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MEDITIAMO LE SCRITTURE (Vol.2)

Ultimo Aggiornamento: 30/06/2011 08:20
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26/02/2011 09:21
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza.

Come vivere questa Parola?
Col brano proposto dalla liturgia odierna si chiude la lettera di S. Giacomo che ci consegna, tra l'altro, un gioiello di insegnamento riguardo la preghiera. L'autore della lettera si era intrattenuto anzitutto su temi più scottanti dalla relazionalità fino a toccare quello dell'ingiustizia sociale. Ma quello che ora ci dice ha forza persuasiva nel fatto che non dal basso, ma dall'Alto il cristiano invoca e ottiene la forza per risolvere i problemi. Anzi quelli, in ogni epoca, più complessi e più ardui.
Qui, come sempre, è la Parola a darci coraggio. Ci consegna una verità di luce: "la preghiera del giusto", ossia di colui che s'impegna, giorno dietro giorno, a compiere la volontà di Dio, "vale molto". È però messo in evidenza, dall'autore, un particolare importante, dev'essere fatta "con insistenza". Un'altra prerogativa della fede l'aveva espressa poco sopra: deve essere realizzata con fede. Ed è come dire: prega con fiducia e non stancarti di pregare. Pur avvertendoti fragile, distratto, assolutamente incapace di 'toccare' Dio e accoglierlo, esponiti a lui come il pubblicano della parabola, confessa la tua pochezza, il tuo peccato e ringrazia dei talenti ricevuti, del bene che puoi fare, quando Dio te ne dà la grazia. Prega come un bambino. Con l'insistenza del bambino che vuole essere preso in braccio dalla mamma. Prega credendo che "tutto è possibile a chi crede". E credi pregando di avere apertura di sguardo interiore e di cuore.

Oggi, festa di Maria Ausiliatrice, giornata dedicata dal Papa alla preghiera per la Cina, di cui è patrona da 1924, nella mia pausa contemplativa, chiedo allo Spirito Santo di concedere a me e ai miei fratelli cinesi di sperimentare la forza della 'preghiera insistente' come momento contemplativo di pura, fiduciosa, assolutamente semplice immersione nell'Amore di Gesù Crocifisso e Risorto. Di lì tutto mi viene, tutto ci viene!
Maria che ha vissuto custodendo tutto nel suo cuore e credendo in assoluta fiducia ci sia di aiuto e di esempio.

Signore, hai detto che qualunque cosa chiederò nel tuo nome, l'otterrò. Ebbene, nel tuo nome, per l'intercessione di Maria, tua e nostra Madre, ti chiedo il dono della preghiera fiduciosa e perseverante.

Preghiera di Benedetto VI
Vergine Santissima, Madre del Verbo incarnato e Madre nostra, venerata col titolo di "Aiuto dei cristiani" nel Santuario di Sheshan, verso cui guarda con devoto affetto l'intera Chiesa che è in Cina, veniamo oggi davanti a te per implorare la tua protezione.
Volgi il tuo sguardo al Popolo di Dio e guidalo con sollecitudine materna sulle strade della verità e dell'amore, affinché sia in ogni circostanza fermento di armoniosa convivenza tra tutti i cittadini...
Nostra Signora di Sheshan, sostieni l'impegno di quanti in Cina, tra le quotidiane fatiche, continuano a credere, a sperare, ad amare, affinché mai temano di parlare di Gesù al mondo e del mondo a Gesù. Amen.

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28/02/2011 13:42
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Se vuoi essere perfetto

Il collegamento tra le due letture proposte per la nostra riflessione può esserci dato dal contrasto della situazione che esse ci presentano. Pietro invita alla gioia le comunità cristiane esposte alla incomprensione, e perfino alla persecuzione a causa della loro fede in Gesù che amano e nel quale credono pur non avendolo né incontrato né visto. La loro fede viene purificata con le prove della vita come l'oro lo è con il fuoco. In risposta a questo invito, il ritornello del salmo responsoriale ci fa ripetere: Esultiamo di gioia nel Signore! La gioia, quella vera e autentica, è dono dello Spirito; ne sono pieni quanti da Lui si lasciano guidare nelle scelte della vita. A questa situazione delle comunità cristiane, credenti senza aver incontrato il Signore, fa riscontro l'atteggiamento del giovane ricco che appare sincero nella ricerca della vita eterna. Ha osservato davvero le norme della legge... Forse una osservanza solo esteriore, interessata... Il suo cuore però è preso dall'affetto vincolante ai suoi beni. Gesù vuole liberarlo da questa schiavitù: Se vuoi essere perfetto, va, vendi quello che hai e dallo ai poveri... poi vieni e seguimi... Proposta inaccettabile per lui! Si allontana dal Signore rattristato... E Gesù: Quanto è difficile che il ricco entri nel Regno di Dio. Dinanzi alla meraviglia degli apostoli che esclamano: E chi mai si può salvare? Gesù afferma: Impossibile agli uomini, ma non a Dio. Per fortuna! Sì, perché quanto è difficile distaccarsi dai beni della terra, dalle ricchezze che sono chiamate: Idolatria... Vorremmo che gli occhi del Signore si incontrino anche oggi con quelli di giovani d'ambo i sessi, si sentano amati... chiamati... per un servizio nella Chiesa... ma che abbiano il coraggio che è mancato al giovane del Vangelo.

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03/03/2011 09:30
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Figlio di Davide, abbi pietà di me!

La fede nasce dall'ascolto: insegna San Paolo. L'ascolto avviene per la proclamazione della Parola, dell'annunzio del mistero di Gesù: "Se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza. Dice infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui non sarà deluso. Poiché non c'è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati? Come sta scritto: Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene! Ma non tutti hanno obbedito al Vangelo. Lo dice Isaia: Signore, chi ha creduto dopo averci ascoltato? Dunque, la fede viene dall'ascolto e l'ascolto riguarda la parola di Cristo" (Rm 10,9-17).
Quest'uomo che siede lungo la via a mendicare è cieco, non è però sordo. Dove lui è seduto è un posto strategico. Da lì passa tutto il mondo che sale verso Gerusalemme e che discende da essa. Quasi tutti i pellegrini conoscevano Gesù e di sicuro gliene avevano parlato in lungo e in largo, raccontando nei particolari, a volte anche aggiungendo del proprio come avviene nelle narrazioni orali, quanto Gesù aveva fatto su ciechi come lui e su altri infermi. Dalla narrazione del mistero di Cristo il cieco si apre alla fede. Sa chi è Gesù. Non lo ha mai visto. Ma sa che è persona potente in parole e in opere. Sa anche che Gesù è il Figlio di Davide, il Messia del Signore. Questo giorno è propizio per lui. Oggi su quella strada che conduce alla città santa sta passando Gesù di Nazaret, colui che lo può guarire e sanare. Cosa fare se non gridare tutta la sua fede con una invocazione di pietà e di misericordia?
La completezza della fede non è quando si conosce il mistero di Gesù in se stesso e per se stesso. Avviene quando lo si conosce nella sua perfezione anche per riguardo a noi. Gesù non è venuto per farci qualche miracolo, per concederci qualche grazia, per riversare sopra di noi una o molte benedizioni. Lui è venuto perché il suo mistero divenga il nostro, perché noi siamo i continuatori di esso, perché lo realizziamo interamente nella nostra vita. La sequela di Gesù è parte essenziale della fede e dove Cristo cammina per la sua strada e noi per la nostra, di Lui non abbiamo compreso nulla. Sappiamo solo che è Onnipotente, Santo, Giusto, Divino, Eterno, Redentore e Salvatore, ma ignoriamo che la fede in Lui costituisce noi prolungamento nella storia della sua vita. Finché non diveniamo questo prolungamento, la nostra fede in Lui è semplicemente iniziale, parziale, spesso ereticale, erronea e anche falsa.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli e Santi, fateci vita della vita di Gesù.

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05/03/2011 08:38
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
Costruite il vostro edificio spirituale sopra la vostra santissima fede, pregate mediante lo Spirito Santo.

Come vivere questa Parola?
In un densissimo versetto Giuda, fratello di Giacomo, ci ricorda oggi con forza la realtà per cui ogni cristiano è chiamato a farsi collaboratore di Dio nella costruzione di quell'edificio spirituale che siamo noi stessi. Siamo infatti tutti destinati a divenire quella dimora del Dio vivente, quel tempio dello Spirito Santo nel quale Dio ha scelto di porre la sua tenda, di piantare il suo vessillo di gloria. Ma come si diventa architetti di una tale costruzione? Innanzitutto avendo come fondamento la fede, ci dice Giuda. La fede-fiducia in Gesù Cristo crocifisso e risorto, il rapporto personale e appassionato con lui, è questo che rende la casa salda come quella costruita sulla roccia, perché egli – e non altri – è la pietra angolare scartata dai costruttori, ma scelta e preziosa da-vanti a Dio, che è diventata testata d'angolo. Poi la preghiera, che è il respiro, il polmone vitale dell'edificio. Se non c'è la preghiera non c'è respiro, ossia non c'è vita. Non ci è chiesto infatti soltanto di costruire un edificio, ma di diventare "pietre vive"! E la preghiera di cui parla Giuda è quella mediante lo Spirito Santo: accoglienza silenziosa e disponibile dei suoi gemiti in noi, ascolto attento delle sue ispirazioni, obbedienza liberante alla sua voce.

La voce di un Padre della Chiesa
Qual è la casa di Dio? E' il popolo di Dio, sono tutti i fedeli: è la schiera immensa dei fedeli riuniti in unità, ma contati da Dio uno a uno.
S. Ilario di Poitiers

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06/03/2011 08:28
 
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padre Raniero Cantalamessa La casa sulla roccia

Tutti sapevano, al tempo di Gesù, che è da stolti costruire la propria casa sulla sabbia, nel fondo delle valli, anziché in alto sulla roccia. Dopo ogni pioggia abbondante si forma infatti quasi subito un torrente che spazza via le casupole che incontra sul suo cammino. Gesù si basa su questa osservazione che aveva forse fatto di persona per costruirvi la parabola odierna delle due case, che è come una parabola a due facce.
"Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia".
Con simmetria perfetta, variando solo pochissime parole, Gesù presenta la stessa scena in negativo: "Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande".

Costruire la propria casa sulla sabbia vuol dire riporre le proprie speranze, certezze su cose instabili e aleatorie che non reggono all'urto del tempo e dei rovesci di fortuna. Tali sono il denaro, il successo, la stessa salute. L'esperienza ce lo mette ogni giorno sotto gli occhi: basta un nonnulla - un piccolo grumo nel sangue, diceva il filosofo Pascal – per far crollare tutto.

Costruire la casa sulla roccia, vuol dire, al contrario, donfare la propria vita e le propie speranze su ciò "i ladri non possono rubare, né la tignola corrodere", su ciò che non passa. "I cieli e la terra passeranno, diceva Gesù, ma le mie parole non passeranno".

Costruire la casa sulla roccia significa molto semplicemente costruire su Dio. Egli è la roccia. Roccia è uno dei simboli preferiti dalla Bibbia per parlare di Dio: "Il nostro Dio è una roccia eterna" (Is 26,4); "Egli è la Roccia, perfetta è l'opera sua" (Deut. 32,4).

La casa costruita sulla roccia esiste già; si tratta di entrarci! È la Chiesa. Non, evidentemente, quella fatta di mattoni, ma quella composta dalle "pietre vive" che sono i credenti, edificati sulla "pietra angolare" che è Cristo Gesù. La casa sulla roccia è quella di cui parlava Gesù quando diceva a Simone: "Tu sei Pietro e su questa pietra (alla lettera, roccia) edificherò la mia Chiesa" (Mt 16, 18).

Fondare la propria vita sulla roccia significa dunque vivere nella Chiesa; non restarne fuori puntando tutto il tempo il dito contro le incoerenze e i difetti degli uomini di Chiesa. Dal diluvio universale si salvarono solo poche anime, quelle che erano entrate con Noè nell'arca; dal diluvio del tempo che tutto inghiotte si salvano solo quelli che entrano nell'arca nuova che è la Chiesa (cf. 1 Pt 3, 20). Questo non vuol dire che tutti quelli che sono fuori di essa non si salvano; c'è una appartenenza alla Chiesa di altro genere, "nota solo a Dio", dice il concilio Vaticano II che riguarda quelli che senza conoscere Cristo, operano secondo i dettami della propria coscienza.

Il tema della parola di Dio, che è al centro delle letture di questa domenica e sul quale si svolgerà in ottobre il prossimo Sinodo dei vescovi, mi suggerisce una applicazione pratica. Dio si è servito della parola per comunicarci la vita e rivelarci la verità. Noi esseri umani usiamo spesso la parola per dare la morte e nascondere la verità! Nella introduzione al suo famoso Dizionario delle opere e dei personaggi, Valentino Bompiani racconta questo episodio. Nel luglio 1938 si tenne a Berlino il congresso internazionale degli editori a cui partecipò anche lui. La guerra era già nell'aria e il governo nazista si mostrava maestro nel manipolare le parole a fini di propaganda. Il penultimo giorno, Goebbels che era il ministro della propaganda del Terzo Reich, invitò i congressisti nell'aula del parlamento. Ai delegati dei vari paesi fu chiesta una parola di saluto. Quando venne il turno di un editore svedese, questi salì sul podio e con voce grave pronunciò queste parole: "Signore Iddio, devo fare un discorso in tedesco. Non ho un vocabolario né una grammatica e sono un pover'uomo sperduto nel genere dei nomi. Non so se l'amicizia è femminile e l'odio maschile, o se l'onore, la lealtà, la pace sono neutri. Allora, Signore Iddio, riprenditi le parole e lasciaci la nostra umanità. Forse riusciremo a comprenderci e a salvarci". Ci fu un applauso scrosciante, mentre Goebbels, che aveva capito l'allusione, usciva adirato dalla sala.

Un imperatore cinese, interrogato su quale fosse la cosa più urgente da fare per migliorare il mondo, rispose senza esitare: riformare le parole! Intendeva dire: ridare alle parole il loro vero significato. Aveva ragione. Ci sono parole che, a poco a poco, sono state svuotate completamente del loro significato originario e riempite di un significato diametralmente opposto. Il loro uso non può che risultare micidiale. È come mettere su una bottiglia di arsenico l'etichetta "digestivo effervescente": qualcuno ne resterà avvelenato. Gli stati si sono dati leggi severissime contro quelli che falsificano le banconote, ma nessuna contro quelli che falsificano le parole. A nessuna parola è successo quello che è successo alla povera parola amore. Un uomo violenta una donna e si scusa dicendo che l'ha fatto per amore. L'espressione "fare l'amore" spesso sta per il più volgare atto di egoismo, in cui ognuno pensa alla sua soddisfazione, ignorando completamente l'altro e riducendolo a semplice oggetto.

La riflessione sulla parola di Dio ci può aiutare, come si vede, anche a riformare e riscattare dalla vanità la parola degli uomini.
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08/03/2011 08:47
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
Dove sono le tue elemosine? Dove sono le tue buone opere? Ec-co, lo si vede bene da come sei ridotto!

Come vivere questa Parola?
"Beato l'uomo che teme il Signore", cioè nutre verso di lui l'amore reverenziale del figlio verso il padre di cui riconosce la bontà anche in quanto gli chiede. Per questo i suoi comandi non risultano gravosi, ma amabili e sorgente di gioia. Con questo versetto si apre il salmo che, nella liturgia odierna, segue la lettura del brano tratto dal libro di Tobia, l'uomo giusto che, sebbene duramente provato nella sua fedeltà, non si ribella né abbandona la via di giustizia che ha intrapreso. C'è chi lo deride, mentre la moglie lo insulta, chiamando in causa proprio la sua generosa dedizione.
È l'atteggiamento di chi legge la storia con la categoria del premio e del castigo e quindi resta scandalizzato di fronte all'imprevedibile modo di agire di Dio. Se è giusto - si dice - perché si comporta così? Se è buono perché permette certe cose? Come coniugare insieme la sua onnipotenza, bontà e giustizia con queste realtà? Forse non esiste o si disinteressa dell'uomo. Tanto vale guardarsi le spalle da soli e fare i furbi. Come tutti d'altronde!
Il problema è che Dio non è un'agenzia di assicurazioni contro gli infortuni della vita. La via del dono che ci addita non è per camminare tranquilli ma per raggiungere la perfetta statura di Cristo - per esprimerci con una frase paolina - cioè per realizzarci in pienezza quali suoi figli. E questo non può essere che motivo di gioia, anche quando c'è da pagare di persona.
Oggi, nella mia pausa contemplativa, sosterò a considerare il mio atteggiamento nei riguardi di Dio per liberarlo da possibili proiezioni di mie attese personali.

Sostieni la mia fede, Signore, perché nella prova non venga meno e nella prosperità non confonda la tua vera immagine con quella che io mi sono fatto di te.

La voce di un dottore della Chiesa
Devi dire con gli apostoli: Signore, aumenta la nostra fede (Lc 17,5), perché qualcosa di questa fede ti appartiene, ma quello che tu per mezzo di essa ricevi dal Signore, è immenso.
Cirillo di Gerusalemme

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10/03/2011 08:13
 
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padre Lino Pedron


Gesù è il Servo sofferente che si consegna al Padre. La croce è lo scandalo che esige conversione profonda e continua. La fede e la scelta di seguire Cristo si decidono sulla strettoia della croce.
Gesù qui rivela il mistero del pensiero di Dio che l'uomo non può né pensare né accettare. Il problema non è tanto il riconoscere che Gesù è il Cristo di Dio, ma "come" è il Cristo di Dio.
Gesù non è il Cristo dell'attesa umana, ma il Figlio dell'uomo che affronta il cammino del Servo sofferente di Dio. Questa è la prima autorivelazione piena di Gesù, il nocciolo della fede cristiana, il suo mistero di morte e risurrezione.
Il "bisogna" indica il compimento della volontà di Dio rivelata nella Scrittura. Questa volontà è il suo amore riversato su di noi peccatori. Dio "deve" morire in croce per noi, perché ci ama e noi siamo sulla croce. Il mistero di Gesù è la sofferenza del Servo di Dio che ama il Padre e i fratelli. La croce è il nostro male che lui si addossa perché ci ama.
Gesù non salva se stesso (cfr Lc 23,34-39), ma si perde per solidarietà con noi perduti: E' il Dio-Amore, solidale con il nostro male, che ci dona il suo regno (cfr Lc 23,40-43).
L'invito di Gesù: "Se qualcuno vuol venire dietro a me…" è una chiamata universale a entrare con lui nel suo cammino verso il Padre. Per condividere il destino di Gesù in cammino verso il Padre bisogna rinnegare se stessi e portare ogni giorno la propria croce.
Rinnegare se stessi significa ricevere la propria vita come grazia di cui non si dispone da padroni, portare ogni giorno il peso del servizio ai fratelli e del dono della vita per gli altri, e addossarsi il fardello delle prove, delle contraddizioni e delle persecuzioni.
La via del Regno è quella della croce, sia per Cristo che per i cristiani.
L'unico problema fondamentale per l'uomo è salvare o perdere la vita. Quindi seguire Gesù e rinnegare se stessi è la questione fondamentale della vita: è questione di vita o di morte.
L'uomo non può essere il salvatore di se stesso, non ha in sé la sorgente della propria vita: non è il Creatore, ma una creatura. La salvezza è accettare Dio che mi ama e pensa a me.
L'uomo si realizza amando. Amando Dio si realizza come Dio. Ma per amare bisogna essere amati. Il cristiano può amare Gesù e perdere la vita per lui perché Gesù per primo l'ha amato e ha dato se stesso per lui (cfr Gal 2,20). Il credente si affida a lui, nella vita e nella morte, perché Cristo è morto per tutti vincendo le barriere del male e della paura.
"Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde o rovina se stesso?" (v. 25). Il primo tentativo dell'uomo per salvare se stesso è quello di accumulare dei beni. Insidiato dal suo limite, l'uomo si garantisce cibo e vita guadagnando, accumulando e divorando tutto. E' la falsa sicurezza dei beni (cfr Lc 12,15-21; Sal 49): ciò che uno ha deve riempire il vuoto di ciò che non è. L'insaziabilità di beni è via alla perdizione: "L'attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali" (1Tm 6,10). Gli unici beni che troveremo nell'eternità saranno quelli che abbiamo donato per misericordia nella vita presente.

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12/03/2011 08:28
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Luca 5,27-32

1) Preghiera

Guarda con paterna bontà, Dio onnipotente,
la debolezza dei tuoi figli,
e a nostra protezione e difesa
stendi il tuo braccio invincibile.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...

2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca 5,27-32
In quel tempo, Gesù vide un pubblicano di nome Levi seduto al banco delle imposte, e gli disse: "Seguimi!" Egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì.
Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C'era una folla di pubblicani e d'altra gente seduta con loro a tavola.
I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: "Perché mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori?"
Gesù rispose: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi".

3) Riflessione

• Il Vangelo di oggi presenta lo stesso tema su cui abbiamo riflettuto a Gennaio nel vangelo di Marco (Mc 2,13-17). Solo che questa volta ne parla il Vangelo di Luca ed il testo è ben più corto, concentrando l'attenzione sulla scena principale che è la chiamata e la conversione di Levi e la conversione che ciò implica per noi che stiamo entrando in quaresima.
• Gesù chiama un peccatore ad essere suo discepolo. Gesù chiama Levi, un pubblicano, e costui, immediatamente, lascia tutto, segue Gesù ed entra a far parte del gruppo dei discepoli. Subito Luca dice che Levi ha preparato un grande banchetto nella sua casa. Nel Vangelo di Marco, sembrava che il banchetto fosse in casa di Gesù. Ciò che importa è l'insistenza nella comunione di Gesù con i peccatori, attorno al tavolo, cosa proibita.
• Gesù non è venuto per i giusti, ma per i peccatori. Il gesto di Gesù produsse rabbia tra le autorità religiose. Era proibito sedersi a tavola con pubblicani e peccatori, poiché sedersi a tavola con qualcuno voleva dire trattarlo da fratello! Con il suo modo di fare, Gesù stava accogliendo gli esclusi e li stava trattando da fratelli della stessa famiglia di Dio. Invece di parlare direttamente con Gesù, gli scribi dei farisei parlano con i discepoli: Perché mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori? E Gesù risponde: Non sono i sani che hanno bisogno del medico; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi!" La coscienza della sua missione aiuta Gesù a trovare la risposta e ad indicare il cammino per l'annuncio della Buona Novella di Dio. Lui è venuto per riunire la gente dispersa, per reintegrare coloro che erano stati esclusi, per rivelare che Dio non è un giudice severo che condanna e respinge, bensì un Padre/Madre che accoglie ed abbraccia.

4) Per un confronto personale

• Gesù accoglie ed include le persone. Qual è il mio atteggiamento?
• Il gesto di Gesù rivela l'esperienza che ha di Dio Padre. Qual è l'immagine di Dio di cui sono portatore/portatrice verso gli altri mediante il mio comportamento?

5) Preghiera finale

Signore, tendi l'orecchio, rispondimi,
perché io sono povero e infelice.
Custodiscimi perché sono fedele;
tu, Dio mio, salva il tuo servo, che in te spera. (Sal 85)

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13/03/2011 09:25
 
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don Alberto Brignoli
Ritrovare l'alito di vita

"Dio creò l'uomo, soffiò in lui un alito di vita, ed egli divenne un essere vivente", l'uomo vivente, l'uomo fatto a sua immagine e somiglianza, l'uomo fatto di terra per la sua Gloria. Nell'uomo, così come nella Creazione intera, soffia continuamente questo alito di vita, e rende tutto più buono, più bello, più giusto, più simile a Dio.
Ma come in ogni movimento respiratorio, anche nel Creato c'è un soffio che inspira, che da aria, e un altro soffio che espira, che emette aria. E se l'inspirazione fa pensare alle cose "ispirate", alle cose "dello Spirito", alle cose di Dio, l'espirazione, l'emissione di aria, ciò che la Creazione e in particolare l'uomo fatto di terra "buttano fuori" da dentro loro stessi, vedendo i risultati ottenuti nella storia dell'umanità, non fa certo ben sperare.
E così, mentre Dio inspira e immette in noi e nel Creato un alito di vita per il Bene, da noi (spesso anche abusando del nome del Creato) viene fuori un soffio di morte frutto del Male, che in noi prevale fin dal giorno in cui "la più astuta tra tutte le bestie" (e chi, se non noi stessi?) ci mise in testa che avremmo potuto "respirare" da soli, perché - a sua detta - "avremmo conosciuto il Bene e il Male", proprio come Dio.
Da allora, poveri noi, "ci si sono aperti gli occhi", e per ogni alito di vita ci siamo subito procurati un soffio di morte. La storia, anche quella presente, ne è testimone.
Per l'alito di vita del popolo libico che anela libertà da oltre 50 anni, c'è un soffio di morte che esce dalla bocca del suo tiranno, il cui intento è sollevare venti di guerra per rispondere agli interessi di chi, come lui, dalla guerra saprà trarre comunque grandi benefici economici, come sempre alle spalle e sulle ossa dei più poveri.
Per l'alito di vita che presto - ce lo auguriamo - la primavera porterà con sé, c'è un soffio di morte che ha spazzato via la pienezza della vita di Yara, uccisa da chi non avrà mai più la facoltà di sentirsi e di definirsi persona; c'è un soffio di morte che ha avvolto in un turbine di gelo l'innocente vita di Daniel, ucciso dall'infondato e insopportabile timore di aver fatto del male ad altri; c'è un soffio di morte che ha stroncato la vita di una ventenne di Cesena, uccisa dalla follia di un amore finito che si ritiene valere di più del motivo stesso per cui è nato.
Per l'alito di vita che la fertilissima campagna argentina, qui a Mendoza, ha dentro di sé producendo in abbondanza ogni ben di Dio, c'è un soffio di morte che impedisce a centinaia di braccianti agricoli - soprattutto boliviani - di avere regolari documenti di soggiorno e di lavoro, una casa che non sia come un recinto di maiali, e la possibilità di pensare a un futuro di vita per i propri figli.
Perché mai - certo, giustamente - esigiamo da Dio che ci ispiri di continuo un alito di vita, e poi invece restituiamo a lui e al mondo intero svogliate e infastidite sbuffate di morte? Perché al bene ricevuto non corrisponde un bene trasmesso? Chi ci ha fatto saltare un "passaggio" di questo meccanismo? Perché, e da quando, il male ha ingrippato gli ingranaggi della nostra esistenza? In definitiva, se siamo "bene", da dove viene il male?
Ardua impresa è capire da chi, come e da quando: di certo - e Genesi ce lo insegna - da quasi subito è così. Serpenti o meno, tentatori o no, poco importa: da che mondo è mondo, bene e male, morte e vita, lottano in un prodigioso duello. È ancora troppo presto, all'inizio della Quaresima, per dire che il Signore della vita era morto ma ora vivo trionfa: prima, bisogna passare attraverso la Passione, quella stessa che Dio ha per l'uomo.
Ancor prima, bisogna ritornare nel deserto, spinti dallo Spirito, per ritrovare la genuinità della nostra relazione con Dio. Per ritornare a respirare un alito di vita.
Ma anche nel deserto - maledizione! - c'è uno spirito avversario, un satana che soffia in maniera inversa rispetto alle ispirazioni di Dio. Ed è astuto, come il serpente: fa apparire come alito di vita, ovvero come soffio di Dio, ciò che in realtà è vento di morte, espirato, buttato fuori dal nostro desiderio di essere come Dio, e quindi di poter fare a meno di lui.
Per cui, grande è l'alito di vita nell'opera dell'uomo quando riesce a produrre "pane dalle pietre", quando da un terreno roccioso, inospitale, arido e improduttivo è capace di far produrre alimento e vita per se stesso e per i suoi simili. Ma quando egli si sente talmente padrone della terra e del Creato al punto da volerli dominare come e ancor più di Dio, ciò che ne esce, ciò che "butta fuori" è un pianeta distrutto dalla contaminazione, dallo sfruttamento e dagli sconvolgimenti atmosferici che ne sono la conseguenza. Da custode del creato ne diviene tiranno, perché ha messo davanti ad ogni suo progetto la fame di dominio e di denaro, e non ha dato ascolto alla Voce, alla "Parola che esce dalla bocca di Dio", che sa bene come deve essere amministrata e gestita la terra.
Grande è l'alito di vita nell'opera dell'uomo quando - sfidando le leggi della scienza, della fisica, del calcolo e della matematica - lancia se stesso e le sue opere alla conquista dello spazio, di altri mondi, di altri pianeti, chissà un giorno anche di altre culture, per trovare forme nuove di vita, per avere un confronto con se stesso e con i propri limiti, per conoscere ancor di più il cosmo che lo circonda. Ma quando questo diventa la sfida al Dio che abita i cieli, quando questo pretende diventare una prova scientifica della sua esistenza, quando questo lo vuole scalzare nella ri-creazione della Creazione, il progresso fa un passo indietro, perché mette Dio in secondo piano, al servizio dell'uomo, messo lì solo come una rete di protezione per evitare che i crolli degli insuccessi gli possano fare del male; eppure Dio è molto di più che il salvagente dei nostri naufragi.
Grande è l'alito di vita nell'opera dell'uomo quando costruisce case, scuole, ospedali, edifici, templi e palazzi, e li organizza in paesi e città, li governa come regni e stati, e amministra la giustizia in nome e per il bene di tutti. Ma il soffio di morte torna a farsi presente quando la sua sete di potere e la sua mania di onnipotenza lo portano in cima, "su una montagna molto alta" da cui può dominare tutto, e per la brama di possedere tutto accetta qualsiasi cosa, anche di vendere l'anima al demonio, che promette a lui di ricostituirlo Signore del Creato dopo che già una volta, nell'Eden, gli aveva creduto ed era andata a finire male.
In tutto questo non ci può essere un alito di vita. C'è solo il violento e rigido soffio del vento della morte, che spazza via l'innocenza del pudore e ti porta a cercare, in qualche modo, di coprire la vergogna di essere rimasto nudo di fronte a Dio e a te stesso.
Allora ricomincia la lotta quotidiana di saper ritrovare noi stessi e l'alito di vita che Dio ha ispirato in noi sin dalla Creazione.
È la lotta che il deserto di questi quaranta giorni simboleggia in maniera inequivocabile ed esaltante. È la lotta quotidiana che in Quaresima ci offre un accesso gratuito alla palestra dello Spirito.
A Pasqua torneremo a respirare questo alito di vita, ma occorre allenarsi: il cammino è appena iniziato.

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18/03/2011 08:15
 
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padre Lino Pedron
Commento su Matteo 5,20-26

La concezione della giustizia secondo Matteo non può essere confusa con quella di Paolo. Per Paolo la giustizia è la giustificazione di Dio concessa per grazia all'uomo; per Matteo è il retto agire richiesto da Dio all'uomo.

Gesù ha rimesso in vigore la Legge come legge di Dio e documento dell'alleanza, ripulita da tutte le storture e le aggiunte delle tradizioni umane e delle incrostazioni depositate dai secoli.

La migliore giustizia, che deve superare quella degli scribi e dei farisei, richiesta da Cristo ai suoi discepoli sta anche nel fatto che Gesù ha ricondotto i singoli precetti a un principio dominante: l'esigenza dell'amore di Dio e del prossimo, da cui dipendono la Legge e i Profeti.

Gesù non propone una legge diversa, come appare chiaro in Mt 5,17: "Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento".

Gesù parla con autorità pari a quella di Dio che diede i Dieci Comandamenti. "Ma io vi dico" non contraddice quanto è stato detto, ma lo chiarisce, lo modifica in ciò che suona concessione, e passa dalle semplici azioni ai desideri del cuore, da cui tutto promana.

"Ma io vi dico" non è un'antitesi, ma un completamento: l'uccisione fisica viene da un'uccisione interna dell'altro: dall'ira, dal disprezzo, dalla rottura della fraternità nei suoi confronti. L'ira è l'uccisione dell'altro nel proprio cuore. Il disprezzo è l'uccisione interiore che prepara e permette quella esteriore.

Tutte le guerre sono precedute da una campagna denigratoria del nemico, considerato indegno di vivere e meritevole della morte: di conseguenza, ucciderlo è un dovere; anzi, è un'opera gradita a Dio, come ci ha detto Gesù: "Verrà l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio" (Gv 16,2).

Il comandamento dell'amore del prossimo è superiore anche a quello del culto. La pace con il fratello è condizione indispensabile per la pace e l'incontro con il Padre. Ciò che impedisce il contatto con i fratelli impedisce anche il contatto con Dio.

Non solo chi ha offeso, ma anche chi è stato offeso, deve riconciliarsi col fratello prima di prendere parte a un atto di culto. Non è questione di ragione o di orto; quando c'è qualcosa che divide due membri della stessa comunità, tale ostacolo deve scomparire per poter comunicare con Dio.

La vita è un cammino di riconciliazione con gli altri. Non importa se si ha torto o ragione: se non si va d'accordo con i fratelli, non si è figli di Dio. La realtà di figli di Dio si manifesta necessariamente nel vivere da fratelli in Cristo.

Se non si passa dalla logica del debito a quella del dono e del perdono, si perde la vita di figli del Padre (cfr Mt 18,21-35).

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20/03/2011 08:42
 
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don Fulvio Bertellini
La tenda, la nube, il volto umano di Gesù

In disparte

Perché solo tre discepoli fanno esperienza della trasfigurazione? Il nostro spirito egualitario tende a ribellarsi alla scelta di Gesù. Ma più che di spirito egualitario, dovremo parlare di atteggiamento massificatorio: lo stesso che a volte ci rende timidi e titubanti nella testimonianza cristiana, lo stesso che ci fa dubitare della nostra fede, perché tutti gli altri si comportano diversamente, anche se reclamiamo il nostro diritto a pensare come meglio ci pare. Individualismo e conformismo a volte stanno bene insieme: credendo di affermare le nostre idee, in realtà ci adeguiamo a quelle della massa. Gesù al contrario vuol rivolgersi al cuore della persona. Chiede un'adesione profonda, non superficiale, non dettata dall'entusiasmo collettivo o dall'esaltazione personale. E nello stesso tempo ci apre alla dimensione comunitaria: il discepolato si presenta come una fraternità, in cui non è possibile accogliere il Maestro se non si accoglie simultaneamente chi, come noi, è stato scelto, chiamato, perdonato, salvato da Gesù. Solo tre discepoli dunque sono scelti per fare esperienza della trasfigurazione. Che non potrà essere né un'esperienza di massa, né un'ascesa mistica individuale. E non potrà restare confinata sul monte: verrà il momento di parlarne a tutti. Di fatto noi oggi vediamo che non siamo tantissimi a fare l'esperienza profonda della Quaresima. Certamente, può essere dovuto anche a una cattiva comunicazione, a un'organizzazione imperfetta, a iniziative partite in ritardo e non pensate adeguatamente. Tuttavia rendiamoci anche conto che anche nell'organizzazione più perfetta e coinvolgente, il Signore chiama alcuni ad una relazione più personale e profonda. Perché possano irraggiare su tutti la sua luce.

Sull'alto monte

Accettiamo allora di salire anche noi, senza preoccuparti del numero, senza preoccuparci di chi non c'è, sul monte insieme a Gesù. Il monte nella Scrittura è il luogo della presenza e della manifestazione di Dio. Sul monte era stata data la Legge a Mosè; sul monte Elia aveva rivelato il Dio unico. Su un altro monte, dopo essere stato perseguitato e costretto alla fuga, Elia aveva di nuovo incontrato Dio, e ricevuto la conferma della sua missione profetica. Tutta una serie di richiami all'Antico Testamento si concentra nella narrazione di Matteo, e si condensa nelle figure di Mosè ed Elia. La novità sta nel modo di manifestarsi di Dio: mentre nell'Antico Testamento esistono dei segni (come il roveto ardente per Mosè) o la manifestazione divina passa attraverso un angelo, ora Dio si manifesta in Gesù stesso. Dio è presente attraverso un uomo, attraverso la persona di Gesù. E questo non comincia con la trasfigurazione, ma era già presente da prima: a partire dalla nascita, quando compie i miracoli, quando parla, quando annuncia il Regno... sempre Gesù manifesta la presenza di Dio, anche se in forma nascosta.

Le tre tende

La rivelazione sul monte è presentata dall'evangelista in due fasi: una prima fase di "visione", una seconda di "audizione". Nella prima fase abbiamo percezioni visive: il brillare del volto, le vesti candide, i personaggi a fianco di Gesù. Tutto indica che Gesù appartiene all'ambito divino, mette in comunicazione con Dio, porta a compimento la testimonianza della Legge e dei Profeti.
Tuttavia si fa notare come la visione non comporta immediatamente la comprensione: Pietro vuol fare tre tende uguali per i tre personaggi che per lui sono uguali. Gesù è messo sullo stesso piano di Mosè ed Elia, che dal suo punto di vista è indubbiamente un grande riconoscimento, ma resta ancora insufficiente.
L'arrivo della nube mette in secondo piano la percezione visiva. E' una nube "luminosa", che avvolge con la sua "ombra": espressione paradossale, per indicare una realtà che sta ai limiti dell'esprimibile umano. La voce che i discepoli avvertono manifesta la reale identità di Gesù: non solo un grande profeta come Mosè ed Elia, ma Figlio prediletto, in cui il Padre si compiace.

Gesù solo

L'ultima parola spetta a Gesù. "Alzatevi, non temete". Gesù resta solo con i discepoli. Privo di segni esteriori, ma con la sua voce calda e rassicurante, che ispira fiducia e speranza. Il percorso della Trasfigurazione riconduce alla visione quotidiana, umana, di Cristo. In cui i discepoli hanno scoperto la presenza di Dio, ma hanno scoperto anche il mistero che deve ancora compiersi: il Figlio dell'uomo dovrà "risorgere dai morti". Solo allora sarà compiuta l'interezza della sua vicenda, e potrà essere annunciata e comunicata a tutti.

Uomini come Gesù

Nella trasfigurazione non si definisce solo l'identità di Gesù, ma si traccia anche un percorso per il nostro essere uomini, chiamati a diventare Figli di Dio. Troppo frettolosamente rischiamo di concepire il nostro cammino di cristiani come una continua crescita, una progressiva esaltazione, un cammino ascensionale. Il peccato e la nostra fragilità intervengono ben presto a ridimensionare le nostre pretese, con il rischio che subentrino disperazione e senso di impotenza, per cui ci sembra che i traguardi indicati dal Vangelo restino irraggiungibili. Il lieto messaggio della Trasfigurazione è proprio questo: da un lato siamo chiamati alla gloria, a partecipare allo splendore luminoso di Cristo, Figlio di Dio glorificato; d'altra parte siamo invitati a cercare la via nell'umanità stessa di Gesù, nell'ascolto della sua parola, nel cammino silenzioso e nascosto che conduce alla risurrezione per la via della croce.

Flash sulla I lettura

"Vattene dal tuo paese, dalla tua patria...": la parola rivolta ad Abramo definisce la forma fondamentale di ogni esistenza cristiana. Si tratta di abbandonare le certezze, le sicurezze, di fidarsi di una promessa, per andare verso qualcosa che non si conosce. Le nostre comunità cristiane soffrono forse proprio per eccesso di sicurezza: la sicurezza delle tradizioni, delle consuetudini, la paura di rischiare qualcosa di nuovo.
"... in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra": l'esistenza singola di Abramo è aperta all'universale. La vita di Abramo non ha un senso limitato a lui solo, ma coinvolge il destino di tutto il mondo. Lo stesso vale per la vita di ogni cristiano: mentre sta nel posto che Dio gli ha assegnato, partecipa attivamente al cammino di tutto il mondo verso la salvezza.

Flash sulla II lettura

"Soffri anche tu insieme con me per il Vangelo": la sofferenza di cui parla Paolo è quella dei viaggi, delle lettere, della predicazione, dell'accettare il rifiuto... ciò a cui viene invitato Timoteo (e a cui siamo chiamati anche noi) non è tanto una sofferenza eroica e appariscente, ma la quotidiana fatica per il Regno.
"aiutato dalla grazia di Dio": l'esortazione è sempre accompagnata dal ricordo del dono di Dio. La grazia di Dio è già in azione. Non dobbiamo inventarci imprese personali o comunitarie, quasi che noi da soli, o noi con le nostre comunità o i nostri gruppi dovessimo salvare il mondo: più semplicemente si tratta di partecipare a ciò che Dio sta già facendo nel mondo, e che ha preso avvio dall'"apparizione del Salvatore nostro Gesù Cristo".

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21/03/2011 08:54
 
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Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
Siate misericordiosi com'è misericordioso il Padre vostro Celeste.

Come vivere questa Parola?
Nel Vangelo di Matteo leggiamo: "Siate perfetti come è perfetto il Padre" (cfr. Mt.5,48). Nell'Antico Testamento il Levitico diceva: "Siate santi perché io, il Signore, sono Santo" (Lev.21,8). E' dunque di grande importanza, ed è liberante, cogliere che il mio cammino quaresimale, anzi la vita intera, è cammino non verso una qualsiasi perfezione, ma verso la santità di Dio, perché la sua perfezione coincide con la sua stessa identità: "Dio è Amore" (1Gv.4,16).
D'altro canto la mia possibilità di esercitare la misericordia è strettamente legata all'averne fatto esperienza, acquistandone piena consapevolezza. Se mi credo giusto, a posto, sono fuori tiro dalla misericordia di Dio. Se invece ho coscienza di averne sempre bisogno, non solo Dio me la dona ma mi dà fiducia con quell'altra Parola del Vangelo odierno: "Date e vi sarà dato: una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata in grembo". Perché?
"Con la misura con cui misurate – dice Gesù - sarà misurato a voi in cambio" (v. 38).

Oggi trovo un momento silenzioso e quieto per interiorizzare questa Parola impegnativa e insieme tanto incoraggiante. Chiedo di viverla facendo mia la preghiera del Salmo:

La tua misericordia è grande, Signore. Secondo i tuoi giudizi fammi vivere (Sal.118,156).

La voce degli Antichi Padri
Come uno che vorrebbe mietere avendo seminato nel mare, è colui che prega tenendo chiuso il cuore alla misericordia.
Isacco di Ninive
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22/03/2011 12:46
 
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Eremo San Biagio
Commento su Is 1,18

Dalla Parola del giorno
"Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come neve."

Come vivere questa Parola?
Se ripenso alle abbondanti nevicate di quest'inverno mi sembra di vedere quasi l'immagine alla quale Isaia fa riferimento! "Diventeranno come neve", i nostri peccati!
Quando nevica è come se la montagna vive un'ora di stupenda trasfigurazione: la terra si veste di candore, come una sposa. Però sotto questo manto tutto è come prima: sassi, arbusti secchi, sterpi e foglie bruciate dal gelo invernate.
Invece quello che avviene in noi per il perdono di Dio è ben diverso. Non è un solo momento di trasfigurazione esteriore ma di vera trasformazione interiore. Quando noi chiediamo perdono, il Signore crea veramente qualcosa di nuovo e di bello dentro di noi. Perfino dei nostri peccati Egli fa un'occasione di grazia, di verità su noi stessi, di abbandono a Lui. Davvero ciò che era rosso come la cocciniglia diventa candido come la neve, cioè una sorgente di più profonda conoscenza dell'amore di Dio per noi e della nostra povertà creaturale. È evidente che in tal modo il cuore convertito "contrito e umiliato" prende sul serio il cammino spirituale. Non gioca con le apparenze. Che cosa penseranno o diranno di me? Che bella o brutta figura sto facendo? Dirò questo anche mentendo pur di non ‘perdere la faccia'. Questo modo farisaico di essere e agire, stigmatizzato da Gesù nel vangelo odierno, sarà alieno a chi, perdonato e riconciliato, cammina in novità di vita.
Tutto questo mi soffermerò a meditare, nella mia pausa contemplativa, oggi. Visualizzando la bellezza di un paesaggio candido di neve illuminato dal sole, chiederò al Signore la piena consapevolezza del suo perdono che rinnova dal di dentro la mia vita.

Gesù, tu hai distrutto il mio peccato e non lo hai soltanto ricoperto perché hai usato quel detergente formidabile che è il sangue della tua crocifissione. Fammi sperimentare la gioia del perdono e del ricominciare sempre a diventare autentico: sulla linea dell'"essere" e non del "sembrare", sulla linea dell'essere a SERVIZIO per amore.

La voce di un Padre della Chiesa
Solo dai peccati gli uomini vengono separati da Dio; e da essi in questa vita ci si purifica non per le nostre forze, ma solo per divina misericordia: per sua indulgenza, non per nostra potenza. Infatti la stessa forza, quantunque essa sia, che può esser detta nostra, ci è concessa dalla sua bontà. Molto
S. Agostino

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23/03/2011 08:41
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
Venite e tramiamo insidie contro Geremia, poiché la legge non verrà meno ai sacerdoti, né il coraggio ai saggi, né l’oracolo ai profeti. Venite, colpiamolo a motivo della sua lingua e non badiamo a tutte le sue parole.

Come vivere questa Parola?
Geremia è un profeta scomodo. Ma quando i veri profeti non sono stati attaccati quale elemento di disturbo? I loro richiami a una vita che non si adegua alla mentalità corrente, che non si adagia in un comodo lassismo dove tutto è permesso e giustificato, non tornano graditi.
Il loro non allinearsi all’andazzo comune ne fa degli isolati. Eppure è proprio il coraggioso levarsi della loro voce, magari tra contestazioni e contrasti, a gettare un fascio di luce sul mare instabile della storia. Un faro che indica la rotta quando c’è solo smarrimento.
In fondo se ne avverte il bisogno, come rivela l’appellarsi ai sacerdoti, ai saggi e ai profeti, cioè a dei punti di riferimento stabili, ma si vorrebbe che la loro parola accarezzasse il nostro tranquillo adagiarci in uno stile di vita disimpegnato.
E si dimentica che la sorgente della vera saggezza è Dio e che il sacerdote e il profeta sono depositari di un messaggio che non viene da loro: l’autorevolezza del loro parlare dipende dalla docilità all’ascolto di una Parola che va decifrata nell’ordito della storia. È nell’oggi che l’appello di Dio li raggiunge perché se ne facciano portavoce.
Il pretendere che essi rimangano estranei agli eventi sociali, politici, scientifici, etici…, quasi che il loro compito fosse quello di vivere in un iperuranio astratto disincarnato e lontano è un rischioso tentativo di imbavagliare Dio stesso, di cui essi sono soltanto la ‘voce’.
Ma, attenzione: non c’è nulla di più avvilente e pericoloso che il silenzio di Dio!

Oggi, nella mia pausa contemplativa, chiederò al Signore di non privarmi del dono di persone che abbiano il coraggio di indicarmi la via da seguire e di richiamarmi quando ne imbocco un’altra.

Ti ringrazio, Signore, per il coraggio di tanti tuoi testimoni che non si lasciano imbavagliare da chi vorrebbe che il loro ruolo si esaurisse nell’ambito delle sacrestie.

La voce di un grande vescovo
Se oggi vuoi trovare Cristo, trova la Chiesa che non va d’accordo con il mondo… Cerca quella Chiesa che i mondani vogliono distruggere in nome di Dio come crocifissero Cristo. Cerca quella Chiesa che il mondo rifiuta, come gli uomini rifiutarono di accogliere Cristo.
Fulton Sheen

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24/03/2011 08:25
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Hai ricevuto i tuoi beni nella tua vita e Lazzaro la sua parte di mali

Il Vangelo di oggi riporta la notissima parabola del mendicante di nome Lazzaro e di Epulone, l'uomo ricco che "tutti i giorni banchettava lautamente", mentre alla sua porta giaceva Lazzaro pieno di ulcere e bisognoso di tutto. Ecco il tema ben noto del capovolgimento delle sorti nell'aldilà. C'è una cosa però che per molti degli ascoltatori di Gesù era certo inaspettata: Lazzaro è nel seno di Abramo, cioè al primo posto. Il Dio di Gesù è il Dio dei più poveri e degli abbandonati. Naturalmente qui non si tratta di una condanna dei ricchi e un'esaltazione dei poveri. E' piuttosto un ammonimento ad aprire gli occhi e usare giustamente quanto si possiede. Nella parabola si mostra per immagini quel rovesciamento di criteri già cantato nel Magnificat e proclamato nelle beatitudini. L'esistenza terrena è subordinata; non può essere condotta da padroni; da molti è reclamata la giustizia, "La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo"; la si vive esercitando quella misericordia che allora sarà invocata anche da chi l'ha derisa, "Padre Abramo abbi pietà di me e invia Lazzaro, perché sono divorato da questa fiamma". Lazzaro è sempre inviato: "i poveri li avrete sempre con voi" come inviati da Dio per salvarci. Per prendere decisioni corrette, è utile porsi sempre dal punto di vista della fine e fare ora ciò che allora si vorrebbe aver fatto. Siamo più che convinti di questo, ma non ne facciamo una dovuta esperienza. La morte non livella, è anzi principio di distinzione, il limite ultimo che stabilisce ciascuno nella sua vera identità. Con essa finisce il tempo per portare frutti di conversione. Dio si rifiuta di mandare Lazzaro dai cinque fratelli del ricco defunto, che vivono come ha vissuto lui, sordi alla parola di Dio. "Non si lasceranno persuadere neanche da uno che risusciterà dai morti". Lazzaro di Betania fu risuscitato dai morti. Ma i suoi fratelli, piuttosto di convertirsi avrebbero preferito ucciderlo di nuovo. Neppure lo straordinario evento della Risurrezione scuote dall'indurimento del cuore chi rifiuta di ascoltare ciò che il Signore incessantemente insegna attraverso le Scritture.

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25/03/2011 08:55
 
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a cura dei Carmelitani
L'alleanza di Dio con l'uomo. Il sì di Maria ed il nostro sì

1. Orazione iniziale

Padre misericordioso, manda anche a me, in questo tempo santo della preghiera e dell'ascolto della tua Parola, l'angelo santo, perché possa ricevere l'annuncio della salvezza e, aprendo il cuore, possa offrire il mio sì all'Amore. Manda su di me, ti prego, il tuo Spirito santo, quale ombra che mi avvolge, quale potenza che mi colma. Fin da adesso, o Padre, io non voglio dirti altro che il mio "Sì!"; dirti: "Eccomi, sono qui per te. Fa' di me ciò che ti piace". Amen.

2. Lettura

a) Per inserire il brano nel suo contesto:

Il brano dell'annunciazione ci conduce dal tempio, spazio sacro per eccellenza, alla casa, all'intimità dell'incontro personale di Dio con la sua creatura; ci conduce dentro noi stessi, nel più profondo del nostro essere e della nostra storia, là dove solo Dio può giungere e toccarci. L'annuncio della nascita di Giovanni Battista aveva dischiuso il grembo sterile di Elisabetta, sconfiggendo l'assoluta impotenza dell'uomo e trasformandola in capacità di operare insieme a Dio. L'annuncio della nascita di Gesù, invece, bussa alla porta del grembo fruttifero della "Riempita di Grazia" e attende risposta: è Dio che aspetta il nostro sì, per poter operare ogni cosa.

b) Per aiutare nella lettura del brano:
vv. 26-27:
Questi primi due versetti ci collocano nel tempo e nello spazio sacri dell'avvenimento che meditiamo e che riviviamo in noi: siamo nel sesto mese dal concepimento di Giovanni Battista e siamo a Nazareth, città della Galilea, territorio dei lontani e degli impuri. Qui è sceso Dio, per parlare a una vergine, per parlare al nostro cuore.
Ci vengono presentati i personaggi di questa vicenda sconvolgente: Gabriele, l'inviato di Dio, una giovane donna di nome Maria e il suo fidanzato Giuseppe, della casa regale di Davide. Anche noi siamo accolti in questa presenza, siamo chiamati ad entrare nel mistero.
vv. 28-29: Sono le primissime battute del dialogo di Dio con la sua creatura. Poche parole, appena un soffio, ma parole onnipotenti, che turbano il cuore, che mettono profondamente in discussione la vita, i piani, le attese umane. L'angelo annuncia la gioia, la grazia e la presenza di Dio; Maria rimane turbata e si domanda da dove mai possa giungere a lei tutto questo. Da dove una gioia così? Come una grazia tanto ampia da cambiare perfino l'essere?
vv. 30-33: Questi sono i versetti centrali del brano: è l'esplosione dell'annuncio, la manifestazione del dono di Dio, della sua onnipotenza nella vita dell'uomo. Gabriele, il forte, parla di Gesù: l'eterno re, il Salvatore, il Dio fatto bambino, l'onnipotente umile. Parla di Maria, del suo grembo, della sua vita che è stata scelta per dare ingresso e accoglienza a Dio in questo mondo e in ogni altra vita. Dio comincia, già qui, a farsi vicino, a bussare. Sta in piedi, attende, presso la porta del cuore di Maria; ma già anche qui, a casa nostra, presso il nostro cuore...
v. 34: Maria, davanti alla proposta di Dio, si lascia mettere a nudo, si lascia leggere fino in fondo. Dice di sé, rivela il suo cuore, i suoi desideri. Sa che per Dio l'impossibile è realizzabile, non mette in dubbio, non indurisce il cuore e la mente, non fa calcoli; vuole solo disporsi pienamente, aprirsi, lasciarsi raggiungere da quel tocco umanamente impossibile, ma già scritto, già realizzato in Dio. Pone davanti a Lui, con un gesto di purissima povertà, la sua verginità, il suo non conoscere uomo; è una consegna piena, assoluta, traboccante fede e abbandono. E' già la premessa del sì.
vv. 35-37: Dio, umilissimo, risponde; l'onnipotenza si piega sulla fragilità di questa donna, che siamo ognuno di noi. Il dialogo continua, l'alleanza cresce e si rafforza. Dio rivela il come, parla dello Spirito santo, della sua ombra fecondante, che non viola, non spezza, ma conserva intatta. Parla dell'esperienza umana di Elisabetta, rivela un altro impossibile divenuto possibile; quasi una garanzia, una sicurezza. E poi l'ultima parola, davanti alla quale bisogna scegliere: dire sì o dire no, credere o dubitare, sciogliersi o indurirsi, aprire la porta o chiuderla. "Nulla è impossibile a Dio".
v. 38: Questo ultimo versetto sembra racchiudere un infinito. Maria dice il suo "Eccomi", si apre, si spalanca a Dio e avviene l'incontro, l'unione per sempre. Dio entra nell'uomo e l'uomo diventa luogo di Dio: sono le Nozze più sublimi che si possano mai realizzare su questa terra. Eppure il vangelo si chiude con una parola quasi triste, dura: Maria rimane sola, l'angelo se ne va. Resta, però, il sì detto a Dio e la sua Presenza; resta la Vita vera.

c) Il testo:
Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.
Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto.
L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo».
Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.

3. Un momento di silenzio orante

Ho letto e ascoltato le parole del vangelo, le ho trattenute sulle mie labbra e nel mio cuore, ma desidero ancora lasciarle risuonare dentro di me. Mi pongo in silenzio, cerco di fare spazio, di aprire il mio grembo per accogliere questa Presenza d'amore, che viene a me e bussa, annunciandomi gioia, grazia, alleanza, vita nuova. Ascolto il mio cuore, il mio respiro, lo spazio interiore del mio essere... Dio è qui, alla porta, e chiede asilo, proprio a me, alla mia povera vita...

4. Alcune domande

a) L'annuncio di Dio, il suo angelo, entra anche nella mia vita, davanti a me e mi parla. Sono pronto a riceverlo, a fargli spazio, ad ascoltarlo con attenzione? Chissà quante volte è già successo questo, quante volte sono stato scelto e visitato, senza che io vi facessi attenzione. Oggi, però, è diverso; lo sento che Lui è qui, che mi ha trovato, che mi sta parlando al cuore. Cosa decido di fare? Rimango o fuggo via? Mi metto le cuffie del CD player? Accendo il PC? Mando un SMS a qualcuno? Oppure apro la porta e mi siedo proprio davanti a Lui, faccia a faccia con Lui?
b) Subito ricevo un annuncio sconcertante; Dio mi parla di gioia, di grazia, di presenza. Tutte cose che io sto cercando da tanto tempo, da sempre. Chi potrà mai farmi felice veramente? Chi potrà salvarmi dalla solitudine con la sua presenza guaritrice? Mi raggiunge, come un tuono, il ricordo di tutti i miei tentativi falliti di trovare felicità. L'amore, il divertimento, lo sport a livello agonistico, la velocità, il look, l'impiego importante... Sento nell'anima l'amarezza di tutte queste illusioni. Per un po' funzionava, poi crollava tutto. Oggi, qui, il Signore mi sta proponendo una gioia diversa, una grazia piena, una presenza assoluta. Solo Lui può fare questo, può dire queste parole con verità. Decido di fidarmi, di fare il salto sull'altra sponda, la sua? Voglio fidarmi della sua felicità, della sua presenza?
c) E' bastato poco, appena un movimento del cuore, dell'essere; Lui già se ne è accorto. Già mi sta ricolmando di luce e di amore. Mi dice: "Hai trovato grazia ai miei occhi". Dunque io piaccio a Dio? Lui mi trova piacevole, amabile? Sì, è proprio così. Perché non ci ho mai voluto credere prima? Perché non gli ho mai dato ascolto? Mi ritrovo davanti agli occhi, in questo momento, tutta la mia stoltezza e la mia cocciutaggine; credevo di dover trovare questo amore, questa accoglienza presso qualcun altro, cercavo la persona giusta per me, che, finalmente, mi facesse sentire amabile, importante, degno. Mi sbagliavo. Prima devo fare questa esperienza: sentire che io sono importante, unico, desiderabile per Dio. Mi lascio raggiungere fino in fondo da questa Parola; mi ripeto all'infinito che io ho trovato grazia presso Dio, come Maria. Grazie, Signore! Leggo Esodo 33, 12-17.
d) Ora mi viene detto che da me nascerà vita nuova, che il grembo della mia esistenza sarà fecondato e abitato, che da me uscirà Gesù. Sono cose grosse, che mi superano, mi confondono, mi fanno smarrire. Dico anch'io, insieme a Maria: "Come è possibile?". Sento, però, che in me, questa parola, è carica di incredulità, di spavento, mentre in Lei era traboccante di disponibilità. Io ho paura, io non credo fino in fondo. Eppure il Signore Gesù vuole venire in questo mondo anche attraverso di me; vuole raggiungere i miei fratelli passando attraverso i sentieri della mia vita, del mio essere. Potrò sbarrargli la strada? Potrò respingerlo, tenerlo lontano? Potrò cancellarlo dalla mia storia, dalla mia vita? No, non posso e non voglio farlo. Signore, ti prego, aiutami! E vieni; nasci in me, nasci ancora da me!
e) Da solo non posso fare nulla, però, questo è chiaro; ho bisogno anch'io dello Spirito del Signore. La sua ombra, la sua forza, il suo fuoco scendano su di me e prendano possesso di me, di tutto ciò che sono. Mi fermo un attimo, comincio a pregare nel profondo del mio cuore, invoco e chiamo lo Spirito Santo; ripenso ad altri passi della Scrittura in cui la sua azione compare con potenza. Mi faccio come le acque primordiali, sulle quali aleggiava lo Spirito di Dio e vennero trasformate in vita rigogliosa (Gen 1, 2); mi faccio come le acque del mare Rosso, che furono accarezzate dal vento di Dio per tutta la notte e alla fine si aprirono per il passaggio del popolo (Es 14, 21); mi faccio come il cuore e le mani di Davide, che, sotto l'impulso dello Spirito, suonava l'arpa in modo tale da cacciare il male dall'anima di Saul (1 Sam 16, 23); mi faccio come il servo del Signore, sul quale discese e rimase lo Spirito di Dio (Is 61, 1); mi faccio come le ossa aride disperse sulla pianura, che furono rianimate dal tocco dello Spirito (Ez 37, 5); mi faccio come Maria, che si lasciò avvolgere dall'ombra dell'Amore e della misericordia e divenne madre di Gesù, madre di ogni uomo. Anch'io ripeto che nulla è impossibile per Dio; Lui può fare tutto questo, anche in me, oggi, qui.

5. Una chiave di lettura

Ho pregato, ho ruminato la parola, ho cercato di essere attento alla voce d'amore del Signore, ho aperto il mio cuore. Mi sento scaldato da questa esperienza, mi sento in compagnia di Lui, non più solo. Però vorrei tentare di compiere un ulteriore passaggio; vorrei mettermi a scavare con le mani in questo tesoro della sua Parola, per trovare ancora luce, ancora gemme preziose. Metto in opera anche il mio intelletto, cerco di raccogliere materiale per la mia meditazione, per il lavoro di analisi, di ascolto. Credo che anche questo sia nutrimento buono, che mi può aiutare per la conversione. Vorrei tentare di stare più attento ad alcune parole importanti e forti che risuonano in questo brano del vangelo.

● Gioisci!
E' davvero strano questo saluto di Dio alla sua creatura; sembra inspiegabile e forse senza senso. Eppure già da secoli risuonava sulle pagine delle divine Scritture e quindi anche sulle labbra del popolo ebraico. Gioisci, rallegrati, esulta! Più volte i profeti avevano ripetuto questo soffio del respiro di Dio, avevano gridato questo silenzioso battito del suo cuore per il suo popolo, il suo resto. Lo leggo in Gioele: "Non temere, terra, ma rallegrati e gioisci, poiché cose grandi ha fatto il Signore... (2, 21-23); in Sofonia: "Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la tua condanna" (3, 14); in Zaccaria: "Gioisci, esulta, figlia di Sion, perché, ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te, oracolo del Signore" (2, 14). Lo leggo e lo riascolto, oggi, pronunciato anche sul mio cuore, sulla mia vita; anche a me viene annunciata una gioia, una felicità nuova, mai vissuta prima. Riscopro le grandi cose che il Signore ha fatto per me; sperimento la liberazione che viene dal suo perdono: io non sono più condannato, ma graziato, per sempre; vivo l'esperienza della presenza del Signore accanto a me, in me. Sì, Lui è venuto ad abitare in mezzo a noi; Lui sta di nuovo piantando la sua tenda nella terra del mio cuore, della mia esistenza. Signore, come dice il salmo, tu gioisci delle tue creature (Sal 104, 31); e anch'io gioisco in te, grazie a te; la mia gioia è in te (Sal 104, 34).
● Il Signore è con te
Questa parola così semplice, così luminosa, detta dall'angelo a Maria, sprigiona una forza onnipotente; mi rendo conto che basterebbe, da sola, a salvarmi la vita, a risollevarmi da qualunque caduta e abbassamento, da qualunque smarrimento. Il fatto che Lui, il mio Signore, è con me, mi tiene in vita, mi rende coraggioso, mi dà fiducia per continuare ad esserci. Se io sono, è perché Lui è con me. Chissà se anche per me può valere l'esperienza che la Scrittura racconta riguardo a Isacco, al quale è capitata la cosa più bella che si possa augurare a un uomo che crede in Dio e lo ama: un giorno venne da lui Abimelech con i suoi uomini dicendogli: "Abbiamo visto che il Signore è con te" (Gen 26, 28) e chiedendo di diventare amici, di stringere alleanza. Vorrei che anche di me si potesse dire la stessa cosa; vorrei poter manifestare che il Signore davvero è con me, dentro la mia vita, nei miei desideri, nei miei affetti, nelle mie scelte e azioni; vorrei che altri potessero incontrarlo attraverso di me. Forse, per questo, è necessario che io assorba di più la sua presenza, che io mangi e beva di Lui.
Mi metto alla scuola della Scrittura, leggo e rileggo alcuni passi in cui la voce del Signore mi ripete questa verità e, mentre Lui parla, io vengo cambiato, vengo sempre più abitato. "Rimani in questo paese e io sarò con te e ti benedirò" (Gen 26, 3). "Poi il Signore comunicò i suoi ordini a Giosuè, figlio di Nun, e gli disse: Sii forte e fatti animo, poiché tu introdurrai gli Israeliti nel paese, che ho giurato di dar loro, e io sarò con te" (Dt 31, 23). "Combatteranno contro di te ma non potranno prevalere, perché io sarò con te per salvarti e per liberarti" (Ger 15, 20). "L'angelo del Signore apparve a Gedeone e gli disse: Il Signore è con te, uomo forte e valoroso!" (Gdc 6, 12). "In quella notte gli apparve il Signore e disse: Io sono il Dio di Abramo, tuo padre; non temere perché io sono con te. Ti benedirò e moltiplicherò la tua discendenza per amore di Abramo, mio servo" (Gen 26, 24). "Ecco io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questo paese, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che t'ho detto" (Gen 28, 15). "Non temere, perché io sono con te; non smarrirti, perché io sono il tuo Dio. Ti rendo forte e anche ti vengo in aiuto e ti sostengo con la destra vittoriosa" (Is 41, 10)
● Non temere
La Bibbia trabocca di questo annuncio pieno di tenerezza; quasi come un fiume di misericordia questa parola percorre tutti i libri sacri, dalla Genesi fino all'Apocalisse. E' il Padre che ripete ai suoi figli di non avere paura, perché Lui è con loro, non li abbandona, non li dimentica, non li lascia in potere dei nemici. E' come una dichiarazione d'amore che Dio fa all'uomo, a ognuno di noi; è un pegno di fedeltà che passa di mano in mano, da cuore a cuore, e giunge fino a noi. Abramo ha udito questa parola e dopo di lui suo figlio Isacco, poi i patriarchi, Mosè, Giosuè, Davide, Salomone e, insieme a loro, Geremia e tutti i profeti. Nessuno è escluso da questo abbraccio di salvezza che il Padre offre ai suoi figli, anche quelli più lontani, più ribelli. Maria sa ascoltare in profondità questa parola e sa credervi con fede piena, con assoluto abbandono; Lei ascolta e crede, accoglie e vive anche per noi. Lei è la donna forte e coraggiosa che si apre alla venuta di Dio, lasciando cadere tutte le paure, le incredulità, le chiusure. Lei ripete questo annuncio di Dio dentro la nostra vita e ci invita a credere con Lei.
● Hai trovato grazia
"Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi...". Questa è la preghiera che sgorga più e più volte dalle labbra e dal cuore di uomini e donne che cercano rifugio presso il Signore; di loro ci è raccontato nella Scrittura, li incontriamo al bivio delle nostre stesse strade, quando non sappiamo bene dove andare, quando ci sentiamo braccati dalla solitudine o dalla tentazione, quando viviamo gli abbandoni, i tradimenti, le sconfitte pesanti delle nostre esistenze. Quando non abbiamo più nessuno e non riusciamo a ritrovare neppure noi stessi, allora anche noi, come loro, ci troviamo a pregare ripetendo quelle stesse parole: "Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi...". Chissà quante volte le abbiamo ripetute, anche solo in silenzio. Ma oggi, qui, in questo brano evangelico così semplice, veniamo preceduti, siamo accolti in anticipo; non abbiamo più bisogno di supplicare, perché già abbiamo trovato tutto quello che da sempre stavamo cercando e molto di più. Abbiamo ricevuto gratuitamente, siamo stati colmati e ora non possiamo che traboccare.
● Nulla è impossibile a Dio
Sono giunto quasi al termine di questo percorso fortissimo di grazia e di liberazione; vengo ora raggiunto da una parola che mi scuote fin nel più profondo. La mia fede è messa al vaglio; il Signore mi prova, mi scruta, saggia il mio cuore. Ciò che l'angelo afferma qui, davanti a Maria, era già stato proclamato più volte nell'Antico Testamento; ora è raggiunta la pienezza, ora tutti gli impossibili vengono realizzati: Dio si fa uomo; il Signore diventa amico, fratello; il lontano è vicinissimo. E io, anch'io, piccolo e povero, sono fatto partecipe di questa immensità di dono, di grazia; mi viene detto che anche nella mia vita l'impossibile diventa possibile. Devo solo credere, solo dare il mio assenso. Ma questo significa lasciarmi sconquassare dalla potenza di Dio; consegnarmi a Lui, che mi cambia, mi libera, mi rinnova. Nemmeno questo è impossibile. Sì, io posso rinascere oggi, in questo momento, per grazia della sua voce che mi ha parlato, che mi ha raggiunto fino al punto più profondo del cuore. Cerco e trascrivo i passi della Scrittura che ripetono questa verità. E mentre li riscrivo, mentre li rileggo e li pronuncio adagio, mangiando ogni parola, ciò che essi dicono avviene ancora in me... Genesi 18, 14; Giobbe 42, 2; Geremia 32, 17; Geremia 32, 27; Zaccaria 8, 6; Matteo 19, 26; Luca 18, 27.
● Eccomi
E ora non posso fuggire, né sottrarmi alla conclusione. Sapevo fin dall'inizio che proprio qui, dentro questa parola, così piccola, eppure così piena, così definitiva, Dio mi stava aspettando. L'appuntamento dell'amore, dell'alleanza fra Lui e me era fissato precisamente su questa parola, appena un soffio della voce, appena un bacio. Rimango sconvolto dalla ricchezza di presenza che sento in questo "Eccomi!"; non devo sforzarmi molto per ricordare le innumerevoli volte in cui Dio stesso per primo l'ha pronunciato, l'ha ripetuto. Lui è l'Eccomi fatto persona, fatto fedeltà assoluta, incancellabile. Dovrei solo mettermi sulla sua onda, solo trovare le sue impronte nella polvere della mia povertà, del mio deserto; dovrei solo accogliere questo suo amore infinito che non ha mai smesso di cercarmi, di starmi appresso, di camminare con me, dovunque io sia andato. L'Eccomi è già stato detto e vissuto, è già vero. Quanti prima di me e quanti anche oggi, insieme a me! No, non sono solo. Faccio ancora silenzio, mi pongo ancora in ascolto, prima di rispondere...
"Eccomi eccomi!" (Is 65, 1) ripete Dio; "Eccomi, sono la serva del Signore" risponde Maria; "Ecco, io vengo per fare la tua volontà" (Sal 39, 8) dice Cristo...

6. Un momento di preghiera: Salmo 138

Rit. Padre, alle tue mani consegno la mia vita.
Signore, tu mi scruti e mi conosci,
tu sai quando seggo e quando mi alzo.
Penetri da lontano i miei pensieri,
mi scruti quando cammino e quando riposo.
Ti sono note tutte le mie vie.
Alle spalle e di fronte mi circondi
e poni su di me la tua mano.
Dove andare lontano dal tuo spirito,
dove fuggire dalla tua presenza?
Se salgo in cielo, là tu sei,
se scendo negli inferi, eccoti. Rit.

Sei tu che hai creato le mie viscere
e mi hai tessuto nel seno di mia madre.
Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio;
sono stupende le tue opere,
tu mi conosci fino in fondo.
Quanto profondi per me i tuoi pensieri,
quanto grande il loro numero, o Dio;
se li conto sono più della sabbia,
se li credo finiti, con te sono ancora.
Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore,
provami e conosci i miei pensieri:
vedi se percorro una via di menzogna
e guidami sulla via della vita. Rit.

7. Orazione finale

Padre mio, tu sei sceso fino a me, mi hai raggiunto, mi hai toccato il cuore, mi hai parlato, promettendomi gioia, presenza, salvezza. Nella grazia dello Spirito santo, che mi ha coperto con la sua ombra, anch'io, insieme a Maria, ho potuto dirti il mio sì, l'Eccomi della mia vita per te. E ora non mi resta che la forza della tua promessa, la tua verità: "Concepirai e darai alla luce Gesù". Signore, ecco davanti a te il grembo aperto della mia vita, del mio essere, di tutto ciò che sono e che: ogni cosa io pongo in te, nel tuo cuore. Tu entra, vieni, scendi ancora, ti prego e fecondami, rendimi generatore di Cristo in questo mondo. L'amore che io ricevo da te, in misura traboccante, trovi la sua pienezza e la sua verità nel raggiungere i fratelli e le sorelle che tu poni accanto a me. Il nostro incontro, o Padre, sia aperto, sia dono per tutti; sia Gesù, il Salvatore. Amen.

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27/03/2011 09:15
 
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padre Ermes Ronchi
Sorgente di fecondità

Al pozzo di Giacobbe, Gesù accompagna una donna verso il mistero di Dio, aiutandola a capire il suo mistero di donna. All'enigma dell'uomo si accede solo attraverso le rivelazioni dell'amore ed è proprio così che Gesù inizia l'incontro con la Samaritana, una donna che, con i suoi molti amori, era rimasta ancora nel deserto dell'amore.

Egli sa bene che, come lei, noi tutti troviamo più comodo anziché patire una grande sete, coltivarne cento, piccole e dolci; in cambio di un grande amore, inseguirne molti, piccoli e inappaganti. Gesù non aggredisce la donna dai cinque mariti, nessuna denuncia moralistica per i suoi amanti, la incontra senza farla arrossire.

Non dice, come i predicatori che hanno fretta di disamorarci del mondo e della vita: quest'acqua non è buona, gli amori umani sono cattivi. Non dice neppure: quest'acqua non ti da nessun sollievo. Dice solo: se bevi di quest'acqua avrai ancora sete, svelando che fra la nostra sete profonda e l'acqua dei pozzi umani la distanza è incolmabile.

Gesù, e il cristianesimo vero, non disprezzano e non negano le brevi gioie della strada, affermano solo la loro insufficienza. Non chiedono di fare il vuoto dentro e attorno per fare spazio a Dio, perché non è diminuendo l'uomo che s'innalza Dio.

Il futuro nuovo non verrà con il rafforzare divieti e condanne - quante volte la donna aveva sentito proclamare la legge! - ma camminando insieme da una piccola sete verso la grande sete, da una piccola brocca abbandonata verso la sorgente stessa.

Solo l'incontro cambia la vita, non la legge. In principio è l'incontro: con chi ti parla come nessuno, con chi «ti dice tutto» (venite, mi ha detto tutto...), con il Dio che ha sete che noi abbiamo sete di lui, ha desiderio del nostro desiderio.

Il Padre cerca adoratori... cioè vuole, ha bisogno, desidera adoratori, gente che abbia sete di Lui, che sieda al muretto del pozzo e beva ogni sua parola: io ti darà un'acqua che diventa in te sorgente che zampilla per sempre. Ti darò la mia vita che non è possesso, che non puoi contenere, che dilaga in fecondità, perché una vita che non si comunica, che non va verso altri è una vita mancata. E l'acqua diventa sorgente. In principio è il dono.

La fine della sete non è bere a sazietà, ma diventare fontana per altri, dissetare altri, farsi sorgente per i loro bisogni, per la loro arsura. Diventare sorgente, bellissimo impegno: diventarlo con il gesto e la parola, con l'accoglienza e il grido di giustizia, con l'ascolto e con il pianto.

Con la preghiera! Basta rimanere con il cuore proteso verso Dio e verso ogni creatura assetata che è attorno a noi.

Questo il mio augurio: sia la tua vita il canto di una sorgente.

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29/03/2011 08:11
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
“Non ci abbandonare fino in fondo, Signore, per amore del tuo nome, non rompere la tua alleanza; non ritirare da noi la tua misericordia”.

Come vivere questa Parola?
Questa preghiera è un forte grido esistenziale che il profeta Daniele coglie in bocca al re Azaria in un momento di prova. La richiesta è di perdono e di sperimentare la grande misericordia in un Dio che non cessa di rendersi presente, vicino, fedele nell’Alleanza con noi.
Quanto Dio effettivamente sia misericordioso è narrato nella parabola del Vangelo odierno. Ma quello che Gesù sottolinea, nel suo racconto, è il contrappunto. Larghissima misericordia di chi perdona un grande debito al servo; e grande durezza di cuore in quello stesso servo che, interpellato a sua volta dal conservo che implora pietà a proposito di un piccolo debito, non solo gliela nega ma giunge fino a percuoterlo.
Questo comportamento d’aguzzino, che scorda del tutto d’essere stato oggetto della misericordia del padrone e infierisce su chi gli deve qualcosa, ci urta profondamente. Ma non è forse proprio quello che avviene anche in noi quando, dimentichi di essere di continuo oggetto della misericordia di Dio, siamo restii a esercitarla verso il nostro prossimo?

Oggi, nel mio rientro al cuore, passerò del tempo a contemplare la misericordia e fedeltà di Dio: quel non rompere la sua Alleanza, ogni volta che, pentito, la invoco. Però mi lascerò anche provocare dal Vangelo! Vedo con chiarezza che non ci sarà più misericordia per me, se tardo a far piazza pulita di rancore, risentimenti, situazioni di non perdono?
Prego e canto:

Donaci Signor un cuore nuovo, poni in noi Signor uno Spirito nuovo!

Un detto dei Padri del deserto
Gli anziani dicevano: «Niente è peggio che giudicare l’altro e chiudere il cuore alla misericordia».

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30/03/2011 08:07
 
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padre Lino Pedron


Gesù adempie le Scritture realizzando nella sua persona ciò che esse dicevano di lui. L'adempimento della Legge da parte di Gesù non è di ordine puramente dottrinale: è l'impegno stesso della sua vita e della sua morte.
Egli non è venuto per frustrare le attese dell'Antico Testamento, ma per realizzarle: non vuota la Legge del suo contenuto, ma la riempie fino all'ultimo livello, portandola fino alla sua più alta espressione.
Gesù non è un avversario di Mosè, ma non è nemmeno un suo discepolo; è al contrario il vero legislatore che Dio ha inviato agli uomini di tutti i tempi, di cui Mosè era solo un precursore.
Alla venuta del Messia, Mosè è invitato a scomparire (cfr Mt 17,8). La Legge era incompleta non perché non esprimesse la volontà di Dio, ma perché la esprimeva in un modo imperfetto e inadeguato. Anche i minimi dettagli della Legge conservano il loro eterno valore, soprattutto se la Legge è quella rinnovata da Cristo (v. 18).
Gesù compie la Legge, che manifesta la volontà del Padre, amando i fratelli. L'amore non trascura neanche un minimo dettaglio, anzi manifesta la propria grandezza nelle attenzioni minime.
Le realtà più solide, il cielo e la terra, potranno cadere ma non cadrà un iota, cioè la particella più piccola della Legge, finché non sia attuata. Non si tratta di salvaguardare l'adempimento del codice fin nelle sue minime prescrizioni, ma di comprenderne il profondo contenuto che sopravvive nel Vangelo: l'amore. Con la proclamazione del Vangelo l'Antico Testamento non finisce, ma si attua nel Nuovo.

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01/04/2011 18:56
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Marco 12,28-34

1) Preghiera

Padre santo e misericordioso,
infondi la tua grazia nei nostri cuori,
perché possiamo salvarci
dagli sbandamenti umani
e restare fedeli alla tua parola di vita eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...

2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Marco 12,28b-34
In quel tempo, si accostò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: "Qual è il primo di tutti i comandamenti?". Gesù rispose: "Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi". Allora lo scriba gli disse: "Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli è unico e non v'è altri all'infuori di lui; amarlo con tutto il cuore e con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici". Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, gli disse: "Non sei lontano dal regno di Dio". E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

3) Riflessione

• Nel Vangelo di oggi, gli scribi ed i dottori della Legge vogliono sapere da Gesù qual è il primo di tutti i comandamenti. Anche oggi molta gente vuole sapere cosa è più importante nella religione. Alcuni dicono che è l'essere battezzati. Altri dicono che è andare a Messa o partecipare alla Messa della domenica. Altri ancora: amare il prossimo e lottare per un mondo più giusto! Altri si preoccupano solo delle apparenze o degli incarichi nella Chiesa.
• Marco 12,28: La domanda del dottore della Legge. Poco prima della domanda dello scriba, la discussione era stata tenuta con i sadducei attorno alla fede nella risurrezione (Mc 12,23-27). Al dottore, che aveva assistito al dibattito, piacque la risposta di Gesù, percepì in essa la sua grande intelligenza e volle approfittare dell'occasione per fare una domanda di chiarimento "Qual è il primo tra tutti i comandamenti?" In quel tempo, i giudei aveva un'enorme quantità di norme per regolamentare la pratica e l'osservanza dei Dieci Comandamenti della Legge di Dio. Alcuni dicevano: "Tutte queste norme hanno lo stesso valore, poiché vengono tutte da Dio. Non tocca a noi introdurre distinzioni nelle cose di Dio". Altri dicevano: "Alcune leggi sono più importanti delle altre e, per questo, obbligano di più!" Il dottore vuole sapere cosa ne pensa Gesù.
• Marco 12,29-31: La risposta di Gesù. Gesù risponde citando un passaggio della Bibbia per dire che il primo tra i comandamenti è "amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente e con tutta la forza!" (Dt 6,4-5). Al tempo di Gesù, i giudei pii recitavano questa frase tre volte al giorno: al mattino, a mezzogiorno ed alla sera. Era così conosciuta tra di loro come tra di noi lo è il Padre Nostro. E Gesù aggiunge, citando di nuovo la Bibbia: "Il secondo è: amerai il tuo prossimo come te stesso" (Lev 19,18). Non c'è un altro comandamento più grande di questi due". Risposta breve e molto profonda! E' il riassunto di tutto ciò che Gesù insegna su Dio e sulla vita (Mt 7,12).
• Marco 12,32-33: La risposta del dottore della legge. Il dottore è d'accordo con Gesù e conclude: "Così, amare Dio ed il prossimo val più di tutti gli olocausti ed i sacrifici". Ossia, il comandamento dell'amore è più importante dei comandamenti riguardanti il culto ed i sacrifici del Tempio. Questa affermazione veniva già dai profeti dell'Antico Testamento (Os 6,6; Sal 40,6-8; Sal 51,16-17). Oggi diremmo che la pratica dell'amore è più importante di novene, promesse, preci e processioni.
• Marco 12,34: Il riassunto del Regno. Gesù conferma la conclusione del dottore e dice: "Non sei lontano dal Regno di Dio!" Infatti, il Regno di Dio consiste nell'unione dei due amori: amore verso Dio ed amore verso il prossimo. Poiché se Dio è Padre/Madre, noi tutti siamo fratelli e sorelle, e dobbiamo mostrare questo in pratica, vivendo in comunità. "Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge ed i profeti!" (Mt 22,40) Noi discepoli e discepole, dobbiamo metterci nella memoria, nell'intelligenza, nel cuore, nelle mani e nei piedi questa legge che è la prima, perché non si giunge a Dio senza darsi totalmente al prossimo!
• Gesù aveva detto al dottore della Legge: "Non sei lontano dal regno di Dio!" (Mc 12,34). Il dottore era già vicino, ma per poter entrare nel Regno doveva fare un passo in più. Nell' AT il criterio dell'amore verso il prossimo era "Amare il prossimo come te stesso". Nel NT, Gesù allarga il senso dell'amore: "Questo è il mio comandamento: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi! (Gv 15,12-13). Allora il criterio sarà "Amare il prossimo come Gesù ci amò". È il cammino certo per giungere ad una convivenza più giusta e fraterna.

4) Per un confronto personale

• Per te, cos'è la cosa più importante nella religione?
• Noi oggi, siamo più vicini o più lontani dal Regno di Dio rispetto al dottore che fu elogiato da Gesù? Cosa pensi?

5) Preghiera finale

Non c'è nessuno come te in cielo, Signore,
perché tu sei grande e compi meraviglie:
tu solo sei Dio. (Sal 86,8.10)

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02/04/2011 08:44
 
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Comunità Missionaria Villaregia (giovani)


Nel Vangelo di oggi, Gesù ci svela il segreto perché la nostra preghiera sia vera e possa quindi diventare anche efficace.
Gesù ci parla di due uomini che appartengono a due categorie diametralmente opposte. Ci possiamo chiedere in quale dei due uomini ci identifichiamo? Il fariseo o il pubblicano?

IL FARISEO
- è l'uomo che SI CREDE GIUSTO, PERFETTO, per il fatto che riesce costantemente a seguire tutti i precetti della legge,
- si fa forte di fronte a Dio della propria giusta condotta di vita ed esige, in un certo qual modo, la riconoscenza di Dio per l'impegno che si è preso nei suoi confronti...
- L'atteggiamento del fariseo è proprio dell'uomo egoista, pieno di sé, ma non solo. Ciò che aggrava la sua presunzione è che "disprezza gli altri".
- La sua preghiera diventa giudizio verso gli altri: "O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano";
- e, soggetto della preghiera, è il proprio IO: IO DIGIUNO...; IO PAGO....
Davanti al Signore resta in piedi, quasi dicendogli: "Guarda come sono bravo".

IL PUBBLICANO
- è un PECCATORE PUBBLICO.
- Amministra in modo iniquo soldi che non sono suoi;
- non ha riguardo dei poveri;
- è connivente con gli amministratori romani, appartenenti ad un popolo pagano e impuro...
- Resta più lontano perché sa che non potrebbe sopportare quello sguardo di misericordia che Dio ha per lui.
- La sua preghiera è semplice e parte dal suo riconoscersi peccatore, bisognoso.
- Non giudica gli altri, neanche il fariseo, da cui spesso viene oltraggiato ed insultato, oppure non viene salutato e avvicinato;
- Il soggetto della preghiera è DIO: "O Dio, abbi pietà di me peccatore".
Davanti al Signore rimane in ginocchio riconoscendo che tutto dipende da Lui, che l'amore misericordioso del Padre è l'unico vero bene.

Da questa parabola risulta molto chiaramente che la preghiera è questione di cuore: se mi riconosco creatura, bisognoso del perdono di Dio; se cerco di amare gli altri nella misericordia, allora la mia preghiera sboccerà da un cuore umile che a poco a poco diventa come quello di Dio.
Se invece mi faccio grande davanti a Dio delle mie opere buone, della mia crescita spirituale, della mia bontà..., allora c'è qualcosa che non va.
Gesù conclude dicendo: "Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato". Non è un rimprovero o una condanna: è un ulteriore possibilità che il Signore ci dà per poter scoprire quanto ci ama e quanto spera nella nostra risposta d'amore.

Parola chiave: pregare è questione di cuore.

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04/04/2011 16:57
 
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padre Lino Pedron


Nel racconto del secondo segno di Cana il protagonista è un pagano. I giudei, i samaritani e i pagani erano le tre categorie che formavano l'umanità. Questi tre gruppi sono valutati in base alla loro fede in Gesù. I giudei non credono nel loro messia: Nicodemo con il suo scetticismo ne è il tipico rappresentante (Gv 3,1-12). Gli eretici samaritani invece accettano la testimonianza di una donna e soprattutto quella di Gesù, pur non avendo visto alcun prodigio (Gv 4,1-41). Il pagano crede alla parola di Gesù, ancor prima di vedere il segno (Gv 4,46-50).
La seconda visita di Gesù a Cana si riallaccia alla prima, in occasione delle nozze (Gv 2,1ss). I due miracoli di Cana costituiscono una grande inclusione di questa prima parte del vangelo di Giovanni. In essa Giovanni descrive la prima rivelazione di Gesù nelle tre principali regioni della Palestina: la Galilea, la Giudea e la Samaria, e alle tre categorie di persone che le abitavano: gli israeliti ortodossi, gli eretici samaritani e i pagani.
Dalla Samaria Gesù ritorna in Galilea perché non era stato accolto a Gerusalemme, nonostante avesse operato numerosi prodigi. Il funzionario regio di Cafarnao era al servizio di Erode Antipa, il tetrarca della Galilea. Il viaggio da Cafarnao a Cana è abbastanza disagiato: 26 chilometri in salita.
Gesù richiama subito il centurione alla fede vera, fondata sulla sua parola e non sui segni. Come i samaritani, anche questo pagano crede prontamente alla parola di Gesù e diventa, in tal modo, modello di fede per i discepoli.
Egli è tanto in ansia per la salute del figlio che non si preoccupa dell'ammonimento di Gesù, ma gli ripete con insistenza di scendere a Cafarnao prima che suo figlio muoia.
In antitesi con i giudei che non credono alle parole di Gesù, questo pagano crede immediatamente. Nell'apprendere che il figlio era guarito nell'ora nella quale Gesù gli aveva parlato, il funzionario credette, e con lui tutta la sua famiglia.
Nelle scelte, anche importanti, della nostra vita non dobbiamo cercare dei segni per credere. La parola di Gesù può bastarci per le decisioni grandi e anche per le scelte quotidiane. Dio ci ha già detto tutto in Gesù.
In caso di malattia cerchiamo ansiosamente medici, medicine, ospedali, interventi chirurgici. Gesù, Signore della vita e della morte, ha qualche significato e qualche peso nella nostra lotta contro il male e la morte?

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06/04/2011 07:55
 
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padre Lino Pedron


Per la tradizione rabbinica, solo Dio era dispensato dal riposo del sabato. Infatti, poiché l'uomo nasce e muore anche in giorno di sabato, Dio deve sempre dare la vita e giudicare. Egli, in questo giorno, non può rimanere inattivo, senza guidare la storia e il destino degli uomini, altrimenti il mondo avrebbe fine e sfuggirebbe al suo controllo. Questo è il senso della difesa che Gesù pronuncia davanti ai giudei: egli, come Figlio di Dio, ha gli stessi diritti divini del Padre. Va notato che il verbo operare è usato al presente e in senso assoluto sia per il Padre che per il Figlio, e indica uguaglianza e unica coordinazione nell'operare.
Circa la controversia sul sabato, dunque, Giovanni chiarisce che la discussione di Gesù non verte tanto sulla relatività della legge del riposo, ma sulla sua personale autorità, che è superiore all'osservanza del precetto. Egli intende far riscoprire il senso profondo e teologico del sabato, riproponendo il valore di Dio e della salvezza. Se Gesù opera in giorno di sabato è perché egli, che è Figlio di Dio, è in relazione col Padre e ne segue l'agire. Come il Padre è superiore al sabato e può lavorare anche in questo giorno, anzi può operare sempre, così Gesù, essendo uguale al Padre (v. 18), è padrone del sabato e può affermare: "Il Padre mio opera continuamente e anch'io opero" (v. 17). Per Gesù, dare la vita e la libertà interiore all'uomo, non è trasgredire il sabato, ma realizzarlo in pienezza secondo la volontà del Padre.
Gesù è il Figlio del Padre, l'inviato per la salvezza dell'uomo, colui che compie la stessa attività di Dio, incarnandone la volontà e il progetto. Essere con Gesù è essere con Dio. Agire contro Gesù è agire contro Dio.
Ascoltare la parola di Gesù e credere nel Padre sono due atteggiamenti religiosi che conducono l'uomo alla fede. Credere in Gesù e nel Padre vuol dire accettare il messaggio di Dio, il suo piano di salvezza per l'uomo; è possedere la vita eterna, perché per mezzo della parola del Figlio, l'uomo entra in comunione col Padre e, quindi, nella vita divina. La strada da seguire per giungere alla vita eterna è unica: dall'ascolto alla fede, e dalla fede alla vita.
Tutti gli uomini morti spiritualmente per il peccato sono in grado di udire la voce del Figlio di Dio, ma solo quelli che ascoltano, aprendosi alla dinamica della fede, possono entrare nella vita.
Oltre il potere di dare la vita, il Figlio dell'uomo ha nelle mani anche il potere del giudizio. Tutti, alla fine dei tempi, udranno la voce del giudice universale, e i morti, uscendo dalle loro tombe, riceveranno il premio o il castigo secondo le opere di bene o di male compiute. Coloro che avranno scelto il bene e l'amore, risorgeranno per la vita, coloro che avranno scelto il male e le tenebre, risorgeranno per la condanna. In questo giudizio Gesù avrà un solo criterio di valutazione: la volontà del Padre.

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08/04/2011 19:26
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Cercavano di arrestarlo, ma la sua ora non era ancora venuta

Il ministero di Gesù si è alternato, nei suoi tre anni di predicazione, tra la Giudea e la Galilea. Sono territori geograficamente diversi. Regioni che nella loro diversità e complementarietà possono raffigurare i due grandi misteri di Gesù Cristo: il Mistero Pasquale compiutosi a Gerusalemme, in Giudea, ed il mistero dell'Incarnazione avvenuto a Nazareth, in Galilea. Nel brano del Vangelo di oggi però hanno in comune l'incapacità di riconoscere in Gesù il vero Messia. Chi lo ha conosciuto a Nazareth non ha capito la presenza di Dio nell'umiltà della casa paterna. La Sua predicazione a Gerusalemme risultava scandalosa perché Gesù si manifestava come vero Dio. Egli è nel tempio per insegnare. È nella casa del Padre per manifestare la sua gloria nel mistero Pasquale della sua morte e resurrezione. Il suo mistero è unico. Il Dio si manifesta nella vera gloria con l'umiltà. È il Dio della misericordia che Gesù manifesta nella sua sottomissione al padre terreno, Giuseppe. Il Messia Gesù rivela il Padre e il suo amore per noi proprio nel Mistero Pasquale. Gesù vive questo mistero come l'obbedienza del Figlio al Padre, in modo che possa rivelare l'uomo a se stesso. Per noi questo è l'esortazione del brano del Vangelo a riconoscere in Gesù un unico Mistero di Amore che si realizza nell'obbedienza, virtù che misteriosamente unisce in modo fraterno gli uomini e ci fa aprire le braccia nella lode a Dio.

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12/04/2011 08:24
 
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padre Lino Pedron


Gesù, per stimolare i suoi avversari a cambiare atteggiamento nei suoi confronti, diventa polemico e fa balenare la minaccia della morte nel peccato. Egli sta per tornare da Dio: con la sua passione e risurrezione passa da questo mondo al Padre (cfr Gv 13,1); i suoi nemici non potranno raggiungerlo nella gloria eterna; anzi, con la morte nel peccato di incredulità, si separeranno eternamente da lui.
La reazione dei giudei è molto più sarcastica che in 7,35. Lì i suoi avversari ipotizzavano il suo trasferimento in terra pagana, qui parlano di suicidio. L'idea che la fonte della vita e della luce possa suicidarsi è possibile solo ai figli del diavolo. In nessun altro passo del vangelo troviamo espressioni più sarcastiche e blasfeme contro il Figlio di Dio.
La risposta di Gesù all'insulto satanico dei giudei è tagliente e aspra: voi siete dal basso, dal mondo tenebroso del maligno, io sono dall'alto, di origine divina. In Gv 8, 44 Gesù espliciterà maggiormente l'origine satanica dei suoi avversari: il loro padre è il diavolo, l'omicida fin dal principio. Scrive Loisy: "I giudei pensano di deridere il Cristo; ma sono loro tragicamente ridicoli".
Se i giudei si ostinano a non aprirsi alla luce, che è Cristo, la loro sorte è segnata: essi moriranno nei loro peccati. L'ostinazione nel rifiuto della luce (cfr Gv 9,41), cioè l'opposizione fondamentale contro il Figlio di Dio, conduce alla morte eterna (cfr 1Gv 5,16-17). Questo è il peccato specifico del mondo tenebroso (cfr Gv 16,8-9).
La risurrezione e la vita si trovano in Gesù; per non morire bisogna credere alla sua divinità (cfr Gv 11,25-26). Le parole "Io sono" indicano con chiarezza la divinità di Cristo. "Io sono" è la traduzione del nome ebraico di Jahvè, quindi esprime la divinità della persona di Gesù.
Gli interlocutori di Gesù non hanno ancora afferrato la sua dichiarazione, davvero inaudita, di essere Dio. La comprensione piena dell'"Io sono" è riservata alla scena finale (vv. 58-59). Per questo i giudei chiedono a Gesù: "Tu chi sei?". L'interrogativo: "Chi è Gesù" è fondamentale nel vangelo di Giovanni. La risposta di Gesù appare molto enigmatica. Fin dal principio il Logos è ciò che dice, ossia la parola di Dio (Gv 1,1), la manifestazione della vita e dell'amore del Padre.
Il Logos incarnato non manifesta solo il mistero di Dio, ma conosce bene anche l'uomo; quindi può parlare dei suoi interlocutori senza sbagliarsi. Gesù rivela al mondo ciò che ha udito dal Padre che lo ha mandato. L'evangelista annota: i giudei non capirono che parlava loro del Padre.
La divinità di Gesù sarà riconosciuta quando sarà innalzato sulla croce. Anche i giudei per avere la vita dovranno credere nel Logos incarnato esaltato sulla croce. Con l'esaltazione dell'uomo Gesù sulla croce non avverrà solo il riconoscimento della sua divinità, ma anche quello della sua funzione di rivelatore definitivo, in piena e perfetta dipendenza dal Padre.
Il Padre e il Figlio vivono sempre intimamente uniti e formano una cosa sola per cui il Logos incarnato non può mai essere abbandonato da Dio. Questa unità perfetta tra Gesù e il Padre ha come conseguenza il perfetto compimento della volontà del Padre. Nella Trinità esiste una sola volontà divina.
La pausa descrittiva sulla fede di molte persone in ascolto serve come passaggio a un'altra scena nella quale è svolta una nuova tematica teologica, quella della vera libertà dei figli di Abramo. Anche qui sembra trattarsi di una fede superficiale, come quella di Nicodemo e degli altri abitanti di Gerusalemme.

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14/04/2011 17:01
 
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Movimento Apostolico - rito romano
In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono

Oggi Gesù riporta in modo definitivo l'umanità alle origini della loro storia, quando Adamo era nel giardino dell'Eden e il Signore gli indicò qual era la via della sua vita: l'ascolto della sua Parola, il non mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male che era nel centro del giardino: "Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai certamente dovrai morire»" (Gn 2,16-17).
All'uomo che vuole ritornare nella vita, che non vuole conoscere la morte, che vuole tenersi lontano da essa Gesù dice la stessa cosa: «In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno". Prima eravamo nella vita, per la disobbedienza alla Parola di Dio siamo passati nella morte. Ora per l'obbedienza alla Parola di Cristo Gesù possiamo passare tutti nella vita. Gesù Signore si proclama in tutto uguale a Dio. È uguale a Dio in tutto perché la sua Parola prende il posto di quella di Dio. Chi ascolta la Parola di Gesù non cambia però Dio, adora lo stesso Dio di Abramo, Giacobbe, Isacco, Mosè e tutti gli altri Profeti e Giusti dell'Antico testamento. Non cambia Dio perché il Dio di Abramo è il Padre di Cristo Gesù.
I Giudei non comprendono la verità che Gesù sta annunziando. Egli parla della morte dell'anima e di quella eterna. Loro comprendono come se Gesù parlasse della morte fisica. Sappiamo che per Gesù questa morte è un addormentarsi nel Signore. Essa non è la vera morte. La vera è quella eterna e prima ancora quella dell'anima. Per i Giudei, Gesù sta dicendo falsità, perché tutti sono morti: Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, tutti i profeti e Giusti dell'Antico Testamento. Se la Parola di Dio Onnipotente non è riuscita a conservare in vita i loro padri, cosa potrà fare la parola di Gesù?
La Parola di Cristo Gesù non è Parola di Cristo Gesù. È Parola del Padre. Il Padre la dice per mezzo di Gesù Signore. Loro non conoscono il Padre. Gesù lo conosce. Loro non conoscono Abramo. Gesù lo conosce. Abramo vide il giorno di Gesù ed esultò. Esulto perché apprese tutta la verità della sua vita e della sua obbedienza al suo Dio e Signore. Abramo vide Gesù in vera visione profetica, con gli occhi del suo spirito. Lo vive perché Gesù è prima di Abramo, perché Dio e Dio gli ha fatto la grazia di vederlo nel mistero della sua incarnazione. È questo il significato della parola di Gesù: "In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono". Sono io il Dio di Abramo. Abramo mi ha visto nella mia gloria. Con queste parole Gesù rivela ai Giudei la sua divinità, la sua eternità, la sua Signoria ed anche il mistero della sua incarnazione.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, aiutaci a conoscere il mistero di Gesù in tutta la sua pienezza. Angeli e Santi, fateci rimanere nella sua Parola e avremo la vita

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16/04/2011 18:00
 
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a cura dei Carmelitani
  Preghiera

O Dio, che operi sempre per la nostra salvezza
e in questi giorni ci allieti con un dono speciale
della tua grazia,
guarda con bontà alla tua famiglia,
custodisci nel tuo amore chi attende il Battesimo
e assisti chi è già rinato alla vita nuova.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...



  Riflessione
su Giovanni 11,45-56

• Il vangelo di oggi riporta la parte finale del lungo episodio della risurrezione di Lazzaro a Betania, in casa di Marta e Maria (Gv 11,1-56). La risurrezione di Lazzaro è il settimo segnale (miracolo) di Gesù nel vangelo di Giovanni ed è anche il punto alto e decisivo della rivelazione che lui faceva di Dio e di se stesso.
• La piccola comunità di Betania, dove a Gesù piaceva essere ospitato, rispecchia la situazione e lo stile di vita delle piccole comunità del Discepolo Amato alla fine del primo secolo in Asia Minore. Betania vuol dire "Casa dei poveri". Erano comunità povere, di gente povera. Marta vuol dire "Signora" (coordinatrice): una donna coordinava la comunità. Lazzaro significa "Dio aiuta": la comunità povera aspettava tutto da Dio. Maria significa "amata da Yavé: era la discepola amata, immagine della comunità. L’episodio della risurrezione di Lazzaro comunicava questa certezza: Gesù è fonte di vita per le comunità dei poveri. Gesù è fonte di vita per tutti coloro che credono in Lui.
• Giovanni 11,45-46: La ripercussione del Settimo Segno in mezzo alla gente. Dopo la risurrezione di Lazzaro (Jo 11,1-44), viene la descrizione della ripercussione di questo segno in mezzo alla gente. La gente era divisa. “molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista della risurrezione di Lazzaro credettero in lui”. Ma alcuni andarono dai farisei e riferirono loro quel che Gesù aveva fatto.
Questi ultimi lo denunciarono. Per poter capire questa reazione di una parte della popolazione è necessario rendersi conto che la metà della popolazione di Gerusalemme dipendeva completamente dal Tempio per poter vivere e sopravvivere. Per questo, difficilmente loro avrebbero appoggiato un profeta sconosciuto della Galilea che criticava il Tempio e le autorità. Ciò spiega anche perché alcuni si prestavano ad informare le autorità.
• Giovanni 11,47-53: La ripercussione del settimo segno in mezzo alle autorità. La notizia della risurrezione di Lazzaro aumenta la popolarità di Gesù. Per questo, i leaders religiosi convocano un consiglio, il sinedrio, la massima autorità, per discernere sul da farsi. Poiché “quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione”. Loro avevano paura dei romani. Perché in passato, dall’invasione romana nel 64 prima di Cristo fino all’epoca di Gesù, era stato dimostrato molte volte che i romani reprimevano con molta violenza qualsiasi tentativo di ribellione popolare (cf Atti 5,35-37). Nel caso di Gesù, la reazione romana avrebbe potuto condurre alla perdita di tutto, anche del Tempio e della posizione privilegiata dei sacerdoti. Per questo, Caifa', il sommo sacerdote, decide: “É meglio che un solo uomo muoia per il popolo, e non che perisca un’intera nazione”. E l’evangelista fa questo bel commento: “Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi.”. Così, a partire da questo momento, i capi, preoccupati per la crescita dell’autorevolezza di Gesù e motivati dalla paura dei romani, decidono di uccidere Gesù.
• Giovanni 11,54-56: La ripercussione del settimo segnale nella vita di Gesù. Il risultato finale è che Gesù doveva vivere come un clandestino. “Gesù pertanto non si faceva più vedere in pubblico tra i Giudei; egli si ritirò di là nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Efraim, dove si trattenne con i suoi discepoli”. La Pasqua era ormai vicina. In questa epoca dell’anno, la popolazione di Gerusalemme triplicava a causa del gran numero di pellegrini. La conversazione girava tutta attorno a Gesù: "Che ve ne pare? Non verrà egli alla festa?" Allo stesso modo, all’epoca in cui fu scritto il vangelo, alla fine del primo secolo, epoca della persecuzione dell’imperatore Domiziano (dall’ 81 al 96), le comunità cristiane che vivevano al servizio degli altri si videro obbligate a vivere nella clandestinità.
Una chiave per capire il settimo segnale della risurrezione di Lazzaro. Lazzaro era malato. Le sorelle Marta e Maria mandarono a chiamare Gesù: "Colui che tu ami è malato!" (Gv 11,3.5). Gesù risponde alla richiesta e spiega ai discepoli: "Questa malattia non è mortale, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio sia glorificato" (Gv 11,4) Nel vangelo di Giovanni, la glorificazione di Gesù avviene mediante la sua morte (Gv 12,23; 17,1). Una delle cause della sua condanna a morte sarà la risurrezione di Lazzaro (Gv 11,50; 12,10). Molti giudei stavano in casa di Marta e Maria per consolarle della perdita del loro fratello. I giudei, rappresentanti dell’Antica Alleanza, sanno solo consolare. Non danno vita nuova... Gesù è colui che porta una vita nuova! Così, da un lato, la minaccia di morte contro Gesù! Dall’altro, Gesù che vince la morte! In questo contesto di conflitto tra la vita e la morte si svolge il settimo segnale della risurrezione di Lazzaro. Marta dice che crede nella risurrezione. I farisei e la maggioranza della gente dicono di credere nella Risurrezione (At 23,6-10; Mc 12,18). Credevano, ma non lo rivelavano. Era solo fede nella risurrezione alla fine dei tempi e non nella resurrezione presente nella storia, qui e ora. Questa fede antica non rinnovava la vita. Perché non basta credere nella risurrezione che avverrà alla fine dei tempi, ma bisogna credere nella Risurrezione già presente qui e ora nella persona di Gesù e in coloro che credono in Gesù. Su costoro la morte non ha più nessun potere, perché Gesù è la "risurrezione e la vita". Anche senza vedere il segno concreto della risurrezione di Lazzaro, Marta confessa la sua fede: "Io credo che tu sei il Cristo, il figlio di Dio vivo” (Gv 11,27).
Gesù ordina di togliere la pietra. Marta reagisce: "Signore, già manda cattivo odore, perché è di quattro giorni!"(Gv 11,39). Di nuovo Gesù lancia la sfida chiedendo di credere nella risurrezione, qui e ora, come un segno della gloria di Dio: "Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?" (Gv 11,40). Ritirarono la pietra. Dinanzi al sepolcro aperto e dinanzi all’incredulità delle persone, Gesù si dirige al Padre. Nella sua preghiera, prima rende grazie: "Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto" (Gv 11,41-42). Gesù conosce il Padre e ha fiducia in lui. Ma ora lui chiede un segno a causa della moltitudine che lo circonda, in modo che possa credere che lui, Gesù, è mandato dal Padre. Poi grida ad alta voce: "Lazzaro, vieni fuori!” Lazzaro esce fuori (Gv 11,43-44). É il trionfo della vita sulla morte, della fede sull’incredulità. Un agricoltore commentò: "A noi spetta ritirare la pietra. E a Dio di risuscitare la comunità. C’è gente che non sa togliere la pietra, e per questo la sua comunità non ha vita!"



4) Per un confronto personale

• Cosa significa per me, concretamente, credere nella risurrezione?
• Parte della gente accettò Gesù, e parte no. Oggi parte della gente accetta il rinnovamento della Chiesa e parte no. E tu?




5) Preghiera finale

Sei tu, Signore, la mia speranza,
la mia fiducia fin dalla mia giovinezza.
Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno,
dal seno di mia madre tu sei il mio sostegno.
(Sal 70)

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17/04/2011 08:27
 
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Giunti al valico della fede
Quanto è bello camminare in montagna lungo un sentiero che porta verso un passo. Se il sentiero che percorriamo, infatti, ci svela ad ogni passo prospettive nuove, panorami piacevoli alla vista e anche momenti di riposo che ci permettano di riprenderci dalla fatica fino allora compiuta, mentre stiamo per giungere al punto che a noi pare il vertice del nostro cammino ci rendiamo conto, proprio perché ci troviamo in cima ad un passo, che non siamo alla fine del percorso, ma che ci si apre dinnanzi un orizzonte nuovo, spesso ancor più suggestivo, di fronte al quale abbiamo la possibilità di scegliere se proseguire in una direzione piuttosto che in un'altra, oppure fermarci a contemplare il paesaggio prima di intraprendere la strada del ritorno. Gli appassionati della montagna, giunti su un passo, difficilmente si fermano lì: quantomeno scollinano, vanno dall'altra parte a vedere cosa c'è, si dirigono su altri sentieri magari un po' più pianeggianti, o ancora meglio si fanno attrarre dalle vette circostanti e intraprendono le non facili tracce di sentiero che lungo le creste li portano ancor più in alto.
Entrare nel meraviglioso Mistero della nostra Redenzione, che i suggestivi riti della Settimana Santa rendono ogni anno nuovo e attuale, è un po' come camminare lungo un sentiero di montagna per dirigerci verso un passo, verso un valico. Si percorre il cammino della Quaresima, lo si gusta in tutta la sua bellezza, ma quando poi ci si avvicina all'ultima settimana che ci separa dalla Solennità Pasquale ci si rende conto della molteplicità e della grandezza del Mistero che siamo chiamati a contemplare e verso il quale siamo nuovamente invitati ad incamminarci. La Domenica delle Palme, in virtù dello stesso avvenimento che vuol commemorare, costituisce proprio questa "porta d'ingresso" ai Misteri della nostra Salvezza. E credo che essa assuma il suo più profondo significato nella misura in cui significativo è stato il cammino percorso durante la Quaresima.
I Vangeli del ciclo liturgico di questa Quaresima, per il loro carattere prevalentemente battesimale con il quale siamo stati invitati a riscoprire il sacramento della nostra identità cristiana, credo abbiano perseguito fondamentalmente l'obiettivo di farci capire l'essenzialità appunto del nostro essere cristiani, ossia l'incontro con Gesù Cristo. Un incontro che non ci può lasciare indifferenti, ma che viene a cambiarci profondamente l'esistenza nella misura in cui siamo capaci di lasciarci mettere in discussione dall'incontro con il Maestro.
Non è certo un incontro facile o scontato. Molte sono le resistenze che opponiamo, perché da subito si comprende che il Maestro scomoda le nostre certezze. Ci arrangiamo spesso da soli, siamo convinti che la salvezza sia qualcosa che possiamo ottenere da noi stessi con una serie di comportamenti autosufficienti. Qualcosa da mettere sotto i denti, e la Parola di Dio risulta del tutto superflua. Ma "non di solo pane vive l'uomo". Magari, ci capita pure di fare riferimento alla Parola di Dio, ma a patto che ci aiuti a realizzare i nostri progetti, assoggettando il volere di Dio alla nostra volontà. E invece "sta scritto: Non tenterai il Signore Dio tuo". Quando poi ci troviamo di fronte al bivio tra una vita fatta di successo, potere e denaro e una vita fatta di affidamento alla provvidenza di Dio, è dura resistere alla tentazione dell'avversario, e dirgli: "Vattene, satana! Perché sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Per farci capire cosa vuole da noi, il Maestro ci mette ulteriormente a dura prova, ci fa camminare con fatica verso un alto monte e ci si manifesta in tutta la sua gloria; ma non ci nasconde affatto che il cammino del discepolo è fatto di croci. Ci parla di quella che sarà la sua Passione e Morte a Gerusalemme, e di fronte al nostro timore (perché comunque la croce ci fa paura), ci risolleva da terra e ci dice: "Alzatevi, non temete".
Ci prende per mano, ci fa scendere dal monte dove era certamente più comodo stare a contemplare la bellezza della sua gloria, e ci invita a camminare tra l'arsura del deserto per sederci ai bordi di un pozzo, da cui lui attinge per noi un'acqua bevendo la quale l'uomo "non avrà mai più sete". In realtà, quest'acqua ci fa venire ancor più sete, ma sete di lui. Poco a poco cominciamo a dire, balbettando, il nostro "Credo". Cominciamo a dire al Maestro che ci rendiamo conto, che "sappiamo che deve venire il Messia, e che quando verrà ci annuncerà ogni cosa".
Ma forse questa affermazione di fede non è ancora sufficiente. Siamo molto materialisti, e abbiamo bisogno che il Maestro faccia per noi qualcosa di straordinario ma anche di molto concreto, abbiamo bisogno che ci riapra gli occhi alla fede in lui, che ci porti ai bordi della piscina di Siloe, che ci spalmi un po' di fango sugli occhi, perché riusciamo finalmente a dire - nonostante le opposizioni di chi vuole farci affermare il contrario - "Io credo, Signore!".
Credere quando Dio ci fa una grazia, oltre che doveroso è facile, ed è anche gratificante. Tutto si complica quando alla nostra fede è chiesto di passare attraverso la prova della croce, del Calvario, della sofferenza, in particolare della malattia e della morte. Continuare a sperare nel Dio della Vita quando tutto parla di morte non è cosa da poco. È molto meglio affrontare con rassegnazione la prova, accettarla, e poi rinchiuderci nel nostro dolore, mettendoci una pietra sopra e cercando di ripartire. Il Maestro, però, ci chiedere di "togliere la pietra", come egli farà il giorno di Pasqua. Ma ancora prima, ci chiederà di professare la nostra fede in lui, che è la Risurrezione e la Vita: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Figlio di Dio che deve venire nel mondo".
Ci siamo lasciati alle spalle un cammino, convinti di essere giunti alla meta. Ora però ci si apre davanti nuovamente una porta: sta a noi accettare, con fede, la sfida di Pasqua.
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20/04/2011 08:27
 
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laChiesa.it

Gesù, vedendo che la sua ora si avvicina, fa preparare la Pasqua. Durante la cena, annuncia il tradimento di Giuda. Il salmista aveva già previsto il tradimento dell’amico (Sal 041,10). Il popolo di Giuda condanna Gesù e lo consegna ai pagani. I lavoratori della vigna, dopo aver ucciso i servitori, uccidono anche il figlio del padrone. “Popolo mio, che cosa ti ho fatto? In che cosa ti ho stancato? Rispondimi” (Mi 6,3). Giuda vende Gesù per trenta monete d’argento. Il valore di un servo era di trenta sicli d’argento (Es 21,32). Si valutò con lo stesso valore il profeta che era decaduto (Zc 11,12s). Ed è ancora questa somma che il sinedrio dà per Gesù.
Quando ciò che era stato annunciato si realizza, le Scritture terminano. Tutto, da sempre, era presente agli occhi di Dio. L’azione dell’uomo era prevista, ma non predeterminata. Ed è per questo che Gesù non toglie la responsabilità a colui che lo consegna, poiché egli ha utilizzato male la sua libertà.
Anche noi possiamo tradire Cristo, vendendolo per qualche moneta. La parola del Signore ci insegna, e il Signore stesso apre le nostre orecchie, affinché possiamo fare parte dei convitati di Gesù, che celebrano con lui la Pasqua, come membra vive della sua Chiesa.
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22/04/2011 13:59
 
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Commento a cura di don Angelo Sceppacerca
Commento Giovanni 18,1- 19,42

In questo giorno la Chiesa con la meditazione della Passione del suo Signore e Sposo e con l'adorazione della Croce commemora la sua origine dal fianco di Cristo, che riposa sulla croce e intercede per la salvezza del mondo. In questo giorno la Chiesa, per antichissima tradizione, non celebra l'Eucaristia, ma fa penitenza con l'astinenza, il digiuno e le opere di carità. Dinanzi alla croce e al racconto della passione restiamo in silenzio e contempliamo il volto di Dio morto per amore. Nel suo volto, c'è anche il nostro dolore e il volto di tanti fratelli, di interi popoli.
Avete mai visto il crocifisso di Matthias Grunewald? Le tenebre immense che incombono sul mondo simboleggiano la dimensione universale e cosmica del male. Gravano sul corpo di Gesù che è già morto, ma porta ancora ben visibili i segni di una lotta atroce. Pende dalla croce come un cadavere enorme, di colore livido con ferite verdastre; ha il volto contratto, sfigurato, le mani e i piedi contorti; ha perfino lacerato il perizoma ai fianchi e incurvato l'asse trasversale del patibolo. Anche la corona di spine è enorme; anzi sembra essersi propagata a tutto il corpo, che è ovunque irto di schegge e di spine, come se uscissero dal di dentro.

"Nessuno è morto come lui", diceva S.Brigida di Svezia, grande mistica. In realtà come dice l'apostolo Pietro: "Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce" (1Pt 2,24). Egli ha sofferto non solo la passione fisica, già così spaventosa, ma anche la passione interiore dello spirito, assai più terribile. Ha sperimentato una misteriosa lontananza da Dio che gli ha fatto gridare: "Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?" (Mc 15,34). Ha preso realisticamente su di sé il peso dei peccati di tutti gli uomini con infinita desolazione, per cui, come dice S.Giovanni della Croce "rimase annihilito e ridotto quasi a nulla". Per amore si è fatto uno con tutti i peccatori, si è immedesimato realmente con loro: "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece diventare peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio" (2Cor 5,21).
Così non siamo più soli, neppure nell'abisso più profondo del peccato e della perdizione. Nessun rifiuto e nessuna disperazione sono troppo forti per il suo amore. Il cartiglio bianco alla sommità della croce risalta sulla tenebra fitta e proclama vittoriosamente che Gesù di Nazaret è il re dei Giudei, il salvatore di tutti gli uomini. Lo stesso bianco rischiara la veste di Maria, l'Agnello che versa il sangue nel calice e il libro delle profezie in mano a Giovanni Battista. Esso attesta la vittoria sulle tenebre del male e invita alla speranza.

Conosciuta e spesso citata è una pagina dell'indimenticato vescovo di Molfetta, don Tonino Bello. "Nel Duomo vecchio di Molfetta, c'è un grande crocifisso di terracotta. L'ha donato, qualche anno fa', uno scultore del luogo. Il parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l'ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: collocazione provvisoria. La scritta, che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell'opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata... Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la croce. La mia, la tua croce, non solo quella di Cristo... Coraggio, fratello che soffri. La tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre collocazione provvisoria. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane... Coraggio, fratello che soffri. C'è anche per te una deposizione dalla croce. C'è anche per te una pietà sovrumana. Ecco già una mano forata che schioda dal legno la tua. Ecco un volto amico, intriso di sangue e coronato di spine, che sfiora con un bacio la tua fronte febbricitante. Ecco un grembo dolcissimo di donna che ti avvolge di tenerezza. Tra quelle braccia materne si svelerà, finalmente, tutto il mistero di un dolore che ora ti sembra assurdo... Tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga".

Gesù non ha cercato la passione e la morte per se stesse, ma le ha accettate, come conseguenza del suo ministero e come premessa alla sua risurrezione. Gesù ha amato la vita, non la morte. Ha amato la vita propria e quella degli altri; quella di tutti, anche dei suoi nemici; ha cercato di far del bene a tutti, anche ai nemici. E Dio comunicò a Gesù una meravigliosa potenza, dello Spirito, benevola e misericordiosa, amica della vita e della gioia. E Gesù passò beneficando e risanando. Liberò i malati, gli indemoniati, i morti, i peccatori, i poveri, gli emarginati. Gesù aveva iniziato il suo ministero cambiando l'acqua in vino nuovo e buono in una festa di nozze a Cana di Galilea. Gesù amava la vita e la gioia e la offriva agli uomini. Non cercava la passione e la morte, non cercava la croce. Ma è stato pronto ad accettarla, liberamente, senza difendersi, per mostrare a tutti noi fino a che punto Dio ci ama. Egli ha avuto paura della morte, ha provato amarezza per l'incomprensione e il rifiuto, vergogna per l'umiliazione, senso di angoscia e di solitudine. Ma più grande è stato il suo amore per gli uomini; più grande è stata la sua fiducia e la sua obbedienza verso il Padre.



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