biologia come la "prova sperimentale" che la vita può essere sorta spontaneamente dalla materia, dato che gli amminoacidi sono i componenti fondamentali delle proteine, di cui sono costituiti i tessuti biologici. Inoltre, molti degli altri composti organici identificati da Miller nella sua miscela di prodotti (6) si formano nel metabolismo di organismi viventi. Altri amminoacidi (7) e supposti "precursori prebiotici" di altri costituenti fondamentali della cellula, quali gli acidi nucleici (8), sono sintetizzabili in condizioni che ricordano da vicino quelle dell'ipotetico "brodo prebiotico".

Attualmente le discussioni tra gli "addetti ai lavori" hanno come oggetto non già l'"abiogenesi" in sé, che si dà per scontata, ma, caso mai, il meccanismo con cui si sarebbe verificata. Così, alcuni preferiscono, alle scariche elettriche, la irradiazione con luce ultravioletta di una "atmosfera" di metano, azoto e vapore acqueo, allo scopo di produrre altri composti organici, presentati anch'essi come possibili "elementi prebiotici" (9), ma non mettono in discussione il "fatto" dell'"abiogenesi" sebbene la "importanza prebiotica" dei risultati riportati è spesso discussa in poche righe, a conclusione di un normalissimo articolo di chimica organica (10) e, ancora, dalla "fuga nella fantascienza" di altri, che presentano, come "prova dell'abiogenesi", la fotosintesi di composti organici in miscele gassose riproducenti l'atmosfera di Giove (11).

A tutt'oggi la teoria di Oparin-Heldane che ancora costituisce "il programma di quello che oggi si ritiene sia il reale processo dell'evoluzione della vita" (12).

Tuttavia, dato che i risultati di simili esperimenti vengono quotidianamente sbandierati come "prove" non solo in scritti "divulgativi" (13), ma anche in rispettabili testi universitari (14), sarà bene esaminarli un poco più approfonditamente.


I limiti delle ipotesi
In tutti gli esperimenti di Miller del 1955 -e in quelli compiuti da lui e da altri ricercatori nei quarant'anni successivi- si otteneva, al termine della scarica o della irradiazione, una grande varietà di composti (ma in nessuno di tali esperimenti sono mai stati ottenuti contemporaneamente tutti i venti amminoacidi presenti nelle proteine), da cui i supposti "elementi prebiotici" andavano estratti e purificati con procedure spesso assai sofisticate.

Anche le rese erano bassissime: nel celebre esperimento di Miller esse andavano dal 10,3 al 7,3% dei prodotti organici totali per gli amminoacidi e dal 16,5 al 7,1% per gli acidi e ossiacidi organici (15). Ma vi è di più: negli esperimenti di "sintesi prebiotica" sono stati ottenuti anche parecchi amminoacidi che non si ritrovano nelle proteine, talvolta con rese più alte che quelli proteici; "la presenza di glicina, alanina, valina, isoleucina e leucina nelle proteine, ma l'assenza di acido alfa-ammino-n-butirrico, norvalina, alloisoleucina e norleucina, non può essere spiegata sulla base delle rese ottenute da questo tipo di sintesi" (16).

Inoltre, la proporzione tra i vari amminoacidi nelle proteine è quasi inversa che tra i prodotti di sintesi; per risolvere questa difficoltà, Miller è costretto a supporre una ulteriore "condizione necessaria", cioè una precipitazione frazionata di amminoacidi per evaporazione in qualche laguna, con formazione di polipeptidi nella fase solida: e tutto questo a conclusione di una serie di esperimenti in cui la resa totale in amminoacidi "utili" e no, era in media l'1,90% (17). Analoghe critiche potrebbero essere mosse alle varie sintesi di "precursori prebiotici" degli acidi nucleici.

Tutte queste teorie, come si è già visto, presuppongono la presenza, sulla terra, di una atmosfera riducente all'epoca della "evoluzione prebiotica" e "protobiotica". Orbene, le teorie più recenti sulla formazione della terra e della sua atmosfera escludono proprio questa ipotesi fondamentale, affermando che all'epoca della comparsa dei primi viventi la terra aveva un'atmosfera neutra o debolmente ossidante, non molto diversa dall'attuale, salvo, forse, per la mancanza di ossigeno che si sarebbe formato solo dopo la comparsa di organismi provvisti di clorofilla (18).

Un tentativo di ovviare a questo inconveniente, che rischia di mandare all'aria tutta la "teoria abiogenetica", è stato fatto in America da Allen J. Bard e dai suoi collaboratori. Costoro, dopo avere scoperto che, irradiando con luce ultravioletta una soluzione acquosa di ammoniaca satura di metano in presenza di biossido di titanio platinato - cioè ricoperto di platino finemente suddiviso -, si ottiene una miscela di amminoacidi (19), superano la obiezione relativa alla composizione dell'atmosfera primordiale osservando che il biossido di titanio catalizza la riduzione dell'azoto ad ammoniaca e dell'anidride carbonica a metano, formaldeide e metanolo, sia pure con basse rese (20).

Peccato che, per la formazione di amminoacidi sia indispensabile l'uso del biossido di titanio platinato, un catalizzatore sintetico, inesistente in natura. Infatti, sia il biossido di titanio non platinato, sia l'ossido ferrico, sia il minerale ilmenite - ossido misto di titanio e ferro - non producono amminoacidi nelle condizioni di reazione (21). Siamo, come si può vedere, ancora al punto di partenza.



***
(1) Parte del testo è tratta da Giulio Dante Guerra, La vita non è nata per caso, in Cristianità n. 97 (1983).
(2) Aleksandr Ivanovic Oparin, The Origin of Life, tr. inglese, Mac Millan, Londra 1936.
(3) Harold Clayton Urey, The Planets, Yale University Press, New Haven 1952; e Stanley L. Miller e H. C. Urey, Organic Compound Synthesis on the Primitive Earth, in Science, vol. 130, n. 3370, 31-7-1959, pp. 245-251.
(4) S. L. Miller, Production of Some Organic Compounds under Possible Primitive Earth Conditions, in Journal of the American Chemical Society, vol. 77, 5-5-1955, pp. 2351-2361.
(5) Idem, The Atmosphere of the Primitive Earth and the Prebiotic Synthesis of Amino Acids, in Origins of Life, vol. 5, 1974, pp. 139-151.
(6) Idem, Production of Some Organic Compounds under Possible Primitive Earth Conditions, cit., p. 2358.
(7) Nadav Friedmann e S. L. Miller, Synthesis of Valine and Isoleucine in Primitive Earth Conditions, in Nature, vol. 221, n. 5186, 22-3-1969, pp. 1152-1153.
(8) Gordon Schlesinger e S. L. Miller, Equilibrium and Kinetics of Gliconitrile Formation in Aqueous Solution, in Journal of the American Chemical Society, vol. 95, n. 11, 30-5-1973, pp. 3729-3735.
(9) J. P. Ferris e C. T. Chen, Chemical Evolution. XXVI. Photochemistry of Methane, Nitrogen, and Water Mixtures as a Model for the Atmosphere in the Primitive Earth, in Journal of the American Chemical Society, vol. 97, n. 11, 28-5-1975, pp. 2962-2967.
(10) Ad esempio, G. Schlesinger e S. L. Miller, art. cit., p. 3735.
(11) J. P. Ferris e C. T. Chen, Photosynthesis of organic compounds in the atmosphere of Jupiter, in Nature, vol. 258, n. 5536, 18-12-1975, pp. 587-588. Si tratta - lo riferisco a titolo di cronaca - di un lavoro finanziato addirittura dalla NASA.
(12) E. O. Wilson, T. Eisner ed altri, La vita sulla terra, Zanichelli 1983, p. 500.
(13) Jacques Monod, Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea, tr. it., 7a ed., Mondadori, Milano 1974, p. 137. Sul carattere né scientifico né filosofico, ma ideologico del saggio di Monod, nonché sul suo "pressappochismo" scientifico, cfr. anche il mio De libello a Jacobo Monod de alea et necessitate conscripto thomistica censura, in AA.VV., Atti dell'VIII Congresso Tomistico Internazionale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1982, vol. V, pp. 359-364.
(14) Ad esempio, Robert Thornton Morrison e Robert Neilson Boyd, Chimica Organica, tr. it., 1a ed., C.E.A., Milano 1965, cap. 2, § 2.4, p. 34.
(15) S. L. Miller, Production of Organic Compounds under Possible Primitive Earth Conditions, cit., p. 2358. Calcolando le rese sui reagenti, anziché sui prodotti, esse si riducono alla metà o a un quinto, a seconda degli esperimenti.
(16) Idem, The Atmosphere of the Primitive Earth and the Prebiotic Synthesis of Amino Acids, p. 145.
(17) Ibid., p. 144.
(18) R. Fondi, in G. Sermonti e R. Fondi, Dopo Darwin, Critica all'evoluzionismo, Rusconi 1980, pp. 164-167.
(10) Wendell W. Dunn, Yosihiro Aikawa e Allen J. Bard, Heterogeneous Photosynthetic Production of Amino Acids at Pt/TiO2 Suspensions by Near Ultraviolet Light, in Journal of the American Chemical Society, vol. 103, n. 23, 1981, pp. 6893-6897. Al posto del metano si possono usare anche metanolo ed etanolo.
(20) Ibid., p. 6897.
(21) Ibid., p. 6895.
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17/04/2011 22:56
 
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Dalle molecole organiche alle biomolecole (1)

Tutte le difficoltà affrontate nel paragrafo precedente, sono state incontrate per sintetizzare soltanto i "mattoni" - i monomeri, per dirla con il termine tecnico - delle macromolecole biologiche.

Passando poi alla seconda fase della "evoluzione chimica" quella in cui le "molecole prebiotiche" avrebbero reagito tra di loro per formare polisaccaridi, polipeptidi - e poi proteine - e polinucleotidi - e poi acidi nucleici -, che unendosi insieme avrebbero formato i primi organismi, le difficoltà salgono alle stelle. Qui il "caso" invocato dagli abiogenisti si rivela molto, molto intelligente.

Anche tralasciando il fatto che, negli anni 1980, le difficoltà esposte hanno portato i ricercatori più seri del settore a dubitare che possa mai essere esistito un "brodo prebiotico", come da questo "brodo prebiotico" siano potuti nascere per caso organismi viventi non è mai stato spiegato esaurientemente da nessuno.

Chiralità
La prima difficoltà è data dalla chiralità o attività ottica delle sostanze di origine biologica, dovuta alla dissimmetria sterica delle molecole (2). Gran parte delle molecole organiche sono dissimmetriche, ossia prive di piani di simmetria, così che possono esistere in due forme distinte, dette enantiomeri, che differiscono tra di loro per essere l'una la immagine speculare dell'altra così come la mano destra differisce dalla sinistra, donde il nome di molecole chirali -dal greco chéir, "mano"-. La possibilità di distinguere tra di loro i due enantiomeri è data, appunto, dalla loro attività ottica: se la soluzione di un enantiomero, attraversata da un raggio di luce polarizzata, ne ruota il piano di polarizzazione, per esempio, verso destra, una soluzione uguale dell'enantiomero opposto lo ruoterà, a parità di condizioni sperimentali, di un uguale angolo verso sinistra (3). La miscela di eguali quantità dei due enantiomeri si chiama racemo e, ovviamente, non ruota il piano della luce polarizzata.

Orbene, tutte le molecole chirali che fanno parte degli organismi biologici sono enantiomeri puri, e tutti della stessa configurazione cioè "tipo mano destra" o "tipo mano sinistra", a seconda della classe di molecole a cui appartengono. Così, tutti gli zuccheri presenti negli acidi nucleici, oppure nei tessuti e nelle strutture biologiche, sono otticamente attivi e tutti hanno la stessa configurazione sterica, "a forma di mano destra" mentre tutti gli amminoacidi che entrano a fare parte delle proteine sono sempre otticamente attivi - meno la glicina, che è simmetrica - e tutti hanno la stessa configurazione sterica, quella "tipo mano sinistra".

Invece, tutte le sintesi di amminoacidi compiute dagli abiogenisti dànno luogo a miscele racemiche (eguali quantità dell'enantiomero "destro" e di quello "sinistro"), dato che, per obbedienza al presupposto di partenza, sono compiute su reagenti non chirali, senza impiegare catalizzatori otticamente attivi. Addirittura, l'assenza di enantiomeri puri tra i prodotti è stata addotta come prova che gli amminoacidi non erano dovuti a contaminazione da parte di microorganismi (4).

Ora, è difficile capire perché da reazioni casuali tra amminoacidi statisticamente distribuiti tra le due forme si sarebbero formati polipeptidi enantiomericamente puri; lo stesso dicasi per i "precursori prebiotici" dei polisaccaridi e degli acidi nucleici.

Tale difficoltà era tanto insuperabile che nel 1984 il chimico statunitense James Peter Ferris - un abiogenista il quale, una decina d'anni prima, era addirittura riuscito a farsi finanziare dalla NASA, l'ente nazionale aeronautico e spaziale degli Stati Uniti d'America, una fantascientifica ricerca sulla fotosintesi di composti organici nell'atmosfera di Giove (5) - doveva ammettere che quello della chiralità in natura era un problema insoluto e verosimilmente insolubile, a meno di nuove scoperte del tutto imprevedibili. Poiché le ricerche successive non hanno dato risultati apprezzabili, il problema rimane ancora insoluto.


Molecole in sequenza
Ma non basta. Nelle proteine, non solo la configurazione sterica, ma anche la sequenza degli amminoacidi è tutt'altro che casuale, come pure la sequenza delle basi puriniche e pirimidiniche negli acidi nucleici: entrambe sono strettamente ordinate alle funzioni biologiche della macromolecola all'interno dell'organismo; tra le sequenze di basi negli acidi nucleici e le sequenze di amminoacidi nelle proteine esiste una correlazione valida per tutto il mondo biologico - il codice genetico, basato sulla corrispondenza fra terne di basi e amminoacidi -, così che la struttura dei primi determina quella delle seconde.

Polipeptidi statistici sono stati ottenuti da Fox riscaldando a 170°C una miscela di amminoacidi posti su un pezzo di roccia vulcanica (6), e dalla équipe romena di Simionescu - insieme con polisaccaridi a struttura non ordinata, pseudo-lipidi e impurezze varie - mediante esperimenti simili a quelli di Miller, ma condotti sotto vuoto alle temperature "siberiane" di -40°C e -60°C, anziché a pressione e a temperatura ambiente (7).

I prodotti ottenuti, posti in soluzioni acquose, si aggregano in microsfere, talvolta delimitate da una membrana polisaccaridica, chiamate dagli autori modelli di "protocellule" (8), ma che con le cellule autentiche non hanno proprio niente a che vedere: sono prive di attività metaboliche e riproduttive, in altre parole non vivono.



***
(1) Parte del testo è tratta da Giulio Dante Guerra, La vita non è nata per caso, in Cristianità n. 97 (1983).
(2) Per ovvie ragioni di comprensibilità, mi limiterò a una spiegazione piuttosto elementare e semplificata, anche se non errata. Per una trattazione sistematica cfr., per esempio, Giulio Natta e Mario Farina, Stereochimica, molecole in 3D, Mondadori, Milano 1968.
(3) Questo non significa però che tutti gli enantiomeri "a forma di mano destra" ruotino il piano della luce polarizzata verso destra e tutti quelli "a forma di mano sinistra" verso sinistra, come sembra dire J. Monod (op. cit., p. 58, nota). Un simile "strafalcione", decisamente "da bocciatura", non stupisce in Monod, visto il già notato "pressappochismo" e l'autentico disprezzo dell'intelligenza del lettore di cui è pieno il suo libro. Dispiace, invece, lo stesso errore da parte di uno studioso serio come Fondi (in G. Sermonti e R. Fondi, Dopo Darwin, Critica all'evoluzionismo, Rusconi 1980, p. 173). Mi auguro che venga corretto in una seconda edizione del libro.
(4) S. L. Miller, Production of Organic Compounds under Possible Primitive Earth Conditions, cit., p. 2359; e Idem, The Atmosphere of the Primitive Earth and the Prebiotic Synthesis of Amino Acids, cit., pp. 144-145.
(5) J. P. Ferris e C. T. Chen, Photosynthesis of organic compounds in the atmosphere of Jupiter, in Nature, vol. 258, n. 5536, 18-12-1975, pp. 587-588. Si tratta - lo riferisco a titolo di cronaca - di un lavoro finanziato addirittura dalla NASA.
(6) G. Sermonti e R. Fondi, op. cit., p. 175.
(7) Cristofor I. Simionescu, Ferencz Dénes e Ioan Negulescu, Abiotic Synthesis and the Properties of Some Protobiocopolymers, in Journal of Polymer Science, Polymer Symposia, n. 64, 1978, pp. 281-304.
(8) Ibid., pp. 296-299.
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17/04/2011 22:59
 
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Dalle biomolecole alle prime cellule

Sebbene ogni singolo passaggio del processo evolutivo è un evento probabilisticamente improbabile, l'evento più probabilisticamente difficile si è sicuramente verificato quando si è formato il primo essere vivente: infatti "dal punto di vista evolutivo, sembra senz'altro più facile che una primissima cellula vivente abbia potuto evolversi gradatamente nelle piante e negli animali oggi esistenti sulla Terra, di quanto un gruppo di molecole abbia potuto raggrupparsi sino a formare quella cellula" (John Tyler Bonner prof. all'Università di Princeton) (1).

Questa doveva infatti essere come una cellula vivente - anche se estremamente semplificata - con capacità di nutrirsi, di crescere e soprattutto di duplicarsi; tutto ciò presuppone una complessità di struttura con un ordine, con una resistenza e con un fine, tutte qualità non raggiungibili con una semplice aggregazione di composti di base.

"Ammesso che in lunghi intervalli di tempo potessero formarsi spontaneamente, ora una molecola di zucchero, ora un grasso, ora persino una proteina, ognuna di queste molecole avrebbe avuto soltanto un'esistenza effimera. Come avrebbero potuto accumularsi? E se non si potevano accumulare, come avrebbero potuto formare un organismo?" (premio Nobel prof. George Wald) (2).

Ma anche se si fossero potute accumulare e legarsi in qualche modo fra di loro, questo non è certo la vita: risulta impossibile comprendere come centinaia di migliaia di - ad esempio - proteine si siano organizzate a formare le parti funzionali di un primo - seppur semplice - organismo vivente.

Infatti anche il più concettualmente semplificabile degli organismi necessita di proteine di una certa complessità e specificità (un carrier proteico di membrana necessario per il trasporto di qualche sostanza ad es. nutritiva con qualche aa. diverso non è più attivo per il suo scopo); ora la loro aggregazione - necessaria per creare questa protocellula - deve essere avvenuta in un modo specifico, ma ciò presuppone una specializzazione che non poteva essere raggiunta se non in funzione dello scopo.

Questo singolo evento richiede cioè una progettualità a monte non raggiungibile con l'ipotesi di semplici eventi statistici.

La conclusione di tutto quanto analizzato in questa sezione è che l'evoluzione chimica è un fenomeno estremamente improbabile (3). Uso il termine estremamente improbabile perché il termine impossibile, fra le categorie scientifiche, non esiste.

Come ebbe a dire lo stesso Alexander I. Oparin, nel suo già citato libro L'origine della vita: "Sfortunatamente, l'origine della cellula rimane il punto più oscuro dell'intera teoria evoluzionista" (4).



***
(1) Le idee della biologia, Mondadori, 1964.
(2) L'origine della vita, Zanichelli, 1968.
(3) G. Sermonti e R. Fondi, Dopo Darwin, Critica all'evoluzionismo, Rusconi 1980, p. 161.
(4) Alexander I. Oparin, Origin of Life, (1936) New York: Dover Publications, 1953 (ristampa), p. 196.
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27/06/2011 23:38
 
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L’enigma dell’abiogenesi


di Michele Forastiere*
*insegnante di matematica e fisica in un liceo scientifico.

L’enigma dell’abiogenesi e l’esperimento di Miller

 
 
di Michele Forastiere*
*insegnante di matematica e fisica in un liceo scientifico.

 

Il problema della nascita della vita dalla materia inanimata (la cosiddetta “abiogenesi”) è sicuramente centrale nel dibattito sull’evoluzione. Sappiamo bene quanto facilmente questo argomento tenda a riscaldare gli animi nelle controversie sul darwinismo. D’altro canto – comunque la si pensi – è innegabile che la storia dei viventi sulla Terra deve essere cominciata in un momento ben preciso, prima del quale non esisteva che materia inanimata.

In primo luogo, occorre tenere presente che ogni attività svolta dagli organismi viventi comporta una lotta costante contro la tendenza della materia a decadere verso il disordine. Detto in altri termini, la vita è un fenomeno “anti entropico”. Ciò è permesso dal Secondo Principio della Termodinamica, poiché la biosfera è un sistema che scambia energia con l’esterno. Come si sa, la fonte energetica primaria è il Sole, grazie al quale avviene la fotosintesi – che permette la crescita degli organismi autotrofi (le piante) – che costituiscono la fonte di energia biochimica per alcuni organismi eterotrofi (gli erbivori) – che sono il nutrimento di altri organismi eterotrofi (i predatori). Avrò semplificato un po’ troppo: però le cose vanno oggi più o meno così.

Ma cosa succedeva all’inizio della storia? Molti studiosi ritengono che i primi viventi, comparsi qualcosa come tre miliardi e mezzo di anni fa, fossero eterotrofi. È però evidente che, se una parte di loro non si fosse molto presto avviata verso la fotosintesi, non sarebbe stata possibile l’evoluzione di organismi complessi (si sarebbero esaurite prima le risorse). Ciò nonostante, non vi era alcun vantaggio evolutivo immediato (nell’accezione darwiniana) nella comparsa sulla scena degli autotrofi. Come dire: se capita, capita; ma un salto del genere non è destinato ad accadere in virtù di qualche legge fondamentale. E il fatto che sia capitato è stato indubbiamente un gran bel colpo di fortuna.

Ma se non fosse stato quello il colpo di fortuna più grosso? Proviamo a riflettere sul momento preciso della transizione da materia inanimata a vita. Non mi addentrerò nelle inesauribili polemiche che ruotano intorno al famigerato esperimento di Miller; diamo pure per scontata l’esistenza di un “brodo primordiale” traboccante delle molecole essenziali per la vita primitiva – lipidi, amminoacidi, nucleotidi. La prima cosa da osservare è che il processo di replicazione del DNA/RNA – presente anche nelle più semplici forme di vita – non è una reazione chimica spontanea, perché corrisponde a una diminuzione del disordine. In altri termini, l’avvio dell’evoluzione biologica richiede per forza l’esistenza di una “macchina” associata, cioè un processo in grado di diminuire l’entropia del sistema. Il problema dell’abiogenesi si riduce, dunque, all’individuazione del primitivo “motore” termodinamico che avrebbe dato il calcio d’inizio all’inesauribile catena di reazioni biochimiche che sostengono la vita.

Girando su Internet mi sono imbattuto nel video divulgativo prodotto da Jack W. Szostak, professore della “Harvard Medical School”. Szostak ritiene di aver trovato il meccanismo all’origine dell’evoluzione biologica. Il ragionamento seguito è grosso modo il seguente: 1) Nel “brodo primordiale” si formano spontaneamente microscopiche bolle formate da una pellicola di grasso (vescicole lipidiche) che permettono l’ingresso delle molecole piccole (nucleotidi isolati), ma non l’uscita delle molecole grandi (una doppia elica di nucleotidi in successione casuale, che definiamo “DNA/RNA casuale”). 2) La riproduzione spontanea del “DNA/RNA casuale” avviene intorno alle fumarole sottomarine, dove si generano correnti circolari che permettono la rottura della doppia elica (nei punti in cui l’acqua è calda) e la sua successiva riproduzione (dove l’acqua è fredda). 3) Una vescicola grande tenderà a “risucchiare” le vescicole piccole, ingrandendosi; a un certo punto, poi, si frammenterà ripartendo il proprio “materiale genetico” tra le “vescicole figlie”. 4) In questo modo verrà selezionato il “DNA/RNA casuale” che si ricombina più velocemente. 5) Analogamente, in seguito verrà selezionata qualsiasi mutazione casuale capace di accrescere l’efficienza di riproduzione e di “predazione” delle vescicole.

E, conclude Szostak, “Questo è tutto”! Secondo me, però, questo sarebbe tutto… se la faccenda fosse davvero così semplice. Il modello di Szostak, infatti, non ha niente a che vedere con alcun microorganismo reale, neanche nella più primitiva versione ipotizzabile. In effetti, Szostak non descrive affatto un plausibile “motore” molecolare interno per la duplicazione del DNA/RNA, bensì un gigantesco e inefficiente “motore” esterno! Provo a fare un paragone: diciamo che una cellula vivente equivale a un telefono cellulare. Bene, in questa ottica il modello appena visto descriverebbe una locomotiva a vapore. È vero che i due oggetti hanno in comune alcuni principi fisici fondamentali; però nessuno si sognerebbe di affermare che un cellulare funziona più o meno come un treno a vapore, né che la costruzione del primo si deduce banalmente da quella del secondo. Neanche Szostak, dunque, risolve il dilemma di partenza: come potrebbe essere comparso il “motore” biochimico primordiale, se non per puro caso?

Se di caso si deve parlare, allora, vale la pena di chiedersi se la nascita della vita possa essere stata davvero solo un evento fortunato, e di provare a calcolare quanta fortuna sia stata coinvolta in esso. Un calcolo del genere ha senso, perché coinvolge solo processi chimici, che possono essere sottoposti ad analisi probabilistica. In realtà, c’è chi lo ha già fatto: e sembrerebbe che la fortuna occorrente sia veramente tanta – anche avendo a disposizione tutte le galassie dell’Universo e tutto il tempo trascorso dalla sua nascita.

Abbiamo esaminato in dettaglio le difficoltà insite in un certo tentativo di spiegazione riduzionistica della nascita della vita dalla materia inanimata. Ricordo che ci eravamo lasciati con un’osservazione e una promessa. L’osservazione era che la probabilità dell’apparizione – imprevista e casuale – di un meccanismo di traduzione/replica doveva essere estremamente bassa. La promessa era quella di dimostrare quest’ultima affermazione.

A parte le risposte date da studiosi più o meno invisi al darwinismo (come Luciano Benassi ), penso che la dimostrazione migliore sia quella fornita dal biologo evolutivo Eugene Koonin. Egli osserva che perfino nei più semplici sistemi biologici moderni (i virus a RNA) il meccanismo di “copiatura” del codice genetico richiede l’azione di una proteina specifica formata da 300 amminoacidi. A sua volta, naturalmente, l’informazione relativa alla “fabbricazione” di questa proteina deve essere codificata da una catena di RNA. Ora, è noto che un singolo amminoacido è “memorizzato” da una serie di tre molecole appartenenti alla famiglia dei nucleotidi. Dunque, una proteina formata da una sequenza di 300 amminoacidi viene “memorizzata” da una particolare catena di 900 nucleotidi. Koonin mette subito in evidenza due paradossi legati al problema dell’origine.

1) Per ottenere la minima complessità necessaria all’avvio dell’evoluzione biologica, si richiede la preesistenza di un meccanismo biochimico già notevolmente evoluto.

2) Il secondo riguarda la possibilità di pervenire al sistema di traduzione/replica mediante la selezione darwiniana: fino a che il complesso biochimico che effettua la traduzione dal DNA o RNA alle proteine non produce molecole funzionali, non esiste alcun vantaggio evolutivo che ne favorisca la selezione.
Provo a fare un paragone: facciamo finta che quella che segue sia la “parola” minima necessaria per far partire l’evoluzione: “NELMEZZODELCAMMINDINOSTRAVITAMIRITROVAIPERUNASELVAOSCURA”.  Diciamo che dobbiamo ottenere il nostro obiettivo lanciando moltissime volte un dado a 21 facce, su ognuna delle quali è impressa una lettera dell’alfabeto. Bene, Koonin afferma in pratica che non ci potremo ritenere soddisfatti fino a che non otterremo esattamente la sequenza giusta, perché qualunque differenza – anche di un solo carattere – renderebbe la frase incomprensibile. Riuscite a immaginare quanto sia improbabile infilare per caso la sequenza giusta? Bene, il nostro biologo evolutivo lo ha calcolato esattamente, ed è giunto alla conclusione che sarebbe veramente molto improbabile, anche avendo a disposizione miliardi di dadi e miliardi di anni di lanci. Su questo file PDF è possibile seguire l’intero procedimento di Koonin. Alla fine dei calcoli Koonin stabilisce che sarebbe praticamente certa – da qualche parte e in qualche epoca dell’Universo – la comparsa di una catena di RNA con n =102. È come dire che sarebbe relativamente facile – avendo a disposizione miliardi di anni e miliardi di pianeti su cui lanciare i dadi – concatenare per caso la “parola”: “NELMEZZODELCAMMINDINOSTRAVITAMIRIT”. Purtroppo, secondo Koonin il sistema minimo non potrebbe essere costituito da meno di 1800 nucleotidi. Il guaio è che, in tal caso, sarebbe richiesta una quantità di risorse probabilistiche ben 10 elevato alla 1018-sima volte superiore a quella disponibile (faccio notare che solo per leggere questo numero dobbiamo ripetere 113 volte la parola “miliardi”)! Avendo a disposizione un solo Universo, non avrei difficoltà a definire questa eventualità decisamente impossibile.

Come ho avuto modo di discutere in “Evoluzionismo e cosmologia” (Edizioni Cantagalli 2011), tale osservazione porta Koonin a sostenere l’esistenza di infiniti universi (il cosiddetto multiverso). D’altra parte, quali alternative rimangono in mano a uno scienziato (ultradarwinista o meno) che non voglia accettare il multiverso? Non molte, credo. Forse rimane solo una possibilità: che l’avvio dell’evoluzione biologica dipenda da un qualche meccanismo molecolare tuttora sconosciuto ma molto semplice, tanto da poter comparire facilmente nel “brodo primordiale”: insomma, un vero e proprio nano-robot molecolare. Bene, non credo che valga la pena di considerare come scientifica un’idea del genere, al momento nient’altro che un indimostrato mito tecnologico. E dunque? Penso proprio che possiamo tranquillamente concludere con questa semplice osservazione: nonostante i proclami, l’abiogenesi rimane ancora oggi un enigma irrisolto.


[Modificato da Credente 03/09/2023 18:42]
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31/01/2013 11:20
 
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Dal multiverso all’abiogenesi,
congetture confuse con teorie scientifiche

Universo e punto interrogativo 
 
di Giorgio Masiero*
*fisico

 

Prima il “modello” matematico dei meteoriti panspermici, presentato a un convegno di astrofisici a Madrid; poi, la presenza (“forse”) di composti del carbonio su Marte, comunicata dalla Nasa; poi l’annuncio in un meeting di astronomi a Long Beach di tracce (“ancora incerte”) di un composto dell’azoto a un migliaio di anni luce da qui. Ieri le alghe spaziali, “forse”… Tutti i giorni escono da organi scientifici notizie insignificanti (e “forse” false), per essere rimbalzate nelle sezioni cosiddette scientifiche dei media, dove il titolo si ripete a caratteri cubitali: scoperti i precursori della vita!

L’interesse dei giornali si capisce: è quello di vendere copie. Quello della Nasa è chiaro: convincere il Congresso USA sull’orlo del fiscal cliff a mantenere gli stanziamenti. Ma quello degli scienziati? Formulo due congetture, non necessariamente alternative: la prima è che anch’essi devono promuovere le loro dispendiose strutture di ricerca ed i loro confortevoli simposi, tanto più quando per scarsità di scoperte vere non hanno applicazioni in vista con cui attirare il venture capital; l’altra è che non sanno più dire: “Non sappiamo”. Esito: disinformazione e indottrinamento di massa. Un martellante Minculpop.

In-dottrina-mento = “sistema per caricare nozioni dentro”. Un bel esempio sono le madrasse afghane, dove i talebani (in arabo, scolari) imparano a memoria, senza capire né tantomeno discutere, le nozioni di Corano che l’iman (il dotto) detta loro, con un meccanico travaso di ortodossia congelata da una memoria vecchia ad una nuova. Ma anche l’Occidente smaliziato è cosparso di madrasse, più efficienti di quelle islamiche perché usano nomi diversivi e metodi accattivanti: sono distribuite tra gli organi d’informazione (“in-formazione” = formare dentro) stampa, radio-tv e internet. Se una fonte “dotta” – un divulgatore free lance alla ricerca di scoop, un’associazione scientifica, un ente tecnologico o una gilda d’insegnanti – spaccia per evidenza scientifica ciò che è solo una fantasia, allora noi siamo oggetto d’indottrinamento.

Sull’home page dell’ANISN (Associazione Nazionale Insegnanti di Scienze Naturali) svetta il motto “Nulla ha senso in biologia se non alla luce dell’evoluzione”: anche se è una banalità empirica ammiccante ad una teoria scientifica che non c’è ancora, il mantra è lì a proclamare che la spiegazione della vita già c’è e non vale la pena di cercarla. Stop. Ancor più perentoria è la pagina dell’ANISN dedicata all’abiogenesi: qui si legge che la formazione della vita nel nostro pianeta è un problema “ancora non completamente chiarito”. Ebbene, questa sarà anche la perifrasi politicamente corretta di denotare le questioni su cui la scienza non sa nulla, però intanto inculca l’idea che il problema è risolto, se non per qualche dettaglio. Il che è falso. Lo spettro delle congetture imbastite negli ultimi 70 anni (una dozzina, le principali) comprende le assunzioni più contraddittorie: da chi considera l’abiogenesi un evento improbabile ed irripetibile, a chi all’opposto la ritiene ineluttabile ed iscritta nella natura delle cose; da chi specula che tutte le forme di vita abbiano avuto origine “verticale” da un comune antenato, a chi invece postula un’era di forme prebiotiche con scambi genici “orizzontali”, da cui si sarebbero dipartiti i vari rami filogenetici. Insomma, la nostra conoscenza su come sia sorta la vita nella Terra è identica a quella di cui disponeva Hammurabi di Babilonia 4.000 anni fa, che la fondava su Marduk: zero.

Intendetemi, non voglio dire che sia illegittimo in scienza speculare: anzi, quest’attività che interessa direttamente la ricerca, è un motore dell’avanzamento scientifico. Però le congetture (i mezzinon vanno confuse con i fatti o con le teorie scientifiche (i fini). La caratteristica di una teoria scientifica corroborata è di descrivere una fenomenologia (delimitata e semplificata) della Natura in maniera veridica, in quanto le sue assunzioni si sono dimostrate capaci di fornire predizioni validate dall’osservazione sperimentale, prima o poi anche confortate da applicazioni tecniche. Non esiste una procedura algoritmica (tipica delle macchine) per ideare teorie scientifiche, ma solo quell’attività unica ed irriducibile della mente che si chiama intuizione. L’attività di ricerca guidata dall’intuizione procede per tentativi ed errori, per durature sbandate interrotte da qualche raro, serendipico colpo di genio. “Nell’onesta ricerca della conoscenza tu devi molto spesso riconoscere la tua ignoranza per un periodo indefinito. [...] La volontà di resistere in piedi davanti a questa necessità, anzi di apprezzarla come stimolo e ripartenza per una ricerca ulteriore, è una disposizione naturale ed indispensabile nella mente d’uno scienziato” (Erwin Schrödinger).

Il 30 dicembre si è spento Carl Woese, un microbiologo che ha cercato di liberare la sua disciplina dalle manette del meccanicismo e del riduzionismo. In riferimento alle storielle ad hoc che in biologia si amano raccontare per spiegare col senno di poi le proprietà degli organismi viventi, diceva: “Pensa alle spiegazioni della biologia evolutiva classica [il darwinismo] alla luce della ragione e della moderna evidenza empirica, prima di stendere un tappeto davanti ad esse. La maggior parte si mostreranno soltanto delle congettureche i biologi dell’800 usavano per stimolare i propri pensieri; ma le congetture, dopo essere state ripetute nel tempo, sono state nella nostra epoca scolpite nel marmo: i concetti moderni dell’evoluzione cellulare sono di fatto versioni pietrificate delle speculazioni del 19mo secolo. […] Puntare ad indovinare di per sé non è una bestemmia; bestemmia è mascherare ipotesi, congetture e altre cose simili come soluzioni finali o fatti, così violando le norme scientifiche”. Che impongono finalmente il setaccio di predizioni controllabili. Una scienza che non riconosce la propria ignoranza degenera nel suo opposto: il dogmatismo.

Non solo la biologia ha i suoi talebani a profanarla 70 volte al giorno. Il 15 gennaio scorso Michele Forastiereha scritto un divertente un divertente articolo sulle invenzioni dei psicologi per spiegare il comportamento umano. In fisica le storielle ad hoc si chiamano modelli. La differenza tra i due tipi letterari sta soltanto nel linguaggio usato, che nelle storielle è una lingua parlata (ufficialmente, l’inglese), avente difetti e pregi degli idiomi: imprecisione e vaghezza, ma anche spalancamento alla fertilità della poesia; nei modelli è la matematica, con le sue virtù d’esattezza e compattezza, ma anche con la sua sterilità tautologica.

Una fabbrica che da 50 anni sforna sempre nuovi modelli alle riviste, più di quanto l’industria tedesca non faccia al mercato dell’auto, è la cosmologia. Per ripugnanza della metafisica apparentemente implicata dalla relatività generale – che dalla predizione dell’espansione intergalattica estrapola un inizio assoluto dell’Universo –, fin dalla prima metà del secolo scorso alcuni fisici furono comprensibilmente ansiosi di trovare una via d’uscita, capace di restituire il conforto di un Universo eterno. Il primo fu Einstein stesso, che tentò una correzione ad hoc della sua teoria, di cui si sarebbe pentito come del “più grande errore”, dopo che nel 1929 l’espansione fu osservata da Edwin Hubble col red-shift. Anche Fred Hoyle, che per spregio inventò il nomignolo “Big Bang”, non poteva accettare una teoria allusiva ad un’Agenzia soprannaturale. “A molti ciò appare assai soddisfacente – diceva – perché ‘qualcosa’ fuori della fisica può essere introdotto al tempo t = 0. Poi subito, con una manovra semantica, la parola ‘qualcosa’ viene sostituita da ‘dio’, con l’eccezione che la prima lettera diviene maiuscola, ‘Dio’, quasi ad avvertirci che non possiamo portare la ricerca oltre”. Ma lui, novello Prometeo, dismise l’auto-avvertimento e portò avanti la ricerca, formulando nel 1948 il modello dello “stato stazionario”. Secondo tale congettura, l’Universo è sì in uno stato di espansione isotropica; però, man mano che le galassie si allontanano, nuova materia è creata (come? da che cosa? il modello tace) nei vuoti di spazio creati dalla recessione. Così, riavvolgendo all’indietro il film, materia ed energia ora scompaiono, la densità dell’Universo non diverge più al tempo = 0 e… zac!, la singolarità iniziale scompare. Purtroppo, l’ipotesi dello stato stazionario non fu mai confermata da uno straccetto di misura: il suo fascino era puramente metafisico. La falsificazione decisiva al modello venne con due scoperte che corroborarono la teoria Standard, in aggiunta al red-shift: la nucleosintesi degli elementi leggeri e la radiazione di fondo.

Dal primo modello “cosmogonico” di Hoyle la creatività umana ne ha ideato in 65 anni 65 altri, culminati nei “multiversi” multi-livello. Un multiverso dovrebbe prendere due piccioni con una fava: eliminare la singolarità iniziale e spiegare la coincidenza (fine tuning) di una ventina di costanti fisiche, che fin dal Big Bang sembrano calibrate esattamente per permettere lo sviluppo della vita nell’Universo, dopo una decina di miliardi d’anni dal suo inizio. (La Terra ha ubbidito immediatamente). L’idea del multiverso è stata presa in prestito dal filosofo presocratico Democrito, “che ‘l mondo a caso pone” (Dante). Come mostro in un altro articolo, il fallimento scientifico della congettura neo-democritea è totale:
1) non ha partorito in oltre mezzo secolo una predizione verificabile;
2) se mai lo farà, non rispetterà il rasoio di Ockam;
3) non risolve il problema di un inizio assoluto anche del multiverso… e manco quello del fine tuning per cui l’idea fu esumata.

I multiversi, ha confessato un loro ideatore, Alex Vilenkin, non appartengono alla fisica, ma sono “esercizi di cosmologia metafisica”, buoni a riempir le pagine delle riviste peer review (ed il cv degli autori). AncheStephen Hawking ha riconosciuto che la sua cosmogonia non è realistica, ma con lo scatto dell’idealista ha invocato l’inconoscibilità del noumeno: “Io non so cosa sia la realtà. Io condivido il punto di vista positivista che una teoria fisica è solo un modello matematico e non ha senso chiedersi se essa corrisponde alla realtà. Mi accontento che faccia delle predizioni osservabili”. Qui, però, non si contestano le concezioni filosofiche dei fisici, ma la scientificità di alcune loro congetture: dove sono le “predizioni osservabili”, se è lecita la domanda dopo 65 anni di studi pagati dai contribuenti?

C’è un altro clamoroso caso in fisica di abuso della matematica, talché la volatilità della seconda fa perdere alla prima ogni contatto con la realtà: la congettura delle stringhe (evolute in super-stringhe evolute in membrane evolventisi in super-membrane…). In 40 anni nessuna predizione: né la massa d’una particella elementare, né una costante di coupling, né il numero delle interazioni di “gauge”. Zero. Brian Greene, uno dei massimi studiosi di questa matematica non ancora formalizzata, ha detto: “Non chiedetemi se ci credo. La mia risposta sarebbe quella di 10 anni fa: no. E questo perché io credo solo a teorie che possono fare predizioni controllabili”. Si stima che più di 10.000 anni-uomo siano stati buttati ad esplorare la congettura. Può essere utile il confronto con la dozzina bastata ad elaborare ognuna delle 3 principali teorie della fisica moderna: l’elettromagnetismo, la relatività e la meccanica quantistica.

Il fatto è che la matematica è come il cappello d’un illusionista: ne esce solo ciò che ci metti dentro. Un modello, da solo, non può spiegare nulla più di ciò che l’autore vi ha postulato. Come la prestidigitazione, la matematica usa procedure precisissime e ignote ai più, che richiamano la magia; ma solo i bambini ci cascano, perché credono alla magia. Tantomeno la matematica può portare all’esistenza fisica un pensiero, o un sistema logico-formale di pensieri. “Che cosa ha soffiato il fuoco sulle mie equazioni dando loro un Universo da descrivere?”, s’interrogava un tempo Hawking, con modestia. Poi, a forza di matematizzare e astrarre, ha violato una regola aurea del metodo scientifico – “La matematica è al termine della filosofia naturale, ma non la deve generare” (Francesco Bacone) – ed è cascato nella stregoneria delle “sue” equazioni che “fannoapparire l’Universo dal nulla”…, divenendo una star degli idola theatri.

L’uomo di scienza postula l’esistenza di una realtà indipendente (la “Natura”) che si prefigge di spiegare; assegna al linguaggio logico e matematico il suo ruolo descrittivo e predittivo; osserva, intuisce, congettura; confronta le predizioni delle sue congetture con nuove osservazioni; e solo se c’è accordo conserva le congetture. Quando nel suo racconto non ci sono predizioni osservabili o non c’è accordo tra predizioni ed empiria, abbandona il racconto e ne cerca un altro. Perché la Natura sta come roccia indipendente dalla fantasia e, a differenza della letteratura, la scienza ha il compito di descriverla oggettivamente. Questa è la scienza moderna secondo i maestri fondatori: “Non più cortigiana, strumento di voluttà, né serva, strumento di guadagno; ma sposa legittima, rispettata e rispettabile, feconda di nobile prole, di vantaggi reali e di oneste delizie” (F. Bacone).

Quanta parte della ricerca contemporanea rientra nei canoni della scienza moderna?

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24/03/2013 18:32
 
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Che cos’è la vita?
La scienza non riesce ancora a definirla

Origine della vita
 
di Giorgio Masiero*
*fisico

 

Gli scienziati non sanno come sia comparsa la vita. Se qualche lettore non è d’accordo con me (e pensa di avere almeno uno schema di soluzione) può candidarsi per il premio di un milione di dollari messo in palio dalla Origin-of-Life Foundation (USA). Dalle evidenze fossili sappiamo che forme elementari di vita simili a batteri erano già presenti nel nostro pianeta3,5 miliardi di anni fa, ma come si siano originate ci è del tutto oscuro.

A priori, sul piano logico, ci sono 5 possibilità:
1)      Quelle cellule sono comparse per leggi naturali, attraverso una successione di aggregazioni e trasformazioni chimiche, a partire da semplici composti organici (“abiogenesi”);

2)      il problema è indecidibile;

3)      la vita terrestre proviene dallo spazio (“panspermia”);

4)      è stata creata da Dio;

5)      è comparsa per caso.

Solo le prime due assunzioni sono ipotesi di lavoro scientifiche, la terza rinvia alle altre, laquarta e la quinta appartengono alla filosofia e al credo personale di ciascuno. Un ottimista sulla potenza esplicativa della scienza sperimentale può trovare strana l’opzione n. 2: come? esistono anche questioni scientificamente indecidibili? Ebbene sì, e ciò è dimostrato scientificamente! Dei limiti della ragione umana messi in luce dai teoremi d’incompletezza di Gödel (1931) ho parlato in un altro articolo. Molti scienziati propendono per l’indecidibilità del problema dell’origine della vita. Niels Bohr per esempio, giudicava “la vita consistente con la fisica e la chimica, ma da esse indecidibile” e che “l’esistenza della vita deve essere considerata come un fatto elementare (un assioma) che non può essere spiegato, ma che può solo essere preso come un punto di partenza in biologia” (“Light and Life”, Nature, 1933). Dello stesso parere Jacques Monod (in“Caso e necessità”, 1970) ed Ernst Mayr (in “Is Biology an Autonomous Science?”, 1988).

Io però, nonostante mi renda conto dell’arduità del problema, non ho trovato nei ragionamenti di questi negazionisti ragioni sufficienti per giudicare in via definitiva indecifrabile un eventuale meccanismo abiogenetico. Una cosa è affermare che esistono problemi indecidibili: questa è una verità dimostrata dal primo teorema di Gödel; altro è affermare che uno specifico problema P è indecidibile: per il momento, noi conosciamo per indecidibili con certezza ben poche questioni (l’ipotesi del continuo di Cantor, il problema della tassellatura di Wang, ecc.). Come si sia assemblato anche solo un organismo monocellulare è un problema tremendo, non c’è dubbio: Stuart Kauffman (che ha invece sempre creduto alla possibilità di trovare una soluzione all’abiogenesi, tanto da dedicarvi gran parte della sua attività scientifica), ne sintetizza efficacemente la difficoltà nella circolarità esemplificata dal paradosso: è nato prima l’uovo o la gallina? che nel nostro caso significa: sono sorti prima il DNA (e i genotipi), o le proteine (e i fenotipi)? E non valgono, evidentemente, le bufale cicliche della volgarizzazione scientifica, come quella secondo cui l’individuazione della proteina OC-17 responsabile della costruzione del guscio dimostrerebbe la priorità della gallina (v. per es. Focus del luglio 2010): come potrebbero le ovaie ignare del pennuto sintetizzare l’OC-17 senza le istruzioni del suo DNA?

L’estrema complessità dei due “mondi” (DNA e proteine) porta alcuni ricercatori adescludere un meccanismo separato per l’origine dell’uno o dell’altro e ad indirizzarsi verso modelli di processi prebiotici di autocatalisi di molecole organiche a sofisticazione crescente, fino alla formazione spontanea di forme capaci di riproduzione ed ereditarietà, che sono due funzioni essenziali alla vita.

Già: la vita! Ma che cos’è la vita? Ebbene, forse sorprenderò ancora qualcuno, ma la comunità scientifica non condivide nemmeno una definizione di “vita”! Tra tutte, la più illuminante dell’intreccio tra ideologia ed interessi economici che si nasconde spesso dietro la tecno-scienza è la definizione di Carl Sagan: “La vita è un sistema capace di evoluzione attraverso la selezione naturale” (alla voce “Life” dell’Enciclopedia Britannica, 1970). Come dire: la vita è quella cosa che si spiega con la teoria di Darwin! Con questa definizione chi può osare di esprimere un piccolo dubbio sul darwinismo senza passar per scemo?Arrendetevi tutti!, direbbe Grillo. Ebbene, passerò per scemo, ma se la definizione di un fenomeno è “una frase (il più possibile concisa, e comunque completa), così da individuare le qualità peculiari e distintive, sia con l’indicarne l’appartenenza a determinate specie, generi, classi, ecc., sia col rilevarne funzioni, relazioni, usi, ecc.” (Enciclopedia Treccani); se questo è il significato della parola, la definizione di Sagan non descrive empiricamente alcuna evidenza peculiare della vita – quale in questo scorcio di primavera ammiro splendida e brulicante, solo porgendo lo sguardo dalla vetrata sul mio giardino – e mi pare fatta al solo scopo di rendere più plausibile il darwinismo. La definizione di Sagan fu subito fatta propria anche dalla Nasa, forse perché, tenendosi distante il più possibile dal concreto manifestarsi della vita negli organismi terrestri (che sono gli unici viventi finora osservati), spalancava la porta all’approvazione di importanti finanziamenti per la ricerca di “vita aliena” dalle forme più imprevedibili e nei posti più strani…, dalle galassie remote fin dentro le nostre narici, magari passando per un innocuo lago californiano con batteri aventi l’arsenico al posto del fosforo nel DNA…, bla, bla. Con l’appendice, ça va sans dire, d’una miniera inesauribile per i plot hollywoodiani e le riviste di fantascienza. Sfortunatamente però, definire un fenomeno naturale giusto per corroborare la scientificità d’una teoria, o per convincere i governi a finanziare le spese d’un ente strategico, o per supportare gli interessi dell’industria dell’entertainment non ha nulla a che fare col metodo scientifico!

Più seriamente, ad una conferenza internazionale svoltasi a Modena nel 2000 sui fondamentali della vita, per prima cosa fu richiesto ai partecipanti (tutti docenti universitari) di proporre la loro personale definizione di vita. Anche se nessuna definizione risultò uguale ad un’altra, si poterono suddividere le risposte in due classi. Circa una metà rientrava in una classe composta delle definizioni più disparate, come: il possesso di una certa stabilità genetica, ma allo stesso tempo di una sufficiente mutabilità, così da permettere evoluzione e adattabilità; oppure una reattività efficace agli stimoli ambientali, così da supportare la sopravvivenza e la riproduzione; ancora, la capacità di catturare, trasformare ed immagazzinare l’energia per il proprio utilizzo; ecc., ecc. L’altra classe comprendeva invece definizioni aventi tutte un elemento comune: la presenza d’unprogramma genetico. L’evidenza che nel mondo inanimato non sia mai stata osservata una sequenza di reazioni chimico-fisiche guidata da un programma d’istruzioni crittate in un dato codice era già stata fatta da Mayr nel 1988, portandolo a proporre come criterio di separazione tra organismi viventi e materia inanimata, con maggiore plausibilità scientifica di Sagan, l’esistenza o assenza d’un genoma e d’un codice genetico.

La Nasa però non ha rinunciato alla sua preziosa definizione politica di vita, e si comprende bene che per una struttura economico-industriale da 20 miliardi di dollari di budget annuale e per una “scienza” come l’astrobiologia (di necessità altissimamente speculativa perché, unica tra tutte, persistentemente defraudata di “fenomeni” da osservare), l’una legata all’altra a filo doppio attraverso l’Astrobiology Institute, il SETI Institute, il Carl Sagan Center e tanti altri centri pubblici di spesa, quella è la “definizione che funziona” più appropriatamente secondo una scienziata Nasa: “A dispetto della sua stupefacente diversità morfologica, la vita terrestre rappresenta solo un singolo casoLa chiave per formulare una teoria generale dei sistemi viventi è di esplorare possibilità alternative di vita…, ricercare vita extra-terrestre che ci permetta di forzare i limiti dei nostri concetti geocentrici di vita”. Monod, con la sua convinzione che la vita terrestre sia stata invece per la sua improbabilità un “avvenimento unico nell’universo”, non sarebbe d’accordo.

Ma poiché è facile vedere che il problema scientifico dell’origine della vita è inseparabile da quello d’una sua previa definizione, appare impossibile che la scienza possa risolvere quello finché non si sarà prima accordata su questa. Perfino nella (tanto vituperata dagli scientisti) filosofia è presente un ampio ricorso all’empiria nelle definizioni. Un vero modello scientifico dell’abiogenesi non può partire da una “definizione” ad hoc della vita fatta per accordare le teorie ai pregiudizi e/o ai bisogni esistenziali dei loro autori. Il secolo XXI sarà il “secolo della biologia” solo se la comunità degli scienziati, in un serio sforzo interdisciplinare, comincerà col chiedersi seriamente, e finire col rispondersi, che cos’è la vita che concretamente essi osservano. Tutti i giorni, fuori dalle finestre delle loro aule e più con il supporto dei microscopi che dei telescopi.

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18/02/2017 12:45
 
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L’abiogenesi e la debole tesi sull’origine casuale della vita



giulio dante guerra Il nuovo libro di Giulio Dante Guerra, chimico dei biomateriali e ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), intitolato L’origine della vita (D’ettoris Editori 2016), risulta essere una sintesi ben documentata della debolezza delle ipotesi che asseriscono la nascita della vita come dovuta al “caso”.


Nell’introduzione, Guerra afferma che «per quanto riguarda l’origine della vita, si può dire che con certezza si sa che essa è stata assente dal nostro pianeta per lunghe ere geologiche, e che a un certo momento ha cominciato ad esistere. Qui cercherò di dimostrare che ciò non è avvenuto per puro caso». Inizialmente l’autore prende in considerazione le diverse teorie che hanno sostenuto la nascita della vita dalla “non vita” e che sono alla base della teoria dell’evoluzione. Mentre quelle più antiche ritenevano causa di questa nascita le “influenze astrali”, quelle più moderne non adducono ad essa alcuna causa. Queste ultime sono sorte nell’Ottocento illuminista e considerate una necessità alla base del materialismo.


L’autore si interessa del pensiero di Jacques Monod, espresso nel famoso Il Caso e la Necessità, evidenziando il fatto che il biologo francese parte da un assioma, come tale non dimostrato e non dimostrabile, secondo il quale “non esiste un progetto”, mettendone in luce così il carattere non scientifico e non filosofico. Il pensiero contemporaneo è permeato dalla stessa impostazione e l’assioma è diventato automaticamente certezza scientifica.


Il chimico Dante Guerra spiega che per quanto riguarda la nascita spontanea della vita, «l’atteggiamento moderno non è cambiato, è stata variata solo la semantica usando parole più sofisticate tipo “abiogenesi” e si è retrodatata questa “nascita” a lontanissime ere geologiche con supposte condizioni ambientali non verificate e non verificabili ma “ricostruibili in laboratorio” in cui sarebbe potuto avvenire quello che oggi è impossibile». E’ così che l’autore passa ad una analisi del famoso esperimento di Miller e di quelli seguenti che ad esso si sono ispirati, mettendone in evidenza il punto debole, cioè l’ipotesi non provata della composizione dell’atmosfera primordiale e il fatto che i prodotti ottenuti sono solo degli aminoacidi i quali, essendo solamente parti di complesse strutture chiamate proteine, tutto si possono ritenere fuorché “vita”. «Il passaggio dagli aminoacidi, che avrebbero dovuto interagire tra loro per formare polisaccaridi, polipeptidi, poi proteine, poi polinucleotidi e poi acidi nucleici, che messi assieme avrebbero dovuto formare i primi organismi, appare talmente complicato e improbabile che il sostenere che sia avvenuto per “caso” sembra più un atto di fede che una seria supposizione scientifica».


Una delle più grandi difficoltà nella costruzione di queste strutture organiche è la “chiralità” della maggior parte delle sostanze di origine biologica, dovuta alla dissimmetria sferica delle molecole. Parecchie di queste molecole possono cioè esistere in due versioni simili ma non non equivalenti, come lo sono la mano destra e la mano sinistra. L’origine di questa asimmetria è ancora avvolta nel mistero e visto che la composizione dell’atmosfera terrestre primitiva non poteva portare a ciò,  alcuni hanno proposto l’origine extraterrestre della vita, spostando il problema sugli altri pianeti dove si sarebbero potute avere condizioni diverse da quelle presenti sulla Terra.


Un altro problema evidenziato dal chimico italiano è che la sequenza degli aminoacidi per formare le proteine, come pure la sequenza delle basi negli acidi nucleici, è tutt’altro che casuale. Infatti, è evidente un contenuto di informazione in tali sequenze e -sostengo io-, il caso per definizione non può creare informazione. Inoltre, anche la sequenza del codice genetico «non può essere casuale perché deve rispondere a precise funzioni biologiche». Tale codice è pressoché universale e il problema consiste proprio nella sua origine e quella del suo codice di traduzione, con un meccanismo attuato solo dai composti codificati dallo stesso DNA: ciò appare come una clamorosa autoasserzione del detto “omne vivum ex ovo”, come ammise lo stesso Monod definendolo un “enigma”.


Prendendo in considerazione le teorie dell’origine della vita alternative rispetto a quelle che postulano il “brodo primordiale”, viene citata quella del biologo italiano Marcello Barbieri, detta “la teoria semantica dell’evoluzione” e criticata da molti perché evocherebbe «un fantasma di Progetto». Barbieri ha individuato una terza realtà presente nei sistemi biologici oltre alle due comunemente accettate: oltre alla chimica, tipica delle proteine, e l’informazione, tipica del DNA, anche “il significato”, tipico del codice genetico. Soltanto questo permetterebbe di trasferire alle proteine l’informazione del DNA. Tale teoria, seppur anch’essa abiogenetica, invoca come “causa” dei processi non il caso di Monod ma la necessità, cioè una struttura matematica anteriore e lo sviluppo della vita come conseguenza necessaria dalle leggi di questa struttura.


Dante Guerra non manca di analizzare i molteplici tentativi di creare in laboratorio la vita artificiale, sottolineando che, per quanto sofisticate potessero essere le procedure, non si mai riusciti a non usare parti vitali già esistenti, inoltre con risultati abbastanza deludenti. Si è finora trattato, quando c’è stato un minimo successo, di creazione di OGM, ben lontani quindi dalle caratteristiche che dovrebbe possedere una vera “vita artificiale”.  L’ultimo capitolo si apre con l’affermazione di San Tommaso, per il quale “l’ordine non può nascere dal caos”. Se nella fisica dei sistemi caotici si è visto che possono nascere degli stati di ordine, in biologia -spiega l’autore- “ordine” va inteso «non come una semplice aggregazione di molecole e macromolecole ma l’esistenza di una forma organizzatrice, l’essere vivente, che costruisce e ordina queste molecole secondo un progetto strutturale; è un sistema cibernetico dotato di un grado di informazione superiore a quello delle singole parti che lo compongono». Il biofisico Michael Polanyi aveva un concetto chiaro di questo problema nel momento in cui diceva: «quando affermo che la vita trascende la fisica e la chimica intendo dire che la biologia non può spiegare la vita in termini di semplici azioni di leggi fisiche e chimiche. Un libro o qualunque altro oggetto recante un modello che comunica informazione, è irriducibile nella sua essenza alla fisica o alla chimica. Ne segue che dobbiamo rifiutarci di considerare lo schema attraverso il quale il DNA diffonde informazione come parte delle sue proprietà chimiche».


Dante Guerra critica comunque anche le teorie creazioniste in quanto troppo legate ad una interpretazione letterale della Bibbia. L’Intelligent Design, concetto elaborato dal biochimico statunitense Michael Behe, non fa queste considerazioni temporali anche se riceve le stesse critiche da parte degli antisoprannaturalisti. In ogni caso la complessità degli organismi viventi è così evidente che ultimamente anche alcuni “abiogenisti” stanno attuando lo stesso cambiamento nella semantica, parlando di “teleonomia” e reintroducendo con un altro termine la ‘finalità’, oppure di “informazione funzionale” invece di complessità irriducibile.  L’autore ritiene che il dibattito sull’origine della vita è uscito dall’ambito scientifico per entrare in quello filosofico, sostenendo che il preconcetto antisoprannaturalistico del mondo accademico ha in più casi tagliato le gambe a valenti ricercatori che si sono discostati anche se di poco da tale impostazione.


La conclusione del chimico Dante Guerra è questa: «Le condizioni postulate dagli stessi abiogenisti, per un qualsiasi meccanismo ‘plausibile’ di passaggio dall’inorganico al biologico, sono talmente specifiche, che invocare il puro “caso” come “causa”, o meglio “non-causa” del loro verificarsi, è una offesa al buon senso e alla logica più elementare». Il libro risulta interessante anche se per poterlo apprezzare pienamente richiede alcune conoscenze di chimica organica e di biologia. A mio avviso risulta una sintesi molto valida ed esaustiva dei risultati finora ottenuti, dei dubbi non risolti e delle difficoltà in cui si trova la teoria dell’origine casuale della vita. L’autore riesce a destreggiarsi con sicurezza tra numerosissimi articoli scientifici, manifesta spirito critico, una buona preparazione e fornisce, fra l’altro, una notevole bibliografia.


Salvatore Canto



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30/06/2022 16:25
 
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Articolo tradotto con permesso da www.creation.com


Articolo originale https://creation.com/multiverse-no-help-for-evolution


Tradotto da Matteo d’Ambrosio per AISO (www.origini.info)


di Jake Hebert


 


 


Gli scienziati creazionisti hanno da tempo sottolineato le enormi difficoltà con l'evoluzione dalla melma all’uomo e persino gli evoluzionisti hanno riconosciuto questi problemi.(1) Inoltre, le costanti fondamentali dell'universo sono finemente sintonizzate per consentire la vita. Eppure molti evoluzionisti affermano, nonostante queste difficoltà, che un multiverso può spiegare la nostra esistenza senza la necessità di un Creatore.(2)


Questi evoluzionisti affermano che il nostro universo non è l'unico universo. Sostengono che è solo uno degli infiniti universi, ognuno con possibilmente costanti fisiche diverse (e forse anche diverse leggi della fisica). Questo multiverso, dicono, elimina la necessità di un Creatore soprannaturale: se esiste davvero un numero infinito di universi, è inevitabile (così sostiene l'argomentazione) che alcuni di questi universi abbiano proprietà che permettano la vita. Presumibilmente, siamo stati "fortunati" e ci capita di vivere in uno di questi universi che permettono la vita.(3)


Quindi, un multiverso può davvero spiegare la nostra esistenza senza Dio?


L'origine del concetto


 


L'idea di un multiverso è una conseguenza della teoria dell'inflazione.(4) All'interno del modello del big bang, l'inflazione è un drammatico aumento del tasso di espansione dell'universo primordiale, più veloce persino della luce. L'inflazione è stata proposta per risolvere una manciata di gravi problemi nel modello originale del Big Bang.(5)


 


I teorici inizialmente pensarono che l'inflazione si fermasse dappertutto allo stesso tempo, poco dopo il big bang stesso. Tuttavia, hanno successivamente concluso che diverse regioni dello spazio avrebbero smesso l’inflazione in momenti diversi. Ciò comporterebbe "isole" di spazio non più nella fase di inflazione (ancora in espansione ma a un ritmo più lento) circondato da enormi quantità di spazio ancora in fase di inflazione, che "isolerebbe" per sempre queste "isole" l'una dall'altra. Queste "isole" si riempirebbero di radiazioni e materia e diventerebbero, in effetti, degli universi per se!


 


I teorici si sono anche convinti che, una volta avviata l'inflazione, non si sarebbe mai fermata. Ciò significa che l'inflazione alla fine produrrebbe un numero infinito di universi. In questa prospettiva, il presunto big bang 13,8 miliardi di anni fa è solo l'inizio del nostro universo, non l'inizio del multiverso stesso. Si presume che l'inflazione stia ancora avvenendo in altre regioni dello spazio, con altri universi tuttora in fase di creazione.(6)


 


Ma un multiverso non spiega davvero la nostra esistenza.


 


Alcuni problemi


 


Innanzitutto, non esistono assolutamente alcune prove che esistano altri universi, anche se l'idea è spesso resa popolare negli spettacoli televisivi e nei film di fantascienza.


 


In secondo luogo, l'idea del multiverso non è scientifica: poiché questi “universi-isola" (anche se esistessero) sarebbero stati per sempre isolati l'uno dall'altro, è difficile vedere come la loro esistenza possa mai essere confermata o negata. Dal momento che l'idea di un multiverso non può essere falsificata (dimostrata falsa), e si può sostenere che non è un'ipotesi veramente scientifica.(7)


 


In terzo luogo, non vi sono prove dirette per l'inflazione stessa: i recenti reclami per prove di "pistola fumante" per l'inflazione sono stati rapidamente ritirati.(8) Piuttosto, le principali "prove" dell'inflazione si basano sul ragionamento circolare, il fatto che il big bang non funzioni senza l'inflazione è conteggiato come prova dell'inflazione!(9) Inoltre, la moderna teoria dell'inflazione è diventata sempre più bizzarra, il che ha portato alcuni teorici a criticarla e ad abbandonarla. Uno di questi critici è il cosmologo del Massachusetts Institute of Technology Max Tegmark, che afferma: "L'inflazione si è distrutta. Logicamente si autodistrugge”.(10) Persino Paul Steinhardt, uno dei principali teorici dell'inflazione, è diventato un critico della teoria.(11)


 


Nessun coniglio in questo cappello


 


Ancora più importante, anche se il multiverso della teoria dell'inflazione può sembrare di rendere più credibile la storia della “melma all’uomo", questa è semplicemente un'illusione. Come abbiamo visto, gli evoluzionisti affermano che è inevitabile che alcuni universi nel multiverso dispongano di leggi di fisica e chimica che permettano alla vita di esistere, e ci capita di vivere in uno di quelli. Ma affinché la loro argomentazione si avvicini in qualche modo alla spiegazione della nostra esistenza senza un Creatore, non è sufficiente che queste leggi consentano l'esistenza della vita. Chiaramente lo permettono, altrimenti non saremmo qui; ma questo è vero anche in uno scenario biblico di creazione. Affinché questo argomento favorisca l'evoluzione, queste leggi fisiche devono anche consentire la formazione della vita dalla non vita, nota anche come evoluzione chimica o abiogenesi. Ma le leggi della fisica e della chimica nel nostro universo lo consentono?


 


Apparentemente no. Gli evoluzionisti non possono ancora spiegare l'origine della vita, nonostante investano enormi quantità di tempo e di denaro sul problema. Se viviamo davvero in un universo le cui leggi di fisica e chimica consentono l'evoluzione chimica, perché non è mai stata osservata?(12) E perché i ricercatori evoluzionisti non sono ancora in grado di spiegare in modo convincente come la vita possa essere apparsa "naturalmente"?


 


Potrebbe essere che forse le leggi della fisica e della chimica nel nostro universo semplicemente non consentano l'abiogenesi? Tutto ciò che sappiamo di fisica e chimica in questo universo indica che la vita non può venire dalla non vita. Il famoso evoluzionista Paul Davies ha spesso sottolineato che la vita è interamente incentrata su informazioni (software), macchine programmate. E, dice, "Non esiste alcuna legge della fisica nota in grado di creare informazioni dal nulla".(13)


 


Pertanto, anche se esistessero altri universi e anche se le leggi della fisica e della chimica in ognuno di questi altri presunti universi consentissero l'abiogenesi, ciò non farebbe nulla per spiegare l'esistenza della vita in questo universo. Gli evoluzionisti credono davvero che le enormi difficoltà nelle storie dell'evoluzione dalla melma all’uomo svaniranno semplicemente perché affermano che esistono altri universi?


 


Quindi l'idea del multiverso, sebbene possa superficialmente rendere l'evoluzione più plausibile, in realtà il scettico non ottiene alcun vantaggio nel tentativo di spiegare la loro esistenza a parte il loro Creatore.




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