Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.
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EVOLUZIONE E STRUTTURA NEL GENESI BIBLICO

Ultimo Aggiornamento: 02/02/2021 17:56
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26/10/2010 13:46
 
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3. Il Genesi mitico (Gen. 2) e lo strutturalismo dinamico

Anche il Genesi 2 ha trasferito i suoi principi alla scienza, nelle concezioni, medievali o moderne, che  privilegiano l’aspetto permanente, la stabilità strutturale, gli archetipi eterni, rispetto alla storia. In esse la normativa (la geometria) della vita esiste prima della vita, fuori del tempo, nella sua totalità inespressa e l’emergenza delle forme corrisponde all’attuarsi di alcune di queste potenzialità nelle specie particolari. Queste visioni si conciliano con la priorità dell’uomo rispetto a tutti gli altri esseri, poiché l’uomo è colui che contiene, inespresso, il massimo delle potenzialità, è l’indifferenziato, l’animale nudo, il bambino non cresciuto, l’eterno embrione.

Nel Genesi 2, i diversi animali sono evocati con un nome, che Adamo pronuncia al loro passaggio. Egli conosce tutte le parole, mentre le bestie selvatiche, il bestiame, gli uccelli ne posseggono una sola, quella che l’uomo darà loro. Essi sono “creature parziali”. La donna nasce dalla costola dell’uomo, anch’ella come creatura totale, con un procedimento vegetale, che oggi chiamiamo “clonazione”. Il procedimento è analogo a quello messo in opera da Cronos, quando con un falcetto taglia i genitali del padre Urano e ne trae la prima donna, Afrodite Anadiomene, uscita dalle acque. Come Afrodite, Eva diviene “la madre di tutti i viventi” (Gen. 3-20), l’iniziatrice di un mondo matriarcale, nel quale l’uomo va a vivere presso la donna (“perciò l’uomo abbandona il padre e la madre…”) (Gen. 2-24). Il libro 2 del Genesi termina col versetto:

25. Ora ambedue erano nudi, l’uomo e la sua donna, e non se ne vergognarono.

La nudità esprime non la indecenza della prima coppia, ma il loro essere inermi, privi di protezioni e di armi (e di nome), come invece tutte le bestie e i volatili. Via via che li acquistano, gli animali perdono la loro onnipotenzialità e si chiudono nella loro specializzazione. 

Il riconoscimento nelle specie viventi di strutture permanenti, che si manifestano - qua o là, prima o poi -  in forme specifiche e particolari, che costituiscono un sistema prefissato di possibilità, è il tema centrale di un importante filone biologico, che fu chiamato (spregiativamente) “vitalismo”, “fissismo”, “preformismo” e, recentemente, “strutturalismo dinamico” o “paradigma generativo”. Il suo principio è dichiarato chiaramente da René Thom:

“Io credo che in biologia esistano struttura formali, in concreto entità geometriche, che prescrivono le sole forme che un sistema dinamico può presentare in un dato ambiente… Ogni forma propria aspira all’esistenza e attrae il fronte d’onda degli esseri esistenti.” 

4. Nostalgia dell’eternità

Accanto al darwinismo, e oscurata da questo, è sempre rimasta in vita una biologia strutturalista, estranea al pensiero storico e attenta alle permanenze dei sistemi viventi. Per essa la forma animale deriva da alcuni principi generativi, da alcune potenzialità incorporee, la “virtute informativa” o “intelletto possibile” della scolastica, quali Dante esprime nel verso famoso:

“guarda il calor del sol che si fa vino (Purg, xxv, 77).

In linguaggio moderno, la forma è espressione di alcune norme morfogenetiche, di alcune equazioni di base che trovano, nelle diverse specie, la loro particolare soluzione.

“Ogni organismo - ha scritto Brian Goodwin - porta in sé il potenziale per creare una grande varietà di forme, poiché ogni campo morfogenetico è descritto da equazioni con molte soluzioni, che definiscono l’insieme delle possibilità morfologiche… Il processo biologico di creazione o generazione consiste nella selezione o evocazione di particolari quadri, da parte dei geni o dell’ambiente, da un insieme potenziale specificato dalle leggi di organizzazione dello stato vivente.” (in G.C. Webster e B.C. Goodwin, Il Problema della Forma in Biologia, Armando, Roma, 1988).

Le “strutture formali” postulate da Thom sono un complesso di norme, esistite da sempre al di fuori degli oggetti,  che prescrivono le possibilità del mondo. In termini mitici, esse corrispondono alla “Grande Madre”, che offre ai viventi suoi figli la propria forma generale, ed essi la esprimono nelle loro soluzioni particolari. 

Un eguale concetto è stato espresso poeticamente da Hector Bianciotti:

Ogni uomo reca in sé uomini parziali che si ignorano: nasciamo numerosi, moriamo uno solo – o nessuno – e raccontare è ricordare.” (L’Amore non è Amato, Sellerio, Palermo 1984, p.101).  

La conclusione del Genesi 2, che chiude con la formazione singolare della donna, prospetta un mondo fondato su un “principio generativo”, piuttosto che su un “principio competitivo” come il mondo del Genesi 1, concluso dall’animale uomo (“maschio e femmina li creò, 1, 26), destinato alla moltiplicazione e al dominio sugli altri esseri. La pre-esistenza di strutture formali o regole di sviluppo antecedenti alla creazione delle specie particolari è espressa più esplicitamente e fuor di metafora nella figura della Sapienza (Proverbi, 8): 

“22. Jahwe mi creò fin dall’inizio del suo potere, prima delle sue opere,
23. dall’eternità fui stabilita, dalle origini, dai primordi della terra.
24. Quando ancora non c’erano abissi io fui concepita… Stavo accanto a lui come architetto.”

Ne tesse le lodi e ne descrive le qualità Salomone (Sapienza, 7):  

22. In essa, infatti, vi è uno spirito intelligente, santo,
unico e molteplice, sottile,
celere, perspicace, senza macchia,
lucido, propizio, amante del bene, penetrante…
23. incoercibile, benefico, amante degli uomini
immutabile, fermo,
senza ansie,
tutto può, tutto vigila
e penetra ogni spirito
intelligente, puro e più sottile.
 

Lima-de-Faria considera la origine delle specie come una fenomenologia tarda e secondaria e ferma l’attenzione su quello che lui nomina “l’altro lato dell’evoluzione”. Questo riguarda le forme prime, i piani fondamentali, che esistono nel mondo matematico e minerale prima che nella vita, che sempre esisteranno, e che i viventi hanno utilizzato e utilizzeranno nei millenni per svolgere i loro compiti particolari.

Dice Kohelet:  Ciò che fu è quello che sarà, ciò che avvenne è quello che avverrà: perciò nulla è nuovo sotto il sole (Ecclesiaste, 1-9).

 Nelle due Genesi, come nella scienza, si mantiene la contraddizione-contrapposizione tra un bisogno di storia (evoluzione) e un’esigenza di stabilità (struttura), tra l’aspirazione al progresso e all’adattamento, e quella che Hector Bianciotti chiamò “nostalgia dell’eternità”.

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Evoluzione e struttura nel Genesi biblico

Una riflessione sullo scritto del prof. Giuseppe Sermonti

Di Giovanni Leonardi 

Ho cominciato a conoscere e apprezzare il prof. Sermonti fin dalla pubblicazione del libro Dopo Darwin scritto insieme al prof. Fondi. So degli altri suoi libri anche se personalmente ho letto solo Dimenticare Darwin, ombre sull’evoluzione di cui ho molto apprezzato anche, mi si perdonerà se dico questo di un libro che affronta un tema scientifico,  la poesia con cui è capace di parlare della natura. Personalmente l’ho ascoltato in un ormai lontano dibattito con un giovane ricercatore di opposte convinzioni nella sala conferenze della Biblioteca di Prato. Mi ha colpito allora la pacatezza con cui discuteva delle sue convinzioni, pacatezza che appariva ancora più evidente di fronte alla vis polemica del giovane interlocutore di allora. Una recente apparizione in un dibattito pubblico mi fa capire che, nonostante i conflitti,  quella virtù non è svanita e gliene sono riconoscente perché - soprattutto nel campo di cui ci occupiamo - sono i fatti che difendono la verità, non le emozioni e soprattutto non l’aggressività. 

Mi fa piacere che ora il prof. Sermonti si apra ad una riflessione sulla Bibbia in rapporto all’origine della vita, anche se entra qui in un campo che non è meno minato di quello dell’evoluzionismo e del quale non so se conosce tutte le problematiche. Mi permetto quindi di fare notare alcuni dati della discussione e dare brevemente ragione delle convinzioni dell’Aiso. Immagino questo scritto come un dialogo con il professore. Spero abbia un po’ di tempo e un po’ di pazienza per me. 

Somiglianze che non vanno ignorate

Credo sia di un certo interesse notare come la storia dell’evoluzionismo sia perfettamente equiparabile, sul piano della filosofia di base e dei metodi, a quella della critica moderna ai primi capitoli della Bibbia, quelli che più di ogni altro affrontano il tema delle origini e del senso della nostra esistenza. 

Anche se ipotesi evoluzioniste erano state avanzate precedentemente, fu certamente Charles Darwin a dare credibilità e successo alla teoria, dotandola di una organicità nuova e sostenendola con argomentazioni che, al suo tempo, apparivano convincenti. A nostro parere, c’era comunque anche un presupposto psicologico e filosofico di fondo che rendeva la teoria ricevibile: la convinzione di origine illuministica secondo cui tutto dovesse essere compreso alla luce della ragione umana e non della fede vista ormai come fatto superstizioso.[1]

I progressi della scienza e della tecnologia avevano creato un ampio substrato psicologico e spirituale in cui l’idea di progresso diventava una realtà forte e inarrestabile. In tale prospettiva, una teoria che si presentasse come scientifica e che rendesse conto dell’esistenza della natura facendo partire il tutto dall’estremamente semplice originario per condurlo alla complessità del presente sulla base di un teorema altrettanto semplice come quello della selezione naturale, rinunciando all’idea di Dio come originatore del tutto, non poteva che avere successo. L’uomo era alla fine libero dai legami con il suo Creatore e, come aveva già annunziato l’antico serpente (Gen. 3:4,5), era diventato il dio di se stesso. L’Origine delle specie, pubblicato nel 1859, con i suoi precorsi degli anni quaranta, è allo stesso tempo segno delle prospettive, che abbiamo accennato, e impulso al loro sviluppo. 

Sul piano biblico avvenne esattamente lo stesso, a cominciare soprattutto dal libro del Genesi. L’idea antica secondo cui tutto il libro era il risultato di un’unica mente (quelle di Mosè) guidata dallo Spirito Divino, lasciò il passo a quella di una totale umanità del testo che fu visto a sua volta come il risultato di un lungo processo evolutivo durante il quale elementi più o meno brevi (e quindi semplici) si trovarono a essere assemblati e armonizzati formando strutture sempre più complesse e ricche fino al risultato finale che possediamo ancora oggi. Non Dio avrebbe suscitato il testo, né Egli nè avrebbe guidato l’evoluzione. Il ruolo che la selezione naturale darwinista svolse nell’ambito dell’evoluzione biologica, fu assunto, nell’ambito della critica biblica, dal genio anonimo popolare (storia delle forme di Gunkel), o dall’interesse religioso e politico delle classi dominanti (ipotesi documentaria di Graf-Wellhausen). 

La visione evoluzionistica del testo biblico aveva avuto degli antecedenti, ma fu Julius Wellhausen che, come aveva fatto Darwin in ambito biologico, diede alla tesi organicità, logicità e successo. La sua tesi, pubblicata nel 1876 col titolo Die Komposition des Hexateuchs, vedeva il Pentateuco come il risultato di un lungo processo storico-letterario le cui origini non erano chiaramente definibili ma che si era cristallizzato in alcune tappe principali. Verso l’850 a.C, nel regno di Giuda, sarebbe stato redatto un primo documento detto Javista per tenere conto delle esigenze della monarchia davidica. Verso il 750, il regno avversario di Israele avrebbe risposto con la redazione di un secondo documento, detto Eloista, che teneva maggiormente conto della loro visione delle cose. Verso il 650, in un momento storico in cui la divisione nazionale veniva a mancare per la scomparsa del regno di Israele, qualcuno avrebbe unificato le due tradizioni in un documento J-E. Nel 621 sarebbe stata creata la pia frode del Deuteronomista per incoraggiare la riforma religiosa di Giosia con la centralizzazione del culto a Gerusalemme, e infine, durante l’esilio babilonese, sarebbe nato il cosiddetto sacerdotale (Priestercodex). Esdra, il grande scriba, eroe della restaurazione spirituale della nazione ebraica, avrebbe infine unificato tutti questi documenti creando il Pentateuco che, dopo minori rimaneggiamenti, avrebbe assunto la sua forma definitiva attuale verso il II sec. A.C.     

Come scrisse Hahn, Wellhausen “occupò nel campo della critica dell’Antico Testamento una posizione analoga a quella tenuta da Darwin nell’area della biologia.”[2] Come Darwin ebbe il merito di non descrivere solo dei fatti (o quelli che lui credeva tali), ma li inserì invece in una visione organica della storia del mondo e della vita, cosa che fu certamente all’origine del suo successo, così fece Wellhausen in rapporto alla sua teoria documentaria. 

Con Wellhausen, la critica dell’Antico Testamento uscì dalla fredda descrizione dei dati letterari e diventò testimonianza dell’anima viva della storia e della spiritualità del popolo ebraico. E tutto questo senza fare ricorso a Dio, partendo da presupposti di tipo evoluzionistico in cui, come in tutti gli altri popoli, anche la religiosità d’Israele si sarebbe evoluta dall’originario animismo,  ancora presente nelle popolazioni “primitive”  del nostro mondo, al monoteismo delle culture più avanzate, passando attraverso le fasi intermedie del politeismo (credenza in diversi dèi) e del monolatrismo (adorazione speciale di uno dei tanti dèi esistenti). C’era poco da fare notare che all’epoca in cui Israele entrò nella storia, l’animismo era ormai assente dal medio oriente, o che le prove di un monolatrismo erano delle forzature che non tenevano conto della natura del linguaggio. La teoria era affascinante e soddisfaceva lo spirito del tempo. Ora, anche sul piano più prettamente religioso, l’uomo poteva dirsi affrancato dal Creatore. Anche la religione si sottometteva allo spirito scientifico e si creava da sé. Come avvenne per l’evoluzione biologica darwiniana, la cui filosofia di base sopravvive nonostante le continue critiche e smentite cui sono state sottoposte le sue fondamenta, così accade che anche la teoria evoluzionistica di Wellhausen, seppure criticata e rivista per molti aspetti, rimane sempre esaltata e condivisa nella sua filosofia di fondo. 

Per Wellhausen e gli altri vicini a lui, i testi dell’antico Genesi non potevano parlare di un mondo reale che nessuno, d’altra parte, poteva allora conoscere; ma erano testimonianze fantasiose anche se suggestive di una realtà mitica. Oggi l’archeologia biblica ha ampiamente dimostrato il quadro storico in cui si muovevano i personaggi biblici da Abramo in poi. Ma molti rimangono ancora legati agli antichi presupposti e alle antiche conclusioni di base. Al di là dei dati e dei problemi oggettivi da cui esse possono nascere, sono i tempi a richiedere la loro permanenza, è lo spirito dell’uomo moderno che ne ha bisogno per nutrire il proprio bisogno di indipendenza ... fino a quando forse riscopriremo altri bisogni e sapremo allora guardare ai fatti con occhi diversi. 

Va da sé un’altra somiglianza tra i due fenomeni: la stessa discriminazione che gli scienziati di convinzione  creazionista subiscono nel mondo culturale accademico moderno così pregno di convinzioni evoluzioniste, è subita anche dai teologi “conservatori” in rapporto al liberalismo imperante negli istituti culturali che si occupano del fenomeno religioso.

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