Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.
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EVOLUZIONE E ORIGINE DELL'UOMO

Ultimo Aggiornamento: 05/06/2016 17:52
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02/09/2010 22:34
 
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EMBRIOLOGIA


Legge biogenetica fondamentale


Haeckel presentò questa legge come prova fondamentale dell'evoluzione e per renderla più persuasiva si permise perfino di falsificare schemi e fotografie. Già lo vedemmo. Secondo tale legge ['evoluzione embrionale dal semplice al complesso di un soggetto ("ontogenesi") ricapitolerebbe l'evoluzione progressiva delle specie ("filogenesi"). In particolare, gli stadi successivi dell'embrione umano si rassomigliano ai gradi successivi delle specie inferiori animali. Per esempio, in esso compaiono prestissimo delle forme di branchie proprie dei pesci, il che avviene ugualmente negli embrioni di tutti i vertebrati. Ciò "dimostra" - seguitano a ripetere anche oggi gli evoluzionisti - una comune origine acquatica dell'uomo e di tutti i vertebrati.

Ma non si tratta che di un equivoco. Va ben sottolineato, innanzi tutto, che quelle prime fasi embrionali umane non rassomigliano affatto ad animali maturi di specie inferiore, ma solo ai loro embrioni; e la rassomiglianza diviene sempre minore via via che l'embrione si sviluppa e si attualizzano le strutture specifiche dell'individuo. Ora è chiaro che tali specifiche strutture non possono attuarsi di colpo e le elaborazioni iniziali quasi amorfe non possono non rassomigliarsi. Esse partono anzi dalla totale identità esteriore di ogni cellula uovo fecondata. Ma in questa sono precontenute virtualmente le strutture delle rispettive specie che si attualizzeranno progressivamente fino ai rispettivi individui maturi: e ciò - come oggi si è scoperto - secondo la perfetta programmazione determinata dalle specifiche strutture microscopiche dei cromosomi del nucleo cellulare.

Rientra, d'altra parte, in un mirabile criterio di razionalità costruttiva l'unità, ossia il modello comune dei primi stadi embrionali, plurivalenti per le future specificazioni strutturali (per esempio, come già ricordai, per 24.000 specie di uccelli e pesci teleostei si hanno due soli tipi fondamentali di organizzazione embrionale). Ne risulta sottolineato anziché un processo evolutivo dovuto al caso, il lungimirante piano costruttivo del sommo Artefice.

Il fatto particolarmente vistoso di quelle formazioni di aspetto branchiale (archi, tasche e solchi divisori branchiali) che compaiono nelle pareti laterali della estremità superiore (cefalica) dell'embrione umano, nelle prime fasi in cui ha pochi millimetri di lunghezza, ne è una conferma emblematica. A differenza dei pesci, quei solchi non si perforeranno mai per la formazione di vere branchie respiratorie. Tali formazioni embrionali umane invece, così opportunamente distinte, si svilupperanno (a parte qualche residuo secondario che, utile per le momentanee giustaposizioni, poi regredirà) in precisi e preordinati organi del feto e dell'individuo maturo: il primo arco darà origine alla mandibola e al corpo della lingua, il primo solco esterno al condotto uditivo esterno, la prima tasca al timpano e alla tromba di Eustachio, ecc.

Nessun richiamo dunque ad antenati acquatici, ma alla grandiosa unità plurivalente dei piano costruttivo ddl'unico sommo Artefice.

 

GENETICA


Identità strutturale e funzionale dei viventi


La microscopica cellula, intravista già nel sughero, nel XVII s. (R. Hooke, M. Malpighi) e poi scoperta quale componente elementare di ogni struttura vivente animale e vegetale (J. Scheiden, Th. Schwann, 1838, 1839), già svelò una fondamentale unità dei viventi.

Questa unità è stata poi immensamente esaltata dalle ultime sensazionali scoperte circa l'intima struttura e funzione delle cellule stesse e del loro nucleo. Ogni individuo maturo risulta dalla moltiplicazione a miliardi e miliardi di una prima cellula (negli esseri sessuati è la "cellula germinale", fecondata). Nell'uomo, tra cellule mobili (la maggioranza, globuli rossi del sangue) e fisse sono circa 30.000 miliardi. Tale moltiplicazione deve avvenire in modo controllato e differenziato per poter produrre le diverse sostanze e i diversi organi degli individui delle singole specie. Per tale controllo e guida servono diverse frazioni (ciascuna chiamata gene) di lunghe, doppie catene molecolari attorcigliate (acido desossiribonudeico: DNA) costituenti i cromosomi (lunghezza di questi: qualche millesimo di millimetro, larghezza: qualche decimo della lunghezza), situati nel nucleo della cellula. Ogni specie ha in ogni cellula un proprio numero fisso di cromosomi (46 per l'uomo) e di geni diversamente disposti nei cromosomi stessi (60.000 per l'uomo), che costituiscono la base fisico chimica della trasmissione ereditaria dei caratteri specifici ddl'individuo.

Gli evoluzionisti che già come vedemmo si appellano alle rassomiglianze strutturali delle specie viventi e, tanto più, alle rassomiglianze embrionali, si appellano ora, in modo da molti considerato definitivo, a questa unificazione strutturale genetica, che svelerebbe la unica comune origine.

Ma confondono, al solito, la comune origine creativa dall'Artefice sommo, con la cieca generazione evolutiva da un primo grumo vivente.

In realtà questa unità strutturale genetica di base, ben più vasta di quella suddetta embrionale (perché il modello dei cromosomi si estende a tutti i viventi e scende fino alla radice della vita) non fa che esaltare il meraviglioso piano unitario costruttivo di tutto il mondo vivente: tanto più meraviglioso in quanto non solo mantiene, ma fissa maggiormente le diversità specifiche e la loro trasmissione ereditaria. Ciò precisamente in quanto tali diversità risultano Pteordinate in una tanto intima struttura: tanto intima, da essere radicalmente difesa contro i deformanti influssi esterni.

Risulta quindi tanto meno ipotizzabile lo spontaneo passaggio da una specie all'altra.

D'altra parte - a riflettere in grande sintesi ­ come avrebbe potuto un ipotetico unico processo cieco evolutivo produrre contemporaneamente e contraddittoriamente sia questa radicazione intima, fissativa delle specie, sia il passaggio dall'una all'altra? (Più concretamente vedremo inseguito quanto sia insignificante il rifugio nelle "mutazioni" e nella "selezione".)


Variazioni sperimentali


Naturalmente questa fissità della specie non va intesa in modo rigido, perché una caratteristica della vita è la sua elasticità di adattamento. Ma le variazioni secondarie non mutano la specie. Non muta per esempio la specie umana per il fatto che la statura media è aumentata in un secolo di 10 cm. e seguita a crescere.

Si è anche riusciti sperimentalmente ad operare intrinsecamente in qualche vivente modificandone l'assetto genico-cromosomico così da produrre nuovi caratteri ereditari: Ma sono state modificazioni di portata secondaria: e comunque gli artificiosi e geniali sforzi fatti per ottenerle ("ingegneria genetica") confermano la naturale resistenza ai cambiamenti stessi.

Bene a ragione il già citato Jean Rostand ha potuto affermare che, con le nuove scoperte "la natura vivente apparisce ancora più stabile, più fissa, più ribelle alle trasformazioni".



I PRESUNTI FATTORI EVOLUTIVI


"Adattamento", "bisogno", "esercizio".


Finora abbiamo considerato le presunte prove del fatto dell'evoluzione: prove risultate non valide. Passiamo ora a considerare il meccanismo che l'avrebbe prodotto, cioè i fattori che vengono presentati come idonei a produrre l'evoluzione stessa.

E' chiaro che se questi fattori risulteranno illusori ne risulterà confermata la non esistenza del fatto.

Tutto ciò antecedentemente alle prove positive contro l'evoluzione, che vedremo nei successivi capitoli.


***


La vecchia e fondamentale tesi lamarckiana delle modificazioni per l'adattamento all'ambiente, per il bisogno che crea e l'esercizio che sviluppa l'organo adatto, è scientificamente abbandonata. Il recente tentativo del biologo russo Lysenko di riesumarla in qualche modo è fallito miseramente, come vedemmo. A semplice lume di logica del resto e in sintesi (a prescindere dalle possibili, limitate variazioni che rientrano nell'elasticità della vita e possono magari dipendere da semplice variata attività degli ormoni) si intuisce che un ambiente favorevole può non cambiare, ma consolidare una specie come è e uno troppo sfavorevole estinguerla. E, quanto agli organi, se manca o è inadeguato qualcuno necessario la specie morirà, mentre l'esercizio di quelli esistenti E consoliderà lasciandoli sostanzialmente quali sono. Sta inoltre il fatto che queste ipotetiche modificazioni avverrebbero lentamente e gradatamente. Prima quindi che un nuovo assetto e un nuovo organo avessero la maturità sufficiente per divenire funzionanti la specie che ne avesse avuto bisogno si sarebbe estinta.

Non è mancato, a pretesa prova dell'azione trasformatrice dell'ambiente, il richiamo di certi studiosi al fenomeno del mimetismo di molte specie animali. Esso dimostra invece, al contrario, non la dipendenza dall'ambiente, ma il dominio sull'ambiente di specie animali antecedentemente e in modo fisso arricchite, a propria utilità, di meravigliose strutture. Il cambiamento di colore, per esempio, è dovuto ad appositi cromatofori (cellule contenenti pigmenti, che esse possono emettere, contraendosi) regolati dalle impressioni visive, sollecitate periodicamente dall'ambiente, secondo le stagioni. O si pensi a certi insetti con artificiosissime forme, di foglie, ecc., preordinate, in modo fisso, per confonderli perfettamente, per propria difesa, con gli oggetti circostanti.

Ma l'argomento scientifico decisivo contro tali ipotetici fattori evolutivi è che i caratteri "acquisiti" mediante la lotta vitale contro l'ambiente e mediante l'esercizio degli organi non passano nel patrimonio "ereditario". Questo prosegue ad essere identicamente determinato dall'intima struttura dei cromosomi (come innumerevoli esperienze moderne hanno confermato). E ciò perfino nei più inaspettati aspetti secondari. Nelle aree di appoggio del piede umano, per esempio, si notano spessori maggiori della cute. Ciò non deriva dalla pratica del camminare, ma dall'esigenza del camminare, già prevista in quelle intime strutture germinali, tanto è vero che il fenomeno si riscontra fin dallo sviluppo embrionale e fetale (né si può pensare che tali strutture cromosomiche siano state modificate, a tal fine, dal camminare del genitore).

Eppure su seri libri di divulgazione si legge ancora la piacevolezza che la giraffa ha allungato il collo per il bisogno di brucare le foglie degli alberi cresciuti. In un libro, che andò a ruba, dello zoologo D. Morris (La scimmia nuda, trad. Bompiani, 1968), viene esposta con serietà l'ipotesi che l'uomo abbia perduto il pelo delle scimmie per il bisogno di eliminate i fastidi dei parassiti. Nel mensile Il Corriere UNESCO. (agosto-settembre 1972) si riattribuisce tranquillamente, contro i certi dati della scienza,ereditabilità ai comportamenti "acquisiti" e potere evolutivo al "bisogno". Vi si leggono queste ingenuità: "'La tendenza alla stazione eretta ha potuto essere favorita dall'abitudine di portare il cibo nelle braccia fino ad un luogo dove mangiare tranquillamente o forse dalla necessità di portare in braccio i bambini, o forse anche dal bisogno di alzarsi per guardare al di sopra delle erbe o dall'astuzia di non offrire con la schiena orizzontale una base d'appoggio all'assalto delle belve" (p. 10).


"Mutazione" e "Selezione"


Escluse le suddette prospettive lamarckiane, i due fondamentali fattori evolutivi presentati dall'evoluzionismo scientifico moderno sono le "mutazioni" casuali e la "selezione" che le coadiuva.

I costituenti essenziali dei corpi viventi (della loro massa plastica: non dei composti energetici, quali i carboidrati e gli acidi grassi) sono le proteine, che hanno una struttura molecolare estremamente complessa. Le loro molecole sono formate da lunghe sequenze dei 20 tipi esistenti di amminoacidi (composti di gruppi carbossilici: -COOH e amminici: -NH2). Si ritiene oggi (F.H.C. Crick, n. 1916) che ogni tipo di proteina sia codificato cioè regolato da un gene o più geni, ossia segmenti dell'acido nucleico (DNA), costitutivo dei cromosomi dei nuclei delle cellule. Ogni cambiamento (casuale o indotto da agenti modificatori, come radiazioni, ecc.) o di interi cromosomi o di qualche gene modifica le corrispondenti strutture proteiche. Quando questo avviene nelle cellule germinali, tale modificazione diviene ereditaria, costituendo appunto una "mutazione". In genere sono modificazioni dannose. Ma qualcuna può essere utile e capace quindi di far prevalere - in opportuno ambiente - gli individui che l'hanno subita sugli altri, così da estendersi, per progressiva selezione a tutta la popolazione. Anche se sono mutazioni piccole, l'accumularsi di quelle utili può condurre a un progressivo arricchimento e quindi a specie superiori. Questa è la spiegazione moderna dell'evoluzionismo spontaneo, secondo i più grandi luminari della scienza.

Ed è una grande ingenuità. Intanto, artificiosa e gratuita è la supposizione che le rare mutazioni utili possano prevalere su quelle generalmente dannose. Inoltre il tempo perché capitino casualmente tali presunte utili combinazioni e mutazioni necessarie per l'essenziale svolgimento evolutivo, risulterebbe, in base al calcolo delle probabilità - secondo ottimi studiosi - superiore all'età stessa dell'universo: sarebbe quindi mancato il tempo necessario.

Ma, anche a prescindere da queste forti obiezioni tale spiegazione evoluzionista è distrutta dai seguenti due semplicissimi rilievi (restando sul piano puramente materiale).

Primo. L'individuo di ogni specie non è una pura massa amorfa di materia vivente, né un confuso mucchio di materiali organici qualitativamente e quantitativamente diversi, ma un corpo morfologicamente bene ordinato e specificamente bene, intelligentemente, organizzato, con un complesso di organi di idonea materia forma e posizione. Una capra - è una battuta di G. Goglia - non ha la forma di un uomo. Ma le sperimentate colleganze di ogni gene con le proteine da esso codificate riguardano solo la qualità e quantità, prescindendo dal fattore morfologico. Verranno dunque prodotti i diversi materiali da costruzione, ma la costruzione, no: né la costruzione di una specie, né, evolutivamente, di una nuova. E ciò qualunque siano le supposte utili "mutazioni". Si è perciò ulteriormente ipotizzato (Britten, Kohne, Goglia) un controllo regolatore "sopragenico" che sarebbe compiuto da una speciale e cospicua parte del DNA. Ma siamo sempre lì. Strutture e attività ancora puramente atomico-molecolari e fisico­chimiche sono al di fuori del problema propriamente morfologico. Si può ancor più evidenziare tale inadeguatezza riflettendo al fattore estetico. Le forme viventi hanno una loro simmetria, armonia, bellezza, solo intellettualmente valutabili. Esse non hanno alcun senso per le pure attività fisico chimiche. Queste sole non avrebbero mai prodotto un bel volto umano o la splendida livrea di un Uccello del paradiso.

Secondo. Anche però se i geni dei cromosomi, contro quanto ora ho detto, esercitassero una guida morfologica, le presunte casuali "mutazioni" utili non potrebbero essere avvalorate dalla selezione e rimarrebbero insignificanti per l'evoluzione. Le mutate strutture infatti, per essere funzionali e va1lorizzabili selettivamente, dovrebbero riguardare solidariamente non una sola parte, ma tutta l'impostazione anatomica e fisiologica dell'individuo (tutta l'impostazione dello scheletro, per esempio, per il passaggio al volo degli uccelli). Si dovrebbero avere quindi "mutazioni" utili contemporanee, multiple e sapientemente guidate, proprio contro la tesi evoluzionista, secondo cui non possono essere che rare e casuali. E, comunque, sia il nuovo trasformato complesso, sia i singoli nuovi organi, prima della piena mutazione, non sarebbero funzionali (con una quasi branchia non si vive neanche un poco sott'acqua, con una quasi ala non si vola), non potrebbero essere sviluppati dall'uso ancora impossibile e non recherebbero alcun vantaggio agli individui che li posseggono (e anzi li danneggerebbero, per le ibride funzioni intermedie di certi organi), rendendo evolutivamente inoperante la selezione.

Questa dunque non potrebbe che consolidare le specie già funzionanti.

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