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"GLI ANELLI MANCANTI" sono stati TROVATI?

Ultimo Aggiornamento: 09/06/2018 14:39
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04/04/2011 17:16
 
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Alcuni sostengono che l'evoluzione sarebbe provata dal ritrovamento di fossili di forme transizionali di esseri viventi (comunemente detti ANELLI MANCANTI).

Citano anche i nomi che sono stati assegnati a queste forme transizionali come ad esempio:

_Gerobatrachus hottoni_ (tra rana e salamandra)
_Tiktaalik roseae_ (tra pesci e tetrapodi)
_Ambulocetus natans_ (tra mammiferi terrestri e cetacei)
_Pikaia gracilens_ (tra invertebrati e vertebrati)
_Archaeopteryx litographica_ (tra dinosauri non-aviani e dinosauri aviani/uccelli)
_Darwinopterus modularis_ (tra ranforincoidi e pterodattiloidi)
_Darwinius masillae_ (tra lemuri e scimmie)

Però ad un esame attento di ciascuno di questi fossili risultano diverse incognite che possono farci concludere che non si tratti di certezze ma solo di ipotesi tutt'altro che dimostrate.

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04/04/2011 17:18
 
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Darwinius masillae: fossile vivente.
Questo è un termine spesso frainteso. Leggendo in en.wikipedia.org/wiki/Living_fossil (riportato anche in www.paleautonomy.com/taphonomy/living.html), si può capire che un taxon lazzaro è un taxon (una specie o gruppo di specie) che riappare improvvisamente, o nella storia dei fossili o fra gli organismi viventi (come se il fossile fosse tornato in vita), mentre un fossile vivente è una specie che sembra non essersi mutata per un lunghissimo periodo di tempo (come se il fossile sia sempre rimasto in vita), ma con bassa diversità tassonomica.

 Visto che Darwinius masillae (Ida) è rimasto essenzialmente invariato fino al lemure moderno, Ida rientrerebbe nella definizione di fossile vivente se non per il fatto che ha diversità tassonomica che lo escluderebbe da una stretta applicazione della definizione, perciò sarebbe corretto non definire Ida strettamente come fossile vivente. La lunga lista informale di fossili viventi nel sopracitato link di Wikipedia e l’implicazione di stasi è in aperta contradizione ad una continua evoluzione. D'altra parte il Latimeria chalumnae (conosciuto comunemente come celacanto) ed altri come Porphyrio hochstetteri e Wollemia nobilis sono chiaramente taxon lazzaro.
[Modificato da Credente 04/04/2011 17:28]
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04/04/2011 17:24
 
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Esaminiamo le altre forme transizionali che vengono comunemente citate a sostegno dell'evoluzione:


Gerobatrachus hottoni: "L'esemplare lungo 110 cm è preservata con la parte sottostante visibile e mancano solo le stilopodi, zeugopodi e le parti basse del teschio e la fascia pettorale" Anderson, J., Reisz, R., Scott, D., Frobisch, N., & Sumida, S., A stem batrachian from the Early Permian of Texas and the origin of frogs and salamanders, Nature 453(7194):515–518, 22 May 2008. Nel linguaggio comune ciò vuol dire che mancavano le zampe (stilopodi, zeugopodi) e cosi è impossibile determinare come si muoveva! John Bolt, evoluzionista e curatore dei fossili anfibi del Museo di Chicago, ha esortato di stare attenti nell'interpretare il fossile. Dichiara che è difficile dire con certezza se questa creatura fosse un antenato comune fra rane e salamandre, "visto che esiste un solo esemplare di Gerobatrachus, ed ancora peggio, un esemplare incompleto".


Tiktaalik roseae: Più una creatura mosaica che forma di transizione. Ci sono problemi con la data assegnata e il lignaggio del fossile che non quadra. Wise, K.P., The origin of life’s major groups; in: Moreland, J.P. (Ed.), The Creation Hypothesis: Scientific Evidence for an Intelligent Designer, InterVarsity Press, Downers Grove, pp. 211–234, 1994; esp. p. 227., Ichthyostega spp., Devonian Times, 11 April 2006. La pinna, che sarebbe un'arto in evoluzione, non è collegata al scheletro e non potrebbe sostenere il peso della creatura. Anche il famoso fossile del Latimeria chalumnae avrebbe avuto un arto in evoluzione, ma dopo che è stato pescato un esemplare vivente, la pinna si è scoperta essere semplicemente una pinna!


Ambulocetus natans: La pelvi, l’omero e la scapola non sono stati trovati, ma sono proprio queste parti le più fondamentali per capire il suo modo di locomozione. Altre parti dello scheletro di Ambulocetus sono state trovate 5 m più in alto. Questa forma transizionale viene associata ad un suo antenato, Pakicetus attocki, che però si è ‘mutata’ da forma transizionale fra mammiferi terrestri e cetacei ad umile roditore terrestre dopo la scoperta di un esemplare più completo: Thewissen, J.G.M., Williams, E.M., Roe, L.J. and Hussain, S.T., Skeletons of terrestrial cetaceans and the relationship of whales to artiodactyls, Nature 413(6853):277–281, 20 Sep 2001. Meglio informarsi con le ultime ricerche scientifiche prima di usare l'evoluzione dei cetacei a prova dell'evoluzione.


Archaeopteryx litographica: Una delle più classiche! Mi dispiace deluderla, ma sono decenni che anche l'archaeopteryx non figura come forma transizionale: “I paleontologi hanno cercato di trasformare l’Archaeopteryx in un dinosauro terrestre pennuto. Ma non lo è. È un uccello che si posa sugli alberi. Nessuna chiacchiera paleontologica può cambiare i fatti”, Alan Feduccia, evoluzionista e un’autorità mondiale sugli uccelli dell’Università della North Carolina di Chapel Hill. Citato in V.Morell, Archaeopteryx: Early bird catches a can of worms, Science 259(5096):764-765, 5 February 1993. Lei ha mai cercato di immaginare un polmone che si evolve dal polmone a mantice dei rettili a quello molto più complesso e circolatorio aviario? Se ogni parte del polmone aviario non fosse pienamente formata, non potrebbe funzionare e l’uccello/dinosauro morirebbe senza alcuna possibilità di passare il suo DNA in evoluzione ai propri figli.


Darwinopterus modularis: Prima di tutto è "datato" a 160 Ma, un po’ giovane per la teoria di Maynard Smith rispetto a Rhamphorhynchus (165 a 150 Ma), che sarebbe un antenato di Darwinopterus, perché aveva sia la coda lunga che caratteristiche avanzate della testa ed il collo che si sono evoluti senza la spinta selettiva dovuto alla compensazione di una perdita di stabilità nel volo. Fra quelli che l'hanno scoperto, Dr David Unwin, Università di Leicester, UK, che si aspettava una forme intermedia secondo il pensiero di Maynard-Smith: “Darwinopterus era un po’ uno shock per noi. Ci aspettavamo sempre una creatura che avrebbe riempito un vuoto, con caratteristiche tipicamente intermedie come una coda moderatamente elongata, né lunga, né corta " ... " La cosa strana di Darwinopterus è che la sua testa e il suo collo sono proprio come i pterosauri avanzati, mentre il resto del scheletro, inclusa una coda molto lunga, è quella di forme primitive" Unwin, D., citato in McGrath, M., New flying reptile fossils found, , 14 October 2009.


[Modificato da Credente 04/04/2011 17:29]
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04/04/2011 17:32
 
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Il dott. Colin Patterson, Senior Palaeontologist, Museo Britannico di Storia Naturale ha scritto il libro “Evolution”.

Gli fu chiesto perché non avesse incluso informazioni sulle forme intermedie.

Segue la sua risposta:

Concordo pienamente con i Suoi commenti riguardo alla mancanza di illustrazioni chiare di forme di transizione nel mio libro. Se fossi stato a conoscenza di una qualsiasi forma, fossile o vegeto, l’avrei sicuramente incluso. Lo dico apertamente: non esiste alcun fossile per il quale si possa difendere questa posizione in maniera inattaccabile

L.Sunderland, Darwin’s Enigma, Master Books, Arkansas, USA, 1998, pp. 101–102.


Ancora: "...l’anatomia e le serie fossili non sono affidabili per ricostruire le connessioni evolutive. Ma ciò nonostante, tutti i paleontologi continuano a insistere ad utilizzare la stessa metodologia", J. Lowenstein and A. Zihlman, "The invisible ape", New Scientist, Vol. 120 (1641), pp. 56, 57, 1988.

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04/04/2011 17:39
 
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Alcuni riportano elenchi con altri nomi di presunte forme transizionali ma restano solo elenchi senza essere supportati da prove dimostrative.

Uno studio scientifico infatti deve esaminare le prove e le predizioni di un’ipotesi. Quando queste non superano l'esame della falsificazione, perché le sue predizioni non si avverano o le prove mancano, allora rimane semplicemente un’ipotesi e non una teoria scientifica.

Karl Popper, il padre del metodo scientifico moderno, ha dichiarato:
 "Sono arrivato alla conclusione che il Darwinismo non è una teoria testabile, ma un programma di ricerca metafisica" K.Popper, Unended Quest: An Intellectual Autobiography [1974], Open Court: La Salle, Ill., Revised Edition, 1982, p.168.

 La prima predizione dell'ipotesi dell'evoluzione è quella delle forme transizionali. Come abbiamo illustrato, le forme transizionali non sono state trovate, perciò la prima predizione rimane insoddisfatta, e così l'ipotesi dell'evoluzione rimane un'ipotesi infondata, una fede in un idea senza sostegno materialistico; un assioma che è caduto in rovina.
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01/01/2012 00:20
 
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Homo sapiens: l’uomo venuto dal nulla

 

di Enzo Pennetta*
*biologo (www.enzopennetta.it)

 

Un libro scolastico di storia afferma che Homo sapiens non aveva punti di contatto genetici con le specie più antiche. E c’è subito chi grida allo scandalo.  La questione è stata sollevata dal sito oggiscienza in un articolo intitolato “Riscrivere Darwin? L’uomo venuto dal nulla… pubblicato il 5 dicembre. Il tutto prende origine dal racconto di una giornata scolastica nella quale uno studente rivolge una domanda al suo professore di scienze: “Prima liceo, ore 9, lezione di scienze. Davide Sassi, il prof, sta parlando di evoluzione, mentre Andrea, in fondo alla classe, sbuffa: “Prof, ma queste cose non sono superate? A me risulta che secondo le ultime scoperte sul DNA l’uomo non sia imparentato con alcun ominide preesistente. È scritto nel nostro libro di storia”. Sassi non crede alle sue orecchie, sicuramente Andrea ha capito male. Ci scommette una pizza. Perde”A parte il danno economico derivante dalla perdita della pizza, l’esterrefatto insegnante e la redazione dioggiscienza corrono subito ad analizzare le possibili implicazioni delle affermazioni del libro di storia: “Sassi è esterrefatto (e noi con lui): “Non si tratta solo di enormi stupidaggini. Sono anche scritte in modo molto sapiente, mischiando informazioni più o meno corrette con affermazioni del tutto errate. Una tecnica del panino che mi fa supporre che ci sia dietro un’intenzione ben precisa, quella di far entrare nella scuola idee di stampo creazionista. Se diciamo che Homo sapiens non è parente di nessuno, allora l’unica conclusione logica che possiamo trarre è che sia stato creato”.

Ecco l’insidia, se diciamo in giro che non ci sono prove certe dei collegamenti tra i vari ominidi potrebbe insinuarsil’eretico pensiero creazionista. Convinti a questo punto di trovarsi di fronte ad un’operazione di “intelligence” delle temute “divisioni vaticane all’attacco di Darwin”, oggiscienza corre ai ripari interpellando chi di divisioni vaticane se ne intende, l’antropologa molecolare Olga Rickards la quale interviene per chiarire come stiano effettivamente le cose: “È giusto dire che Homo sapiens non derivi da H. habilis, H. erectus o H. neandertalensis, ma questo non significa che non abbia legami di parentela, e dunque genetici con loro. Il punto è che negando ogni parentela, nego anche la possibilità che abbiano un progenitore comune, cioè nego un percorso evolutivo. E rimango con la patata bollente in mano: da dove è saltato fuori Homo sapiens?”, afferma la Rickards.

In sostanza la prof. Rickards conferma quanto sostenuto dal manuale di storia: i vari Homo non derivano l’uno dall’altro. Ma questo, secondo la prof, non significa che essi non abbiano legami di parentela tra loro. Insomma, sembra che l’errore imputato al manuale di storia non sia nelle premesse ma nelle conclusioni: i vari Homo non derivano l’uno dall’altro ma vanno considerati parenti per salvare l’attuale ricostruzione dei fatti. E qui ci sarebbe davvero da non credere alle proprie orecchie. Le risultanze paleontologiche vengono piegate alla dimostrazione della teoria, quanto di più antiscientifico potremmo immaginare. La ricostruzione dell’evoluzione umana è infatti frutto di una sovrapposizione tra dati reali e collegamenti ipotizzati, come si può vedere dal seguente grafico del prof. Giorgio Manzi riportato sul sito paleontologiaumana.it.  Ma se si eliminano i collegamenti tratteggiati restano solo delle linee isolate. Come si può vedere sullo stesso sito, i dati disponibili non autorizzano a trarre conclusioni di parentele (nel grafico sotto quello citato sono più evidenti le incertezze e gli autentici spazi vuoti tra i vari ominidi).

Sembrerebbe proprio che tutto sommato lo studente, e il suo libro di storia, non abbia torto, che a differenza di quanto sostenuto da oggiscienza, le mancanze di parentela non siano solo “enormi stupidaggini“. L’unico torto dell’alunno del prof. Sassi sembra essere stato quello di aver gridato che “il re è nudo”. Ma visto che si parla di libri scolastici vorrei sottoporre al prof. Sassi e ad oggiscienza, quanto scritto su un recentissimo testo di scienze per il biennio dei licei: ”Circa dieci milioni di anni fa, una lunga fascia di territori orientali dell’Africa (dall’odierna Etiopia al Sudafrica) venne colpita da un clima piuttosto arido. I discendenti delle antiche scimmie dovettero adattarsi a fare a meno della foresta e a cercare il cibo nella savana. Così impararono a camminare sulle zampe posteriori in posizione eretta. La capacità di camminare con due gambe offrì il grandissimo vantaggio di liberare le mani per afferrare sassi e bastoni, o per portare ai propri piccoli il cibo raccolto”.

Che ne dice prof. Sassi, e che ne dicono la prof. Rickards e i redattori di oggiscienza di questa affermazione. Qui sì che c’è da rimanere esterrefatti. Che prove ci sono per questa ricostruzione? Perché mai le antiche scimmie anziché adattarsi alla savana non si sono spostate insieme alla foresta? Giustamente a questa considerazione un mio studente ha così commentato: se veramente discendiamo da quelle scimmie che, anziché fare qualche metro e spostarsi nella foresta, sono rimaste nella zona dove gli alberi si stavano seccando, i nostri antenati erano davvero gli esseri più stupidi dell’epoca. Come dargli torto? E poi, come si fa a dire “così impararono a camminare sulle zampe posteriori in posizione eretta”. Come sappiamo è impossibile imparare a camminare in posizione eretta, perché ciò avvenga sono prima necessarie delle forti modificazioni dell’articolazione dell’anca e dell’inserzione tra capo e colonna vertebrale. Non trovate che ci sia da indignarsi per queste affermazioni e non per quelle oggetto dell’articolo su oggiscienza?

L’articolo su oggiscienza poi si conclude così: “siamo una specie nuova, certo. Ma è altrettanto certo che ci siamo evoluti da specie preesistenti (anche se non conosciamo di preciso tutti i passaggi e forse non li conosceremo mai, visto che non si è trattato di una sequenza lineare di eventi). E che continuamo a evolvere. Dire il contrario, dirlo a dei ragazzini e dirlo in un libro di testo (strumento in cui loro hanno piena e totale fiducia: quello che dice è il libro è verità assoluta) è soltanto una svista banale, un errore che può capitare?”. Su una cosa concordo pienamente, i libri scolastici sono una cosa troppo importante per permettere che vi siano riportati racconti fantastici come quello della scimmia che si alza sulle zampe posteriori e diventa bipede per via dei cambiamenti climatici. Troppe favole vengono raccontate  e spacciate per scienza, questo dovrebbe provocare la reazione dei media che si occupano di scienza.

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08/09/2016 10:08
 
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orangoLa ricerca non ha mai fine», diceva il filosofo della scienza Karl Popper e in effetti chi segue la teoria dell'evoluzione da quando è stata formulata per la prima volta da Charles Darwin nel 1859 lo può confermare a suon di prove. Generazioni intere hanno studiato sui libri di scuola che l'uomo deriva da un ipotetico primate di tipo scimmiesco che, a sua insaputa, per grazia ricevuta, ha avviato una serie di progressive trasformazioni dell'intera anatomia, che lo hanno condotto, per mutazione e per selezione naturale, ad un esito imprevisto: a diventare un essere intelligente e consapevole, capace di interrogarsi sul passato, sul presente e sul futuro. E tutto questo processo di "ominazione" - secondo questa concezione - è avvenuto lungo una linea diritta.


 


MA QUALE "CESPUGLIO"?
Negli ultimi anni questo percorso lineare di trasformazione, ritenuto senza causa e senza scopo, è stato ramificato a tal punto che è diventato un "cespuglio". Perché? Perché i reperti fossili via via rinvenuti, a pezzi, in siti diversi del Pianeta, in epoche geologiche altrettanto distinte, hanno costretto gli evoluzionisti a continue revisioni della teoria. Rami più o meno lunghi si aggiungono nei cespugli genealogici per andare ad abbracciare ogni reperto, allungando la lista dei cosiddetti ominidi, non avendo informazioni dirette sulla loro possibile interfecondità.
Infatti, nel regno animale e vegetale, individui diversi appartengono a una stessa specie se sono in grado di accoppiarsi e di generare prole a sua volta feconda. Oggi, per esempio, analizzando il DNA fossile, si è scoperto che l'Homo di Neanderthal e l'Homo sapiens, a lungo considerati solo parenti e appartenenti a specie diverse, dovevano invece essere interfe-condi e quindi vanno inclusi in un'unica specie umana.
La recente scoperta di alcuni teschi a Dmanisi, in Geòrgia, a pochi chilometri da Tbilisi, ha tagliato ora diverse fronde, riducendo il cespuglio di nuovo a un unico ramoscello che unisce l'Australopiteco di oltre due milioni di anni fa all'Homo sapiens di oggi. Perché?
La chiave di tutto è un cranio, battezzato "skull 5", portato alla luce già nel 2005 e che ora è stato abbinato con una mandibola scoperta ancora prima, che vi si incastra perfettamente. Questo esemplare di teschio così completo, comprensivo anche di dentatura, costituisce fino ad
oggi il miglior teschio di Homo erectus adulto.

ERECTUS, HABILIS E RUDOLFENSIS IN UN UNICO CRANIO
L'eccezionalità e la novità dei teschi rinvenuti a Dmanisi, la cui scoperta ha meritato la copertina dell'autorevole rivista americana Science (ottobre 2013), è dovuta ad almeno tre fatti.
Il primo (che forse è anche il più importante) è che gli evoluzionisti affermano che l'Homo erectus, l'Homo habilis e l'Homo rudolfensis sono ominidi appartenenti a specie diverse, ma, per contro, in un cranio ritrovato a Dmanisi si trovano: lo spazio per un viso lungo come quello di un Homo erectus moderno (molto simile al nostro), lo spazio per un cervello piccolo (550 cm. cubici) come quello di un Homo habilis e una dentatura simile a quella di Homo rudolfensis; mai queste tre caratteristiche erano state rinvenute unite in un unico fossile.

UN'UNICA SPECIE UMANA
II secondo fatto eccezionale consiste nel ritrovamento di altri quattro crani completi di Homo nello stesso sito, molto diversi tra loro, ma appartenenti allo stesso periodo. Ora, se sono stati ritrovati nello stesso sito, è ragionevole pensare che appartengano a individui della stessa tribù, quindi della stessa specie.
Il prof. David Lordkipanidze, del Museo Nazionale della Geòrgia, insieme ai suoi collaboratori, ha
fatto un'analisi comparata di alta qualità, con tecniche statistiche raffinate, dei tratti morfologici dei cinque crani e ha osservato che le loro differenze sono le stesse che si ritrovano tra gli esemplari noti delle diverse specie di Homo abbracciate dal "cespuglio" tante volte proposto dalla teoria evoluzionista: ergaster, habilis, erectus, rudolfensis. Allo stesso modo, il professore ha studiato le differenze tra i crani di scimpanzè e di scimmie bonobo, di oggi. Analogo il risultato: la variabilità presente nei cinque crani di Dmanisi è la stessa che si ritrova tra le scimmie.
La conclusione è quella che abbiamo poc'anzi già cominciato a menzionare: le presunte specie diverse del genere Homo, che avrebbero preceduto l'Homo sapiens (e che sono scolpite su pietra in ogni Museo e vergate in grassetto su ogni libro di scuola, disposte in sequenza graduata per evidenziare il presunto progresso in percentuale di umanità), sono in realtà varietà o razze di un'unica specie, quella umana. Razze, non specie. È come se gli evoluzionisti avessero messo in fila un odierno polinesiano (con il cranio molto piccolo), un odierno asiatico (con il cranio di medie dimensioni) e infine un odierno bavarese (con il cranio grande) e dicessero che sono tre specie diverse in cammino evolutivo. Falso! La collezione di varietà umane è come quella che esiste in tutte le specie; l'esempio più noto è dato dalle razze canine: dal bassotto al levriero, al pastore tedesco, al dobermann, sempre di cani si tratta.

UN PROBLEMA DI PRIMOGENITURA
II terzo fatto degno di rilievo è che l'età di questi crani della Geòrgia coincide con quella dei primi Uomini apparsi in Africa nordorientale, creando quindi un problema di primogenitura. I fossili africani sono sempre stati i più antichi come datazione e quindi si è sempre pensato, anche da parte degli evoluzionisti, che dall'attuale regione dell'Etiopia l'umanità si sia diffusa, a più ondate, verso l'Europa e verso l'Asia. Se però si rinvengono altrove reperti umani coevi se non più antichi ancora di quelli africani, la tesi non può più essere sostenuta.
Dmanisi ha riacceso il dibattito anche all'interno del mondo accademico; si tratta di una gran brutta storia per gli evoluzionisti, alcuni dei quali si stanno muovendo per ridimensionare la portata dell'articolo apparso su Science, invocando ulteriori analisi e considerazioni. Insomma, la teoria evoluzionista, e tutte le problematiche che la affliggono (per esempio: come conciliarla con la genetica, che non ammette mutazioni causali se non per generare tumori e malattie? E come si spiega l'origine del linguaggio simbolico? E come è nata la coscienza? Come è sorto il senso religioso? Perché l'Uomo cerca un senso?) varie volte segnalate sul "Timone" [...], con i ritrovamenti di Dmanisi perde ora un altro glorioso pezzo.


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01/02/2017 15:26
 
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La scienza conferma: la vita non è nata dai meteoriti 
di Marco Respinti

La nascita della vita sulla Terra, milioni e milioni di anni fa, è un mistero di gratuità e di bellezza che nessun meccanismo semplicemente naturalistico è in grado di spiegare.

Tutto l’essenziale si compie di fatto durante il Cambriano (tra circa 541 e 485 milioni di anni fa) e l’Ordoviciano (tra circa 485 e 444 milioni di anni fa), che sono il primo e il secondo periodo dell’era Paleozoica, la prima dell’eone Faneorozoico. L’immenso abisso della “notte dei tempi” precedente viene descritto sulla scala dei tempi geologici in tre eoni (Adeano, Archeano, Proterozoico) raggruppati nel superone Archeozoico detto anche Precambriano. Gli ordini di grandezza temporali sono enormi e incommensurabili: l’intero Precambriano misura infatti quattro miliardi di anni, laddove il Fanerozoico che inizia con il Cambriano e l’Ordoviciano “solo” mezzo miliardo. Come suggerisce chiaramente la nomenclatura, è il Cambriano il turning point decisivo che segna il “prima” e il “dopo”.

Perché? Perché quello è il “momento” in cui la vita sorge “improvvisamente” in tutte le proprie varietà e magnificenza. In un tempo geologicamente assai limitato, compaiono cioè tutti gli attuali phyla (un phylum, un tempo detto “tipo”, definisce la classificazione di base di gruppi di animali estinti o attuali) forse a eccezione delle spugne. Prima invece non c’è praticamente alcunché; la natura di alcuni ritrovamenti che testimonierebbero l’esistenza di organismi pluricellulari prima del Cambriano è infatti molto dubbia e comunque ampiamente discussa. I phyla del Cambriano non sono insomma mutazioni di creature precedenti. Non hanno antenati, non hanno progenitori e non sono l’uno l’evoluzione dell’altro; sono semplicemente se stessi.

È quella che i biologi chiamano “esplosione” del Cambriano. Nell’Ordoviciano si verifica poi il secondo grande balzo: la vita si diffonde, quasi quadruplicando il numero di specie e di generi che pure si distribuiscono più globalmente. Dopo il “big bang”, la radiazione. I biologi parlano di Grande Evento di Biodiversificazione dell’Ordoviciano reso con la sigla G.O.B.E. (dalla dizione canonica inglese “Great Ordovician Biodiversification Event”). Un particolare rende peraltro la questione ancora più affascinante. Tra l’esplosione cambriana e la radiazione ordoviciana non c’è sviluppo lineare, ma catastrofe. Alla fine del Cambriano moltissime specie si estinguono, e lo stesso faranno altre alla fine dell’Ordoviciano, ma ciò che non si estingue sono i phyla, definiti una volta per tutte. Sono proprio i fossili a testimoniare che l’impianto della vita non muta e che i viventi non si evolvono saltando da un phylum all’altro.

Ebbene, il riduzionismo naturalistico cerca di spiegare la comparsa improvvisa della vita sulla Terra e la sua diffusione diversificata come l’effetto di condizioni ambientali particolari o il prodotto di eventi cosmici accidentali in grado di svelare che il presunto mistero è solo un meccanismo. Se in genere per l’esplosione cambriana si parla dunque di un fantasioso e indimostrato “brodo prebiotico” (nonostante le dimostrazioni scientifiche dell’impossibilità di generare la vita dalla non-vita), per la radiazione ordoviciana si tira in ballo la pioggia di meteore caduta sul nostro pianeta in seguito a uno scontro tra asteroidi che, alterando l’atmosfera e il clima, avrebbe modificato gli ecosistemi marini e quindi dato impulso alla grande varietà. La formulazione più compiuta di questa ipotesi è quella ultimamente offerta dal geologo svedese Birger Schmitz, apparentemente confermata da una serie di recenti conferme empiriche tanto importanti da portare a interessarsi dell’argomento anche un organo di comunicazione di massa come il quotidiano la Repubblica. Ma non è affatto così.

Sull’Ordoviciano piovvero sì meteoriti (come le ricerche di Schmitz hanno riscontrato), ma queste con la biodiversificazione non c’entrano. I frammenti della grande collisione cosmica caddero infatti sul nostro pianeta dopo la radiazione della vita, un paio di milioni di anni più tardi. A stabilirlo categoricamente sono i rilevamenti millimetrici effettuati da un équipe congiunta dell’Università svedese di Lund (la medesima di Schmitz) e dell’università danese di Copenhagen guidata dal geologo Anders Lindskog, che, proprio citando la formulazione classica della teoria delle meteoriti del collega Schmitz, dimostra l’errore di valutazione dandone comunicazione su Nature, ripreso da Le Scienze.

Insomma, come sulla Terra sia esplosa e grandiosamente si sia diffusa la vita in tutta la sua varietà nessuno scienziato sa dirlo. Le ipotesi vengono formulate per essere smentite dalla ricerca. Per certo i fortunali cosmici non c’entrano e la bellezza del mistero permane.


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09/06/2018 14:39
 
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Nei libri di testo e nei musei i cosiddetti antenati dell'uomo sono spesso rappresentati con colore della pelle, villosità e lineamenti caratteristici. In genere queste riproduzioni presentano gli "antenati" più remoti con tratti scimmieschi e quelli ritenuti più vicini all'uomo con colore della pelle, villosità e lineamenti più umani.
Domanda:
Gli scienziati possono ricostruire in modo attendibile questi tratti basandosi sui fossili rinvenuti?
Risposta:
No. Nel 2003 Carl Stephan, esperto di medicina legale presso il Dipartimento di Scienze Anatomiche dell'Università di Adelaide, in Australia, ha scritto: "I volti dei primi antenati umani non possono essere oggettivamente ricostruiti o verificati". E ha aggiunto che i tentativi di farlo partendo dalle moderne scimmie antropomorfe "con tutta probabilità sono fortemente condizionati da idee preconcette, grossolanamente inaccurati e inattendibili".
La sua conclusione? "È verosimile che qualsiasi 'ricostruzione' del volto dei primi ominidi sia fuorviante"

Sono frutto dell'immaginazione
Se gli antenati dell'uomo non assomigliavano alle scimmie, come mai le pubblicazioni scientifiche e i musei di tutto il mondo sono pieni di ricostruzioni e riproduzioni di uomini scimmieschi? Su cosa si basano? Il libro The Biology of Race (La biologia della razza) risponde: "In queste ricostruzioni i tessuti muscolari e il pelo sono necessariamente frutto dell'immaginazione". E aggiunge: "Il colore della pelle; il colore, la conformazione e la distribuzione del pelo; i lineamenti; l'aspetto facciale: circa questi caratteri, per quanto riguarda gli uomini preistorici, non sappiamo assolutamente nulla".
Anche Science Digest afferma: "La stragrande maggioranza delle concezioni degli artisti si basa più sull'immaginazione che sull'evidenza. . . . Gli artisti devono creare qualcosa che sia una via di mezzo fra la scimmia e l'uomo; più il reperto è considerato antico, più scimmiesco è l'aspetto che gli attribuiscono". Donald Johanson, ricercatore di fossili, ammette: "Nessuno può essere sicuro su come esattamente si presentasse un ominide estinto".
Come riferì New Scientist, non ci sono "sufficienti testimonianze fossili per far uscire le nostre teorie dal mondo della fantasia".
Perciò, come ammette un evoluzionista, le rappresentazioni degli "uomini-scimmia" sono "per lo più pura fantasia . . . inventati di sana pianta".
Nel libro Man, God and Magic (Uomo, Dio e magia) Ivar Lissner pertanto osserva: "Come stiamo lentamente imparando che gli uomini primitivi non sono necessariamente selvaggi, dobbiamo anche capire che i primi uomini dell'Epoca Glaciale non erano né bestie brutali né mezze scimmie né cretini. Donde l'ineffabile stupidità di tutti i tentativi di ricostruire l'uomo di Neanderthal o anche quello di Pechino".

L'Australopithecus
Ulteriori ricerche hanno rivelato che il suo cranio "si differenzia da quello dell'uomo per altri motivi, oltre al minor volume cerebrale".
L'anatomista Zuckerman scrisse: "Se lo si confronta con crani umani e di scimmia, il cranio delle australopitecine risulta essere inconfondibilmente scimmiesco, non umano. Sostenere il contrario equivarrebbe a dire che il nero sia bianco".
Disse pure: "Le nostre scoperte non lasciano praticamente dubbi sul fatto che l'Australopithecus non assomiglia all'Homo sapiens ma alle attuali scimmie, antropomorfe e no".
Anche Donald Johanson dice: "Gli australopitecini non erano uomini".
Similmente Richard Leakey ritiene "improbabile che i nostri diretti antenati discendano da queste [le australopitecine]".
Se qualcuna delle australopitecine fosse trovata in vita oggi, verrebbe messa in uno zoo con le altre scimmie. Nessuno la chiamerebbe "uomo-scimmia".
Lo stesso può dirsi per gli altri "cugini" fossili che le assomigliano, come l'australopitecina di tipo più piccolo chiamata "Lucy".
Riguardo ad essa Robert Jastrow dice: "Il cervello dell'australopiteco non era grande in assoluto — solo un terzo del cervello umano".
È ovvio che anche questa creatura era semplicemente una "scimmia". Infatti New Scientist afferma che il cranio di "Lucy" era "molto simile a quello di uno scimpanzé".
Un altro tipo fossile è chiamato Homo erectus, uomo a stazione eretta. Le dimensioni e la conformazione del suo cervello rientrano in effetti nei limiti inferiori di quelle dell'uomo moderno.
Inoltre l'Encyclopædia Britannica osserva che "le ossa degli arti finora rinvenute non si distinguono da quelle dell'H[omo] sapiens".
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Alla luce delle prove esistenti è assolutamente ragionevole, addirittura scientifico, credere che siamo il risultato di un progetto intelligente. In ultima analisi è l'evoluzione, non la creazione, a richiedere una grossa dose di fede cieca e a pretendere che si creda nei miracoli senza nessuno che li faccia
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