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La Donna e il Drago (da Apoc 12)

Ultimo Aggiornamento: 15/04/2011 22:23
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15/04/2011 22:19
 
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Le opere dell'Areopagita, come si sa, erano state messe in giro e raccomandate da S.Alberto
Magno; e fu così che i due domenicani Tommaso ed Eckhart, confratelli di Alberto nel medesimo
Ordine, prestarono ad esse una speciale attenzione e le ebbero in grande stima. Tuttavia, mentre il
commento tomista all'Areopagita, improntato a un totale rispetto per l'ortodossia, come è nel
costume dell'Aquinate, avrebbe dato il via ad una secolare tradizione di letteratura mistica
genuinamente cattolica, influenzando altre correnti di spiritualità cattolica, come i Carmelitani, i
Francescani, i Benedettini e i Gesuiti, le opere dell'Areopagita in Germania, sotto l'impulso
dell'Eckhart e - verrebbe fatto di pensare - per una propensione naturale dell'anima tedesca, furono
soprattutto intese e comprese in consonanza col modo tipicamente tedesco (vedi per esempio la già
citata "Teologia tedesca") di concepire la mistica in senso fortemente interiorista e immanentista
(senza per questo escludere la trascendenza).
L'interpretazione eckhartiana dell'Areopagita, pertanto, si pose più sulla linea dell'Eriugena
che non su quella di Tommaso. E col passare dei secoli il dionisismo eckhartiano, spinto ali'eccesso,
e non più sotto il controllo dell'equilibrata visione cattolica, sia pur sotto l'influsso di altri fattori,
agli eccessi dell'idealismo trascendentale tedesco.
Il caso di Eckhart22 è da ritenersi con ogni probabilità più un caso di eresia "materiale" che
"formale", per quanto ciò possa essere sorprendente, riflettendo sul fatto che il grande mistico
tedesco era tutt'altro che culturalmente sprovveduto: dottore in teologia ("Meister"), conosceva
molto bene, anche come domenicano, il pensiero tomista, ed aveva insegnato all'università di
Parigi; e quando in vita fu sottoposto a un processo canonico, perché giustificasse certe sue
affermazioni, egli seppe anche spiegarsi con efficacia rifacendosi a Tommaso; ma i giudici non
furono totalmente soddisfatti e, come si sa, alcune sue proposizioni furono bensì condannate, ma
senza una precisa censura teologica; ed inoltre il documento pontificio di condanna contiene, al
termine, questa significativa dichiarazione: "Porro volumus notum esse, quod, prout constat per
publicum instrumentum inde confectum" (purtroppo perduto), "praefatus Ekardus in fine vitae suae
fidem catholicam profitens, praedictos viginti sex articulos" (della condanna), "quos se praedicasse
confessus extitit, necnon quaecumque alia per eum scripta et docta,... quae possent generare in
mentibus fidelium sensum haereticum vel erroneum ac verae fidei inimicum, quantum ad illum
sensum revocavit ac etiam reprobavit,... determinationi Apostolicae Sedis et Nostrae tam se quam
scripta sua et dicta omnia submittendo" (D980).
La S.Sede con questa dichiarazione riconobbe la buona intenzione dell'Autore e quindi
lascia intendere che le proposizioni di Eckhart siano state condannate soltanto nel loro senso ovvio
ed oggettivo, "ut littera sonat", ma che con questa condanna il Papa non ha inteso colpire
l'intenzione dell'Autore, come sarebbe invece avvenuto tre secoli dopo con la condanna delle
proposizioni gianseniste.
Questa discrepanza in Eckhart tra il senso oggettivo delle proposizioni e le intenzioni
autentiche dell'Autore può essere spiegata con due ragioni: 1) l'enfasi caratteristica del linguaggio
mistico, ben diverso dalla precisione e proprietà espressiva del linguaggio dogmatico-scolastico. Il
mistico, anche quello autentico, emotivamente pressato dalla straordinaria intensità dell'esperienza
mistica, per rendere in qualche modo agli altri il senso di tale esperienza, difficilmente esprimibile
in parole, è portato ad usare espressioni iperboliche e paradossali, che del resto si trovano nella
stessa Bibbia, le quali, prese alla lettera e interpretate alla luce della semantica ortodossa ordinaria,
possono avere il sapore dell'eresia o suonare come vere e proprie eresie.
22 Su Eckhart, cf G.Faggin, "Meister Eckhart e la mistica tedesca preprotestante", Ed.Bocca Milano 1946; Maestro
Eckhart, "Trattati e prediche", a cura di G.Faggin, Ed.Rusconi, Milano 1982; Kurt Ruh, "Meister Eckhart. Teologo ­
Predicatore ­ Mistico", Ed.Morcelliana, Breascia 1989; Meister Eckhart, "La via del distacco", a cura di M.Vannini,
Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1995; A.M.Haas, "Introduzione a Meister Eckhart", Cardini Editore 1997; A.De
Libera, "Meister Eckhart e la mistica renana", Jaca Book, Milano 1998; "Maestro Eckhart", invito alla lettura di
G.Barzaghi, Ed.San Paolo 2002; S.Eck, "Jetez-vous en Dieu". Initiation à Maître Eckhart, Les Editions du Cerf, Paris
2003.
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
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In base a ciò si può dire che le proposizioni sono state condannate dal punto di vista del
normale linguaggio ortodosso ufficialmente in uso nella Chiesa e nella teologia scolastica. Del resto
l'autorità ecclesiastica, nel giudicare le dottrine, non potrebbe fare altrimenti, perché il Magistero,
dovendo svolgere il compito di un insegnamento universale, non può non servirsi di un linguaggio
universale fissato dall'uso, mentre i mistici, per la caratteristica peculiare della loro esperienza
straordinaria, sono comprensibilmente portati a inventare un loro linguaggio personale, che può
prestarsi a fraintendimenti.
Sta pertanto al mistico essere prudente ne formulare e nello spiegare il senso delle proprie
espressioni, come avrebbe fatto con molta avvedutezza due secoli dopo un altro mistico tedesco,
Angelus Silesius, nel suo "Pellegrino cherubico", dove, nella prefazione, mette in guardia il lettore
all'interpretare con metro scolastico espressioni che invece vanno interpretate secondo il lessico
della mistica23.
Sempre a proposito dell'Eckhart, alcuni studiosi hanno fatto notare che egli si espresse in
modo censurabile soprattutto nei suoi scritti in tedesco, i quali peraltro costituiscono una delle
primissime documentazioni del linguaggio mistico tedesco. L'Eckhart fu obbligato ad esprimersi in
volgare dovendo parlare a consorelle monache, le quali non sapevano il latino, per cui è possibile
che 1'Eckhart, alle prime armi con un'impresa assai difficile e mai prima tentata, non sempre sia
riuscito a trovare le espressioni migliori, atte a fugare i malintesi.
Vediamo comunque alcune tesi del Maestro germanico, lasciando al lettore stesso, in linea
di massima, il compito di valutarle.
In
Eckhart
ritroviamo
l'espressione
dionisiaca,
interpretata
in
senso
panteistico
dall'Eriugena,
1) "Deus est esse omnium" (cit. da G.Faggin, "Meister Eckhart e la mistica tedesca
preprotestante", Ed. Bocca, Milano 1946, p.161) (univocità dell'essere in Dio e nelle creature);
2) "Esse est indistinctum ab omni quod est, et nichil est nec esse potest distinctum et separatum ab
esse" (Op.cit., p.l62): identifica l'essere con l'essere determinato, pertanto l'"ens" è identificato
all'"esse". Ora, posto che Dio, come dice Tommaso, è l'"ipsum Esse", mentre l'"ens" è ciò che
ha l'essere (non è l'essere), ne viene che l'ente (il creato) è identico a Dio.
3) "Deus est esse indistinctum et commune omnibus" (p. l63). (Confonde l'ente universale con
l'ente divino).
4) "Multa, ut multa non sunt" (p. l63): principio parmenideo: esiste solo l'Uno (Dio); il molteplice
(il mondo) è mera apparenza o non esiste; oppure si potrebbe dire che tutto è Uno (Dio).
5) "Dio non crea nulla di nuovo, essendo ogni cosa già compiuta da lui" (cit. da Meister Eckhart,
"Trattati e prediche", a cura di G.Faggin, Ed. Rusconi, Milano 1982, p.l77). (Confonde la
creatura in Dio e la creatura fuori di Dio).
6) "Creator, ut creator est, nihil habet proprium, nisi creatura" (Faggin, Meister Eckhart,
Op.cit.,Ed. Bocca, p. 168). (Considera la creatura come proprietà della natura divina o come
attributo divino).
7) Imago" (l'uomo) "cum illo cuius est" (Dio) "non ponit in numero, nec sunt duo substantiae;...
imago proprie est emanatio simplex, formalis, transfusiva totius essentiae purae nudae;... ac si
imagineris res ex seipsa intumescere et bullire" (Faggin, Op.cit., Ed. Bocca, p. 197). (L'uomo
non è una sostanza distinta dalla sostanza divina, ma è emanazione della sostanza divina, una
con essa).
8) "C'è nell'anima qualcosa così affine a Dio, che è uno e non unito. È uno e non ha nulla in
comune con nulla e non ha più nulla in comune con tutto il creato. Tutto ciò che è creato è nulla.
Ora, ciò" (quel "qualcosa" che c'è nell'anima) "è lontano da ogni cosa creata ed estraneo ad essa.
Se l'uomo fosse tutto così, sarebbe totalmente increato e increabile" (cit. da "Maestro Eckhart",
a cura di G.Barzaghi, Ed. San Paolo, Torino 2002, pp. 48-49) (Nell'anima c'è qualcosa di
identico a Dio).
23 un'edizione di questo classico della mistica cristiana è stata di recente curata dalle Edizioni Paoline: "Il pellegrino
cherubino", a cura di G.Fozzer e M.Vannini, 1989.
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9) "Nel primo contatto in cui Dio ha toccato l'anima e la tocca come increata e increabile, l'anima
è, per quel contatto con Dio, nobile quanto Dio stesso" (Faggin, "Trattati e prediche" Ed.
Rusconi, pp. 237-238). (l'anima è increata e nobile quanto Dio stesso).
10) "Che cosa è la vita? L'essere di Dio è la mia vita. Se la mia vita è l'essere di Dio, è necessario
che l'essere di Dio sia il mio essere e l'essenza di Dio la mia essenza, né più né meno" (Faggin,
Op.cit., Ed. Rusconi, p.217). (Identità dell'essenza umana con quella divina)
11) "Dio ti ha fatto assolutamente simile a lui ed immagine di se stesso. Ma 'simile a lui' indica
qualcosa di estraneo e lontano, mentre tra Dio e l'uomo non v'è estraneità e lontananza. Perciò
l'uomo non è simile a Dio, ma assolutamente identico e lo stesso che egli è, assolutamente" (cit.
da Barzaghi, p.36). Enpure, che cosa aveva detto il concilio Lateranense IV? "Inter creatorem et
creaturam non potest similitudo notari, quin inter eos maior sit dissimilitudo notanda" (D806). E
invece purtroppo Eckhart insiste moltissimo su questa unità panteistica dell'uomo con Dio.
12) Qualche altra frase: "Non si deve prendere e considerare Dio come fuori di sé.... Molte persone
semplici pensano di dover concepire Dio come se egli fosse lassù ed esse qui" (ma non diciamo
"Padre nostro che sei nei cieli"?). "Non è così. Dio e io siamo uno. Con la conoscenza accolgo
Dio in me, con l'amore penetro in Dio" (Faggin, Op.cit., Ed. Rusconi, p. 220). (Dio non è
trascendente, fuori di me, ma io e Lui siamo uno).
13) "Si essem unum, tunc non essem similis. Nichil est extraneum in unitate. Unitas dat michi unum
esse, non similem esse. Homo non debet esse similis Deo, sed unum cum Dee.... Unum autem...
non producit simile, sed unum et idem se ipsum. Simile enim aliquam alietatem et diversitatem
includit numeralem; in uno autem null prorsus cadit diversitas" (Faggin, Op.cit., Ed. Bocca,
p.192). (L'uomo non è simile, uno e identico con Dio, senz'alcuna diversità).
14) In questa visione panteistica il sapere umano viene ad identificarsi col sapere divìno: sembra già
quasi di avere un precorrimento della "Scienza assoluta" di Hegel: "Oculus in quo video Deum
est ille idem oculus in quo me videt Deus. Oculus meus et oculus Dei est unus oculus et una
visio et unum cognoscere et unum amare" (Faggin, Op.cit., Ed. Bocca, p. 182).
Eckhart, con queste affermazioni, dimentica non solo il limite naturale della creatura, ma
anche che a questo limite se ne aggiunge un altro, dato dal fatto che mentre la creatura è peccatrice,
Dio è bontà infinita. La sensazione di essere "una sola cosa con Dio" può provarsi in momenti
mistici di eccezionale intensità, e sempre con le opportune riserve; ma non può costituire uno stato
abituale dell'esistenza terrena, come sembra in Eckhart; inoltre è un modo enfatico per esprimere
l'unione d'amore, ma non va presa, come sembra fare Eckhart, in senso ontologico.
Questo panteismo metafisico ha naturalmente le sue conseguenze nella concezione
eckhartiana dell'unione con Cristo, per la quale il cristiano in grazia non è più soltanto "ad
immagine di Cristo", ma diventa Cristo sic et simpliciter: "Deve essere del tutto espulso quel che è
somiglianza, perché io possa essere trasportato in Dio e divenire una sola cosa con lui, ed una
sostanza, un essere e una natura, e così il Figlio di Dio. E dopo che è avvenuto ouesto, non vi è più
niente di nascosto in Dio che non divenga manifesto o che non sia mio" (Cit. da Barzaghi, p. 54).
Sembra di leggere Hegel. Secondo Eckhart, Cristo stesso ci comanda di diventare Lui: "Il
Figlio dice: diventa Figlio come sono Figlio io, nato da Dio, lo stesso Uno che io sono, io che
sussisto e dimoro nel seno del Padre.... Nessuno va verso il Figlio se non diventa Figlio egli stesso"
(Faggin, Op.cit. Ed. Rusconi, p. 143).
Per la verità, queste parole di Cristo nel Vangelo non le troviamo da nessuna parte. Cristo ci
invita a vivere con lui, di lui, per lui, in lui, da lui, ma non ad essere lui, che non ha nessun senso o
sarebbe una folle superbia. Eppure Eckhart va avanti molto su questo tono, e credo che queste siano
le sue affermazioni più gravi, che appaiono formalmente tra quelle condannate dal Papa. Qualche
altro esempio: "Egli" (=il Padre) "mi genera non soltanto come suo figlio, ma genera me come sé e
sé come me, e me come suo essere e sua natura.... Tutto ciò che Dio opera è uno; perciò egli mi
genera come suo Figlio senza alcuna distinzione.... Io sono lo stesso Figlio e non un altro" (Faggin,
Op.cit., Ed. Rusconi, p. 219). Dall'Uno non può che venire l'Uno: visione tipicamente plotiniano-
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
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parmenidea: se dunque ciò che viene da Dio è uno e Cristo viene da Dio, allora io sono uno con
Cristo.
Infine, alcune proposizioni della Bolla di condanna:
1) "Nos transformamur totaliter in Deum et convertimur in eum; simili modo, sicut in sacramento
panis convertitur in corpus Christi, sic et ego convertor, quod ipse operatur me suum esse
unum,non simile; per viventem Deum, verum est, quod ibi nulla est distinctio" (Denz 960).
2) Proposizione n.11: "Quidquid Pater dedit Filio suo unigenito in humana natura, hoc totum dedit
mihi. Hic nihil excipio, nec unionem nec sanctitatem, sed totum dedit mihi sicut sibi" (Denz
96l).
3) Prop. n.12: "Quidquid dicit Sacra Scrittura de Christo, hoc etiam totum verificatur de omni bono
et divino homine" (Denz 962);
4) n.13: "Ouidquid est proprium divinae naturae, hoc totum proprium est homini iusto et divino;
propter hoc iste homo operatur quidquid Deus operatur" (Denz 963);
5) nn.20-21: "Bonus homo est unigenitus Filius Dei, quem Pater aeternaliter genuit" (Denz 970-
971);
6) n.22: "Pater generat me suum filium et eundem filium. Quidquid Deus operatur, hoc est unum;
propter hoc generat ipse me suum filium sine omni distinctione" (Denz 972). Stesso concetto di
prima: Dio opera una sola cosa ("quidquid Deus operatur, hoc est unum"): ma Dio genera il
Figlio; e dunque io sono il Figlio.
Forse Eckhart vuole esprimere con enfasi l'intima unione soprannaturale d'amore fra l'uono
e Dio e la grandezza della vita di grazia e della figliolanza divina assicurata dal battesimo; oppure si
potrebbe pensare ad un cattivo uso della comunicazione degli idiomi, con l'estensione ad ogni
uomo di ciò che eventualmente si può dire solo dell'umanità di Cristo; ma simili espressioni
iperboliche e letteralmente assurde, in pasto a una mente esaltata e megalomane, possono
evidentemente diventare esplosive e catastrofiche. Il pericolo è troppo grande. Per questo la Chiesa
è intervenuta, anche, potremmo dire, per regolare il linguaggio mistico (a prescindere dalle
intenzioni dell'Autore). Anche il linguaggio mistico deve avere le sue regole, altrimenti nascono
gravissimi fraintendimenti, indipendentemente dalle buone intenzioni di chi lo usa.
Questa decadenza del cristianesimo prosegue nel sec.XV con l'emergere, come è noto, di un
"Umanesimo" di per sé ancora cristiano, ma interiormente minato dal tarlo della gnosi, che sempre
di nuovo riappare dopo una momentanea sconfitta, a rappresentare una perenne tentazione
dell'uomo di ribellarsi a Dio e, sotto l'istigazione del demonio, a voler "esser come Dio". Ciò non
toglie, certo, che ogni periodo della storia arricchisca il cristianesimo, per altri versi, di elementi
nuovi, che sorgono dall'impegno dei buoni cristiani e della Chiesa intera.
Per quanto riguarda il nostro tema specifico, è evidente, per chi considera spassionatamente
la storia del pensiero cristiano, come al periodico ritorno dell'eresia (vecchia o nuova), corrisponde
poi sempre, come già abbiamo detto, una salutare reazione di difesa da parte delle forze sane, per la
quale la risposta all'eresia è sempre un aumento di certezza in quella medesima verità che l'eresia
cerca di distruggere, ed anzi spesso, da questi confronti a volte pacifici, ma più spesso conflittuali e
dolorosi, nascono anche nuove verità.
Negli autori che passiamo in esame di proposito cerchiamo di metter in luce eventuali
aspetti ereticali o vicini all'eresia, ma resta sempre sottinteso il fatto - e questo sia detto una volta
per tutte - che noi sottintendiamo sempre gli aspetti positivi di ogni autore, anche del più
compromesso con l'eresia, benché per la natura stessa di questo libro, dobbiamo di necessità
prescinderne.
Ancora nel Quattrocento si fa sentire la cristologia eutichiana, denunciata dal concilio di
Firenze nel 1442 nei seguenti termini; "Sacrosancta Romana Ecclesia... anathematizat, exsecratur et
damnat Eutychen archimandritam:... sicut deitatis et humanitatis in Christo unam posuit esse
personam, ita unam asseruit esse naturam, volens ante unionem dualitatem fuisse naturarum, se in
unam naturam in assumptione transiisse, maxima blasphemia et impietate concedens aut
humanitatem in deitatem, aut deitatem in humanitatem esse conversam" (D1345).
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La cristologia eckhartiana continua, nel sec. XV, l'antico monofisismo docetista sorto dalla
scuola di Alessandria, mentre l'Umanesimo e il Rinascimento riprendono la cristologia antiochena
di tendenza antropocentrica, che dette i suoi frutti nell'antichità nella concezione degli ebioniti, di
Nestorio e di Pelagio: l'esaltazione di Dio a spese dell'uomo e l'esaltazione dell'uomo alle spese di
Dio: Eutiche, che peraltro si suole mettere dalla parte dei monofisiti, mescola i due suddetti errori:
l'uomo che si fa Dio ("eritis sicut dèi") e Dio profanato dall'uomo (idolatria).
Tracce di panteismo si trovano anche nel Cusano24, uomo per altri versi di grandi meriti sia
in campo teologico-mistico che nello svolgimento di difficili incarichi ecclesiastici, come cardinale
e uomo di fiducia del Papa. Probabilmente ruesti suoi grandi meriti e l'esempio di alte virtù hanno
fatto sì che Roma chiudesse un occhio nei confronti di questa tendenza panteistica, la quale tuttavia
non si può ignorare e dalla quale occorre guardarsi. Il fatto che non sia stata censurata (per quanto
mi risulta) non significa che non sia censurabile, senza per questo recar alcun pregiudizio agli altri
aspetti del pensiero del Cusano.
Anche Cusano è sedotto dall'idea di Dio come "essere di tutte le cose", come una specie di
"universale",del quale le cose non sarebbero che determinazioni o, per usare il suo linguaggio,
"esplicazioni": "La massimità e unità divina - dice il Cusano - è in modo assoluto l'essere di tutte le
cose che sono, in tutte principio assoluto, fine delle cose e loro entità" ("De docta ignorantia", l.II,
c. 4).
Il Cusano concepisce il rapporto di Dio col mondo non sul modello ortodosso della causalità
efficiente, la quale suppone la distinzione numerica e reale tra causa ed effetto, ma sul modello
dell'esplicazione dell'implicito, che è evidentemente un processo che riguarda due atti o stati di un
medesimo soggetto: dal che rimane compromessa la distinzione fra Dio e il mondo: Dio è il mondo
contratto; il mondo è Dio esplicato: l'universo, "sebbene sia massimamente uno, la sua unità è
tuttavia esplicatata nella pluralità, come l'infinità" (Dio) "è contratta nella finitezza e nella
composizione" (ibid.).
Poco prima Cusano dice che 1'"unità assoluta" (Dio) "si scioglie nella pluralìtà" (il mondo):
dunque l'Uno non produce, non crea i molti, ma "si scioglie", si contrae nel finito e si esplica e si
moltiplica nei molti. Volendo prendere un paragone dalla biologia (che allora non era possibile
fare), Dio è concepito come la prima cellula di un vivente, che produce il mondo mediante il
processo dell'automoltiplicazione cellulare.
"Dio - è sempre il Cusano che parla ­ è nelle cose il loro stesso essere in modo contratto.
L'essenza assoluta del sole non è altro da quella della luna: è Dio stesso, entità ed essenza di tutte le
cose.... Dio è l'essere del sole e della luna senza pluralità e senza diversità" (ibid.). "L'intero
universo venne all'essere per semplice emanazione del massimo contratto dal massimo assoluto"
(ibid.): Dio è il massimo assoluto: contraendosi fino ai minimi termini, nasce il mondo, diventa
mondo. Quindi il mondo non viene dal nulla: è Dio "contratto", reso "minimo", come un palloncino
che si sgonfia.
"Dio è causa efficiente, formale e finale di tutte le cose.... Dio soltanto è anima e mente del
mondo" (Op.cit., 1.II, c.9). È tipico dei panteisti mescolare teismo e panteismo, quasi trattenuti
dall'enormità di enunciare un panteismo del tutto puro. Abbiamo già visto questo nell'Eriugena, che
pone Dio allo stesso tempo trascendente e immanente, distinto dal mondo e identico col mondo.
Così Cusano: Dio è al contempo causa efficiente e causa formale; e non s'accorge della
contraddizione, giacché mentre la causa efficiente comporta la distinzione reale dall'effetto, la causa
formale appartiene allo stesso soggetto dell'effetto (ente composto di materia e forma).
"L'identità - egli dice - è la complicazione della diversità.... Una sola è dunque la
complicazione di tutte le cose" (Dio).... Dio è perciò colui che complica tutte le cose, perché in lui
vi sono tutte. Ed è colui che esplica, perché egli è in tutte.... Ne viene come se Dio, che è unità,
fosse moltiplicato nelle cose" (Op.cit., l.III, c.3). Cusano sembra concepire l'essere divino come
24 Su Cusano cf G.Santinello, "Introduzione a Niccolò Cusano", Editori Laterza, Bari 1987; N.Cusano, "La dotta
ignoranza ­ Le congetture", a cura di G.Santinello, Ed.Rusconi, Milano 1988; Niccolò Cusano,"Il Dio nascosto",
Editori Laterza, Bari 1995.
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
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essere analogico: uno e molteplice al contempo, e non s'accorge che si tratta di un concetto, mentre
l'essere divino è purissima realtà assolutamente una e, come tale, assolutamente singolo ed univoco.
La molteplicità riguarda l'universo creato, non Dio.
Precipitato sulla terra, il Drago si avventa contro il Figlio partorito dalla Donna. Il punto
culminante della prova che subisce la Chiesa dopo la vittoria di Tommaso sul manicheismo e sui
catari, è l'avvento di Lutero25, che si presenta come ardente e intransigente restauratore dell'opera di
Cristo redentore, nonchè riformatore di una Chiesa mondanizzata, dove il cristiano si gloria dei
propri meriti, manca la fiducia nella misericordia divina, è trascurato lo studio della Bibbia, i pastori
non predicano la Parola di Dio, ma sono attaccati al proprio potere e al proprio prestigio, ed hanno
introdotto nella vera tradizione cristiana delle tradizioni puramente umane inutili o dannose.
Non staremo ovviamente qui ad analizzare le eresie di Lutero, del resto ben note da molti
secoli, anche se oggi i dialoghi ecumenici hanno favorito una migliore reciproca conoscenza fra
cattolici e protestanti, certi equivoci si sono chiariti e passi sono stati fatti per la mutua
riconciliazione26.
E' diventato comune, anche tra cattolici, chiamare l'opera di Lutero una "riforma" ed egli
stesso il "Riformatore": mi pare concedergli troppo, anche se è vero che alcune sue idee riformatrici
sono state in seguito accolte dalla Chiesa, soprattutto dal Vaticano II. Qui basterà ricordare la
disapprovazione che egli espresse per la pena di morte per gli eretici, subendo a sua volta la
disapprovazione di Papa Leone X. Ma qualche secolo dopo la Chiesa avrebbe accolto questa idea di
Lutero.
Ad ogni modo, considerando la sua opera nel suo complesso, credo convenga - per onestà
di linguaggio - parlare di falsa riforma, con buona pace dei fratelli protestanti. Lutero non ha ri-
formato, cioè non ha recuperato la "forma" (come forse credeva di fare), ma ha deformato, cioè ha
distrutto o menomato la "forma", perché, nella sua volontà in sé lodevole di recuperare il
cristianesimo genuino ed originario, puro da errori e da comportamenti ed usi sbagliati, per andare
alla sua sostanza autentica ed immutabile, ha invece tolto al cristianesimo, al Vangelo e alla Chiesa
organi vitali, come se uno, per lavare una persona che deve fare il bagno, oltre alla sporcizia, gli
strappasse anche la pelle. In realtà, dopo la "riforma" di Lutero, la Chiesa finì - contro le sue stesse
intenzioni iniziali - per indebolirsi ed aggravare i suoi mali, senza che per questo fosse stata lavata
come effettivamente ne aveva bisogno.
L'atteggiamento che Lutero assunse, dopo un esordio di riformatore ardente non privo di
spunti interessanti, di accusare la Chiesa di eresia ovvero di aver falsificato il Vangelo o aggiunto
ad esso dottrine meramente umane o dimenticato verità essenziali, lo dobbiamo giudicare
assolutamente inaccettabile, e rivela in lui una tracotanza gnostica, che non ha niente a che vedere
con un vero riformatore.
Lutero era convinto di lasciarsi regolare e guidare solo dalla Scrittura e dallo Spirito Santo, e
in realtà non si può negare che egli avvertisse con estrema vivezza alcune tematiche soprattutto
neotestamentarie, come il problema della remissione del peccato, della tranquillità della coscienza,
del valore delle opere umane, dell'opera redentrice di Cristo, del possesso della grazia, l'importanza
della fede in lui, la necessità dell'umiltà e di non confidare in se stessi, l'amore per la Parola di Dio
e la pratica dei divini comandamenti, il dovere di annunciare e testimoniare il Vangelo, il dovere
che la Chiesa ha di essere fedele a Cristo, la necessità di patire con Cristo crocifisso, il valore della
libertà cristiana, la speranza nella misericordia divina, il popolo di Dio come popolo sacerdotale.
25 Su Lutero rimane fondamentale il ritratto che ne ha fatto il Maritain nei "Tre riformatori. Lutero Cartesio Rousseau",
Ed.Morcelliana , Brescia 1964. Vedi anche: E.Denifle, "Lutero e il luteranesimo nel loro primo sviluppo" Desclée,
Lefebvre&C. Editori, Roma 1905; C.Boyer, "Luther. Sa doctrine", Presses de l'Université Grégorienne, Roma 1970;
AA.VV. "Agostino e Lutero. Il tormento per l'uomo", Edizioni Augustinus, Palermo 1985; J.Lortz-E.Iserloh, "Storia
della Riforma", Il Mulino, Bologna 1990; R.Coggi, "Ripensando Lutero", ESD, Bologna 2004.
26 Senza dubbio importante al riguardo è la Dichiarazione congiunta tra la Chiesa Cattolica e la Federazione Luterana
Mondiale del 31.IX.1999, pubblicata dal Pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani.
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
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