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La Donna e il Drago (da Apoc 12)

Ultimo Aggiornamento: 15/04/2011 22:23
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15/04/2011 22:15
 
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"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
1
Contro il bambino appena nato
In questa stupenda visione apocalittica ci sono due elementi che giocano un ruolo
fondamentale, e che occorre comprendere per capire tutto il resto: il "cielo" e la "terra", categorie
importantissime di tutta la Scrittura, che compaiono fin dall'inizio del Genesi e ritroviamo
continuamente per tutto il corso della Sacra Scrittura: il "cielo" rappresenta il mondo trascendente
dello spirito, del pensiero e del divino; la terra, il mondo dell'uomo e il mondo materiale.
È allora interessante notare come questa grandiosa vicenda cosmica che inizialmente si
svolge in "cielo", discende poi sulla "terra", e quella terra che appare inizialmente un luogo
umiliante per quegli angeli ribelli che prima stavano in cielo, poi diventa tanto potente, da difendere
la Donna (la Chiesa) contro il Drago (l'aggressione delle eresie.
La Chièsa "partorisce" il dogma cristologico tra numerosi travagli e difficoltà; ed ecco che
appena il "bambino" è nato, ossia il dogma giunge a maturazione con la formula calcedonese, subito
le potenze dell'errore, che abitano in "cielo", ossia che si presentano come alta spiritualità e alta
scienza (lo gnosticismo), sono pronte ad aggredirlo, facendo precipitare sulla "terra", ossia
avvilendo in sofismi carnali, un buon numero di "stelle", ossia di spiriti intelligenti ma superbi. Ed è
da parte di questi spiriti - gli gnostici di ogni tipo e famiglia - che la Chiesa subirà sin dagli inizi, e
fino ai nostri giorni, le prove più insidiose e pericolose: quella falsa "filosofia" e quella falsa
"scienza", dalle cuali Paolo raccomanda di guardarsi.
Le prime importanti eresie della storia della Chiesa sono state, come si sa, eresie
cristologiche e subito dopo trinitarie, in quanto il mistero trinitario costituisce il centro e il vertice
del messaggio cristiano. L'identità di Gesù e la novità del suo insegnamento triadologico
costituivano il punto che suscitava i maggiori problemi nell'ambiente ebraico, perché queste novità
sembravano in contraddizione col tradizionale insegnamento monoteistico veterotestamentario.
Riguardo al problema di come interpretare l'identità della persona di Gesù, sin dall'inizio,
come sappiamo, sorsero sostanzialmente due correnti che sembravano inconciliabili, e che ogni
tanto, benché il concilio di Calcedonia1 le abbia accordate in un meraviglioso equilibrio, si
ripresentano nel corso della storia cristiana, per la effettiva difficoltà o incapacità di comprendere ed
apprezzare la delicata sintesi del dogma calcedonese.
Il rischio è sempre quello di appiattire la figura di Gesù sull'umano dimenticando la sua
divinità, come pure - e questo è l'errore più sottile e fascinoso, tipicamente gnostico - quello di
assorbire o far svanire l'umanità nella divinità in un monismo idealista-panteista-docetista. Così per
questo secondo errore, si potrebbe parlare di una cristologia "parmenidea".
Esiste peraltro una specie di ibrida e confusionria via di mezzo, la tendenza eutichiana, che
appare fin dai primi secoli, ma avrà un exploit formidabile con l'idealismo tedesco e il modernismo,
fino ad essere ancora attuale ai nostri giorni. In essa la natura umana di Cristo si confonde con la
natura divina, per cui il divino è profanato nell'umano (il Dio che "diviene" e "soffre"), e l'umano si
autoincensa nel divino (l'"essere" che si identifica col "pensiero" o la persona risolta
nell'"autocoscienza" o nella "autotrascendenza" o nella "relazione" o nella "libertà" o
l'assoluitzzazione del divenire e della storia).
Così, per usare due categorie moderne, ma che hanno un certo rapporto con la situazione
degli inizi della cristologia, potremmo dire che fin da questi primi secoli sorgono due correnti
cristologiche contrapposte: una, "secolarista", antropocentrica, più legata agli aspetti terreni ed
umani di Cristo, sviluppatasi soprattutto nella scuola di Antiochia, che riprende l'ebionismo degli
inizi, porterà al dualismo cristologico di Teodoro di Mopsuestia e di Nestorio, e verrà ad incontrarsi
con l'umanesimo autosufficiente di Pelagio; e l'altra, più legata alla scuola di Alessandria e alle
tendenze gnostico-spiritualiste neoplatoniche, che potremmo chiamare con categoria moderna
"trascendentalista", per la quale l'umanità di Cristo appare priva di consistenza ontologica: Cristo è
solo un uomo "apparente", "fenomenico", non ha veramente ma solo apparentemente sofferto
1 Sull'argomento, vedi: "Il Concilio di Calcedonia 1550 dopo", a cura di A.Ducay, Libreria Editrice Vaticana 2003.
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
2
("aftartodocetismo"). In Cristo quindi non ci sono "due nature", ma l'unica Sostanza ("mia Fysis")
divina, della quale l'umana è semplice apparizione. Per questo in Cristo viene ad esistere una sola
persona e una sola "natura", quella divina: monismo cristologico o "monofisismo". Ancora un
Cristo parmenideo.
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