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La Donna e il Drago (da Apoc 12)

Ultimo Aggiornamento: 15/04/2011 22:23
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15/04/2011 22:21
 
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Ma in realtà in Lutero, ad uno stadio forse non sempre conscio, ed anche contro la sua
volontà, giocarono anche altri fattori sostanzialmente anticristiani e pagani, che finirono per avere il
sopravvento nelle dottrine e nella condotta del "Riformatore". Solo spiriti cristiani molto vigili, in
profonda comunione con la Chiesa, sinceramente aspiranti alla santità, riescono - e poi mai del tutto
- a sottrarsi ai miasmi ideologici e comportamentali del proprio tempo.
Lutero, animo profondamente religioso, come disse un giorno Papa Wojtyla, ebbe anche lui
un notevole fiuto spirituale, avvertì i miasmi del proprio tempo, alcuni almeno se non tutti, e cercò
di combatterli proprio fidando sulla Parola di Dio e gli insegnamenti di Cristo; sapeva bene che il
Drago, caduto sulla terra, si vuole avventare contro il Figlio della Donna; conosceva bene il dovere
di vincere le seduzioni della carne e di disprezzare gli onori del mondo; sapeva bene che il cristiano
è pronto a lottare, soffrire e morire per la Verità e il trionfo del Vangelo.
Lutero aveva individuato bene, in particolare, i pericoli che provenivano dal cristianesimo
umanista e rinascimentale, più attaccato alla gloria umana che a quella che viene da Dio, più
propenso a vantare i propri meriti che a riconoscere l'umiltà che porta a confidare in Cristo
crocifisso. Provava ripugnanza sia per il cristianesimo pelagiano-nestoriano dei cristiani mondani,
che per le raffinatezze mistico-speculative del cristianesimo gnostico-platonicheggiante della
tradizione monofisita. Accettava con franchezza il dogma calcedonese e la devozione medioevale a
Gesù crocifisso. La sua cristologia, almeno agli inizi, fu sostanziai mente equilibrata. Nutriva una
tenera devozione per la Madonna.
L'incrinatura dell'anima di Lutero, per la quale passò lo spirito della ribellione, il primo
passo verso il precipizio fu, come gli storici sanno, il suo modo angoscioso e arrovellante di porre il
problema del peccato, della penitenza e della salvezza, ossia la sua incapacità di conciliare il timor
di Dio con la confidenza in Lui.
Il secondo passo fu la improvvisa e granitica convinzione che egli si fece di aver
interpretato giustamente, e contro l'interpretazione tradizionale, la dottrina paolina della
giustificazione, interpretazione che gli pareva aver dato pace alla sua coscienza, prima insoddisfatta
della posizione cattolica.
Il terzo passo fu la ribellione all'autorità del Papa che lo scomunicava, perché il Papa non
riconosceva la sua interpretazione della dottrina paolina.
Il quarto passo fu il rifiuto in generale del Magistero della Chiesa come interprete infallibile
della Rivelazione ed il rifiuto di riconoscere la Sacra Tradizione come fonte della Rivelazione.
Il quinto e definitivo fu quello di organizzare e diffondere, come se si trattasse di una sacra
missione, la sua concezione del cristianesimo e della Chiesa fondandosi solamente sulla sua
personale interpretazione della Sacra Scrittura, senza rendersi conto di aver così ceduto a quello
spirito di autoaffermazione ed autoglorificazione personali, tipicamente rinascimentali, spirito
contro il quale era pur partito il giovane Lutero in nome dell'umile sottomissione alla Parola di Dio.
In questa successione di tappe dell'evoluzione intellettuale di Lutero non è difficile
rintracciare l'influsso - difficile dire se conscio o inconscio - dell'antica visione ereticale del
cristianesimo, che abbiamo incontrato nello gnosticismo, nel manicheismo e nel catarismo,
concezione che vede l'anima come parte della sostanza divina - a ciò si potrebbe collegare il
caratteristico soggettivismo intransigente di Lutero -, mentre esclude, come antitetica a Dio, la
mediazione visibile della Chiesa, dei sacramenti e dell'autorità ecclesiastica, secondo lo stile di altri
movimenti ereticali, come i valdesi, gli hussiti e i seguaci di Wyclif. Da qui la dottrina luterana del
Papa come anticristo e servo del diavolo.
In tal modo l'ispirazione di Lutero, che all'inizio mostrava di opporsi alla mondanizzazione
del cristianesimo operata dal Rinascimento pagano-pelagiano, restando priva di una solida
comunione soprannaturale con la Chiesa, tende gradualmente a farsi terrena, assumendo sempre
più, benché Lutero si sforzasse di smentirlo, quella stessa mentalità antropocentrica, che fino ad
allora aveva combattuto come nemica del cristianesimo in nome della riforma della Chiesa.
Da questo momento l'azione di Lutero mostra di essere sempre più una deformazione
dell'azione ecclesiale, piuttosto che una vera azione riformatrice. Il suo stesso modo di concepire
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
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tale azione, dispotico, arrogante, aggressivo, intollerante, presuntuoso - a prescindere dai contenuti
dottrinali che vieppiù si allontanano dal dogma cattolico - mostra sempre più di non essere ispirato
allo stile evangelico dei veri riformatori, ma all'affermazione della propria prepotente e vulcanica -
sia pur prodigiosa - personalità, elevata da lui stesso a criterio assoluto della verità, secondo quel
movimento di assolutizzazione della coscienza individuale e quel "principio di immanenza", dei
quali abbiamo denunciato già più volte il sorgere col declino della grande scolastica medioevale, e
col ritorno delle antiche eresie gnostico-manichee, ispirate al neoplatonismo, all'ermetismo27,
all'antica sofistica greca, al materialismo democriteo e al dualismo iranico.
Come è noto agli storici, l'Umanesimo italiano si propone come affermazione della dignità
dell'uomo in continuità,da una parte, con l'umanesimo del medioevale Tommaso, ma nel contempo
con un occhio rivolto all'antichità classica e in modo particolare alla concezione platonica
dell'uomo (vedi Marsilio Ficino) e all'ermetismo (vedi la traduzione del Corpus Hermeticum fatta
dallo stesso Ficino). Col Rinascimento l'antropologia classico-pagana comincia ad avere la meglio
su quella cristiana di Tommaso: si sviluppa un umanesimo sempre più antropocentrico e orientato
verso il panteismo, allo gnosticismo, al recupero degli antichi misteri pagani28 e all'esoterismo29,
che avrà un lungo avvenire fino ai nostri giorni30, attraverso la magia, l'alchimia31, i Rosa-Croce32,
la Massoneria e la teosofia33 e New Age34.
Questi avvenimenti possono essere rappresentati dal Drago precipitato sulla terra. Con ciò il
falso spiritualismo ed evangelismo svelano il loro volto carnale e diabolico, la Chiesa subisce una
27 Sull'ermetismo, vedi: J.Lagrange, OP, "L'Hermétisme", in Revue Biblique 1925; F.-M.Braun, "Essénisme et
Hermétisme" e "Hermétisme et johannisme", in Revue Thomiste 1954-1955 ; G.S.Gasparro, « Gnostica et Hermetica.
Saggi sullo gnosticismo e l'ermetismo", Edizioni dell'Ateneo, Roma 1982; A.-J.Festugière, OP, "Ermetismo e mistica
pagana", Il Melangolo, Genova 1991; F.A.Yates, "Giordano Bruno e la tradizione ermetica", Laterza 1992;
C.Moreschini, "Storia dell'ermetismo cristiano", Ed.Morcelliana, Brescia 2000.
28 U.Rahner, "Mysterion. Il mistero cristiano e i misteri pagani", Ed.Morcelliana, Brescia, 1952; V:Macchioro,
"Orfismo e paolinismo", Edizioni Bastogi, Foggia 1982; Raphael, "Orfismo e tradizione iniziatica", Asram Vidya,
Roma 1985; N.D'Anna, "La disciplina del silenzio. Mito, mistero ed estasi nell'antica Grecia", Il Cerchio Iniziative
Editoriali, Rimini 1992 (?); J.Daniélou, "Misteri pagani, mistero cristiano", Edizioni Arkeios, Roma 1995; "Le
religioni dei misteri", a cura di P.Scarpi, Arnoldo Mondadori Editore, Milanon 2003.
29 A.Besant, "Il cristianesimo esoterico", Edizioni "Alaya", milano 1952; R.Guénon, "L'esoterismo cristiano e
S.Bernardo" Oggero Editore, Carmagnola 1997; A.C.Ambesi, "Le società esoteriche", Xenia Edizioni, Milano 1994;
M.Blondet, "Gli `Adelphi' della dissoluzione. Strategie culturali del potere iniziatici", Edizioni Ares, Milano 1994;
F.Shuon, "L'esoterismo come principio e come via", Edizioni Mediterranee, Roma 1997; J. Maquès-Rivière, "Storia
delle dottrine esoteriche", Edizioni Mediterranee, Roma 1997; A.Faivre, "Esoterismo e tradizione", Elledici,
(Leumann) Torino 1999; G.Gangi, "Misteri esoterici. La Tradizione ermetico-esoterica in Occidente", Edizioni
Mediterranee, Roma 2006; "Esoterismo e fascismo", a cura di G.de Terris, Edizioni Mediterranee, Roma 2006.
30 Chi ha ripreso la tradizione esoterico-gnostica nel Novecento, collegandola con lo gnosticismo massonico, indiano ed
islamico, è stato René Guénon. Vedi, di lui: "Considerazioni sulla via iniziatica", Fratelli MelitA Editori, Genova 1987;
"Iniziazione e realizzazione spirituale", Luni Editore, Milano 2003.
31 Vedi M.Pereira, "Arcana sapienza. L'alchimia dalle origini a Jung", Ed.Carocci, Roma 2001.
32 Sui Rosacroce: P.Sédir, "Rosa-Croce. Santi, illuminati e mistici", Fratelli Melita Editori, Genova 1990; "Dottrina e
storia dei Rosa+Croce", SeaR Edizioni, Scandiano, R.E., 1992
33 Sulla teosofia, vedi:A.Fullerton, "Tre letture teosofiche", B.Seeber Editore, Firenze 1903: C.W.Leadbeater, "Cenni di
teosofia", Società Teosofica Editrice; A.Besant, "Theosophy and the new psychology", Theosophical Publishing
Society, London 1904; E.P.Blavatsky, "Introduzione alla teosofia", Ed.Bocca, Torino 1911; P.Giovetti, "Helena
Petrovna Blavatsky e la Società Teosofica", Edizioni Mediterranee, Roma 1990; J.Cantucci, "La Società Teosofica",
Ellenici, (Leumann) Torino 1999.
34 Su New Age: H.M.Enomiya-Lassalle, "Vivere in una nuova coscienza. L'incontro tra Est e Ovest. La spiritualità del
terzo millennio", Edizioni Mediterranee, Roma 1988; G.Schiwy, "Lo spirito dell'Età Nuova. New Age e il
cristianesimo", Ed.Queriniana, Brescia 1991 J.Vernette, "Il New Age. All'alba dell'era dell'Acquario", Edizioni Paoline
1992; A.N.Terrin, "New Age. La religiosità del postmoderno", EDB, Bologna 1993; M.Introvigne, "Storia del New Age
1962-1992", Ed.Cristianità, Piacenza 1994; C.Maccari, "La New Age di fronte alla fede cristiana", Editrice Elle Di Ci,
(Leumann) Torino 1994; A.De Luca, "La New Age", Xenia Editrice, Milano 1994; B.Dobroczynski, "New Age. Il
pensiero della `Nuova era'", Bruno Mondadori, Milano 1997; F.Martínez Diez, "New Age e la fede cristiana", Ed.San
Paolo 1998; Pontificio Consiglio per la Cultura ­ Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, "Gesù Cristo
portatore dell'acqua viva. Una riflessione cristiana sul `New Age'", Libreria Editrice Vaticana 2003.
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
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prova durissima: interi popoli - pastori e fedeli - cristiani da molti secoli, si staccano dal seno della
Chiesa e si ribellano contro la madre che li ha generati alla fede: "Il fratello darà a morte il fratello";
si verificano le tragiche profezie di Gesù circa il tradimento subìto da parenti ed amici e circa l'ora
terribile nella quale chi ci uccide crede di farlo per la gloria di Dio. Ecco il sorgere delle orribili e
scandalosissime guerre di religione, generatrici di uno scetticismo e di uno sconcerto, dai quali
tuttora i popoli europei non son ancora riusciti a risollevarsi.
Le ali della grande aquila
"Ma furono date alla Donna le due ali della grande aquila, per volare nel deserto, verso il
rifugio preparato per lei, per esservi nutrita per un tempo, due tempi e la metà di un tempo lontano
dal Serpente" (Ap 12, 14).
L'aquila, nella Scrittura, è ricordata come uccello dalla vista acuta, capace di elevarsi in alto
nel cielo con le sue ali possenti e volare veloce, scendendo decisa ed inesorabile sulla preda; il suo
nido, nascosto e ben difeso, è in luoghi inaccessibili. Per queste sue caratteristiche superbe ed
invidiabili, essa è presso tutte le civiltà simbolo di dominio e potenza regale; fin dai primi secoli è
raffigurata nelle chiese per il significato religioso e teologico che si può ricavare dai simboli che in
essa si raccolgono: la vista acuta che penetra nei segreti celesti della divinità, l'alto e sicuro volo
dello spirito, la forza nella distruzione della preda.
L'aquila, sin dai primi secoli cristiani, rappresentata nella visione dei "quattro esseri
viventi" del profeta Daniele, è il simbolo dell'evangelista Giovanni, che più degli altri evangelisti ci
guida alla conoscenza mistica della divinità di Cristo. Potente, robusta e resistente nel volo, l'aquila
rappresenta convenientemente la forza dello spirito, che sa librarsi liberamente e durevolmente nella
visione delle cose celesti: simbolo quindi delle scienze speculative e della contemplazione.
Predatrice abile e inesorabile, ben rappresenta il discernimento e l'acutezza dell'intelligenza critica,
che scova l'errore e lo distrugge. Il nido segreto e irraggiungibile rappresenta le fondamenta
nascoste della sapienza, al riparo di ogni critica scettica e demolitrice, invisibili agli occhi degli
stolti e irraggiungibili dalle trame dei maligni.
Qual è quell'aquila possente che è tornata a far brillare la luce immortale della Parola di Dio
agli occhi della Chiesa, annebbiati dagli errori e dai sofismi protestanti, e l'ha aiutata a tornare a
guardare il cielo, dopo essere stata abbattuta a terra dal cataclisma e dalle lacerazioni provocate da
Lutero? È il concilio di Trento: una nuova vittoria sull'eresia, che ha concesso alla Chiesa un lungo
periodo di pace - sempre relativa, s'intende - "per un tempo, due tempi e la metà d'un tempo" - ossia
per tre secoli e mezzo: fino egli anni cinquanta del secolo diciannovesimo, allorché il Drago sferrerà
un nuovo tremendo attacco - il diffondersi in Europa delle ideologie materialiste ed idealiste -.
La fine del secolo diciottesimo ha costituito certo, con la Rivoluzione francese, un periodo
di prova durissima per la Chiesa, ma non dal punto di vista dottrinale: per quasi tutto il corso del
Settecento fino ai primi decenni dell'Ottocento, Roma non incontra mai delle grandi eresie da
combattere, come invece, avverrà a partire dalla metà dell'Ottocento, ossia con l'invasione del
"fiume d'acqua" vomitato dal Drago.
La caduta del Drago sulla terra dopo "milleduecentosessanta giorni" rappresenta una svolta
molto importante nella storia delle eresie e per conseguenza nel modo col quale la Chiesa affronta il
problema dell'eresia. Dopo che la Donna ha partorito il Figlio maschio, come abbiamo visto, ossia
con la conclusione della dottrina dogmatica cristologica col secondo concilio di Nicea (787), il
Figlio della Donna, ossia la fede cristiana, comincia a "governare tutte le nazioni con scettro di
ferro" (v.5), ossia ad espandersi in tutte le nazioni europee ad Occidente e ad Oriente, comprese
alcune nazioni dell'Africa settentrionale e del medio Oriente.
Lo "scettro di ferro" è la solidità del dogma cristiano, che guida con sicurezza ed
infallibilità la Chiesa alla pienezza della verità ed alla conquista del mondo. La Chiesa (la Donna),
ben sistemata "nel deserto" (v. 6), ossia nutrita spiritualmente dall'austerità e dalla santità della vita
monastica (cf soprattutto la riforma dei secc.XI-XII, che continua la veneranda tradizione dei Padri
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
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del deserto (cf la "Filocalìa"), e ben protetta nel "rifugio" (v.6) preparato da Dio, ossia ben difesa
dal potere di cui dispone con gli Stati pontifici, ma soprattutto protetta dai santi martiri della Chiesa
di Roma, dove come suo vescovo ha sede il Successore di Pietro, la Chiesa diffonde nel mondo per
molti secoli, senza che appaiano problemi di eresia particolarmente gravi, il nome di Cristo per
mezzo di moltissime ed efficaci iniziative missionarie, appoggiate anche dai sovrani, quel nome di
Cristo che ormai era stato definito per sempre dai precedenti concili cristologici.
Indubbiamente, nel corso di questi milleduecentosessanta giorni, poco dopo il millesimo,
quasi a significare lo scatenarsi di Satana dopo "mille anni", avviene il dolorosissimo distacco da
Roma delle Chiese orientali che fanno capo a Costantinopoli. Ma anche in questo caso non si tratta
sostanzialmente di eresia, ma di scisma. Grazie a Dio, la dottrina della fede, soprattutto quella dei
primi sette concili - fondamentali - resta comune e restano comuni i sacramenti: gli Orientali non
riconoscono più ai Successori di Pietro il compito di pascerli e di confermarli nella fede, ma
pretendono che il potere episcopale come tale, anche se non rivestito del sommo pontificato
romano, possa essere sufficiente, indipendentemente da Roma, a mantenere l'integrità della fede e la
comunione ecclesiale nelle singole diocesi e Chiese nazionali: cosa che successivamente si rivelerà
un'illusione, sia per quanto riguarda l'unità della fede, che per quanto riguarda la comunione
ecclesiale, che verranno inevitabilmente compromesse in vari modi e misure.
Certamente il rifiuto del primato del romano Pontefice (declassato a "Papa di Roma") era
già un'eresia; ma a questa purtroppo (ma era inevitabile) col passare dei secoli, senza la linfa
soprannaturale che viene da Roma, se ne aggiunsero altre, come per esempio il rifiuto dei dogmi
mariani dell'Immacolata e dell'Assunta, col pretesto che i dissidenti non riconoscevano l'infallibilità
pontificia. Ciò tuttavia non toglie che nelle Chiese scismatiche d'Oriente (cosiddette "Ortodosse",
come se i cattolici non fossero "ortodossi"), permanga un ricchissimo patrimonio dottrinale,
teologico - si pensi solo ai Padri Greci, tuttora venerati, ed anzi a fondamento della teologia
"ortodossa" -, patrimonio mistico, spirituale, liturgico, artistico, letterario ed anche di santità e di
martirio, che dà bene a sperare che con le attuali attività ecumeniche, - pensiamo per esempio al
felice recente incontro del Papa con il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo -, con l'assistenza
dello Spirito Santo, i fratelli orientali tornino a vedere nel "Papa di Roma" non un dominatore, ma il
Successore di Pietro, "servo dei servi di Dio", guida nella fede, sostegno nelle prove e principio
dell'unità e della comunione ecclesiali.
Ma il problema dell'eresia si aggrava in modo spaventoso allorchè il Drago, precipitato sulla
terra, si avventa contro il Figlio partorito dalla Donna, ossia col sorgere del protestantesimo nelle
sue numerose sette, in conflitto anche fra di loro. Se infatti fino ad allora il problema dell'eresia era
sempre stato costituito, almeno in Europa da casi sporadici e isolati - prescindiamo dalla situazione
delle antiche Chiese scismatiche, come quella Copta o quella Siriaca, che non avevano accettato il
dogma di Calcedonia, ma conservavano quello di Nicea -, solo il catarismo aveva dato da fare, ma
tutto sommato fu abbastanza facilmente represso -, con lo scoppio della ribellione prima di Lutero e
poi di altri che lo imitarono, interi popoli, intere nazioni, interi episcopati, come ho già detto,
cominciarono a cadere nell'eresia. Si presentava pertanto per Roma, in modo drammatico, una
situazione del tutto nuova e assolutamente incontrollabile.
Fino ad allora, in una popolazione totalmente cattolica e sottomessa a Roma, il sorgere
dell'eretico o di qualche movimento ereticale costituivano fatti o isolati o facilmente isolabili, e
quindi, dato il prestigio di Roma e il suo potere repressivo che si valeva anche del potere politico (il
famoso "braccio secolare"), tali fenomeni potevano facilmente esser posti sotto controllo e repressi,
anche per l'universale orrore e ripugnanza che allora suscitava il fatto dell'eresia (fino al punto da
voler disperdere le ceneri dell'eretico). Ma adesso, con l'improvviso spargersi dell'eresia nei paesi
del centro e nord Europa, il passaggio di prìncipi e sovrani all'eresia e la soppressione, in quei paesi,
del tribunale dell'Inquisizione, evidentemente Roma non poteva più sperare di continuare là ad
esercitare il potere coercitivo per la punizione della eresia. Occorreva affrontare il problema in
modo nuovo e con nuovi mezzi. Tuttavia, nel sud Europa, dove i popoli continuavano ad essere
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fedeli al cattolicesimo, Roma pensò di potere e dover continuare, come si sa, ancora per molto
tempo, ad esercitare il suddetto potere.
Fino ai tempi di Lutero non era mai accaduto il sorgere quasi contemporaneo di tante eresie
e il fatto che esse potessero spargersi con tanta rapidità e successo. Ma il dramma ancora più sottile
è dato dal fatto che ai tempi di Lutero diverse dottrine, che per un cattolico di oggi sono
sicuramente dogmi della fede, allora, anche in ambienti teologici ed episcopali, non apparivano tali
con certezza e si tendeva a confinarle nelle semplici opinioni teologiche o di scuola, senza che
Roma si fosse ancora pronunciata con chiarezza.
Lutero, dottore in teologia ed esegeta (allora le due cose andavano generalmente assieme),
non era evidentemente uno sprovveduto. Certo egli non amava la teologia speculativa, un po' per
indole e un po' per la formazione nominalistica che aveva ricevuto (Ockham e Biel), per la quale ciò
che deve interessare al teologo non è tanto la verità di Dio in se stesso, ma la conoscenza della sua
volontà nei miei confronti, ciò che Cristo ha fatto per salvarmi, ciò che devo fare per salvarmi, la
devozione a Cristo crocifisso: un "cristocentrismo soteriologico", che però rischia di dimenticare il
rapporto con lo Spirito e col Padre, - caratteristica diffusa della devozione cattolica medioevale
occidentale - ; mentre gli Ortodossi preferiscono l'adorazione a Cristo risorto e "Pantokrator".
Così il cristocentrismo luterano è basato solo sui Sinottici e dimentica completamente la
cristologia giovannea, dove appare chiaramente invece l'aspetto "patrocentrico" del cristianesimo, in
linea con l'insegnamento veterotestamentario, nel quale ciò che conta, più che la missione del
Messia, è poter giungere a contemplare il volto del Padre (cf i Salmi e Mosè). Naturalmente è vero
che nel cristianesimo il Messia acquista maggiore importanza, in quanto è Figlio di Dio e Dio egli
stesso; ma resta questa funzione mediatrice nei confronti del Padre. Gesù certamente dice di sé "io
sono la verità e la vita"; si assegna attributi divini, ma sempre per condurre l'uomo al Padre nella
potenza dello Spirito.
Lo Spirito certo non è assente nella teologia luterana, ma solo al fine di comprendere il
senso delle Scritture e di essere guidati a imitare Cristo nella libertà concessa dallo Spirito al di là
della limitatezza della Legge. Quanto alla figura del Padre, non emerge per nulla nel luteranesimo
l'istanza contemplativa del cristianesimo e la prospettiva della visione beatifica. Si avverte pertanto,
come ho detto, nonostante i rifiuti formali di Lutero, la presenza sotterranea in lui
dell'antropocentrismo rinascimentale e direi addirittura proprio di quel pelagianismo che egli pur
intendeva combattere.
II Concilio di Trento darà una risposta vigorosa a Lutero circa la necessità della mediazione
visibile della Chiesa e la bontà della natura umana - benché ferita dal peccato -, e quindi correggerà
questa visione relativistica e pessimistica, lascito inconscio di un persistente dualismo manicheo che
continua a lavorare clandestinamente all'interno del cristianesimo lungo i secoli, mentre d'altra
parte, nel sottolineare la dignità del cristiano figlio di Dio, che vive in grazia, il Concilio non
giungerà ad accettare l'esagerata stima di Lutero per la coscienza soggettiva e per la libertà
cristiana, esse pure segno dell'oscuro e persistente influsso della concezione gnostico-manichea,
tema questo che apparirà sempre più cosciente ed esplicitato nella concezione cartesiana dell'io, non
a caso accolta con favore non nella teologia cattolica, ma in quella protestante, fino al suo sviluppo
elefantiaco nell'idealismo panteista tedesco del sec. XIX.
Dove invece ci pare che la grande assemblea tridentina non abbia dato risposta adeguata a
Lutero, è stato in un'opportuna dottrina della funzione dello Spirito nella vita del cristiano in vista di
condurlo in Cristo e ovviamente nella Chiesa alla contemplazione del Padre.
Il Concilio certamente ha compreso qual era il punto sul quale occorreva intervenire con
maggiore urgenza: l'accoglienza delle strutture visibili-sacramentali della Chiesa come "di diritto
divino", ossia
volute da Cristo, il che comportava il rispetto per la Sacra Tradizione e per il
Magistero come interprete infallibile della Parola di Dio e come guida al conseguimento della
salvezza e della santità.
Altre istanze avanzate da Lutero, come quella della libertà del teologo, della presenza dello
Spirito nel popolo di Dio, di un'iniziativa laicale all'interno della Chiesa, di un'interpretazione
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legittimamente privata della Scrittura (in fondo quella che era la tradizionale "lectio divina" della
vita monastica), del rapporto teologi-Magistero, dell'autonomia della comunità cristiana, della
liturgia in volgare furono lasciate inevase. Questo fatto provocò nella Chiesa nei secoli seguenti
disagi, questioni e problemi, sino a che la risposta adeguata venne da parte dei concili Vaticani I e
II.
Per quanto concerne la questione dell'autorità che, nella Chiesa, ha il diritto-dovere di
distinguere l'ortodossia dall'eresia, Lutero, come è noto, la nega al Magistero della Chiesa e al
Pontefice, e la trasferisce al cristiano come tale, meglio se teologo o ministro del culto o esperto
della Scrittura, come risulta dalle sue proposizioni condannate da Leone X nel 1520: la 27a:
"Certum est in manu Ecclesiae aut Papae prorsus non esse statuere articulos fidei, immo nec leges
morum seu bonorum operum"; la 29a: "Via nobis facta est enervandi auctoritatem Conciliorum, et
libere contradicendi eorum gestis, et iudicandi eorum decreta, et confidenter confitendi quidquid
verum videtur, sive probatum fuerit, sive reprobatum a quocumque Concilio".
Questa negazione di Lutero potremmo collegarla con la sua negazione del sacramento
dell'Ordine e del fatto che il sacerdote, celebrando la Messa, offre un vero sacrificio (sia pure come
attualizzazione del sacrificio di Cristo). In questo caso come nell'altro, infatti, Lutero perde di vista
il valore soprannaturale degli atti che il sacerdote (diacono, presbitero, vescovo o Papa) compie non
in quanto uomo fragile e peccatore, ma in quanto ministro di Cristo.
E ciò naturalmente ha ripercussione sulla concezione stessa che Lutero si fa della Chiesa,
che egli vede non come ministra di Cristo, ma come semplice assemblea di uomini fragili e fallibili,
sia pur credenti. Certo Lutero cerca di salvare la situazione invocando la presenza e l'assistenza
dello Spirito concesso a ogni battezzato e il dono della "fede", che consentirebbe ad ogni cristiano
di conoscere infallibilmente il vero senso della Scrittura, giudicando in base a tale conoscenza, gli
insegnamenti dei Papi e dei concili, come già avevano preteso altri eretici, come i valdesi, i seguaci
di Wyclif e gli Hussiti.
Ma Lutero, con queste sue idee, era poi costretto a ignorare quei passi del Nuovo
Testamento che fondano la dottrina della Chiesa in merito, smentendo così la sua asserita fedeltà
alla Bibbia come criterio di discernimento del messaggio di Cristo e di ciò che gli si oppone. Era
costretto a ergersi contro quella stessa Chiesa che lo aveva educato alla fede e gli aveva dato
garanzia che la Bibbia è Parola di Dio: negando la sua fiducia in ciò alla Chiesa, Lutero non si
accorgeva di scalzare il fondamento stesso della sua pur giusta convinzione che la Bibbia è
rivelazione divina: da chi l'aveva saputo Lutero ciò, se non dalla Chiesa e credendo alla Chiesa,
fidandosi della Chiesa? Non s'accorgeva che togliendo ora la sua fiducia nella Chiesa e
considerandola semplicemente un'assemblea di uomini fallibili, non aveva più ragion sufficiente di
considerare la Bibbia un libro ispirato da Dio? Non aveva più ragion sufficiente di credere al fatto
che il cristiano è illuminato dallo Spirito nell'interpretare la Scrittura? Come poteva continuare ad
accettare questa dottrina biblica, se, con la sua ribellione alla Chiesa, gli venivan meno le ragioni
per accettare la Bibbia come Parola di Dio? Forse che Lutero aveva ricevuto questa notizia
direttamente da Cristo o dallo Spirito Santo?
Lutero, come poi i suoi seguaci lungo i secoli, per sottrarsi a queste domande che lo mettono
alle corde, si è precisamente ridotto a sostenere questo: la "fede" non è preparata da preamboli
razionali o verifiche storiche, ma è un'illuminazione ("intuizione", "sentimento", "esperienza",
"precomprensione", ecc. ), divina diretta e originaria senza la mediazione di alcuna creatura, per la
quale il "cristiano" è in grado di sapere con certezza che la Bibbia è Parola di Dio ed è in grado di
capire questa Parola di Dio, senza il bisogno di alcun Concilio o di alcun Papa o di alcuna
mediazione umana, perché tutte queste cose sono infide ed ingannevoli. La fede non è più quindi un
ossequio ragionevole, ma si aprono le porte al fideismo, che sembra esaltazione della fede, ma in
realtà sconfina col fanatismo, l'autosuggestione e e l'irrazionalità.
Ma come il luterano è certo di conoscere veramente il messaggio di Cristo e Cristo stesso?
"Con la fede", egli ci risponde. Giusto; ma che cos'è per lui la "fede"? È questa "esperienza di Dio
preconcettuale" ed eventualmente "trascendentale" e "soprannaturale". Ma una volta che egli ha
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
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detto questo, che cosa ha detto di comprensibile? Non è forse una maniera comoda per sottrarsi a
qualunque verifica, per non essere obbligato a "rendere ragione" della sua fede, a dirci di preciso
che cosa crede, a chi crede e perché crede, in modo da poter poi fare tutte le affermazioni che crede
senza timore di essere corretto e confutato, giacché l'unico metro di giudizio insindacabile è il suo,
dato da un'esperienza in sé ineffabile, che lui solo conosce, per cui dovremmo credergli sulla parola
quando ci dice che egli - bontà sua - traduce in concetti umani questa sua inesprimibile esperienza
apriorica del Mistero assoluto?
La questione dell'ortodossia e dell'eresia ha senso, evidentemente, quando esiste un metro di
giudizio autorevole, chiaro, pubblico, oggettivo, alla luce del sole, come avviene nella Chiesa
cattolica. In questo caso le scappatoie, le "esperienze atematiche", i giri di parole, le espressioni
equivoche non servono, ma si è costretti a scoprire le carte, si è in un clima di lealtà e di onestà,
dove i furbi hanno vita breve, i trucchi vengono scoperti e gli allocchi rinsaviscono.
Ma è questa la vera fede, cioè la fede insegnata dalla Chiesa cattolica: preparata da
contenuti chiari, motivi oggettivi, fondamenti storici, ragioni stringenti, garanzie sicure, segni
convincenti, verifiche possibili, controlli rigorosi, tesi dimostrabili, discorsi intellegibili, certezze
morali, sia pure lasciando lo spazio dovuto alla trascendenza e incomprensibilità del Mistero.
Ma il "Mistero" non deve essere una scusa per pescare nel torbido, per farla franca, per
sfuggire ai controlli, per non lasciarsi incastrare e poter affermare tutto quello che piace con
l'assicurarci che è "Parola di Dio" ed espressione della "fede". Non è meglio fidarsi del Papa e del
Magistero, piuttosto che di questi falsi profeti? Col Papa e il Magistero dovremo accettare verità
dure e spiacevoli, dovremo piegare il nostro collo al giogo dell'obbedienza: ma loro, almeno,
esibiscono le "credenziali"; ma i santoni dell'"esperienza atematica" che garanzie mi danno? Sì,
d'accordo, sono teologi di successo, fecondi pubblicisti e illustri accademici: ma è la gloria di Dio o
quella che viene "dagli uomini"?
Il fiume d'acqua
"Allora il Serpente vomitò dalla sua bocca come un fiume d'acqua dietro alla Donna, per
farla travolgere dalle sue acque" (Ap 12,15).
Nella Bibbia l'acqua è un simbolo ambivalente: da una parte l'acqua disseta, lava, rinfresca,
rende feconda la terra: questo avviene quando l'uomo può padroneggiare l'acqua. Ma l'acqua in
grande quantità, le "grandi acque", l'"oceano", assimilato all'"abisso" e al "chaos", spaventano
l'Israelita, che non appartiene a un popolo di navigatori, e che ha sempre temuto di affrontare il
mare aperto.
Queste "acque", massa sconfinata ed informe, forza immensa, ma al contempo oscura,
confusa, brutale e devastatrice, protagonista delle tempeste e delle alluvioni - pensiamo alle acque
del diluvio -, rappresentano per la Bibbia un qualcosa di possente ed irrazionale ad un tempo, che
solo Dio può dominare, signoreggiare, controllare, ammansire (pensiamo all'episodio evangelico
della tempesta sedata): le troviamo all'inizio del racconto della creazione, quasi a significare la
"materia prima" di aristotelica memoria, alla quale Dio dà forma, ordine e bellezza.
Più volte i Salmi, per sottolineare l'onnipotenza divina, la presenta come dominatrice delle
"acque" (cf Sal 29,3; 32,6; 33,7; 77,17; 104,3). È il Signore che salva "dalle grandi acque" (Sal 144,
7). Se l'amore è forte, non può essere spento dalle "grandi acque" (Ct 8, 7).
Ezechiele paragona la stessa potenza dì Dio al "rumore delle grandi acque" (Ez 1, 24; 43, 2).
Questo "fiume d'acqua", dunque, che il Drago vomita contro la Donna per travolgerla, non è
certamente 1'"acqua" nel senso salutare, ma al contrario è l'acqua causa di morte, sono le potenze
oscure ed irrazionali della menzogna, della confusione e della distruzione.
Il Concilio di Trento dà nuovamente alla Chiesa un periodo di pace e di ordine, nella luce
più chiara della Parola di Dio, della natura e della missione della Chiesa, del cammino di
santificazione della vita cristiana; la solleva da terra, le rimargina le ferite provocate dal Drago, le
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
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ridà nuova forza ed energie per combattere meglio l'eresia e diffondere la verità, la rilancia
nuovamente alla conquista del mondo con la splendida fioritura di santi, di nuove famiglie religiose
e di nuove attività missionarie che seguirono alla vera riforma (altro che "controriforma"!)
tridentina.
Indubbiamente la vita cristiana ed ecclesiale voluta dal Concilio di Trento ha un forte
carattere combattivo e difensivo, ed è improntata ad un severo ascetismo, insieme con uno spirito di
conquista che ha qualcosa di militaresco e di intransigente. Il sorgere della Compagnia di Gesù, in
quel periodo, è veramente un segno dei tempi. La Chiesa si trova ancora "nel deserto" (v.14):
continua il tradizionale concetto della perfezione ispirato alla vita ascetico-monastica; l'ideale
luterano della santità laicale e secolare non è ancora recepito (ci vorrà il Vaticano II); la Chiesa è in
"un rifugio": si potrebbe dire in una roccaforte.
Pensiamo alla tragedia delle guerre di religione: roccaforte in senso metaforico: una teologia
di forte timbro apologetico e controversista; uno stile di vita guardingo e sospettoso, per non
lasciarsi ingannare dai "lupi travestiti da agnelli" - tutto il contrario dell'ingenuo (od opportunista?)
buonismo di oggi -; l'occhio dell'Inquisizione vigila perché tutto sia a posto e in piena regola, e se
non è a posto.... ; roccaforte anche in senso materiale: cattolici e protestanti si contendono a fil di
spada città, territori, nazioni. Si dà spazio, certo, alla "spada della parola", ma altrettanto alla parola
della spada. Bisognava farla, questa esperienza, per accorgersi che non ha dato i risultati che si
speravano.
Da qui la decisione della Chiesa di non rifarla mai più, per imitare meglio il suo Sposo
divino, che non è venuto a mettere in croce, ma a farsi mettere in croce. Come predice l'Apocalisse,
è solo alla fine del mondo che Cristo trionferà visibilmente e per sempre sui suoi nemici in una
battaglia finale decisiva: nel corso della storia presente la Sposa di Cristo è crocifissa come il suo
Sposo.
Questo "fiume d'acqua" che il Drago vomita contro la Donna, sono le nuove eresie che
sorgono dopo il Concilio di Trento e soprattutto, come ho detto, circa trecentocinquant'anni dopo
("un tempo, due tempi e la metà di un tempo"), è il fascino esercitato dall'idealismo tedesco, una
nuova gnosi, e la gnosi, abbiamo detto e ripetuto, è l'eterna più pericolosa tentazione del
cattolicesimo, che sempre periodicamente riappare per ingannare gli spiriti migliori, onde dare la
soddisfazione a Satana di avere tra i suoi collaboratori non delle mezze figure o dei signor Fantozzi,
ma spiriti geniali e intelligenze superiori.
La vigilanza attuata dai vescovi e da Roma sulla cristianità rimasta cattolica dopo il distacco
dalla Chiesa cattolica di molti popoli del centro e nord Europa, fu molto sollerte, coscienziosa,
coraggiosa e severa, anche se naturalmente con metodi di controllo e repressivi che oggi
giustamente non accetteremmo mai.
Questa vigilanza stabilì una specie di cordone sanitario verso i paesi protestanti per impedire
che l'infezione dell'eresia si propagasse anche ai popoli latini. La cosa strana è che in questa
circostanza assai dolorosa si riprodussero in qualche modo i confini dell'antico Impero Romano,
come se l'area che era stata civilizzata da Roma, mantenesse, dopo tanti secoli, una particolare
disponibilità ad accogliere la Chiesa cattolica appunto "Romana". Viene in mente la famosa
profezia di Virgilio: "Tu regere imperio populos, Romane, memento". Ciò naturalmente sia detto
senz'alcun'ombra di disprezzo per le culture germaniche, slave o anglosassoni o della Scandinavia.
Ma la tendenza, oggi esistente anche tra cattolici, a disprezzare l'antica cultura e sapienza romane,
non può portare nulla di buono, né per i cattolici, né per i fratelli separati.
La riforma tridentina, nella preoccupazione di salvare l'ortodossia, premette molto, come è
risaputo, a favore di un forte conformismo e monolitismo nel campo del pensiero e della teologia.
S.Tommaso fu rimesso in onore, e ciò fu certamente un bene; però, di "pluralismo teologico" o
"dialogo con le culture" o con le religioni, come li intendiamo oggi, neanche a parlarne. In certo
senso fu in ciò più aperto il medioevo in fatto di dialogo con l'Islam e con l'Ebraismo. Certo, nei
secoli del dopo-Trento nei paesi restati cattolici non mancarono scambi culturali con culture diverse
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
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antiche e moderne; ma erano sempre guardati con sospetto dall'autorità ecclesiastica e chi li
praticava non poteva dirsi in piena comunione con la Chiesa.
Ciò creava un senso di disagio negli spiriti più aperti e curiosi, ed anche desiderosi di
maggiori scambi con le culture non cattoliche, o per arricchire quella cattolica o perché insofferenti
della disciplina imposta dall'ortodossia. Uno spirito appartenente di più a questa seconda specie fu il
famoso Giordano Bruno35, che pure aveva iniziato la sua attività teologica nell'Ordine Domenicano,
il quale però allora imponeva un rigido tomismo, che non dava spazio a nessuna alternativa; e così
pure era per l'aristotelismo: il giovane Giordano, da studente di filosofia, dovette (forse più che
"volle") scrivere una tesina nella quale si doveva dimostrare che tutto quello che ha detto Aristotele
è vero.
Nello stesso tempo l'Ordine Domenicano, per tradizione aperto al dialogo con le culture,
disponeva, sotto questo punto di vista, di ottime biblioteche: e fu in una di queste che il giovane
Giordano, intelligenza recettiva ed acuta e fantasia fervidissima, accompagnate da arroganza e
desiderio di emergere, vi fece, in modo indisciplinato e forsennato il suo apprendistato di teologo,
contattando gli autori più disparati, antichi e moderni, ortodossi ed eterodossi.
Da questi studi uscì fuori una personalità indubbiamente vigorosa ed originale, tale da
spaziare nelle più varie dottrine, ma guasta da una mentalità gnostica, che lo portava a guardare con
sufficienza i dogmi cattolici come rappresentazioni ingenue e grossolane, incapaci di elevarsi a
quella suprema speculazione teologica, alla quale Giordano era assolutamente certo di essersi
elevato.
In Italia non ebbe successo, ma l'incontrò nei paesi protestanti, in Francia, in Inghilterra e in
Germania, benché il suo spirito saccente e litigioso gli alternasse i successi agli insuccessi. Dice del
Bruno il Gentile: "Bruno provò che la vita dell'intuizione antica del mondo che ha fuori di sé Dio,
cioè la verità, e però la scienza, è la morte della nuova filosofia, che rende possibile la scienza,
come la virtù, come l'arte, facendo realmente scendere Dio in terra e nell'animo nostro, come verità,
bellezza e bontà, e insomma vera umanità, in generale, per tutto ciò che di divino appunto essa
viene realizzando nel mondo. Questa filosofia, che con Bruno divinizza la natura e dopo Bruno
divinizzerà l'uomo in ciò che l'una e l'altro hanno di infinito e di eterno, questa filosofia, oggi lo
sappiamo, non può vivere se non per la morte di quella vecchia istituzione"36.
E Guzzo: "L'indiamento, la théiosis che all'uomo viene dal volger l'animo e la mente al
divino oggetto, non significa affatto, come alcuni interpreti hanno creduto di poter intendere, che
per Bruno l'uomo s'identifichi con la divinità: l'uomo diventa un dio, non diventa Dio: e Bruno
distingue molto bene quella forma di vita superiore all'umana consueta, ma sempre finita, che egli
chiama "vita de dèi", da Dio primo e uno, che l'intelletto umano, secondo Bruno, può ben affisare e
ricettare e comprendere nel suo concetto 'quanto può', ma senza mai poter mutare questo concetto
mentale in una unificazione sostanziale: 'L'intelletto, in qualunque stato che si trova, - dice Bruno -
riceve sustanzialmente la divinità, onde sieno sustanzialmente tanti dèi quante sono intelligenze; ma
in similitudine, per cui non formalmente son dèi, ma denominativamente divini, rimanendo la
divinità e divina bellezza una ed exaltata sopra le cose tutte'" ("Enciclopedia Cattolica ", alla voce
"Bruno").
Così disse Bruno agli inquisitori veneti: "In questo universo metto una provvidenza
universale, in virtù della quale ogni cosa vive, vegeta e si muove, e sta nella sua perfezione; e la
intendo in due maniere: l'una, nel modo con cui presente è l'anima nel corpo, tutta in tutto, e tutta in
qualsivoglia parte; e questo chiamo 'natura', ombra e vestigio della divinità; l'altra, nel modo
ineffabile col quale Iddio per essenzia, presenzia e potenzia è in tutto e sopra tutto, non come parte,
non come anima, ma in modo inesplicabile" (da: Spampanato, "Vita di Giordano Bruno", pp. 709-
710).
35 Su Bruno cf: M.Ciliberto, "Giorano Bruno", Editori Laterza 1992; F.A.Yates, "Giorano Bruno e la tradizione
ermetica", Editori Laterza 1992; F.A.Yates, "Giordano Bruno e la cultura europea del Rinascimento", con introduzione
di E.Garin, Editori Laterza, 1995.
36 "Giordano Bruno", Ed.Le Lettere, Firenze 1991, p.139.
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
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Dalle seguenti parole di Bruno, infine, emerge chiaro il suo gnosticismo, che rifiuta la
mediazione ecclesiale, perché convinto di raggiungere nel suo intimo una scienza teologica
superiore: "come la mente aspira in alto?" - si chiede; e risponde: "Verbi grazia, con guardar sempre
alle stelle? al cielo empireo? sopra il cristallino? Non certo, ma procedendo al profondo della
mente, per cui non fia mistiero massime aprir gli occhi al cielo, alzar alto le mani, menar passi al
tempio, intronar l'orecchie de'simulacri, onde più si venga exaudito; ma venir al più intimo di sé,
considerando che Dio è vicino, con sé e dentro di sé più ch'egli medesimo esser non si possa; come
quello che è anima delle anime, vita delle vite, essenza delle essenze"37 .
Un
altro
grande
pensatore
formatosi
nell'Ordine
domenicano,
sempre
nell'Italia
meridionale, ma restato nell'Ordine fino alla morte, al contrario di Bruno che lo abbandonò, è il
famoso Tommaso Campanella, anch'egli spirito geniale ed irrequieto, ma sostanzialmente rimasto
fedele al dogma cattolico, benchè anch'egli indulga a un certo panpsichismo diffuso al suo tempo, e
che facilmente poteva portare a concezioni e pratiche magiche o alchemiche. Campanella fu
perseguito dall'Inquisizione; ma più per motivi politici che dottrinali, e se durante la vita si mostrò
piuttosto insofferente della disciplina dell'Ordine, alla fine morì in piena pace con esso38.
Problemi gravi di eresia, nei secc. XVII-XVIII, non ci sono, se si esclude l'influsso
protestante che si fa sentire attraverso una cattiva interpretazione di S.Agostino, come nei casi di
Baio, Giansenio e Quesnel.
Problema complesso, anch'esso collegabile con la tematica protestante, fu la famosa
controversia "De auxiliis"39, fervente soprattutto tra la fine del '500 e gli inizi del '600. Sebbene tra i
contendenti, come si sa, Gesuiti e Domenicani, vi siano state reciproche accuse di eresia, il Sommo
Pontefice proibì che si ricorresse a note così severe, benché l'atteggiamento complessivo della
S.Sede abbia lasciato intendere la preferenza per la tesi tomista-bañeziana rispetto a quella
molinista, che tuttavia non fu condannata. Probabilmente, in questo difficile problema del rapporto
fra grazia e libero arbitrio, si tratta di due linguaggi diversi: quello tomista, più formale-speculativo,
quello dei Gesuiti, più antropomorfico o, come si direbbe oggi, "antropologico".
Il caso di Cartesio non interessa direttamente la questione dell'eresia, sia perché egli si
occupò soprattutto di filosofia e non di teologia, e sia perché di fatto non fu mai condannato come
eretico, benchè nel 1663 le sue opere siano state messe all'Indice. Tuttavia la filosofia cartesiana, al
di là delle intenzioni dell'Autore, cattolico professo, apparve subito agli spiriti perspicaci, e poi
sempre meglio in seguito per le conseguenze che se ne potevano derivare, incompatibile col
realismo gnoseologico e metafisico che fa da presupposto alla rivelazione ed alla fede cristiane.
Il suo fondare il sapere e la certezza non sull'ente extramentale raggiunto mediante
l'esperienza sensibile, ma su di una supposta autocoscienza
immediata ed originaria,
indipendentemente dall'esperienza della realtà esterna, assimilava - come notò acutamente il
Maritain40 - il conoscere umano al conoscere angelico. Ma c'era di più: il suo principio per il quale
l'io deduce l'essere dal suo pensare, poteva condurre a confondere, come di fatto avvenne a partire
da Fichte, il sapere umano col sapere divino. L'impostazione soggettivistica che Cartesio dette al
sapere piacque peraltro ai protestanti, mentre ci volle proprio la stoltezza del modernismo per
ingannare, tre secoli dopo, anche parte del mondo cattolico.
La filosofia di Cartesio, in quanto sostituisce l'idealismo al realismo, provoca l'eresia nel
campo delle verità di fede, in quanto falsifica l'atto stesso della fede, il quale non si presenta più
come un atto intellettuale che presuppone la conoscenza empirica delle creature sensibili, ma
diventa un atto di "coscienza", un'"intuizione" o un'"esperienza" del divino, che non appartiene più
37 Da "Gli eroici furori", Opere Italiane, Ed.Gentile, II, p.442.
38 Su Campanella: G.Di Nola, "T.C: il nuovo Prometeo da Poeta-Vate-Profeta a Restauratore della politica e del
diritto", Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1993; A.Isoldi Jacobelli, "T.C. `il diveso filosofar mio", con prefazione
di E.Garin, Editori Laterza, Bari 1995; G.Formichetti, "T.C. Eretico e mago alla corte dei Papi", Ed.Piemme, 1999.
39 Per quanto riguarda l'opposizione fra la concezione tomista e quellaluterana, cf T.M.Tyn, "De gratia divina et
iustificatione", tesi di licenza presso lo Studio Teologico Accademico Bolognese, Bologna 1976.
40 Soprattutto nel suo prezioso studio "Le songe de Descartes. Suivi de quelques essais", Ed.Buchet Chastel, Paris 1932.
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
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all'uomo nella sua verità umana, ma che pretende saltare la mediazione sensibile come avviene
nell'angelo o in Dio stesso. Inoltre i contenuti soprannaturali della fede tendono a perdere la loro
trascendenza e a diventare niente più che un oggetto interiore che emerge dall'intimo e dalla
creatività della coscienza. La trascendenza dell'essere sul pensiero scompare; il mistero viene
assorbito nel concetto razionale, e avremo Hegel. Ciò inoltre finirà col condurre al "sentimento di
dipendenza" di Schleiermacher, al preconscio dei modernisti e al Vorgriff di Rahner.
Altra questione delicata del Seicento fu quella di Molinos, autore del famoso "quietismo",
una concezione della mistica che ignora l'importanza dell'ascetica, come se si potesse giungere alla
mistica tutto d'un colpo, senza alcuno sforzo morale: pensarla così, ci dice la Chiesa, è una grave
illusione.
Infine, altro caso famoso, fu quello di Galileo41, sul quale però esistono buone e numerose
informazioni, per cui non è il caso di trattarne qui. Quello che qui possiamo ricordare è che la teoria
eliocentrica fu bensì giudicata "eretica" dal S.Offizio, perché "contraria alla Sacra Scrittura", ma il
Papa non impegnò in questo giudizio la sua autorità. Né del resto la questione era materia di fede;
per cui la censura di "eresia" era del tutto fuori luogo. Certo è eretico pensare che la Bibbia sbagli:
ma allora non si faceva quella distinzione che ho illustrato in precedenza tra l'agiografo come
ispirato da Dio e l'agiografo come uomo fallibile.
Si trattò evidentemente di un gravissimo errore, data soprattutto la dignità del dicastero
romano che ne era responsabile, errore, che anche Papa Giovanni Paolo II ha recentemente
riconosciuto, perché, anche se è vero che l'eliocentrismo contrasta col famoso racconto biblico, è
anche vero che l'eliocentrismo non ha niente a che vedere con le verità di fede, circa le quali può
esistere l'eresia.
L'errore del S.Offizio fu provocato dall'incapacità di distinguere, nella Bibbia, come ho
detto, ciò che è veramente Parola di Dio dalle fallibili convinzioni dell'agiografo, ed inoltre, come ci
dicono gli esegeti di oggi, dall'aver preso alla lettera un testo che si poteva intendere senza bisogno
di mettere in gioco un miracolo, ma intendendo il "sole che si ferma" semplicemente come il
prolungarsi della battaglia nel tempo.
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