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RIFLESSIONI E COMMENTI BIBLICI (vol.2)

Ultimo Aggiornamento: 01/07/2011 10:21
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03/01/2011 14:21
 
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padre Lino Pedron
Commento su Giovanni 1,29-34

Il mistero della persona sconosciuta che deve venire dopo il Battista, viene svelato solo "il giorno dopo" (v. 29), quando gli inviati ufficiali dei giudei erano scomparsi dalla scena.

Giovanni, concentrandosi tutto su Gesù che gli veniva incontro, esclama: "Ecco l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo" (v. 29).

L'evangelista Giovanni, richiamandosi ai brani del "Servo sofferente di Dio", l'Innocente che porta su di sé il peccato dell'umanità (cfr Is 42,1-4; 52, 3-53, 12), presenta Gesù come l'Agnello-Servo che toglie le colpe degli uomini con la sua parola e con la sua verità e l'Agnello pasquale che comunica loro la vita nuova con la sua sofferenza e la sua morte in croce (cfr Es 12,1-28; 1Gv 1,7).

Con l'espressione "il peccato del mondo", Giovanni non intende tanto un peccato particolare e neppure la totalità dei peccati, ma quella mentalità sbagliata del mondo che si oppone a Dio e che costituisce la causa di ogni peccato e del rifiuto di Dio. Di conseguenza, il Cristo non assumerà la funzione del Messia politico trionfatore, ma quella del Messia umile e sofferente, che non conoscerà successi e non sarà capito dagli uomini.

Gesù è dunque il personaggio sconosciuto di cui ha parlato il Battista (Gv 1,26). Egli è superiore a lui perché esisteva prima di lui: la sua preesistenza divina è fuori del tempo e dello spazio. Se per i sinottici la superiorità di Gesù sul Battista si manifestava in una potenza più grande (cfr Mc 1,6; Mt 3,11; Lc 3,16), per Giovanni sta nella sua condizione divina.

Il mistero del Figlio di Dio è svelato al Battista quando Gesù viene al Giordano. Giovanni proclama pubblicamente il modo con il quale ha visto lo Spirito Santo scendere sul Messia. Il segno che convalida tale messianicità sta nel fatto che egli vede lo Spirito "scendere dal cielo come colomba" (v,32). La colomba indica Israele. Lo Spirito che scende sotto forma di colomba è il simbolo dell'annuncio della nascita del nuovo Israele di Dio, che inizia con Gesù.

Lo Spirito scende su Gesù, lo riempie e vi rimane, impossessandosi di lui, come dono di Dio in modo pieno e stabile (cfr Is 11,2-3). Egli diviene così la nuova dimora di Dio, il Tempio dello Spirito, fonte perenne di salvezza per tutti i discepoli (cfr Gv 3,24).

Il battesimo "nell'acqua" dato dal Battista, a confronto con quello "nello Spirito" dato da Gesù è solo la preparazione a riconoscere colui che comunica lo Spirito.

La testimonianza storica del Battista ha lo scopo di far sbocciare la fede del discepolo nella persona di Gesù. Essa raggiunge il suo vertice nella proclamazione che Gesù è l'"eletto di Dio".

Con lo Spirito che scende dal cielo sul Figlio dell'uomo, è iniziato il cammino dell'umanità nel suo ritorno al Padre, è cominciata la creazione del nuovo Israele.

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05/01/2011 12:10
 
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padre Lino Pedron


Come Andrea ha trovato Simone, così Filippo trova Natanaele. Ed entrambi esprimono la loro gioia: "Abbiamo trovato!".
Queste "vocazioni" sono soprattutto il risultato della comunicazione reciproca fra i primi discepoli. Gesù regge le fila di tutta questa storia: si parla di lui, si viene da lui e si va a lui. Egli è presente soprattutto per dare spazio al gioco delle libertà umane che egli anima.
Filippo incontra Natanaele e comunica all'amico l'esperienza fatta incontrando il Messia nella persona di Gesù. L'annuncio di Filippo si fonda sulla Scrittura. Egli riconosce in Gesù l'atteso d'Israele, colui nel quale si compie la promessa fatta ai Padri di suscitare in Israele un profeta come Mosè (cfr Dt 18,18-19).
La reazione di Natanaele esprime il suo scetticismo: il Messia non può avere la sua patria in un villaggio insignificante come Nazaret. Siamo di fronte allo scandalo di sempre, che tutti coloro che non sono ancora giunti alla fede sollevano di fronte alla persona di un Dio che si fa uomo come noi. Siamo di fronte alla logica evangelica del piccolo segno da cui deriva il massimo bene, che è nascosto all'uomo che si ritiene sicuro di sé in questo mondo.
Filippo non tenta di chiarire o risolvere il dubbio dell'amico, ma cerca di invitarlo ad un'esperienza personale con il Maestro, la stessa da lui vissuta in precedenza e che ha cambiato la sua vita. Solo la fede è capace di far superare i motivi di scandalo e di autosufficienza umana.
Gesù fa l'elogio di Natanaele presentandolo come un autentico israelita senza doppiezza. Egli conosce bene Natanaele anche se lo incontra per la prima volta, perché conosce tutti (cfr Gv 2,24) e sa ciò che vi è nell'uomo (cfr Gv 2,25).
L'espressione rabbinica: "Essere seduti sotto il fico" significa "studiare la Scrittura" (cfr Abba b. Kahana: Midrash a Ct 4,4). Con l'espressione: "Ti ho visto quando eri sotto il fico" (v. 48),Gesù vuol far capire a Natanaele l'acutezza della sua conoscenza sovrumana. La reazione di Natanaele è una professione pubblica di fede nella messianicità di Gesù.
Le cose maggiori promesse da Gesù sono concretizzate nella visione degli angeli che scendono e salgono sul Figlio dell'uomo. Con questa frase finale del v. 51, Gesù allude al Libro della Genesi 28,12. Egli promette una teofania, cioè una manifestazione di Dio, simile a quella avvenuta a Betel. Difatti sta per rivelare la sua gloria con il segno di Cana (Gv 2,11), anticipo della rivelazione suprema che avverrà con la sua morte e risurrezione (cfr Gv 17,1). "Il Figlio dell'uomo è il ‘luogo' della piena rivelazione di Dio (Betel), in cui Dio svela la sua gloria a coloro che guardano con l'occhio della fede" (Schnackenburg).

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08/01/2011 08:55
 
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padre Lino Pedron
Commento su Marco 6,34-44

Gesù ha pietà della folla perché è disorganizzata. Non c'è nessuno che si occupi di essa ed è abbandonata a se stessa: non forma un popolo ma un'accozzaglia. La pietà di Gesù si traduce in insegnamento. Nel vangelo di Marco, quando Gesù si trova con la folla, si può stare certi che non perderà l'occasione per istruirla. Il seguito del vangelo ribadirà, con maggiore forza, questa costante di Gesù: "La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli l'ammaestrava, come era solito fare" (Mc 10,1).

Il legame che Marco instaura tra insegnamento e formazione di un popolo non è artificiale. Siamo davanti a un gregge senza pastore, un gregge disperso: solo la parola di Gesù può radunare e riunire gli smarriti e i dispersi. E dopo la parola, il pane; parola e pane che saziano la fame integrale delle folle: come nelle nostre Eucaristie.

Viene in mente l'inquietudine di Mosè, ormai prossimo alla morte, quando chiese a Dio di provvedere alla sua successione dando un capo alla comunità radunata nel deserto (Nm 27,15-17). Anche Ezechiele confidava ai suoi ascoltatori la speranza che Dio si sarebbe preso personalmente cura del proprio gregge procurandogli un buon pasto e dandogli come pastore un nuovo Davide per porre fine al suo errare (Ez 34). Il salmo 23 aveva ripreso questo tema del Dio-pastore che offre al suo popolo il riposo per rinfrancarlo e apparecchiargli la mensa.

Il riposo dei discepoli consiste nel bere alla fonte della misericordia divina, incarnata in Gesù, e nel fare propria la tenerezza di Dio per il suo popolo: così si impara a diventare apostoli. Gesù li invita a fare propria la sua ansia per le folle: ciò implica il preciso impegno di istruirle e di nutrirle (6,37-41) prima di concedersi il tempo per mangiare e riposarsi (6,31).

Assumendo la sua missione di Pastore-Messia annunciato dai profeti (Es 34,23-25; 37,24) e invocato dalla preghiera del popolo ebraico (Sal 74,1; 77,21; 78,52-53.70-72, 80,1), Gesù comincia ad insegnare loro molte cose (v. 34). Marco, che attribuisce sempre molta importanza all'insegnamento di Gesù, non ne specifica mai il contenuto, come se volesse far capire che questo contenuto è la persona stessa di Gesù.

La prima moltiplicazione dei pani (vv. 33-34) ha sicuramente l'intento di presentarci Gesù come pastore d'Israele che, in luogo deserto, dona il pane al popolo della prima alleanza, agli ebrei. Il racconto viene descritto sul modello del miracolo operato dal profeta Eliseo (2Re 4,42-44), mettendo però in risalto il divario tra i due (venti pani per cento persone in 2Re 4, cinque pani per cinquemila uomini in Marco), in modo che emerga la maggiore grandezza di Gesù rispetto al profeta.

Questa prima moltiplicazione, secondo Marco, avviene in terra d'Israele, sulla riva occidentale del lago. Inoltre, le cifre riportate sembrano avere anche un significato simbolico: i cinque pani moltiplicati ricordano i cinque libri della Legge di cui Gesù era Maestro; i dodici canestri avanzati appaiono come una destinazione del pane alle dodici tribù d'Israele, e la distribuzione per gruppi, certamente, riguarda soltanto il popolo eletto nell'ordine operato da Mosè nel deserto (Es 18,24-26; Dt 1,15).

Tutte queste particolarità indicano la prima moltiplicazione dei pani come azione destinata anzitutto ai giudei e come prefigurazione dell'Eucaristia riservata prima ad essi, quale garanzia del compimento delle promesse dell'Antico Testamento. Lo ricorderà ben presto Gesù alla donna siro-fenicia: "Lascia prima che si sfamino i figli" (Mc 7,27).

Questo brano è iniziato svelando la sorgente del dono del Signore: "vide molta folla e si commosse per loro" (v. 34). La compassione è l'essenza nascosta di Dio, che lo porterà a dare la vita per noi.

Il banchetto che Gesù imbandisce nel deserto è ben diverso da quello di Erode nel palazzo (Mc 6,21-29). Partecipando alla mensa di Cristo, il discepolo passa dall'egoismo e dalla brama dell'avere, del potere e dell'apparire, a una vita nuova nell'amore sotto il segno del dono e del servizio in umiltà. Entra a far parte di un popolo nuovo che ha le caratteristiche del pane che mangia. Perché l'uomo è ciò che mangia. Gesù ha detto: "Chi mangia di me, vivrà per me" (Gv 6,57).

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09/01/2011 18:12
 
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Paolo Curtaz


Il tempo liturgico di Natale si conclude con la festa del Battesimo del Signore: il Dio che è nato a Betlemme nasce nel cuore di ogni discepoli che si fa battezzare.

"Tu sei il mio figlio bene-amato, nel quale mi sono compiaciuto" ."Prediletto", traduce la nostra Bibbia, ma preferisco il più letterale "bene-amato" che soggiace al termine greco originale. Gesù - quindi - è anzitutto "bene-amato" e in lui Dio si "compiace". Tutti noi veniamo educati a meritarci di essere amati, a compiere dei gesti che ci rendono meritevoli dell'affetto altrui; sin da piccoli siamo educati ad essere buoni alunni, buoni figli, buoni fidanzati, buoni sposi, buoni genitori, buon parroco… il mondo premia le persone che riescono, capaci e - dentro di noi - s'insinua l'idea che Dio mi ama, certo, ma a certe condizioni. Tutta la nostra vita elemosina un apprezzamento, un riconoscimento. Dio mi dice che io sono amato bene, dall'inizio, prima di agire, a priori: Dio non mi ama perché buono ma - amandomi - mi rende buono. Dio si compiace di me perché vede il capolavoro che sono, l'opera d'arte che posso diventare, la dignità con cui egli mi ha rivestito. Allora, ma solo allora, potrò guardare al percorso da fare per diventare opera d'arte, alle fatiche che mi frenano, alle fragilità che devo superare. Il cristianesimo è questo: la scoperta che Dio mi ama per ciò che sono, Dio mi svela in profondità ciò che sono: bene-amato. È difficile amare "bene", l'amore è grandioso e ambiguo, può costruire e distruggere, non si tratta di adorare qualcuno, ma di amarlo "bene", renderlo autonomo, adulto, vero, consapevole. Così Dio fa con me.

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11/01/2011 11:27
 
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padre Lino Pedron


L'attività di Gesù si concentra in una giornata a Cafarnao (Mc 1,21-45), poi la sua missione si allarga a tutta la Galilea.
La "giornata di Cafarnao" è il modello in piccolo di quello che sarà tutto il ministero di Gesù. Lo riassumiamo così: Gesù insegna, caccia i demoni, guarisce i malati, prega. Questo è il ritmo fondamentale della vita di Gesù: attività e preghiera.
L'attività di Gesù comprende due elementi: parole e opere. Marco ama rilevare soprattutto la potenza e l'autorità con cui Gesù parla e agisce. Egli si presenta così: una potenza sovrumana, una compassione che si avvicina a ogni povero, malato, peccatore.
Gesù incontra gli uomini del suo tempo lì dove essi sono normalmente: mentre celebrano il sabato o si dedicano alle loro occupazioni. Li avvicina nelle situazioni in cui si trovano: tormentati interiormente, colpiti da malattia, immersi nella loro miseria.
La potenza di Gesù si manifesta nella sinagoga, poi in casa, quindi alla porta della città: tutto lo spazio, sacro e profano, viene riempito dalla sua presenza.
"Spirito immondo". La Bibbia definisce immondo o impuro tutto ciò che si oppone alla santità divina. I demoni sono forze d'opposizione all'azione di Dio, quindi sono detti immondi.
La proclamazione del vangelo scatena la guerra. Tra Gesù e satana c'è un contrasto netto e irriducibile. La novità del vangelo è la vittoria di Gesù sul male sotto qualunque forma si presenti. Il male non viene solo dall'uomo: dentro di lui c'è un inquilino che lo degrada e lo distrugge. Gesù è venuto a scacciarlo.
Senza Cristo siamo tutti in balia delle forze del male e incapaci di entrare in comunione con Dio, anche se siamo nella sinagoga (v. 23): la religione che salva non è la pratica di un culto o la presenza materiale nei luoghi sacri o l'adempimento di un precetto, ma l'incontro personale con Cristo.
"Il Santo di Dio". Questo titolo rivela la vera identità di Gesù e la sua autorità divina. Il Santo di Dio è l'avversario dichiarato del peccato che solo Dio può smascherare e perdonare.
Dopo la guarigione dell'indemoniato, la meraviglia di tutti si manifesta in forma corale. L'avvenimento è provocante perché Gesù non ha agito come gli esorcisti del suo tempo, con incantesimi o formule magiche, ma soltanto con la sua parola.
Gesù libera dal potere di satana. Ma gli uomini sono disposti ad accettare la libertà di Cristo? La risposta è solo in parte affermativa. Se vi sono i discepoli che lo seguono, vi sono però altri, la massa, che si limitano all'entusiasmo inconcludente e alle belle parole. La gente per Marco è sempre una massa che vive nell'indecisione e spesso preferisce una schiavitù comoda a una libertà esigente. Ma il discepolo non può essere così.

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12/01/2011 08:38
 
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padre Lino Pedron
Commento su Marco 1,29-39

La guarigione della suocera di Pietro ci presenta il miracolo del servizio. Può sembrare un miracolo insignificante. Ma i miracoli non sono spettacoli di potenza, ma segni della misericordia di Dio. In questo racconto la piccolezza del segno è tutta a vantaggio della grandezza del significato. Un miracolo più straordinario avrebbe attirato la nostra attenzione a scapito di ciò di cui è segno.

Con questo piccolissimo segno l'evangelista ci dà il significato di tutti i miracoli: sono delle guarigioni che Gesù opera per restituire a ciascuno di noi la capacità di servire, che è la nostra somiglianza con Dio.

Il miracolo che Gesù è venuto a compiere in terra è la capacità di amare, cioè di servire. Chi ama serve, serve gratuitamente, serve continuamente, serve tutti indistintamente.

Noi siamo raffigurati nella suocera di Pietro: incapaci di servire, costretti a farci servire o a servirci degli altri. Il contatto con Gesù ci rende come lui, che è venuto per servire (Mc 10,45).

Il servizio è la guarigione dalla febbre mortale dell'uomo: l'egoismo, che lo uccide come immagine di Dio che è amore. L'egoismo si esprime nel servirsi degli altri, che porta all'asservimento reciproco; l'amore si realizza nel servire, che porta alla libertà dell'altro. Solo nel servizio reciproco saremo tutti finalmente liberi: "Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo" (Gal 6,3).

Il fatto che Gesù non lascia parlare i demoni è un aspetto importante del vangelo. Egli vuol farci capire che una conoscenza di Dio, prima di vederlo in croce, è diabolica: non capiremmo né il nostro male né il suo amore. Sarebbe la solita presentazione di un Dio creato dalla nostra testa. Voltaire ha scritto: "Dio ha creato l'uomo a sua immagine, e l'uomo ha creato Dio a sua immagine".

La giornata tipo di Gesù si conclude con una preghiera notturna, che dà inizio alla nuova attività. Per lui la contemplazione è insieme termine e sorgente dell'azione, fine di ciò che ha fatto e principio di ciò che sta per fare.

L'uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, è totalmente se stesso quando sta davanti a Dio. Per questo il fine di ogni apostolato è insegnare a stare davanti a Dio e a pregare il vero Dio nel modo giusto. Dal vero rapporto con Dio nasce di conseguenza il vero rapporto con sé, con gli altri e con le cose.

Il cristiano prega soprattutto per ringraziare Dio che gli dà tutto, per amarlo, per conoscerlo meglio e vivere così nella gioia, nell'amore e nella verità.

La preghiera non serve per ricevere qualcosa, ma per diventare Qualcuno: per diventare come il Dio che preghiamo, per essere perfetti come è perfetto il Padre nostro che è nei cieli (cfr Mt 5,48).

La preghiera è il punto di arrivo di ogni realtà cristiana perché è l'approdo in Dio.

"Andiamocene altrove". L'entusiasmo delle folle e la popolarità condizionano l'agire umano e impediscono la vera libertà. Chi vuole a tutti i costi suscitare applausi non riesce ad evitare i compromessi.

Gesù scarta le immagini false che la gente si fa del suo ruolo di guaritore. Egli taglia corto riguardo all'entusiasmo popolare.

Proprio perché Gesù sa sottrarsi ai primi frutti della sua missione, questa può estendersi per tutta la Galilea.

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17/01/2011 09:58
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Ma vino nuovo in otri nuovi!

La via di sempre per distruggere la vera fede è quella di immergerla e sommergerla in quel passato religioso che essa viene proprio per cancellare, abolire, distruggere, cambiare. È sempre facile fare antico il Nuovo Testamento. È sempre difficile fare nuovo l'Antico Testamento. È sempre possibile tradurre la fede in una ritualità che non dona salvezza. Diviene quasi impossibile invece trasportare la ritualità senza salvezza nella purissima verità della fede che oggi Dio fa risuonare al nostro orecchio.
L'uomo è sempre tentato a pensarsi secondo schemi di un passato che è ormai tramontato, che non esiste più. Quando invece è chiamato a intraprendere una via verso il futuro di Dio, verso il nuovo della storia e dell'umanità, allora si spaventa, ha paura, si chiude nel suo mondo di tradizioni religiose e in esso addormenta la sua fede. Questo avviene perché la Parola di Dio esige una conversione permanente al nuovo. Richiede un mettersi quotidianamente in questione. Vuole un totale abbandono di ciò che fu, perché solo la Parola venga ascoltata e realizzata, così come è attualizzata dallo Spirito Santo di Dio che sempre deve accompagnare il suo cammino nella storia.
Gesù incontra un modo religioso senza Parola, fatto di riti, tradizioni, usi, costumi, abitudini. Tutte queste cose non manifestavano la bellezza e santità della Parola del Padre suo. Anzi servivano proprio a nascondere le qualità divine di rinnovamento e di elevazione dei cuori che sono contenute nella Parola. Questo mondo, anziché aprirsi al suo insegnamento, vuole che Lui si pieghi alle loro pratiche religiose, alle loro abitudini, comportamenti che non davano vera vita, perché lasciavano l'uomo nella sua vecchia umanità e in quel peccato che oscurava persino la luce radiosa del sole.
Il mondo delle cose vecchie non si può sfidare. Essendo senza verità è anche senza vera moralità ed è capace di ogni violenza, anche quella della lapidazione. Quando non giunge ad infliggere la morte fisica, sempre dona quella spirituale con la calunnia, la falsa testimonianza, ogni menzogna, giungendo a commettere anche il peccato contro lo Spirito Santo, attribuendo a Satana le opere di Dio, quali la conversione e la liberazione dagli spiriti impuri ed immondi.
Gesù deve essere saggio, prudente, sapiente, perennemente illuminato dallo Spirito Santo, al fine di dare una risposta vera, che faccia pensare, ma che non svegli la loro cattiveria e malvagità. Stoffa grezza, vestito vecchio, vino nuovo, otri nuovi, vino vecchio, otri vecchi, stoffa vecchia, vestito vecchio: sono immagini che dicono, ma immediatamente non svelano ogni cosa. A quanti sono suoi denigratori, basta questa giustificazione. A noi che siamo suoi adoratori, lo Spirito Santo viene e ci manifesta l'altissima verità contenuta in esse. Dio viene nella nostra storia per fare sempre cose nuove. La novità di Dio è la creazione di un cuore sempre nuovo capace di novità.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Donna tutta nuova nel corpo, nello spirito, nell'anima, Angeli e Santi di Dio, conducete di novità in novità il nostro cuore.

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18/01/2011 09:41
 
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Eremo San Biagio
Commento su 1Sam 16,7

Dalla Parola del giorno
L'uomo vede l'apparenza, ma il Signore vede il cuore.

Come vivere questa Parola?
Samuele, sacerdote di Dio, è mandato da Lui a incontrare, per vie provvidenziali, colui che dovrà sostituire il re Saul nel governo del popolo di Israele. È interessante la titubanza di Samuele. Non ha un cuore da leone ed esprimerà la sua paura che Saulo lo venga a sapere e lo faccia uccidere. Ma il Signore gli presenta l'espediente giusto. Samuele andrà dalla famiglia di Iesse e inviterà tutti i membri a rendere culto a Dio con l'offrire un sacrificio. Proprio lì, in quella famiglia, Dio gli farà conoscere l'eletto da consacrare come successore di Saul: l'ultimo dei figli, il più piccolo.
Qui il testo biblico ci persuade a fidarci pienamente di Dio e dei suoi progetti anche quando sovvertono un po' (o del tutto!) i nostri progetti, rivelando però poi una sapienza profonda che è vera e indiscussa luce di verità e di vita.
Samuele credeva di dover scegliere l'uomo da consacrare tra quella parte della famiglia che si mostrava più efficiente, più preparata. E invece no! Samuele dovrà consacrare proprio l'ultimo dei figli di Iesse, il più piccolo, apparentemente il meno adatto.
E siamo all'insegnamento vitale. Quando ci affidiamo solo a noi stessi, al nostro intuito, bravura o altro, noi rischiamo di consegnare la nostra vita non a ciò che conta veramente ma a ciò che appare. Ma tra l'"essere" e il "sembrare" c'è di mezzo assai più del "mare"! Conviene premettere a qualsiasi scelta o decisione di sorta una fiduciosa preghiera. È Dio che conosce le profondità dei cuori e di ogni realtà.

In una società come la nostra tanto facile a entusiasmarsi delle apparenze, io ti prego, Signore, dammi il tuo Spirito, perché io non vada per strade ingannevoli, ma su quelle di ciò che è vero e gradito ai tuoi occhi.

La voce di un Dottore della Chiesa
Se vuoi essere tutto non cercare di voler essere qualcosa.
S. Teresa d'Avila

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19/01/2011 08:37
 
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padre Lino Pedron
Commento su Marco 3,1-6

Un altro episodio ancora riguardo al sabato. Questa volta però non sono i discepoli di Gesù che trasgrediscono la legge, ma Gesù stesso. Il criterio di Gesù è questo: "Fare il bene, salvare una vita" (v. 4). Proprio a questo deve servire la legge del sabato: per la libertà e per il bene dell'uomo, per evitargli una vita da schiavo e da forzato.

"Rattristato per la durezza dei loro cuori" (v.5). Gesù aveva cercato di evitare questa situazione; si era sforzato di rompere le barriere cercando il dialogo, perché fossero loro a dire ciò che si poteva fare in giorno di sabato, "ma essi tacevano" (v. 5). A questo punto Gesù fece la sua scelta: scelse l'uomo e lo guarì. Non lasciò passare quel giorno di festa senza che diventasse anche per quel malato un segno concreto di libertà. Gesù ha sempre amato la libertà per sé e per gli altri.

"Tennero consiglio contro di lui per farlo morire" (v.6). Perché Gesù deve morire se guarisce la gente e cerca il vero bene dell'uomo? Per gli scribi la vera immagine di Dio può essere soltanto quella del giudice che condanna il colpevole (e, in questo, ben volentieri, gli darebbero una mano. Cfr anche Gv 8,3-11).

E' abissale la differenza tra la loro concezione di Dio e il vero Dio, manifestato da Gesù: un Dio che sana, perdona, riconcilia, ama. Nel contrasto tra Gesù e coloro che detengono il potere, sono in gioco due diverse concezioni di Dio.

Facciamo una breve digressione sulla logica dei farisei. Essi non hanno approvato la guarigione di un malato in giorno di sabato per timore di violare la legge, ma non hanno scrupolo, in giorno di sabato, di decidere la morte di una persona innocente, del Salvatore, di Dio stesso. Guarire e far vivere è un delitto che merita la morte, far morire è un'opera buona che rende gloria a Dio. Strana logica, strana morale: è la "morale" dell'odio che si oppone alla morale dell'amore. I farisei avevano fatto di Dio il nemico dell'uomo: il colmo dell'opera diabolica (cfr Gen 3; Gv 8,44).

In Gesù si rivela Dio-con-noi-e-per-noi: questa è la grande novità della rivelazione. Ma gli uomini spesso rifiutano un Dio amico che li ama e li libera, e gli preferiscono un falso Dio che li spadroneggi. Di fronte alla durezza di cuore dei farisei, Gesù prova indignazione e tristezza. Il Cristo manifesta contemporaneamente la collera di Dio e la sua compassione che non viene mai meno di fronte alle sue creature incapaci di aprirsi alle sue sollecitazioni.

Il miracolo della guarigione dell'uomo che aveva la mano secca costerà la vita a Gesù. La croce si profila ormai chiaramente. E' il prezzo del dono che ci fa guarendo la nostra mano incapace di accogliere e di donare. Le sue mani inchiodate scioglieranno la nostra mano rigida.

Si scorge all'orizzonte l'albero dal quale penderà Gesù, il frutto della vita, verso cui possiamo e dobbiamo tendere la mano per diventare come Dio (cfr Gen 3).

Questo racconto chiude una tappa del vangelo in cui Gesù ci ha rivelato chi è lui per noi in ciò che ha fatto per noi.

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20/01/2011 08:12
 
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padre Lino Pedron


Il rifiuto e la condanna a morte di Gesù, da parte dei farisei e degli erodiani, segna il nuovo inizio del popolo di Dio. L'efficacia evangelica è molto diversa dall'efficienza umana: trae la sua forza dall'impotenza dell'uomo e dalla potenza di Dio: "Quando sono debole, è allora che sono forte" (2Cor 12,10). Perché Dio, contrariamente all'uomo, sa trarre successo dall'insuccesso e vita dalla morte.
Le località nominate sono sette, un numero che indica completezza, totalità. Tutti accorrono a Cristo per formare la sua Chiesa. Egli non ha raggiunto il successo mediante la brama di avere, di potere e di apparire, origine di ogni male, ma ha vinto tutto questo proprio con il suo insuccesso, con la povertà, con il servizio e l'umiltà di chi ama.
Gesù è presentato come il centro di un ampio movimento di gente che cerca e trova in lui la possibilità di guarire. L'uomo è malato e il pellegrinaggio verso Gesù nasce da questo bisogno di salvezza.
E' bello vedere Gesù pressato da tanta gente. Ma perché accorrono? Per interesse o per fede? Marco ci fa capire che l'entusiasmo della folla è suscitato dall'azione guaritrice di Gesù, non dalla fede.
Solo i demoni conoscono l'identità di Gesù e la proclamano. Ma la loro propaganda è controproducente; il loro intento è di far fallire la rivelazione autentica di Gesù "bruciandola" anzitempo: di qui la reazione di Gesù che impone loro di tacere.
La trappola tesa a Gesù dai demoni sta nel fatto che satana vuole anticipare la manifestazione della gloria di Gesù prima della sua morte in croce, perché solo lì Gesù si rivela veramente Figlio di Dio (cfr Mc 15,39), che dona agli uomini la salvezza totale e definitiva, cioè la redenzione della loro esistenza nella comunione con Dio. E' la tentazione che satana gli ripresenterà nuovamente per mezzo di Pietro (Mc 8,32-33).
La fede non è solo sapere chi è Gesù. Anche i demoni lo sanno, meglio e prima di noi. Come scrive s. Giacomo: "Credono, ma tremano" (2,19). Credere è prima di tutto fare esperienza di Gesù che mi ha amato e ha dato se stesso per me (cfr Gal 2,20). Una fede ideologica, che tutto conosce, ma non fa esperienza dell'amore di Dio, è un anticipo dell'inferno. E' la pena del dannato che conosce il bene, ma non lo possiede.
Il Signore non desidera la pubblicità da parte di nessuno (tanto meno da parte dei demoni!). Raggiunge tutti solo attraverso la debolezza di chi, conoscendolo veramente, lo annuncia come amore crocifisso, povero, umiliato e umile. La propaganda va esattamente nella direzione opposta e si serve proprio di quei mezzi che il Signore ha denunciato e rifiutato come tentazioni.

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24/01/2011 13:32
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
“Ringrazio Dio…ricordandomi sempre di te nelle mie preghiere, notte e giorno; mi tornano alla mente le tue lacrime e sento la nostalgia di rivederti per essere pieno di gioia.”

Come vivere questa Parola?
La seconda lettera a Timoteo è l'ultima scritta da Paolo, secondo alcuni studiosi solo un paio di mesi prima che l'apostolo delle genti subisse il martirio. In questa lettera, affaticato dalla prigionia a Roma e in attesa della condanna a morte, Paolo invita il suo collaboratore di un tempo a perseverare nella fede, ad evitare i pericoli degli ultimi tempi e a combattere con lui la buona battaglia del Vangelo. Le parole dell’Apostolo esprimono, all’inizio, tanta affettuosità verso Timoteo, che aveva incontrato in uno dei suoi viaggi di predicazione e immediatamente aveva voluto che partisse con lui e lo accompagnasse nelle sue fatiche missionarie. Per quindici anni Timoteo era stato prezioso collaboratore di Paolo e suo fedele delegato presso varie comunità cristiane.
Il motivo del ringraziamento a Dio, però, va oltre la persona e l’opera del discepolo. Paolo risale alla mamma, alla nonna, ad una tradizione familiare che ha preparato questo giovane a divenire uno dei primi seguaci di Gesù. Ma l’Apostolo sa che non basta una buona famiglia alle spalle per dare
forza e continuità nell’annuncio del Vangelo. Per questo raccomanda a Timoteo di ravvivare il dono di Dio che è stato seminato in lui. Per crescere nell’amore, nella speranza, nella fede è necessario vivere il momento presente con la volontà di trovare forme, vie, mezzi, incontri, situazioni perché il dono di Dio sia ravvivato, si realizzi nell’esistenza.
L’insegnamento-appello di Paolo è rivolto anche a noi che viviamo in un tempo in cui spesso si guarda più all’immagine che al contenuto della vita di ciascuno. In un tempo in cui prevalgono la fiction e il virtuale: esperienze che ci allontanano inesorabilmente dalla realtà e dalla verità dell’esistenza. Chi non ravviva quotidianamente il dono di Dio, e non incomincia con il giorno che incomincia, come diceva il Piccolo Placido, non ha futuro con Dio né su questa terra, né nel cielo.

Oggi, nei momenti di silenzio che mi concederò, pregherò così:

concedimi, Signore, di considerare ogni giorno come il primo e l’ultimo della mia vita, perché sia all’alba, come al tramonto, io riesca a tendere solo a Te attraverso i fratelli e le sorelle che incontro.

Parole di un biblista
Probabilmente l’Apostolo (all’inizio della Lettera) intende riferirsi al momento del proprio arresto a Troade, a cui doveva essere presente anche Timoteo… Quella scena di Timoteo che piangeva più che se gli avessero rubato il padre, l’Apostolo non poteva mai dimenticarla e avrebbe fatto di tutto pur di asciugargli una lacrima!
Settimio Cipriani

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26/01/2011 10:23
 
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Eremo San Biagio
Commento su Luca 10,1-9

Dalla Parola del giorno
Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo ai lupi.

Come vivere questa Parola?
La liturgia di oggi ci ricorda che seguire Gesù vuol dire intraprendere una strada faticosa. Per questo Dio ci ha dato uno spirito di forza, di carità e di prudenza e non di timidezza.
Non tutti devono affrontare la prigione per la loro fede, come Paolo, o la persecuzione cruenta come tanti nostri fratelli e sorelle oggi, in diverse parti del mondo. Però, tutti possiamo essere pronti a soffrire per il Vangelo e a non vergognarci di testimoniare Gesù e mostrarci in solidarietà con coloro che sono perseguitati per la fede.
La vita vissuta con e in Gesù, è una realtà di amore personale, così sacra, così coinvolgente che va coltivata a qualsiasi costo e va condivisa attraverso la testimonianza, con tutti: "La messa è abbondante ma sono pochi gli operai! ".

Nella mia pausa contemplativa, oggi, accetto i consigli di Paolo a Timoteo come validi anche per me, perché possa vivere più coerentemente la mia fede. Sono chiamato ad essere anche fortemente in solidarietà con il Papa che non esita a proclamare chiaramente una parola che incide su diversi aspetti della realtà umana oggi.

Dio, nostro Padre, tu ami tutte le persone in modo integro e personale, con attenzione particolare a chi soffre per il nome di Gesù Cristo. Prego per i martiri di questi giorni che soffrono anche per noi, chiedo per loro conforto, coraggio e la gioia di sentirsi uno con Cristo.

La voce di un santo sacerdote
Fate quello che potete; Dio farà ciò che non possiamo fare noi. Confidate ogni cosa in Gesù sacramentato e in Maria Ausiliatrice, e vedrete che cosa sono i miracoli.
San Giovanni Bosco

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01/02/2011 21:16
 
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padre Lino Pedron
Commento su Marco 5,21-43

Questo accorrere di popolo è un tratto permanente nella narrativa di Marco (cfr 3,7-8; 4,1). Per primo si avvicina a lui Giairo (nome che significa Dio illumina o Dio risuscita) e lo prega di salvare la sua figlioletta.

L'imposizione delle mani era un gesto usato fin dall'antichità per indicare la guarigione degli infermi, perché si pensava che servisse a comunicare al malato una forza vivificante. A questo scopo si chiamavano al letto degli infermi persone anziane o religiose (cfr Gc 5,14).

La donna affetta da emorragia, nella sua fede semplice, è un esempio di come Gesù si rivolge a chi mostra in lui una fiducia infantile: egli la guarisce e la orienta verso quella fede completa alla quale è promessa la salvezza eterna. Egli le dà conforto e fiducia, assicurandole una guarigione stabile con parole che testimoniano la bontà di Dio e la sua volontà di salvezza. A coloro che lo toccano con fede, Gesù dona sempre guarigione e salvezza.

La nuova scena viene introdotta dalla notizia che in questo frattempo la figlia di Giairo è morta. Gesù non ha paura della morte e non retrocede di fronte ad essa. Egli ascolta la notizia e incoraggia il padre: "Non temere, continua solo ad avere fede!" (v.36). Anche qui si prosegue sul tema della fede: una fede genuina non si arrende nemmeno di fronte al potere della morte.

Per comprendere la scena svoltasi nella casa di Giairo, è importante notare come Gesù voglia evitare di mettersi in mostra e tenere lontana una fede che si basa solo sui miracoli come tali. Egli prende tuttavia con sé un gruppetto di testimoni qualificati, ossia i tre discepoli che in seguito saranno presenti alla sua trasfigurazione (9,2) e alla sua angoscia mortale nel Getsemani (14,33-34). Dopo la risurrezione (cfr 9,9), essi potranno narrare queste cose, e allora anche la risurrezione della figlia di Giairo apparirà sotto una nuova luce.

L'allontanamento delle lamentatrici e dei flautisti non ha solo il significato di permettergli di compiere il miracolo nel silenzio e nel nascondimento. Gesù sa che cosa sta per accadere; perciò i lamenti funebri sono fuori posto.

Nella stessa direzione è orientata la frase enigmatica: "La bambina non è morta, ma dorme" (v.39). La bambina era morta, ma alla luce della fede, la morte è solamente un sonno, dal quale siamo risvegliati dalla potenza di Dio.

La Chiesa ha conservato l'espressione antica quando chiama i defunti coloro che "si sono addormentati" nel Signore, alimentando così continuamente la sua speranza nella futura risurrezione dei morti.

Il "risveglio" della figlia di Giairo però non è ancora la risurrezione definitiva, ma un ritorno alla vita terrena e un prolungamento di essa.

Questo brano ci presenta due miracoli intrecciati: la guarigione della donna affetta da emorragia e la risurrezione della figlia di Giairo. Questi due miracoli hanno in sé una somiglianza in crescendo. L'emorragia è una perdita di sangue e, quindi, una perdita di vita: "La vita di ogni essere vivente è il suo sangue" (Lv 17,14).

Guarendo la donna affetta da perdita di sangue, Gesù si rivela come colui che ferma la perdita graduale della vita; con la risurrezione della figlia di Giairo, si manifesta come colui che ridona la vita totalmente perduta.

La risurrezione della figlia di Giairo è il culmine di questa prima parte del vangelo. Di tutti i limiti a cui l'uomo è sottomesso, la morte è quello che ha l'aspetto pauroso della definitività. Contro la malattia si può combattere e vincere; contro le disgrazie si può sempre tentare qualcosa, ricostruirsi una vita dopo il fallimento, e si è soliti dire: "Finché c'è vita, c'è speranza!". Ma di fronte alla morte si constata: "A tutto c'è rimedio, fuorché alla morte!".

E questa è proprio la convinzione che sta dietro al nostro racconto: "Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?" (v.35). In altre parole: ormai è troppo tardi; contro la morte non c'è rimedio. Di fronte alla morte, l'impotenza umana è totale.

Avere fede vuol dire costruire la propria speranza su un Altro più forte della morte. Dal punto di vista umano, la vita è provvisoria e la morte è definitiva. Dal punto di vista cristiano, la morte è provvisoria (come il sonno: cfr Mc 5,39; Gv 11,11) e la vita è definitiva ed eterna.

La conversione che Gesù ci ha chiesto fin dall'inizio del vangelo (cfr Mc 1,5) comprende anche, e soprattutto, questo cambiamento di ottica e di valutazione riguardo alla vita e alla morte.
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04/02/2011 10:15
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Marco 6,14-29

1) Preghiera

Dio grande e misericordioso,
concedi a noi tuoi fedeli
di adorarti con tutta l’anima
e di amare i nostri fratelli nella carità del Cristo.
Egli è Dio, e vive e regna con te...

Il vangelo di oggi descrive come Giovanni Battista fu vittima della corruzione e della prepotenza del Governo di Erode. Morì senza essere giudicato da un tribunale, nel corso di un banchetto di Erode con i grandi del regno. Il testo presenta molte informazioni sulla vita di Gesù e sul modo in cui i potenti dell’epoca esercitavano il potere. Fin dall’inizio del Vangelo di Marco scorgiamo una situazione in sospeso. Lui aveva detto: “Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio!” (Mc 1,14). Nel vangelo di oggi, quasi improvvisamente, sappiamo che Erode aveva già ucciso Giovanni Battista. Quindi il lettore si pone la domanda: ”Cosa farà allora con Gesù? Patirà lo stesso destino?” Oltre a fare un bilancio delle opinioni della gente e di Erode su Gesù, Marco pone un’altra domanda: “Chi è Gesù?” Questa ultima domanda cresce nel vangelo fino a ricevere la risposta definitiva dalla bocca del centurione ai piedi della Croce: "Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!" (Mc 15,39)
• Marco 6,14-16. Chi è Gesù? Il testo comincia con un bilancio sulle opinioni della gente e di Erode su Gesù. Alcuni associavano Gesù a Giovanni Battista e ad Elia. Altri lo identificavano con un Profeta, cioè con qualcuno che parlava a nome di Dio, che aveva il coraggio di denunciare le ingiustizie dei potenti e che sapeva animare la speranza dei piccoli. Le persone cercavano di capire Gesù partendo dalle cose che loro stesse sapevano, credevano e speravano. Cercavano di inquadrarlo secondo i criteri familiari dell’Antico Testamento con le sue profezie e le sue speranze, e della Tradizione degli Antichi, con le loro leggi. Ma erano criteri insufficienti. Gesù non entrava in questi criteri. Lui era più grande!
• Marco 6,17-20. La causa dell’uccisione di Giovanni. Galilea, terra di Gesù, fu governata da Erode Antipa, figlio del re Erode, il Grande, dal 4 avanti Cristo fino al 39 dopo Cristo. In tutto, 43 anni! Durante tutto il tempo in cui Gesù visse, c’erano stati cambiamenti nel governo della Galilea! Erode Antipa era il signore assoluto di tutto, non ascoltava nessuno e faceva ciò che gli pareva! Ma chi veramente comandò in Palestina, fin dal 63 prima di Cristo, fu l’Impero Romano. Erode, per non essere deposto, cercava di accontentare Roma in tutto. Insisteva soprattutto in un’amministrazione efficiente che producesse entrate all’Impero Romano. L’unica cosa che lo preoccupava era la sua sicurezza e la sua promozione. Per questo, reprimeva qualsiasi tipo di sovversione. Flavio Giuseppe, uno scrittore di quell’epoca, informa che il motivo della prigionia di Giovanni Battista era la paura che aveva Erode di una sommossa popolare. A Erode piaceva essere chiamato benefattore della gente, ma in realtà era un tiranno (cf. Lc 22,25). La denuncia di Giovanni contro di lui (Mc 6,18), fu la goccia che riempì il bicchiere, e Giovanni fu fatto prigioniero.
• Marco 6,21-29: La trama dell’assassinato. L’anniversario e il banchetto di festa, con danze e orge! Era l’ambiente in cui si tramavano le alleanze. La festa prevedeva la presenza “dei grandi della corte, degli ufficiali e delle persone importanti della Galilea”. In questo ambiente si trama l’assassinio di Giovanni Battista. Giovanni, il profeta, era una denuncia viva in questo sistema corrotto. Per questo fu eliminato con il pretesto di un problema di vendetta personale. Tutto ciò rivela la debolezza morale di Erode. Tanto potere accumulato nelle mani di un uomo che non si controlla! Sotto l’entusiasmo della festa e del vino, Erode giurò con leggerezza qualcosa a una giovane ballerina. E superstizioso com’era, pensava di dover mantenere questo giuramento. Per Erode, la vita dei sudditi non contava nulla. Disponeva di loro come se fossero degli oggetti. Marco racconta il fatto così come avvenne e lascia alle comunità il compito di trarre le conclusioni.


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06/02/2011 15:09
 
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Splendete e illuminate

- 1) Siamo sale?

Sale della terra e luce del mondo! Ecco cosa il Signore ci chiede di essere in questo Vangelo.
C'è più che mai bisogno di luce, in un mondo dove sembra che l'uomo stia perdendo sempre più, non solo il lume della fede, ma addirittura quello della ragione; e se c'è una cosa che spaventa sono proprio le tenebre! Da bambini, tutti abbiamo fatto l'esperienza dalla paura del buio; quando poi queste tenebre non sono solo assenza di luce esterna, ma ottenebrano addirittura la mente umana facendole compiere efferatezze innominabili, allora spaventano ancor molto di più!
E' dunque quanto mai urgente essere luce del mondo!

2) Siamo luce?

Ma per essere luce dobbiamo essere illuminati. Si sente spesso dire a livello individuale: "La mia coscienza non mi rimprovera niente, per me non osservare questo o quel comandamento non è un male". Oppure, a livello collettivo, si emanano leggi contro la vita, contro la famiglia, e si giustificano dicendo che chi le fa', trova che siano un bene per la società. Ma la coscienza va illuminata! L'uomo deve saper riconoscere il bene oggettivo dal male oggettivo. Oggettivamente parlando il pesce marcio puzza, se poi a qualcuno piace questo odore, ciò non toglie che è sempre puzzolente. Dobbiamo ritrovare, sia a livello individuale che collettivo, la sanità di giudizio che definisce male ciò che è male e bene ciò che è bene. Chi poi ha il potere e il dovere di legiferare, deve a maggior ragione, avere la coscienza illuminata, se no è come un cieco che guida altri ciechi e tutti cadono nel pozzo.
Occorre dunque diffondere la verità, usando tutti i mezzi che sono a nostra disposizione. Il Papa ce ne dà l'esempio usando i mezzi di comunicazione -compreso Internet- come cassa di risonanza della verità. In un mondo dove i mass media diventano spesso casse di risonanza per diffondere l'errore, noi dobbiamo controbilanciare la situazione, usando questi stessi mezzi per diffondere la verità, altrimenti si cade in una forma di oscurantismo a rovescio (si tiene all'oscuro il bene e si lascia diffondere il male).

- 3) Dove va messa la lucerna?

"Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il candelabro perché faccia luce a quanti sono nella casa". C'è un tempo per rimanere nascosti e un tempo per risplendere, un tempo per tacere e un tempo per parlare. Abbiamo visto domenica scorsa, che Gesù per primo, scoccata l'ora stabilita dal Padre, è uscito dal silenzio e ha proclamato la verità. Il silenzio è necessario per percepire questa parola di verità che deve procedere dal Suo Spirito, e non dal nostro, ma una volta percepita, dev'essere annunciata. Se vogliamo essere autentici cristiani, dobbiamo diventare come dei canali che trasmettano l'acqua viva della verità; ma la funzione del canale è appunto quella di lasciar scorrere l'acqua, non di bloccarla. Dobbiamo dare agli altri il meglio di noi stessi, ma il meglio non siamo noi, è Lui, cioè quest'acqua viva che ci abita e che vuole comunicarsi e diffondersi ("il bene è diffusivo di sé"). Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Già san Tommaso d'Aquino diceva che è più perfetto dare agli altri i frutti della propria contemplazione che contemplare soltanto, come è più perfetto illuminare che risplendere soltanto.
La contemplazione della verità, che non solo è luce, ma è la persona stessa di Cristo ("Io sono la via, la verità, la vita"), deve far nascere il bisogno di comunicarla questa verità, a quanti brancolano ancora nel buio dell'errore e magari della disperazione, e accendere così, tante fiammelle ancora spente e tanti cuori ancora assiderati nel gelo dell'assenza di Dio.
E così tanti nostri fratelli e sorelle, ancora pellegrini nella notte, troveranno quella luce e quel fuoco che Gesù è venuto a portare e che ora vuole comunicare loro attraverso di noi.
"Gloria a te o Cristo, luce di verità e sole di giustizia che sei venuto a dimorare nella tua Chiesa ed essa ne è stata illuminata; sei venuto nella tua creazione ed essa ne rifulge tutta quanta. I peccatori si sono accostati a te e sono stati purificati; i ciechi t'hanno visto e i loro occhi si sono aperti; i morti hanno udito la tua voce e si sono levati e anche le anime tenebrose si sono accostate alla luce. Tu sei il mattino splendente, la luce senza tramonto: si aprano gli occhi dei nostri cuori e il nostro sguardo non si stacchi mai dalla tua folgorante luce." (Liturgia orientale)
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08/02/2011 08:53
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
"Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo le tradizioni degli antichi… ".

Come vivere questa Parola?
Oggi l'insegnamento di Gesù prende la forma di una contrapposizione tra le tradizioni e la Parola di Dio. Nel corso degli anni i dottori della Legge avevano stabilito tutta una serie di regole di condotta per ogni situazione di vita. Al tempo di Gesù, tali tradizioni costituivano la base dell'insegnamento dei rabbi. Per questo la domanda dei farisei e di alcuni scribi a proposito dei discepoli di Gesù.
Citando Isaia: "Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini", Gesù fa intravedere il loro errore profondo, cioè essi svuotano e tradiscono la Parola di Dio. La riducono a precettistica! Di più, con l'esempio del Korbàn egli dimostra che agiscono proprio contro il comandamento dell'amore per i genitori.
Il giustificarsi con un'osservanza legalista della tradizione, annulla la Parola di Dio, dice Gesù e chiude il cuore e la mente alla ricerca della verità; fa diventare manipolatori "abili nell'eludere il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione".

Oggi, nella mia pausa contemplativa, rifletto su queste parole di Gesù: "E di cose simili ne fate molte". Sono consapevole di tante abitudini, imparate da altri o fabbricate da me, che possono imbrogliarmi quando ascolto la Parola di Dio?

Signore, libera il mio cuore perché possa accogliere la tua Parola anche quando mi sembra scomoda. Mi fido di te, Signore della Vita!

La voce di un maestro di vita spirituale
L'incontro con Gesù ci apre una nuova via su cui la nostra vita riesce. Nell'incontro con Gesù ci liberiamo dalle mancanze della storia della nostra vita e ci riempiamo di Spirito Santo. Lo Spirito Santo ci rende capaci di vivere diversamente, di vivere come Gesù ha vissuto.
Anselm Grun

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10/02/2011 14:23
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
"Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli ".

Come vivere questa Parola?
Nell'episodio di oggi, una donna pagana si getta ai piedi di Gesù, pregandolo di guarire la figlia. Bisogna ricordare che al tempo di Gesù gli ebrei non vedevano di buon occhio gli stranieri né le donne in particolare, quindi la risposta di Gesù riflette un po' i costumi dell'epoca (riferimento ai cani) ma anche una apertura nuova. Egli spiega la sua posizione: "Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini". La missione di Gesù, secondo Marco, è prima di tutto rivolta ai figli di Israele, poi gli altri. La donna è una madre, quindi replica con insistenza di amore che anche i cagnolini hanno diritto alle briciole che cadono per terra. La battuta umile e fiduciosa, spinge Gesù a soddisfarla. Fa ricordare un altro momento: a Cana di Galilea, quando la Madre di Gesù insiste. È la fede viva e attiva che conta.

Oggi nella mia pausa contemplativa, mi confronto con la fede della donna siro-fenicia, che non si vergogna di andare anche contro corrente pur di aiutare la sua figlia.

Signore Gesù, tu sei il Signore di tutti e ci vuoi sorelle e fratelli, uniti tra di noi nel tuo nome. Donaci la grazia di camminare sulla via della pace perché nel mondo regni la giustizia e la fratellanza.

La voce di un maestro di vita spirituale
La gioia di Maria fa essere la fede ciò che è: ospitalità di un Dio innamorato e affidabile…Il vero modo di onorare Maria non è di magnificarla ma di magnificare il Signore con lei e come lei.
Ermes Ronchi

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11/02/2011 08:27
 
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don Luciano Sanvito Ricreazione

" EFFATA' "

E' la parola di Gesù che pone in atto una nuova creazione.
Ricrea la persona che si era persa nella creazione.
Ridona il senso dell'udito là dove era venuto meno.
Riapre la parola là dove si era richiusa nel nulla.
E' davvero una ricreazione delle realtà umane.

Ma il sordomuto non è altro che il segno del salvato.

Chi incontra Gesù si riapre alla vita piena.
Viene raggiunto dal tocco della salvezza.
Apprezza che Dio "ha fatto bene ogni cosa".
E ciò diventa una nuova missione: proclamare.

Effatà!

E' il suono della parola che ci invita all'accoglienza dei doni di Dio.

Effatà!

E' la voce che ci invita a trasmettere attorno l'invito all'accoglienza.

Effatà!
E' UNA RICREAZIONE: DELLE COSE, DELLE PERSONE, DI DIO.
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12/02/2011 09:48
 
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padre Lino Pedron


Marco riporta due moltiplicazioni dei pani (6,35-46; 8,1-9).
Ciò che anzitutto impressiona in questi racconti è la folla: una folla numerosa, venuta a piedi da ogni parte, che segue Gesù giorni e giorni.
Secondo alcuni, tanta folla farebbe sospettare la formazione di un movimento messianico di tipo politico che vedeva in Gesù un possibile capo. Ciò è verosimile: del resto Giovanni, a proposito del medesimo episodio, annota che le folle cercavano Gesù per farlo re (Gv 6,15).
Il clima politico della Galilea di quel tempo era surriscaldato e bastava poco a suscitare fanatismi messianici. Scrive ad esempio Giuseppe Flavio: "Uomini ingannevoli e impostori, che sotto apparenza di ispirazione divina operavano innovazioni e sconvolgimenti, inducevano la folla ad atti di fanatismo religioso e la conducevano fuori nel deserto, come se là Dio avesse mostrato loro i segni della libertà imminente" (Guerra giudaica 2, 259).
In questa luce, nella prima moltiplicazione dei pani, acquista importanza l'annotazione che Gesù obbligò i discepoli ad allontanarsi, ed egli, dopo aver congedata la folla, si ritirò sulla montagna a pregare (6,45-46).
Gesù non accondiscende alle attese politiche della folla, ma si allontana da essa, ritrovando nella preghiera la chiarezza della via messianica della croce e il coraggio per percorrerla.
Questa seconda moltiplicazione dei pani avviene in pieno territorio pagano come prefigurazione dell'eucaristia universale, offerta in pienezza anche ai pagani. Le sette ceste di pezzi avanzati sono destinate alle settanta nazioni pagane della tradizione biblica ebraica (cfr Gen 10).
Ancora una volta Gesù dona il pane e rinnova la sua misericordia. Non si stanca di noi, non si scoraggia per la nostra durezza di cuore. Insiste con il suo dono infinite volte. Tutta la storia è il tempo della pazienza di Dio.

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14/02/2011 08:47
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Andate a tutto il mondo ad annunciare il mio Vangelo

"Il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi". I due di turno, inviati come i primi per la messe del Signore, con la stessa missione, come annunciatori del vangelo di Gesù Cristo e della sua pace, sono i fratelli santi, Cirillo monaco e Metodio vescovo. Fanno parte della schiera numerosissima dei missionari e degli apostoli della fede cristiana, ma la loro santità, che ulteriormente li affratella, è legata alla divina e umana sapienza con cui hanno espletato il loro ministero. Hanno compreso appieno che con la fede cristiana vanno coniugati altri valori di civiltà e di crescita, che mirabilmente concorrono ad elevare tutto l'uomo verso Dio. La sapienza cristiana, dono dello Spirito Santo, messa a servizio dell'uomo e di intere popolazioni, diventa motivo di crescita sia nel campo della fede, sia in tutto ciò che giova ad elevare la qualità della vita in tutti i suoi aspetti. Si diventa così, come è accaduto per due grandi, che oggi celebriamo, annunciatori della verità di Dio, costruttori di pace, animatori di un sano progresso. Gli strumenti sono quelli di sempre, quelli che, lo stesso Signore ha affidato ai suoi, cambia però il modo di porgerli e di realizzarli nella concretezza della storia, nel confronto con culture diverse, con tradizioni diverse, con lingue diverse. I popoli slavi, particolarmente hanno goduto della santità dei due eroi della fede, ma l'Europa intera, li venera e li ricorda con viva e perenne gratitudine. Per questo l'attuale pontefice nel 1980 li ha proclamati patroni del nostro continente, additandoli ad esempio per tutti coloro che hanno il compito di promuovere la crescita degli uomini del nostro tempo, sia nell'ambito religioso, sia in quello civile ed umano. Il Parlamento Europeo nella bozza di costituzione, proposta in questi giorni, sembra abbia dimenticato completamente la storia soprattutto misconosce l'influsso innegabile del cristianesimo sulla nostra civiltà. Cirillo e Metodio, patroni d'Europa, non fanno più parte del parlamento europeo, sono stati indebitamente espulsi e non solo loro due!

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16/02/2011 08:45
 
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Dalla Parola del giorno
Siate di quelli che mettono in pratica la Parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi. Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la Parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: appena si è osservato, se ne va, e subito dimentica com'era. Chi invece fissa lo sguardo sulla Legge perfetta, la Legge della libertà, e le resta fedele (...), questi troverà la sua felicità nel praticarla.

Come vivere questa Parola?
San Giacomo, dopo aver invitato ad accogliere la Parola docilmente, esorta a metterla in pratica mediante l'immagine dello specchio. Se il mio specchio è la Parola di Dio, bisogna che dopo essermi specchiato nell'ascolto, io metta in ordine la mia vita (nei pensieri, negli atteggiamenti relazionali, nelle scelte); come quando ogni mattina dopo essermi specchiato mi riordino nella persona (specchio me e riordino me, non gli altri!).
Se invece mi specchio e agisco secondo le mie propensioni psichiche, questo specchio si rivela deformante. Se poi mi specchio nell'ascolto della Parola ma non giungo a praticarla come Legge di Dio che si riassume nei due grandi precetti dell'amore, non giungo a realizzare veramente me stesso. Infatti è la Legge dell'Amore che mi rende persona libera e gioiosa perché è proprio della natura dell'amore di rendere liberi e beati quelli che, con la forza dello Spirito, s'impegnano ad amare.

Oggi mi specchierò bene in questa Parola di Giacomo: "Sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all'ira" (1,19). E invocando Gesù, che nel Vangelo di oggi guarisce la cecità, vedrò concretamente che cosa m'impedisce d'essere uomo o donna di profondo ascolto, di parola ben calibrata e saggia, di mitezza
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18/02/2011 09:25
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
"Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero se poi perde la propria anima?"

Come vivere questa Parola?
Questa espressione di Gesù, ripetuta da tutti gli evangelisti, potrebbe sembrare soltanto patrimonio cristiano. Invece la sua origine è molto più lontana. Già per Socrate e Platone l'anima è la parte più intima dell'essere umano. Inoltre, questo spazio inaccessibile non è solo la sede della personalità ma anche il 'luogo' simbolico della presenza di Dio nella sua creatura.
La filosofia greca non poteva arrivare a tanto, ma ci si è avvicinata. Per il filosofo greco, infatti: "L'anima è in sommo grado simile a ciò che è divino". In questo modo realmente lo sviluppo pre-cristiano del pensiero è stato una preparazione per accettare il pensiero incarnato, il Verbo.
Lungo i secoli, questa realtà invisibile, scintilla divina nella persona, si è rivelata in vari modi: la poesia, l'arte, la sete di assoluto, la ricerca di senso, la misericordia, soprattutto si è manifestata attraverso l'espressione dell'amore. Tutte le volte che l'uomo sa guardare oltre i confini del proprio io, sa valicare gli steccati del benessere personale; quando sa alzare gli occhi al cielo mentre posa lo sguardo sul volto del fratello e se ne prende cura, la parte più segreta e sacra di se stesso gli rivela la sua grandezza.
Con parole semplici, è quanto esprime una ragazza del nostro tempo su un blog della Rete:
Eh sì...ci si affanna tanto... ma per cosa?
Per poi ritrovarsi a tradire la nostra umanità, il nostro desiderio infinito di felicità... per trovarci a tradire quello che siamo veramente, e cioè rapporto col Mistero. Quando tagliamo questo rapporto per fare come vogliamo noi... ecco che perdiamo noi stessi!
La mia appartenenza a Cristo, questo legame, mi rendo conto che (paradossalmente... perché un legame spesso lo sentiamo come costrizione della nostra libertà!) nella mia vita mi rende una persona davvero libera, perché libera di rispondere alla verità di me stessa. Cosa ci dà la felicità, anzi Chi ci dà la felicità? Per me significa concentrarmi sulle cose importanti della vita e significa non credere che la vita abbia senso e sia riuscita solo se la 'performance' è andata bene.


Oggi, durante la mia riflessione/preghiera ringrazierò Dio di avermi donato una scintilla divina, che è la mia anima, e lo pregherò di farmi vivere secondo la luce di questo cielo interiore che dissipa i fumi del consumismo, dell'arrivismo, dell'egoismo.

La voce di una martire
Quando incontriamo una persona ricca di bontà, di generosità, di dedizione agli altri, di mitezza, dal cuore magnanimo e capace di perdono, ci accorgiamo che il suo volto – fosse puro rugoso come era il volto di Madre Teresa – è bello di una bellezza vera, luminosa, interiore, spirituale, di una bellezza attraente perché irradia gioia, serenità, armonia, pace.

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20/02/2011 09:04
 
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padre Ermes Ronchi
Un cuore che sa amare i nemici

Avete inteso che fu detto: occhio per oc­chio... Ma io vi dico se uno ti dà uno schiaffo sul­la guancia destra, tu porgigli anche l'altra: sii disarmato, non incutere paura, mostra che non hai nulla da difen­dere, e l'altro capirà l'assur­do di esserti nemico.
Tu porgi l'altra guancia; non la passività morbosa di chi ha paura, ma una iniziativa decisa: riallaccia tu la rela­zione, fa' tu il primo passo, perdonando, ricomincian­do, rattoppando coraggio­samente il tessuto della vi­ta, continuamente lacerato. Il cristianesimo non è una religione di servi, che si mor­tificano e si umiliano e non reagiscono; non è «la mora­le dei deboli che nega la gioia di vivere» (Nietzsche). Ma la religione dei re, degli uomi­ni totalmente liberi, padro­ni delle proprie scelte anche davanti al male, capaci di di­sinnescare la spirale della vendetta e di inventare rea­zioni nuove, attraverso la creatività dell'amore, che fa saltare i piani, non ripaga con la stessa moneta, scom­bina le regole ma poi rende felici.
Amerai il prossimo e odierai il tuo nemico, Ma io vi dico: amate i vostri nemici. Gesù intende eliminare il concet­to stesso di nemico. Violen­za produce violenza come un catena infinita. Lui sce­glie di spezzarla. Mi chiede di non replicare su altri ciò che ho subito. Ed è così che mi libero. Tutto il Vangelo è qui: amatevi altrimenti vi di­struggerete.
Cosa possono significare al­lora gli imperativi di Gesù: amate, pregate, porgete, pre­state?
Non sono ordini, non si ama infatti per decreto, ma porte spalancate verso delle possibilità, offerta di un potere, trasmissione da Dio all'uomo di una forza divi­na.
E tutto questo perché siate figli del Padre vostro celeste che fa sorgere il sole sui buo­ni e sui cattivi. Da Padre a fi­gli: c'è come una trasmis­sione di eredità, un'eredità di comportamenti, di affet­ti, di valori, di forza.
Voi potete amare anche i ne­mici, potete fare l'impossi­bile, io ve ne darò la capa­cità se lo desiderate, se me lo chiedete, e proseguite sulla strada del cambiamento in­teriore, della conformazio­ne al Padre. Allora capisco: io posso (po­trò) amare come Dio! Ci sarà dato un giorno il cuore stes­so di Dio. Ogni volta che noi chiediamo al Signore: «Do­naci un cuore nuovo», noi stiamo invocando di poter avere un giorno il cuore di Dio, di conformarci agli stes­si sentimenti del cuore di Dio.
È straordinario, verrà il gior­no in cui il nostro cuore che ha fatto tanta fatica a impa­rare l'amore, sarà il cuore di Dio e allora saremo capaci di un amore che rimane in e­terno, che sarà la nostra a­nima, per sempre, e l'anima del mondo.

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21/02/2011 09:59
 
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padre Lino Pedron
Commento su Marco 9,14-29

Con questo episodio Marco ci istruisce su un'esigenza fondamentale per seguire Gesù: la preghiera. I discepoli, con tutta la loro buona volontà, non sono riusciti a scacciare il demonio da un ragazzo. Eppure Gesù li aveva scelti proprio perché "stessero con lui, per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni" (3,14-15). E quando erano andati in missione "predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni..." (6,12-13). Ma ora non riescono! Perché? Gesù risponde con una frase che illumina non solo la situazione in questione, ma anche molte pagine della storia della Chiesa: "Questa specie di demoni non si può scacciare in nessun modo, se non con la preghiera" (9,29).

Solo un cristiano che prega sarà in grado di superare vittoriosamente il potere di satana sul mondo.

Ai discepoli che chiedono il motivo della loro impotenza, Gesù ricorda l'importanza assoluta della preghiera. E' solo con la preghiera fiduciosa che possiamo riempire la nostra debolezza con la potenza di Dio. Dobbiamo convincerci che la nostra preghiera è più potente di quanto pensiamo.

La terapia dei nostri mali e della nostra morte è lasciarci toccare da Gesù che è il medico e la medicina: e questo atteggiamento è la fede. Ma questa ci manca. Sia chi crede di credere, sia chi crede di non credere è invitato a ripetere l'invocazione del padre: "Aiuta la mia incredulità" (v.24).

La fede è onnipotente perché accoglie la forza di Dio che viene in nostro aiuto e ha compassione di noi.

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23/02/2011 14:43
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
Che è mai la vostra vita? Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare [...]. Chi sa fare il bene e non lo compie, commette peccato.

Come vivere questa Parola?
In clima di Nuovo Testamento riecheggia un tema antico: quello della caducità del nostro vivere quaggiù. È un tema che nell'Antico Testamento i libri sapienziali, come il libro di Giobbe e i Salmi, hanno efficacemente sottolineato. Ma se vogliamo essere più precisi, non è inutile ricordare che sapienti di altre fedi e culture antichissimi hanno espresso con l'eloquenza della poesia, questa verità.
Per citarne uno che da tempo mi ha colpito, cito qui i versi di Simonie di Ceo (550-457 a.C.) che scrive: "Rapida passa la vita dell'uomo più forse di quanto rapida, nell'estate, batte una mosca l'ala".
Efficacissima immagine poetico-esistenziale! Vera oggi e sempre. Ai tempi nostri Eugenio Montale, con altrettanta intensità, così esprime il rapido passare della vita: "Un uomo sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole. Ed è subito sera."
Ma Giacomo non si ferma a farci riflettere sulla caducità della vita. Vede che in essa, "se il Signore vorrà", e col suo aiuto, noi possiamo operare il bene. Ciò che denuncia come peccato è il sapere di poter vivere questa positività e rifiutarla. Per neghittosità, indolenza, pessimismo: tutte forme di non-amore.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, mi soffermo a considerare questi giorni fuggitivi che mi sono dati da vivere e il gran dono di poterli riempire di opere buone, di positività, in una parola: di amore.

Che gran tesoro è il dono della vita, mio Signore, ma quanto è grande anche la mia responsabilità. Non solo insegnami a contare i miei giorni ma anche a colmarli di pensieri, sentimenti, soprattutto gesti, opere d'amore.

La voce di un lebbroso
Sento che la vita – questo breve momento per il quale nacqui, questo spazio aperto sull'infinito, in cui sono germogliato e che ora devo gestire – è un miracolo grande.
Lino Villachà

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25/02/2011 08:56
 
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Eremo San Biagio Commento su Sir 6,14-15

Dalla Parola del giorno
Un amico fedele è una protezione potente, chi lo trova, trova un tesoro. Per un amico fedele non c'è prezzo, non c'è peso per il suo valore.

Come vivere questa Parola?
L'amicizia, anche solo a livello umano, è tra le realtà più belle e preziose della vita. Ma purtroppo anche qui può insinuarsi il calcolo egoistico che tutto deturpa e uccide. Si cerca l'altro per il proprio tornaconto e finché ci sta bene, ma si è pronti ad abbandonarlo se cade nel bisogno. Purtroppo è vero! Ma, possiamo ancora chiamare amico chi si comporta così? È questa l'amicizia? La risposta ci viene dalla vita e dalle parole di Gesù. Lo vediamo rapportarsi con la famiglia di Marta, Maria e Lazzaro: i tre amici presso cui amava intrattenersi. Un rapporto di delicato affetto che lo porta a fremere e a piangere dinanzi alla tomba dell'amico. Lo ascoltiamo mentre, agli apostoli sgomenti per la tragedia che presagiscono, dichiara: "Non vi chiamo servi, ma amici", perché non ho avuto segreti con voi. Una consegna senza riserve, un aprire il proprio cuore, mettendosi a nudo. E ancora "Nessuno ha amore più grande di chi dà la vita per i suoi amici". Parole che sigillerà con il suo sangue. Di più: la sua fedeltà non viene meno neppure dinanzi al tradimento. "Amico!" chiama ancora Giuda nel momento stesso in cui questi lo sta vergognosamente "vendendo" come uno schiavo. Ecco il vero volto dell'amicizia! Una realtà che potremmo definire umano-divina, perché affonda le sue radici in quel tratto di somiglianza con Dio, impresso in noi dal primo istante. L'amicizia, infatti, è una modalità dell'amore; e l'amore è da Dio. Nulla di più nobile a cui spalancare la propria esistenza.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, passerò in rassegna il volto di quanti mi fanno dono della loro amicizia e chiederò al Signore di benedirli. Mi chiederò poi: l'amicizia, che a mia volta offro alle persone, è autentica, cioè disinteressata, pronta a farsi presente nel momento del bisogno e a perdonare quando c'è qualche screzio? Oppure dentro un frenetico fare divento incapace di coltivare amicizie?

Gesù, tu sei per noi fratello, sposo, amico. Insegnami la via del dono disinteressato e generoso, perché a mia volta sappia offrire a chi mi vive accanto il calore di una vera amicizia.

La voce di un Padre della Chiesa
Chi altri è l'amico se non una persona unita nell'amore, al quale l'animo tuo si stringe e si fonde come volesse diventare una sola persona; a cui tu affidi tutto te stesso, da cui nulla temi e al quale nulla tu chiedi di disonesto per tuo vantaggio? L'amicizia infatti non è fonte di guadagno, ma è piena di decoro e di grazia. E' una virtù, non un commercio: non è frutto di soldi, ma di amore; non è l'offerta di mercato che la crea, ma la reciproca benevolenza
S.Ambrogio
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27/02/2011 09:30
 
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don Marco Pedron
La vita è più di quello che si vede

Il vangelo di oggi come tutti quelli di queste domeniche si trova nel Discorso della Montagna (5-7) che è il manifesto di Gesù.
Questo vangelo si divide in due parti: i primi due versetti (6,24) trattano una questione e i rimanenti ne trattano un'altra (6,25-34).

Il primo versetto dice: "Nessuno può servire due padroni; o odierà l'uno e amerà l'altro o preferirà l'uno e disprezzerà l'altro" (6,25). Ma a rigor di logica è proprio vero che se si ama uno si disprezza l'altro? E' vero che se si preferisce uno si deve disprezzare l'altro? No, non è vero. Qui "amare e odiare" infatti, non descrivono tanto stati d'animo, emozioni, ma decisioni in una direzione o nell'altra. O di qua o di là: o oggi vai al mare o vai in montagna. Non si possono scegliere entrambe.
Il versetto va capito in quel tempo: un servo, uno schiavo, era solo di un padrone perché, si riteneva, che se faceva gli interessi di un padrone non poteva farli di un altro (vi erano solo delle eccezioni nel caso di un servo per due fratelli o per due comproprietari).
A quel tempo il servo, lo schiavo, quindi, aveva un solo padrone per definizione. Allora, se ha un padrone, dice il vangelo, è ovvio (per quel tempo) che non ne può avere un altro. Cioè, dice Gesù, ci sono delle scelte che escludono altre.
Tutto questo - dice Gesù - è la stessa cosa che vale per Dio e Mammona.
Nel corso dei secoli Mammona è diventato il male, la ricchezza disonesta o spesso qualcosa di negativo. Ma "Mammona", dall'aramaico mamona e dall'ebraico mamon, viene dalla radice aman che designa ciò di cui si può avere fiducia, su cui si può fare affidamento. Per questo designa le ricchezze, i beni, le sostanze, ciò su cui ci si può basare (far fiducia) per vivere. Non ha quindi nessuna connotazione negativa.

Cosa vuol dire tutto questo? 1. Bisogna scegliere. O di qua o di là; o Dio o Mammona.
Sei all'imbocco dell'autostrada: una direzione è Venezia, l'altra Milano. O vai di qua o vai di là. Non si possono prendere entrambe simultaneamente. E non scegliere è già una scelta: stare fermi, infatti, è una triste scelta per chi ha le gambe (o l'auto nel nostro esempio).
Quest'estate un ragazzo (diciotto anni) mi chiama e mi chiede: "Posso venire a parlarti?". "Sì, d'accordo". Viene e mi dice: "Ho un problema". "Sentiamo!". E mi racconta che è innamorato perso di una ragazza dalla quale è ricambiato. E gli dico: "Perfetto! Non capisco dov'è il problema?". "Il problema è che sono innamorato anche di un'altra!". "Ah! E cosa vuoi fare?". E lui, scherzando ma non troppo: "Non si può dividere il cuore a metà?". "No, non si può…". In certe situazioni bisogna scegliere: o di qua o di là.
Scegliere vuol dire "questo" e non "quello". Scegliere vuol dire dirigere le nostre risorse, il nostro amore, il nostro potenziale in una direzione, su di una via, perché tutto non è possibile.
Scegliere vuol dire plasmare la nostra vita. Sono le nostre scelte che danno forma alla nostra vita. La nostra vita è nient'altro che il frutto delle nostre scelte, delle nostre non scelte o delle scelte di paura (che sono comunque delle scelte). Per questo ognuno avrà ciò che lui vorrà (come diceva la prima lettura quindici giorni fa; Sir 15,15-20). La nostra vita è perfettamente ciò che abbiamo scelto.
Un uomo è dentro ad un gruppo di preghiera. Dice: "Sono troppo rigidi per me". E perché stai lì? "Perché se lascio il gruppo perdo i miei amici". Scegli: l'elasticità e l'apertura o gli amici. Tutto non si può avere.
Un uomo sposato lavora vicino all'abitazione di sua madre e va tutti i giorni a pranzo a mangiare da lei. Dice: "E' insopportabile! Ogni giorno, tutti i giorni, si lamenta di mio padre e di questo e di quello…". "E perché ci vai tutti i giorni, allora?". "Perché s'arrabbia e mi fa il muso se non ci vado". Scegli: meglio andare e stare così o meglio deluderla? Fai la tua scelta.
Quando non si sa cosa scegliere, si prende carta e penna e si fanno quattro colonne: pro e contro di una scelta, pro e contro dell'altra. E poi? E poi bisogna operare una scelta prendendosene la responsabilità. Una scelta è sempre un "sì" a qualcosa e un "no" a qualcos'altro.

2. Ma vuol dire anche un'altra cosa: bisogna scegliere a che livello si vuol vivere. Mammona e Dio non sono il bene e il male; corrispondono a livelli diversi di vivere.
Qualche versetto prima, infatti, Gesù ha detto: "Non accumulatevi tesori sulla terra dove tignola e ruggine consumano e dove i ladri scassinano; accumulatevi invece tesori nel cielo dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano" (6,19-21).
I tesori della terra (Mammona) sono precari, cibo per il corpo: non sono cattivi, ma danno quel che possono dare. I tesori del cielo (Dio) sono definitivi, cibo per l'anima: davvero riempiono e fanno sentire vivi, vitali e felici. Scegli a che livello vuoi vivere (Dio o Mammona) e non lamentarti poi, perché hai scelto tu.
Alcune persone dicono: "Ah, padre, non sono mica cose per me quelle. Io sono fatto per cose pratiche" e si riferiscono ad incontri di meditazione, di ascolto interno, di preghiera profonda. Nessun problema, hai scelto il livello dove vuoi vivere.
Se non fai mai corsi dove impari, dove cresci, dove ti metti in gioco, dove ti conosci, dove cambi, hai scelto il livello dove vuoi vivere e avrai di conseguenza ciò che hai scelto.
Se il tuo unico pensiero sono i soldi o la paura di essere giudicato dagli altri o che gli altri forse hanno più di te o come investire i "quattro soldi" o dove andare in vacanza o che vestito comprare o l'ultimo gossip, hai scelto a che livello vuoi vivere. Avrai ciò che hai scelto.
Se vuoi vivere nelle altezze devi scegliere la montagna. Se vuoi vivere in pianura scegli di non camminare e di non faticare su per i sentieri. Non è un problema, ma non lamentarti di non godere della montagna!
Una coppia dice: "Non riusciamo a comunicare". "Fatevi aiutare; fate un corso". "Ma è difficile!". "D'accordo, tutto dipende da che livello volete vivere il vostro rapporto".
Un uomo: "Sono vuoto dentro". "Cosa fai per il tuo cuore, per ascoltarti, per la tua anima?". "Ma niente a dir la verità". "Se non fai niente avrai niente". Tutto dipende da quale livello scegli.
Un capomastro lavorava da molti anni alle dipendenze di una grossa società. Un giorno ricevette l'ordine di costruire una villa esemplare secondo un progetto a suo piacere. Poteva costruirla nel posto che più gradiva e non badare a spese. I lavori cominciarono ben presto. Ma approfittando di questa fiducia cieca, il capomastro pensò di usare materiali scadenti, di assumere operai poco competenti a stipendio più basso e di intascare così la somma risparmiata. Pensava fra sé: "In fondo sono sempre stato ligio e onesto al mio lavoro. Anche se per una volta non lo sarò… pazienza!". Quando la villa fu terminata, durante una festicciola, il capomastro consegnò al presidente della società le chiavi della villa costruita. Il presidente gliele restituì sorridendo e stringendogli la mano: "Noi le siamo molto riconoscenti e la stimiamo molto per tutto quello che in questi lunghi anni lei ha fatto con onestà e senso del dovere per noi. Quindi questa villa è il nostro regalo per lei".
Avremo secondo ciò che faremo… avremo secondo la passione che ci avremo messo… avremo secondo la capacità di rimanere e di faticare… avremo secondo il desiderio di lottare… avremo nient'altro che ciò che avremo scelto.

3. Ma questa frase vuol dire ancora un'altra cosa: che cos'è prioritario nella tua vita? Cosa c'è al primo posto? Non ciò che vorresti che ci fosse al primo posto, ma cosa c'è realmente al primo posto.
E come si fa a sapere ciò che c'è al primo posto? Se è al primo posto, vuol dire che è ciò che tu più pensi! Se tu pensi sempre che se avessi più soldi saresti meglio, allora al primo posto ci sono i soldi. Se tu pensi sempre che la gente ti frega e che ognuno fa i fatti suoi, allora la primo posto c'è la diffidenza. Se tu pensi sempre che la gente ce l'ha con te, allora la primo posto c'è la rabbia. Se tu pensi sempre al vestito o alla forma, allora al primo posto c'è l'essere riconosciuti. Se tu pensi sempre se quello che fai piace ai tuoi genitori, allora al tuo comando ci sono i tuoi genitori. Se tu pensi sempre se quello che fai è giusto o sbagliato, allora al primo posto c'è la paura di sbagliare.
Ma se tu vedi sempre il lato positivo di ciò che succede, al primo posto allora c'è l'amore. Se tu vedi sempre "che non è così grave", allora al primo posto c'è la fiducia. Se tu vedi che nel profondo di ogni uomo c'è del bene e che è la paura che fa fare certe scelte, ma che se uscisse ciò che ha dentro sarebbe diverso, allora tu vedi Dio in ogni creatura.
Cos'è prioritario nella tua vita? A cos'è che pensi sempre? Perché tutti noi siamo servi di qualcuno o di qualcosa. Tutti noi serviamo ciò che c'è al primo posto nella nostra gerarchia di priorità, ciò a cui pensiamo sempre. Quello è il nostro Dio, ciò che serviamo, ciò a cui siamo fedeli.

I versetti successivi sono molti conosciuti. Sono un'autentica poesia, un'ode, un inno, un canto di Gesù. Sono parole che nascono dal cuore, da una profondità, da un'anima che è già in Dio. Per capirle noi dobbiamo considerare alcune cose.
1. Il concetto di preoccupazione. Il termine merimnao (preoccuparsi, affannarsi, darsi preoccupazione, angustiarsi) ricorre ben quattro volte (5,25.31.34 (due volte)). Ma il concetto di preoccupazione degli antichi e della Bibbia non è il nostro.
Noi ci preoccupiamo perché nostro figlio è in ritardo di mezz'ora: poi arriva e la preoccupazione se ne va via. Ci preoccupiamo per l'esame o perché abbiamo degli ospiti e vogliamo fare bella figura, ecc. La preoccupazione riguarda un aspetto della nostra vita.
Ma quando il vangelo parla di preoccupazione non intende una parte, un aspetto, ma la totalità. Preoccupazione è qualcosa a cui si pensa sempre, che prende tutto il nostro pensiero e che assorbe tutto il resto.
Il testo parallelo di Lc (12,22-31), infatti, è proprio preceduto da un uomo che è tutto preoccupato (cioè pensa solo a quello, è sempre lì, è tutto focalizzato lì) dai suoi raccolti "troppo" abbondanti, per cui pensa a come fare e a dove mettere i suoi raccolti: "Demolirò… costruirò.. raccoglierò…" (Lc 12,13,21). Ma vivere così ti fa morire (Lc 12,20) perché esiste solo quello e nient'altro.
Famosa è la storia del re Mida che ottenne dagli dei il dono di poter trasformare tutto in oro. Non gli sembrava vero, tutto ciò che toccava si trasformava in oro: alberi, sassi, legno, vestiti. Ma la sera di quel giorno ebbe fame. Prese un pezzo di carne per mangiarlo, ma si trasformò in oro. Prese della verdura e si trasformò in oro. Prese del pane e si trasformò in oro. E così, pieno d'oro, morì di fame.
2. Una presupposizione di questo vangelo: la fede. Senza fede questo vangelo non lo si può capire.
E' vero che gli uccelli del cielo sono nutriti dal padre celeste (5,26)? No, perché anche loro devono faticare e volare per trovare erbe e animaletti. No, perché anche loro si preoccupano se non hanno cibo.
E' vero che i gigli del campo non lavorano (5,28)? No, perché dentro la pianta c'è un lavorio enorme.
E' vero che mangiare e bere ci viene dato in aggiunta (5,31-33)? No, perché il cibo e l'acqua non cadono dal cielo.
Da un punto di vista materiale tutto dipende da noi. Se non ti dai da fare non mangi e non bevi.
Ma da un punto di vista spirituale, tutto dipende da Dio, da Lui. Gli uccelli sono nutriti dal padre celeste? Certo. E i gigli vestiti meglio di Salomone? Certo!
Tu guardi tuo figlio: materialmente è ovvio che sei tu che lo nutri. Ma se hai degli altri occhi, come puoi dire che sei tu? E' un miracolo, è un dono: non sei tu che l'hai creato, è qualcun altro.
Tu vedi un tramonto meraviglioso, le stelle o la luna. Certo, sai astronomicamente o fisicamente cosa succede, ma con degli altri occhi non puoi che dire che tutto questo viene da Lui.
Tu sei felice felice, traboccante d'amore tanto da poter dire: "Potrei anche morire da quanto sono felice". Ma certo l'amore è in te, ma sei tu che hai creato quest'amore? Viene da te? E' in te, ma viene da te?
Tu guardi la tua vita realizzata e felice: certo sei tu che hai permesso tutto questo, ma con degli occhi più profondi non puoi che dire che un angelo ti ha sempre protetto e indirizzato.
Fede vuol dire che la vita è più di quello che si vede. Gesù diceva: "Non vedi oltre gli uccelli del cielo? Non riesci a vedere oltre i gigli del campo? Guarda oltre, troverai qualcos'altro, troverai Qualcun altro". Quando guardi una cosa… guarda oltre. Quando guardi una persona… guarda dentro.
Superficialità è fermarsi alla superficie delle cose. Allora la montagna è un ammasso di detriti, sassi, alberi e terra; tua moglie (o una persona) un insieme ordinato di muscoli, tessuti, nervi, cellule, ecc.; un bacio uno sfregamento di epidermidi fortemente irrorate dal sangue. Ma è tutto qui?
Fede non è essere ciechi e non vedere cosa c'è attorno o vicino, essere cioè irrealisti o fuori dalla realtà. Fede è vedere oltre, dentro, le cose, le persone, gli avvenimenti, la vera realtà e la vera essenza di ogni cosa oltre la crosta.
Questo vangelo allora ci fa riflettere e ci interroga su varie cose.

1. Prima cosa: bisogna avere il linguaggio della fede per trasmettere la fede.
Il linguaggio della fede non sono le parole ma è il mistero. Mistero viene dal greco miein che vuol dire "rimanere senza parole, a bocca aperta". E' quella sensazione che si prova di fronte a qualcosa di troppo grande, di così grande, forte, intenso, bello, enorme, che nessuna parola può in realtà contenere.
Il linguaggio della fede allora è la musica e la danza (tutto nell'universo è danza e tutto ha un suono). E' lo stupore, la meraviglia, l'entusiasmo (in greco entusiamo=avere un Dio dentro). E' la commozione, il pianto, la vulnerabilità, la tenerezza, la compassione. E' la passione (pathos vuol dire percepire, sentire, patire).
La fede è la percezione del Mistero di Dio che mi abita. Puoi percepire tutto questo? Sai piangere? Sai emozionarti? Sai mostrarti nella tua vulnerabilità? Sai chiedere scusa? Sai gioire? Sai innamorarti? Sai commuoverti? Sai entusiasmarti? Per cosa ti appassioni? Sai danzare, cantare?
Ma se non conosci neppure le parole (linguaggio) come pensi di parlare a Dio (fede)?
Il maestro accoglieva solo alcuni dei discepoli nel suo monastero. La domanda che faceva a tutti era: "Da quanto tempo non ti innamori più?". Chi gli rispondeva: "Da cinque anni… da vent'anni… mai innamorato io… da tre anni…", tutti questi li scartava. Accoglieva solo chi gli rispondeva: "Da un anno" o da un tempo minore. Gli fu chiesto: "Ma perché fai così?". E lui rispondeva: "Ma un uomo che ha perso la capacità di innamorarsi - secondo te - come può innamorarsi di Dio?".

2. La fede: non aver paura. La fede è il contrario della paura. Un esegeta ha calcolato che nella Bibbia l'espressione "non temere" ricorre 365 volte, come i giorni dell'anno. Allora ogni mattina mi devo alzare e devo scegliere se aver fede o aver paura.
Fede non vuol dire non provare paura ma non lasciarsi bloccare dalla paura. Fede non vuol dire che tutto andrà bene ma che in ogni caso saprò affrontare.
Ogni mattina mi devo alzare e mi devo dire: "Oggi, paura o fiducia?".
Sto andando al lavoro, trovo coda e sono in ritardo. Paura: "Ecco adesso il capo mi darà parole… a'arrabbierà e diventerà una iena". Fede: "Capirà! Magari è in ritardo anche lui; e se non capisce… è poi così grave?".
Paura: "E se perdo il lavoro? E se non ce la faccio? E se mi ammalo? E se… e se…". Fiducia: "A. Qualunque cosa succeda troverò il modo di affrontare. B. Visto che adesso non c'è, non mi preoccupo".
Fede (in Dio) è sapere, non si sa come (se lo si sapesse sarebbe certezza!), non si sa in che modo, che si avranno le risorse, le capacità e che ce la si farà, che si affronterà ciò che ci sarà da affrontare.
Quando monsignor Francesco Frasson costruì l'Opsa di Padova nel lontano 1956, non vi erano tutti i soldi per farla. Ma lui fece come se ci fossero. Allora un collaboratore gli disse: "Ma Francesco, non abbiamo i soldi!". "Noi abbiamo la fede!". "Francesco, non ci sono i soldi!", riprese. "Se avessimo i soldi, che ce ne faremo della fede? Stai tranquillo e adesso vai a dormire in pace. Abbi fede". E così fu.

3. Terza cosa: vivi oggi. Non essere oggi nel domani. Perché se sei nel domani non sei nell'oggi. Tutto questo non vuol dire non progettare, non pianificare, non capire che il domani è la conseguenza di oggi.
Gesù non dice questo. Gesù dice: "Se tu ti preoccupi solo del domani, non sei mai nell'oggi".
Domani hai "una rogna"? D'accordo, ma oggi c'è una bella giornata di sole, sei con i tuoi amici e con chi ami. Vivi oggi e a domani ci penserai domani. E' inutile rovinarsi l'oggi con il domani, non ti pare?
Quanta gente si rovina la vita: "E se succede questo? E se rimango senza soldi? E se succede una crisi internazionale? E se ritorneremo ad essere poveri? E se mi ammalo?". Puoi fare qualcosa per tutto questo? No. E se non puoi fare niente di più di quello che già stai facendo, perché vuoi rovinarti la vita con il futuro? Con quello che potrebbe succedere? Vivi oggi.
Oggi hai il cibo? Sì, godine. Oggi hai la vita? Sì, vivila. Oggi hai l'amore? Sì, gustalo.
Non è che non riusciamo a stare nell'oggi perché siamo preoccupati dal domani, ma siamo preoccupati dal domani perché non riusciamo a stare nell'oggi.
Vite? Una! Oggi? Uno (domani, l'oggi sarà passato)! Tempo: il presente (il futuro non c'è, il passato non c'è più).
A volte alle persone bisogna dire: "Dove sei?". Perché sono in altri tempi, ma non qui. Sono in quello che avrebbero dovuto fare (o non fare), in quello che potrebbe accadere, in quello che sarà, ecc. Sono dappertutto eccetto che qui, nell'ora e nell'adesso, nell'unico tempo reale e vivibile.
A volte alle persone bisogna dire: "Ma cosa aspetti?". C'è una vita, una sola. Passata, è passato tutto. Ciò che non hai fatto, non lo potrai più fare. Ciò che non avrai amato, non potrai più amarlo. Ciò che non hai osato, non potrai più osare. E le parole rimaste in bocca non le potrei più dire. Ma cosa aspetti?
Un giovane e una ragazza sono appoggiati al parapetto di una nave lussuosa. Si tengono teneramente abbracciati. Si sono appena sposati e questa crociera è la loro luna di miele. Stanno parlando del loro presente pieno di amore e del loro futuro che appare così roseo. Il giovane dice: "Il mio lavoro ha ottime prospettive e potremo presto trasferirci in una casa più grande. Fra otto-dieci anni potrò proprio mettermi in proprio. Vedrai che felici che saremo". La giovane sposa continua: "Sì, e i nostri bambini potranno frequentare le scuole migliori e crescere nella serenità". Si baciano e se ne vanno. Su di un salvagente, legato al parapetto si può vedere il nome della nave: Titanic.

Cos'è la fede? Quante volte ci diciamo: "Ma che cosa ci capiterà? Ma dove finiremo? Ma che ne sarà di noi? E poi ci rivedremo?". E' così importante avere risposte…
Era una famigliola felice e viveva in una casetta di periferia. Una notte scoppiò nella cucina della casa un terribile incendio. Mentre le fiamme divampavano, genitori e figli corsero fuori. In quel momento si accorsero, con infinito orrore, che mancava il più piccolo, un bambino di cinque anni. Al momento di uscire, impaurito dal ruggito delle fiamme e dal fumo acre, era tornato indietro ed era salito al piano superiore. Che fare? Il papà e la mamma si guardarono disperati, le due sorelline cominciarono a gridare. Avventurarsi in quella fornace era ormai impossibile… E i vigili del fuoco tardavano. Ma ecco che lassù, in alto, s'aprì la finestra della soffitta e il bambino si affacciò urlando disperatamente: "Papà! Papà!". Il padre accorse e gridò: "Salta giù!". Sotto di sé il bambino vedeva solo fuoco e fumo nero, ma sentì la voce e rispose: "Papà, non ti vedo!". "Ti vedo io e basta. Salta giù!", urlò l'uomo. Il bambino saltò e si ritrovò sano e salvo nelle robuste braccia del papà, che lo aveva afferrato al volo.
Non vedi Dio… ma Lui vede te.



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01/03/2011 14:54
 
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padre Lino Pedron
Commento su Marco 10,28-31

Non si sceglie la povertà per se stessa, non si lasciano le persone più care per il gusto di lasciarle: ciò sarebbe irragionevole, sarebbe un vero male. Se si sceglie di lasciare tutto e tutti è per qualcosa di più grande e soprattutto per Qualcuno più grande: per seguire Gesù e dedicare ideali, mente e cuore all'annuncio del vangelo. Sono queste le finalità che danno un senso alla povertà e al distacco. Nella povertà Gesù propone all'uomo la rinuncia al Dio di questo mondo. La povertà è essenziale per seguire Cristo ed è indispensabile per avere la vita eterna (v.17).

In origine con l'espressione "il centuplo", forse, si intendeva la vita eterna, ma la comunità cristiana scorgeva questo centuplo già nel fatto che i discepoli di Cristo, rinunciando alla casa, alla famiglia e alle proprietà, ritrovavano una nuova famiglia e una casa nella comunità. Sebbene i credenti possano trovare una certa compensazione nei numerosi "fratelli, sorelle, madri e figli", come pure nell'assistenza materiale che ricevono in seno alla comunità, devono tuttavia sapere che quaggiù siamo ancora nel tempo delle persecuzioni, delle tribolazioni, della croce. Anche il fare della comunità la propria casa può nascondere delle insidie. Chi cerca nella comunione con i fratelli e le sorelle di fede una reale compensazione in cambio di ciò che ha lasciato, non ha ancora compreso la chiamata a seguire Gesù fino alla croce. Gesù si separò perfino dai discepoli più cari, morendo solo e abbandonato, per la salvezza di tutti. La comunità non è in primo luogo un rifugio per le persone sole, ma uno spazio dove si raccolgono coloro che rinunciano ai propri desideri per amore di Gesù e si mettono al servizio degli altri uomini. Essa non costituisce un cantuccio tranquillo e appartato dal mondo, ma un punto di partenza per andare verso il mondo.

Le persecuzioni sono i test di fedeltà a Cristo e al vangelo. Il giorno in cui la comunità cristiana non fosse più perseguitata si potrebbero fare solo due ipotesi: o tutti sono diventati definitivamente cristiani, compreso il diavolo, o i cristiani non sono più tali.

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02/03/2011 09:32
 
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Paolo Curtaz Le belle mascherine

È forte, il discorso della montagna.
A prenderlo sul serio, rischiamo la conversione del cuore.
Le beatitudini, prima, poi il lungo discorso in cui Gesù riporta all'origine le tanti prescrizioni che gli uomini avevano aggiunto alla Legge di Dio. Secoli di aggiunte, di sottigliezze, di divieti, di minuzie.
Oltre seicento erano diventati i precetti, una selva che impediva a chiunque di sentirsi a proprio agio, con il conseguente allontanamento della gente semplice da Dio, riservato ormai solo agli ultras della fede, ai devoti oltre ogni misura.
Gesù, invece, ricorda a tutti che la perfezione di Dio consiste nella misericordia, non nell'osservanza scrupolosa di ogni regola, foss'anche religiosa.
E oggi, nella domenica di Carnevale, la Parola ci invita, prima di togliere le maschere ed iniziare il percorso quaresimale, a riflettere sul nostro modo di credere.

Vicina
È una Parola vicina, quella che Dio propone, una Parola da ricordare spesso, come suggerisce la prima lettura, da tenere sempre fra gli occhi e nel cuore; una Parola data perché diventi benedizione, non ostacolo, perché faccia crescere, non stagnare. Dio non è un preside inacidito che impone l'osservanza di regole impossibili, ma un padre che sa come funziona la vita e condivide con noi la sua esperienza.
Il peccato è male perché ci fa del male, perché ci distrugge, perché ci allontana dalla nostra natura profonda, non perché così Dio ha deciso…
Certo: la logica di Dio, ripresa da Gesù, è destabilizzante, inquieta, interroga.
Come possiamo dire di avere osservato tutte le leggi del Signore? Di essere "a posto"? Come possiamo elencare tutte le nostre pie opere davanti alla richiesta dell'imitazione di Dio, non nella sua impeccabilità, ma nella sua misericordia?
Oggi la Parola ancora ci scava, ci provoca.
Attenti a non indossare la maschera del pio devoto.

Mascherine
Maschera da indossare per farci vedere (umilmente) belli davanti a Dio.
Gesù è severo: non basta fare l'elenco delle nostre sante frequentazioni, non basta ricordare a Dio tutte le noiosissime celebrazioni che abbiamo dovuto sopportare con cristiana rassegnazione: nessun taccuino annotato ci permetterà di incontrare il Figlio di Dio, al termine dei nostri giorni…
Paolo è tranciante: è la fede che salva, non le opere.
Qualche anno dopo, Giacomo equilibrerà l'affermazione troppo forte: la fede senza le opere è inutile.
Ecco ciò che il Signore chiede al discepolo: ascoltare la Parola e metterla in pratica. Non sono sufficienti le opere (anche buone!) per incontrare Dio: senza la fede non ci fanno incontrare Dio.
Non è autentica una fede che non diventa quotidianità.
Bella storia.

Alluvioni
Non basta conoscere la Parola di Dio.
E neppure praticare una preghiera intensa e quotidiana.
Non basta avere fatto esperienza di Dio in un ritiro o un pellegrinaggio.
Non basta neppure essere stati chiamati da Dio ad annunciare la Parola, investiti direttamente da lui. Non basta tutto questo perché la casa della nostra fede non crolli alla prima tempesta.
Non basta l'ascolto, dice il Signore, ci vuole la credibilità, la coerenza, la vita concreta, i fatti. Siamo pieni di cristiani che si mettono in mostra davanti a Dio e lo smentiscono nel segreto della loro vita.
Il Signore chiede autenticità, verità, anche a costo di sanguinare, di sperimentare la propria oscena nudità interiore. Se, travolti dagli eventi della vita, abbiamo visto le nostre certezze crollare, e i dubbi radere al suolo la nostra presunta fede, forse è accaduto perché la nostra fede era costruita sulla sabbia delle nostre piccole convinzioni umane. Se il Signore ci ha chiamato ad essere suoi discepoli, e da anni camminiamo, con semplicità, sulla strada del Vangelo, non presumiamo delle nostre forze, ma ancoriamoci saldamente alla Parola che può ancorare la nostra vita alla roccia, senza temere le tempeste.

Gioiamo per questo Carnevale, allora, scherziamo e ridiamo nell'indossare i panni di qualcun altro.
Ma nella fede, per favore, togliamoci le maschere.
Niente belle mascherine, davanti a Dio.
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04/03/2011 09:43
 
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Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
Nessuno possa più magiare i tuoi frutti!

Come vivere questa Parola?
La pretesa di Gesù sembra essere del tutto fuori luogo, lo stesso evangelista annota, unico tra i sinottici, che "non era infatti la stagione dei fichi" (v. 13). Che accade, quindi? La fame fa diventare Gesù irrazionale? Certamente non è questa l'intenzione del racconto di Marco e l'aspetto enigmatico, quasi irrazionale appunto, del gesto di Gesù, atteggiamento che non si riscontra in nessun'altra situazione, vuole farci capire che il significato è diverso, va oltre il gesto in sé.
Gesù va a cercare i frutti sull'albero di fico ma non ne trova; va poi nel tempio e non trova il frutto che ricerca. Per i discepoli comprendere il valore simbolico del gesto di Gesù era relativamente facile perché l'immagine del fico per indicare il popolo di Dio infruttuoso era abbastanza comune e nota nella tradizione biblica ed in particolare nella tradizione profetica (cf Os 9,16; Mi 7,1; Ez 17,24).
L'albero di fico, apparentemente "innocente" perché non è stagione di fichi, assume quindi tutta un'altra dimensione. Sul piano simbolico è, se così si può dire, "colpevole" di non avere regolato la sua produzione di frutti sulla venuta di Gesù.
Il rilievo non è tanto sulla sua capacità di produrre frutti quanto sulla sua mancata sincronizzazione con la venuta di Gesù.

Oggi, nella pausa contemplativa, apro il mio cuore alla fiducia-fede: se rivesto la mia fede di ‘foglie', di apparenze; se non sincronizzo le opere di carità con l'accoglienza umile e semplice del mistero pasquale nella mia vita, rischio di morire fin nelle radici. Allora sento a me rivolto l'imperativo di Gesù: "Abbiate fede in Dio", che più propriamente può essere tradotto con "Abbiate la fede di Dio", che significa: accogliete il Dio che viene a voi!

Donami, Signore Gesù, una fede-fiducia totale in te: riconosca sempre il tuo passaggio nella mia vita e diventi capace di perdonare come tu perdoni me.
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