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MINISTRI DI DIO, AL SERVIZIO DEL SUO POPOLO

Ultimo Aggiornamento: 09/12/2018 18:41
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18/03/2011 22:52
 
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1Cor 4,1 
      Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio.  Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele.
      A me però, poco importa di venir giudicato da voi o da un consesso umano; anzi, io neppure giudico me stesso,  perché anche se non sono consapevole di colpa alcuna non per questo sono giustificato. 
      Il mio giudice è il Signore!
 
:::::::::::::::::::::
 
IL SACERDOTE, MINISTRO DEL VANGELO

di Marcial Maciel Degollado

Il sacerdote, come tutti i cristiani, è stato inviato a percorrere il mondo intero per annunciare il vangelo a tutte le creature (Me 16,15). E’ stato inviato, però, da sacerdote, e cioè come ministro ordinato. Per questo, gli è stato dato il vangelo perché lo porti agli uomini, in qualità di rappresentante di Cristo, come capo e pastore. Pertanto, se ogni cristiano ha il dovere di annunciare il vangelo con ardore, più ancora lo ha il sacerdote.

Nel suo sforzo di imitazione del Cristo, il sacerdote non ha bisogno di troppe teorie teologiche, né di molti mezzi pastorali. Quello di cui ha soprattutto bisogno è di amare profondamente e sinceramente il vangelo che deve predicare e amare pure gli uomini ai quali lo deve proclamare. Perciò, più che a elaborazioni dottrinali, ci può essere utile guardare con semplicità all'esempio di un sacerdote dei nostri giorni, che vive questa realtà in modo eccezionalmente esemplare: il Santo Padre Giovanni Paolo II.

Il papa ci ricorda, con il suo esempio vivo, che il sacerdote deve proclamare il vangelo attivamente, dinamicamente; che spesso deve uscire per le strade e le piazze e cercare gli uomini là dove essi vivono, lavorano, riposano, soffrono o si rallegrano; che non possiamo aspettare passivamente che gli uomini di oggi vengano da noi a cercare il Cristo e il suo vangelo; che dobbiamo essere disposti anche alla fatica, a intraprendere dei viaggi, corti o lunghi che siano.

Il papa ci insegna che il sacerdote deve saper annunciare il vangelo con la parola orale o scritta, e che deve usare efficacemente i mezzi di comunicazione sociale per irradiare il più ampiamente possibile la buona novella ricevuta da Cristo.

Egli ci aiuta a comprendere anche che il sacerdote deve saper illuminare con la luce del vangelo sia le coscienze individuali che l'opinione pubblica; che il vangelo destinato ad essere luce e sale di tutta la realtà umana: la cultura, la politica, l'economia, i problemi sociali, ecc. E che, pertanto, il sacerdote deve sforzarsi per conoscere la realtà in cui deve annunciare il vangelo e nella quale va elaborato un pensiero che serva da mediazione tra il messaggio rivelato e le categorie culturali dominanti nell'ambiente in cui egli realizza la sua missione.

Guardando l'esempio del Santo Padre, noi ci ricordiamo pure che il sacerdote, innamorato del vangelo che annuncia, deve cercare la realizzazione delle azioni più efficaci in funzione della sua missione.

Vedendo l'instancabile lavoro del Santo Padre, ci ricordiamo che il sacerdote deve saper convocare, motivare, spronare e guidare i fedeli laici nella mansione di annunziare il vangelo.

Infine, papa Giovanni Paolo II ci insegna, con l'esempio quotidiano, che il sacerdote deve essere uomo di Dio, di vita interiore profonda, anche se tra viaggi, incontri con le moltitudini, attività e responsabilità di ogni genere. Egli ci ricorda che l'annunzio del vangelo deve sgorgare dall'interno, dalla comprensione e dall'esperienza interiore del messaggio e della persona di Cristo, che soltanto la preghiera personale può rendere possibile. Egli ci sprona ad annunciare il vangelo, offrendo anche ogni sacrificio fisico o morale per amore alla croce del Redentore: il messaggero del vangelo è chiamato a pagare di persona il prezzo della redenzione, unendo il sacrificio della sua donazione, delle sue sofferenze, della persecuzione, della fatica ai meriti infiniti della passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo.

Se ci fossero più sacerdoti sullo stile del Santo Padre, anche se ci fossero meno teorie sul sacerdozio e sulla sua missione, la Chiesa sarebbe più feconda e il mondo più cristiano.

[Modificato da Credente 25/09/2012 22:08]
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18/03/2011 22:53
 
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IL SACERDOTE, MINISTRO DI SANTIFICAZIONE

di Javier Echevarriá Rodriguez

La missione dei sacerdote, in quanto ministro di santificazione, si dispiega nella pienezza delle proprie virtualità d'edificazione della Chiesa solo se il presbitero, toccato nella profondità del proprio essere da questa specifica chiamata che lo identifica sacramentalmente con Cristo sacerdote, sa esprimere in tutti gli aspetti della sua vita la totalità del " sì " pronunziato un giorno al dono di Dio. La missione ricevuta, e consapevolmente assunta, lo chiama a fare della propria esistenza un continuo olocausto d'amore. Il Santo Padre Giovanni Paolo II ha definito il rapporto intimo e continuo del sacerdote con Cristo come un incontro personale, vivo, a occhi spalancati, con cuore palpitante.

Cercare la santità per santificare: a questo ci obbliga il nostro ministero, di qui la necessità che la prima cura del sacerdote debba rivolgersi anzitutto alla sua stessa vita spirituale.

Com'è noto, il n. 2 del decreto Presbyterorum Ordinis, nelle intenzioni dei padri conciliari, risponde all'interrogativo sulla natura del presbiterato.

" Dato che i presbiteri hanno una loro partecipazione nella funzione (munus) degli Apostoli, ad essi è concessa da Dio la grazia per poter essere ministri di Cristo Gesù fra i popoli mediante il sacro ministero del vangelo, affinché l'oblazione dei popoli sia accetta, santificata nello Spirito Santo " (PO 2). Il capoverso esordisce cosi, offrendo la sintesi del ministero presbiterale fondato sulla partecipazione nella missione apostolica. Il testo riprende le parole in cui san Paolo presenta se stesso come " minister Christi Iesu ad gentes, consecrans evangelium Dei, ut fiat oblatio gentium accepta, sanctificata in Spiritu Sancto " (Rm 15, 16). Il concilio, insomma, estende ai presbiteri ciò che l'Apostolo delle genti dice di sé.

Il ministero dei presbiteri, come quello di san Paolo, mira a questo: che i popoli, accogliendo il vangelo, diventino un sacrificio spirituale gradito a Dio, poiché santificato nello Spirito e dallo Spirito. Qui sta il nucleo della missione sacerdotale: la gloria di Dio attraverso la santificazione degli uomini.

Il ministero di santificazione dei presbiteri è al servizio dei fedeli non limitatamente al minimo essenziale: esso va ben oltre e si spinge fino alle vette della santità. Una conclusione che appare necessaria proprio in considerazione del suo fine: far sì che tutta la Chiesa sia offerta a Dio come sacrificio universale per mezzo di Cristo, suo capo e sposo.

Su questo cammino di santità, che tutti siamo chiamati a percorrere, ci sovviene l'aiuto materno di Maria. " La Madonna - ha scritto il beato Josemaria Escrivá - ci insegna a metterci in rapporto con Gesù, a cercarlo e a riconoscerlo nelle diverse circostanze della giornata e, in modo particolare, in questo istante supremo - in cui il tempo si unisce con l'eternità - del Santo Sacrificio della Messa: Gesù con gesto di sacerdote eterno attrae a sé tutte le cose, per porle, divino afflante Spiritu, con il soffio dello Spirito Santo, alla presenza di Dio Padre. "

[Modificato da Credente 25/09/2012 22:26]
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21/03/2011 12:01
 
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Ecco cosa dice la Bibbia riguardo alla necessità che nella Chiesa ci siano delle guide:

1COR.12.28 ALCUNI DIO LI HA POSTI NELLA CHIESA IN PRIMO LUOGO COME APOSTOLI, IN SECONDO LUOGO COME PROFETI…
1 COR.4,1 OGNUNO CI CONSIDERI SERVITORI DI CRISTO E AMMINISTRATORI DEI MISTERI DI DIO.
LUCA 12,42 CHI E’ DUNQUE L’AMMINISTRATORE FEDELE E SAGGIO CHE IL PADRONE PORRA’ A CAPO…
MT.16.18 TU SEI PIETRO E SU QUESTA PIETRA EDIFICHERO’ LA MIA CHIESA E LE PORTE DELL’ADES NON PREVARRANNO… A TE DARO’ LE CHIAVI DEL REGNO DEI CIELI…
LUCA 22,32 IO HO PREGATO PER TE, CHE NON VENGA MENO LA TUA FEDE, E TU UNA VOLTA RAVVEDUTO CONFERMA I TUOI FRATELLI.
GV.21.15 GESU’ DISSE A SIMON PIETRO: PASCI I MIEI AGNELLI…PASCI LE MIE PECORELLE…


Ma esaminiamo attentamente questo versetto:

TITO 1,5 PER QUESTO TI HO LASCIATO A CRETA PERCHE'...STABILISSI PRESBITERI IN OGNI CITTA' SECONDO LE ISTRUZIONI CHE TI HO DATO...


Paolo, dà incarico a Tito di eleggere presbiteri. Cosa si può dedurre da questa disposizione?

 Tito, per poter nominare dei presbiteri doveva avere un incarico più importante dei presbiteri, e Paolo che dà l'autorizzazione e delega a Tito di nominare i presbiteri, ha un ruolo più importante di quello di Tito stesso.

Scopriamo  in questo  versetto TRE LIVELLI gerarchici, anche se i livelli superiori non avevano ancora avuto una specifica denominazione di riferimento. La sostanza dei fatti però è che Tito aveva un ruolo più alto dei presbiteri, ma meno importante del ruolo che aveva Paolo.

La stessa cosa Paolo fa con Timoteo che autorizza a scegliere dei responsabili nella varie comunità.

Ma, cercando ulteriormente nella Scrittura, scopriamo che anche Paolo mostra di non essere al vertice di questi livelli.
Infatti a sua volta si recò da Pietro (Gal 1,18) per confrontarsi con lui e con le altre cosiddette COLONNE (cioè i principali autorevoli responsabili della Chiesa primitiva).
Egli afferma in Ga 2,9: .. riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi.

Queste COLONNE riconoscono a Paolo, ufficialmente, il compito assegnatogli da Cristo stesso per rivelazione. E come obbligo gli imposero di provvedere alle necessità dei poveri di Gerusalemme.
Quindi già dall'inizio, come si ricava facilmente dalla Scrittura, esisteva una serie di responsabilità a diversi livelli. La parola vescovo, che deriva dal greco "episcopo" a significa "colui che guarda dall'alto", la parola "presbitero" usato nella Scrittura, significa "anziano" e ha dato origine per effetto di una contrazione del termine PRESBITERO  all'equivalente termine "prete". Infine negli Atti degli apostoli vengono menzionati anche i diaconi che avevano un compito inferiore a coloro che dovevano essere "ministri della parola", e furono inizialmente incaricati di fare il servizio alle mense comuni e di provvedere ai bisognosi.

Siamo tutti fratelli, è vero, perchè lo ha affermato il Maestro stesso, e quindi questi ministri hanno la stessa dignità umana degli altri fedeli, ma a ciascuno viene affidato un ruolo diverso per l'edificazione della Chiesa, come risulta chiaramente dalla Scrittura, che dà luogo a responsabilità diverse e a diversi gradi di merito. (Luca 12, 42 ss)
E' nota l'espressione di S.Agostino al riguardo, che rende meglio di ogni altro, il concetto che è stato esposto: CON VOI SONO CRISTIANO, PER VOI SONO VESCOVO.
[Modificato da Credente 25/09/2012 22:19]
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25/02/2012 23:21
 
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«L'uomo post-moderno ha bisogno di testimoni»
di Angelo Scola
23/02/2012 - L'omelia del cardinale Angelo Scola alla messa per il trentesimo anniversario della Fraternità di Cl e il settimo della morte di don Giussani. Duomo di Milano, 22 febbraio
1. «Nessun uomo è padrone del suo soffio vitale tanto da trattenerlo» (Prima Lettura, Qo 8,8). L’autore del Libro di Qoèlet, un “Predicatore” tristemente smaliziato vissuto all’inizio del II secolo a.C. che si immedesima con il re Salomone, indaga con crudo realismo la precarietà dell’umana esistenza. In particolare è scandalizzato dall’impossibilità di fare giustizia nella storia degli uomini: «Ho visto malvagi condotti alla sepoltura» - anche loro non sono in grado di trattenere il loro soffio vitale - [ma] «ritornando dal luogo santo, in città ci si dimentica del loro modo di agire» (Prima Lettura, Qo 8,10). Questo calcolato oblìo è intensificato dal fatto che «contro la cattiva azione non si pronuncia una sentenza immediata. Per questo il cuore degli uomini è pieno di voglia di fare il male» (cfr Prima Lettura, Qo 8,11). 
La profondità della constatazione («ho visto» è l’espressione che Qoèlet usa più volte) è pari solo alla sua straordinaria attualità. Qoèlet non si limita infatti a rilevare l’inevitabilità della morte che, come un rumore di fondo, accompagna la vita di tutti gli uomini. Neppure si ferma all’angosciosa domanda: «L’uomo infatti ignora che cosa accadrà; chi mai può indicargli come avverrà? » (Prima Lettura, Qo 8,7). Entra nel quotidiano della esistenza in cui si mescolano verità e menzogna, bene e male, giustizia e ingiustizia. 
L’intreccio dei fattori in gioco gli consente di tessere la tela dell’umana vanitas. Chi di noi, qui convenuti in preghiera, per rinnovare il paterno vincolo di comunione che ci lega al caro Mons. Giussani, può restare indifferente agli interrogativi angosciosi e alle amare constatazioni del Qoèlet? Non a caso la Chiesa, Madre e Maestra, ci invita a leggere la circostanza che ci riunisce attraverso la Parola di Dio proclamata in questa santa azione eucaristica. La liturgia è la forma (il paradigma) della vita che illumina la realtà, trama di circostanze e di rapporti come Mons. Giussani amava definirla. 
Vanitas afferma il Qoèlet, cioè inconsistenza. Inconsistenza del nostro umano essere e del nostro agire. 

2. «Tuttavia so che saranno felici coloro che temono Dio… e non sarà felice l’empio»(Prima Lettura, Qo 8,12-13). Riflettendo su ogni azione che si compie sotto il sole, Qoèlet incontra nel timor di Dio un legno a cui aggrapparsi nel vasto gorgo del male. Questo però non sembra liberarlo completamente dal rischio del naufragio, poiché «vi sono giusti ai quali tocca la sorte meritata dai malvagi con le loro opere, e vi sono malvagi ai quali tocca la sorte meritata dai giusti con le loro opere. Io dico che anche questo è vanità» (Prima Lettura, Qo8,14). 
Questa stretta del male che attanaglia il nostro io e fa sentire tutto il suo peso nel male del mondo, e di cui si parla a proposito e a sproposito in questi tempi di travaglio, non si può dunque sciogliere? Qoèlet anticipa il grido di Paolo: «Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? » (Rm 7,24). 
Un aspetto geniale della proposta educativa di Mons. Giussani non è stato forse l’efficace riproposizione della verità cristiana che nessuno può salvarsi da sé? 
La scelta di celebrare la Messa votiva del Santissimo Nome di Gesù nel VII anniversario della morte di Mons. Giussani e per ricordare il XXX anniversario del riconoscimento pontificio della “Fraternità di Comunione e Liberazione”, indica chiaramente quale sia la strada della salvezza offerta ad ognuno di noi e all’umanità intera.
Così infatti ci ha fatto pregare l’Orazione dell’inizio dell’Assemblea liturgica: «Per il Figlio tuo venuto tra noi hai scelto, o Dio, un nome che chiaramente lo manifestasse come salvatore del genere umano…». Il nome di Gesù significa “Dio salva”. Veramente Gesù ha sciolto l’enigma dell’uomo rivelandogli la sua consistenza. Essa si radica nell’amore con cui «Dio ci sazia fin dal mattino» e «rende salda per noi l’opera delle nostre mani» (Salmo responsoriale,Sal 90,14a. 17). 

3. In Gesù la vanitas (inconsistenza) è vinta. «Adorno del nome mirabile che esprime salvezza» - dice il Prefazio - Gesù ci accompagna, riscattandoci dal nostro peccato. E il testo liturgico aggiunge, dettagliando con intensità: «Dolce e rasserenante certezza è la sua protezione nei pericoli della vita, e nel momento della morte il suo nome invocato è speranza e conforto». 
Ogni cosa ha consistenza in Cristo: «Omnia in Ipso constant» (Col 1,17). È importante meditare a lungo e piegare il nostro quotidiano vivere a questa convinzione. Ogni cosa significa tutto. Nel mistero glorioso del Verbum caro tutto è stato salvato perché tutto è stato da Cristo assunto. Fin dai suoi primordi la tradizione della Chiesa ambrosiana ha trasformato il metodo dell’azione di Dio nella storia degli uomini (incarnazione) in una feconda proposta educativa. Ha così generato, lungo i secoli, figli consapevoli che «troppo perde il tempo chi ben non ama» Gesù.
Monsignor Giussani ha espresso questa sensibilità ambrosiana con forza profetica fin dagli anni ’50, educando all’assunzione integrale di ogni aspetto dell’umana esistenza. Per la logica dell’incarnazione il cristiano è colui che testimonia - in famiglia, al lavoro, nel sociale a tutti i livelli fino ad arrivare all’impegno politico - l’opera salvifica del Crocifisso Risorto. 

4. Amici, l’azione eucaristica di questa sera pone ognuno di noi davanti ad un aut-aut che, a volte tacito e quasi impercettibile a volte prepotente, accompagna ogni nostra azione. Sotto la pressione del male, fisico e soprattutto morale, può prender peso anche nel cristiano la tentazione di pensare che tutto sia vanitas, inconsistenza. O il cristiano presume nei fatti di salvarsi da sé finendo talvolta come gli scribi per «cercare i primi seggi nelle sinagoghe» (Vangelo, Mc 12,38 e 39). Oppure la sua libertà cede all’amorevole sferzata delSalmo: «Tu fai ritornare l’uomo in polvere, quando dici: “Ritornate, figli dell’uomo” » (Salmo responsoriale), come ci ricorderà tra qualche giorno l’imposizione delle Ceneri. 
Il ritorno, frutto del perdono, rende capaci di amore oggettivo ed effettivo. Come Qoèlet anche Gesù è un attento osservatore della realtà: «Seduto di fronte al tesoro, osservava…» (Vangelo, Mc 12, 41). La vedova, che ha gettato nel tesoro «tutto quanto aveva per vivere» (Vangelo, Mc 12, 44), mostra la forma piena della libertà del cristiano. In ogni azione egli è chiamato ad esprimere il primato di Dio nella sua vita. La vittoria sulla vanitas, la grazia della consistenza, sta tutta nel riconoscimento di Cristo presente che chiede il dono totale di sé. Memoria ed offerta esprimono in tal modo la pienezza affettiva cui ogni uomo anela e di cui il cristiano autentico può fare esperienza. 

5. Il Vangelo di oggi ci offre un ultimo prezioso insegnamento. È contenuto in un piccolo passaggio narrativo, celato come una perla nelle pieghe del brano evangelico proclamato. «Chiamati a sé i suoi discepoli» (Vangelo, Mc 12, 43) Gesù li aiuta a comprendere il gesto della vedova. 
Cosa traspare da questo gesto di Gesù? Il legame solido tra i membri di quella prima compagnia da Lui generata. Una parentela più potente di quella della carne e del sangue, una fraternità in cui si anticipa – come traspare nella Santa Eucaristia – la vita del Paradiso. Cristo chiama i Suoi a fare l’esperienza inaudita che la consistenza dell’io si chiama comunione. 
Comunione come stima a priori per l’altro, perché abbiamo in comune Cristo stesso. Comunione disponibile ad ogni sacrificio per l’unità affinché il mondo creda. «L'espressione matura del condividere cristiano è perciò l'unità fin nel sensibile e nel visibile. Questa fu l'espressione del tormento finale di Cristo nella sua preghiera al Padre, quando in tale unità sensibile e visibile indicò consistere la decisiva testimonianza dei suoi amici» (L. Giussani, Il cammino al vero è un’esperienza, 52-53). Qui sta la vittoria sulla vanitas. Qui comunione è liberazione. 
«La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (1Gv 1, 3b). Quando per grazia si diventa amici di Dio, la comunione sviluppa un irresistibile moto di condivisione della vita di tutti i fratelli uomini in ogni ambiente dell’umana esistenza. La gratitudine per avere tutto ricevuto genera gratuità nel tutto dare. 

6. Carissimi, il carisma cattolico che lo Spirito ha dato a Mons. Giussani, che la Chiesa ha universalmente riconosciuto, e di cui decine di migliaia di persone in tutto il mondo possono oggi godere, è fiorito in questa santa Chiesa ambrosiana. L’amore che Mons. Giussani le portava è documentato da mille e mille segni e testimonianze. Per i fedeli di questa diocesi appartenenti al Movimento di Comunione e Liberazione questo dato di fatto costituisce una responsabilità che chiede di essere sempre rinnovata: praticare, nella cordiale assunzione del principio della pluriformità nell’unità, una profonda comunione con tutta la Chiesa diocesana che vive ad immagine della Chiesa universale. Questa comunione è con l’Arcivescovo, con i sacerdoti, con i religiosi e le religiose, con tutte le aggregazioni di fedeli, con tutti i battezzati e con tutti gli abitanti della nostra “terra di mezzo”. 
L’Incontro dei Movimenti ecclesiali e delle Nuove comunità del 30 maggio 1998 con il Beato Giovanni Paolo II ha segnato un irreversibile passaggio a una nuova fase ecclesiale confermata dagli eventi che si stanno producendo nella Chiesa e nel nostro Paese. 
Come ricorda incessantemente Benedetto XVI questo è il tempo della nuova evangelizzazione a cui tutte le realtà ecclesiali debbono concorrere in armoniosa unità. 
L’uomo post-moderno domanda salvezza, consistenza: per questo ha bisogno di testimoni di quella forma bella del mondo (Ecclesia forma mundi) che è la santa Chiesa di Dio.

7. «Donaci largamente l’aiuto della tua grazia e assicuraci la gioia di trovare scritti i nostri nomi in cielo». Queste parole della Preghiera dopo la Comunione dicono la fonte della nostra letizia e della nostra speranza: Gesù Cristo vivo in mezzo a noi ed il nostro esserGli familiari per il bene dei nostri fratelli uomini. Amen.
[Modificato da Credente 25/09/2012 22:29]
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15/03/2012 22:11
 
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Tre riflessioni sul sacerdozio femminile

Patty Ryle Clay, laureata in teologia protestante presso la Emory University di Atlanta, ha lavorato come pastore metodista per 23 anni, entrando nella Chiesa cattolica nel 2009 scriveva: «Avevo un pò di pentimento nelrinunciare alle mie credenziali come pastore metodista: non poter celebrare più l’Eucaristia. Il sacro privilegio di seppellire una persona cara o di battezzare un bambino sarebbero state solo esperienze passat. Tuttavia oggi Patty ha le idee più chiare: «Non voglio e non ho bisogno di essere un prete, nemmeno in un ordine di donne cattoliche, e il mio viaggio è diverso adesso», dice. «Quando rifletto sul mio passato, la lenta realizzazione che ha portato tutta la mia vita contemplativa, l’attrazione e l’affinità con la mistica medievale, un profondo desiderio di vivere la comunità cristiana. Mi rendo conto che tutti questi fattori mi hanno portato fino ad un punto di non ritorno». Questa donna ha lasciato il suo ruolo e ha accolto con letizia il suo posto nella Chiesa cattolica, senza sentirsi discriminata o meno importante.

 

In occasione della Festa della donna, offriamo un contributo sulla questione del sacerdozio femminile, un tema di attualità, sopratutto dopo la rivoluzione femminista e il rientro nella Chiesa -dopo quasi mezzo millennio di separazione-, di una parte consistente della Comunità anglicana. La Chiesa prescinde dal tempo ed è superiore alle mode e ai movimenti politici-ideologici, tuttavia ha più volte affrontato la questione, affermando chiaramente che non vi sono motivi pregiudizievoli contro il sacerdozio alle donne.  Per chi volesse capire meglio la posizione della Chiesa, cristiani o non cristiani, credenti o non credenti, ecco tre riflessioni.

1) Diamo precedenza alla risposta del card. Joseph Ratzinger nel 2005: «La domanda è se una certa realtà viene dal Signore o no, e da che cosa sia possibile capirlo. La risposta, confermata anche da Giovanni Paolo II, che noi, come Congregazione per la Dottrina della Fede, abbiamo dato in merito al problema dell’ordinazione delle donne non dice che ora il Papa ha posto un atto dottrinale infallibile. Egli ha piuttosto constatato che la Chiesa, i vescovi di ogni luogo e tempo, hanno sempre insegnato questoe hanno sempre agito in questo modo [...]. Non si tratta dunque, come detto precedentemente, di un atto di infallibilità posto dal Papa, ma il suo carattere vincolante si basa sulla continuità della tradizione. Infatti questa continuità dall’origine è già qualcosa di molto importante. Tanto più che allora non era affatto una cosa ovvia. Infatti, le antiche religioni conoscevano l’istituzione delle sacerdotesse, e lo stesso avveniva anche nei movimenti gnostici [...]. La tradizione non è nata dal mondo circostante, ma dall’interno del cristianesimo». (Da Peter Seewald, Joseph Ratzinger, “Il sale della terra: Cristianesimo e Chiesa Cattolica nel XXI secolo”, Edizioni San Paolo 2005). L’attuale Pontefice si è spesso rivolto alle donne, sottolineando la loro genialità e la quantità di Sante che hanno segnato in modo indelebile il percorso del cristianesimo nell’Europa e nel mondo.

2) Nel 2009 lo scrittore Vittorio Messori ha ripreso la questione rispondendo ad un articolo di Aldo Cazzullo. In quell’occasione ha parlato dell’ordinazione maschile come di «intangibile ‘elemento costitutivo’ della Chiesa non solo cattolica, ma anche ortodossa». Ha quindi citato la lettera «Ordinatio Sacerdotalis» (1994) di Giovanni Paolo II: «Al fine di togliere ogni dubbio su una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire a donne l’ordinazione sacerdotale [...]. Il fatto che Maria Santissima, Madre di Dio e della Chiesa, non abbia ricevuto la missione propria degli apostoli né il sacerdozio ministeriale, mostra chiaramente che la non ammissione delle donne all’ordinazione non può significare una loro minore dignità o una discriminazione. Il ruolo femminile nella vita e nella missione della Chiesa, pur non essendo legato al sacerdozio ministeriale, resta assolutamente necessario e insostituibile»Sono migliaia oggi le donne che «hanno responsabilità di direzione nella Chiesa universale»come ha spiegato Claudine Gatayija Uwizera sull’Osservatore Romano. Messori continua a citare Giovanni Paolo II,: «Nell’ammissione al servizio sacerdotale, la Chiesa ha riconosciuto come norma il modo di agire del suo Signore nellascelta di dodici uomini che ha posto a fondamento della sua Chiesa»Anche se volessimo, non possiamo, si obbedisce «a una rivelazione, non a una ideologia umana». Ovviamente questo -sottolinea Messori- è comprensibile solo in una prospettiva di fede.

3) Segnaliamo infine la risposta data pochi mesi fa da padre Angelo Bellon sul bellissimo sito “Amici Domenicani”«la Chiesa non porta nessuna motivazione per dire che la donna sia meno capace dell’uomo di svolgere il compito inerente all’Ordine sacro. Si potrebbe addirittura dire che la donna sembri più adatta. Ma non si può pensare che il Signore, che ha mostrato di non temere affatto di andare contro le tradizioni degli uomini, abbia voluto tener conto della mentalità del tempo». Gesù, continua il domenicano,«dal momento che sapeva benissimo di istituire la Chiesa e che ne garantiva la durata fino alla fine del mondo, avrebbe potuto – se voleva – porre delle premesse per una maggiore adattabilità su questo punto, tanto più che in Israele c’erano donne che spendevano la propria vita per dedicarsi al servizio del tempio». Viene anche fornita una motivazione teologica opportuna, aldilà della fedeltà alla Tradizione e alla decisione di Gesù: «Poiché i sacramenti sono segni sacri e l’ordine sacro è costituito di persone e non di cose, il maschio esprime più visibilmente il mistero di Cristo sposo e salvatore della Chiesa e di ciascuno di noi». L’importanza è alla santità e non tanto alla funzione svolta: «Anche un bambino può essere più santo di un prete o di un vescovo». A proposito di bambini: tra i milioni di pellegrini di Lourdes pochi sanno il nome del parroco e forse nessuno quello del vescovo, ma tutti conoscono e venerano lapiccola analfabeta che Maria scelse come sua portavoce e che la Chiesa, gestita da uomini, pose sugli altari.

Antonio Tedesco e Luca Pavani

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25/09/2012 22:01
 
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Il Padre spirituale nel cammino della vita cristiana

Padri dello spirito hanno sempre indicato l’importanza del padre spirituale nel cammino della vita cristiana.
Lo ha ricordato anche papa Benedetto: “Vorrei dire che [il padre spirituale] rimane valido per tutti – sacerdoti, persone consacrate e laici, e specialmente per i giovani – l’invito a ricorrere ai consigli di un buon padre spirituale, capace di accompagnare ciascuno nella conoscenza profonda di se stesso, e condurlo all’unione con il Signore, affinché la sua esistenza si conformi sempre più al Vangelo. Per andare verso il Signore abbiamo sempre bisogno di una guida, di un dialogo. Non possiamo farlo solamente con le nostre riflessioni. E questo è anche il senso della ecclesialità della nostra fede, di trovare questa guida”.

Chi è il padre spirituale?
Nei testi sacri troviamo un insegnamento molto eloquente. E’ quello di Tobia, al quale, dovendo egli intraprendere un lungo e difficile viaggio, il padre Tobi gli dice: “Cercati, o figlio, un uomo di fiducia che ti faccia da guida!” (Tb 5,3)
Nel libro di Samuele quando Samuele si sente chiamare, e non capisce che è il Signore a chiamarlo, sarà Eli a spiegarglielo e a istruirlo su come rispondere alla chiamata.
Il padre spirituale è colui che risveglia la vita spirituale di una persona dandole l’impulso a iniziare un rapporto vivo con Gesù. E’ colui che indica come nutrire la nostra fede, come tenerla sempre viva, che anche ci richiama e ci aiuta a svilupparla e viverla nelle situazioni che la vita ci presenta.
Il padre spirituale è la guida nella vita in Cristo; conduce alla comunione cοn Cristo; è l’esperto consigliere e l’infaticabile sostenitore. Padre spirituale è chi indica il nutrimento per la vita di fede, la tiene desta, la richiama, aiuta a svilupparla e a viverla nelle varie situazioni che man mano si presentano.

In quanto trasmettitore della vita divina il padre spirituale è dono di Dio, un dono gratuito.
Il desiderio di perfezionamento della vita cristiana, di continuare ad approfondirla fa cercare una persona che si ritiene capace di offrire la parola di Dio e la sua sapienza, di accompagnare a lui, di aiutare ad aprire a Gesù le porte del cuore, di insegnare a discernere i pericoli della vita interiore e della fede, e a riconoscere, quindi a vincere, gli spiriti del mondo per accogliere solo lo Spirito Santo!
La pienezza della paternità e della maternità appartiene alla Chiesa, cui spetta il ruolo di Madre della nostra vita divina! All’interno della Chiesa varie persone svolgono il servizio della sua maternità come carisma o come ministero. Fra queste ne possiamo scegliere una, seguendo un impulso dello Spirito Santo o qualche segno della bontà di Dio che, provvidenzialmente, ce la fa incontrare.

I tratti fondamentali del padre spirituale

Sono due i tratti fondamentali che connotano il Padre spirituale.
Ιl primo è quello di saper leggere nel cuore dei discepoli e operare un discernimento.
Cardiognosi, così i greci chiamavano il dono della conoscenza del cuore.
Si tratta della facoltà di cogliere intuitivamente i segreti dei cuori, di comprendere le profondità nascoste di cui l'altro non è consapevole. Questa dimensione è più di ordine spirituale che psicologica; infatti essa è il frutto della grazia, che presuppone una preghiera attenta e un continuo combattimento ascetico.

Ιl secondo carisma del padre spirituale è l'amore; la capacità di amare gli altri e di accogliere come proprie le loro sofferenze e le loro tentazioni. Senza amore nοn vi può essere paternità spirituale. L'amore, è il fondamento e l'essenza della paternità spirituale.
La relazione tra figlio e padre spirituale
La relazione cοn il padre spirituale nοn può essere automatica. Essa presuppone la risposta all'amore e alla sollecitudine che il padre spirituale esercita nei confronti del proprio figlio.Ιl primo presupposto fondamentale è l' amore. Il legame che si intesse tra il padre e il figlio spirituale è l' amore vicendevole. Αll'amore del padre spirituale il credente risponde con il suo amore. «Νulla rende attraente l'insegnamento quanto l'amare e l'essere amato» ammonisce Giovanni Crisostomo. I legami spirituali sono più forti di quelli naturali e l'amore che nasce da Cristo è più forte di quello generato dal legame di sangue.
Il secondo tratto è la fiducia verso la sua persona. Quando lο riconosciamo nοstra guida lungo la νia della salvezza. Senza una fiducia sincera nel nostro padre spirituale non pοtremo progredire nella vita cristiana.
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12/01/2013 17:31
 
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Studio USA:
il sacerdozio è l’occupazione che rende più felici

Tra le molteplici curiosità che si possono trovare nel web, una merita certamente di essere menzionata. Il tutto nasce da una domanda: “Ci può essere una relazione tra felicità e lavoro?”, la quale ha fatto si che la National Organization for Research presso l’University of Chicago si mettesse all’opera per stilare una sorta di classifica in cui si identificano le occupazioni che rendono più felici e quelle che invece, hanno il rendimento opposto. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Forbes.

Qualcuno ha definito questi risultati come sorprendenti, io sinceramente non mi sento di dare questo giudizio. E il motivo è semplice se si considera che la caratteristica comune delle occupazioni che rendono felici è il donarsi agli altri. Le dichiarazioni degli intervistati, infatti tengono tutte ad esaltare quanto renda felici l’interazione sociale e l’aiuto delle persone. E’ così che ovviamente, troviamo al primo posto il sacerdote (“i meno mondani sono segnalati per essere i più felici di tutti”, si dice sulla celebre rivista statunitense) seguito dai vigili del fuoco, fisioterapisti, scrittori, insegnanti, artisti, psicologi ecc.. La caratteristica comune dei mestieri che, al contrario di quelli sopra, causano insoddisfazione sono invece quelli che coinvolgono meno relazioni umane: il manager, il macchinista, i tecnici elettronici ecc..

Un’altra domanda che sorge è questa: “Perché i lavori con una paga più bassa rendono più felici degli altri?”. Ci ha pensato Todd May a rispondere, sostenendo sul New York Times che “la persona che vive la vita vuole essere impegnato da essa, una vita di impegno per le cause più degne – come dare cibo e vestiario ai poveri o soccorrere i malati – si riempie di significato”.

L’uomo, dunque ha bisogno di certezze e di significati autentici che possano giustificare la propria occupazione nella vita, che possano dare un senso alla vita stessa. Non c’è maggior realizzazione di ciò che nel ministero sacerdotale, in cui l’uomo con la vera vocazione si sente amato, protetto, figlio dell’unico Padre che ama tutti indistintamente; ma ciò avviene anche quando si opera il bene mettendosi a disposizione degli altri, senza differenze.

Antonio Ballarò

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11/07/2013 16:33
 
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La scelta del celibato per il regno dei cieli è un atto libero, di chi ha scelto di farsi eunuco per il regno di Dio, ovvero di lasciare (il che equivale a non prendere ) per esso, casa, MOGLIE,.... FIGLI...secondo il carattere preferenziale dato da Cristo stesso a tale scelta. (Mat 19,12 ... vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca».)

Molti, sin dai primi secoli cristiani abbracciarono lo stato di castità, spinti da queste prerogative, e la Chiesa, considerando la maggiore disponibilità di tempo e di dedizione che essi potevano garantire nell'esercizio del ministero, decise di affidare il compito pastorale alle persone che liberamente, per amore del Vangelo, abbracciavano lo stato di celibato, avendo premura di procurare per il popolo di Dio, pastori dal cuore indiviso, dedito a Dio e ai fratelli.
Si tratta dunque di una scelta di opportunità, non di una norma immodificabile. Finche vi saranno persone che volontariamente scelgono il celibato, la Chiesa sceglierà loro per essere eventualmente preparati anche a diventare pastori. Nel momento in cui non vi fosse un numero sufficiente di tali volontari, la Chiesa potrebbe decidere di affidare il ministero anche a persone che decidono di sposarsi, (ai quali attualmente viene dato comunque il diaconato o altri compiti meno impegnativi di quello presbiterale o vescovile).

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19/07/2014 13:03
 
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Messori sul celibato dei preti


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L’ennesima controversa “intervista” rilasciata da papa Francesco a Eugenio Scalfari, pubblicata su Repubblica del 13 luglio, ha scatenato un putiferio e le reiterate e ormai rituali smentite del Vaticano.  In questo colloquio il Papa avrebbe, fra le altre cose, sostenuto che «il celibato fu stabilito nel X secolo, cioè 900 anni dopo la morte di nostro Signore», quasi a volerlo sminuire e declassare a mero strumento disciplinare piuttosto che teologico. E infatti avrebbe aggiunto: «La Chiesa cattolica orientale ha facoltà fin d’ora che i suoi presbiteri si sposino». Questo per quel che concerne il passato. Quanto al futuro prossimo, Francesco avrebbe sostenuto che «il problema certamente esiste ma non è di grande entità. Ci vuole tempo ma le soluzioni ci sono e le troverò». Le cose stanno veramente come avrebbe detto il Papa a Scalfari? Siamo andati a chiederlo al grande scrittore cattolico Vittorio Messori.


***


Messori, ha letto l’intervista rilasciata da papa Francesco a Eugenio Scalfari, su Repubblica del 13 Luglio?


Naturalmente. Stante la selva di smentite, delle quali è oggetto, resta da capire quanto è farina del sacco di Scalfari e quanto di Bergoglio. In questioni clericali non è la prima volta che Scalfari mostra molta immaginazione: l’anno scorso dopo l’intervista al papa quello stesso giornalista sostenne che il gesuita Bergoglio, era il papa che «qualche giorno fa, ha finalmente beatificato il suo fondatore, sant’Ignazio di Loyola», sbagliando di soli quattro secoli.  E questo la dice lunga sulla sua conoscenza della storia della Chiesa.


Il Santo Padre in quell’intervista, a detta di Scalfari, avrebbe relativizzato la vexata quaestio del celibato ecclesiastico, ossessione di tutti i clericali “liberal”, che portano l’esempio di rabbini, pope ortodossi, pastori protestanti che possono sposarsi. Francesco ha risposto che il celibato fu stabilito solo nel X secolo, «cioè 900 anni dopo la morte di nostro Signore».


No, guardi, non vorrei davvero dar lezione a un pontefice, ci mancherebbe!  Ma ho esaminato storicamente il problema anni fa, pubblicando al proposito una decina di pagine fitte di dati  in un mio libro, “Emporio Cattolico“. Le cose non stanno così, l’astensione dal matrimonio risale addirittura ai primi tempi apostolici.


Pietro, il principe degli Apostoli, primo papa, era sposato.


Ma da prima che conoscesse Gesù. Non sappiamo dopo… In realtà, bisognerebbe usare il termine più ampio di continenza: da osservare non solo rinunciando al matrimonio, ma anche non usando del matrimonio se già ci si è sposati. In effetti, nella Chiesa antica, la maggioranza del clero era composta di uomini maturi che, col consenso della moglie, accedevano agli Ordini sacri, lasciando la famiglia, alle cui necessità materiali provvedeva la comunità dei credenti.


Abbandonare la famiglia per accedere ai sacri ordini le sembra così cristiano?


Va inquadrato in quelle parole dove Gesù promette «il centuplo su questa terra e nell’aldilà la vita eterna» a coloro che, per amor suo e del Regno, «hanno abbandonato casa, genitori, fratelli, moglie, figli».


Insomma, il sacerdozio è una rinuncia radicale,  in vista  di una ricompensa più grande, che non è di questa terra. Anche grandi predicatori del Medioevo, pensiamo a Bernardino da Siena, insistevano sulla superiorità dello stato celibatario rispetto a quello matrimoniale, anche per i laici.  E,  sopra tutto,  c’era il sacerdozio sacramentale.


Del resto, riflettiamo forse poco su un dato: Gesù, sommo sacerdote, non prese mai moglie. Lo ricordò lo stesso Benedetto XVI nella Sacramentum Caritatis: «Il fatto che Cristo stesso, sacerdote in eterno, abbia vissuto la sua missione fino al sacrificio della croce nello stato di verginità costituisce il punto di riferimento sicuro per cogliere il senso della tradizione della Chiesa latina a questo proposito».


Eppure molti, persino l’attuale “Vescovo di Roma”, sono convinti che il celibato sacerdotale sia stato solo un fatto contingente, senza alcuna ragione, diciamo, teologica, ma solo disciplinare.


È una storia vecchia. Anche dopo la Riforma protestante, dopo la Rivoluzione Francese, così dopo il Vaticano II con la rivoluzione sessuale del ’68, ci furono abbandoni in massa da parte del clero, per sposarsi. Si contestava il celibato legato al sacerdozio perché giudicato non come una conseguenza fondata e legittima della prospettiva evangelica, bensì come derivato di una decisione ecclesiastica, per giunta tardiva e limitata all’Occidente.


Ma guardi che lo stesso Francesco avrebbe detto a Scalfari che «la Chiesa cattolica orientale ha facoltà fin d’ora che i suoi presbiteri si sposino»


Anche questa è una storia vecchissima; le cose non stanno proprio così. Il cardinale Alfons M. Stickler, un coltissimo salesiano già bibliotecario di Santa Romana Chiesa, nel suo denso saggio Il celibato ecclesiastico. La sua storia e i suoi fondamenti teologici, comincia proprio dalla Chiesa Orientale la sua meticolosa ricostruzione e da sempre, ci racconta, si è rimproverata la Chiesa Occidentale di essere stata meno liberale e ben più rigida di quella Orientale in questioni   celibatarie…


Dicono anche che proprio la Chiesa d’Oriente avrebbe mantenuto la originale disciplina primitiva, ammettendo la deroga al celibato sacerdotale. Ergo, la Chiesa latina per un questione di autenticità e di opportunità, dovrebbe adeguarvisi; non per aggiornarsi, ma anzi per riallacciarsi alla Tradizione autentica.


Nelle Chiese d’Oriente solo i preti e diaconi possono usare del matrimonio, purché sia il primo ed unico e sia stato contratto prima dell’ordinazione. I monaci e i vescovi sono tenuti alla continenza assoluta.


Da sempre questo?


Tutti i documenti che ha raccolto Stickler mostrano che per molti secoli anche in quelle comunità cristiane fu indiscussa l’astensione praticata in Occidente e che le eccezioni che vengono sbandierate dai “liberal” risalgono in realtà  a fonti apocrife.  Fu nel 691, al Concilio Trullano, che si stabilì quanto ancora oggi è in vigore per gli ortodossi. Ma fu una esplicita resa a una situazione di fatto, agli abusi, vissuti come scandalosi, perché negavano nei fatti l’origine apostolica della continenza. E fu possibile allargare i cordoni, tra le proteste di molti vescovi, solo per l’intervento dell’imperatore di Bisanzio vero pontefice a Costantinopoli.


Che conclusioni ne traiamo?


È dunque accertato che la disciplina dei cristiani orientali era, nei primi secoli, omogenea a quella degli occidentali: la Chiesa, in questo indivisa, esigeva dai suoi ministri verginità, celibato, continenza. Ma un simile obbligo, tanto contrastante con l’istinto naturale e dunque così difficile da osservare, esigeva un’autorità, un’organizzazione, un controllo costante, un Magistero energico e centrale: tutte cose che difettavano alle Chiese d’Oriente, prive di un papato.



Con che precedenti storici si cercò di giustificare il celibato facoltativo per i preti orientali, accertato che comunque il celibato anche fra di loro era considerato di origine apostolica?

In effetti ci si trovò a glissare sugli oneri che dal chierico esigeva il Nuovo Testamento e si fece un salto indietro, al Vecchio Testamento, sulla falsariga dei sacerdoti del Tempio, tenuti alla continenza solo nel periodo del loro turno di servizio. Osserva Stickler: «Questa disposizione significava un ritorno alla prassi dei sacerdoti del giudaismo, tenuti all’astinenza solo quando era il loro turno per il servizio nel tempio di Gerusalemme. Prassi che la Chiesa antica aveva sempre rifiutato, con chiare ragioni». E prassi, aggiungiamo, basata sul fatto che allora il servizio all’altare era, in Oriente, limitato alla domenica.

Il cardinale Stickler nel suo studio dimostrava, con tanto di fonti, oltre che l’origine apostolica del celibato ecclesiastico anche quello questione castità.

Non furono mai considerati un’innovazione, bensì un dato di fatto ereditato dalla Tradizione primitiva. Tutto discusso e approvato anche dai successivi concili. In quello di Cartagine nel 390, in piena comunione con tutte le altre Chiese locali, si approvò all’unanimità la seguente dichiarazione: «Conviene che tutti coloro che servono ai divini sacramenti (vescovi, sacerdoti, diaconi) siano continenti in tutto, affinché custodiscano ciò che hanno insegnato gli apostoli e ciò che tutto il passato ha conservato». Dunque, ci si riferisce esplicitamente a una Tradizione indiscussa, che viene semplicemente confermata. E i Padri dell’Occidente – Ambrogio, Girolamo, Agostino – sono concordi su verginità o celibato o continenza non solo per i sacerdoti ma anche per i diaconi.

Quindi nell’era costantiniana la continenza dei chierici viene codificata….

Siamo più precisi. Verso l’epoca costantiniana lo jus diventa lex, ma quest’ultima non sancisce cose nuove, bensì mette per iscritto una Tradizione. Infatti Stickler aggiunse: «Chi volesse affermare il contrario, non solo peccherebbe contro un metodo storico cogente ma taccerebbe di bugiardi tutti i testi unanimi che abbiamo ascoltato, poiché di ignoranza della Tradizione non li si potrebbero accusare».

Il Papa è “bugiardo” o “ignorante”?

Andiamoci piano, anche se qui  siamo di fronte  solo a un colloquio privato, non certo a un testo magisteriale:  non si sa nemmeno che cosa abbia detto il papa. Sappiamo che cosa ha detto Scalfari, o meglio: cosa ha capito, affibbiandolo poi al papa. Non dimentichi l’aneddoto su sant’Ignazio…

Abbiamo detto che nell’Antico Testamento i sacerdoti e i leviti potevano usare del loro matrimonio una volta terminati i loro turni di servizio sacro nel Tempio. Sarebbe praticabile una cosa del genere, teologia a parte, ai sacerdoti cattolici?

Papa Siricio, nel 385, afferma solennemente che «i sacerdoti e i diaconi che anche dopo l’ordinazione praticano le loro mogli, agiscono contro una legge irrinunciabile che lega i chierici maggiori sin dall’inizio della Chiesa». Papa Siricio ricorda che i sacerdoti del Nuovo Testamento devono prestare il loro servizio ogni giorno e, pertanto, dal momento della loro ordinazione sacra devono vivere in una continua e perfetta continenza.

Ci rifletta: il pastore protestante, terminato il suo sermone settimanale, ha quasi terminato il suo compito. Così il rabbino. Possiamo dire la stessa cosa dei preti cattolici? Il compito del prete non finisce con la messa della domenica. È una missione, la loro, senza soste, 7 giorni su 7, in teoria a disposizione dei fedeli e di Dio 24 ore su 24. È praticamente impensabile un prete cattolico sposato… sarebbe o un pessimo marito o un pessimo prete, o più sicuramente pessimo marito, padre e prete. Senza contare le dinastie sacerdotali, le caste familiari che ne nascerebbero.

Datando il celibato a mille anni fa, papa Francesco sembra rifarsi a un cavallo di battaglia della propaganda manipolata dei vecchi luterani e calvinisti, che collocavano il celibato e la castità  clericale al 1139, col secondo Concilio del Laterano.

In realtà si stabilì proprio allora che eventuali matrimoni contratti da componenti del clero non erano soltanto illeciti ma anche invalidi. Dunque nulli, mai avvenuti. Questa grave sanzione sta a testimoniare proprio che quell’obbligo era una disciplina radicata, sempre esistita.

Nell’intervista a Scalfari il papa ha fatto presente anche la sua stima per la comunità Valdese… notoriamente favorevole a matrimoni di tutti i tipi, gay compresi… nonché  vescovesse, magari lesbiche militanti.

Guardi, a proposito dei Valdesi. È emblematico il fatto che, preoccupati soprattutto di restare fedeli alla Chiesa delle origini, abbiano stabilito il celibato per i loro pastori, i “barba”  (gli zii, come li chiamavano), e vi abbiano rinunciato a malincuore e tra polemiche solo nel XVI secolo, per aderire alla Riforma calvinista.


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09/12/2018 18:41
 
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4 pilastri secondo il Papa per custodire la vocazione
anche in momenti di crisi

ŻARTY O KSIĘDZU
Francesco avverte: quando emergono i limiti, chi aspira alla vita religioso deve chiedere l'aiuto di una persona più anziana

E’ possibile che una persona consacrata o un seminarista attraversi un momento di crisi. Ed è proprio in quelle fasi che non bisogna di lasciar tutto o abbandonarsi alle tentazioni.

Papa Francesco in “La forza della mia vocazione” (Dehoniane)consiglia come affrontare questi momenti delicati. Partendo da una premessa: va fatta una formazione efficace alla persone che intende intraprendere la vita religiosa.

«La formazione deve essere basata su quattro pilastri – afferma il Papa –la vita spirituale, la vita comunitaria, la vita di studio e la vita apostolica. Tutti questi aspetti devono interagire tra loro. Occorre mettere in situazione la persona in formazione. È molto importante la vita comunitaria, perché è lì che appaiono i limiti, per contrasto. Uno si conosce e viene conosciuto. Questo si vede molto chiaramente».

 

La gestione dei propri limiti

«Se il formatore vede che qualcuno non se la cava bene con i propri limiti – osserva Bergoglio – faccia bene attenzione, perché là vi sono degli indizi di una nevrosi o di qualche immaturità, che si dovrà vedere come poter instradare, governare, mettere da parte… Ma, per l’amor di Dio! Non forzino i propri limiti né quelli degli altri. Che li gestiscano bene. Nelle quattro dimensioni che ho detto».

Il supporto di un “anziano”

Di fronte ai limiti, rimarca Francesco, «voglio dire che non bisogna allarmarsi, ma accompagnare e, se è possibile, lavorare per superarli».

E consiglia: «Il religioso o la religiosa devono cercare di camminare con il compagno o la compagna di cammino più anziano, con maggiore esperienza».

L’accompagnamento

«La compagnia è necessaria – sentenzia il Papa – È necessario chiedere anche la grazia di saper accompagnare, ascoltare. Nella vita consacrata, molte volte, uno dei problemi più grandi nel quale si imbatte un superiore o una superiora provinciale è vedere che un fratello o una sorella è solo, cammina da solo. Che succede? Nessuno lo accompagna? In fondo, non si può crescere nella vita consacrata né essere formato, senza una persona che ti accompagni».

 

La compagnia da cercare

Mai lasciare solo nella difficoltà il religioso o la religioso. «E questo, evidentemente, non si improvvisa. È un’abitudine che va presa fin dal noviziato. È bene abituarsi a questo, perché se uno non ha una compagnia buona, può finire per trovarne una cattiva. Le persone sole non riescono a camminare. Una persona consacrata deve ricercare una compagnia di questo tipo, accettarla… una compagnia che gli faccia da contrasto, che sappia ascoltare. Forse – conclude Bergoglio – non è facile incontrare la persona ideale, ma esiste sempre qualcuno che possa fare un po’ da “fratello maggiore”, con cui poter parlare e confidarsi».


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