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La Donna e il Drago (da Apoc 12)

Ultimo Aggiornamento: 15/04/2011 22:23
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15/04/2011 22:22
 
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Oggi restiamo esterrefatti nel constatare come si sia potuti cadere in un errore così
pacchiano e come attorno a questa questione di nessun interesse teologico la S.Sede si sia
impegnata con tanta solennità e dispendio di tempo, di uomini e di mezzi; ma ciò vuol dire
semplicemente che la S.Sede, quando si pronuncia ufficialmente ed autoritativamente, non gode
sempre del carisma dell'infallibilità, ma solo in quei casi nei quali la stessa S.Sede è autorizzata dal
Papa o rimanda a pronunciamenti pontifici, nei quali il Papa, come Pastore universale della Chiesa,
enuncia, in materia di fede, una dottrina che egli dichiara essere di fede (l° livello) o che dichiara da
tenersi definitivamente (2° livello).
I documenti elaborati in proprio dal S.Uffizio, oggi Congregazione per la Dottrina della
Fede (CDF), sono infallibili se essa si pronuncia in materia di fede con l'approvazione espressa del
Papa partecipando così al suo Magistero ordinario. Se però il Papa vuol compiere un atto del
suo Magistero straordinario, non delega la CDF, ma si esprime con un documento suo
personale. Per la condanna di errori, spesso invece il Papa si serve della CDF o approva un suo
documento; in questo caso la sentenza della CDF si dovrà qualificare con la nota teologica
corrispondente a quella della dottrina negata o falsificata dall'errore o dall'eresia condannati. Se per
esempio la dottrina è un dogma, la proposizione contraria condannata sarà un'eresia; se è prossima
alla fede, sarà prossima all'eresia; se è dottrina della Chiesa, sarà errore contro la dottrina della
Chiesa, e così via.
Ora la Chiesa non si è mai sognata di insegnare il geocentrismo ad alcun livello della sua
autorità, né mai lo potrà fare, perché, come ho detto, il geocentrismo non ha niente a che vedere con
41 Cf il recente studio "Galileo Galilei e la cultura scientifica nell'età della Controriforma", Salerno Editrice, Roma
2004.
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
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la divina rivelazione. Per cui la negazione corrispondente (l'eliocentrismo) non ha nulla a che
vedere, a nessun livello, con gli errori contro la divina rivelazione.
Senonchè si potrebbe dire che Galileo - come ha preteso affermare il S.Offizio - ha
compromesso l'inerranza biblica: ma la Bibbia è infallibile in fatto di verità rivelate attinenti al
piano della salvezza: come è chiaro per l'esegesi moderna, le altre dottrine od opinioni contenute
nella Scrittura non sono affatto garantite dall'inerranza, ma dipendono semplicemente dalla scienza
fallibile dell'agiografo. Già Galileo aveva giustamente detto: "La Bibbia insegna come si va al cielo,
non come è fatto il cielo": se il S.Offizio avesse dato ascolto a questa elementare osservazione di
buon senso cristiano, non sarebbe caduto nel tremendo errore nel quale è caduto. Dio permette
queste cose per mostrarci come l'autorità della Chiesa possiede sì un "tesoro", ma in "vasi fragili":
con la manifestazione dell'infallibilità ci fa conoscere il tesoro; permettendo l'errore ci mostra la
fragilità del vaso. Nel primo caso illumina il popolo di Dio; nel secondo insegna all'autorità di
essere umile, per essere docile ambasciatrice della divina verità.
La sentenza del S.Offizio non fu firmata dal Papa, benchè toccasse l'argomento dell'eresia:
cosa piuttosto strana, data l'importanza di un argomento simile. Difatti oggi questa prassi è stata
abbandonata dalla S.Sede, per cui, se la CDF emana un documento di carattere dottrinale che possa
toccare l'argomento dell'eresia, non manca il benestare del Papa.
Un caso patetico nella storia delle condanne dottrinali nel Seicento, oltre Galileo, fu il
Fénelon, del quale invece si parla pochissimo, perché qui gli anticattolici - a differenza del caso
Galileo - hanno poco di che nutrire il loro astio contro la Chiesa; infatti il Fénelon fu una grande
figura di vescovo e di maestro spirituale, uomo di alte virtù, valoroso nemico dell'eresia, il quale,
però, purtroppo, cadde egli stesso - certo involontariamente - nell'errore, e questo fu segnalato
dall'altrettanto e ancor più valoroso vescovo Bossuet, sicché il Fénelon fu censurato dalla Chiesa,
però con note inferiori all'eresia.
Commovente ed esemplare fu la sottomissione con la quale accettò la sentenza romana. E
ancor più restiamo edificati da questo atteggiamento, se pensiamo che proprio lui aveva
valorosamente combattuto l'errore e la ribellione a Roma dei giansenisti e aveva sostenuto la tesi,
che abbiamo vista, della "fede ecclesiastica", di recente introdotta dal vescovo di Parigi Péréfixe a
proposito della questione giansenista, ed aveva incontrato negli ambienti romani una certa
freddezza, oltre a subire, per questa dottrina, l'ostilità dell'episcopato francese e dello stesso Luigi
XIV, timorosi che essa potesse compromettere il loro gallicanesimo: insomma, ci troviamo di fronte
all'esempio di un grande spirito e di un santo.
La condanna, sia pur giusta, di Fénelon, ci porta a vedere in lui un maestro di verità ben più
nobile e autentico di certi teologi che o per la loro furbizia o per gli appoggi di cui hanno goduto,
sono riusciti a far sì che Roma non li condannasse dando ad intendere di essere ortodossi.
Un altro caso, complesso e difficile, di deviazione dottrinale, fu quello del card.Pier Matteo
Petrucci, vescovo di Jesi. Fu un uomo di retti costumi, che si sottomise docilmente alla condanna
per eresia inflittagli da Papa Innocenzo XI. Difficile pensare a una vera e propria intenzione di
eresia; proabilemte ci fu l'imprudenza di lasciasi influenzare dal linguaggio quietistico di Molinos,
allora molto duffuso e apprezzato. Non c'è dubbio comunque che le proposizioni condannate, così
come suonano, sono eterodosse42.
Il caso umano del Petrucci ricorda quello del Rosmini: casi rarissimi di gravi errori dottrinali
in uomini di santa vita. Possiamo quindi parlare di "eresia materiale" causata da ignoranza
invincibile, nonostante i richiami e le critiche rivolti all'interessato.
Il fiume d'acqua che il Drago vomita contro la Donna a partire da metà Ottocento non la
colpisce subito dall'interno con l'eresia, ma questa non tarderà a nascere appunto per l'imprudenza o
temerità o sprovvedutezza di certi teologi, i quali, magari con buone intenzioni, tentarono di
affrontare il fiume d'acqua allo scopo di incanalarla per renderla utilizzabile per il bene dell'uomo;
42 Vedi la breve esposizione del suo pensiero nell'Enciclopedia Cattolica, alla voce corrispondente.
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
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ma il fiume era troppo possente e violento, sicché questi teologi vi rimasero annegati, anche se il
loro tentativo non riuscito ebbe qualcosa di generoso e si potè considerare in se stesso encomiabile.
Questo fiume d'acqua viene dalla Germania. Si tratta dello sviluppo gnostico-razionalista del
protestantesimo. Questi germi gnostici li avevamo già notati in Lutero con la sua assolutizzazione e
- potremmo dire - divinizzazione della coscienza individuale, come luogo supremo della rivelazione
divina espressa nella Sacra Scrittura.
Certo Lutero, come si sa, affetta un disprezzo anche esagerato per la ragione e per la volontà
dell'uomo: le vede soltanto nella loro tendenza a ribellarsi alla Parola di Dio e a gloriarsi delle loro
opere, e le considera totalmente corrotte dal peccato originale, tanto da essere incapaci di "preparare
le vie" del Signore, ossia di introdurre alla fede, e di collaborare responsabilmente all'opera della
grazia (la questione dei "meriti").
Da qui la funzione della fede e della carità in Lutero, le quali non presuppongono né
perfezionano le forze della natura umana (Lutero rifiuta, come si sa, l'adagio tomista "gratia non
destruit naturam sed perficit"), ma le sostituiscono, per cui, se nella visione cattolica fede e carità
s'aggiungono alle forze naturali ed in esse si innestano, presupponendone il funzionamento (sia pur
difettoso per le conseguenze della colpa originale), nella concezione luterana ragione e volontà non
svolgono alcun ruolo nel cammino della salvezza, ma questo cammino inizia originariamente ed
immediatamente ("aprioricamente", dirà poi Rahner) con l'atto di "fede", che quindi non è più
mediata dalla ragione e dal rapporto con l'oggettiva comunità ecclesiale, ma assume un aspetto
intuitivo (Lessing) o "sentimentale" (Schleiermacher) o "inconscio" (modernisti) o "esperienziale"
(Rahner): l'attività razionale verrà dopo e non prima dell'atto di fede, e il soprannaturale o vita di
grazia non si aggiunge ad una natura preesistente e presupposta, ma la sostituisce costituendo la
vera natura e la vera ragione. In tal modo, come si vedrà soprattutto con Kant ed Hegel, il fideismo
viene soppiantato dal razionalismo: venendo meno infatti la ragione come soggetto dell'atto di fede,
questa prende il posto della ragione e con ciò stesso falsifica sé e la ragione. A questo punto
succede che, restando comunque la ragione la funzione originaria dell'intelletto umano, la ragione
si sostituisce alla fede, per cui paradossalmente in nome della fede si perde la fede.
Si capisce bene allora come è avvenuto, nella storia del protestantesimo, che l'iniziale
fideismo irrazionalista e nominalista di Lutero, negli sviluppi sette-ottocenteschi del suo pensiero e
della sua religiosità, si trasforma gradatamente da Leibniz, a Kant, ad Hegel, attraverso
l'illuminismo43 in razionalismo assoluto.
E la stessa parabola la compie l'esegesi biblica, la quale, ispirandosi all'esegesi razionalista
di Spinoza, a partire dalla fine del Settecento, con Reimarus, Lessing, Baur e Strauss, porta alle
estreme conseguenze il soggettivismo immanentista di Lutero, per cui, se Lutero conservava ancora
la fede nell'inerranza della Scrittura in quanto Parola di Dio oggettiva, indipendente dal soggetto, i
suoi eredi, già a cominciare dal Seicento con Jakob Böhme44, per essere coerenti a questo
soggettivismo assoluto, rifiuteranno anche quel residuo di rivelazione divina oggettiva presente
nella Bibbia, che Lutero aveva mantenuto dal cattolicesimo, per immanentizzare totalmente il
divino nel soggetto individuale, per cui la stessa Bibbia non sarà più allora (in quanto Parola di Dio)
regola assoluta di verità, ma questo ruolo viene trasferito nel soggetto stesso (Cartesio docet), e la
Bibbia diventerà semplicemente una raccolta di miti e figure simboliche - da giudicare e vagliare
"criticamente" - pure immagini o "figure" della verità della Coscienza o della Ragione divinizzate.
Questa parabola si conclude con la gnosi hegeliana, di quell'Hegel45 che consciamente e
programmaticamente considera se stesso come colui che conduce a pieno compimento l'opera
43 Sull'illuminismo: E.Cassirer, "La filosofia dell'illuminismo", "La nuova Italia" Editrice, Firenze 1935; "Che cos'è
l'illuminismo? I testi e la geneaologia del concetto", acura di A.Tagliapietre, Bruno mondatori, Milano 1997.
44 Su Böhme, cf H.Schmitz, "Etudes boehmiennes", in Revue Tomiste del 1973, 1974 e 1976 e in Nova et Vetera del
1974; F.Cuniberto, "Jakob Böhme", Ed.Morcelliana, Brescia 2000; F.Hartmann, "Il magico mondo di Jakob Böhme"
Edizioni Mediterranee, Roma 2005.
45 Recenti studi su Hegel: restano sempre fondamentali i cc.VII-IX, dedicati ad Hegel, dell'opera di J.Maritain "La
filosofia morale. Esame critico e storico dei grandi sistemi", Ed.Morcelliana, Brescia 1971; cf anche: E.Brito, "La
cristologie de Hegel. Verbum Crucis", Beauchesne, Paris 1983; P.Coda, "Il negativo e la Trinità. Ipotesi su Hegel",
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iniziata da Lutero e, andando indietro, si potrebbe arrivare ad Eckhart (naturalmente con le dovute
differenze), ma sia nell'uno che nell'altro gioca l'antica convinzione gnostica - obbiettivamente,
anche se essi forse non ne erano coscienti - dell'anima "parte di Dio", l'Adàm Kadmòn della
Kabbala medioevale46, l'anima "preesistente" di platonica memoria, che ingannò anche il grande
Origene.
Quella
"preesistenza"
che
in
Heidegger
si
trasformerà
in
"precomprensione"
(Vorverständnis)47 e in Rahner in "preconscio" (Vorgriff)48 o "esperienza preconcettuale".
Esperienza di Dio, che è funzione del "Gemüt"49 sin dai tempi di Eckhart.
Tuttavia non si può negare a questa grandiosa avventura tutta tedesca, ma che eserciterà
grande influsso in Europa, ed oggi continua ad esercitarlo come non mai, un suo grande fascino, un
suo indubbio aspetto entusiasmante; non si può negare in essa l'impronta di una grande, seppur
spericolata e temeraria, genialità: il genio della spiritualità e della mistica tedesca, il bisogno di
avere il Tutto nell'io e non fuori dell'io: il "bisogno di immanenza", come dice Padre Fabro.
Ma l'anima luterana, accanto ad un fortissimo senso e bisogno religioso - è questo un altro
dei paradossi di Lutero - ha tuttavia anche in sé un germe di empietà (legata anche questa alla
superbia gnostica-razionalista), che si manifesta già in Lutero in vari modi, soprattutto con la
negazione del sacramento dell'Ordine e del sacrificio della Messa, benché egli conservi con fervore
l'abitudine della preghiera.
Ma non c'è dubbio che la religiosità luterana, per quanto ancora carica di elementi autentici -
come la devozione al Crocifisso, la fiducia nella divina misericordia, il senso del peccato, il
desiderio della salvezza -, porta nel contempo in sé quella segreta tendenza gnostica, che, ancora
una volta, sviluppata coerentemente dai suoi eredi, condurrà inevitabilmente alla kantiana
"Religione entro i limiti della pura ragione", che non è, come potrebbe apparire, la semplice
"religione naturale" di S.Tommaso, per sé aperta al soprannaturale, ma è quella che sarà la
"religione" come l'intende la Massoneria50, religiosità meramente laica, chiusa al soprannaturale.
Così i1 senso stesso della parola "religione" muta, nei protestanti, da quello che aveva nel
cattolicesimo: mentre per un S.Tommaso la religione (naturale o soprannaturale-cristiana) è virtù
morale che si esprime nel culto di Dio e nella liturgia, nel protestantesimo, così arido dal punto di
vista liturgico, il termine "religione", dopo Lutero e fino ad oggi, piega verso due significati: uno,
positivo, e allora la confondono tout court o con la teologia o con 1'"esperienza atematica"; oppure,
Città nuova 1987; M.Borghesi, "L'età dello Spirito in Hegel. Dal Vangelo `storico' al `Vangelo eterno'", Edizioni
Studium, Roma 1995; V.Mancuso, "Hegel teologo e l'imperdonabile assenza del Principe di questo mondo", Edizioni
Piemme 1996; K.R.Popper, "Contro Hegel", Armando Editore, Roma 1997; O.Carpi, "Hegel. Il Logos dell'occidente",
Panozzo Editore, Rimini 2002; C.Fabro, "La prima riforma della dialettica hegeliana", Editrice del Verbo Incarnato,
Segni (RM), 2004. Ancora utile la critica a Hegel del card.Zefirino González, OP, nella sua "Histoire de la philsophie",,
Lethielleux, Paris 1891, vol.IV, pp.36-71.
46 Cf su questo argomento: G.Scholem, "La Kabbalah e il suo simbolismo", Einaudi Editore, Torino 1980; G.Scholem,
"La cabala", Edizioni mediterranee, Roma 1992.
47 Di ciò parla in modo speciale Heidegger in "Kant et le problème de la métaphysique", Editions Gallimard, Paris
1953.
48 Ne parla soprattutto in "Spirito nel mondo", Ed.Vita e Pensiero, Milano 1989. Cf la critica che ne fa C.Fabro in "La
svolta antropologica di Karl Rahner", Ed.Rusconi, Milano 1974.
49 Il "Gemüth" ha una lunga storia nella spiritualità tedesca. Il significato della parola è difficilmente traducibile, Il
Gemüth appare come una speciale facoltà, distinta dall'intelletto e dalla volontà, ed è il principio dell'esperienza
mistica: essa coinvolge ad un tempo sentimento, intelletto e volontà: Letteralmente si potrebbe tradurre con "animo",
"indole", "tempra". E' vicina al Gefühl, che significa "sentimento". Vedi il sesno di questa parola in G.Faggin,"Meister
Eckhart e la mistica tedesca preprotestante", Ed.Bocca, Milano 1946, pp.192,193,194,208,296,298ss. Fino a giungere
ad Edith Stein e Max Scheler con al sua "facoltà dei valori".
50
Sulla Massoneria: E.Nys, "Origini glorie e fini della Massoneria", Arnaldo Forni Editore, 1986 (Ristampa
dell'edizione di Roma del 1914); L.De Poncins, "Freemasonry and the Vatican", Britons Publishing Company, London
1968; J.F.Benimeli-G.Caprile, "Massoneria e Chiesa Cattolica ieri, oggi e domani" Edizion Paoline 1982; R.Esposito,
"Le grandi concordanze tra Chiesa e Massoneria", Cardini Editore 1987; J.Anderson, "Le costituzioni dei Liberi
Muratori 1723", Bastogi Editrice 1991; G.Di Bernardo, "Filosofia della Massoneria", Ed. Marsilio, Venezia 1987;
G.Giarrizzo, "Massoneria e illuminismo nell'Europa del Settecento", Ed.Marsilio, Venezia 1994; E.Bonvicini,
"Massoneria moderna. Storia ­ ordinamenti ­ essoterismo ­ simbologia", Bastogi Editrice, Foggia 1994.
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verso un senso negativo, e allora intendono riferirsi alla liturgia e alla sacramentalità cattolica, viste
come "magia" o superstizione, oppure come presunzione dell'uomo, che pretende di "dare" o "fare"
qualcosa per Dio, mentre è solo Dio che opera per l'uomo.
Da qui la loro distinzione sbagliata fra "fede" e "religione": "fede" sarebbe il rapporto
autentico (atematico, apriorico) con Dio; "religione" sarebbe un rapporto falso, magico,
antropomorfico o - bene che vada - folkloristico, nel quale l'uomo, nella sua superbia, pretende di
fare qualcosa su Dio o di influire su Dio. Pretende di elevarsi a Dio, mentre è solo Dio che si
abbassa a lui.
Se il grande fiume viene dalla Germania, in Germania vi furono però i primi tentativi,
purtroppo falliti, da parte di alcuni teologi cattolici, di incanalarlo e di sfruttarlo per fini benefici. A
questo riguardo sono rimasti famosi i nomi di Hermes, condannato da Gregorio XVI, Günther e
Frohschammer, condannati dal Beato Pio IX.
Un'altra parte del grande fiume è legata all'Italia, alla Francia e all'Inghilterra, dove abbiamo
anche qui il fenomeno del fideismo, ma connesso col tradizionalismo51 e l'ontologismo. Il
tradizionalismo consiste nel risolvere il principio della verità cristiana nella semplice recezione dei
dati della Tradizione, con la svalutazione della capacità della ragione naturale di cogliere il vero e
quindi di introdurre alla fede; in questo senso, anche lo stesso testo biblico perde la sua funzione di
esprimere una verità oggettiva, che non sia quella trasmessa dalla "tradizione", la quale, in queste
condizioni, rischia di diventare un feticcio, non più verificata dai preamboli della fede, né
accompagnata dalla fiducia nella Bibbia come fonte autonoma di verità.
Quanto all'ontologismo52 - condannato da Pio IX - è quella concezione della conoscenza
metafisica, per la quale l'intelletto umano non prova l'esistenza di Dio partendo dalla considerazione
degli enti causati (cf Rm l, 20; Sap 13, 1-9), ma ne ha un'intuizione diretta, innata o apriorica, in
quanto la nozione di Dio non sarebbe altro che la spontanea esplicitazione della nozione dell'essere.
La quale a sua volta, non viene formata dalla mente astraendo dalla esperienza delle cose sensibili,
ma, per la sua primalità ed originarietà assolute, precederebbe addirittura l'esperienza del senso e
quindi l'operazione astrattiva.
Oltre a ciò non è sempre chiaro, negli ontologisti, se per loro Dio è veramente un essere
reale fuori della mente, e quindi indipendente dalla mente e prima della mente (in quanto creatore
della mente), o sé una mera "Idea" come l'intendeva Kant, sia pure idea di somma importanza e
regolatrice degli atti della ragione e della volontà. Evidentemente, in questo caso, difficilmente si
sfuggiva al panteismo, in quanto Dio non appariva più come creatore della mente, ma al contrario
era la mente che produceva o possedeva strutturalmente l'idea di Dio, alla quale successivamente
attribuiva realtà.
Il puro e semplice ontologismo non è ancora idealismo né panteismo, perché ammette la
trascendenza divina e Dio creatore dell'uomo. Tuttavia esso costituisce sempre una falsa
sopravvalutazione dell'intelligenza umana, parificata a quella angelica, come avviene in Cartesio,
quasi che l'uomo possa godere di specie infuse (l'"idea dell'essere" e l'"idea di Dio") come gli
angeli.
Oltre a ciò c'era la tendenza a identificare sic et simpliciter le due idee: quella dell'essere e
quella di Dio, come faceva Eckhart. Ora invece, l'essere come tale non è Dio, giacché l'essere di per
sé può essere finito o infinito: Dio è l'essere infinito, distinto dall'essere finito. Se pertanto si crede
che Dio sia l'essere come tale si finisce in una concezione univoca e totalizzante dell'essere che
identifica il finito con l'infinito, e si cade nel panteismo. Quindi, anche sotto questo aspetto
l'ontologismo rischiava il panteismo, contro le intenzioni dei suoi autori, che spesso erano teologì
ecclesiastici.
51 Un esponente di questa tendenza è il gesuita Gioacchino Ventura, faecondo autore, peraltro, di opere di valore.
52 Studio classico sull'ontologismo è quello che fu fatto dal teologo domenicano Padre Alberto Lepidi, pubblicato nel
1974 a Lovanio col titolo "Examen philosophicum-theologicum de ontologismo". Sull'ontologismo moderno, vedi
G.Semerari, "Storicismo ed ontologismo critico", Lacaita Editore, Manduria-Bari-Perugia 1960.
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Caso famosissimo in questo grande dibattito, che polarizzò l'attenzione di tutta la teologia
italiana della seconda metà dell'Ottocento e ancor oggi suscita interesse, fu quello di Antonio
Rosmini53, uomo di santa vita, del quale è in corso il processo di beatificazione, ma del quale, come
è noto, furono condannate dal S.Offizio quaranta proposizioni, senza peraltro una speciale censura,
ma con le semplici espressioni "reprobat, damnat, proscribit" (D324l).
Può sorprendere il fatto che molte delle proposizioni condannate siano di tipo metafisico-
filosofico e non tocchino materia di fede. Ciò avviene, nell'Ottocento, anche per altri autori od
errori, come abbiamo visto. È una novità nella storia delle condanne dottrinali. Ciò ha provocato in
alcuni una reazione di disapprovazione, quasicchè il Magistero sia uscito dal suo ambito di
competenza, col rischio di mettere in pericolo la sua infallibilità e di coartare la libertà di pensiero
filosofico.
Ma a questa obiezione abbiamo già dato risposta, se ricordiamo quanto si è detto
dell'autorità del Magistero nel campo di quelle verità che sono necessariamente connesse al dato
rivelato, e che il Magistero può proporre da credersi con "fede ecclesiastica" in modo "definitivo",
ossia per sempre. Anche qui gioca l'infallibilità del Magistero, benché ciò per ora sia solo
teologicamente certo e non sia verità di fede definita. Tuttavia è verità insegnata dal Magistero
ordinario, per cui la possiamo considerare indirettamente di fede, benché la materia sia data solo da
verità di ragione (speculative o morali: praeambula fidei) o di fatto (fatti dogmatici).
Altri casi di questi interventi della S.Sede contro errori filosofici furono la condanna di
alcuni errori di Bautain nel 1844, con Gregorio XVI, e di Bonnetty, nel 1855, con Pio IX.
Evidentemente in questa casi la Chiesa non interviene quasi essa si considerasse un'accademia o
una facoltà di filosofia (oggi questo non lo fanno generalmente neanche loro), ma proprio sempre
come custode del deposito rivelato, per cui può godere anche qui dell'infallibilità che Dio le ha
concesso per quel fine: se infatti esistono errori che rendon impossibile il conseguimento di quel
fine, è evidente che la Chiesa, proprio per conseguire quel fine, non può non avere il diritto-dovere
di condannare quegli errori, e infallabilmente, perché, se potesse sbagliarsi, di nuovo non sarebbe in
grado (seppure indirettamente) di custodire il deposito.
Per quanto riguarda il Rosmini, indubbiamente si resta assai sorpresi di come una mente
eccelsa ed acuta come la sua e uomo di santa vita possa essersi lasciato ingannare da errori vicini al
panteismo, quando egli stesso, in numerosi luoghi della sua vastissima e prodigiosa produzione,
contenente tanti elevati insegnamenti teoretici e morali, abbia formulato una critica dura e
pertinente al panteismo.
Anche in questo caso, a differenza di Giansenio, la S.Sede si limitò a segnalare le
proposizioni erronee "ut sonant", senza pronunciarsi sulle intenzioni dell'autore, anche perché
alcune di queste proposizioni sono poi smentite da altre della sua stessa opera.
Sulla questione delle intenzioni dell'Autore abbiamo invece una recente Nota della CDF in
data 1.VII.2001. Essa ribadisce - e non potrebbe fare altrimenti - l'erroneità delle proposizioni
condannate, ma nel contempo precisa che esse non corrispondono alle intenzioni di fondo né al
contesto generale del pensiero del Roveretano: "Il senso delle proposizioni - così dice la Nota -, così
inteso e condannato dal medesimo Decreto" (il decreto di condanna del 1887), "non appartiene in
realtà all'autentica posizione di Rosmini, ma a possibili conclusioni della lettura delle sue opere.
Resta tuttavia affidata al dibattito teoretico la questione della plausibilità o meno del sistema
rosminiano stesso, della sua consistenza speculativa e delle teorie o ipotesi filosofiche e teologiche
53 Studi recenti su Rosmini: C.Giacon, "L'oggettività in A.R.", Silva Editore, Milano-Genova 1960; G.Giannini,
"Esame delle Quaranta proposizioni rosminiane", Genova-Stresa 1985; C.Fabro, "L'enigma R.", Edizioni Scientifiche
Italiane, Napoli 1988; T.Manferdini, "Essere e verità in R.", Edizioni Studio Domenicano", Bologna 1994;
P.P.Ottonello, "R. L'ideale e il reale", Ed.Marsilio, Venezia 1998; N.Ricci, "In trasparenza. Ontologia e dinamica
dell'atto creativo in A.R.", Città Nuova 2005; G.Cavalcoli, "Il fascino dell'idea `reale' ed `ideale' nel pensiero di
A.R.", I, in Divinitas, n.3, 2005, pp.255-295; II, n.1, 2006, pp.50-86; G.Grandi, "Prospettive sull'intuizione dell'essere
tra R. e Maritain. Suggestioni e scorci a margine del convegno internazionale `Rosmini e la filosofia tedesca'", in
Divinitas, n.2, 2006, pp.149-164; G.Goggi, "Aristotele, R.. e la struttura del nus", Libreria Editrice cafoscarina, Venezia
2006.
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in esso espresse. Nello stesso tempo rimane la validità oggettiva del Decreto 'Post obitum'" (il
decreto di condanna) "in rapporto al dettato delle proposizioni condannate, per chi legge, al di fuori
del contesto del pensiero rosminiano, in un'ottica idealista, ontologista e con un significato contrario
alla fede e alla dottrina cattolica": ossia, le proposizioni, in quanto di stampo idealistico, ontologista
o contrario alla fede e alla dottrina cattolica, sono e restano evidentemente condannabili e
condannate; ma esse, così intese, restano "al di fuori del contesto del pensiero rosminiano"; non
esprimono questo contesto, e il senso in cui sono state condannate non coincide col senso "del-
l'autentica posizione del Rosmini". Viceversa, nel caso di Giansenio il Papa disse d'aver condannato
le proposizioni nel senso inteso da Giansenio.
Un'altra questione che preoccupò alquanto, dal punto di vista delle idee, i Pontefici
dell'Ottocento - altro aspetto delle grandi acque -, da Leone XII a Leone XIII, fu quella
dell'"indifferentismo" o come si diceva allora, del "tollerantismo". Essa era connessa col problema
della libertà religiosa, con la questione della religione di Stato e col problema della massoneria e del
liberalismo.
Facciamo un passo indietro. Con le guerre di religione, cominciò ad apparire a tutti, e
soprattutto ai protestanti, che il cristianesimo, di fatto, non riusciva più ad essere un fattore di
coagulo della convivenza non solo religiosa ma anche civile europea. I dogmi della fede cattolica
non potevano più essere alla base della convivenza civile. I trattati di Westfalia del 1648 - "cuius
regio, eius religio" - sancivano che si doveva accettare la religione del governante e della
maggioranza del popolo dello Stato nel quale si viveva. Sorgevano così gli "Stati cattolici" e gli
"Stati protestanti". Il Re di Spagna era il "Re cattolico" o addirittura "cattolicissimo".
Ma anche questa situazione creava problemi. Il principio della coscienza nella
determinazione del proprio credo religioso, libera da imposizioni o minacce che potessero venire da
qualunque potere religioso o civile, indubbiamente legato al sorgere del protestantesimo, stava
facendo sempre più strada, ed aspirava ad essere non solo alla base della scelta di un popolo, ma
della scelta di ogni singola persona. Questo principio cominciò ad essere sostenuto, a partire dalla
Rivoluzione Francese, dalle correnti liberali e massoniche.
Avvenne tuttavia che questo principio della scelta di coscienza, in fondo sempre accettato
dal cattolicesimo, fu inteso nel senso luterano-cartesiano come principio assoluto della verità:
veniva dunque meno il criterio oggettivo, esterno, per la scelta della vera religione, ma ognuno
aveva il diritto di scegliere la propria religione non in base ad una verità oggettiva esterna (che non
era ammessa), ma in base a ciò che appare alla "coscienza". Risorgeva dunque l'antico principio dei
sofisti, del quale parla S.Tommaso: "Omne quod videtur, est verum".
I Papi dell'Ottocento, soprattutto Leone XII, Gregorio XVI e Pio IX, condannarono
giustamente questa concezione soggettivistica della coscienza. Gregorio XVI la condannò sotto il
nome di "libertà di coscienza" (cf Enciclica "Mirari vos" del 15.VIII.1832) - espressione che oggi
ha un significato positivo -, ma, per capire cosa il Papa intendeva dire, occorre badare all'uso che
egli fa di quella espressione.
Per Papa Gregorio questa falsa libertà di coscienza nasce dall'"indifferentismo", che "è -
come dice il Papa - quella perversa opinione, che, per fraudolenta opera di increduli, si dilatò in
ogni parte, che cioè in qualunque professione di fede" (non esiste una verità oggettiva e universale)
"si possa conseguire l'eterna salvezza dell'anima, se i costumi si conformano alla norma del retto e
dell'onesto" (lbid.): alla felicità dell'uomo è sufficiente la "religione naturale", come insegnava la
massoneria.
Così, secondo alcuni, il protestantesimo non contiene eresie, ma - denuncia Pio IX - "non
aliud est quam diversae verae eiusdem christianae forma, in qua aeque ac in Ecclesia catholica Deo
piacere datum est" (Dal "Sillabo", Denz 2918). Con ciò Pio IX non intendeva negare la possibilità
di salvezza a coloro che errano in buona fede: "Illi, qui invincibili circa sanctissimam nostram
religionem ignorantia laborant, quique naturalem legem eiusque praecepta in omnium cordibus a
Deo insculpta sedulo servantes ac Deo oboedire parati, honestam rectamque vitam agunt, possunt,
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
38
divinae lucis et gratiae operante virtute, aeternam consegui vitam" (Enciclica "Quantum
conficiamur moerore", del 10.VIII.1863, Denz 2865-2866).
Tuttavia Pio IX non giunse a tirare le conseguenze di questo fatto sul piano delle istituzioni
e delle leggi dello Stato, e fedele all'antichissima idea della "religione di Stato", che risaliva a Co-
stantino e alla tradizione medioevale - consacrata da Bonifacio VIII - della supremazia politica della
Chiesa sullo Stato, Pio IX non se la sentì di ammettere, nelle leggi dello Stato, - almeno negli Stati
Pontifici - quella che noi oggi chiamiamo "libertà religiosa", benchè essa cominciasse già da allora
ad affermarsi negli Stati Uniti d'America.
Per questo tale idea è condannata nel Sillabo sotto questa formulazione: "Aetate hac nostra
non amplius expedit religionem catholicam haberi tamquam unicam Status religionem, ceteris
quibuscumque cultibus exclusis" (Denz 2977).
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