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EVOLUZIONE E ORIGINE DELL'UOMO

Ultimo Aggiornamento: 05/06/2016 17:52
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02/09/2010 22:28
 
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Nella grande Esposizione internazionale di Parigi, dopo la prima guerra europea, un vasto salone fu dedicato al radicale evoluzionismo. Una enorme scritta lo additava all'ammirazione del pubblico, ammonendo che riallacciare l'uomo a tutta la catena degli animali inferiori, mentre sconvolgeva la fantasia, era l'unica ipotesi che appagava la ragione.

Dopo circa mezzo secolo di insistenza e divulgazione sull'origine totalmente evolutiva delle specie e dell'uomo, la fantasia non è più sconvolta e trova, in genere, la cosa assolutamente naturale. Ma è appagata la verità scientifica e la ragione? O, rispetto a quella scritta, si sono invertite le parti?

Di fronte ai grossi ed eruditi volumi sull'argomento, questo libretto mira al solo vantaggio di presentare in modo concentrato la problematica essenziale, per facilitare l'orientamento del lettore.

PIER CARLO LANDUCCI


__________________

IMPARZIALITA' E PRECONCETTI


Imparzialità critica cattolica


La Bibbia narra, nel primo libro (chiamato appunto Genesi) cioè origine, nascita), l'origine del mondo e dell'uomo. Esso presenta tutto l'universo come creato da Dio in sei giorni, nell'ultimo dei quali fu creata la prima coppia umana, Adamo ed Eva. Vi si narrano anche le susseguenti genealogie di patriarchi e di popoli che sembrerebbero indicare un'antichità del genere umano di nemmeno 10.000 anni. Ciò sembra in flagrante contrasto con i dati scientifici circa l'antichità dell'universo in evoluzione, che sarebbe dell'ordine dei 10 miliardi di anni e circa l'antichità dell'uomo che si calcola a milioni di anni. Ma, quanto ai tempi, è un contrasto solo apparente. Circa l'antichità dell'universo e dell'uomo non si poteva attendere infatti dalla rivelazione della Scrittura un trattato scientifico che sarebbe stato intempestivo, incomprensibile e inutile, prima dello sviluppo della diretta ricerca scientifica.

Quei "giorni" del Genesi simboleggiano il succedersi degli sterminati tempi dell'evoluzione cosmica (dando un ordine di successione corrispondente, secondo vari studiosi - quali il grande astronomo Giuseppe Armellini, 1887-1958 - a quello dell'evoluzione naturale), secondo le leggi naturali preordinate dal Creatore, integrate, all'occorrenza, dai suoi saltuari interventi diretti. E quelle "genealogie", pur essendo vere, includono lunghissimi salti di anelli intermedi. (Come, per esempio, se dicessimo di essere stati generati dal bisnonno, omettendo le due generazioni intermedie, e così via.)

Nessuna inconciliabilità quindi tra scienza e Bibbia, quanto alla durata dei tempi.

Ma, a parte i tempi, è da chiedersi ora se l'evoluzionismo, patrocinato da gran parte della scienza moderna, ossia la spontanea e continua trasformazione della natura dal più semplice e meno perfetto al più complesso e più perfetto, fino alla comparsa dell'uomo, sia conciliabile con l'intervento del Creatore, quale è rivendicato da una buona filosofia e soprattutto dalla narrazione biblica. E' da chiedersi cioè se siano tra loro conciliabili - filosoficamente e biblicamente - un qualche vero evoluzionismo e un qualche vero creazionismo.

Una conciliazione teorica è effettivamente possibile: e senza alcuna stiracchiatura. Niente logicamente può opporre la scienza all'affermazione della filosofia classica, confermata dalla narrazione biblica, dell'iniziale creazione dal nulla dell'universo da parte di Dio (1). L'oggetto diretto della scienza infatti è il mondo, in quanto già esistente, non la causa del suo primo esistere (come "proto-materia", cioè iniziale ammasso di materia, forse idrogeno).

Una volta ammesso, d'altra parte, questo iniziale atto creativo, non può creare logicamente difficoltà qualche ulteriore, integrativo, intervento diretto del Creatore, che appaia necessario per spiegare, per esempio, lungo il naturale processo evolutivo, il salto al piano della vita, poi a quello della sensitività animale e infine a quello della razionalità umana. Quest'ultimo intervento divino per la comparsa dell'uomo costituisce un punto fondamentale della narrazione del Genesi.

L'evoluzione si potrebbe pertanto concepire inserita nelle leggi della natura, secondo la preordinazione divina. Dio stesso avrebbe dato alla materia un iniziale impulso evolutivo, cioè un dinamismo iniziale (sulle cui qualità ora non mi soffermo), capace di attualizzare, via via - opportunamente integrato dai suddetti diretti interventi creativi - tutte le successive crescenti perfezioni. Questa concezione risolverebbe la fondamentale obiezione filosofica contro l'evoluzione: che cioè dal meno non può sgorgare il più. La causa proporzionata di tale "più" sarebbe quell'impulso iniziale, congiuntamente a quegli interventi integrativi. Sotto certi aspetti anzi risulterebbe esaltata la necessità e la meravigliosa potenza del Creatore. Anche la stessa creazione diretta dell'uomo, secondo la descrizione e Genesi, potrebbe essere interpretata come risultato della preordinata evoluzione in quanto al corpo, eccetto qualche opportuna integrazione, e dell'immediata creazione e infusione dell'anima razionale.

Eliminato quindi il contrasto con la fede, il pensiero cattolico si trova libero e imparziale nella sua valutazione dell'evoluzionismo, così inteso. L'accusa al pensiero cattolico di antievoluzionismo preconcetto, è dunque falsa, come del resto è comprovato dai non pochi illustri cattolici evoluzionisti.

E' con questa imparzialità critica che scrivo queste pagine.


Impossibile imparzialità miscredente


Opposta è la situazione per gli studiosi e scienziati materialisti, i quali, pur non essendo la maggioranza, hanno posizioni privilegiate nel campo pubblicitario e finiscono per dare il tono all'opinione pubblica. Ai miscredenti, in senso radicale, quali sono gli atei, vanno aggiunti gli scienziati che, pur non essendo atei, escludono per principio l'intervento di Dio nelle cose naturali. Per i più coerenti di essi tutte le cose sono sgorgate da evoluzione spontanea, guidata cioè puramente dal caso. Ed è questo l'evoluzionismo comunemente insegnato come certo nei testi, nelle riviste, nelle scuole, alla radio. Quanto all'origine della materia primordiale qualche astronomo ha pensato addirittura a una sua continua creazione dal nulla, che avvenne e proseguirebbe ad avvenire da sé, senza Creatore: così, per esempio, Fred Hoyle, della Università di Cambridge, che ne fece clamorosa propaganda intorno al 1950. Ma su quest'ultimo argomento e su tale assurda ipotesi gli evoluzionisti, di solito, preferiscono tacere.

Siccome tali scienziati mostrano molta precisione e rigorosa imparzialità in tutte le loro ricerche sperimentali, così da farsi guidare in esse soltanto dai fatti, danno l'impressione di essere ugualmente imparziali e obiettivi e guidati soltanto dalla verità delle cose quando proclamano e diffondono questo evoluzionismo spontaneo della natura: "Se lo affermano tali scienziati - pensa la gente - vuol dire che è vero, vuol dire che i fatti hanno parlato chiaro".

Ma è un grande equivoco. Su questo punto, in realtà, l'autorità di tali scienziati sfuma. Manca il suo fondamento principale che è l'imparzialità ed obiettività delle affermazioni, in quanto dedotte veramente dai fatti. Essi, a riprova dell'evoluzionismo, adducono bensì dei fatti (di cui valuteremo in seguito la poca consistenza). Ma lo fanno a difesa di una tesi preconcetta, abbracciata a priori, per necessità, mancando loro la alternativa critica che hanno invece i credenti. Esclusa infatti materialisticamente, per principio, l'esistenza o comunque l'intervento di Dio nella creazione e nella guida dell'universo, tali scienziati non hanno altra possibilità per spiegare la comparsa successiva di tutti gli esseri che supporre uno spontaneo processo evolutivo, puramente guidato dal caso. Prima cioè della ricerca dei fatti con cui tentano di convalidare l'evoluzionismo, questo è da essi necessariamente postulato in conseguenza dell'aprioristica esclusione dell'intervento o della esistenza stessa del divino Creatore. (Esclusione aprioristica perché non se ne dà alcuna prova: è noto che nessun ateo è mai riuscito a provare che Dio non esiste.)

Tipica è una aprioristica e ristretta giustificazione di questi scienziati: dicono di escludere, nell'evoluzione della natura, un ipotetico intervento da fuori del mondo perché non sarebbe sperimentabile. Ma non tengono conto che ciò che non è sperimentabile direttamente lo può essere indirettamente, attraverso gli effetti. Dalla realtà sperimentale di questi si risale alla realtà della loro causa.


Ecco la leale confessione, ad esempio, di uno dei maggiori biologi moderni, Jean Rostand (1894-1977), accademico di Francia. Egli riconosce che l'evoluzionismo "lascia deliberatamente senza risposta la formidabile questione dell'ordine della vita" e propone delle soluzioni illusorie al problema non meno formidabile della natura (cioè del modo di attuazione) delle trasformazioni evolutive"; dichiara che ci troviamo, a questo riguardo, "forse in una situazione peggiore del 1859 [quando fu pubblicato il famoso libro di Darwin sulla origine evolutiva delle specie]" e che la natura vivente apparisce come ancora più stabile, più fissa, più ribelle alle trasformazioni". Ciò nonostante egli proclama l'evoluzionismo quale "unica ipotesi razionale", perché esclude la "creazione diretta", che egli non vuole assolutamente ammettere; e dichiara di crederci fermamente, non vedendo il mezzo di fare altrimenti" (dal Figaro Litteraire, 20 aprile 1957).

Ed ecco il biochimico, premio Nobel, Jacques Monod (1910-1976) nel suo libro Il caso e la necessità (1970), che ha fatto tanto chiasso: "La pietra angolare del metodo scientifico è il postulato della obiettività della natura", "postulato indimostrabile, ma consustanziale alla scienza", il quale consiste nell'esclusione di qualsiasi "finalità" o "progetto", antecedente al puro risultato del caso", qualsiasi progetto cioè impresso dal di fuori, dal Creatore. Con che egli esclude, in nome della obiettività, la elementare obiettività della esigenza di un sapientissimo Artefice di quelle strutture naturali che l'analisi sperimentale ha mostrato così mirabilmente organizzate da non poter derivare dal puro caso: la solita esclusione preconcetta, che egli riconosce infatti "indimostrabile".

Per l'Enciclopedia Treccani, similmente, l'evoluzione va ammesso soprattutto per non cadere, altrimenti, nella "creazione diretta" (D. Rosa). Tale posizione è sostanzialmente confermata nella II Appendice della stessa Enciclopedia da G. Montalenti. Questi ha ribadito anche in una recente polemica (1976) di dovere aderire all'evoluzionismo per non cadere in ipotesi "miracolistiche" (come egli chiama, inesattamente, il necessario intervento del Creatore); e ciò ha ripetuto anche in un dibattito organizzato dall'Istituto Internazionale di Genetica e Biofisica di Napoli del C.N.R. (24 giugno 1977). Sulla stessa linea è il prof P. Brignoli di Aquila, il quale, in uno sdegnoso articolo, dopo aver tacciato l'Italia d'ignoranza di "stampo medievale" circa le "scienze naturali", oppone all'antidarwinista, professore di Genetica, G. Sermonti, a modo di "dilemma": "Che il mondo si sia sviluppato, così come é, da solo" è l'unica alternativa al "creazionismo" il quale non deve prendersi ovviamente nemmeno in considerazione (Il Tempo, 22 luglio 1977; si vedano anche 17 marzo, 6 luglio 1977).

Non per niente nel succitato dibattito di Napoli un ascoltatore, professore di filosofia, rilevò le soggiacenti pregiudiziali "ideologiche" e perfino "religiose" della discussione. Un altro affermò esplicitamente che l'evoluzionismo, puramente regolato dal caso, più che essere una dottrina derivata dai fatti è - viceversa ­ una preconcetta ideologia filosofica e ideologica che va alla ricerca di fatti naturali su cui sostenersi (di quale consistenza vedremo in seguito).

Mentre dunque, come ho detto sopra, di fronte all'evoluzionismo adeguatamente integrato, il credente è libero nella scelta, il materialista no. Vere o false che siano le prove, questi deve necessariamente prenderle per vere, volendo escludere a priori la trascendenza della vita - nei suoi vari gradi - e l'intervento del Creatore.


Noncuranza evoluzionista di ogni critica


La mancanza d'imparzialità critica dell'evoluzionismo materialista è sottolineata dalla passionalità e dal dogmatismo con cui si contrappone all’antievoluzionismo (più o meno tacciato di arretratezza scientifica e morale e di "oscurantismo medievale") e dalla noncuranza di ogni critica. Eppure questa viene da scienziati antievoluzionisti di grande valore.

A niente valgono, in realtà, per questi evoluzionisti, oltre la smentita dei fatti (che vedremo), i giudizi contrari ampiamente motivati degli scienziati antievoluzionisti. E' la classica ostinazione delle idee preconcette. Basterebbe ricordare tra gli oppositori dell'evoluzionismo materialista il celebre biologo Louis Vialleton (1859-1929), il cui volume L'origine degli esseri viventi - L'illusione trasformista (1929) fu un colpo di fulmine nel campo evoluzionista: "Il trasformismo meccanicista - egli dice - è assolutamente incapace di spiegare la formazione del mondo vivente"; "la parola creazione ch'era stata bandita dal linguaggio biologico deve ritrovarvi posto"; "l'illusione trasformista ha resistito a molti attacchi. Oggi ancora essa persiste sull'ammasso di rovine del Lamarckismo e del darwinismo". (Prevedeva egli che non solo avrebbe persistito fino ad oggi, ma si sarebbe universalmente diffusa?) Il genetista Giuseppe Sermonti ha potuto intitolare un suo articolo: Requiem per Darwin . Il paleontologo Roberto Fondi dell'Università di Siena ha reagito al "piatto e insulso conformismo all'ideologia accademica ufficiale" e ha potuto scrivere, a seguito di un incontro a due (col Sermonti) sul tema: L'evoluzione è in crisi?, dietro invito del "Centro Internazionale di Comparazione e Sintesi" (12 marzo 1977), che "la concezione evoluzionistica della vita deve essere considerata come scientificamente fallita" e deve essere "collocata a riposo nel museo delle ipotesi cadute" (Il Tempo) 22 luglio 1977); in una conferenza, all'Università di S. Tommaso in Roma, ha ribadito tutto ciò (5 febbraio 1978). W. H. Thompson, nel centenario del celebre libro di Darwin, ha denunciato gli evoluzionisti che "difendono una dottrina che non sono capaci di definire scientificamente e ancor meno di dimostrare con rigore scientifico, cercando di mantenere il credito davanti al pubblico con la soppressione della critica e la eliminazione delle difficoltà". R. Poliss ha lamentato il "rischio di ricevere l'ostracismo scientifico per chi assuma una posizione polemica [contraria] sul tema dell’evoluzione".

Gli evoluzionisti non mollano, anche se qualcuno fa delle oneste ammissioni. D. Rosa riconosce bensì, nell'Enciclopedia Treccani la "insufficienza delle prove dirette"; vari anni dopo G. Montalenti, nella II Appendice della stessa Enciclopedia, riconosce l'esistenza di una certa "opinione diffusa" che "la biologia moderna abbia in qualche modo sconfessato la teoria della evoluzione"; il succitato Rostand ha potuto parlare - come abbiamo visto - di "situazione peggiore di quella del 1859 (data del libro di Darwin)". Tutti restano però combattivamente evoluzionisti, per la preconcetta esclusione dell'intervento creatore.

E sentenziamo dogmaticamente. Per Juliam Huxley (1887-1963) (2), scrittore e biologo, primo direttore generale della UNESCO, l'evoluzionismo non è più una teoria, ma un fatto. G. de Beer del British Museum chiama "ignorante e sfrontato" chi cerchi impugnare le conclusioni di Darwin. G. Hardin del California Institute of Technology giudica soggetti da psichiatra chi non onori Darwin. Il premio Nobel P. Crick riferendosi a una nota personalità che era scettica sulla "importanza decisiva della selezione naturale" spiega tale scetticismo come riflesso di "difficoltà logiche e filosofiche di ogni specie". Dirò, tra poco, di Teilhard de Chardin.


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