È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

La bellezza della Creatura immagine del Creatore

Ultimo Aggiornamento: 26/10/2010 13:35
Autore
Stampa | Notifica email    
25/10/2010 23:06
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

DISCEPOLI DEL ‘PASTORE BELLO’
Fr. Alberto Degan - Lettera agli amici

La bellezza di Gesú


Nel capitolo 10 di Giovanni, Gesú, per ben due volte, dá questa definizione di se stesso: “Io sono il pastore bello” (Gv 10,11 e 10,14). Ma in cosa consiste la bellezza di Gesú?
Leggendo tutto il passo (Gv 10,1-18), mi sembra di poter individuare almeno quattro elementi che rendono Gesú bello.
Il primo elemento, sottolineato varie volte, é quello della familiaritá e intimitá. “Le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo, invece, non lo seguiranno” (10,5). Gesú é bello, innanzi tutto, perché la sua voce ci é familiare. Tutti noi abbiamo fatto l’esperienza di come sentiamo bella la voce del papá o della mamma, o di un fratello, o di un amico, soprattutto quando siamo stati lontani da loro per un po’, e il senso di sicurezza, di tenerezza e la commozione che suscita in noi sentire la loro voce.
“Io sono il pastore bello: conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre” (14-15). Fra Gesú e suo Padre c’é amore di familia; questo stesso amore di famiglia unisce Gesú alle sue pecore: le pecore sono ‘sue’, Gesú le ama incondizionatamente.
Proprio perché sono sue, Gesú “chiama le pecore per nome” (10,3). Il nome indica la totalitá dell’essere, l’intimitá di una persona. Ció che rende bello Gesú, dunque, é – prima di tutto – questo affetto, questa pazienza di volerci chiamare tutti per nome, di voler conoscere intimamente ognuno di noi, di prestare attenzione e dare importanza a ció che sentiamo, a ció che speriamo, etc.
Sappiamo che nei campi di concentramento nazisti, le persone perdevano il loro nome: ad ognuno veniva affidato un numero – impresso nella carne - e venivano sempre identificati e chiamati con quel numero. Era una tecnica usata deliberatamente dai nazisti per distruggere interiormente i prigionieri, per far loro sentire che non avevano nessun valore intrinseco, che non contavano niente, che erano solo dei numeri che dovevano compiere una certa funzione, per poi morire e lasciar posto ad altri numeri.
E cosí, vivendo in un sistema economico che non é minimamente interessato alla vita della gente, soprattutto a quella dei piú poveri, ma vuole solo spremerli piú che puó per poi abbandonarli al loro destino, ‘chiamare per nome’ significa ridare valore e dignitá a tutti quegli esseri umani esclusi ed emarginati dal sistema, tornare a trattarli come persone, e non come numeri.
E vivendo in un mondo in cui le relazioni umane sono sempre piú superficiali, frammentate e discontinue, ‘chiamare per nome’ significa testimoniare la bellezza di saper coltivare relazioni intime, durevoli e profonde, assumendo con gratitudine la gioia e la fatica che tutto questo implica.
Il secondo elemento della bellezza di Gesú, intimamente collegato al primo, é la totalitá e la gratuitá del suo amore: “Il pastore bello offre la vita per le pecore” (10,11). Gesú non offre una parte di sé, non offre solo un’ora del suo tempo o solo un pezzo della sua giornata: offre tutta la sua vita. Il vero amore é sempre amore totale. In un mondo in cui nessuno fa niente per niente, e in cui si pensa che é bene amare e rimanere con una persona solo finché la cosa ci conviene e ci diverte, la nostra gente ha bisogno di vedere che i discepoli di Cristo amano e rimangono sul posto anche quando la cosa non conviene e si fa difficile. In un mondo in cui si pensa che é bene lottare per una causa solo fino a quando va di moda e non ti crea tanti problemi, i discepoli del Pastore bello continuano a lottare per la causa del Regno anche quando tutti gli altri l’hanno abbandonata.
Di conseguenza, l’amore di Gesú é bello, in terzo luogo, perché non si tira indietro, ma entra nel conflitto storico, é un amore che non s’arrende e sa lottare: non è sentimentalismo, non si limita a enunciare principi e poi cerca la vita comoda, ma é un amore coerente, disposto a difendere i suoi fratelli contro tutti quei “ladri” che “vengono solo per rubare, uccidere e distruggere” (10,10), e contro tutti quei “lupi” che producono dispersione e morte (10,12).
Infine, la bellezza di Gesù non è una bellezza statica che si rigira su se stessa, non è un amore appagato e appiattito sul presente, ma è un amore inquieto, sempre in ricerca, desideroso di aprirsi a spazi nuovi e di entrare in nuovi ovili: “Ho altre pecore che non sono di questo ovile; anche queste io devo condure” (10,16). Il Pastore è bello perché il suo amore è universale: accoglie tutti, vuole bene a tutti: sani e ammalati, greci e giudei, bianchi e neri, europei e asiatici, cristiani e musulmani, sposati e divorziati. Non discrimina nessuno.
Noi siamo davvero discepoli del ‘Pastore bello’ solo quando viviamo e testimoniamo questa bellezza, in tutti i suoi aspetti. É una bellezza di cui il nostro mondo é assetato, é la bellezza di cui il nostro popolo ha bisogno per riprendere animo e per tornare a sperare.
Sennonchè, per il mondo la sapienza e la bellezza di Dio è pura pazzia, e così la cultura dominante ci presenta un altro modello, il mercenario, che per Giovanni è la vera antitesi del pastore bello: “il mercenario,... cui le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge... Egli é un mercenario e non gli importa niente delle pecore” (10,12-13). Il mercenario é un estraneo, non ha alcun legame vitale o affettivo con le pecore: le pecore non sono la sua casa, non le sente sue; per questo puó abbandonarle con tanta facilitá e senza tanti patemi d’animo.
Oggigiorno il ‘mercenario’ é l’ideale di vita di tanta gente. L’ideologia dominante vuole farci credere che per essere felici dobbiamo vivere liberi da legami e impegni duraturi, unicamente concentrati sul nostro benessere individuale. In questa prospettiva un rapporto affettivo vero e una passione morale sincera sono visti come lacci che schiavizzano, come un peso, un ostacolo, perché ci obbligano a preoccuparci per gli altri e cosí ci sviano dalla via maestra della felicitá, che sarebbe unicamente il nostro tornaconto e piacere individuale.
In una societá in cui predominano i mercenari, il mondo ha una grande nostalgia dello splendore del Pastore bello, e risulta piú attuale che mai questa invocazione del salmista: “Sia su di noi la bellezza del nostro Dio” (Sal 90,17). E quest’altra del Siracide: “Riempi Sion del tuo splendore” (Sir 36,13).

Chiamati a risplendere
“Le sue vesti divennero splendenti, bianchissime... E Pietro disse a Gesú: ‘Maestro, é bello per noi stare qui’ ” (Mc 9,3-5). Gesú evangelizza i suoi discepoli, prima di tutto, attraverso la sua bellezza e il suo splendore: la bellezza del Gesú trasfigurato brilla, affascina, ti fa venire voglia di Dio, voglia di stare con Lui, voglia di entrare nel suo cuore, voglia di vivere davvero come suo figlio e fratello.
La prima missione di Gesú, dunque, é risplendere, affascinare, contagiare. Anche le comunitá cristiane, discepole del Pastore bello, sono chiamate a risplendere come astri” (Flp 2,15). Come dicono i vescovi latinoamericani nel recente Documento di Aparecida, “la Chiesa come comunitá di amore é chiamata a riflettere la gloria dell’amore di Dio, che é comunione, per poter cosí attrarre le persone e i popoli verso Cristo... La Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione...” (A 159). ‘Gloria’ é un altro nome per indicare la bellezza del Signore. Le comunitá cristiane, dunque, sono chiamate a riflettere e irradiare la gloria e la bellezza di Dio: “É necessario che ogni comunitá cristiana si trasformi in un potente centro di irradiazione della vita in Cristo” (A 362).
A questo punto é bene interrogarci e domandarci: le nostre comunitá sono belle? Risplendono, attraggono? Vivono una “vita bella” (1Pt 2,12), e irradiano quella “fraternitá” (1Pt 3,8), quella “caritá” (1Pt 4,8) e quell’ “ospitalitá” (1Pt 4,9) che secondo la prima lettera di Pietro dovrebbero essere le caratteristiche dei discepoli di Gesú?
In altre parole, la “vita bella” della comunitá cristiana é il principale modo in cui il Pastore bello si rivela agli uomini: attraverso la vita dei suoi discepoli Dio rivela nuove possibilitá, bellezze impensabili che possono aprire nuovi cammini all’umanitá.
”Gesú Cristo... ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquitá e per purificare un popolo che fosse suo, dedito alle opere belle (Tito 2,14). In questi versetti san Paolo afferma che Dio ha dato la sua vita per abilitarci a fare ‘opere belle’. La ‘bellezza’, dunque, é la finalitá ultima della missione di Gesú: Cristo muore e risorge per liberarci dal male, e per insegnarci a fare ‘opere belle’, opere che irradiano la gloria del ‘Pastore bello’.
Come missionari comboniani ci siamo domandati se la nostra é davvero una vita bella che puó attrarre gli altri a Cristo. E ci siamo detti che, per recuperare questa bellezza, dobbiamo re-imparare a essere discepoli, senza pretendere di fare sempre i maestri; dobbiamo farci venire voglia di Dio, voglia di stare con Lui, di imparare da Lui.

Amministra Discussione: | Riapri | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi
Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
*****************************************
Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra | Regolamento | Privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 10:02. Versione: Stampabile | Mobile - © 2000-2024 www.freeforumzone.com