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EVOLUZIONE E ORIGINE DELL'UOMO

Ultimo Aggiornamento: 05/06/2016 17:52
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02/09/2010 22:27
 
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PIER CARLO LANDUCCI

La verità sull'evoluzione e l'origine dell'uomo

_______________________


INDICE

IMPARZIALITA' E PRECONCETTI

FALSIFICAZIONI ED EQUIVOCI

DUE DISTINTI PROBLEMI

ANATOMIA COMPARATA

PALEONTOLOGIA

EMBRIOLOGIA

GENETICA

I PRESUNTI FATTORI EVOLUTIVI

IMPOSSIBILITA' DELL'EVOLUZIONE SPONTANEA

GRANDE PROVA SPERIMENTALE CONTRO LA EVOLUZIONE

L'INTERVENTO DIVINO


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02/09/2010 22:28
 
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Nella grande Esposizione internazionale di Parigi, dopo la prima guerra europea, un vasto salone fu dedicato al radicale evoluzionismo. Una enorme scritta lo additava all'ammirazione del pubblico, ammonendo che riallacciare l'uomo a tutta la catena degli animali inferiori, mentre sconvolgeva la fantasia, era l'unica ipotesi che appagava la ragione.

Dopo circa mezzo secolo di insistenza e divulgazione sull'origine totalmente evolutiva delle specie e dell'uomo, la fantasia non è più sconvolta e trova, in genere, la cosa assolutamente naturale. Ma è appagata la verità scientifica e la ragione? O, rispetto a quella scritta, si sono invertite le parti?

Di fronte ai grossi ed eruditi volumi sull'argomento, questo libretto mira al solo vantaggio di presentare in modo concentrato la problematica essenziale, per facilitare l'orientamento del lettore.

PIER CARLO LANDUCCI


__________________

IMPARZIALITA' E PRECONCETTI


Imparzialità critica cattolica


La Bibbia narra, nel primo libro (chiamato appunto Genesi) cioè origine, nascita), l'origine del mondo e dell'uomo. Esso presenta tutto l'universo come creato da Dio in sei giorni, nell'ultimo dei quali fu creata la prima coppia umana, Adamo ed Eva. Vi si narrano anche le susseguenti genealogie di patriarchi e di popoli che sembrerebbero indicare un'antichità del genere umano di nemmeno 10.000 anni. Ciò sembra in flagrante contrasto con i dati scientifici circa l'antichità dell'universo in evoluzione, che sarebbe dell'ordine dei 10 miliardi di anni e circa l'antichità dell'uomo che si calcola a milioni di anni. Ma, quanto ai tempi, è un contrasto solo apparente. Circa l'antichità dell'universo e dell'uomo non si poteva attendere infatti dalla rivelazione della Scrittura un trattato scientifico che sarebbe stato intempestivo, incomprensibile e inutile, prima dello sviluppo della diretta ricerca scientifica.

Quei "giorni" del Genesi simboleggiano il succedersi degli sterminati tempi dell'evoluzione cosmica (dando un ordine di successione corrispondente, secondo vari studiosi - quali il grande astronomo Giuseppe Armellini, 1887-1958 - a quello dell'evoluzione naturale), secondo le leggi naturali preordinate dal Creatore, integrate, all'occorrenza, dai suoi saltuari interventi diretti. E quelle "genealogie", pur essendo vere, includono lunghissimi salti di anelli intermedi. (Come, per esempio, se dicessimo di essere stati generati dal bisnonno, omettendo le due generazioni intermedie, e così via.)

Nessuna inconciliabilità quindi tra scienza e Bibbia, quanto alla durata dei tempi.

Ma, a parte i tempi, è da chiedersi ora se l'evoluzionismo, patrocinato da gran parte della scienza moderna, ossia la spontanea e continua trasformazione della natura dal più semplice e meno perfetto al più complesso e più perfetto, fino alla comparsa dell'uomo, sia conciliabile con l'intervento del Creatore, quale è rivendicato da una buona filosofia e soprattutto dalla narrazione biblica. E' da chiedersi cioè se siano tra loro conciliabili - filosoficamente e biblicamente - un qualche vero evoluzionismo e un qualche vero creazionismo.

Una conciliazione teorica è effettivamente possibile: e senza alcuna stiracchiatura. Niente logicamente può opporre la scienza all'affermazione della filosofia classica, confermata dalla narrazione biblica, dell'iniziale creazione dal nulla dell'universo da parte di Dio (1). L'oggetto diretto della scienza infatti è il mondo, in quanto già esistente, non la causa del suo primo esistere (come "proto-materia", cioè iniziale ammasso di materia, forse idrogeno).

Una volta ammesso, d'altra parte, questo iniziale atto creativo, non può creare logicamente difficoltà qualche ulteriore, integrativo, intervento diretto del Creatore, che appaia necessario per spiegare, per esempio, lungo il naturale processo evolutivo, il salto al piano della vita, poi a quello della sensitività animale e infine a quello della razionalità umana. Quest'ultimo intervento divino per la comparsa dell'uomo costituisce un punto fondamentale della narrazione del Genesi.

L'evoluzione si potrebbe pertanto concepire inserita nelle leggi della natura, secondo la preordinazione divina. Dio stesso avrebbe dato alla materia un iniziale impulso evolutivo, cioè un dinamismo iniziale (sulle cui qualità ora non mi soffermo), capace di attualizzare, via via - opportunamente integrato dai suddetti diretti interventi creativi - tutte le successive crescenti perfezioni. Questa concezione risolverebbe la fondamentale obiezione filosofica contro l'evoluzione: che cioè dal meno non può sgorgare il più. La causa proporzionata di tale "più" sarebbe quell'impulso iniziale, congiuntamente a quegli interventi integrativi. Sotto certi aspetti anzi risulterebbe esaltata la necessità e la meravigliosa potenza del Creatore. Anche la stessa creazione diretta dell'uomo, secondo la descrizione e Genesi, potrebbe essere interpretata come risultato della preordinata evoluzione in quanto al corpo, eccetto qualche opportuna integrazione, e dell'immediata creazione e infusione dell'anima razionale.

Eliminato quindi il contrasto con la fede, il pensiero cattolico si trova libero e imparziale nella sua valutazione dell'evoluzionismo, così inteso. L'accusa al pensiero cattolico di antievoluzionismo preconcetto, è dunque falsa, come del resto è comprovato dai non pochi illustri cattolici evoluzionisti.

E' con questa imparzialità critica che scrivo queste pagine.


Impossibile imparzialità miscredente


Opposta è la situazione per gli studiosi e scienziati materialisti, i quali, pur non essendo la maggioranza, hanno posizioni privilegiate nel campo pubblicitario e finiscono per dare il tono all'opinione pubblica. Ai miscredenti, in senso radicale, quali sono gli atei, vanno aggiunti gli scienziati che, pur non essendo atei, escludono per principio l'intervento di Dio nelle cose naturali. Per i più coerenti di essi tutte le cose sono sgorgate da evoluzione spontanea, guidata cioè puramente dal caso. Ed è questo l'evoluzionismo comunemente insegnato come certo nei testi, nelle riviste, nelle scuole, alla radio. Quanto all'origine della materia primordiale qualche astronomo ha pensato addirittura a una sua continua creazione dal nulla, che avvenne e proseguirebbe ad avvenire da sé, senza Creatore: così, per esempio, Fred Hoyle, della Università di Cambridge, che ne fece clamorosa propaganda intorno al 1950. Ma su quest'ultimo argomento e su tale assurda ipotesi gli evoluzionisti, di solito, preferiscono tacere.

Siccome tali scienziati mostrano molta precisione e rigorosa imparzialità in tutte le loro ricerche sperimentali, così da farsi guidare in esse soltanto dai fatti, danno l'impressione di essere ugualmente imparziali e obiettivi e guidati soltanto dalla verità delle cose quando proclamano e diffondono questo evoluzionismo spontaneo della natura: "Se lo affermano tali scienziati - pensa la gente - vuol dire che è vero, vuol dire che i fatti hanno parlato chiaro".

Ma è un grande equivoco. Su questo punto, in realtà, l'autorità di tali scienziati sfuma. Manca il suo fondamento principale che è l'imparzialità ed obiettività delle affermazioni, in quanto dedotte veramente dai fatti. Essi, a riprova dell'evoluzionismo, adducono bensì dei fatti (di cui valuteremo in seguito la poca consistenza). Ma lo fanno a difesa di una tesi preconcetta, abbracciata a priori, per necessità, mancando loro la alternativa critica che hanno invece i credenti. Esclusa infatti materialisticamente, per principio, l'esistenza o comunque l'intervento di Dio nella creazione e nella guida dell'universo, tali scienziati non hanno altra possibilità per spiegare la comparsa successiva di tutti gli esseri che supporre uno spontaneo processo evolutivo, puramente guidato dal caso. Prima cioè della ricerca dei fatti con cui tentano di convalidare l'evoluzionismo, questo è da essi necessariamente postulato in conseguenza dell'aprioristica esclusione dell'intervento o della esistenza stessa del divino Creatore. (Esclusione aprioristica perché non se ne dà alcuna prova: è noto che nessun ateo è mai riuscito a provare che Dio non esiste.)

Tipica è una aprioristica e ristretta giustificazione di questi scienziati: dicono di escludere, nell'evoluzione della natura, un ipotetico intervento da fuori del mondo perché non sarebbe sperimentabile. Ma non tengono conto che ciò che non è sperimentabile direttamente lo può essere indirettamente, attraverso gli effetti. Dalla realtà sperimentale di questi si risale alla realtà della loro causa.


Ecco la leale confessione, ad esempio, di uno dei maggiori biologi moderni, Jean Rostand (1894-1977), accademico di Francia. Egli riconosce che l'evoluzionismo "lascia deliberatamente senza risposta la formidabile questione dell'ordine della vita" e propone delle soluzioni illusorie al problema non meno formidabile della natura (cioè del modo di attuazione) delle trasformazioni evolutive"; dichiara che ci troviamo, a questo riguardo, "forse in una situazione peggiore del 1859 [quando fu pubblicato il famoso libro di Darwin sulla origine evolutiva delle specie]" e che la natura vivente apparisce come ancora più stabile, più fissa, più ribelle alle trasformazioni". Ciò nonostante egli proclama l'evoluzionismo quale "unica ipotesi razionale", perché esclude la "creazione diretta", che egli non vuole assolutamente ammettere; e dichiara di crederci fermamente, non vedendo il mezzo di fare altrimenti" (dal Figaro Litteraire, 20 aprile 1957).

Ed ecco il biochimico, premio Nobel, Jacques Monod (1910-1976) nel suo libro Il caso e la necessità (1970), che ha fatto tanto chiasso: "La pietra angolare del metodo scientifico è il postulato della obiettività della natura", "postulato indimostrabile, ma consustanziale alla scienza", il quale consiste nell'esclusione di qualsiasi "finalità" o "progetto", antecedente al puro risultato del caso", qualsiasi progetto cioè impresso dal di fuori, dal Creatore. Con che egli esclude, in nome della obiettività, la elementare obiettività della esigenza di un sapientissimo Artefice di quelle strutture naturali che l'analisi sperimentale ha mostrato così mirabilmente organizzate da non poter derivare dal puro caso: la solita esclusione preconcetta, che egli riconosce infatti "indimostrabile".

Per l'Enciclopedia Treccani, similmente, l'evoluzione va ammesso soprattutto per non cadere, altrimenti, nella "creazione diretta" (D. Rosa). Tale posizione è sostanzialmente confermata nella II Appendice della stessa Enciclopedia da G. Montalenti. Questi ha ribadito anche in una recente polemica (1976) di dovere aderire all'evoluzionismo per non cadere in ipotesi "miracolistiche" (come egli chiama, inesattamente, il necessario intervento del Creatore); e ciò ha ripetuto anche in un dibattito organizzato dall'Istituto Internazionale di Genetica e Biofisica di Napoli del C.N.R. (24 giugno 1977). Sulla stessa linea è il prof P. Brignoli di Aquila, il quale, in uno sdegnoso articolo, dopo aver tacciato l'Italia d'ignoranza di "stampo medievale" circa le "scienze naturali", oppone all'antidarwinista, professore di Genetica, G. Sermonti, a modo di "dilemma": "Che il mondo si sia sviluppato, così come é, da solo" è l'unica alternativa al "creazionismo" il quale non deve prendersi ovviamente nemmeno in considerazione (Il Tempo, 22 luglio 1977; si vedano anche 17 marzo, 6 luglio 1977).

Non per niente nel succitato dibattito di Napoli un ascoltatore, professore di filosofia, rilevò le soggiacenti pregiudiziali "ideologiche" e perfino "religiose" della discussione. Un altro affermò esplicitamente che l'evoluzionismo, puramente regolato dal caso, più che essere una dottrina derivata dai fatti è - viceversa ­ una preconcetta ideologia filosofica e ideologica che va alla ricerca di fatti naturali su cui sostenersi (di quale consistenza vedremo in seguito).

Mentre dunque, come ho detto sopra, di fronte all'evoluzionismo adeguatamente integrato, il credente è libero nella scelta, il materialista no. Vere o false che siano le prove, questi deve necessariamente prenderle per vere, volendo escludere a priori la trascendenza della vita - nei suoi vari gradi - e l'intervento del Creatore.


Noncuranza evoluzionista di ogni critica


La mancanza d'imparzialità critica dell'evoluzionismo materialista è sottolineata dalla passionalità e dal dogmatismo con cui si contrappone all’antievoluzionismo (più o meno tacciato di arretratezza scientifica e morale e di "oscurantismo medievale") e dalla noncuranza di ogni critica. Eppure questa viene da scienziati antievoluzionisti di grande valore.

A niente valgono, in realtà, per questi evoluzionisti, oltre la smentita dei fatti (che vedremo), i giudizi contrari ampiamente motivati degli scienziati antievoluzionisti. E' la classica ostinazione delle idee preconcette. Basterebbe ricordare tra gli oppositori dell'evoluzionismo materialista il celebre biologo Louis Vialleton (1859-1929), il cui volume L'origine degli esseri viventi - L'illusione trasformista (1929) fu un colpo di fulmine nel campo evoluzionista: "Il trasformismo meccanicista - egli dice - è assolutamente incapace di spiegare la formazione del mondo vivente"; "la parola creazione ch'era stata bandita dal linguaggio biologico deve ritrovarvi posto"; "l'illusione trasformista ha resistito a molti attacchi. Oggi ancora essa persiste sull'ammasso di rovine del Lamarckismo e del darwinismo". (Prevedeva egli che non solo avrebbe persistito fino ad oggi, ma si sarebbe universalmente diffusa?) Il genetista Giuseppe Sermonti ha potuto intitolare un suo articolo: Requiem per Darwin . Il paleontologo Roberto Fondi dell'Università di Siena ha reagito al "piatto e insulso conformismo all'ideologia accademica ufficiale" e ha potuto scrivere, a seguito di un incontro a due (col Sermonti) sul tema: L'evoluzione è in crisi?, dietro invito del "Centro Internazionale di Comparazione e Sintesi" (12 marzo 1977), che "la concezione evoluzionistica della vita deve essere considerata come scientificamente fallita" e deve essere "collocata a riposo nel museo delle ipotesi cadute" (Il Tempo) 22 luglio 1977); in una conferenza, all'Università di S. Tommaso in Roma, ha ribadito tutto ciò (5 febbraio 1978). W. H. Thompson, nel centenario del celebre libro di Darwin, ha denunciato gli evoluzionisti che "difendono una dottrina che non sono capaci di definire scientificamente e ancor meno di dimostrare con rigore scientifico, cercando di mantenere il credito davanti al pubblico con la soppressione della critica e la eliminazione delle difficoltà". R. Poliss ha lamentato il "rischio di ricevere l'ostracismo scientifico per chi assuma una posizione polemica [contraria] sul tema dell’evoluzione".

Gli evoluzionisti non mollano, anche se qualcuno fa delle oneste ammissioni. D. Rosa riconosce bensì, nell'Enciclopedia Treccani la "insufficienza delle prove dirette"; vari anni dopo G. Montalenti, nella II Appendice della stessa Enciclopedia, riconosce l'esistenza di una certa "opinione diffusa" che "la biologia moderna abbia in qualche modo sconfessato la teoria della evoluzione"; il succitato Rostand ha potuto parlare - come abbiamo visto - di "situazione peggiore di quella del 1859 (data del libro di Darwin)". Tutti restano però combattivamente evoluzionisti, per la preconcetta esclusione dell'intervento creatore.

E sentenziamo dogmaticamente. Per Juliam Huxley (1887-1963) (2), scrittore e biologo, primo direttore generale della UNESCO, l'evoluzionismo non è più una teoria, ma un fatto. G. de Beer del British Museum chiama "ignorante e sfrontato" chi cerchi impugnare le conclusioni di Darwin. G. Hardin del California Institute of Technology giudica soggetti da psichiatra chi non onori Darwin. Il premio Nobel P. Crick riferendosi a una nota personalità che era scettica sulla "importanza decisiva della selezione naturale" spiega tale scetticismo come riflesso di "difficoltà logiche e filosofiche di ogni specie". Dirò, tra poco, di Teilhard de Chardin.


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02/09/2010 22:30
 
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Il martellamento evoluzionista a tappeto


Dogmatismo pieno in tutte le opere più o meno divulgative, televisive, ecc. Per esempio, secondo la Enciclopedia delle scienze De Agostini, "l'idea evoluzionista è sostenuta da ampie prove; i risultati della genetica inoltre la confermano al di là di ogni dubbio". Secondo l'Enciclopedia delle scienze e della tecnica, Mondadori, "la teoria della evoluzione ha ricevuto dalla genetica la dimostrazione decisiva": mentre, come vedremo, è vero precisamente il contrario.

Non v'è settore, nel piano della divulgazione, in cui non venga immancabilmente o affermata o presupposta la verità della evoluzione radicale, come dato ormai acquisito dalla scienza. Qualche mese fa alla TV per i ragazzi, quando un docente ha mostrato l'immagine dei globuli rossi del sangue di rana con i nuclei, ha subito spiegato, con sicurezza, che tale anomalia dipendeva dal fatto che quei globuli non si erano ancora "evoluti" come quelli del sangue umano che non hanno nucleo. E così via. L'opinione pubblica non ha in generale, ormai più dubbi in proposito.


Penetrazione dell'idea nel campo cattolico


La forza di questa pressione psicologica, esercitata da una così unanime divulgazione, è sintomaticamente indicata dalla notevole penetrazione dell'idea evoluzionista anche in campo cattolico, in conseguenza dell'alta considerazione in cui giustamente sono tenuti gli sviluppi delle scienze. Si è finito per pensare infatti che si tratti di vera acquisizione scientifica. Vedemmo, d'altra parte, che, con le debite integrazioni, l'evoluzione è compatibile con fondamentali principi filosofici e con gli stessi dati della fede.

Tuttavia, come effetto del martellamento evoluzionista, l'accettazione di tale dottrina si è spinta, anche nel campo cattolico, sempre più avanti. Ci si è preoccupati sempre meno di quelle necessarie integrazioni e si sono accettate enunci azioni sempre più generali. Tale principio evolutivo si è inoltre proiettato, come fattore fondamentale dell'esistenza, in tutti gli altri settori, antropologico, morale, sociale, culturale, ecc.

Indubbiamente anche il fascino dell'idea, quell'apparente grandiosità e semplicità unitaria del suo dinamismo e progressismo, quel senso di liberazione dalla fissità delle cose e delle leggi, ha facilitato la penetrazione di tale dottrina nel campo cattolico, sospingendo anche taluni oltre i limiti delle verità di fede.


Agli estremi è giunto Teilhard de Chardin (1881­1955), gesuita, geologo e paleontologo di valore (ma non altrettanto valido biologo e tanto meno filosofo e teologo), che ha riassunto tutto l'universo in un'unica visione evolutiva monistica, per cui "esiste soltanto la materia che [evolutivamente] diventa spirito" (in La Energia umana). Egli è emblematico del dogmatismo evoluzionista, addirittura fanatico: "Non esiste più la questione trasformi sta [nel senso più radicale]", "gli scienziati sono tutti oggi d'accordo" v'è, per l'evoluzione, "la certezza del radar"! (da Il fenomeno umano). E' emblematico anche per il distacco tra l'ideologia e i fatti, come è, del resto, di tutto il movimento evoluzionista. Egli infatti per spiegare l'evoluzione, accettata a priori, ipotizza misteriose potenzialità immanenti della materia, sottratte 'a qualsiasi controllo sperimentale: una pura tautologia. Giustamente perciò Rostand, da questo punto di vista, colloca "Teilhard fuori della scienza, in quanto puramente congetturale e che sfugge ad ogni tentativo di verifica", appellandosi ad "energie misteriose" non sperimentabili; perciò - conclude Rostand - "Teilhard non ha gettato alcuna luce sul grande problema dell'evoluzione organica" (Una mistificazione, Roma 1967).

Ma anche il campo cattolico più ponderato si è fatto non poco influenzare (3), benché vi si stia oggi delineando una forte reazione. Questa, del resto, si va delineando anche fuori del campo cattolico.


Evoluzionismo politico


Scrivendo, nel sopraccitato articolo, contro le critiche del prof. Sermonti, l'evoluzionista prof. Brignoli termina, inaspettatamente, con un richiamo alle "implicazioni sociali e politiche" dell'evoluzionismo. Vi sono, di fatto, implicazioni marxiste.

E' un'altra effettiva componente del preconcetto evoluzionista. Alla pregiudiziale materialista del marxismo che esclude ogni intervento creatore si aggiunge il mito, pure marxista, del potere umano di trasformare, evolutivamente, a fondo, la natura, mediante il nuovo assetto sociale, in conformità al "materialismo dialettica". Così si spiega la tragicommedia del biologo russo Trofim Lysenko (1898-1976). Divenne Presidente dell'Accademia Lenin di Scienze agrarie (1938), al posto del grande genetista e agronomo N. I. Vavilov, che fu defenestrato (perché accusato di essere ligio alla scienza borghese e di avere quindi danneggiato l'agricoltura) ed esiliato in Siberia, dove morì (1942). Sfruttando tale alta posizione, si oppose a fondo, in nome della rivoluzione di Marx e Lenin e della particolare "approvazione di Stalin", alla classica dottrina genetica. Questa afferma, sulla base della costante esperienza, che i cambiamenti ("caratteri acquisiti") prodotti negli individui per influsso dell'ambiente (pigmentazioni, sviluppo di muscoli, amputazioni, ecc.) non possono essere trasmessi alle generazioni successive (cioè divenire "caratteri ereditari"), restando regolata la 'ereditarietà dei caratteri da certe costanti leggi, scoperte da Mendel. Lysenko invece sostenne - sulla linea dell'orticultore russo LV. Micurin (1855­1935) - la trasmissione di quei cambiamenti "acquisiti", ottenuti artificialmente mediante modificazioni di ambienti, nutritizie, innesti, selezioni di semi. Vi insisté, nonostante clamorosi insuccessi pratici, presentando tale principio come il segreto della evoluzione delle specie. Considerando anche l'uomo frutto dell'ambiente, promise lo sviluppo in Russia di una razza umana infinitamente superiore. Fu salutato come il "liberatore della biologia dalle contaminazioni reazionarie". Animò per molti anni la persecuzione dei genetisti classici - e anche di personalità di altri settori scientifici - distruggendone Istituti e pubblicazioni. Quasi trent'anni di fanatismo e oscurantismo evoluzionista. Fallite le sue vane promesse, cadde in disgrazia alla morte di Stalin (1953). Riabilitato da Kruscev (1960), fu definitivamente allontanato alla caduta di questi (1964).

Simile è il caso della ben nota biologa russa Olga Borisovna Lepesbinskaja (1871-1963), che divenne capo della sezione di evoluzione della materia vivente dell'Accademia di medicina (1949). Fu grande protetta di Lysenko, con cui si allineò dottrinalmente, e di Stalin stesso. Anch'essa si lanciò contro i biologi "reazionari". Sostenne, contro le scoperte di Pasteur, la possibile generazione spontanea di microrganismi, come gli infusori da infusi di fieno; sostenne anche la generazione di cellule viventi da albume di uovo e di veri e propri vasi sanguigni dal tuorlo; senza dire di un suo metodo di ringiovanimento umano con bagni in acqua e soda: tutte cose rivenute oggi prive di ogni serietà scientifica. In cambio - come ella stessa scrisse - ebbe un "intimo e caro" incoraggiamento telefonico da Stalin. Di questi lodò l’"assennato consiglio", la "grande cristallina chiarezza", il "grande potere di previsione scientifica", per cui "tutte le complesse questioni dei problemi erano un libro aperto e lo schema di sviluppo della scienza progressista sovietica era chiaro fin nei particolari" (G. Goglia, Osservatore Romano, 1° aprile 1977).

 


FALSIFICAZIONI ED EQUIVOCI


Esperienze


Prima di affrontare più direttamente il problema è utile puntualizzare ancor meglio la psicosi di "partito preso" di certi evoluzionisti, ricordando alcune famose falsificazioni fatte da scienziati, dietro lo schermo della apparente obiettività scientifica.

Molto significativi sono anche alcuni celebri equivoci, che pure esemplificherò in questo capitolo.

Il celebre zoologo Ernesto H. Haeckel (1834­1919) fu uno dei più appassionati sostenitori di Darwin e propagatore del più radicale evoluzionismo materialista inteso in tutta la linea: dalla spontanea formazione della "monera", (dal gr. moneres, unico) primo grumo vivente, precellulare, fino all'uomo. Egli presentò e divulgò, come principale prova della evoluzione stessa, quella che chiamò "Legge biogenetica fondamentale" (1866), secondo cui gli stadi di sviluppo embrionale di un individuo ("ontogenesi") ricapitolano gli stadi di sviluppo della sua specie, a partire dalle specie inferiori ("filogenesi"). Tale legge risulterebbe provata dalla rassomiglianza dei primi stadi dell'embrione umano con quelli degli animali inferiori.

A parte che tali esterne rassomiglianze (come vedremo) non dimostrano niente, Haeckel, per avvalorare la sua tesi, compi sugli schemi e le fotografie sperimentali embriologiche, da lui presentate, delle falsificazioni che furono denunciate da A. Brass e A. Gemelli (Le falsificazioni di Ernesto Haeckel, Firenze 1911).

Paolo Kammerer (1880-1926), brillante biologo viennese, diede nel 1909 e poi confermò, dopo molte esperienze sue e di altri (queste ultime però sempre negative), davanti agli scienziati della Società linneiana di Londra, nel 1923, la clamorosa notizia di avere ottenuto sperimentalmente la trasmissione ereditaria, cioè per generazione, di caratteri acquisiti da individui per esigenze ambientali: ciò in conformità della vecchia teoria del Lamarck, considerata allora cardine dell'evoluzione. Soprattutto presentò un rospo della specie che compie l'accoppiamento fuori dell'acqua, il quale, obbligato a compierlo in acqua, avrebbe sviluppato certe callosità. digitali caratteristiche delle specie che si accoppiano in acqua, le quali servono per tenere la femmina. Alla seduta di Londra era presente uno dei fondatori della genetica classica, W. Bateson (1861-1926), che insinuò la possibilità di una frode: poteva essere stato iniettato inchiostro di china sotto la pelle del rospo, dando l'apparenza delle callosità. Ma a Mosca spirava naturalmente corrente favorevole. Nel 1925 (primo anno di Stalin) Kammerer fu chiamato a fondarvi un Istituto di Biologia sperimentale. Sennonché nel 1926 un accurato esame microscopico, condotto con l'autorizzazione del Direttore dell'Istituto di biologia sperimentale di Vienna, scoprì che veramente era stato iniettato sotto la pelle l'inchiostro di china. Qualche settimana dopo Kammerer si uccise.

Il Bathybius Haeckelii. Ho sopra accennato alla "monera" di Haeckel, primo grumo vivente, da lui ipotizzato, che si sarebbe, via via, evoluto fino all'uomo. Ed eccoci, se non proprio a una mistificazione, a un colossale equivoco. Nel 1868 il grande zoologo T. H. Huxlei (1825-1895), fervente sostenitore del darwinismo, scandagliando le profondità oceaniche, estrasse una sostanza colloidale, gelatinosa, trasparente, che presentava lenti movimenti. La interpretò quale "monera" ossia prima formazione di materia vivente, a conferma dei principi di Haeckel. In onore di questi la chiamò Bathybius ("vivente delle profondità") Haeckelii ("di Haeckel"). Ma non si trattava, in realtà - come provò, qualche anno dopo, W. Thomson (spedizione oceanografica sul Challenger: 1872-1876) - che di un precipitato colloidale di solfato di calcio, prodotto dall'aggiunta di alcole all'acqua marina per conservare il materiale raccolto. Da notare che, mentre Huxley ne prese atto, Haeckel si ostinò a negarlo.

I semi di S. Leduc. La suggestione della ipotizzata "monera" era così tenace che fecero clamore perfino gli apparenti semi, che Leduc formò con pura gelatina, solfato di rame e zucchero. Gettati in soluzione di gelatina e ferrocianuro di potassio, emettevano delle specie di radici e fronde, come piantine (1910-1912). Ma non era, al solito, che un semplice effetto fisico d'incorporazione della soluzione, per osmosi.


Reperti fossili ingannatori


Il Pitecantropo. Il nome vuol dire (dal greco: pìthe­cos-ànthropos) "scimmia-uomo". Questo essere fu preannunciato e così chiamato dall'Haeckel. Avrebbe dovuto essere l'anello evolutivo di transizione tra la scimmia e l'uomo. Il naturalista olandese M.E. Dubois (1854-1941 ) pretese di averlo effettivamente scoperto in una campagna di scavi (1890-82) appositamente intrapresi nell'isola di Giava (per cui oggi viene piuttosto chiamato l’"uomo di Giava").

Ma si trattò di una sola calotta cranica che suggeriva una cubatura intermedia tra quelle delle scimmie e dell'uomo - calotta che lo stesso scopritore ammise in seguito poter essere quella di un gibbone - e di un femore certamente umano trovato a 15 metri di distanza che arbitrariamente fu attribuito al medesimo individuo, il quale sarebbe risultato un mostruoso gigante microcefalo, inammissibile. Altri reperti non chiarirono la cosa. Vi furono discussioni senza fine. Lo stesso Dubois cambiò più volte e a lunga distanza di anni, parere. Un bel sogno.


***


L'uomo di Piltdown. In questa località dell'Inghilterra meridionale alcuni scavi fecero trovare frammenti di due crani con caratteri primitivi, una mandibola nettamente scimmiesca e due denti (1909-1915). Dal geologo dilettante Charles Dawson che li raccolse e da A.S. Woodward, direttore dei British Museum furono attribuiti al medesimo individuo. Esso presentava caratteri misti umano scimmieschi, quali appunto doveva avere il tanto ricercato anello di congiunzione tra gli antropoidi e l'uomo. L’epoca fu fissata a circa 300.000 anni or sono. Contribuì alla scoperta anche Teilhard de Chardin. Fu chiamato Eoanthropus ("uomo dell'aurora") Dawsoni (dal nome dello scopritore). Tali resti costituirono per quarant'anni un particolare titolo di gloria del Museo Britannico. V'era stato anche, a garanzia di autenticità, uno studio accurato del Tedesco Weinert, venti anni dopo la scoperta. L'Enciclopedia Treccani li dà come sicuri, con ampia trattazione.

Ma una revisione compiuta da una commissione scientifica nel 1953 scoprì che i pezzi erano stati presi da un fossile umano e da un giovane orango recente, erano stati opportunamente trattati per simulare l'antichità e poi artificiosamente ivi sotterrati, come il mistificatore stesso infine confessò. Un comunicato dell'Accademia delle Scienze sigillò tale responso (accolto bensì, ma questa volta con un solo brevissimo cenno, nella terza Appendice Treccani).

Fu definita la più grande mistificazione scientifica del secolo.


***


L'uomo di Pechino (Sinantropo). E' il ritrovamento fossile forse più studiato dai paleontologi. Vi è largamente legato il nome di Teilhard de Chardin. Intorno al 1930 nella cava di Choukoutien, vicino a Pechino, furono trovati i resti di oltre una trentina d'individui di caratteristiche umane estremamente primitive. Risalivano a circa tre centinaia di migliaia di anni (Pleistocene medio). Era il famoso anello di congiunzione. Nei testi è ordinariamente dato come sicuro.

Ma con quanta imparzialità critica? Il primo scopritore, il medico e biologo canadese Black Davidson (1885-1934) era un evoluzionista entusiasta, smanioso di trovare questa nuova specie uomo-scimmia; era così ricco di fantasia che credette di averla scoperta fin dall'inizio, in base al ritrovamento di un solo dente; era così poco preoccupato del rigore scientifico che nel modellare, in base a quei reperti, una mandibola di adulto, di cui vantò la somiglianza con le mandibole umane, riunì due eterogenee porzioni, una di giovane e una di adulto, come rilevò il suo successore, l'antropologo F. Weidenreich (1873-1948). Tutti gli originali, forse per vicissitudini belliche, sono spariti e gli scavi sono stati proseguiti con l'unica garanzia dell'autorità comunista, interessata a valorizzare questa gloria di Pechino. Tutte le misure sono state fatte non su calchi dei pezzi originari, ma su modelli plasmati dal succitato Black, in base a parziali resti cranici (calotte craniche, ossa mascellari, denti), da cui Black ed altri trassero disparate capacità craniche (Black 960, Weidenreich 915, Teilhard oltre 1000). Colpo di scena quando furono trovati anche dei fossili di uomini attuali, centinaia di pietre di quarzo affumicate ed enormi mucchi di cenere (non solo "tracce" di fuoco, come è riportato ancor oggi nei libri). Dopo accurati sopralluoghi l'ipotesi del Sinantropo fu scartata dal grande Paleontologo H. Breuil (1877-1961). Il geopalentologo e antropologo B. M. Baule (1861­1942) definì tale ipotesi "fantastica".

In realtà tutto lascia supporre che sul luogo vi fosse una grande cava e una fornace per la fabbricazione della calce, in età di pieno sviluppo umano. Quei fossili pienamente umani erano gli operatori. I crani più piccoli erano di grosse scimmie, cadute sotto i loro colpi: essi presentano infatti i segni di colpi contundenti; e tutti hanno un buco, probabilmente per estrarne il gustoso cervello.

Quello che Teilhard de Chardin chiamò il "cugino" del Pitecantropo sembra che vi si ricolleghi effettivamente nel sogno.


***


L'uomo di Neanderthal. Questo tipo di vero uomo è certamente esistito, centinaia di migliaia di anni fa. E' così chiamato per la prima scoperta di una sua calotta cranica, nella "Valle di Neander" della Prussia renana, nel 1856. Se ne sono scoperti poi molti in varie zone, come in Francia a Chapelle-aux-Saints, dove nel 1908 fu trovato uno scheletro quasi completo.

Ma anche qui non manca l'equivoco. Il grande M. Boule ne fece una ricostruzione che è restata classica ed è riprodotta in tutti i testi, con la testa pendente alquanto in avanti, a modo abbastanza scimmiesco. Ma è stato un errore. Sergio Sergi (1878-1972) ha dimostrato che Boule aveva innestato male il cranio, per mancanza di alcuni frammenti e che in realtà la testa di quell'uomo era eretta come quella dell'uomo moderno.

Il sogno del pre-uomo sfugge sempre più. Le recentissime scoperte paleontologiche, di cui parlerò in seguito, lo confermano.

 

Evoluzionismo arcaico


Molti pensano alla dottrina evoluzionista come ad espressione di dinamismo, di progresso, di novità, in contrapposto alla staticità e antichità della concezione fissista e creazionista. In realtà essa è invece, per molti aspetti, un ritorno al passato, in contrasto con il progresso scientifico.

L'evoluzionismo cosmico generale rientra nelle più antiche concezioni del pensiero filosofico, come quella dei pitagorici, secondo i quali il cosmo sarebbe sospinto da una interiore tendenza verso il progresso; e, già prima, Esiodo se l'era rappresentato come un immenso organismo sospinto da slancio vitale (siamo nel VII s.a. Cr.). Teilhard de Chardin non ha fatto che ripresentare oggi qualcosa di simile.

Ebbe anche credito tra buoni pensatori credenti, - prima e dopo Darwin - supposto l'intervento iniziale di Dio (oltre che in altri opportuni momenti), rendendo cioè Dio, in qualche modo, fonte e guida dell'evoluzione stessa. Si può risalire, per esempio, ai "principi seminali" di S. Agostino (354-430) (benché d'interpretazione un poco oscura) e a S. Gregorio Nisseno (335-394): "Dopo la creazione della materia, una sorta d'impulso divino imprime al mondo un'evoluzione che mette capo alla produzione dei vegetali e degli animali, i quali non erano contenuti se non virtualmente nella creazione primitiva" (da M. Périer, Le Transformisme) Beauchesne, 1938). Più tardi si può ricordare il dotto gesuita A. Kircher (1601-1680) e poi il grande naturalista G. Buffon (1707­1788) per i quali tutti i viventi potevano derivare da poche specie iniziali. Quanto ai naturalisti Richard Owen (1804-1892) e G. Mivart (1827-1900), erano grandi avversari di Darwin solo in quanto sottoponevano la evoluzione alla diretta guida dell'Essere supremo.


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Questo evoluzionismo universale, scendendo ai fatti concreti, s'imbatte fatalmente nel problema dell'origine della vita, che esso è obbligato a risolvere come naturale transito della materia alla vita, per generazione spontanea: intesa questa, dai più coerenti, come qualcosa che possa sempre ripetersi. Per quelli che credono all'impulso divino dato all'evoluzione, essa è fatta dipendere da un intrinseco potere infuso nella materia, senza però un atto creativo diretto. Questo è l'aspetto più arcaico dell'evoluzionismo a cui ho accennato.

Anassimandro (VI s.a. Cr.) riteneva che dall'umido abbiano avuto origine i primi viventi acquatici e da essi gli uomini. Aristotele, S. Agostino, S. Tommaso l'ammisero. Era opinione comune che mosche insetti, vermi, rane, anguille, perfino topi, derivassero da sostanza in decomposizione o dalla melma, sia pure in virtù di forze naturali e potenzialità immesse dal Creatore (4).

Finalmente è scientificamente crollato questo mito della generazione spontanea: ma non senza tenacissime resistenze di buona parte dell'antico mondo scientifico. Fu merito di Francesco Redi (1628-1698) di escluderla per gl'insetti, del sacerdote Lazzaro Spallanzani (1729­1799), uno dei più illuminati fondatori della biologia moderna, di escluderla per gli infusori, e di Louis Pasteur (1882-1895), tenacemente avversato dal pur dotto naturalista P.A. Pouchet, di escluderla anche per i batteri. Risultò quindi confermato e generalizzato lo aforisma: "omne vivum e vivo", ogni vivente da vivente.

Il moderno evoluzionismo ha fatto un bel passo indietro.


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DUE DISTINTI PROBLEMI


Dopo le preliminari considerazioni precedenti entriamo ora nel vivo del problema, tenendo ben presente, per una soluzione critica veramente imparziale, lo evoluzionismo radicale che esclude qualsiasi intervento creativo, e risolve tutto nel gioco fisico-chimico della materia, senza alcuna intelligenza direttrice.

Questo, di fatto, è l'unico evoluzionismo concepibile dai materialisti. E' chiaro infatti che, escluso per principio un Essere trascendente (ed escluse anche misteriose forze immanenti gratuitamente affermate e non sperimentabili della materia), non si può pensare che a un processo evolutivo meccanicistico e spontaneo della materia stessa. Abbiamo visto antecedentemente che nell'accettare questo evoluzionismo lo scienziato materialista non può essere veramente imparziale e libero. Egli non ha altro scampo che in questa dottrina.

Tali scienziati, pur obbligati nella scelta dalla loro aprioristica pregiudiziale, fanno naturalmente di tutto per cercare di giustificarla in base all'esperienza, anche s,e poi confessano, in genere, lealmente, gli insuccessi della loro ricerca, come già vedemmo.

In questi tentativi di giustificazione vanno ben distinti due problemi. Uno riguarda il fatto della asserita evoluzione, l'altro il meccanismo che l'avrebbe prodotta. In generale questi evoluzionisti dichiarano che le prove del fatto sono ormai sicure, mentre resta tuttora incerto il modo, ossia il meccanismo che l'avrebbe prodotto.

Analizziamo ora, una ad una le pretese prove sicure del fatto. Poi analizzeremo il presunto meccanismo.

Le prove fondamentali del fatto sarebbero date dalla anatomia comparata, che ha scoperto le rassomiglianze e gradualità strutturali dei viventi e gli organi "rudimentali"; la paleontologia che avrebbe mostrato il succedersi progressivo, nei lunghissimi tempi antichi, delle specie, dalle meno alle più perfette; l'embriologia, che sottolineerebbe l'unità di origine; la genetica che da un lato sottolineerebbe ancor più tale unità e dall'altro permette di ottenere, di fatto, variazioni sperimentali.



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ANATOMIA COMPARATA


Gradualità e rassomiglianze dei viventi


Limito la considerazione al regno animale che più interessa perché comprende l'uomo.

Il fatto primario che risalta in questo mondo vivente e che avvinse Darwin, padre dell'evoluzionismo moderno, è che catalogando centinaia di milioni di diverse specie estinte e viventi si ottiene una meravigliosa scala di esseri che, a piccoli gradini, vanno dalla unicellulare ameba alle scimmie antropomorfe e all'uomo. Come spiegare l'esistenza di tale sconfinata varietà e gradualità di specie, talora anche così vicine tra loro? Non è naturale spiegarlo con il fatto di un lento processo evolutivo, secondo varie linee di trasformazione, una delle quali è giunta fino all'uomo?

Ma v'è di più. Tale unità di origine evolutiva sembra validamente confermata dalle impressionanti rassomiglianze delle strutture di base - anche in viventi disparatissimi - per le funzioni di respirazione, nutrizione, generazione, movimento, per le strutture scheletriche, lo sviluppo ,embrionale, ecc. Per esempio, si pensi alla suggestiva corrispondenza ("omologia") di struttura e articolazione dello scheletro delle braccia umane e delle ali degli uccelli. Le due parti dell'arto superiore umano sono il braccio, con l'omero articolato alla scapola, e l'avambraccio, con la coppia ossea radio e ulna, articolata al gomito, in modo da ruotare solo in avanti: la medesima successione e articolazione di ossa si nota nell'uccello. Per la mano, articolata all'avambraccio, con le sue 24 piccole ossa, 8 nel polso (carpo), 5 nel palmo (metacarpo) e 14 nelle dita (falange, falangina e falangetta) la corrispondenza viene bensì a mancare. Ma non del tutto, perché, al termine del1a coppia ossea si articola nell'ala dell'uccello, in altro modo idoneo, il lungo sostegno osseo longitudinale, in cui si ritrovano appunto alcune vestigia del carpo, del metacarpo e delle falangi.

A ben riflettere però, tale scala di perfezioni e tali rassomiglianze dei viventi non provano minimamente un processo evolutivo di formazione. Tutto ciò anzi si inquadra molto meglio nella opposta prospettiva creazionista.

Supposta infatti la creazione di una varietà di esseri, essi debbono ovviamente presentare diversità di perfezioni, in modo da costituire, confrontati tra loro, una scala graduale. Mentre però nell'ipotesi evolutiva dovrebbero necessariamente prodursi (come rivedremo più a lungo in seguito), lungo il lento cammino, numerose specie di transizione non ancora completate e quindi mal formate, esse debbono invece mancare del tutto nell'ipotesi della creazione. E questo infatti risulta in realtà. Anche la minima Ameba risulta, nel suo modo di essere, perfetta.

Quanto, in particolare, alle rassomiglianze strutturali di base esse non potevano mancare, in una "economia" creativa di vasta concezione, per una varietà di esseri destinati a vivere sul medesimo pianeta. Ma, mentre l'ipotetica produzione evolutiva non può spiegare l'esistenza, insieme alle rassomiglianze, delle profonde differenze strutturali specifiche, che si manifestano entro il grande quadro comune, la prospettiva creazionista ne dà la più ovvia spiegazione, esaltando in tale unità di base, capace di attuarsi in tanta diversità la sapienza dello Artefice sommo.

Queste diversità specifiche, veramente profonde, congiunte alle rassomiglianze, sono troppo spesso sfuggite agli evoluzionisti. Rifacciamoci, per esempio, alle suddette ali. A parte la profonda differenza strutturale della mano, già accennata, nello scheletro dell'uccello vi è, rispetto all'uomo, la radicale differenza delle ossa pneumatizzate, provviste cioè di cavità piene di aria, collegate a sacchi aeriferi comunicanti con i polmoni, che realizzano la necessaria leggerezza per il volo. L'articolazione ("omologa") alla scapola del primo osso lungo (omero) è inquadrata in una impostazione scheletrica tutta diversa dall'uomo (e in genere dai mammiferi); è posta cioè in modo che il punto di attacco si trovi al di sopra del centro di gravità di tutto il corpo, senza di che questo girerebbe continuamente su se stesso. E ben più intime ci apparirebbero le differenze se potessimo attardarci nei particolari.

 

***


L'unica deduzione logica dunque che si presenta è che tale enorme numero di specie di graduale perfezione sia dipesa dall'onnipotente volontà del Creatore per dilatare, con tanta molteplicità, il segno della sua potenza. E la sapienza del sommo Artefice risalta proprio dalla creazione di quei grandi e comuni piani strutturali, di base, da un lato conformi unitariamente alle esigenze della comune vita sul nostro globo e dall'altro disponibili ad essere attuati tanto diversamente, secondo le differenti specie.

La logica degli evoluzionisti invece, tutto sommato, è come di chi, considerando, per esempio, una serie di pietre preziose, della stessa materia, ma di diversa lavorazione, disposte in ordine progressivo di grandezza e pregio, ne deducesse che ognuna è derivata dalla precedente.


Gli organi rudimentali


Sempre nel quadro dell'Anatomia comparata, gli evoluzionisti insistono sulla esistenza dei cosiddetti "organi rudimentali" che in alcune specie sembrano non avere più alcuna funzione e non sarebbero che residui di specie antiche che si sono evolute. (Per l'Enciclopedia delle scienze, De Agostini - 1969 - costituirebbero addirittura una prova "inconfutabile" dell'evoluzione).

Citano, per esempio, i germi dentari del feto di balena, la quale da adulta è priva di denti e così un suo rudimentale arto posteriore. Nell'uomo, citano l'appendice vermiforme che pende dal fondo dell'intestino cieco; citano il coccige, piccolo osso, rivolto indentro, articolato al termine dell'osso sacro, che negli animali è sviluppato come scheletro della coda e nell'uomo costituirebbe quindi un puro vestigio.

Al principio del secolo l'elenco degli organi rudimentali dell'uomo era numerosissimo, tanto da comprendervi perfino le glandole cerebrali epifisi ed ipofisi, poi dimostratesi importantissime. Di tutti si sono, via via, scoperte le funzioni per lo meno utili, quando non necessarie, anche se compensabili da altri organi (come per l'appendice, per esempio), così da perdere il significato di organi rudimentali di puro vestigio arcaico, quali cioè reliquie di antichi organi funzionali.

In alcuni casi si è scoperto che si tratta di residui embrionali che non hanno niente a che fare con residui di organi scomparsi. L'embrione infatti, secondo un sapiente principio di organizzazione costruttiva, riunisce in un piano di base molteplici abbozzi preparati per diverse attualizzazioni mature. (Per esempio, alle 24.000 specie tra uccelli e pesci teleostei corrispondono due soli tipi fondamentali di organizzazioni embrionali.) Certi sviluppi pertanto non utili per una specie, ma con radici comuni o colleganze embrionali con sviluppi richiesti dalla specie stessa possono o compiere funzioni provvisorie a vantaggio di essa o restare semplicemente immaturi.

Così, per esempio, quanto ai suaccennati germi dentari del feto di balena. Darwin non si accorse che, così grossi e moltiplicati e adattati alla lunghezza della mascella, hanno una funzione importante nella formazione matura della mascella stessa che vi si appoggia e vi si modella. Quanto al rudimentale arto posteriore della balena, basta notare che anche nei cetacei il bacino, pur molto ridotto, non è privo di funzione ed esso è normalmente prodotto dalla proliferazione embrionale verso il tronco dell'abbozzo precartilagineo dell'arto. Anche nella balena in crescita questo è quindi provvisoriamente utile; poi in parte rimane (L. Vialleton, Membres et cintures des vertébrés tétrapodes, Paris 1924).

Una parola ancora, a puro titolo di esempio, su quei due organi umani, ordinariamente presentati dagli evoluzionisti come residui evoluti di organi la cui antica funzione sarebbe poi cessata. L'appendice è bensì molto più sviluppata negli animali erbivori, nei quali ha la funzione di decomporre l'abbondante cellulosa, mediante la propria flora batterica. Tale funzione è ovviamente ridotta nell'uomo, onnivoro. Tuttavia anche nell'uomo essa è capace di movimenti peristaltici e per il suo abbondante tessuto linfoide e la speciale secrezione (muco, linfociti, cellule epiteliali) ha utile funzione antibatterica e antitossica (sia pure surrogabile, in caso di asportazione), anche più importante nell'embrione e nel neonato, nei quali presenta perciò dimensioni relativamente maggiori. Quanto al coccige, la sua importante funzione appare subito appena si analizzi uno scheletro. Esso costituisce l'ultima punta della colonna vertebrale, opportunamente rientrante per funzionare, avvicinandosi diametralmente alla sinfisi pubica, come importante punto di inserzione e sostegno del pavimento muscolare del bacino (perineo). In particolare vi si inseriscono il muscolo elevatore, lo sfintere esterno dell'ano e l'ischiococcigeo e nella parte posteriore alcune fibre del grande gluteo. (Da notare, nei confronti dei quadrupedi, lo spedale bisogno dell'uomo del sostegno del pavimento del bacino per la sua posizione quasi orizzontale.) Non quindi vestigio di antica coda, ma utile organo, inquadrato bensì sapientemente nel piano comune strutturale del prolungamento della colonna vertebrale, ma con specifici caratterizzazione umana.

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PALEONTOLOGIA



La progressiva comparsa delle specie viventi


La geologia ha scoperto il modo di determinare l'età dei vari strati terrestri. I fossili, cioè i resti dei viventi trovati negli scavi (il nome deriva dal latino fodere) scavare), svelano quindi le specie che vivevano nelle epoche dei rispettivi strati. Tali strati geologici costituiscono cioè come un museo storico degli antichi viventi, distribuiti nei padiglioni delle singole epoche. Se si scopre pertanto la comparsa successiva di specie viventi via via più vicine alle attuali, fino all'uomo, sembra legittimo spiegare il fatto con una progressiva e perfettiva evoluzione, a partire da una primordiale comparsa della vita. Così pensano gli evoluzionisti. Ma arbitrariamente.

Anche nell'ipotesi infatti (data e non concessa, perché non è esatta, come dirò) che i reperti fossili comparissero proprio secondo il suddetto ordine progressivo, arrivando anche a scimmie antropomorfe e, per anelli intermedi, all'uomo attuale, il concatenamento generativo successivo resterebbe ancora tutto da provare. Ciò perché lo stesso dovrebbe risultare anche nella piena prospettiva creazionista.

Se il Creatore infatti ha voluto arricchire della vita le antiche epoche della terra, avrà dovuto fare successivamente sorgere viventi adatti a quelle progressive condizioni ambientali, lungo tutto il corso evolutivo fisico, fino all'epoca presente. Tali viventi dovevano poi scomparire, al cessare della corrispondente adattabilità.

Con la differenza che, mentre nell'ipotesi spontaneamente evolutiva la successiva comparsa, senza alcun salto, nei singoli filoni evolutivi, di tutte le progressive specie intermedie (comprese quelle incomplete, di transizione) sarebbe necessaria, non lo è ugualmente nella prospettiva creazionista, secondo cui, pur con ordinata corrispondenza all'ambiente, possono aversi, per libera volontà del Creatore, improvvise comparse di nuove specie (tutte perfette) e anche affiancamento di specie diversissime.


***


Ebbene, la paleontologia moderna, in realtà, presenta le sempre più numerose scoperte fossili molto più in armonia con la prospettiva creazionista che con quella evoluzionista. Il grande paleontologo americano G. G. Simpson (n. 1902) riconosce che "molte specie e generi compaiono improvvisamente differendo in modo notevole e multiplo da qualunque altro gruppo più antico". G. Sermonti, che lo cita, precisa che ciò vale ancor più per "le famiglie, gli ordini, le classi, i tipi [gruppi cioè sempre più vasti]. Tutti i tipi degli invertebrati compaiono in breve tempo nel Cambriano, senza tracce di ascendenti in strati precedenti" (art. cit. del 6 luglio). Per il paleontologo R. Fondi la "brusca e improvvisa comparsa" di gruppi "complessi ed eterogenei", "bruscamente seguita" da gruppi "via via sempre meno complessi ed eterogenei" (capovolgimento dell'ordine di comparsa), la mancanza di rispettivi "antenati comuni" dei suddetti gruppi e di "forme intermedie di passaggio tra essi", provano che "la concezione evoluzionista della vita va considerata come scientificamente fallita" (art. cit. del 22 luglio). Ricorderò, tra gli spettacolari capovolgimenti delle presunte successioni evolutive il caso degli Elefanti che si sogliano far risalire ad antenati, con proboscide appena iniziata, piccoli come Tapiri. In Sicilia si è invece recentemente scoperta una successione fossile inversa, prima di una specie gigante, poi di una specie piccola di meno di due metri e poi di una piccolissima di nemmeno 90 cm., con numerosissimi esemplari.

Lo stesso deve dirsi per il preteso filone evolutivo dell'uomo. A tale riguardo le scoperte fossili si succedono così frequentemente che non esiste in materia un testo che possa dirsi aggiornato: ma comunque esse infirmano, anziché confermare, le antecedenti prospettive evoluzioniste. Dopo la scoperta (1856) della razza arcaica certamente umana di Neanderthal i reperti di tali individui fossili si sono moltiplicati; poi altri reperti hanno fatto recedere di varie centinaia di migliaia di anni l'esistenza di veri uomini, più rassomiglianti agli attuali dei Neanderteliani, come quelli di Swanscombe (1935) e di Fontechévade (1947). Dall'origine asiatica dell'uomo (di cui si era creduto di trovare la prova prima nel Pitecantropo e poi nel Sinantropo, dei quali vedemmo la inconsistenza) si è passati all'origine africana, dove si è creduto di trovare finalmente i veri "Antropoidi", precursori dell'uomo. Ma dopo la scoperta della scimmia antropomorfa Australopiteco, nell'Africa australe (R. Dart 1924), di oltre 1 milione di anni, capacità cranica 500 cmc., si sono trovati reperti sempre più antichi, fino a quelli della Gola di Ulduwai (Louis Leakey, 1903-1972) in Tanzania: il Zinjanthropus (1959), di quasi 2 milioni di anni e quasi 600 cmc. e il contemporaneo e rassomigliante Homo habilis (1964). Poi si sono avuti i rinvenimenti clamorosi del lago Rodolfo (Richard Leakey), nel Kenya: l'Uomo del lago Rodolfo (1972) di circa 3 milioni di anni, 880 cmc; e ulteriori rinvenimenti si annunciano.

A parte le incertezze di queste forme e misure di crani, ricostruiti spesso con troppo incompleti e minuti frammenti, e a parte la problematica attribuzione di caratteri umani a queste misteriose creature, resta capovolta la presunta progressività evolutiva della capacità cranica, che risulterebbe invece accresciuta col retrocedere degli anni. E la dipendenza evolutiva dalle scimmie antropomorfe è infirmata.


Gli insignificanti anelli di congiunzione


Se la generazione evolutiva dei viventi è vera, la sua progressività deve essere indubbiamente caratterizzata (a parte le forme di transizione incomplete e imperfette che ora non considero e di cui comunque non si hanno tracce) da specie intermedie, quali "anelli di congiunzione". Essi sono perciò sempre appassionatamente ricercati dagli evoluzionisti. Ma la paleontologia è invece quanto mai avara di tali forme intermedie.

Bisogna tuttavia riflettere che, anche se abbondassero, positivamente non proverebbero niente. Una forma intermedia infatti o sarebbe tanto vicina alla precedente da rientrare nelle sue "varietà" (che non mutano specie) e rientrerebbe in quella, o costituirebbe un'altra specie e si ripresenterebbe interamente, per la sua comparsa, la doppia prospettiva o creazionista o evoluzionista. Chi nega che una pietra possa spontaneamente saltare un gradino di un metro deve negare anche che possa saltarne molti, intermedi, di pochi centimetri. Chi vede nella mirabile scala dei viventi l'opera del Creatore, non la vedrà che più arricchita da tali specie intermedie.


***


Un esempio molto istruttivo è dato dalla scoperta del più antico genere di uccelli fossili, l'Archaeopteryx (da archaios) antico e ptéryx, ala), trovato nel 1861 nel calcare litografico di Solenhofen in Baviera. La finissima grana di questo calcare ha permesso di conservare preziosi particolari strutturali. Un altro esemplare fu trovato nel 1877. Lo strato geologico è del Giurassico superiore, sicché risale a circa 120 milioni di anni. Grande come un piccione, aveva una lunga coda e due grandi ali l'una e le altre largamente pennute, una testa con molti denti e spiccate affinità scheletriche con i rettili per riguardo al cranio e alla colonna vertebrale. Viene perciò comunemente presentato come "evidente prova" di derivazione dai rettili e conseguentemente come "prova decisiva" a favore dell'evoluzione.

Ma è una affermazione arbitraria che nasce dal gratuito presupposto che quando una certa forma vivente possiede alcune caratteristiche di un'altra precedente deve averle derivate da quella.

In realtà da questo ritrovamento si può dedurre solo l'esistenza, in quei tempi, di questo speciale ordine di uccelli (chiamati Saururi) che univano, insieme alle caratteristiche nettissime di uccello, alcune caratteristiche di rettile. Si chiamino pure, se si vuole, forme di transizione, ma non di derivazione; né si ritengano incomplete e imperfette. Una tale combinazione di disparate caratteristiche rientra nella grandiosa varietà, talora bizzarra, delle forme viventi.

Che dire, per esempio (passando a tutt'altra classe animale) di quell'unico strano mammifero volante che è il Pipistrello, diffusissimo (se ne contano oltre 1000 specie), mezzo topo e mezzo uccello (a volerlo chiamare così, benché mammifero, per il volo)? Né si tratta di una forma male strutturata, rudimentale, transitoria. E' invece perfezionatissima e magnificamente dotata per il suo modo di vita. Si è perfino scoperto che, per evitare gli ostacoli nel suo notturno volo saltellante (dovuto alle ali membranacee e particolarmente idoneo per catturare gli insetti), emette degli ultrasuoni di cui percepisce l'eco, riflesso da quei corpi: un radar acustico. Un capolavoro! E' forse "derivato" dal topo? O, viceversa?


I "fossili viventi" smentiscono l'evoluzionismo


Si chiamano "fossili viventi" le specie attualmente viventi, conservatesi uguali alle antichissime loro forme fossili, che erano coeve di altre forme fossili da tempo estinte. Non si tratta di pochi casi, spiegabili come eccezioni dovute a circostanze ambientali forse specialissime.

Sono troppi.

L'evoluzionismo spontaneo non ammette specie fisse, cioè non soggette a evoluzione, eccetto quelle fossili scomparse, che costituiscano le forme ultime di rami evolutivi essiccatisi. Le altre specie scomparse vengono considerate come poste nella linea o alla radice di altre specie progredite, alcune delle quali giunte alle forme attuali. Le attuali, d'altra parte, apparirebbero fisse soltanto per il breve periodo di tempo della nostra osservazione.

In via generale pertanto - si badi bene - di nessuna specie è stato osservato sperimentalmente il comportamento lungo centinaia di milioni di anni, durante i quali sarebbe avvenuto il presunto passaggio evolutivo ad altra specie. Dagli evoluzionisti tale passaggio è stato postulato soltanto in base al confronto di specie estinte con altre estinte successive e con le attuali.

Le uniche specie sperimentalmente controllabili nel loro comportamento, lungo tali lunghissimi tempi geologici, sono questi cosiddetti "fossili viventi", di cui possiamo analizzare e direttamente confrontare, sia le vestigia fossili sia gli attuali esemplari viventi.

Ora questi esemplari si dimostrano, in modo impressionante, uguali alle loro vestigia fossili, in drastica contraddizione al postulato evoluzionista.

Qualche suggestivo esempio. La Lingula, molluscoide bivalve, appartenente ai brachiopodi "ecardini" (cioè con valve senza cardine), con adeguatissima struttura interna, diffusissimo nelle numerose specie viventi (160), si riallaccia immutata nelle migliaia di specie fossili, antiche fino a 500 milioni di anni. Il genere Limus, apparentemente crostaceo, ma meglio considerato come aracnide, anch'esso vivente in varie specie in tutto il mondo a diverse profondità marine (di struttura così bene organizzata che a1cuni evoluzionisti lo pongono all'origine delle primitive forme di vertebrati), è uguale ai fossili di 200 milioni di anni. Gli Scorpioni si sono conservati così per centinaia di milioni di anni. Lo scrigno prezioso di un blocco di ambra ci ha perfino conservato un Ragno con le sue fini strutture e una Cicala come le attuali, che risalgono a 30 milioni di anni. Nei depositi calcareo marmosi di Bolca (monti Lessini, Verona) che hanno 50 milioni di anni si seguitano a scoprire magnifici pesci fossili, con finissimi particolari, uguali a quelli che si ritrovano oggi nelle acque tropicali. m piccolo marsupiale Opossum della Virginia ricorda strettamente i corrispondenti fossili del cretaceo superiore, che risalgono a 100 milioni di anni.

E ogni tanto si fanno nuove scoperte e si hanno nuove sorprese. Nel 1830 fu trovato in un isolotto della N. Zelanda il vivente lucertolone (60 cm.), col muso a becco, Tuatara (nome neozelandese della Hatteria - o Sphenodon - punctata) che si riallaccia a simili rettili di 200 milioni di anni e che si riteneva estinto da circa 100 milioni. Nel 1914 si è scoperto che il Varano gigante (può superare i 4 metri), che richiama i fossili Sauri di 200 milioni di anni, vive ancora in un'isola della Sonda.

Forse la sorpresa più clamorosa, che fu definita "una delle più grandi scoperte zoologiche del nostro secolo" avvenne h vigilia di Natale del 1938, quando si ebbe la prova della sopravvivenza dei pesci Celacantidi (il nome viene da koilos, cavo, akantha, spina: perché hanno delle spine cave), vissuti per due o trecento milioni di anni nell'era paleozoica e che si ritenevano estinti nel periodo cretaceo da oltre 70 milioni di anni: lunghezza circa un metro e mezzo, coda che sembra piuttosto un prolungamento del corpo, pinne articolate al corpo con peduncoli che sembrano abbozzi di veri e propri arti, addome con una specie di grande polmone degenerato che sembra indicarne una tendenza anfibia. Era ritenuto una tappa evolutiva verso i rettili, gli uccelli, i mammiferi. Ma quel giorno, alla foce del piccolo fiume sudafricano Chalumna, ne fu pescato uno che fu sistemato per la conservazione e analizzato dalla dottoressa Courtenay-Latimer, dal nome della quale, insieme a quello del luogo fu coniato il nome di questa specie: Latimeria-Chalumnae. La conservazione di quel pesce e l'analisi non riuscirono molto soddisfacenti. Ma nel 1925 ne fu pescato un altro esemplare (di specie quasi identica) presso le isole Comore e nei tre anni successivi altri dieci, studiati a fondo. Quei Celacantidi in tutto questo lunghissimo periodo, evoluzionisticamente più che sufficiente a determinare la trasformazione progressiva della specie, sono restati tali e quali.



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EMBRIOLOGIA


Legge biogenetica fondamentale


Haeckel presentò questa legge come prova fondamentale dell'evoluzione e per renderla più persuasiva si permise perfino di falsificare schemi e fotografie. Già lo vedemmo. Secondo tale legge ['evoluzione embrionale dal semplice al complesso di un soggetto ("ontogenesi") ricapitolerebbe l'evoluzione progressiva delle specie ("filogenesi"). In particolare, gli stadi successivi dell'embrione umano si rassomigliano ai gradi successivi delle specie inferiori animali. Per esempio, in esso compaiono prestissimo delle forme di branchie proprie dei pesci, il che avviene ugualmente negli embrioni di tutti i vertebrati. Ciò "dimostra" - seguitano a ripetere anche oggi gli evoluzionisti - una comune origine acquatica dell'uomo e di tutti i vertebrati.

Ma non si tratta che di un equivoco. Va ben sottolineato, innanzi tutto, che quelle prime fasi embrionali umane non rassomigliano affatto ad animali maturi di specie inferiore, ma solo ai loro embrioni; e la rassomiglianza diviene sempre minore via via che l'embrione si sviluppa e si attualizzano le strutture specifiche dell'individuo. Ora è chiaro che tali specifiche strutture non possono attuarsi di colpo e le elaborazioni iniziali quasi amorfe non possono non rassomigliarsi. Esse partono anzi dalla totale identità esteriore di ogni cellula uovo fecondata. Ma in questa sono precontenute virtualmente le strutture delle rispettive specie che si attualizzeranno progressivamente fino ai rispettivi individui maturi: e ciò - come oggi si è scoperto - secondo la perfetta programmazione determinata dalle specifiche strutture microscopiche dei cromosomi del nucleo cellulare.

Rientra, d'altra parte, in un mirabile criterio di razionalità costruttiva l'unità, ossia il modello comune dei primi stadi embrionali, plurivalenti per le future specificazioni strutturali (per esempio, come già ricordai, per 24.000 specie di uccelli e pesci teleostei si hanno due soli tipi fondamentali di organizzazione embrionale). Ne risulta sottolineato anziché un processo evolutivo dovuto al caso, il lungimirante piano costruttivo del sommo Artefice.

Il fatto particolarmente vistoso di quelle formazioni di aspetto branchiale (archi, tasche e solchi divisori branchiali) che compaiono nelle pareti laterali della estremità superiore (cefalica) dell'embrione umano, nelle prime fasi in cui ha pochi millimetri di lunghezza, ne è una conferma emblematica. A differenza dei pesci, quei solchi non si perforeranno mai per la formazione di vere branchie respiratorie. Tali formazioni embrionali umane invece, così opportunamente distinte, si svilupperanno (a parte qualche residuo secondario che, utile per le momentanee giustaposizioni, poi regredirà) in precisi e preordinati organi del feto e dell'individuo maturo: il primo arco darà origine alla mandibola e al corpo della lingua, il primo solco esterno al condotto uditivo esterno, la prima tasca al timpano e alla tromba di Eustachio, ecc.

Nessun richiamo dunque ad antenati acquatici, ma alla grandiosa unità plurivalente dei piano costruttivo ddl'unico sommo Artefice.

 

GENETICA


Identità strutturale e funzionale dei viventi


La microscopica cellula, intravista già nel sughero, nel XVII s. (R. Hooke, M. Malpighi) e poi scoperta quale componente elementare di ogni struttura vivente animale e vegetale (J. Scheiden, Th. Schwann, 1838, 1839), già svelò una fondamentale unità dei viventi.

Questa unità è stata poi immensamente esaltata dalle ultime sensazionali scoperte circa l'intima struttura e funzione delle cellule stesse e del loro nucleo. Ogni individuo maturo risulta dalla moltiplicazione a miliardi e miliardi di una prima cellula (negli esseri sessuati è la "cellula germinale", fecondata). Nell'uomo, tra cellule mobili (la maggioranza, globuli rossi del sangue) e fisse sono circa 30.000 miliardi. Tale moltiplicazione deve avvenire in modo controllato e differenziato per poter produrre le diverse sostanze e i diversi organi degli individui delle singole specie. Per tale controllo e guida servono diverse frazioni (ciascuna chiamata gene) di lunghe, doppie catene molecolari attorcigliate (acido desossiribonudeico: DNA) costituenti i cromosomi (lunghezza di questi: qualche millesimo di millimetro, larghezza: qualche decimo della lunghezza), situati nel nucleo della cellula. Ogni specie ha in ogni cellula un proprio numero fisso di cromosomi (46 per l'uomo) e di geni diversamente disposti nei cromosomi stessi (60.000 per l'uomo), che costituiscono la base fisico chimica della trasmissione ereditaria dei caratteri specifici ddl'individuo.

Gli evoluzionisti che già come vedemmo si appellano alle rassomiglianze strutturali delle specie viventi e, tanto più, alle rassomiglianze embrionali, si appellano ora, in modo da molti considerato definitivo, a questa unificazione strutturale genetica, che svelerebbe la unica comune origine.

Ma confondono, al solito, la comune origine creativa dall'Artefice sommo, con la cieca generazione evolutiva da un primo grumo vivente.

In realtà questa unità strutturale genetica di base, ben più vasta di quella suddetta embrionale (perché il modello dei cromosomi si estende a tutti i viventi e scende fino alla radice della vita) non fa che esaltare il meraviglioso piano unitario costruttivo di tutto il mondo vivente: tanto più meraviglioso in quanto non solo mantiene, ma fissa maggiormente le diversità specifiche e la loro trasmissione ereditaria. Ciò precisamente in quanto tali diversità risultano Pteordinate in una tanto intima struttura: tanto intima, da essere radicalmente difesa contro i deformanti influssi esterni.

Risulta quindi tanto meno ipotizzabile lo spontaneo passaggio da una specie all'altra.

D'altra parte - a riflettere in grande sintesi ­ come avrebbe potuto un ipotetico unico processo cieco evolutivo produrre contemporaneamente e contraddittoriamente sia questa radicazione intima, fissativa delle specie, sia il passaggio dall'una all'altra? (Più concretamente vedremo inseguito quanto sia insignificante il rifugio nelle "mutazioni" e nella "selezione".)


Variazioni sperimentali


Naturalmente questa fissità della specie non va intesa in modo rigido, perché una caratteristica della vita è la sua elasticità di adattamento. Ma le variazioni secondarie non mutano la specie. Non muta per esempio la specie umana per il fatto che la statura media è aumentata in un secolo di 10 cm. e seguita a crescere.

Si è anche riusciti sperimentalmente ad operare intrinsecamente in qualche vivente modificandone l'assetto genico-cromosomico così da produrre nuovi caratteri ereditari: Ma sono state modificazioni di portata secondaria: e comunque gli artificiosi e geniali sforzi fatti per ottenerle ("ingegneria genetica") confermano la naturale resistenza ai cambiamenti stessi.

Bene a ragione il già citato Jean Rostand ha potuto affermare che, con le nuove scoperte "la natura vivente apparisce ancora più stabile, più fissa, più ribelle alle trasformazioni".



I PRESUNTI FATTORI EVOLUTIVI


"Adattamento", "bisogno", "esercizio".


Finora abbiamo considerato le presunte prove del fatto dell'evoluzione: prove risultate non valide. Passiamo ora a considerare il meccanismo che l'avrebbe prodotto, cioè i fattori che vengono presentati come idonei a produrre l'evoluzione stessa.

E' chiaro che se questi fattori risulteranno illusori ne risulterà confermata la non esistenza del fatto.

Tutto ciò antecedentemente alle prove positive contro l'evoluzione, che vedremo nei successivi capitoli.


***


La vecchia e fondamentale tesi lamarckiana delle modificazioni per l'adattamento all'ambiente, per il bisogno che crea e l'esercizio che sviluppa l'organo adatto, è scientificamente abbandonata. Il recente tentativo del biologo russo Lysenko di riesumarla in qualche modo è fallito miseramente, come vedemmo. A semplice lume di logica del resto e in sintesi (a prescindere dalle possibili, limitate variazioni che rientrano nell'elasticità della vita e possono magari dipendere da semplice variata attività degli ormoni) si intuisce che un ambiente favorevole può non cambiare, ma consolidare una specie come è e uno troppo sfavorevole estinguerla. E, quanto agli organi, se manca o è inadeguato qualcuno necessario la specie morirà, mentre l'esercizio di quelli esistenti E consoliderà lasciandoli sostanzialmente quali sono. Sta inoltre il fatto che queste ipotetiche modificazioni avverrebbero lentamente e gradatamente. Prima quindi che un nuovo assetto e un nuovo organo avessero la maturità sufficiente per divenire funzionanti la specie che ne avesse avuto bisogno si sarebbe estinta.

Non è mancato, a pretesa prova dell'azione trasformatrice dell'ambiente, il richiamo di certi studiosi al fenomeno del mimetismo di molte specie animali. Esso dimostra invece, al contrario, non la dipendenza dall'ambiente, ma il dominio sull'ambiente di specie animali antecedentemente e in modo fisso arricchite, a propria utilità, di meravigliose strutture. Il cambiamento di colore, per esempio, è dovuto ad appositi cromatofori (cellule contenenti pigmenti, che esse possono emettere, contraendosi) regolati dalle impressioni visive, sollecitate periodicamente dall'ambiente, secondo le stagioni. O si pensi a certi insetti con artificiosissime forme, di foglie, ecc., preordinate, in modo fisso, per confonderli perfettamente, per propria difesa, con gli oggetti circostanti.

Ma l'argomento scientifico decisivo contro tali ipotetici fattori evolutivi è che i caratteri "acquisiti" mediante la lotta vitale contro l'ambiente e mediante l'esercizio degli organi non passano nel patrimonio "ereditario". Questo prosegue ad essere identicamente determinato dall'intima struttura dei cromosomi (come innumerevoli esperienze moderne hanno confermato). E ciò perfino nei più inaspettati aspetti secondari. Nelle aree di appoggio del piede umano, per esempio, si notano spessori maggiori della cute. Ciò non deriva dalla pratica del camminare, ma dall'esigenza del camminare, già prevista in quelle intime strutture germinali, tanto è vero che il fenomeno si riscontra fin dallo sviluppo embrionale e fetale (né si può pensare che tali strutture cromosomiche siano state modificate, a tal fine, dal camminare del genitore).

Eppure su seri libri di divulgazione si legge ancora la piacevolezza che la giraffa ha allungato il collo per il bisogno di brucare le foglie degli alberi cresciuti. In un libro, che andò a ruba, dello zoologo D. Morris (La scimmia nuda, trad. Bompiani, 1968), viene esposta con serietà l'ipotesi che l'uomo abbia perduto il pelo delle scimmie per il bisogno di eliminate i fastidi dei parassiti. Nel mensile Il Corriere UNESCO. (agosto-settembre 1972) si riattribuisce tranquillamente, contro i certi dati della scienza,ereditabilità ai comportamenti "acquisiti" e potere evolutivo al "bisogno". Vi si leggono queste ingenuità: "'La tendenza alla stazione eretta ha potuto essere favorita dall'abitudine di portare il cibo nelle braccia fino ad un luogo dove mangiare tranquillamente o forse dalla necessità di portare in braccio i bambini, o forse anche dal bisogno di alzarsi per guardare al di sopra delle erbe o dall'astuzia di non offrire con la schiena orizzontale una base d'appoggio all'assalto delle belve" (p. 10).


"Mutazione" e "Selezione"


Escluse le suddette prospettive lamarckiane, i due fondamentali fattori evolutivi presentati dall'evoluzionismo scientifico moderno sono le "mutazioni" casuali e la "selezione" che le coadiuva.

I costituenti essenziali dei corpi viventi (della loro massa plastica: non dei composti energetici, quali i carboidrati e gli acidi grassi) sono le proteine, che hanno una struttura molecolare estremamente complessa. Le loro molecole sono formate da lunghe sequenze dei 20 tipi esistenti di amminoacidi (composti di gruppi carbossilici: -COOH e amminici: -NH2). Si ritiene oggi (F.H.C. Crick, n. 1916) che ogni tipo di proteina sia codificato cioè regolato da un gene o più geni, ossia segmenti dell'acido nucleico (DNA), costitutivo dei cromosomi dei nuclei delle cellule. Ogni cambiamento (casuale o indotto da agenti modificatori, come radiazioni, ecc.) o di interi cromosomi o di qualche gene modifica le corrispondenti strutture proteiche. Quando questo avviene nelle cellule germinali, tale modificazione diviene ereditaria, costituendo appunto una "mutazione". In genere sono modificazioni dannose. Ma qualcuna può essere utile e capace quindi di far prevalere - in opportuno ambiente - gli individui che l'hanno subita sugli altri, così da estendersi, per progressiva selezione a tutta la popolazione. Anche se sono mutazioni piccole, l'accumularsi di quelle utili può condurre a un progressivo arricchimento e quindi a specie superiori. Questa è la spiegazione moderna dell'evoluzionismo spontaneo, secondo i più grandi luminari della scienza.

Ed è una grande ingenuità. Intanto, artificiosa e gratuita è la supposizione che le rare mutazioni utili possano prevalere su quelle generalmente dannose. Inoltre il tempo perché capitino casualmente tali presunte utili combinazioni e mutazioni necessarie per l'essenziale svolgimento evolutivo, risulterebbe, in base al calcolo delle probabilità - secondo ottimi studiosi - superiore all'età stessa dell'universo: sarebbe quindi mancato il tempo necessario.

Ma, anche a prescindere da queste forti obiezioni tale spiegazione evoluzionista è distrutta dai seguenti due semplicissimi rilievi (restando sul piano puramente materiale).

Primo. L'individuo di ogni specie non è una pura massa amorfa di materia vivente, né un confuso mucchio di materiali organici qualitativamente e quantitativamente diversi, ma un corpo morfologicamente bene ordinato e specificamente bene, intelligentemente, organizzato, con un complesso di organi di idonea materia forma e posizione. Una capra - è una battuta di G. Goglia - non ha la forma di un uomo. Ma le sperimentate colleganze di ogni gene con le proteine da esso codificate riguardano solo la qualità e quantità, prescindendo dal fattore morfologico. Verranno dunque prodotti i diversi materiali da costruzione, ma la costruzione, no: né la costruzione di una specie, né, evolutivamente, di una nuova. E ciò qualunque siano le supposte utili "mutazioni". Si è perciò ulteriormente ipotizzato (Britten, Kohne, Goglia) un controllo regolatore "sopragenico" che sarebbe compiuto da una speciale e cospicua parte del DNA. Ma siamo sempre lì. Strutture e attività ancora puramente atomico-molecolari e fisico­chimiche sono al di fuori del problema propriamente morfologico. Si può ancor più evidenziare tale inadeguatezza riflettendo al fattore estetico. Le forme viventi hanno una loro simmetria, armonia, bellezza, solo intellettualmente valutabili. Esse non hanno alcun senso per le pure attività fisico chimiche. Queste sole non avrebbero mai prodotto un bel volto umano o la splendida livrea di un Uccello del paradiso.

Secondo. Anche però se i geni dei cromosomi, contro quanto ora ho detto, esercitassero una guida morfologica, le presunte casuali "mutazioni" utili non potrebbero essere avvalorate dalla selezione e rimarrebbero insignificanti per l'evoluzione. Le mutate strutture infatti, per essere funzionali e va1lorizzabili selettivamente, dovrebbero riguardare solidariamente non una sola parte, ma tutta l'impostazione anatomica e fisiologica dell'individuo (tutta l'impostazione dello scheletro, per esempio, per il passaggio al volo degli uccelli). Si dovrebbero avere quindi "mutazioni" utili contemporanee, multiple e sapientemente guidate, proprio contro la tesi evoluzionista, secondo cui non possono essere che rare e casuali. E, comunque, sia il nuovo trasformato complesso, sia i singoli nuovi organi, prima della piena mutazione, non sarebbero funzionali (con una quasi branchia non si vive neanche un poco sott'acqua, con una quasi ala non si vola), non potrebbero essere sviluppati dall'uso ancora impossibile e non recherebbero alcun vantaggio agli individui che li posseggono (e anzi li danneggerebbero, per le ibride funzioni intermedie di certi organi), rendendo evolutivamente inoperante la selezione.

Questa dunque non potrebbe che consolidare le specie già funzionanti.

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02/09/2010 22:36
 
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IMPOSSIBILITA' DELL'EVOLUZIONE SPONTANEA


Impossibilità radicale generale


Quanto dunque al fatto della evoluzione, cioè se essa sia veramente avvenuta, abbiamo visto che le prove addotte sono inconsistenti ed anzi i dati di osservazione suggeriscono il contrario. Quanto poi al meccanismo, cioè ai fattori naturali che l'avrebbero determinata, ne abbiamo pure visto la inefficacia. Ma sono stati, in fondo, argomenti negativi.

Vogliamo ora fare un passo avanti e vedere se vi sono argomenti positivi e veramente decisivi contro di essa.

Per ottenere una più radicale confutazione, conviene iniziare l'analisi partendo dall'ipotesi più favorevole all'evoluzionismo. Partiamo cioè dalla concezione del mondo materiale puramente meccanicista, un mondo la cui costituzione di base si risolva tutta in pure combinazioni di particelle e dinamismi energetici. In tale ipotesi, tutti i corpi, viventi o no, vengono livellati a questa loro comune costituzione di base, il che rende meno ardua la presunta trasformazione evolutiva dall'uno all'altro. E' questa, del resto, la concezione cosmica comunemente seguita dalla scienza evoluzionista (e, in prima linea, inutile dirlo, da quella atea, che si illude, in tal modo, di escludere e gli interventi e la esistenza stessa del Creatore: il premio Nobel F. Crick ha opposto esplicitamente il suo evoluzionismo meccanicista al cristianesimo, in Uomini e molecole, 1970).

In tale quadro dunque, il risultato meccanicistico del puro gioco del caso avrebbe determinato tutta l'evoluzione spontanea, dall'auto organizzarsi del primo nucleo di materia vivente fino all'uomo. (Siamo, in fondo, alla concezione base di Democrito, V-IV s. av. Cr.: tutto ridotto ad atomi materiali.)


***


Ma scatta subito la prima radicale confutazione generale.

Nessuno certamente ritiene che da uno scatenamento, a caso, di reazioni fisico-chimiche, tra una moltitudine di atomi, possa istantaneamente sgorgare la complicatissima e perfetta struttura di un vivente corpo umano (sia pure interpretato anch'esso, nel suddetto modo meccanicistico, come un puro complesso di atomi e corpuscoli in interazione fisico-chimica). Anche ripetendo l'esperienza un numero quanto si vuole di volte, tale risultato istantaneo apparisce sempre tanto improbabile da rientrare praticamente nella probabilità nulla, ossia nella impossibilità (a parte che, chi ha cercato di applicare il calcolo matematico delle probabilità, ha trovato che, per l'attuarsi, a caso, non di un corpo umano, ma anche di una sola primordiale entità vivente, occorrerebbe un tal numero di prove rapidissime da superare il tempo di esistenza dell'universo).

Gli evoluzionisti però - questo è il punto - ritengono che tale impossibilità scompaia, se dall'istantaneità si passi alla lenta evoluzione, con tante piccole mutazioni casuali fortunate, avvalorate dalla selezione. Ora ecco l'equivoco. L'illusione sta nel considerare isolatamente i singoli eventi casuali utili e i corrispondenti piccoli progressi evolutivi, ognuno dei quali non sarebbe impossibile. In realtà, il risultato evolutivo finale (questo corpo umano, per esempio) è e va visto invece quale effetto di tutto il complessivo gioco fisico­chimico, distribuito in tempi lunghi quanto si vuole. Resta pertanto integra l'impossibilità - come per l'effetto istantaneo - che un tale cieco processo produca la struttura meravigliosamente ordinata dell'attuale vivente. Il lunghissimo tempo operativo - al confronto con l'impossibile istantaneità - non elimina infatti la radicale sproporzione tra la complessiva causa cieca e il mirabile effetto: anzi l'accresce, presupponendo una assurda capacità del puro caso di mantenere, per così lungo tempo, la medesima linea costruttiva e di neutralizzare gli eventi contrari (mutazioni dannose, che sono la stragrande maggioranza). L'impossibilità che una pietra possa saltare in un istante su un gradino di un metro non si elimina immaginando che vi possa saltare, durante un lunghissimo tempo, salendo un solo millimetro alla volta. L'impossibilità che gettando, di un sol colpo, su una tela un mucchio di pennelli si ottenga la trasfigurazione di Raffaello, non si elimina supponendo che, durante un lunghissimo tempo, vi si getti, a caso, un pennello alla volta: anzi si accresce, non potendo il cieco caso mantenersi in armonia col medesimo piano artistico in modo da evitare così a lungo che pennellate dannose distruggano quelle utili.


***


Ancor più intrinsecamente, si rifletta all'equivoco fondamentale di equiparare, per l'eventuale produzione casuale, la strutturazione mirabilmente ordinata del corpo vivente ad una qualsiasi altra combinazione prestabilita di particelle, aggiungendo vi solo la maggiore complessità dei legami da introdurre nel calcolo delle probabilità. Certo, anche con tale equiparazione la probabilità risulta praticamente nulla (e mancherebbe anche, come ho già detto, il tempo cosmico per moltiplicare le prove). Ma l'equiparazione è falsa. Nel caso del vivente infatti non si ha soltanto un qualunque maggior grado di complessità dei legami, ma un mirabile ordine, un intelligente piano costruttivo, il quale non è traducibile in puri termini di calcolo matematico di probabilità e di necessario numero di prove. Alla probabilità, già praticamente nulla, del cieco prodursi di una combinazione così determinata e complessa, si aggiunge dunque l'impossibilità assoluta che da una attività cieca sgorghi una strutturazione così intelligente. Questa postula necessariamente un Artefice - o immediato o agente su tutto il meccanismo produttore - adeguatamente intelligente. (Così del prodursi, per caso, di una combinazione, comunque confusamente vincolata, per esempio, di tutte le lettere sciolte della Divina Commedia, si può teoricamente calcolare la sia pur minima probabilità, inserendo nel calcolo il numero e la complessità dei rispettivi vincoli: ma essenzialmente diversa è la valutazione della combinazione delle stesse lettere, ordinate come sono nel Poema. In esso le lettere si combinano con vincoli intelligenti che trascendono, come tali, ogni valutazione matematica e appellano necessariamente a una proporzionata causa intelligente.)

Questa impossibilità radicale dell'ipotesi evoluzionista, che abbiamo visto nel quadro generale di partenza puramente meccanicista, risulterà tanto più evidenziata passando ora a considerare particolarmente i fondamentali gradini della vita. per i quali la pura concezione meccanicista risulterà insostenibile.


Impossibile sprigionarsi spontaneo della vita.


La logica evoluzionista non può fermarsi al problema dell'antenato dell'uomo e nemmeno alla trasformazione dell'una nell'altra specie, a partire dai protozoi e dal primo grumo vivente. Non si capirebbe infatti perché la linea evolutiva dei viventi debba avere la sua radice in un primo grumo vivente e non debba risalire, all'indietro, alla stessa materia inanimata. Questa dovrebbe essere riuscita dunque a superare spontaneamente anche il primo gradino della vita.

Non è più il problema della generazione spontanea attuale degli insetti o degli infusori o dei batteri, già risolto negativamente, sul piano sperimentale, dal Redi, dallo Spallanzani e dal Pasteur. Qui si tratta del primo antichissimo passaggio di qualche grumo di materia dallo stato inanimato allo stato vivente, passaggio che avrebbe innescato tutto il successivo processo evolutivo. La necessità della soluzione evoluzionista per chi parte dal preconcetto della esclusione di ogni intervento estrinseco implica l'affermazione assoluta di tale spontaneo passaggio, nonostante l'assenza di qualsiasi conferma sperimentale.

Implica cioè la riduzione del fenomeno della vita al puro piano fisico-chimico, con esclusione di ogni superiore concezione "vitalista" e di ogni intervento del Creatore. Tale intervento viene considerato, a priori, una "assurdità". Lo si osa perfino collegare, con sorprendente preconcetto antireligioso, ad una "vecchia cultura, basata, in origine, su val uri cristiani che stanno morendo"; e, quanto al "vitalismo", che non riduce la vita a puro fenomeno di organizzazione molecolare della materia, si esprime meraviglia che "vi siano ancora persone ,intelligenti" che lo seguono (F. Crick, Uomini e molecole).

Desta in tutti indubbiamente stupore che la materia vivente abbia come componenti essenziali e sappia produrre nei microscopici laboratori chimici delle cellule, le sostanze organiche chiamate proteine (dal gr. protos, primo). Le loro molecole, costituite da vario numero e successione di "amminoacidi", sono enormemente complesse e non si riesce a produrle artificialmente (salvo qualche limitato successo, come quelli del Miller, 1951, che, partendo dai presumibili gas iniziali della terra, idrogeno, metano, ammoniaca, vapore acqueo, ottenne, mediante potenti scariche elettriche, vari amminoaddi).

Quando però recentemente si è scoperto lo speciale meccanismo di tale laboratorio chimico cellulare (che cioè le lunghe catene molecolari delle proteine sono codificate, ossia regolate dai geni dei cromosomi dei nuclei delle cellule, formati dall'acido nucleico DNA) si è creduto di avere spiegato, in termini puramente chimici, il segreto della vita (Crick, Monod). E, quanto al primo prodursi di tale meccanismo, lo si è attribuito ad una aggregazione, sempre più complessa, di atomi e molecole, in ambienti primitivi energeticamente idonei, fino allo sgorgare di tali adeguate strutture per puro gioco di probabilità, cioè per puro caso.

A parte che contro tale gioco di probabilità e tale produzione per caso, si oppone la matematica (perché - come ho già ripetuto - dal calcolo delle probabilità deriverebbe la necessità di un tempo di prove superiore alla età stessa della terra, come notò lo stesso J. B. S. Haldane, genetista pioniere di questa tesi), questa pretesa riduzione della vita al puro piano fisico-chimico e a quel meccanismo del DNA costituisce. per ben più intrinseci motivi, uno dei più clamorosi equivoci. moderni della scienza.

La scoperta infatti di quel potere codificatore, cioè regolatore dei geni, anziché svelare, accresce il segreto intimo della vita, rendendo più fitto il mistero di come possano queste particelle (con gli enzimi sollecitati e sollecitanti, ecc.) determinare gli spettacolari effetti di produzione di materia vivente non amorfa, ma mirabilmente organizzata. Perché si formerà nell'uomo il meraviglioso meccanismo della sua mano, tanto diversa da quella pur analoga della scimmia, con quella preziosa triplice capacità di presa, a pugno, a tanaglia (per l’opposizione del pollice) e a uncino e con tanta forza e tanta sensibilità? Perché nelle zone di appoggio del piede già si troverà nel neonato maggiore spessore della cute? Perché la formazione, ben più meravigliosa, dell'occhio? Perché la strabiliante organizzazione centrale del cervello? ecc. Chi ha scoperto i pulsanti di un complicatissimo meccanismo non ha spiegato per niente la sua interna struttura.


***


Nel vivente ci deve essere un segreto intrinseco, un principio vitale che va al di là delle sue strutture fisico chimiche.

E' chiaro che nel vivente materiale non possono non aversi reazioni e bilanci energetici sul puro piano sperimentale fisico-chimico. Ed è pure chiaro che un suo eventuale superiore principio animatore non può risultare da dirette esperienze fisico-chimiche (modificazione dei bilanci energetici, ecc.), precisamente in quanto trascende tale piano. Ma, di fatto, la sua esistenza, quale principio unificatore e orientativo delle attività fisico-chimiche è provato dall'esperienza indiretta, cioè dal confronto generale delle caratteristiche di fondo del vivente, rispetto a quelle delle sostanze inanimate.

Basta riassumere gli aspetti fondamentali della vita: la sapiente ed elastica (non rigidamente geometrica, come nei cristalli) organizzazione, perfettamente finalizzata a vantaggio del soggetto e delle sue mirabili strutture, che non può derivare dal puro cieco, rigido e unidirezionale dinamismo fisico-chimico; il ciclo immanente impresso alle attività fisico-chimiche, in quanto partono dal soggetto e vi ritornano per conservarlo nella sua identità, difenderlo, ripararla, moltiplicarlo, non producendo nei suoi contatti attivi con la materia esterna una terza entità, come nelle reazioni chimiche tra sostanze inanimate, ma restando sempre se stesso; l'elevazione del materiale preso dall'esterno alla superiore complessità e minore stabilità del soggetto (corruttibilità del vivente), contro la tendenza a minor complessità e maggior stabilità dei composti inanimati (processo antientropico contro il processo entropico) (5).

Ora un tale principio vitale che trascende così a fondo il piano puramente fisico-chimico non può spontaneamente derivare da esso (6). Esso postula un intervento creativo dell'Artefice sommo.

Bene Salvador Dalì, davanti alle scoperte sui geni, poté dire: "Questa è per me la vera prova della esistenza di Dio".

 

Impossibile sprigionarsi spontaneo del fenomeno sensitivo.


Se l'evoluzione non può salire da se il generale gradino della vita, tanto meno può salire gli ulteriori gradini della vita stessa, per il passaggio dalla vita soltanto vegetativa, alla quale si arrestano le piante, alla sensitiva, degli animali e alla intellettiva, dell'uomo.

Consideriamo ora il gradino della sensazione.

L'attività sensitiva è la caratteristica del regno animale. Si apre il capitolo meraviglioso e il grande equivoco degli organi di senso.

Capitolo meraviglioso: perché gli organi di senso, in sé (basta pensare al capolavoro dell'occhio) e nei corrispettivi apparati dei sistema nervoso e negli apparati di locomozione per la risposta alle sensazioni, costituiscono la più alta espressione organizzativa della materia vivente.

Ma anche grande equivoco, quanto alla natura intrinseca della sensazione, equivoco che è nella linea stessa {aggravata) della suddetta riduzione del mistero della vita alla scoperta dei pulsanti operativi. Si sono scoperte infatti tutte le complesse strutture, tutte le connessioni nervose, tutte le tensioni e correnti elettriche e reazioni chimiche che accompagnano le attività sensorie. Da ciò la miope deduzione che in tali sole attività fisico-chimiche si risolva tutto il fenomeno sensitivo.

La sensazione invece è bene al di sopra. Quelle attività non sono che preparatorie e concomitanti. Che vi debbano essere è ovvio perché il fenomeno sensorio presuppone contatti fisici dei corpi (talora solo di particelle o onde: odorato, udito, vista) con gli organi esterni del senziente e successive trasmissioni interne delle rispettive reazioni: attività fisiche nelle quali debbono valere i bilanci energetici delle pure leggi fisiche. Ma la sensazione segue e si accompagna a tali attività: e scatta solo quando si produce il fenomeno in qualche modo conoscitivo dell'oggetto. Altrimenti sarebbe come confondere l'immagine fisica che si produce nella retina dell'occhio (come su una lastra fotografica) con la sensibile visione.


***


La trascendenza del fenomeno conoscitivo - già nel primo stadio sensitivo che stiamo ora considerando - viene chiarita dal modo di congiunzione con gli oggetti. Una sostanza inanimata si congiunge chimicamente ad un'altra, creando un composto nel quale è perduta l'individualità di entrambi gli oggetti. Il vivente si congiunge all'alimento (di ben delimitata misura) e se ne appropria conservando la propria individualità e distruggendo quella dell'alimento. Il senziente si congiunge agli oggetti e in qualche modo se li appropria senza alcuna modificazione fisica, né propria, né di essi (salvo le temporanee e superficiali modificazioni del contatto e del correlativo dinamismo fisiologico dell'apparato sensitivo): e, in grazia proprio di tale invarianza fisica, può appropriarseli successivamente, senza limite quantitativo (tanto il sasso, quanto la montagna che domina il panorama) e quanti vuole; e può anche conservarli nel suo interno con la memoria.

La trascendenza di tale fenomeno implica quindi una smaterializzazione degli oggetti, un porsi al di sopra non solo del piano puramente fisico-chimico, ma anche del piano vegetativo, ossia del puro piano della vita. Ciò suppone (per la proporzione che deve esservi tra causa ed effetto) l'esistenza nel senziente di un principio sensitivo proporzionalmente superiore a tali piani, principio che non può quindi evolutivamente derivare da essi: né dalla materia inanimata, né dalla materia vivente di pura vita vegetativa.

Per superare tale gradino deve essere quindi intervenuto uno speciale atto creativo.


Impossibile sprigionarsi spontaneo del fenomeno intellettivo


Al di sopra dell'attività puramente sensitiva animale, l'attività intellettiva, il pensiero, caratterizza l'uomo.

E' l'ultimo gradino della vita. L'evoluzionismo è obbligato a considerarlo come l'ultima tappa del perfezionamento evolutivo dei viventi, negando l'esistenza di qualsiasi componente umana (l'anima spirituale, generatrice del pensiero) estranea alla materia, che spezzerebbe la continuità della linea perfettiva evolutiva (Teilhard de Chardin: "Esiste solo la materia che diventa spirito": L'Energie Humaine; "Spirito: stato superiore della materia": Le Coeur de la Matière).

Infatti - si insiste ordinariamente nei libri non vi può essere per l'intellezione un salto di qualità, visto che si nota un progressivo sviluppo dell'intelligenza dagli animali inferiori all'uomo e un corrispondente sviluppo materiale del cervello e specialmente della corteccia cerebrale. Questa ricopre con miliardi e miliardi di cellule nervose stratificate gli emisferi cerebrali, con una superficie complessiva che nell'uomo, in grazia delle pieghe e dei profondi solchi, è pari a un quadrato di quasi 50 cm. di lato. E si sa che questa parte esterna dell'encefalo condiziona precisamente le attività coscienti e intellettive: tanto è vero che, una volta lesionata, non si ragiona più. Dunque il pensiero viene da lì e non da una ipotetica, invisibile anima spirituale.


***


Con che ci tocca un'altra colossale confusione. Rimando al prossimo paragrafo il problema dell'istinto degli animali e dell'apparente, ma ingannevole suo allineamento con l'intelligenza umana. Riflettiamo ora alla relazione tra intelligenza e cervello. L'enorme equivoco consiste - al solito - nel confondere l'attività materiale cerebrale, che accompagna e condiziona l'attività intellettiva, con l'essenza di questa. E in conseguenza si confonde la sorgente cerebrale di quella attività concomitante (strumentale) con la vera sorgente dell'attività intellettiva, ossia del pensiero. Sarebbe come, per esempio, se si attribuisse un quadro al pennello invece che al pittore, per il fatto che questi ha dovuto necessariamente usare, come strumento, il pennello.

Un'attività materiale, concomitante e condizionante per l'attività stessa del pensiero umano è naturale, data l'unità attiva del soggetto, in quanto vivo, senziente, pensante: tanto più che l'alimento al pensiero viene dato dal contatto sensibile con le cose esterne (l'anima umana è spirituale e immortale, ma non è un angelo). Ed è anche naturale e meraviglioso (una meraviglia che si risolve nuovamente in drastica esclusione dell'ipotesi di strutture puramente derivanti dal caso) che strumento concomitante e condizionante del pensiero sia la prodigiosa "centrale" del cervello. Questo, raggiungendo con le sue diramazioni più sottili ogni minimo punto del corpo, regolando tutta l'attività sensitiva e motrice e condizionando anche l'attività intellettiva, garantisce l'unità operativa del soggetto.

Ma se si vuole scoprire la vera componente umana produttrice del pensiero, bisogna usare la via sperimentale indiretta: analizzare cioè le qualità intrinseche di tale prodotto, per risalire da esso all'entità produttrice. Si tratta cioè di passare dall'effetto alla causa principale che vi si deve ovviamente proporzionare. Ebbene, ogni pensiero, ogni nozione, pur relativa a entità corporee, si presenta come realtà fenomenica in sé totalmente smaterializzata, cioè immateriale non in modo parziale, come la sensazione (la quale resta correlata ogni volta, successivamente, a questo o quello oggetto, chiuso nella sua individualità corporea: vedo questo sasso o quell'altro sasso), ma in modo totale. Esso è cioè caratterizzato dalla radicale astrazione da ogni coartazione numerica e quantitativa dell'oggetto, elevandosi al concetto della cosa, riferibile a tutti gli oggetti della stessa natura (l'idea di sasso è toticomprensiva, indipendente da questo o quel sasso, da ogni grandezza e numero: è un'appropriazione conoscitiva di tutti i sassi). Quanto poi alle idee di cose già in se stesse totalmente immateriali, come virtù, dovere, ecc., la immaterialità radicale è ovvia. Ed è per tale qualità che le idee si possono logicamente concatenare nel ragionamento.

Si deve perciò dedurre, con assoluta certezza, che esiste nell'uomo una fonte del pensiero sullo stesso piano di esso e quindi totalmente immateriale: l'anima spirituale (perciò, a differenza dei corpi, non corruttibile, sussistente, immortale).

Nessuna difficoltà che la produzione del pensiero si accompagni - per la suddetta unità - ad una attività cerebrale. Impossibilità invece assoluta che derivi da essa. Sarebbe altrimenti come attendere vino da una botte d'acqua.

Questa componente dell'uomo, l'anima spirituale, non può quindi derivare da una trasformazione evolutiva della materia.

Esige un superiore atto creativo.


Negli animali, intelligenza o istinto?


Al grande salto di qualità dell'intelligenza umana sembra contraddire l'intelligenza, sia pure limitata, generalmente attribuita anche agli animali (è comune opinione popolare). Essi l'avrebbero, secondo le varie specie, in proporzione con la massa (soprattutto la corteccia) cerebrale. Per esempio, gli animali domestici capiscono gli ordini del padrone.

Ma vi sono tanti modi di capire, nel senso di rispondere, reagire alle iniziative dell'uomo. Il problema va posto in altri termini. Bisogna chiedersi se gli animali sono capaci di farsi l'idea delle cose (nella quale soltanto si esprime l'intelligenza e si rivela l'anima spirituale) o hanno solamente delle immagini e sensazioni (piano sensitivo, non intellettivo), alle quali reagiscono, non per riflessione intellettuale, ma per istinto, che resta ancora nel piano soltanto sensitivo, nonostante le apparenze contrarie.

Che l'istinto, pur non derivando da riflessione razionale, possa avere grande efficienza operativa risulta anche dalla diretta esperienza umana dei nostri comportamenti irriflessi: istinto di conservazione, spontanee attrazioni e ripulse per ciò che piace o dispiace, atti coordinati e irriflessi derivanti dall'abitudine di certe azioni, reazioni motrici estremamente complesse e automatiche, per esempio, per ristabilire l'equilibrio e non cadere, ecc.

Per gli animali, in realtà, si tratta solo di questo. Basta accennare ad alcuni fatti. Il primo è la mancanza della parola, normale manifestazione delle idee: mancanza che non dipende da impotenza fisiologica, come oggi è stato provato per alcune specie. Tutti conoscono le articolate parole pronunciate dagli "uccelli parlanti", gracula, pappagallo, ecc. (dunque non impotenza fisiologica). Ma è solo imitazione. Né si possono assimilare alla parola intelligente alcuni rudimentali suoni, segnaletici di stati emotivi.

Vi è poi la fissità assoluta dei comportamenti, sia lungo i secoli che nelle esistenze individuali, il che è contro la legge generale dell'intelligenza, il progresso. Piccole modificazioni derivanti da adattamento ambientale, nuove esperienze, imitazioni, ammaestramento, si spiegano con semplici associazioni mnemoniche, sensitive e non tolgono la fondamentale e universale fissità.

La onerosissima e industriosissima cura della prole esclude pure un amore cosciente. E' priva di qualsiasi vantaggio personale ed è riferita a individui che o non saranno mai visti (fatto tipico negli insetti) o mai recheranno alcuna utilità ai genitori, divenendone anzi competitori. O cieco istinto dunque o assurda supposizione di un disinteressato e sacrificatissimo amore ecologico per la conservazione della specie.

Decisiva è poi la straordinaria abilità di certi comportamenti i quali, se dipendessero da vera intelligenza, la rivelerebbero assolutamente eccessiva. Gli animali cioè, se fossero intelligenti sarebbero troppo intelligenti. La loro intelligenza sarebbe inoltre paradossalmente tanto maggiore negli animali con minore, piccolissima o quasi nulla massa cerebrale (uccelli, insetti). E si tratta di una abilità prodigiosa che esplode pienamente in tutti i nuovi individui, senza alcun ammaestramento, non avendo in genere i nuovi nati visto all'opera o neanche conosciuto i genitori (nidi degli uccelli o degli insetti; abile cattura della preda). Per l'abilità costruttiva per esempio, si ricordino: le costruzioni dei Castori; i nidi del Passero tessitore; l'arrotolamento della foglia a forma di sigaro (per attaccarvi dentro le uova) compiuta dal coleottero Curculionide con due abilissimi tagli a forma di S, in complementare orientamento, a destra e a sinistra della nervatura, incidendo anche questa parzialmente perché la foglia appassisca, ma non muoia, così da potere a suo tempo nutrire le larve; il capolavoro delle tele di ragno, tese perfettamente da quel minuscolo essere tra vari punti di appoggio di fortuna distantissimi e con la scelta del filo appiccicaticcio o no secondo che serve per la preda o per sostegno; i colossali termitai di terra cementata con speciale saliva delle termiti, duri come rocce, che si elevano sul terreno anche fino a 7 metri; l'insuperabile alveare, con cui le api risolvono l'arduo problema del massimo volume utile e della massima resistenza col minimo materiale. Ricorderò, a quest'ultimo riguardo, che un alveare capace di due chili di miele pesa a vuoto solo 40 grammi, lo spessore delle pareti delle celle è di 7 centesimi di millimetro, la forma esagonale (esattissima) è la più idonea per solidale robustezza e utilizzazione dello spazio nell'insieme dei due strati di celle anteriore e posteriore (il vertice di fondo di una celia posteriore occupa esattamente il vuoto tra i vertici di tre celle adiacenti anteriori, strettamente combacianti perché l'angolo dell'esagono è di 120 gradi); con grande meraviglia si è anche scoperto che la profondità del fondo piramidale esagonale di ogni celletta è scelta con un angolo che corrisponde al minimo sviluppo superficiale col massimo volume (problema dell'isoperimetro) e, mentre da un primo calcolo matematico era risultato un piccolo scarto dall'angolo ottimale, si è poi trovato che il calcolo era stato sbagliato e che le api avevano ragione; tutti poi conoscono la meravigliosa organizzazione sociale delle api, con la più accurata divisione dei compiti (ci sono perfino le ventilatrici alle porte dell'alveare), ecc. Ricorderò ancora, per esempio, lo Sfecide di Linguadoca (popolarmente: Vespa assassina) che saetta col pungiglione i gangli nervosi della Efippigera delle vigne e ne comprime senza ferirlo il cervello, in modo da paralizzarla e trasportarla viva nella tana, come cibo per le larve che nasceranno dalle uova depostevi: e sceglie la femmina perché ricca delle proprie uova. Non posso fare a meno di citare anche la formica asiatica e africana del genere Oecophylla (vuol dire: casa di foglie) che vive sui rami in nidi di foglie cucite insieme. Fu scoperta alla fine del secolo scorso. Una schiera di operaie, agganciatasi con le unghie posteriori al lembo di una foglia, si sporgono per afferrare con le mandibole il lembo della foglia vicina; se non vi arrivano spingono avanti, agguantate con le mandibole a metà vita, altre operaie e, all'occorrenza altre e altre ancora, formando una specie di braccio a sbalzo di formiche, concatenate l'una all'altra; raggiunto, tirato e fatto combaciare quel lembo accanto al primo, altre operaie portano con le mandibole, come fossero dei fusi, le loro larve, dalla cui bocca spremono un filo di seta che attaccano a zig-zag ai due lembi, fissandoli insieme; e così per altre foglie, fino a nido compiuto. (Altri mirabili particolari in Le Scienze, marzo 1978).

Non dunque intelligenza, - né anima spirituale (7) - ma istinto, che rimane nel piano soltanto sensitivo: cieco quanto a coscienza razionale riflessiva, mirabile quanto ad abilità naturale. Nessuna difficoltà quindi contro la esclusiva intellettualità dell'uomo.

E quanto al necessario intervento del sommo Artefice, si ha qui una validissima conferma, perché tanta incosciente sapienza non può derivare che dall'Artefice sapientissimo di quelle nature, con quegli istinti.


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02/09/2010 22:53
 
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GRANDE PROVA SPERIMENTALE CONTRO LA EVOLUZIONE


Infine, prescindiamo pure, per un momento, dalle prove fin qui date, negative e positive, della falsità dell'evoluzionismo.

Riferiamoci semplicemente al dato sperimentale dell'attuale mondo vivente. Senza guardare al passato, senza analizzare l'incapacità generatrice del presunto dinamismo evolutivo, limitiamoci a considerare il presente. Guardiamo puramente ai fatti che sono oggi davanti a noi.

Vi leggeremo, con sorprendente e inaspettata evidenza, la negazione radicale e inappellabile della evoluzione spontanea. E' una riflessione già accennata in precedenti pagine, ma che qui dobbiamo sviluppare.

E' la confutazione, più direttamente sperimentale, dell'evoluzione spontanea.

Il fatto attuale che colpisce è che tutte le specie viventi, pur occupando vari gradi nella immensa scala dei viventi, sono - assolutamente tutte -, in sé, perfette e complete. Non hanno certamente tutte la stessa perfezione e completezza. L'Ameba, organismo unicellulare e quindi minimo, è, nel suo livello di vita, perfetta, autosufficiente nel suo ambiente, come nei livelli più alti è perfetto il più complicato organismo vivente. Un filo di erba è un trionfo della vita come il cedro del Libano; una pulce è un'a meraviglia nel suo genere come nel suo l'elefante; una lucertolina è un capolavoro come è un capolavoro il coccodrillo; un moscerino, un'ape sono portenti come lo è un'aquila reale; un verme è meravigliosamente rifinito, nella sua pochezza, come, nella sua grandezza, l'uomo.

Da notare che questa costatazione generale non sarebbe infirmata se vi fossero alcune eccezioni. Esse confermerebbero la regola. Ma, in realtà, non vi sono; e se alcune sembrano tali è per difetto di osservazione. Oppure vengono considerati incompleti e imperfetti animali che hanno qualche organo non pienamente funzionante (come le ali per la gallina e per lo struzzo); ma si tratta di organi che non incidono nella vita ottimamente ambientata di quei soggetti e quindi non infirmano la loro perfezione e completezza vitale.

Un grande zoologo evoluzionista, a cui esposi il fatto, seppe oppormi solo il celebre Ornitorinco, paradossale mammifero australiano (che è lungo circa 50 cm. con la coda), scoperto per la prima volta (in un esemplare imbalsamato) nel 1797, classificato infine, dopo tante dotte dispute, nel 1884 e pienamente conosciuto solo da cinquanta anni. Nell'ibridismo e nella rozzezza di certe caratteristiche potrebbe sembrare effettivamente rudimentale, imperfetto anello di transizione ad altra specie perfetta (Lamarck lo qualificò anello tra rettili e mammiferi, mentre per altri lo sarebbe tra uccelli e mammiferi). E' infatti, contro la regola ordinaria, monotremo (significa: un-foro) cioè con una sola uscita intestinale e urogenitale; è mammifero, ma partorisce i piccoli (in stadio embrionale arretrato) in uova che debbono essere per due settimane incubate dalla madre, ed ha un apparato mammario ridotto a un trasudamento latteo convogliato dai peli della corrispondente zona; ha pelo di lontra, coda da castoro, dita palmate e becco di anitra (da cui il nome: ornitho, uccello - rynchos, muso), speroni da gallo da combattimento; ha respirazione aerea, ma adattamento ambientale spiccatamente acquatico (può stare sott'acqua anche 10 minuti); ha temperatura propria come i mammiferi, ma assai oscillante in relazione alla temperatura ambientale, il che ricorda i rettili. Sembra davvero mal composto e rudimentale.

Ma analizzandone bene struttura e costume si scopre invece che è un animale ricco di perfezione e completezza. Il largo becco apparentemente corneo da anatra è in realtà ricoperto di una morbida pelle, ricca di terminazioni nervose, che lo rende ben sensibilizzato per la ricerca degli animalucci di cui l'animale si nutre, scavando nei fondali me1mosi: la perfetta chiusura delle nari c, mediante un'apposita piega cutanea, degli occhi e degli orecchi (inutili durante tale ricerca di cibo nei fondali) facilita la lunga immersione; larga coda, estremità palmate, corpo appiattito rendono agile il nuoto; le lunghe unghie anteriori, ricurve e scanalate nei piccoli perché essi possano agganciarsi ai peli ventrali materni durante le settimane di allattamento (pur essendo anche ulteriormente sostenuti dalla larga coda della madre piegata verso il ventre) diventano poi piene e dritte per essere idonee, insieme alle lunghe unghie posteriori, allo scavo; la membrana delle estremità palmate, che per il nuoto si estende oltre il perimetro delle unghie, si ritira entro di esso, scoprendo le unghie stesse, quando servono per lo scavo; gli speroni alla base degli arti posteriori costituiscono nei maschi organi difensivi e combattivi arricchiti di ghiandole che secernono veleno. La coppia vive in tane, che scavano insieme, con due aperture ben nascoste tra le radici degli alberi; ma quando la femmina deve deporre le uova se ne costruisce da sola un'altra ben chiusa all'imboccatura, che termina in una camera sferica, foderata di foglie e pagliuzze, dove depone e cova una coppia di uova; in questo periodo, quando la madre esce richiude sempre l'imboccatura; quando depone le due piccole uova (2 cm.) le attacca insieme, evitando così che rotolino e si perdano tra le foglie. In tutto, accurata perfezione. Un capolavoro.


***


Ebbene, questa perfezione che si nota in tutte le specie viventi costituisce effettivamente un'impressionante rivelazione sperimentale contro l'evoluzione. Se infatti la scala delle specie fosse il risultato di un progressivo, casuale, spontaneo conato perfettivo della natura, il mondo dovrebbe essere pieno, tra l'una e l'altra specie perfetta, di specie abbozzate, rudimentali e incomplete, cioè in ritardo rispetto alle singole specie complete verso cui sono avviate. Piccole o grandi che siano le "mutazioni", avvalorate dalla "selezione", ipotizzate dall'evoluzionismo (a prescindere ora dalla loro mancanza di efficacia, che vedemmo), tra l'una e l'altra specie sarebbero cioè certamente dovute comparire tali specie intermedie incomplete, di cui invece non troviamo alcuna traccia.

L'attuale quadro del mondo vivente può essere infatti considerato come un'istantanea del presunto lunghissimo movimento evolutivo naturale, sempre e anche attualmente in azione. Vi si dovrebbero quindi cogliere, nella lunga scala dei gradi di evoluzione raggiunti, non solo le specie perfette, ma anche quelle intermedie e incomplete; e ciò, sia nel tronco principale, terminato, per ora, all'uomo, sia nelle ramificazioni delle altre specie. Tali risultanze dovrebbero essere quindi numerosissime. Questa istantanea dovrebbe cioè cogliere la scala evolutiva degli esseri come, in una multipla corsa ginnica, coglierebbe, oltre i vincitori giunti ai rispettivi traguardi, tutte le file dei ritardatari (che simboleggiano le specie imperfette e incomplete); o come, in fabbriche costruttrici di varie specie di macchine, nei rispettivi, successivi padiglioni, si trovano, prima i pezzi rozzi, poi via via, quelli raffinati e montati; o come, in particolare, in una fabbrica di automobili, si trovano prima ferri, poi telai smontati, ecc. tutti ordinati alla macchina finale e non invece prima biciclettine, poi biciclette, poi motociclette, ecc., che sono macchine di diverso grado, ma tutte perfette. Ora in questa presunta fabbrica evolutiva naturale si trovano proprio successive macchine, tutte perfette. Si deve quindi escludere che la natura sia una grande fabbrica produttrice evolutiva.

Questo rilievo fondamentale è ulteriormente chiarito considerando quella parte dell'universo in cui lo sviluppo evolutivo è invece certamente avvenuto: l'universo inanimato. L'evoluzione planetaria è un fatto abbastanza sicuro, anche se molte modalità restano ancora incerte: e si ammette che essa prosegua anche oggi. L'osservazione presente è pertanto come un'istantanea, che fissa un momento degli sconfinati tempi evolutivi cosmici. In questa istantanea si notano effettivamente le successive tappe: masse amorfe, stelle, pianeti. Niente di simile nel mondo animato.


***


L'unica scappatoia contro il valore di questa prova sarebbe l'ipotesi che tutte le linee evolutive siano ormai giunte alle rispettive strutture perfette (come se tutti quei corridori fossero giunti ai rispettivi traguardi o tutto il materiale di quelle fabbriche si fosse esaurito e ogni fabbrica fosse arrivata alla finale composizione delle rispettive macchine). Ma è una ipotesi artificiosa, completamente gratuita e che suppone un assurdo universale sincronismo di produzione evolutiva, in tutte le disparatissime ramificazioni.

Tuttavia, anche in questa artificiosa ipotesi l'esistenza delle suddette fasi incomplete dovrebbe aver lasciato numerosissime tracce negli strati fossili, che sono come il museo naturale in cui sono state fissate le varie tappe della evoluzione. Ma essi invece non rivelano che la successione di specie perfette e costituiscono di questa prova sperimentale antievoluzionista, una clamorosa conferma.


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02/09/2010 22:55
 
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L'INTERVENTO DIVINO


Escluso l'evoluzionismo risulta provato il creazionismo, inteso nel più generale significato di necessario intervento del Creatore dell'universo, dell'Artefice sommo, di Dio.

Si possono considerare tuttavia diverse possibili modalità di tale intervento. Il creazionismo (in questo significato generale) si contrappone all'evoluzionismo, perché nega che il mondo vivente si sia formato da sé, spontaneamente, autonomamente: fin dalla materia del primo grumo vivente e perché, di contro, afferma l'esistenza del Creatore e il necessario suo intervento.

Questo potrebbe essere però concepito secondo tre modalità: intervento iniziale, continuo, virtuale.


Intervento iniziale


Questo creazionismo s'impone - e in modo radicalissimo - anche nell'ipotesi meccanicista più assoluta, la quale livella tutta la realtà, vita, senso e intelligenza compresi, al puro piano meccanicistico fisico-chimico, cioè, in definitiva, a pura vibrazione di particelle. Parlando dei gradini della vita, dei sensi e dell'intelletto vedemmo l'impossibilità di questa riduzione di tutti i fenomeni a vibrazione materiale. Ma, anche nell'ipotesi che ciò fosse vero, s'imporrebbe la necessità di spiegare il mirabile ordine e le speciali caratteristiche di queste risultanti strutture viventi. Basta ricordare e riassumere quanto abbiamo detto nel paragrafo sulla impossibilità radicale generale dell'evoluzione spontanea.

Tale ordine postula necessariamente una causa proporzionata, la quale "meccanicisticamente" dovrebbe trovarsi in tutto il complesso gioco delle particelle materiali. Ma, essendo il suo effetto mirabilmente intelligente, tale proporzionata causa non può essere cieca, ma intelligente (e già vedemmo la essenziale differenza tra una finale combinazione qualunque, sottoponibile al calcolo delle probabilità, e una, intelligentemente finalizzata, che la trascende). Siccome però l'intelligenza non può trovarsi direttamente dentro quel gioco stesso di particelle, che sono cieche perché puramente materiali, dovrebbe trovarsi necessariamente nella onnipotente mente creatrice che ha loro impresso il primo impulso, idoneo a condurre tutta la sconfinata catena conseguente di combinazioni, e reazioni, esattamente previste, fino a questo meraviglioso ordine finale.

In questa meccanicistica ipotesi pertanto, dato che tutto dipenderebbe da tale iniziale e adeguato impulso del sommo Artefice, si avrebbe già, anche escluso ogni altro intervento, un pieno creazionismo.


Intervento continuo.


Ma dimentichiamo ora tale ipotesi inammissibile. Già vedemmo come sia per lo meno necessario il diretto intervento del Creatore per elevare la materia al piano della vita e poi al piano della sensazione e per far sorgere infine il piano del pensiero.

Le precedenti pagine hanno però cercato di dimostrare anche l'impossibilità della spontanea trasformazione evolutiva di ogni specie nelle altre. Quali e quanti interventi del Creatore dobbiamo allora postulare, oltre quelli necessari per superare i suddetti gradini della vita, della sensazione e del pensiero? Può Dio essere intervenuto a creare sulla terra continuamente le nuove specie?

Debbo subito notare che qui non si tratta di sostituire l'immediato intervento di Dio alle normali attività della natura, secondo ingenue concezioni antiquate, dovute alle scarse conoscenze scientifiche di allora. Qui si tratta di postulare l'intervento di Dio dove, in base alle attuali certezze scientifiche, risulta che la natura da sola non può giungere.

E' anche molto importante un altro rilievo. Coloro cui ripugna l'ipotesi di un continuo intervento diretto di Dio per la creazione di nuove specie, dimenticano che, secondo un sottile e profondo pensiero di S. Tommaso d'Aquino (che qui non posso certo svolgere), il diretto intervento di Dio è già necessario continuamente per mantenere sul piano dell'essere l'intero universo (per necessità metafisica dovuta al fatto che l'universo non ha, né al principio, né mai in se stesso la ragione della sua esistenza: è contingente e sempre dipendente dalla sua sorgente, come una luce sempre dipende dalla sua fonte).

Dimenticano anche che Dio certamente interviene con diretto atto creativo alla nascita di ogni creatura umana, per infonderle l'anima spirituale. Essa infatti, appunto perché spirituale, non può essere, né generata dalla materia (come vedemmo), né costituire una parte dell'anima dei genitori, la quale, come entità spirituale, è indivisibile: deve quindi essere direttamente creata da Dio.

Dimenticano infine che gli interventi diretti di Dio non sono assimilabili a quelli di un artefice umano che, nella sua finitezza, deve ogni volta interessarsi, guardare e moltiplicare le sue azioni. Nell'infinito e perfettissimo spirito, quale è Dio, tutti gli interventi attivi nel creato dipendono da un unico atto della sua onnipotente volontà, alla luce della sua onniscienza, atto che in Dio è al di sopra dei tempi (che a lui sono tutti presenti), benché gli effetti si manifestino lungo tutto il corso evolutivo del creato.

L'ipotesi quindi di numerose creazioni, cioè numerosi interventi diretti, al momento opportuno, per il sorgere di nuove specie è ammissibile,

Ma non è necessario pensare che Dio abbia creato dalla materia, di colpo, ogni nuova specie. Sembra anzi più conveniente e conforme al principio di sapienza organizzativa e di sintesi che regola l'universo, pensare ad una utilizzazione della preesistente materia vivente. La moderna genetica rende più chiara la possibile soluzione. Basta che il Creatore abbia determinato, al momento opportuno, armoniche "mutazioni" e integrazioni in alcune antecedenti strutture dei cromosomi (mutazioni armoniche per determinare l'ordinata strutturazione del nuovo vivente: il che invece il caso non può fare).


Intervento virtuale


Non è infine da escludere nemmeno la possibilità che nel corredo cromosomico del primo grumo vivente fossero già inclusi virtualmente (cioè con preordinazione positiva - come è virtuale il seme rispetto alla pianta - non solo potenzialmente - come è potenziale la creta rispetto alla statua -) tutte le combinazioni future che si sarebbero attualizzate, al momento opportuno, in conseguenza di nuovi previsti ambienti, eventualmente integrate da opportuni superiori interventi - oltre quelli necessari per far sbocciare la vita, la sensazione e il pensiero - determinando via via le nuove specie.

Questa loro successiva comparsa sarebbe allora rassomigliante alla successiva esplosione di varie sezioni di un razzo multiplo, già tutte pronte per l'attuazione fin dall'inizio.

Anche in questa ipotesi tutte le specie precontenute virtualmente fin dall'inizio, dovrebbero dirsi direttamente create da Dio, con un intervento onnipotente anche, in un certo senso, più meraviglioso per la preparazione e previsione di tutta la successiva attuazione.


Creazione dell'uomo.


Qui occorre qualche riflessione particolare.

Quanto sopra, a rigore, potrebbe essere avvenuto anche per il primo uomo. Il suo corpo, prodottosi così per mutazioni e attualizzazioni successive di specie precedenti, potrebbe ancora dirsi, in riferimento a tutto il ciclo, a partire dalla primitiva materia inanimata, "formato (da Dio) con polvere del suolo" (Gn 2, 7). Dio avrebbe infine - dopo gli altri integrativi interventi - aggiunto l'immediato atto della creazione e infusione dell'anima spirituale, così, plasticamente, narrata: "gli soffiò nelle narici un alito di vita" (ivi).

Tuttavia, riflettendo alla superiore nobiltà della specie umana, per la trascendente attività del pensiero e per la trascendente simbiosi unitaria del corpo con l'anima spirituale (corpo vivificato da tale anima e reciprocamente collaboratore strumentale dell'anima per l'esercizio del pensiero), riflettendo al clamoroso fatto nuovo nel mondo vivente, del superamento nell'uomo, per la spiritualità e incorruttibilità della sua anima (a cui si aggiunge, secondo la fede, l'elevazione, con la grazia, al piano soprannaturale e la finale riassunzione del corpo) della fatale, universale legge cosmica della corruttibilità e della morte, non può sfuggire la particolare convenienza di un immediato atto creativo anche del corpo umano (secondo il senso letterale del testo biblico), proprio per sottolineare quel balzo in alto della realtà creata e l'onnipotenza creatrice di Dio, così solennemente introdotta dal testo biblico "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a somiglianza nostra" (Gn 1, 26).


Monogenismo.


Guardando all'attuale umanità, viene spontanea infine la domanda: Da un solo uomo, da una sola coppia (mono-genismo, unica origine)? O da vari individui (poli-genismo, multipla origine)?

Per la prima soluzione già depone la stessa unità attuale della specie umana - pur con la varietà delle razze - provata dall'uguale patrimonio cromosomico e dalla fecondità degli incroci, unità la cui spiegazione naturale è la comune origine. Anche alla grande Tavo1a Rotonda di Parigi, dell'UNESCO, (1969) sull'origine evolutiva dell'Homo sapiens si ebbero forti affermazioni monogenistiche.

Anche la comune opinione che nell'ipotesi evoluzionista sia ovvia la trasformazione non di una sola coppia ma di molte è alquanto superficiale. Per ottenere infatti individui della stessa specie, gli ipotetici numerosi soggetti generatori avrebbero dovuto essere anche essi della stessa specie e così i precedenti, dovendosi infine risalire ad una unica origine, ricadendo, in radice, nel monogenismo, con l'aggiunta però di una assurda sincronizzazione evolutiva, nelle successive generazioni, per puro gioco del caso, in tutte quelle serie di individui. Che da più individui di una specie l'evoluzione possa produrre progressivamente varie specie, secondo la linea di ognuno di essi, sarebbe - dal punto di vista evolutivo - logico, ma che produca la medesima specie, no.

Esclusa comunque l'evoluzione, non c'è più dubbio. Il sommo Artefice per creare l'unica specie umana, doveva ovviamente darle un unico capostipite. Anzi, dato che la prima coppia - appunto perché prima ­ non poteva avere un progenitore della stessa specie, la narrazione biblica del corpo femminile tratto, in qualche misterioso modo, da una parte del corpo di Adamo (Gn 2, 21-22), così da assumere la stessa specificazione somatica, se può far sorridere un pensatore superficiale, apparisce in realtà in piena armonia con l'esigenza di un fondamento somatico unico (popolarmente: lo stesso sangue) per la vera unità della specie umana.

S. Paolo fu esplicito nelle sue lettere (Rm 5, 12. 19; 1 Cor 15, 45) e lo proclamò all'Areopago di Atene: "Egli trasse da uno solo tutta la stirpe degli uomini" (Atti 17, 26).



__________________


Note



1 Si veda il mio Il Dio in cui crediamo, Ed. "Pro Sanctitate", P.za S. Andrea della Valle, 3, Roma; o il libretto Come dimostrare la esistenza di Dio, della collana "Fogli", n. 17, Verona

2 E' nipote del grande zoologo Thomas Henry Huxley, quasi contemporaneo di Darwin, grande seguace e integratore del darwinismo.


3 Per F. Selvaggi, per esempio, "l'evoluzionismo, in tutta la sua estensione, è una esigenza imprescindibile, presupposta dalla scienza, in quanto tale" (Civiltà Cattolica, 20 gennaio 1968); i p. Flick e Alszeghy in vari saggi sono partiti dalla prospettiva evoluzionista presentata dalla scienza; B. Mondin parla con riferimento evoluzionista, di "evidenza delle scoperte antropologiche" (Osservatore Romano, 18 novembre 1976); per il Cardo Pietro Parente "l'evoluzionismo è ormai accettato dalla maggior parte degli studiosi specializzati", "il clima odierno è impregnato di teilhardismo", si deve "guardare con simpatia alla fascinosa teoria dell'evoluzione, ormai dominante" (Teologia di Cristo, Roma, 1970); nel testo di un recente Sinodo diocesano di Losanna, Ginevra e Friburgo, promulgato da S.E. Mamie, l'uomo è presentato come "coronamento di una lunga evoluzione, così come proclama la scienza".


4 Veniva salvato con ciò il principio filosofico della proporzione ch: deve esservi tra causa ed effetto. Si supponeva, per esempio, che tali generazioni avvenissero per misterioso influsso di entità superiori motrici dei corpi celesti.

5 Si dice entropico un processo fisico in cui aumenta l'entropia. Questa è una entità termodinamica introdotta da Clasius (1822-1888), che aumenta al diminuire della capacità di un sistema fisico di fornire lavoro. Si ha aumento di entropia, e quindi diminuzione di tale capacità di lavoro in ogni attività fisica in conseguenza della degradazione della energia per dispersione di calore e per la tendenza di ogni sistema a stabilizzarsi (come per una costruzione che crolla) a livelli inferiori, meno ordinati.


6 Il fallimento di ogni tentativo di produrre artificialmente un qualsiasi grumo vivente ne è una conferma. La produzione artificiale, sopra accennata, di qualche sostanza organica non è ancora la vita. Più recentemente si è anche riusciti a produrre un DNA cromosomico, capace di attiva moltiplicazione. Ma esso da solo non è un vivente e la moltiplicazione è avvenuta entro una cellula batterica, cioè in virtù della già esistente vita di essa.


7 Il fatto ha grande importanza anche giuridica e morale. Gli animali vanno rispettati. Pur essendo a servizio dell'uomo (Gn 1, 26), non lo sono certamente per crudele e inutile sfruttamento. Ma non essendo creature razionali e quindi persone, non sono propriamente soggetti di diritto. La progettata Carta universale dei diritti degli animali, analoga a quella dei diritti umani, non è giuridicamente ammissibile. Una recente lettera di un giornalista al Papa, perché intervenga in difesa dei cuccioli delle foche, perché "anch'essi hanno una anima", come se essa non si distinguesse dall'anima umana, è ingenua. A meno che si tratti di un credente nella metempsicosi (da: meta-en­psyché, trasmigrazione dell'anima) e quindi della possibile trasmigrazione espiatrice dell'anima umana in animali, dottrina diffusa senza ombra di prova, da religioni orientali. E se fosse trasmigrata in una pulce? Che farebbe, comunque, l'anima umana in un animale, senza attività intelligente (come abbiamo visto)? e come potrebbe esservi espiazione e purificazione di una precedente vita, senza attività intellettuale e morale e coscienza della propria identità?

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12/09/2010 20:12
 
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Vogliamo citare dei nomi importanti di personalità scientifiche che criticarono e criticano il monologismo darwiniano, e delle quali per ragioni di spazio non potremo trattare qui, affinché restino come uno stimolo agli interessati. Si rammentino dunque, oltre a quelli già citati, i nomi di Georges Cuvier (1769-1832),[8] Karl Ernst von Baer (1792-1876),[9] Rudolf Virchow (1821-1902),[10] Giovanni Virginio Schiaparelli (1835-1910),[11] Hans Driesch (1867-1941),[12] Daniele Rosa (1857-1944)[13], D’Arcy Wentworth Thompson (1860-1948),[14] Conrad Hal Waddington (1905-1975),[15] Léon Croizat (1894-1982),[16] Adolf Portmann (1897-1982),[17] Pierre Grassé (1895-1985),[18] Kinji Imanishi (1902-1992),[19] Søren Lövtrup,[20] Brian C. Goodwin,[21] Colin Paterson,[22] Roberto Fondi[23], Marcello Barbieri[24]. Come si può notare, la scuola italiana conta una significativa rappresentanza.

Ora, questa è soltanto una lista parziale; oltre a quello dello spazio disponibile, essa ha il grande limite dell’ignoranza di chi scrive, e un po’ anche quello della difficoltà di rintracciare Autori poco noti ai manuali nelle loro idee più originali, nonché le loro opere.

Per le note di riferimento numerato, si veda qui di seguito:



[8] Naturalista francese, padre del catastrofismo, la teoria opposta al gradualismo geologico di Charles Lyell , che spiega la presenza dei fossili di creature non più esistenti con improvvisi eventi distruttivi che avrebbero sconvolto, in varie ere, il nostro pianeta. Si occupò approfonditamente della classificazione e della struttura dei molluschi, dei pesci, e dei fossili di mammiferi e rettili. Quest’ultimo settore lo portò a fondare la paleontologia dei mammiferi. Importanti le ricerche di osteologia e delle strutture animali. Ricoprì alti incarichi pubblici nelle istituzioni scientifiche francesi, e poco prima della morte venne addirittura nominato ministro degli interni di Francia.

[9] Il grande embriologo tedesco si oppose da subito alla teoria di Darwin, entro la quale il suo giovane avversario Ernst Haeckel incorporò invece la sua teoria embriologica (“L’ontogenesi ricapitola la filogenesi”) tanto da diffonderla come “prova” del darwinismo. Al contrario von Baer riteneva che gli organismi si sviluppassero dal generale al particolare, e che i caratteri generali apparissero nell’embrione prima dei caratteri specifici; da essi sorgeranno poi le caratteristiche più specifiche, fino alle singole specializzazioni morfologiche e funzionali. Egli denunciò le incongruenze della teoria di Haeckel, divenuta nel frattempo una sorta di cavallo di battaglia darwinista.

[10] Uno dei più grandi fisiologi del XIX sec., premio Nobel per la medicina, e Medaglia Copley. Fu anche un appassionato antropologo, fondatore della Società Antropologica Tedesca e dell’Associazione Antropologica di Berlino, pubblicando ricerche etnologiche di grande interesse, a seguito delle sue spedizioni internazionali. Di non minore rilievo fu la sua attività politica: membro del parlamento prussiano, fondò il Partito Progressista e fu un acerrimo avversario di Bismarck, che giunse persino a sfidarlo a duello. Dal 1880 al 1893 fu membro del Reichstag tedesco. A lui si devono la scoperta di diversi apparati anatomici, di un metodo standard per le autopsie, dei processi di trombosi ed embolia, e la determinazione che la genesi cellulare può avvenire solo a partire da altre cellule, e non da materia amorfa. La sua opposizione alla teoria darwiniana si basava su varie considerazioni, ma si tenne solida sull’argomento metodologico, sostenendo che essa dovesse essere considerata un’ipotesi e nulla più.

[11] Astronomo e senatore del Regno Sabaudo, fu il primo ad osservare i canali di Marte (1877). I suoi molti interessi lo portarono a occuparsi di molti rami dello scibile, tra i quali la teoria dell’evoluzione, sulla quale aveva un’interessante opinione ortogenetica.

[12] Allievo di Ernst Haeckel, che contesterà, filosofo vitalista e scienziato, pioniere dell’embriologia sperimentale, condusse importanti ricerche sui ricci di mare presso la famosa Stazione zoologica di Napoli tra il 1891 e il 1900. Ipotizzò un principio vitalistico che denominò entelechia, quale causa dello sviluppo e dell’evoluzione dei viventi. Insegnò filosofia nelle Università di Heidelberg, Colonia e Lipsia. Dal 1926 al 1927 presiedette la Society for Psychical Research. Tra le sue pubblicazioni: Teoria analitica dello sviluppo organico, 1894; Storia del vitalismo, 1905; Filosofia dell’organismo, 1908; Corpo ed anima, 1916; Parapsicologia, 1932.

[13] Docente nelle più importanti università italiane e zoologo di gran fama, concentrò i suoi studi sugli invertebrati, e sulla teoria generale dell’evoluzione, della quale sviluppò, a partire dal 1909, una visione originale che lui stesso battezzò “ologenesi”. Tra i suoi estimatori contemporanei citiamo L. Croizat e G. Montandon, il quale ultimo applicò l’ologenesi all’uomo fondando lo “ologenismo”. L’ologenesi nasce dall’insoddisfazione nei confronti di tre grandi difficoltà del neo-darwinismo, e cioè: il salto tra microevoluzione e macroevoluzione; la difficoltà di spiegare le estinzioni in meri termini di sopravvivenza del più adatto; l’inverosimiglianza degli schemi evolutivi conosciuti come risultato di semplici mutazioni casuali. Secondo Rosa, l’evoluzione non obbedisce al caso instradato dalla selezione, ma a ben definite “leggi intrinseche”. Il ruolo della selezione naturale è sottomesso a tali leggi.

[14] È molto interessante che il grande biologo e matematico scozzese D’Arcy W. Thompson sia stato anche uno studioso della classicità, e che in tale veste abbia tradotto in inglese le opere biologiche di Aristotele. La sua fama si deve al libro, meravigliosamente ben scritto e illustrato, On Growth and Form, Cambridge University Press, Cambridge 1917, 19422 (riedito da Dover, 1992): oltre mille pagine dedicate all’autoorganizzazione intesa come la forza sorgiva delle forme dei viventi, in opposizione alla selezione. La biologia, per Thompson, deve rivolgersi alle leggi della fisica e della meccanica e penetrare l’ordine sottostante le forme. I suoi esempi sono di una eleganza straordinariamente rivelatrice: ad es. la scoperta delle relazioni numeriche fra le strutture spirali nelle piante (fillotassi) e la serie di Fibonacci.

[15] Dopo la prima formazione come geologo, rivolse i suoi interessi alla genetica e all’embriologia sperimentale. Collaborando con Joseph Needham sviluppò i concetti di Evocazione e Individuazione. Trasferitosi all’Università di Edimburgo, dove dirigeva l’Unità di Riproduzione animale e Genetica, dedicò la vita all’integrazione della genetica con la teoria dello sviluppo. Ha dimostrato la realtà dell’assimilazione genetica. Le sue riflessioni e i suoi esperimenti  hanno impostato il quadro attuale dell’embriologia, con i suoi concetti di canalizzazione, epigenetica, epigenotipo, fino all’organizzazione epigenetica, sopragenomica, integrata ed ereditabile dello sviluppo embrionale. Ha recuperato alcune importanti idee di Lamarck per riconciliarle con la biologia contemporanea.

[16] Nato a Torino da una ricca famiglia di industriali, ebbe una vita tempestosa e commovente condotta fra l’Italia, gli USA, la Francia e il Venezuela (vale decisamente la pena di leggere la nota biografica di R. C. Craw, “Never a serious scientist: the life of Leon Croizat”, Tuatara 27 (1984) 1, pp. 5-7 recuperabile anche in Internet). Botanico di rara profondità, si oppose nonostante le convenienze accademiche alla biogeografia darwiniana, sostenendo la tesi secondo la quale le barriere geografiche e gli insiemi biologici localizzati coevolvono («La vita e la terra evolvono assieme»). Nasce così la panbiogeografia, un metodo di trasferimento su mappe delle distribuzioni degli organismi, capace di rivelare le antiche connessioni fra aree di distribuzione disgiunte, cioè la preesistenza di biota ancestrali, successivamente divisi da eventi tettonici o climatici. Nonostante le dure opposizioni alle sue teorie, Croizat è considerato uno dei più originali pensatori della moderna biologia comparativa.

[17] Biologo svizzero, direttore dell’Istituto zoologico dell’Università di Basilea, della quale fu anche rettore. Ha lasciato una quantità impressionante di studi sui cefalopodi, ma la sua fama è dovuta all’approccio allo studio della forma, principio che egli stesso fa risalire al Metamorphose der pflanzen di Goethe (cfr. A. Portmann, Le forme viventi, trad. It. Adelphi, Milano 1989). «L’ordine che domina i processi vitali [è un] ordine appartenente a un regno assai diverso da quello della nostra logica e i cui rapporti con quest’ultima rimangono profondamente enigmatici», scrive in “L’arte nella vita dell’uomo”, in: AA.VV., Dibattito sull’arte contemporanea, Comunità, Milano 1954, p. 133. Rifiuta il caso nella scienza, che ritiene un elemento di ignoranza; rifiuta il riduzionismo e l’utilitarismo in cui le discipline della vita si sono impastoiate.

[18] Cattedratico alla Facoltà di Scienze di Parigi, si occupò principalmente di protozoologia, entomologia e fitologia, curando anche un monumentale Traité de Zoologie in 35 volumi. La sua critica al darwinismo è presentata in L’Evolution du vivant. Matériaux pour une nouvelle théorie transformiste, 1973, trad. It. L’evoluzione del vivente, Adelphi, Milano 1979, dove tra l’altro sostiene che la fonte del flusso evolutivo va cercata fuori della mutazione; e che l’evoluzione procede per una linea principale che definisce «delle madri», dalla quale si sviluppano come stoloni le singole specie.

[19] Ecologo e primatologo giapponese, critico del darwinismo (disciplina peraltro già rifiutata in Giappone fino alla sconfitta bellica del 1945), del quale rinnegava selezionismo e gradualismo, sottolineando gli aspetti cooperativi del mondo naturale in un’ottica olistica. Le sue teorie rappresentano la risposta “orientale” alla scienza dell’Occidente ispirata all’economia. Durante il suo primo viaggio negli USA, dove espose le sue ricerche sui primati, venne ridicolizzato per i metodi “antromorfizzanti” nel trattare gli animali che studiava. Oggi la primatologia riconosce in lui un precursore.

[20] Nel suo famoso libro Darwinism: The Refutation of a Myth, Croom Helm, Beckingham 1987, l’eminente embriologo svedese sottolinea che la maggioranza degli oppositori di Darwin lo attacca da posizioni scientifiche, e ha poco a che spartire con la religione. La principale critica a Darwin, consiste per lui nell’impossibilità delle innovazioni senza un accumulo progressivo di tanti piccoli passi intermedi, la cui esistenza non reca però alcun vantaggio selettivo, e non si spiega dunque con la teoria. Egli accetta l’evoluzione, di cui però nega a Darwin la paternità, ma rifiuta il meccanismo della selezione. Anch’egli si ispira a von Baer.

[21] Negando l’utilità della spiegazione in termini di «funzione e costo», l’embriologo inglese B. C. Goodwin (Schumacher College) vorrebbe una biologia più teoretica e meno storica, dunque più concentrata sui meccanismi fisici dell’evoluzione e sui principi generali dell’organizzazione biologica, capaci di dar conto del perché delle forme. La genetica ha infatti allontanato la biologia dal suo vero oggetto di studio: gli organismi. Al paradigma evolutivo egli contrappone un paradigma generativo. La dinamica dei sistemi complessi, la fisica del caos e l’autoorganizzazione sono le chiavi di accesso a questa nuova scienza della vita.

[22] Paleontologo del British Museum of Natural History, specializzato nella sistematica dei pesci, si dichiara «agnostico» nei riguardi dell’evoluzione. Ha scritto: «I gruppi parafiletici estinti, mi paiono oscurare, piuttosto che illuminare le relazioni, perché non esistono in natura, ma nella mente degli evoluzionisti. Questi gruppi portano a uno sterile rovesciamento del problema delle relazioni, che diventa non più dipendente dall’analisi comparativa di ciò che è accessibile – i biota recenti – ma piuttosto dal fare i prestigiatori con ciò che è inaccessibile, cioè le indefinibili astrazioni tratte dai dati fossili» (“Significance of Fossils in Determining Evolutionary Relationships”, Annual Review of Ecology and Systematics, 12 (1981), pp. 195-223: p. 219). I gruppi parafiletici estinti vengono disonestamente usati, secondo Paterson, in luogo delle “forme transizionali” nei ragionamenti evoluzionistici, in mancanza di prove reali.

[23] Paleontologo dell’Università di Siena si è occupato di vertebrati e di metodologie tassonomiche a base quantitativa. È autore con G. Sermonti del volume “eretico” Dopo Darwin. Critica all’evoluzionismo, Rusconi, Milano 1980. Ritiene che l’evidenza paleontologica imponga di rifiutare la contiguità fra le diverse specie estinte, e ancor più la loro presunta derivazione l’una dall’altra.

[24] Biologo dello sviluppo presso l’Università di Ferrara, fondatore e presidente dell’Associazione Italiana per la Biologia Teorica (www.biologiateorica.it), ha aperto un cammino molto promettente nel campo della biosemiotica. Cfr. il suo The Semantic Theory of Evolution, Harwood Academic Publishers, London 1985.

Il testo completo è possibile scaricarlo dalla pagina dei documenti.

[Modificato da Credente 12/09/2010 20:14]
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17/04/2011 22:45
 
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STORIA DELL'EVOLUZIONISMO

Una teoria nata in salotto e costruita a tavolino

La teoria dell'evoluzione non derivò i suoi concetti fondamentali da nuove scoperte o indagini effettuate nel campo delle discipline biologiche - come qualsiasi nuova teoria biologica scientificamente postulata - ma venne concepita nella forma mentis dell'illuminismo razionalista e del liberalismo progressista, soprattutto a partire dagli anni violenti della rivoluzione francese.

Tutti gli elementi che si ritrovano nell'opera di Charles Darwin - presentata nel 1859 - erano già presenti nel mondo culturale fin dal primo decennio del XIX secolo; lo studioso pertanto rappresentò la conclusione piuttosto che l'inaugurazione di una determinata linea di pensiero.

La stessa teoria di Darwin che si fa scaturire dalle sue osservazioni naturalistiche effettuate durante il famoso viaggio sul Beagle non sono originali di Charles, ma del suo nonno Erasmus, uomo dotato di vastissima erudizione ed intellettualmente legato ai circoli culturali francesi di indirizzo massonico - rivoluzionario; le sue opere sull'evoluzione avevano già trovato larga diffusione.

Ciò fa anche comprendere come la teoria darwinista non sia derivata - così come tendono a riportare le ricostruzioni storico - scientifiche - da osservazioni naturalistiche del giovane Charles, ma siano state formulate indipendentemente da ogni studio e solo dopo si siano cercate evidenze che potessero in qualche modo convalidarle.

Alla base di questa linea serpeggiava uno stato di profonda insofferenza ed ostilità nei confronti della visione del mondo tradizionale.

Secondo tale visione, la realtà fisica, naturale, percepita dai sensi, non era tutta la realtà, bensì un semplice aspetto o espressione particolare di una realtà indefinitamente più vasta, metafisica, supernaturale; perciò non poteva trovare la sua completa spiegazione in se stessa, ma unicamente nell'ambito della logica di tale più ampia realtà.

In urto con tutto questo, lo spirito dell'età rivoluzionaria mirava a spiegare tutte le cose naturali, senza uscire dall'ambito della natura stessa, reputata come la sola ed unica realtà.

La teoria evoluzionistica così si presentava come un utilissimo strumento per colpire la reputazione stessa della Chiesa Cattolica ed il sentimento religioso in generale.

E' per questo infatti che, pur essendo presentata come teoria scientifica, la presentazione della stessa non fu effettuata come pubblicazione in ambienti scientifici, ma si rivolse al grande pubblico con un libro che raccoglieva in forma ordinata un numero svariato di esempi ed argomentazioni non dimostrabili, ma invece suscettibili di far presa sul grosso pubblico.

La formulazione della teoria della selezione naturale è stata formulata combinando alcune tesi del liberalismo economico con i metodi degli allevatori del bestiame domestico, rielaborando un'ingenua concezione dell'ereditarietà in base al common sense britannico (1).

In quanto abbiamo detto è evidente la natura ideologica dell'intera teoria evoluzionistica. E' infatti tipico dell'ideologia forzare l'interpretazione: quando lo schema non si adatta alla realtà, invece di ammettere questa evidenza, pretende che la realtà si adatti allo schema.




***
(1) Pietro Omodeo, Creazionismo ed evoluzionismo, Laterza, p. 179.
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17/04/2011 22:46
 
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La rivoluzione evoluzionistica
Mistificazioni evoluzionistiche e matematica (L. Benassi) (1)

A cento anni dalla scomparsa, il mondo scientifico ufficiale, con grande dispiego di mezzi, ha celebrato nel 1982 l'"anno darwiniano". Quotidiani, settimanali, riviste di divulgazione hanno offerto generosamente le proprie pagine alla memoria del "fondatore" e alla diffusione del suo "messaggio": una claque invadente e ossessiva ha applaudito senza interruzione alle vecchie tesi evoluzionistiche riproposte, come sempre, secondo enunciati ambigui e sfuggenti e con il consueto corredo di "prove" (2). Lo spazio per il dissenso è stato pressoché nullo e su ogni voce discorde è stata fatta gravare un'atmosfera ora di ironia, ora di disinteresse. Non è consentito avere dubbi "sulla validità della teoria [...]. L'impostazione corretta di questo dubbio non è [...] "se l'evoluzione è vera", ma se sappiamo tutto dell'evoluzione" (3).

Della evoluzione, in pratica, si conosce ben poco. Giuseppe Montalenti, presidente dei Lincei, fautore e divulgatore in Italia della teoria evoluzionistica, ammette, per esempio, che "non è a credere che tutto sia chiaro, che tutti i problemi siano risolti. Al contrario, molti rimangono aperti e intorno a essi si discute e si ricerca molto. [...] Molti e gravi sono i problemi anche in quello che abbiamo chiamato l'aspetto storico dell'evoluzione. Il quadro del processo evolutivo appare disegnato nelle sue grandi linee in modo abbastanza attendibile, ma quando si cerca di fissare il particolare si incontrano spesso grandi difficoltà" (4).

Se le difficoltà permangono, come sempre, e se nessun fatto nuovo, nessuna verifica sostanziale sono intervenuti in questi cento anni a fare sì che l'evoluzionismo sia qualcosa di più di un disegno "attendibile" soltanto nelle sue "grandi linee", le celebrazioni riservate a Darwin e alla sua teoria, fatto anomalo nella storia della scienza, inducono a un atteggiamento di sospetto. Il sospetto cade e diviene certezza se si considera che Darwin e l'evoluzionismo sono troppo importanti per essere lasciati al vaglio della usuale metodologia scientifica: non tanto per il rischio di vedere cadere ciò che affermano, quanto per il timore di dovere affermare ciò che negano. Ne ha chiara coscienza Francois Jacob, evoluzionista, premio Nobel per la medicina nel 1965: "Quello che Darwin ha mostrato è che per rendere conto dello stato attuale del mondo vivente non c'era affatto bisogno di ricorrere ad un Ingegnere Supremo. [...] Tuttavia se l'idea di un progetto, di un piano generale del mondo vivente, stabilito da un creatore è scomparsa con il darwinismo, questo ha conservato un alone di armonia universale" (5). Quindi, per evitare che l'"Ingegnere Supremo", cacciato dalla porta principale più di cento anni fa, rientri per quella di servizio attraverso la oggettiva constatazione della "armonia" della sua opera, ovvero della perfezione e della finalità delle sue parti, si rende necessario un costante rilancio della teoria evoluzionistica, nel quale non siano discussi e criticati i dubbi e le prove, ma sia posto l'accento sull'impatto rivoluzionario che essa ha avuto e continua ad avere su ogni concezione del mondo che faccia ricorso a un creatore.

Un creatore presuppone una volontà, e una volontà esprime una intenzione, un progetto: ebbene, continua Jacob, "la teoria della selezione naturale consiste precisamente nel capovolgere questa affermazione. [...] In questo rovesciamento, in questa specie di rivoluzione copernicana sta l'importanza di Darwin per la nostra rappresentazione dell'universo e della sua storia" (6). Se poi si considera che la concezione tradizionale del mondo "ha nella dottrina cristiana il suo più saldo fondamento" (7), non è difficile collocare il movimento evoluzionistico nel quadro più ampio del movimento che il pensiero contro-rivoluzionario denomina "Rivoluzione" e che si realizza nella lotta e nella demolizione tematica di ogni espressione conforme a quella dottrina: sul piano religioso, su quello politico-sociale-istituzionale, su quello economico, fino a colpire, da ultimo, i legami microsociali e l'individuo stesso.

Seguendo lo schema di Plinio Corrêa de Oliveira (8), lo svolgimento storico mette in evidenza, dalla fine dei Medioevo cristiano, una I Rivoluzione, protestantica, che distrugge i legami religiosi; una II Rivoluzione, liberale-illuministica, che distrugge i vincoli e i legami dell'antico ordine sociale; una III Rivoluzione, comunistica, che abolisce il residuo ordine economico. Ma, ulteriore al comunismo, Corrêa de Oliveira intravede una "IV Rivoluzione nascente" (9), il cui tratto saliente sta nel carattere ristretto del suo campo d'azione: i legami microsociali, cioè la trama di relazioni che ogni uomo tesse in quanto membro di una comunità, di una famiglia, in quanto genitore. E dopo i legami microsociali, spesso in diretta relazione con essi, si pone l'ordine interiore della persona, che trova nella gerarchia intelletto-volontà-sensibilità il riferimento di ogni azione e di ogni manifestazione.

V'è ora da chiedersi: se l'evoluzionismo, come non esitano ad affermare i suoi esponenti più rappresentativi, è una rivoluzione, nel senso di "sovvertimento" e non in quello, purtroppo diffuso, di semplice "cambiamento" rispetto a un ordine precedente, come collocarlo all'interno dello schema ora tracciato?

Per il suo carattere intellettuale e accademico, l'evoluzionismo si pone innanzitutto su di un piano non immediatamente legato ai fatti e ai comportamenti delle persone: l'evoluzionismo è una rivoluzione nelle idee. Cionondimeno, analogamente ai grandi sistemi ideologici del passato, esso aspira a fornire una giustificazione al comportamento individuale e sociale. Ciò è tanto più vero in un'epoca come la nostra che "si è lasciata gradatamente persuadere che l'essere umano, analizzato, scomposto, scandagliato dalle varie direttive di ricerca non è altro che una macchina, di volta in volta meccanica, chimica, elettrica o cibernetica" (10). Ora, è al contenuto delle idee evoluzionistiche e alla loro capacità di penetrazione che si deve guardare per rispondere alla importante domanda che ho posto prima.

Già ho osservato che il loro carattere sovversivo generale risiede nell'affermazione di una visione del mondo che fa a meno di un creatore. Tuttavia non è difficile constatare che esse si spingono ben oltre, negando anche l'ordine morale che deriva dalla esistenza di un creatore e che, per questo, è vincolante. L'evoluzionismo, infatti, traendo l'uomo dal caso e facendone un "prolungamento delle cose [...] sullo stesso piano degli animali" (11), lo sottrae a ogni responsabilità: la storia diventa storia della biologia, dove "tutto è permesso" (12) e dove "non vi sono più leggi divine che assegnino limiti all'esperimento" (13).

Una volta esclusi Dio e la sua volontà, cioè una volta rotto il legame Creatore-creatura, rimane la constatazione del puro divenire. Da esso gli esseri emergono non in vista di un fine secondo un progetto, ancorché immanenti al movimento stesso, bensì in virtù del puro gioco delle fluttuazioni statistiche. "L'evoluzione - scrive Jacob - mette in gioco intere serie di contingenze storiche" (14), così che "il mondo vivente avrebbe potuto essere diverso da quello che è, o addirittura non esistere affatto" (15). Questa affermazione è molto importante per il tipo di analisi che sto conducendo. Essa dimostra, infatti, che l'evoluzionismo contiene in sé anche gli elementi della II e della III Rivoluzione: la rottura dei legami politici, cioè delle antiche solidarietà sociali fondate sulla gerarchia e sull'ordine, e di quelli economici. Se ne rende ben conto lo stesso Jacob: "Finché l'Universo era opera di un Divino Creatore, tutti gli elementi erano stati da lui creati per accordarsi in un insieme armonioso, accuratamente preparato al servizio del componente più nobile: l'uomo. [...] Era un modo di concepire il mondo che aveva importanti conseguenze politiche e sociali, in quanto legittimava l'ordine e la gerarchia della società" (16). Ora, invece, perde di senso qualunque tentativo di fondare un ordine e una gerarchia: "il migliore di tutti i mondi possibili è diventato semplicemente il mondo che si trova a esistere" (17).

In questo emergere prepotente del "caso" come fonte ed essenza della realtà, in questa dissolvenza dell'essere umano, della sua libertà e della sua volontà nel movimento evolutivo, risiede il carattere originale della rivoluzione darwiniana: una originalità che la distingue dallo stesso marxismo e da ogni altra ideologia di matrice hegeliana. Nella dialettica hegeliana e in quella marxistica, il movimento universale, dell'Idea o della Materia, conservava pur sempre una sua finalità, una "direzione privilegiata", "ascendente", e offriva agli individui più consapevoli la possibilità di tuffarsi nella corrente e di accelerare in qualche modo il corso della storia. Ma ora che il mondo esistente non può essere che il frutto del caso, costruito come una quaterna del lotto, ogni pretesa di perfettibilità diventa inutile e assurda: anche il mondo di domani, come quello di oggi, uscirà "alla cieca" dall'urna dei "mondi possibili".

Distinta dal comunismo, dunque, ma anche "oltre" il comunismo (18): la rivoluzione darwiniana procede inesorabile secondo una logica folle di trasgressioni successive. Abbattute le barriere tra le specie, in una visione del mondo vivente nel quale gli organismi perdono la loro tipicità e la loro fissità strutturale, dove "oggetto effettivo di conoscenza è la popolazione nel suo insieme" (19), l'avanguardia evoluzionistica propone, da ultimo, il programma di ricostruzione della società e degli individui sulle basi delle indicazioni della sociobiologia e della ingegneria genetica. L'inserimento dell'aborto nelle legislazioni di molti paesi, accompagnato da campagne propagandistiche sul suo uso come strumento di selezione in base alle caratteristiche genetiche dei feti (20); la diffusione della fecondazione artificiale, che esclude ogni rapporto di paternità e di maternità, lasciano intravedere l'inquietante scenario di una umanità pianificata e manipolata artificialmente, che attraverso la tecnica della clonazione (21), realizza il sogno utopico della uguaglianza assoluta: quella relativa al patrimonio ereditario degli individui.

Il movente occulto della Rivoluzione è l'odio a Dio. Non potendo questo odio scagliarsi contro Dio stesso, si proietta contro le sue opere e, nella sua forma più consapevole e compiuta, contro il capolavoro del creato: l'uomo. Nell'uomo Dio ha infuso la scintilla dell'intelletto, che lo distingue dagli animali, ma a ogni uomo ha anche assegnato una vita interiore, un modo di affacciarsi al reale e di riflettere su di esso del tutto diverso da quello di ogni altro uomo: è il dono della personalità. E' evidente che l'aggressione organizzata e tematica della Rivoluzione al creato deve prevedere il momento di lotta specifica all'essere umano: questo attacco, come si è detto, si compie con la IV Rivoluzione. Nel quadro di questa battaglia, forse quella finale che la Rivoluzione si accinge a combattere (22), la rivoluzione evoluzionistica svolge il ruolo di aggressivo genetico, fornendo le idee per una alterazione delle differenze psico-somatiche tra gli individui.

La prospettiva è al limite; tuttavia non è eliminabile: la direzione in cui l'evoluzionismo lavora nei laboratori di genetica è quella di un mondo popolato da miliardi di esseri uguali, repliche esatte di uno stesso "progetto umano". Scrive ancora Jacob: "Forse si riuscirà anche a produrre, a volontà e nel numero di esemplari desiderato, la copia esatta di un individuo: un uomo politico, un artista, una reginetta di bellezza, un atleta. Nulla vieta di applicare fin d'oggi agli esseri umani i procedimenti selettivi utilizzati per i cavalli da corsa, i topi da laboratorio o le vacche lattiere [...]. Ma tutto questo non ha più a che fare soltanto con la biologia" (23).

E' vero, tutto ciò è già oltre la biologia, è la prospettiva sinarchica della Repubblica Universale, di un mondo, come insegna Corrêa de Oliveira "senza disuguaglianze né sociali né economiche, diretto mediante la scienza e la tecnica, la propaganda e la psicologia" (24); di un mondo nel quale, paradossalmente, quella umanità che l'evoluzionismo vuole scaturita dai branchi scimmieschi delle savane, ritorna a essere mandria indistinta e brutale come i suoi mitici progenitori.



***
(1) in Cristianità n. 95 (1983)
(2) La corsa alle "prove" costituisce, nella storia dell'evoluzionismo, un capitolo a sé. Dalla ricerca dei cosiddetti "anelli mancanti" tra due gruppi di viventi al clamoroso falso paleontologico di Piltdown nel quale ebbe un ruolo attivo padre Teilhard de Chardin gli evoluzionisti non hanno mai tralasciato nulla che potesse confortare la validità della loro teoria. Così non è infrequente imbattersi in notizie come Un bimbo con coda conferma la teoria dell'evoluzione (il Giornale nuovo, 21-5-1982).
(3) Così Claudio Barigozzi, in il Giornale nuovo, 17-6-1982. Questo tour d'esprit è talmente frequente presso gli autori evoluzionisti che, si può dire, caratterizzi la logica dell'evoluzionismo stesso: non è più la teoria a sottostare ai dati della realtà, ma è la realtà a essere forzata entro le maglie rigide della teoria.
(4) Giuseppe Montalenti, Charles Darwin, Editori Riuniti, Roma 1982, pp. 117-118.
(5) Francois Jacob, Evoluzione e bricolage, gli "espedienti" della selezione naturale, Einaudi, Torino 1978, p. VIII.
(6) Ibid., p. 36. Sul carattere rivoluzionario del darwinismo cfr. anche Iring Bernard Cohen, La rivoluzione darwiniana, in Le Scienze, n. 172, dicembre 1982. L'autore — che in realtà è Victor S. Thomas, professore di storia della scienza ad Harvard — ritiene estremamente significativa l'affermazione fatta da Darwin a conclusione dell'Origine delle specie, l'opera con cui presentò al mondo scientifico la sua teoria. Scriveva Darwin: "Quando le opinioni sostenute in questo libro, od altre opinioni analoghe, verranno ammesse dalla generalità degli studiosi, si può prevedere oscuramente che vi sarà una grande rivoluzione nella storia della scienza" (Charles Darwin, L'origine delle specie, ed. originale del 1859 e app. con le varianti dell'ed. del 1872, trad. it., Newton Compton, Roma 1981, p. 557). Cohen commenta così: "Questo evento, una dichiarazione di rivoluzione in una pubblicazione scientifica formale, è apparentemente senza precedenti nella storia della scienza". Interessante è ancora l'osservazione di Cohen sul fatto che "c'è un solo altro autore scientifico dell'epoca moderna che può essere paragonato a Darwin, [...] ed è Sigmund Freud, un dato che mostra l'incredibile intuito che Freud ebbe quando, paragonò l'effetto prevedibile delle sue idee [sull'inconscio e sulla psicanalisi, ndr] a l'effetto di quelle di Darwin".
(7) G. Montalenti, op. cit., p. 42.
(8) Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977.
(9) Ibid., p. 189.
(10) Emanuele Samek Lodovici, Ma l'uomo non è solo una macchina, in Il Settimanale, anno 1980, n. 34-35.
(11) F. Jacob, La logica del vivente, tr. it., Einaudi, Torino 1971, p. 215.
(12) Ibid..
(13) Ibid..
(14) Idem, Evoluzione e bricolage, Gli "espedienti" della selezione naturale, cit., p. VIII.
(15) Ibid..
(16) Ibid..
(17) Ibid., p. IX.
(18) Lucio Colletti, Marx era il suo miglior nemico, in Darwin. Come si diventa uomo, supplemento a L'Espresso, anno XXVII, n. 13, 4-4-1982.
(19) F. Jacob, La logica del vivente, cit., p. 207. Darwin, in pratica, ha negato la specie e il "tipo" o "modello" a cui ogni specie rinvia. Il mondo vivente è, per l'evoluzionismo, un grande sistema i cui elementi, tutti diversi, sono in continua trasformazione.
(20) Il problema è discusso in Harry Harris, Diagnosi prenatale e aborto selettivo, tr. it., Einaudi, Torino 1978.
(21) Clonazione è la tecnica con cui l'intero patrimonio cromosomico di un individuo viene introdotto in una cellula per ottenere un duplicato biologico dell'individuo stesso. Fino dal 1979 i ricercatori Karl Illmensee, svizzero, e Peter Hoppe, statunitense, hanno ottenuto topi clonati, primi tra i mammiferi a essere generati con questo trattamento. Il Corriere Medico del 13/14-1-1981, nel pubblicare un estratto del testo ufficiale con cui i due ricercatori presentavano l'esperimento, titola "profeticamente": Oggi i topi, domani l'uomo.
(22) Massimo Introvigne, Le origini della Rivoluzione sessuale, in Cristianità, anno VII, n. 54, ottobre 1979. L'autore osserva che il mutamento di interesse della Rivoluzione, dai fenomeni macrosociali a quelli microsociali, non è il segno di una "crisi" della Rivoluzione stessa. Al contrario, "il fine della Rivoluzione è la IV Rivoluzione", ovvero si sono demolite le istituzioni cristiane per quindi demolire l'uomo naturale e cristiano.
(23) F. Jacob, op cit., p. 375.
(24) P. Corrêa de Oliveira, op. cit., p. 117.
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17/04/2011 22:48
 
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Dal darwinismo alle ideologie progressiste

Le teorie evoluzioniste hanno enormi responsabilità nelle ecatombi che la storia dell'umanità ha sperimentato negli ultimi secoli della sua esistenza.

Lo stesso Darwin ha scritto nel suo L'evoluzione delle specie: «Tra tutti gli uomini ci deve essere lotta aperta; [...] le razze umane più civili stermineranno e si sostituiranno in tutto il mondo a quelle selvagge».

L'influsso del darwinismo e dell'evoluzionismo è rintracciabile in quasi tutte le degenerazioni ideologiche del XIX secolo:
  • Giganti del capitalismo selvaggio come John D. Rockefeller e Andrew Carnegie facevano regolarmente appello ai principi darviniani Il capitalismo selvaggio segue Darwin e pensa che la lotta economica fra gli uomini, migliori l'umanità perché distrugge i deboli e fa sopravvivere i forti.
  • Il comunismo segue Darwin e pensa che la lotta di classe porti al miglioramento della materia: Marx dichiarava che il libro di Darwin era molto importante perché permetteva di fondare la lotta di classe sul principio della selezione naturale e Iosif Stalin diventava rivoluzionario dopo aver letto Darwin. Scrive Karl Marx: «La violenza è l'ostetrica che trae la nuova società dal grembo della vecchia». Esiste un evidente parallelismo fra evoluzionismo e comunismo: entrambi stabiliscono una priorità dell'idea sulla realtà o meglio vi è l'asservimento ad un'idea della realtà.
  • Il marxista Ludwig Woltmann, dirigente socialista tedesco, univa organicamente la filosofia marxista con il darwinismo: per Woltmann la lotta di classe era solo un aspetto della universale lotta fra le razze, necessaria all'evoluzione dell'umanità. Egli, pur essendo di origini ebraiche, sosteneva la superiorità razziale dell'ariano e del tedesco.
  • Anche il nazional-socialismo segue Darwin e crede che la lotta fra le razze sia necessaria per il miglioramento dell'umanità (1).



    ***
    (1) Bruto Maria Bruti, Selezione naturale?, Contro la leggenda nera
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18/10/2011 22:22
 
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Lo psicolgo Matt J. Rossano: «più studiamo l’evoluzione e meno appare casuale»

Parlare oggi di “ateismo scientifico” significa strappare un sorriso al proprio interlocutore. Tuttavia fino a pochi anni fa era una vera dottrina insegnata nelle migliori università dell’URSS e, come raccontano gli ex studenti (molti dei quali, oggi, convertiti), il tema principale era la casualità dell’evoluzione. Il paleontologo Stephen J. Gould parlò spesso di questa contingenza e dell’inesistenza di una direzionalità inerente: noi siamo «un piccolo ramoscello su un improbabile ramo di un contingente arto su un albero fortunato» (S.J. Gould, “Wonderful Life”, Norton & Company 1990, p. 291).

Per qualche anti-teista, la natura capricciosa dell’evoluzione sembrava rappresentare finalmente l’obiezione principale al cristianesimo, il quale mette l’uomo al centro, apice dell’opera creativa di Dio, il vero scopo della creazione stessa. Ancora oggi qualche neo-darwinista, debole rimasuglio del grande movimento filosofico/ideologico che nacque per divulgare il più possibile l’evoluzion-ismo, tenta di ragionare come Dio e sostiene che un Creatore non avrebbe mai scelto percorsi del genere per far apparire l’uomo.

Ma, come spiegava in Ultimissima 9/10/11 Michele Forastiere, le cose pare stiano mettendosi sempre peggio per gli amici neo-darwinisti. Lo ha spiegato su “Huffington Post”, il sito web più visitato al mondo, lo psicologo Matt J. Rossano, docente alla Southeastern Louisiana University ed esperto in psicologia evolutiva: «Sempre più spesso -dice l’evoluzionista-, la scienza sta dimostrando che il processo evolutivo ha fatto i conti con molti vincoli che limitano la sua possibilità e forzano i suoi percorsi».

Porta come esempio di questo il fenomeno della onnipresente convergenza evolutiva, cioè la tendenza per cui specie diverse che vivono nello stesso ambiente, sottoposte agli stessi stimoli ambientali, si evolvono sviluppando strutture o adattamenti molto simili. Come scrive il paleobiologo di Cambridge, Simon Conway Morris in “Life’s Solution” (Cambridge Press 2003), esiste solo un numero limitato di modalità con cui l’evoluzione può risolvere i problemi di adattamento posti dagli ecosistemi della terra. Di volta in volta, l’evoluzione si imbatte sempre nelle stesse caratteristiche di progettazione generale. A questo occorre aggiungere, secondo Rossano, l‘effetto Baldwin e i recenti risultati nel campo dell’epigenetica (chi vuole approfondire può farlo leggendo l’articolo originale), i quali -sommati agli effetti di convergenza- «sono solo alcuni dei meccanismi che servono come vincoli direzionali sui percorsi dell’evoluzione». La ha riconosciuto anche l’antropologo Melvin Konner: «Non ci sono intrinsechi fattori di guida nell’evoluzione, ma ci sono intrinsechi vincoli e canalizzazioni lungo i quali l’evoluzione è facilitata a procedere» (M. Kooner, “The Evolution of Childhood”, Harvard Press 2010).

Lo psicologo conclude dunque sottolineando come, naturalmente, «nessuno di questi fattori garantisce il nostro arrivo sul palco evolutivo. Essi, tuttavia, aumentano la probabilità che una creatura complessa, razionale, capace di intrattenere sia idee scientifiche e religiose possa emergere». E ancora: «Più comprendiamo evoluzione, meno sembra fondata la paura dei creazionisti o la dissoluzione di Dio cui bramano alcuni atei».

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17/04/2012 23:46
 
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“Effetto Ramanujan”:

un argomento fisico contro il darwinismo


 

di Giorgio Masiero*,
*fisico e docente universitario

Michele Forastiere*,
*insegnante di matematica e fisica

 
 
 
È indubitabile che una buona comprensione intuitiva della propria nicchia ambientale costituisce un vantaggio evolutivo per una specie. La comprensione delle relazioni d’equivalenza e d’ordine, l’esecuzione delle operazioni aritmetiche, l’intuizione dei concetti geometrici elementari, l’idea di velocità, ecc. sono strumenti utili alla vita umana, che in un ambiente di lotta per la sopravvivenza condiviso con altre specie viventi possono aver dato origine ad un’algebra, una geometria ed anche una meccanica primitive. In un paradigma evolutivo, i “circuiti neurali” umani potrebbero essere stati selezionati in corrispondenza ai criteri suddetti, essendo ogni avanzamento avvenuto in modo casuale e contingente, neutro rispetto alla fitness darwiniana. A partire da Galileo, però, una matematica sempre più astratta e sempre meno intuitiva si è dimostrata necessaria e sufficiente a descrivere molti meccanismi nascosti della realtà fisica. Nasce perciò un problema: com’è potuto accadere che i circuiti neurali di Homo Sapiens Sapiens siano stati selezionati allora per comprendere, o per creare, strutture matematiche che hanno superato di gran lunga la soglia oltre la quale esse erano indifferenti nella produzione di vantaggi competitivi per la specie? In altre parolequale vantaggio competitivo può aver dato ai nostri progenitori la disponibilità d’un cervello fin dall’inizio completamente attrezzato all’elaborazione della teoria delle stringhe?

Chiameremo questo problema “effetto Ramanujan”, in onore del matematico indiano Srinivasa Aiyangar Ramanujan (1887–1920) che, giovanissimo e senza istruzione superiore, produsse solitariamente e con l’uso quasi esclusivo dell’intuizione una serie di straordinari teoremi. Fuori dell’India e ai giorni d’oggi, si deve considerare che esistono ancora gruppi umani cosiddetti primitivi, che non hanno mai prodotto una matematica degna di nota prima di entrare in contatto con il resto del mondo – prosperando, peraltro, per decine di millenni senza avvertirne il bisogno – ma che hanno espresso soggetti in grado, una volta avuto accesso agli ordinari curricula di studi, di dimostrare l’abilità matematica di qualsiasi altro essere umano appartenente al mondo progredito.

Perché la mente umana risulta, tramite la matematica, capace di descrivere finemente la realtà fisica in un vastissimo insieme di modalità che vanno ben oltre la sfera della comprensione intuitiva necessaria alla lotta per la sopravvivenza? La mente è persino in grado, proprio grazie agli strumenti matematici e tecnologici da essa sviluppati nell’ultimo secolo, di vedere gli ostacoli che si frappongono ad una (ipotetica) comprensione totale della realtà fisica. Così sappiamo, per esempio, che le attuali metodologie di analisi (matematiche e sperimentali) non permettono una descrizione unitaria e coerente del campo gravitazionale sotto i limiti spazio-temporali planckiani: una teoria che coniughi la relatività generale con la meccanica quantistica è attesa da tempo e la strategia attuale della cosmologia quanto-gravitazionale, che passa attraverso la somma di storie di Feynman, appare di valore euristico. E in conseguenza dei due teoremi d’incompletezza di Gödel, non si è nemmeno sicuri che una tale composizione esista e sia maneggiabile.

Formuliamo ora la congettura:

S = “La mente giungerà col tempo ad elaborare una struttura logico-matematica atta a descrivere la realtà naturale in modo completo”.

S si suddivide in due declinazioni alternative:

SN = “La tecno-scienza riuscirà col tempo a comprendere tutta la realtà naturale, senza ricorso alla metafisica” [Naturalismo e ragione umana interamente accordata con la realtà naturale “dimostrati”].

ST = “La mente riuscirà col tempo a comprendere tutta la realtà naturale, includendo un ricorso fondativo alla metafisica, non valendo per la realtà naturale un principio di chiusura causale”[Spiritualismo e ragione umana interamente accordata con la realtà naturale “dimostrati”].

 

La negazione di S, X = NOT(S) suona:

X = “La realtà naturale è, nella sua interezza, inconoscibile alla mente”.

X ha due declinazioni alternative:

XN = “La realtà naturale è fondamentalmente caotica; il parziale accordo oggi registrato con la mente è un fatto contingente e storicamente transitorio”.
XT = “La realtà ha una logica intrinseca che è solo parzialmente comprensibile dalla mente. Al massimo, la tecno-scienza potrà accrescere la sua comprensione della realtà naturale, ma non vi riuscirà mai in modo completo”.

Dal momento in cui Galileo enunciò l’assunzione alla base del programma scientifico moderno secondo la quale l’Universo “è scritto in lingua matematica” (“Il Saggiatore”, 1623), la ragione umana attraverso l’indagine scientifica ha svelato mille misteri della Natura che si sono tradotti in miriadi di applicazioni tecnologiche. Possiamo dunque asserire:

SP = “La scienza ha dimostrato, finora, di saper descrivere con un grado di precisione crescente il funzionamento della realtà fisica”.

Da ciò possiamo inferire che esiste una probabilità non nulla che anche tutta la realtà naturale sia governata da una logica intrinseca e che tale logica coincida con forme di astrazioni proprie del pensiero umano. Non negheremo ad una concezione ottimista dei poteri della ragione il diritto di assumere che la proposizione vera SP (che afferma i successi passati e presenti delle scienze naturali) costituisce unsupporto alla congettura S, cioè:

P(S | SP) ≈ 1

In una delle due declinazioni alternative, SN o ST, questa fiducia è una convinzione condivisa da naturalisti e teisti in ugual misura: si pensi, per esempio, alla TOE di S. Hawking e al Super-Mondo di A. Zichichi. Ora ci chiediamo: qual è la probabilità dell’effetto Ramanujan assumendo il paradigma darwinista D? Ovvero, qual è la probabilità che l’uomo, evolvendosi per caso e necessità nelle savane africane pleistoceniche, abbia sviluppato, grazie ad una successione di casi fortuiti e contingenti, tutti i circuiti neurali necessari a formulare le strutture matematiche delle diverse categorie (insiemi, semigruppi, gruppi, spazi vettoriali, spazi topologici, varietà differenziali, ecc.) che sarebbero servite centinaia di migliaia di anni dopo a descrivere gli intimi meccanismi di funzionamento della realtà naturale – quando tali circuiti cerebrali non avevano nessun vantaggio immediato in termini di fitnessConsiderando che:
- Le citate elevatissime capacità di astrazione matematica non costituivano allora un tratto adattativo, capace di migliorare la fitness evolutiva (perché sono semplicemente neutre dal punto di vista darwiniano, e quindi furono dovute alla sola contingenza) e che
- quelle capacità hanno comportato “per necessità” delle leggi fisiche un aumento d’informazione del genoma.
A quanto possiamo stimare – tenuto conto della legge di Shannon – la probabilità bayesiana che siano comparse le corrispondenti complesse strutture neurali per caso e necessità, dato D? È ovvio assumere:

P(SP | D) << 1

dove possiamo riassumere la proposizione D nei seguenti termini:
D = “Il ricorso ai meccanismi di caso e necessità è una spiegazione coerente e sufficiente dell’effetto Ramanujan”.

Questo sarebbe un confutatore (“defeater”) di SP, se non fosse che SP è vera e quindi a risultare confutata è la premessa D, con un elevato grado di probabilità. Esaminiamo ora la probabilità P(S | D), in cui non conosciamo il valore di verità di S. Possiamo ragionevolmente supporre:

0 ≈ P(SN | D) ≡ P(S | D) ≤ P(SP | D) << 1

La prima relazione è un confutatore per SNa meno che D non sia falsa. Dunque, risulta illogica la credenza in SN (la posizione scientista, ovvero di giustificazione scientifica del naturalismo) se si assume il darwinismo! Se, inoltre, si sostiene la credenza P(S | SP) ≈ 1, che pure appartiene allo scientismo, ne consegue di nuovo che D è falsa, con un elevatissimo grado di probabilità. Insomma, a meno di rinunciare al darwinismo, non è ragionevole credere che si possa un giorno corroborare scientificamente il naturalismo!

Alla credenza congiunta nel darwinismo resta una sola via d’uscita, la proposizione X, specificamente la XN. Infatti la XT contiene un elemento deista: se la realtà naturale ha una logica soltanto parzialmente comprensibile dalla mente, essa è un sistema capace di elaborare informazioni – nella fattispecie, uno che lo è in misura infinitamente superiore alla mente (ciò che allude ad un panteismo spinoziano). Vale la pena chiedersi, però, che cosa comporta la congiunzione di XN e di D. A nostro parere, una sola cosa: il multiverso. Ma questa credenza, anche prescindendo dalla sua dubbia connotazione scientifica, è auto-contraddittoria. Infatti ogni tipologia di multiverso richiede un substrato di meta-leggi logiche e matematiche preesistenti (in caso contrario non sarebbe compatibile con SP) e ciò implica a sua voltauna credenza di tipo XT, che è inconciliabile con XN!

 

In conclusione, è estremamente improbabile che il darwinismo possa spiegare l’origine di H. Sapiens Sapiens; e, se si crede che possa farlo, o risulta irrazionale credere che l’uomo potrà un giorno trovare una giustificazione scientifica al naturalismo, o si cade in un’insanabile contraddizione logica.

N.B. È d’obbligo un ringraziamento al prof. Enzo Pennetta per i preziosi spunti di riflessione off

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16/06/2012 13:00
 
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Richard Lewontin:
riconoscere limiti della scienza e del neodarwinismo

Dovremmo aggiungere ai nomi citati in quell’articolo anche quello di Richard Lewontin, biologo e genetista statunitense, luminare dell’Università di Harvard e attualmente considerato da molti il più celebre evoluzionista vivente, e quindi nemico giurato del neodarwinismo, come ebbe a dire in merito all’uscita de “Gli errori di Darwin” (Feltrinelli 2010), di Piattelli-Palmarini e Fodor: «abbiamo dedicato entrambi energie e inchiostro [lui e Gould] per controbattere alcune delle più famose fra queste derive neodarwiniste, ma pensiamo che sia necessario estirpare l’albero dalle radici; dimostrare che la teoria di Darwin della selezione naturale ha delle falle fatali».

In questi giorni a Venezia si è svolto un convegno internazionale dedicato al suo grande amico Stephen J. Gould, celebre paleontologo (anche lui ovviamente fortemente contrario al neodarwinismo) e Lewontin ha aperto il dibattito con un video-messaggio in cui ha detto«Scienza e società esistono in simbiosi e ammettere le ombre e i limiti all’interno della scienza aiuta a scoprire la natura dell’uomo e il reale valore della scienza». La scienza, al di là degli strali dei vari Flores D’arcais e Piergiorgio Odifreddi, non è una panacea e occorre nutrire un forte scetticismo ragionevole. Bisogna ben guardarsi, riporta la giornalista scientifica Gianna Milano, dal rischio di vedere la scienza come una nuova religione e gli scienziati come dei nuovi sacerdoti.

I neodarwinisti Daniel Dennett e Richard Dawkins (criticati perfino da Telmo Pievani in “Introduzione alla filosofia della biologia”, Laterza 2005) difendono strenuamente il programma adattazionista, quindi la vecchia concezione evoluzionistica basata sui geni e sul loro presunto egoismo mentre, da sempre, Gould e Lewontin rilevano le barriere che rendono l’evoluzione limitata, non certo onnipotente, più vincolata e determinata dalle contingenze, non libera di viaggiare nella casualità delle variazioni verso l’ottimalità. La selezione naturale non è l’unica causa dell’evoluzione e il darwinismo non è sinonimo di evoluzione.

L’attuale dibattito pare dare ancora più ragione al genetista americano in quanto «sempre più spesso la scienza sta dimostrando che il processo evolutivo ha fatto i conti con molti vincoli che limitano la sua possibilità e forzano i suoi percorsi», come ha sostenuto lo psicologo evoluzionista Matt J. Rossano. L’evoluzione biologica potrebbe essere scientificamente prevedibile (qui e qui, ad esempio) e la nostra comparsa -per dirla con il celebre paleontologo Simon Conway Morris-  non sembra affatto il risultato inaspettato di una storia totalmente contingente, ma è invece in qualche modo qualcosa di implicito nelle leggi dell’Universo.

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18/07/2012 06:42
 
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29/07/2012 20:18
 
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Mariano Artigas:
evoluzione, creazione e divulgazione scientifica

Artigas  mostra di non accettare acriticamente la teoria di Darwin, almeno così come viene enunciata dai suoi sostenitori nella forma attuale detta ‘neodarwinismo‘. Nei suoi interventi infatti evidenzia le contraddizioni e i punti poco chiari che tale teoria ha al suo interno,  facendo notare come molte affermazioni siano in realtà soltanto ipotesi non provate e mettendo in guardia dall’indebito sconfinamento verso la filosofia e la teologia realizzato da alcuni studiosi. Non solo, perciò, evidenzia le difficoltà che la teoria attuale ha nello spiegare le origini, ma consiglia ai divulgatori di non contaminare con la loro ideologia i risultati scientifici veramente certi, stiracchiando a loro favore un appoggio che la scienza non dà.

Per fare un esempio, nel suo libro Le frontiere dell’evoluzionismo (Edizioni Ares 1993), Arigas esplicita tre false ‘deduzioni’ che studiosi quali quelli sopra menzionati,  ’fanno derivare’ illecitamente dalla scienza: 1) la non necessità della creazione divina dell’universo,  2) l’inesistenza dell’anima, 3) la negazione dell’azione di Dio nel mondo. Rispetto alla creazione dell’Universo, cioè sul fatto che dopo il ‘nulla’ vi sia stato ‘qualcosa‘,niente di sicuro può dire la scienza in quanto essa dovrebbe osservare il ‘nulla’ antecedente e metterlo in relazione con ciò che invece esiste, ma ciò è ovviamente impossibile. Il problema della nascita dell’universo è più metafisico che fisico, esce dalle possibilità di osservazione scientifica e inutili sono le teorie evoluzionistiche. La scienza neppure può esprimersi sull’esistenza o meno dell’anima, la cui esperienza può essere fatta solo in ambito personale e appartiene ad un campo che è al di là della fisica, essendo appunto ‘non materiale’ per definizione. Neanche ci si può servire della scienza per negarel’azione di Dio nel mondo: l’universo si comporta ed evolve seguendo le leggi naturali, ma lo scienziato nulla può dire sul perché valgono queste leggi e perché esiste la natura invece del ‘nulla‘. Tutto l’esistente, fra l’altro, suggerisce una finalità, ma per la maggior parte degli scienziati moderni è una parola tabù. Per lo scientismo contemporaneo, è il ‘caso’ l’autore di tutto ciò che esiste, un ‘caso’ senza finalità ma creatore dell’ordine e della complessità e creatore di un più che probabile fine verso cui tendono tutti gli esseri viventi. Eppure da esso, anziché generare -come sarebbe stato infinitamente più probabile-, ci saremmo aspettati il caos e nulla più.

La verifica sperimentale della teoria evoluzionista rimane incerta e alle volte impossibile, molti discorsi sono spesso infarciti di ipotesi indimostrate e deduzioni piuttosto ardite. Per esempio, la veridicità della interpretazione dei fossili è tutt’ora discussa e lo stesso problema dell’origine della vita è tutt‘altro che risolto; anche il più semplice organismo vivente è infatti troppo complesso, e troppo poco tempo c’è stato perché si possa identificare il ‘caso’ come l’autore. Per lo scientismo attuale, l’affermazione “il caso è autore del tutto“ assomiglia  sempre più ad un dogma a partire dal quale vengono valutati tutti i discorsi sull’esistente:  se rispettano questo assioma allora vengono considerati già credibili e possibilmente veri, mentre tutti gli altri, quelli che negano o almeno mettono in dubbio questo presupposto, vengono respinti e derisi in partenza. C’è qualcosa di non chiaro e sospetto nella difesa che gli ‘specialisti’ del modello neodarwinista manifestano in maniera alle volte eclatante e talvolta anche verbalmente irruenta. Oltre ad una certa dose di autoreferenzialità che lascia sorpresi. Artigas manifesta i dubbi di diversi studiosi, anche evoluzionisti, sullo schema “mutazioni casuali – selezione naturale”: ogni passaggio è troppo complesso, coordinato e specifico, per escludere delle leggi generali che regolano questi processi, e che magari ancora debbono essere scoperte. Fra l’altro, a mio avviso, gli scienziati che aderiscono in maniera tenace al neodarwinismo appaiono anche un po’ sorpassati dalle tendenze moderne: troppo legati al riduzionismo, che ormai da tempo ha mostrato la sua insufficienza. Le scoperte sulla notevole complessità degli organismi viventi fanno sempre più pensare all’esistenza di leggi che sono a livelli superioririspetto alle leggi fisiche, da cui invece i riduzionisti vorrebbero far derivare tutti i processi esistenti. Bisognerebbe quindi quanto meno assumere un atteggiamento prudente, anche perché se venissero infatti scoperte delle regole operanti su piani superiori rispetto a quello strettamente fisico, allora si potrebbe cominciare a considerare l’evoluzione come un processo fondamentalmente deterministico e voluto.

Soprattutto il salto dall’animale all’uomo non può essere spiegato in maniera semplicistica, in quanto l’uomo possiede alcune caratteristiche che si trovano al di sopra del livello fisico, chimico o biologico. «Quando si pretende di ridurre l’uomo a un animale più evoluto degli altri, bisogna negare le esperienze più ovvie, profonde e importanti», è il commento di Artigas. Resta anche aperto il problema dell’inizio della vita, del salto dal non vivente al vivente,  rimane irrisolto il problema della nascita dell’universo, del passaggio dal ‘nulla’ all’esistente. Anche in questo campo non mancano ipotesi estreme, sempre di stampo materialista, ma che sempre ipotesi rimangono, in quanto la loro verifica è impossibile o improbabile, anche in linea di principio. Quando l’ipotesi del Big Bang venne confermata dalla scoperta della radiazione di fondo, sembrò quasi che potesse coincidere con l’atto creativo, ma ulteriori speculazioni teoriche hanno cercato di dare credibilità alla tesi di un universo nato ‘spontaneamente’ dal nulla, secondo il principio quantistico di indeterminazione. Hawking si è spinto più in là, asserendo che non ci sarebbero condizioni al contorno iniziali e quindi non ci sarebbe stata una vera nascita del tempo e veri confini: l’universo sarebbe contenuto in se stesso. Da ciò ne ha dedotto che l‘universo potrebbe non aver avuto bisogno di un Creatore, ma con questo ragionamento ipotetico ha mostrato «di confondere la creazione, cioè dipendenza da Dio nell’essere, con l’inizio del tempo». Artigas fa anche notare che, anche ammettendo un universo eterno privo di inizio, ciò non escluderebbe la creazione. Già San Tommaso d’Aquino asseriva che «dire che qualcosa è stato fatto da Dio e che è sempre esistito non è una contraddizione». I ragionamenti di alcuni cosmologici, come Hawking, si basano su ipotesi della struttura dell’universo che appaiono non del tutto sicure, e soprattutto ricavano da queste ipotesi delle conclusioni non lecite, in quanto filosofiche e non scientifiche.

Artigas mostra invece come non vi sia necessariamente una opposizione tra ‘evoluzione’ e ‘creazione’: «Si può ammettere l’evoluzione e alla stesso tempo la creazione divina [...]. Le scienze studiano la possibile origine di alcuni esseri da altri, mentre la metafisica s’interroga sull’esistenza stessa degli esseri». Insomma «chi ammette la creazione può ammettere che ci sia stata una evoluzione, ma in ambiti concreti, ovvero a partire da un certo stato primitivo in cui potrebbero essere esistiti già alcuni tipi semplici di esseri viventi. Al contrario chi non ammette la creazione deve necessariamente ammettere che tutto ciò che esiste ha un’origine puramente evolutiva, che la vita è sorta dalla materia inorganica e che tutti gli esseri viventi sono sorti a partire da una forma di vita primitiva; tutte ipotesi non dimostrate scientificamente. Pertanto è proprio “l’anti-creazionista” a vedersi obbligato ad ammettere alcune ipotesi che non sono provate, mentre il “creazionista” ha una totale libertà di ammetterle o meno in funzione dell’evidenza che la scienza offre in ciascun caso. Benché possa risultare paradossale, è l’evoluzionista anti-creazionista a violare le esigenze del metodo scientifico» (pag. 201).

Per concludere, è utile riportare una frase di Artigas che credo possa riassumere il suo pensiero su coloro che volendo fare divulgazione scientifica, parlano, spesso incautamente, di Dio e della creazione: «Gli scienziati che non volessero limitarsi ad esporre i dati e le ipotesi nella loro fredda rigorosità dovrebbero accorgersi che la visione del cosmo evoluzionista è del tutto compatibile con la creazione divina, con la spiritualità dell’uomo e con una corretta interpretazione della Bibbia. Se ciò non è di loro gradimento resta soltanto una soluzione dignitosa: non fare alcuna allusione in senso contrario, o a un’immagine del mondo e dell’uomo che vada oltre l’evidenza disponibile. Se un banchiere utilizza male il denaro dei suoi clienti manca di dignità. Se uno scienziato utilizza la sua scienza arbitrariamente in funzione delle sue preferenze ideologiche, oltre a mancare di dignità è responsabile di ingannare il suo pubblico su argomenti che hanno una notevole importanza vitale» (pag. 200).

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18/09/2012 21:58
 
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14/10/2012 15:51
 
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La panspermia, la teoria che sposta solo il problema

 
 

di Mariano Bizzarri*
*biochimico e presidente del Consiglio Scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana

 

“Una volta che tutti i nostri tentativi di otteneremateria vivente da materia inanimata risultino vani, a me pare rientri in una procedura scientifica pienamente corretta il domandarsi se la vita abbia in realtà mai avuto un’origine, se non sia vecchia quanto la materia stessa, e se le spore non possano essere state trasportate da un pianeta all’altro ed abbiano attecchito laddove abbiano trovato terreno fertile”. Così si esprimeva von Helmholtz, riassumendo l’ipotesi che sta alla base della teoria della Panspermia, per la quale i “semi” della vita (al limite anche molecole organiche complesse come il DNA) sarebbero sparsi nell’Universo e sarebbero giunti sul nostro (come su altri) pianeta attraverso meteoriti o altro materiale “spaziale”.

L’idea nasce con Anassagora, per essere ripresa nel XIX secolo da un folto gruppo di scienziati, astronomi e filosofi: Berzelius, Lord Kelvin, von Helmholtz, Fred Hoyle, Francis Crick. I sostenitori della panspermia hanno trovato alcune conferme indirette nel ritrovamento di molecole organiche semplici (come la porfirina e la poliformaledeide) nella polvere interstellare. Questi dati furono estrapolati da Hoyle che ipotizzò la presenza di batteri disseccati nello spazio profondo. Al momento la teoria si fonda su elementi indiretti, nessuno dei quali conclusivo: la possibilità di sopravvivenza sul suolo lunare o a 40.000 metri di altezza di batteri, il rinvenimento di materiale organico sul meteorite ALH8001, i controversi risultati di attività chimica della sonda Viking.

Le obiezioni alla teoria sono tante e vale la pena elencarle brevemente:
1)    A meno che non si postuli l’esistenza di una “biochimica alternativa” (proposta peraltro suggerita da taluni), la vita richiede determinati elementi (carbonio, ossigeno, idrogeno e azoto) in densità e quantità sufficiente per l’innesco di alcune basilari reazioni chimiche. Devono coesistere le giuste condizioni di temperatura e di pressione e un determinato valore di gravità. L’insieme dei fattori descritti nelle loro proporzioni rispettive è alquanto raro, anzi rarissimo nell’universo: il che rende l’esistenza della vita un eventoestremamente improbabile.

2)    Lo spazio interstellare (microgravità, raggi cosmici, venti stellari e drastiche alterazioni di temperatura) arreca un danno considerevole alle molecole ed alle cellule viventi. Gli studi sugli estremofili (batteri e protozoi che vivono negli ambienti estremi) mostrano per esempio che il DNA ha un’emivita breve (1,1 milioni di anni), incompatibile con i tempi imposti dai viaggi interstellari.

3)    Inoltre i batteri non potrebbero sopravvivere al trauma gravitazionale e termico dovuto all’impatto terrestre, anche se una qualche protezione potrebbe essere offerta dal risiedere all’interno di una cometa.

Di fatto la prova regina è e resta la documentata presenza di vita su un altro pianeta o corpo astrale. Come noto, nessuna prova è stata finora prodotta a tale riguardo.

Recentemente gli studi presentati dal team di astrofisici dell’Università di Princeton al congresso europeo di scienza planetaria svoltosi a Madrid in questi giorni, sono stati accolti con grande (ed inspiegabile enfasi) dalla stampa, che li ha presentati come una conferma della Panspermia. Niente di tutto questo. Il contributo degli astrofisici americani si è limitato a dimostrare come talune meteore possano viaggiare negli spazi interstellari ad una velocità “ridotta”, tale da consentire a pianeti più grandi di poterli attrarre nella loro orbita, rendendo possibile quello scambio di materiale roccioso tra sistemi lontani che l’astrofisica riteneva impossibile fino a qualche tempo fa. Per esplicita ammissione dellaProf.ssa Malhotra, coordinatrice del team, lo studio non dimostra che la vita sia giunta sulla Terra dallo Spazio, ma solo che lo scambio di materiale sia una possibilità concreta. Resta ovviamente da dimostrare che germi di vita siano realmente presenti nelle rocce che vengono attratte dai pianeti. E questo ci riporta al punto di partenza. Da dove viene la vita? I sostenitori della panspermia ritengono l’evento talmente complesso da dover ipotizzare che la comparsa della vita sia accaduta “altrove”. Ma ovviamente questo non fa che spostare il problema da un pianeta ad un altro, per dirla con le parole di Stephen Hawking. La verità è che non abbiamo neanche una soddisfacente definizione scientifica del “fenomeno” vita, e discutiamo animatamente su come questa sia potuta apparire sulla Terra, non avendo al riguardo ancora nessuna certezza. L’argomento non è ovviamente di quelli che si risolvono con una breve nota giornalistica. E resta quindi molto, molto aperto a qualsiasi sviluppo.

La panspermia è quindi un ipotesi cui mancano, a tutt’oggi, fondati supporti sperimentali. In nessun caso potrebbe comunque essere considerata una teoria di origine della vita, considerato che, pur ammettendo per assurdo che la vita possa essere giunta da un altro pianeta o sistema interstellare, resta comunque da spiegare come sia nata in quel contesto. Ipotizzare quindi che la vita sia nata al di fuori della Terra, non risolve il quesito di base: come è nata la vita?

In realtà l’enfasi che taluni scienziati e soprattutto i media pongono sulla teoria della panspermia rileva di ben altri obiettivi. Quello che si vuole dimostrare è un asserto in realtà contraddittorio con se stesso. Da un lato, si considera la vita un fenomeno improbabile, dal carattere emergente e che si è appalesato come evento aleatorio nel contesto di uno dei tanti possibili universi. Come tale sfugge a qualunque disegno teleologico e si inscrive d’ufficio nel novero degli eventi casuali. Dall’altro, con il negare alla Terra quelle specificità uniche che hanno reso possibile la comparsa della vita, si cerca di inquadrare questa nell’ambito dei fenomeni comunque possibili in contesti per quanto possibile simili a quello rappresentato dal nostro pianeta.  Di due l’una: o la vita è un fenomeno altamente improbabile – e allora non si capisce perché insistere che abbia potuto presentarsi anche in altri sistemi solari – oppure è possibile che sia nata un po’ dovunque, e allora perché non essere proprio la Terra la sua patria di origine?

Insistere sull’ipotesi della panspermia porta comunque ed inevitabilmente a svilire il valore della vita (fenomeno “casuale”, legato ad una imponderabile ed improbabile concatenazione di eventi) e, in addendum, ad alimentare ulteriormente la vena ateistica della scienza materialistica contemporanea. Come infatti è possibile continuare a credere nell’esistenza di Dio, se la vita stessa costituisce un evento aleatorio? Come non vedere come queste posizioni portino a defraudare di significato l’esistenza, ricondotta ad un mero gioco di probabilità? Viene da domandarsi se questo pensiero “dissolutivo” sia “spontaneo” o se una qualche oscura regia congiuri nel cercare di inculcare filosofie nichiliste che, a ben vedere, non portano da nessuna parte.

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22/10/2012 19:08
 
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L'evoluzione dei viventi e l'ipotesi Dio

  

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Fiorenzo Facchini

L'uomo al vertice della creazione? E una questione di carattere religioso. Di certo lo sviluppo della vita e il successo della specie umana dotata di pensiero e libertà restano un mistero, che ia sola casualità non spiega: serve una causa trascendente.


 

La storia dell'universo registra una crescita di complessità a partire dal Big Bang. Dalla "zuppa cosmica" (radiazioni, particelle cariche elettricamente) dei primi quattrocentomila anni si formarono atomi, molecole, aggregati di materia che portarono a miliardi di galassie. Anche l'evoluzione della vita sulla Terra è segnata da una crescita di complessità a partire dalle forme ancestrali, i procarioti, di 3-4 miliardi di anni fa.

La formazione dei primi unicellulari forniti di nucleo 2 miliardi di anni fa è stata un passaggio fondamentale. Lo sviluppo della vita non è stato un cammino lineare. Negli ultimi 530 milioni di anni si sono formate le diverse direzioni evolutive. Molte si sono estinte, altre sembra si siano arrestate a un certo livello e sopravvivono. Fra queste c'è quella degli ominidi che ha portato alla umanità.

La complessità non ha le medesime espressioni in tutte le direzioni. Le molecole della vita, Dna e Rna, sono alla base dei viventi, ma i contenuti sono assai diversi. Essi possono riguardare la forma, come le funzioni vitali (metabolismo, respirazione, riproduzione, movimento, eccetera), le celle esagonali delle api come la struttura dell'occhio, le società delle formiche come il volo degli uccelli, la embriogenesi come la cerebralizzazione.

Per valutare la complessità occorre fare riferimento a qualche parametro. Teilhard de Chardin ha suggerito per i vertebrati la cerebralizzazione, che mostra un andamento crescente, anche in relazione alla massa somatica, dai pesci ai mammiferi, in particolare nei primati e soprattutto nell'uomo. Si delinea una direzione privilegiata della evoluzione. I 30 miliardi di neuroni e il milione di miliardi di sinapsi del cervello umano danno un'idea della sua complessità. Lo scienziato-gesuita ha osservato: «Non è semplicemente su due (come si ripete spesso) ma su tre infiniti (almeno) che è costituito spazialmente il mondo. L'infimo e l'immenso certamente, ma anche l'immensamente complesso» (cfr. Il posto dell'uomo nella natura, 1982, p. 36). Questo immensamente complesso è costituito dal cervello umano.

Di fronte al fenomeno della crescita della complessità si possono porre due tipi di domande: quali cause l'hanno determinata? Quale senso o finalità può avere? La prima domanda è di ordine scientifico, pur con qualche implicazione filosofica, la seconda è di ordine filosofico. La teoria di Darwin riconosce nelle innovazioni genetiche casuali e nella selezione operata dall'ambiente il meccanismo con cui si è accresciuta la complessità della vita. E esclusa qualunque intenzionalità esterna. Alla selezione naturale viene riconosciuta una funzione direttiva. Questo modo di vedere ammette però qualche principio finalistico, sia pure intrinseco alla natura. La relazione tra struttura e funzione, i programmi genetici che si formano e regolano lo sviluppo dell'embrione rispondono a un principio finalistico. Monod non lo negava, ma preferiva parlare di teleonomia. Ayala utilizza il termine di teleologia interna, connessa con la natura. Entrambi escludono qualunque intenzionalità esterna.

I programmi si formano, senza che nessuno li abbia pensati. D'altra parte il carattere aleatorio delle mutazioni non comporta di per sé che l'organizzazione della vita avvenga senza regole o non sia dipendente da proprietà ben definite che consentono le necessarie relazioni a livello atomico, molecolare, cellulare. La casualità potrebbe riguardare alcuni passaggi e innovazioni, ma le modalità evolutive sono tutt' altro che casuali. I geni omeo-tici, regolatori di strutture e funzioni, messi in evidenza dai nuovi studi della biologia dello sviluppo, compaiono e ricompaiono in serie evolutive anche molto lontane fileticamente e nel tempo (come in artropodi e vertebrati). Vi sono restrizioni nello sviluppo per cui l'evoluzione sembra canalizzata. Ancora di non facile spiegazione sono le convergenze evolutive di certe forme in serie lontane geograficamente e nel tempo.

La teoria darwiniana dell'evoluzione viene fortemente criticata da Piattelli Palmarini eFodor in un loro recente saggio (Gli errori di Darwin, 2010). Molti scienziati ammettono che essa non appare adeguata e richiede delle integrazioni. La questione deve considerarsi aperta. In ordine alla complessità vi sono poi implicazioni di carattere filosofico a partire dall'armonia della natura. La razionalità con cui funziona il sistema della natura fa pensare a una mente superiore o a un logos ordinatore, ha osservato Benedetto XVI.

Questa deduzione non è di tipo scientifico, ma è un'argomentazione razionale che evidentemente ricollega la realtà a una causalità superiore, identificabile con Dio, e alle sue intenzioni. La questione del fine o significato della creazione non è di ordine scientifico, ma filosofico. Ma come può essere inteso il rapporto causale di Dio con l'universo? E gli eventi casuali come possono accordarsi con questo modo di vedere?

La causalità divina e le cause seconde non possono mettersi sullo stesso piano, non agiscono allo stesso modo. La causa divina, o causa prima, agisce attraverso le cause seconde (proprietà della materia, inanimata e vivente, fattori della natura). Ma la sua azione non va intesa come un agente esterno che si affianca a quelli naturali e guida gli eventi genetici o geologici o li integra nel loro esito.

Le novità biologiche si realizzano attraverso le cause seconde, senza che si debba pensare a interventi esterni di tipo direttivo. Va riconosciuta un'autonomia alle cause seconde, che operano per le loro proprietà o regole o meccanismi, che non conosciamo ancora pienamente. Non è necessario disturbare la causalità divina per supplire o guidare in modo diretto i cambiamenti della natura, come sostiene la teoria dell'Intelligent Design.

Di fatto si realizzano novità di ordine biologico che acquistano senso e rientrano nel piano di Dio. Un esempio potremmo vederlo nella formazione del rift africano una ventina di milioni di anni fa, un evento che è stato molto importante per favorire un ambiente aperto idoneo per il bipedismo e lo sviluppo degli ominidi. Ma non si deve pensare che Dio con la sua azione diretta abbia provocato il sollevamento delle montagne del rift e i successivi cambiamenti di ambiente nelle regioni orientali. Vi sono stati movimenti tettonici connessi con la deriva dei continenti.

darwin,evoluzionismo,disegno intelligente,universoLa causalità divina si può dunque conciliare con i fattori della natura che regolano eventi sia di tipo deterministico, sia del tutto casuali. Causalità e casualità si possono intrecciare. Vi sono leggi di ordine fisico, come quelle della tettonica, e quindi eventi di tipo deterministico, e vi sono eventi del tutto casuali e non prevedibili, come nella genetica di popolazioni o nella confluenza in uno stesso evento di due serie causali indipendenti. Il caso è incluso nella realtà creata ed entra nel progetto del Creatore, che noi vediamo a posteriori, a differenza di Dio a cui tutto è presente. Sia gli eventi casuali sia quelli di tipo deterministico sono voluti attraverso le cause seconde e possono assumere un significato. Ma se tutto va ricondotto a Dio, sia pure attraverso le cause seconde, quale può essere l'intenzione? Quale senso può avere la crescita della complessità? E il problema di una finalità generale che la scienza empirica non è in grado né di affermare e neppure negare, perché la questione di un fine generale non entra nei suoi orizzonti.

Possiamo cercare la risposta guardando ai vari livelli dell'evoluzione della vita sulla terra e alla loro successione nel tempo. Per 2 miliardi di anni era limitata a forme batteriche. A partire dai 2 miliardi sono cambiate le cose, l'ossigeno si è notevolmente accresciuto nell'atmosfera, ed è stata possibile una vita aerobica con gli eucarioti. Nel corso di molti milioni di anni si sviluppano le diverse serie evolutive in una successione che corrisponde alle classi dei viventi che oggi conosciamo. La vita intelligente è relativamente recente, è degli ultimi 2 milioni di anni. Dal fiorire della vita alla comparsa dell'uomo si ha l'impressione di un movimento ascensionale nella direzione dei mammiferi e dei primati per culminare nell'uomo. Essa è caratterizzata da una cerebralizzazione crescente. Con l'uomo l'evoluzione si prolunga nella cultura e nella intensificazione dei rapporti sociali (ancora Teilhard de Chardin).

Riconoscere nell'uomo il senso più alto del movimento evolutivo contrasta radicalmente con la visione del darwinismo che vede nell'uomo un evento puramente fortuito, come in qualunque specie. Ma questo unico modo di vedere 1"'evento uomo" non soddisfa una lettura dello sviluppo della vita nel suo insieme e il successo della specie umana. Con l'uomo si apre la grande avventura di un essere che è fornito di pensiero e di libertà, rivela una trascendenza rispetto all'animale e rimanda a una causa trascendente. Il senso o il fine dell'evoluzione può essere visto nell'uomo.

Se allarghiamo l'orizzonte al versante teologico, in particolare alla Rivelazione, troviamo una conferma di quello che può ricavarsi come suggestione dallo sviluppo evolutivo. Alla base di tutto c'è la creazione, come evento che si prolunga nel tempo attraverso i fattori della natura che il Creatore ha voluto e vuole con le sue caratteristiche e proprietà, compresa quella di trasformarsi ed evolvere. L'evoluzione può essere vista come un prolungamento della creazione culminante nell'uomo che Dio ha voluto a sua immagine e per un rapporto speciale con lui.

L'uomo può essere visto al vertice della creazione? È un'affermazione di carattere religioso. La creazione non rientra nelle conoscenze raggiungibili con la scienza empirica. Il messaggio della Rivelazione è chiaro. In una visione evolutiva la posizione dell'uomo è del tutto singolare. Egli rappresenta il livello più alto della complessità raggiunta fra i viventi, è l'unico essere fornito di consapevolezza di sé e capace di farsi coscienza di tutta la realtà, ed è l'unica specie in grado di rapportarsi intenzionalmente con l'ambiente e di modificarlo.

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04/12/2012 12:43
 
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LE PRINCIPALI IPOTESI TRASFORMISTE.

IL LAMARCHISMO.

LAMARCK spiega la trasformazione delle specie con l'adattamento degli individui che

le compongono ai cambiamenti del mezzo nel quale essi vivono. L'adattamento risulta

dall'interferenza dei fattori interni, che attengono alla costituzione stessa dell'animale e gli

conferiscono una certa plasticità, e dei fattori esterni quali il clima, l'alimentazione, ecc..

IL DARWINISMO.

DARWIN fa intervenire un principio nuovo: quello della concorrenza vitale, che fa capo

alla selezione naturale. Piccole modificazioni utili alla specie si sarebbero prodotte per caso.

Gli individui che ne sarebbero stati provvisti, dotati così di un'attitudine superiore, avrebbero

trionfato nella lotta per la vita e sarebbero sopravissuti. É per l'accumulazione di questi caratteri

favorevoli, sviluppati nel corso dei tempi e trasmessi per eredità, che si sarebbe realizzata

la trasformazione delle specie.

IL MUTAZIONISMO.

A differenza delle ipotesi precedenti, secondo le visuali umane e non confermate dall'esperienza,

il mutazionismo parte da un fatto scientifico incontestabile:

Si è constatato nelle diverse specie vegetali o animali, l'apparizione brusca e imprevedibile

di esseri che presentano delle differenze dai loro ascendenti, e questa trasformazione brusca

o "mutazione" si rivelerebbe ereditaria. Il lamarchismo e il darwinismo non sembrano più

accettabili ai nostri giorni agli occhi dei trasformisti; solo il mutazionismo beneficia ancora

di un certo credito, a dispetto del carattere secondario e piuttosto regressivo delle mutazioni

costatate.

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04/12/2012 12:45
 
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1 - Citazione da:The Sea, Golden Press, New York, 1958, pag.13

LA SCIENZA E LA DOTTRINA DELL' EVOLUZIONE.

CONCLUSIONI DELLO STUDIO DELLA BIOLOGIA.

Come la nascita della vita è presentata al grande pubblico:

"Quando, in modo misterioso, l'irradiazione solare agì sulle sostanze chimiche contenute

nei fanghi caldi del mare, vicino alle coste, queste sostanze inanimate, combinandosi, formarono

nuove molecole, nuovi atomi. Queste molecole erano dotate di proprietà nuove: erano capaci

di crescere e di nutrirsi. Inoltre potevano formare altri esseri simili ad esse. La vita aveva

inizio!" 1 .

La vita sarebbe dunque nata da un "brodo organico", il che non ne facilita certo la "digestione".

Credenze antiche e recenti sulla generazione spontanea:

Si è creduto a lungo, anche negli ambienti intellettuali, che:

- Le mosche erano generate dalle carni in putrefazione.

- I vermi provenivano dal fango.

- I sorci e i ratti nascevano spontaneamente nei mucchi di grano.

Nel 1860 le esperienze di Luigi PASTEUR dimostrarono in modo magistrale l'errore di Felix

Archimede POUCHET, scienziato di Rouen e direttore del museo di storia naturale della

stessa città, il quale aveva creduto di provare, nel corso di esperienze divenute celebri, che

la vita si manifestava spontaneamente nel vuoto: è chiaro che il nostro studioso non aveva

preso tutte le precauzioni necessarie nel condurre i suoi esperimenti.

PASTEUR e altri ricercatori riuscirono allora a convincere il mondo scientifico che, nelle

condizioni attuali, la generazione spontanea, sia pure di un microorganismo, era impossibile.

Nel dominio accessibile all'osservazione umana, è certo che la vita proviene sempre

da una vita precedente.

La dottrina della generazione spontanea, contemporanea alla dottrina dell'evoluzione, è riapparsa

discretamente negli ambienti scientifici (soprattutto in quelli dei paesi dell'EST) sotto il nome

di biogenesi già da una trentina d'anni.

In merito a certi rapporti che pretendono di aver creato la vita in una provetta, bisogna sempre

aver cura di distinguere, leggendoli, tra la separazione e la riassociazione di certi prodotti

e costituenti complessi delle cellule viventi (il che è stato oggetto di rapporti scientifici),

e il problema fondamentale della creazione della vita a partire da elementi semplici (IL CHE

NON É MAI STATO REALIZZATO).6

2 - John T. Bonner, prof. di biologia alla Princeton University: Idee sulla biologia Harper, 1962, pag.18

3 - John T. Bonner, prof. di biologia alla Princeton University: Idee sulla biologia Harper, 1962, pag.24 e

25

Oggigiorno, l'origine spontanea della vita è generalmente considerata come una necessità;

essa è, infatti, una premessa principale dell'evoluzione meccanicista.

Tuttavia, anche i suoi più accaniti promotori, riconoscevano che questa ipotesi racchiude

"un vasto e misterioso problema" (WALD).

La cellula:

Una conoscenza più approfondita della struttura e della fisiologia delle cellule, del loro alto

grado di organizzazione, della finalità implicate in queste "macchine dinamiche che si riparano

e si costruiscono da se stesse" (Wald), contribuì a rinforzare questa convinzione. In effetti,

l'apparizione spontanea di tali organizzazioni d'atomi e di molecole, era troppo improbabile

per poter essere presa seriamente in considerazione.

"La cellula è un elemento straordinariamente saggio che, quando pensiamo ad essa dal punto

di vista dell'evoluzione, ci sembra più facile rappresentarci l'evoluzione di una semplice

cellula verso forme complesse di animali e di piante, che immaginare la trasformazione

di un gruppo di sostanze chimiche in una cellula. É molto probabile che questo primo passo

sia il più difficile; malauguratamente non abbiamo in questo campo alcun mezzo di controllo,

giacchè gli avvenimenti che portarono alla costituzione di una cellula non hanno lasciato

tracce (fossili) sulla superficie della terra. LO STUDIO DELL'EVOLUZIONE PRIMITIVA

É UN ENIGMA PER GLI STUDIOSI" 2 .

Gli archivi fossili non forniscono alcun aiuto sugli stadi successivi dell'evoluzione supposta:

"SE CONSIDERIAMO, IN UNA VISIONE PANORAMICA DELL' EVOLUZIONE DELLA

VITA, COME DEGLI ORGANISMI MONOCELLULARI, PER ESEMPIO DEGLI INFUSORI

FLAGELLATI DELLA FAMIGLIA DEGLI EUGLENIDI, SI SONO SVILUPPATI IN FORME

MULTICELLULARI, SIAMO NUOVAMENTE LIMITATI DALL' ASSENZA DI ARCHIVI

FOSSILI".

Nel caso dei soli animali unicellulari comunemente preservati, (quelli che possiedono un

guscio duro) l'autore precisa:

"CIO' CHE É SORPRENDENTE IN QUESTI CASI, É DI VEDERE A CHE PUNTO QUESTE

FORME SONO FISSE, E COME SONO RIMASTE STABILI DA ALLORA" 3 .

Inoltre, lo studio delle forme di vita che si suppone primitive, "precellulari" (virus, batteri,

ecc..) è molto limitato:7

4 - John T. Bonner, prof. di biologia alla Princeton University: Idee sulla biologia Harper, 1962, pag.18 e

19

5 - M. Caullery : Le tappe della biologia, 1941,pag. 66

"Vi è qui un grande pericolo, giacchè non possiamo avere la certezza che questi campionari

sono realmente dei fossili di esseri viventi; può trattarsi molto bene di una forma degenerata

di cellule non aventi che l'apparenza di essere dei precursori sul cammino dell'evoluzione

cellulare".

"NON SI CONOSCE NESSUN ESEMPIO DI VIRUS CHE SI SIA MOLTIPLICATO IN

ASSENZA DI UNA CELLULA, E CIO' A DISPETTO DI NUMEROSI TENTATIVI

DESTINATI A DIMOSTRARLO; PER QUESTO NOI PENSIAMO CHE I VIRUS NON

SONO DEI FOSSILI VIVENTI, MA DEI PARASSITI CELLULARI RECENTEMENTE

EVOLUTI" 4 .

I protozoi, animali monocellulari detti "semplici":

Gli esseri che noi chiamiamo sovente animali unicellulari "semplici" non possono permettersi

il lusso di avere delle cellule speciali per ciascun compito necessario. Delle parti determinate

di questa unica cellula dovranno compiere le differenti funzioni vitali. Le più sorprendentemente

complesse delle cellule che noi conosciamo, sono questi animali tanto piccoli che si possono

vedere solo con l'aiuto del microscopio, composti da una sola cellula e tuttavia capaci di

fare il loro cammino nel mondo.

Il biologo John T. BONNER afferma:

"SE SI POTESSE INGRANDIRE LA CELLULA ALLE DIMENSIONI DI UNA STANZA

ASSAI SPAZIOSA, CIASCUNA DELLE MOLECOLE DELLA STESSA AVREBBE LA

GROSSEZZA DI UNA CAPOCCHIA DI SPILLO!".

CONCLUSIONI DELLO STUDIO DELLA BIOLOGIA.

ORGANIZZAZIONE DEGLI ESSERI VIVENTI.

Organizzazione primordiale.

"Oggigiorno, da un capo all'altro dei due regni, tutti i tessuti e tutti gli organi sono integralmente

ricondotti alla struttura cellulare; essa è la base di tutte le funzioni dell'organismo, qualunque

esso sia" 5 .

É LA CELLULA CHE ASSIMILA, RESPIRA, ELIMINA E SI RIPRODUCE. 8

6 - J. Lefevre: Manuale critico di biologia, 1938, pag. 26

7 - M. Caullery: Le tappe della biologia, 1941, pag.49

"Alla cellula è sufficiente un microscopico infusore per poter compiere tutte le operazioni

della vita, quelle delle sue reazioni ordinate nell'ambiente e quelle della sua riproduzione" 6 .

Organizzazione sistematica.

Tra gli esseri più evoluti le cellule sono raggruppate in organi aventi ciascuno una funzione

particolare. Le principali combinazioni d'organi possibili costituiscono le CLASSI (classe

dei mammiferi). Le classi sono state raggruppate in diramazioni (ramo dei vertebrati). Secondo

M. Jules LEFEVRE, i grandi tipi di organizzazione sistematica che sono i rami, sono talmente

tagliati, che sembra impossibile, a priori, cercare tra essi sia un passaggio, che delle disposizioni

fondamentali comuni: in altri termini, essi non possono assolutamente rientrare in un tipo

più generale.

Organizzazione formale.

Quanto all'organizzazione formale, essa realizza per accrescimento tra gli organi una

disposizione e una proporzione che differenzia nettamente gli esseri appartenenti a uno stesso

gruppo sistematico, e li appropria a un ORDINE di vita determinato: ordine dei carnivori,

ordine dei cetacei, ordine dei roditori.

 

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04/12/2012 12:47
 
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ORGANIZZAZIONE DEGLI ESSERI VIVENTI.
Organizzazione formale (seguito):
All'interno di un ordine, si distinguono ancora delle FAMIGLIE, dei GENERI e delle SPECIE,
le cui caratteristiche sono man mano più precise, ma tra le quali potrebbero essere ravvisati
dei passaggi, o, quantomeno, un'origine comune.
All'interno delle specie, si distinguono ancora delle varietà o razze, delle sotto-varietà e
delle forme, tra le quali le differenze non interessano che dei dettagli dell'organizzazione.
Se i limiti tra i generi e le famiglie sono ancora un po' fluttuanti, l'autonomia dei gruppi più
elevati è perfettamente netta, perchè essi sono separati gli uni dagli altri da delle discontinuità
nella organizzazione 7 .9
8 - M. Coullery; Le tappe della biologia 1941, pag.100
MODIFICAZIONE DELLE SPECIE.
1) - Quando gli esseri viventi sono messi in condizione di vita differenti, essi, in generale,
si modificano. Il clima, gli ambienti differenti, hanno su essi un'azione molto netta,
particolarmente rapida tra i vegetali. TUTTAVIA, LE MODIFICAZIONI COSI' ACQUISITE
DALL'INDIVIDUO SOTTO L'EFFETTO DI UNA CAUSA NATURALE ESTERNA, NON
SEMBRANO TRASMETTERSI EREDITARIAMENTE.
Esempio: la caduta delle foglie è in rapporto con il clima e la secchezza fisiologica determinata
dal freddo, come testimonia il fatto seguente, osservato su dei peschi importati dall'isola
di Riunione ove regna un clima caldo e umido: questi peschi hanno acquisito un fogliame
sub-persistente, mentre, nei nostri paesi, queste sono piante a foglie caduche (Daniel Vernet:
"Parabole").
2) - Si è osservato che talvolta, in seno ad una specie pura, nasce, di tanto in tanto, un individuo
che differisce dai suoi antenati: per esempio, in una linea di drosofili ad occhi rossi, nasce
un giorno un drosofilo ad occhi bianchi. Questa mutazione congenita si produce
improvvisamente senza una causa apparente e senza che niente la faccia prevedere. Essa
proviene da fattori interni e non è un adattamento all'ambiente. Contrariamente alle
modificazioni acquisite, LE MUTAZIONI SI MOSTRANO IMMEDIATAMENTE E
TOTALMENTE EREDITARIE.
Che si tratti di modificazioni acquisite o di mutazioni, i caratteri specifici dell'essere e la
sua organizzazione sistematica non sono affatto modificate: le modificazioni non riguardano
che dei caratteri accessori (caratteri formali).
ORIGINE DELLA VITA.
Nessuna esperienza nè alcun fatto hanno, fin qui, indebolito le conclusioni di Pasteur: "Tutto
cio' che è stato ritenuto come generazione spontanea, non è che lo sviluppo di germi
accidentalmente introdotti in un mezzo per essi nutritivo. Noi non vediamo mai la vita
cominciare, essa non fa che continuarsi" 8 .
CONCLUSIONI DELLO STUDIO DELLA PALEONTOLOGIA.
1 - I fossili delle diverse ère geologiche corrispondono in generale a una flora e a una fauna
sensibilmente differenti da quelle esistenti ai nostri giorni. Tuttavia, certi tipi non sono, per10
9 - George Salet e Luis Lafont: L'evoluzione regressiva- 1943, pag. 132).
così dire, cambiati, come i NAUTILUS, gli SCORPIONI, ecc.
2 - I fossili più antichi sono quelli di animali così complessi quasi come gli attuali: polipi,
molluschi, artropodi, brachipodi, pesci. I TRILOBITI, crostacei "molto arcaici", dicono i
trattati, appartengono all'èra primaria. Essi sono nondimeno provvisti di torace, di addome,
di zampe, di mascelle, di antenne e anche di occhi.
3 - I fossili di una specie apparvero, in generale, "BRUSCAMENTE"; i terreni delle epoche
anteriori non contengono fossili di questa specie, e nemmeno di specie vicine.
4 - Nei terreni posteriori a quello che corrisponde all'apparizione dei fossili di una specie,
si può osservare sovente delle modificazioni continue dei rappresentanti di questa specie
(serie di forme): una filiazione reale sembra esistere durante ciascuna serie.
5 - Le serie di forme costituite dai paleontologisti non si raccordano tra di loro: esse formano
dei gruppi tra i quali non si è trovata nessuna relazione.
6 - Se si considera l'insieme dei fossili di una delle quattro grandi ére, si può constatare,
per quasi tutti, dal punto di vista della loro costituzione generale, un progresso in rapporto
ai fossili dell'èra precedente, o almeno UNA COMPLESSITÀ MAGGIORE.
Tuttavia, succede che interi gruppi siano rimpiazzati da più semplici o da più complessi,
il che si oppone all' idea di un perfezionamento continuo.
L' ANTROPOLOGIA E L' EVOLUZIONE.
LA RAZZA PREISTORICA DI NEANDERTHAL, RAZZA DEGENERATA.
"Il prof. M. BOULE, di cui nessuno può sospettare l'indipendenza, ha analizzato l'ipotesi
che la razza di Neandertal era una specie degenerata" 9 .
Il grande geologo Pier TERMIER cita degli esempi di regressione nella serie animale e scrive:
"Tra l'animale e l'uomo non vi sono che delle differenze anatomiche: VI É TUTTAVIA UNA
DIFFERENZA ESSENZIALE, CHE É L'ESISTENZA NELL'UOMO DI UN'ANIMA
RAGIONEVOLE. Pertanto, se questa anima, invece di salire, come si ritiene, discende...
non si avrebbe la degenerazione? E perchè la degenerazione non dovrebbe interessare, non
solo la fisiologia (il che è evidentemente incontestato), ma anche l'anatomia?"
Infine il paleontologo svizzero GAGNEBIN commenta così l'opinione di Pierre TERMIER:
"Nella terza ipotesi, alla quale si schiera Pierre Termier, l'uomo di Neandertal è un vero uomo,
ma un uomo degenerato, il discendente bestializzato di un antenato simile a noi. La difficoltà11
10 - Pierre Termier: La gioia di conoscere, pag. 300). - (Pierre Termier: Il trasformismo, 1936, pag.
308). - (E. Gagnebin: Il trasformismo , pag.51)
11 - Georges Salet e Louis Lafont: L'evoluzione regressiva, 1943, pag. 132
12 - H. V. Valois: I pigmei e l'origine dell'uomo articolo pubblicato dalla rivista scientifica, 1938, n
#
6,
pag 227
di questa soluzione è che essa costringe ad ammettere un'evoluzione regressiva della razza
di Neandertal. Come per Termier, questa difficoltà non mi sembra insormontabile: i casi
di evoluzione regressiva sono numerosi nella specie animale" 10 .
"Dei biologi considerano attualmente le caratteristiche dei neandertaliani come delle tare
acromegaliche degenerative che ne hanno determinato l'estinzione" 11 .
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04/12/2012 12:49
 
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INSEGNAMENTI TRATTI DALL' EMBRIOLOGIA.
Il feto umano:
"Poichè le scimmie, e più specialmente gli antropoidi, erano considerati come i suoi immediati
precursori, ci si dovrebbe attendere che il feto umano abbia delle caratteristiche loro
corrispondenti, cioè una testa globulare, un muso prominente, i bordi orbitali fortemente
sporgenti, delle braccia estremamente lunghe, ecc... Ora, dice KOLLMANN, l'embriologia
non mostra nessuna delle disposizioni che si dovrebbero trovare: IN NESSUN MOMENTO,
IL FETO UMANO RASSOMIGLIA AGLI ANTROPOIDI" 12 .
CHARLES DARWIN E I SUOI DUBBI
Obiezioni di darwin contro la propria teoria.
C. Darwin enumera al cap. 10 della sua opera "L'ORIGINE DELLE SPECIE" (6ª edizione)
gli ostacoli che, secondo lui, si oppongono alla sua teoria. Tra le sottodivisioni di questo
capitolo, troviamo:
- "Varietà intermediarie assenti in non importa quale formazione semplice".
- "Apparizione subitanea di gruppi di specie alleate negli strati fossiliferi più profondi
conosciuti".
Esaminiamo in primo luogo l'ultima difficoltà menzionata da Darwin. Egli l'espone così:
"Nella mia teoria vi è una difficoltà molto seria. Alludo alla maniera in cui le specie
appartenenti alle principali divisioni del regno animale apparvero subitaneamente nelle
rocce fossilifere più profonde conosciute... Alcuni tra gli animali più antichi, quali il Nautilus,
la Longula, ecc... non differiscono punto dalle specie viventi e, nella nostra teoria, non si
può supporre che queste specie antiche furono le progenitrici di tutte le specie appartenenti
agli stessi gruppi che sono apparsi in seguito, giacchè esse non sono in nessuna maniera12
di carattere intermediario".
"Di conseguenza, se la nostra teoria è esatta, è indiscutibile che, prima del deposito del più
profondo strato cambriano, sono trascorsi lunghi periodi, molto lunghi, probabilmente più
lunghi di tutto l'intervallo che separa il Cambriano dall'epoca attuale, e che, durante questi
ultimi periodi, il mondo brulicava di creature viventi".
"QUI, NOI RISCONTRIAMO UNA OBIEZIONE FORMIDABILE, GIACCHÉ EGLI SEMBRA
DUBITARE CHE LA TERRA SIA RIMASTA ABBASTANZA A LUNGO IN UNO STATO
TALE CHE DELLE CREATURE VIVENTI POTESSERO ABITARLA"...
"Il modo subitaneo con il quale gruppi interi di specie apparvero in una certa formazione,
è stato presentato da numerosi paleontologi, ad es. AGASSIZ, PICTET e SEDGWICK, come
un'obiezione fatale alla teoria della trasmutazione delle specie.
Se delle specie numerose, appartenenti agli stessi generi o famiglie hanno realmente cominciato
a vivere di colpo, IL FATTO SARÀ FATALE ALLA TEORIA DELL'EVOLUZIONE PER
SELEZIONE NATURALE. Giacchè lo sviluppo, per questo mezzo, di forme derivate da
un solo progenitore qualunque, deve essere stato un processo estremamente lungo, e i progenitori
devono aver vissuto molto prima dei loro discendenti modificati....".
In questo passaggio DARWIN ammette:
1) Che delle specie differenti appartenenti alle principali divisioni del regno animale apparvero
subitaneamente nelle più antiche rocce fossilifere conosciute e che alcune di esse esistano
ancora oggi, praticamente senza alcun cambiamento.
2) Che durante il tempo trascorso dopo il periodo Cambriano, gruppi interi di specie apparvero
in maniera subitanea.
3) Che il tempo disponibile per l'evoluzione delle specie trovate nel periodo Cambriano
(se una tale evoluzione fosse provata, il che non è), è assolutamente inadeguato, come pure
il tempo trascorso dopo il periodo Cambriano è altrettanto inadeguato per spiegare l'evoluzione
delle differenti forme di vita animale trovate nel mondo ai nostri giorni.
É trascorso un secolo da quando DARWIN ha esposto queste difficoltà contro la propria
teoria dove tutte le specie viventi sono evolute a partire da una o più forme primitive; durante
il secolo, queste difficoltà non solo non sono state risolte, ma al contrario si sono accentuate.
"Nondimeno, il fatto che negli strati più profondi non si trovi alcuna testimonianza della
presenza di mammiferi, di uccelli, di rettili, di insetti e di piante fanerogame, generalmente
considerate come forme superiori di vita, fu visto come la prova che l'evoluzione fosse realmente
avvenuta, anche se non si sono ritrovati gli anelli di collegamento".
"Ci si attendeva nondimeno che, grazie a ricerche più spinte nel mondo vivente e alla scoperta13
13 - R. M. Ritland, dell'Istituto ricerche geoscientifiche, ANDREWS UNIVERSITY.
14 - Dr. Desmond MURRAY, O.P., :Species revalued pubblicato da Black-friars, Londra, 1955.
15 - T. G. Tutin, Botanico, in Natura, volume 169, 1952,pag.126
16 - M. Simpson, Paleontologo dell'Università Harvard, in Tempo e modo in evoluzione, Colombia
1944, pag.106,107.
di nuovi fossili, tali anelli finivano per essere ritrovati: ma dopo un secolo di ricerche intensive
nessuna serie di anelli è stata scoperta tra le classi superiori" 13 .
Gli anelli mancanti non sono stati ritrovati:
"Quando delle forme di vita fanno la loro apparizione nel Cambriano, dei rappresentanti
di tutte le grandi specie animali, eccetto i vertebrati, appaiono alla base della lista dei fossili.
SI DIREBBE UNO SPARGIMENTO DI UNA FOLLA DI ESSERI VIVENTI VARI, E MOLTE
DI QUESTE FORME NON SONO QUASI CAMBIATE DA QUEI TEMPI PRIMITIVI 14 .
"Dai 92 anni che sono passati dalla pubblicazione de "L'ORIGINE DELLE SPECIE", molti
argomenti, ma nulla di concreto, sono stati dati riguardo la linea di "parentela" che unisce
le Angiosperme (piante di fiori)... Tuttavia, nè la paleobotanica, nè la morfologia, nè l'anatomia,
nè la citologia hanno gettato alcuna luce sull'origine delle Angiosperme o di qualche altro
grande gruppo di quest'ordine, che un osservatore imparziale possa considerare come non
equivoco. Si può senza dubbio andare più lontano e affermare che, sull'origine dell'uno o
di altri grandi gruppi di piante, non se ne sa oggi più di quanto se ne sapesse nel 1859 15 .
A proposito dei trentadue ordini di Mammiferi, il paleontologo SIMPSON, dell'Università
Harvard, sottolinea che: "I primi e più primitivi membri di ogni ordine che noi conosciamo
hanno già i caratteri di base del proprio ordine, e in nessun caso si conosce una serie
ininterrotta da un ordine all'altro. In generale, la fossa tra gli uni e gli altri è così profonda
e così larga che l'origine dell'ordine è speculativa e fortemente discussa".
"QUESTA ASSENZA REGOLARE DI FORME DI TRANSIZIONE NON SI LIMITA AI
MAMMIFERI, MA PIUTTOSTO É UN FENOMENO QUASI UNIVERSALE, COME I
PALEONTOLOGI HANNO SOTTOLINEATO DA MOLTO TEMPO" 16 .
Conviene sottolineare che Simpson è un evoluzionista e crede ancora che i differenti ordini
convergano in tempi molto lontani.14
17 - Paul Lemoine : Enciclopedia francese, 1937, toma 5
#
, pag.82
18 - Boule e Piveteau: I fossili, 1935, pag. 51
GLI UOMINI DI SCIENZA MODERNI E LA DOTTRINA
DELL' EVOLUZIONE.
Paul LEMOINE, prof. di geologia e Direttore del Museo Nazionale.
"Il volume V
#
dell'Enciclopedia Francese segnerà certamente una data nella storia delle nostre
idee sull'evoluzione; risulta dalla sua lettura, che questa teoria sembra alla vigilia d'essere
abbandonata..."
Risulta da questo esposto che la teoria dell'evoluzione è IMPOSSIBILE. In fondo, malgrado
le apparenze, nessuno ci crede più, e lo si dice, senza attribuirle troppa importanza; "evoluzione"
può significare "incatenamento", o "più evoluto", "meno evoluto", in senso di "più perfezionato",
"meno perfezionato", poiché è un linguaggio convenzionale ammesso e quasi obbligatorio
nel mondo scientifico.
"L'evoluzione è una sorta di dogma al quale i suoi preti non credono più, ma che
mantengono per il loro popolo. Questo bisogna avere il coraggio di dirlo, perchè gli
uomini della generazione futura orientino le loro ricerche in un'altra direzione".
NOTA: Il parere del Professor P.Lemoine è, ci sembra, troppo assoluto, ma la sua constatazione
di una grave crisi del Trasformismo ai nostri giorni, non è meno certa.
"I geologi contemporanei sono tutti colpiti dalle APPARIZIONI BRUSCHE DELLE NUOVE
FORME ANIMALI O VEGETALI e la loro opinione ha tanto più valore poiché essi, di
formazione evoluzionista e sedicenti fautori di questa dottrina, non emettono certamente
le loro opinioni alla leggera" 17 .
M.M. BOULE e PIVETEAU, Paleontologi, professori al Museo Nazionale e alla Sorbona.
"Se potessimo trasportarci sulla riva dei mari cambriani, dei più vecchi dei quali conosciamo
la fauna, vedremmo brulicare e correre, sulla sabbia e vicino agli scogli sulla spiaggia, degli
animali diversi, certo, dagli animali attuali, ma appartenenti chiaramente agli stessi gruppi,
e viventi nelle medesime condizioni fisiologiche..."
"Per gran parte della sua fauna, il mondo Cambriano ci sembrerebbe giovane quasi come
quello attuale. A malapena ci sentiremmo vicini alle origini della vita." 1815
19 - E. Raguin: L'evoluzione regressiva, 1943, prefazione
20 - M. Caullery : Il problema dell'evoluzione, 1931, pag.401
21 - M. Decugis. L'invecchiamento del mondo vivente, 1941.
22 - Louis Bounoure: Ricerche di una dottrina della vita, 1964, - Veri sapienti e falsi profeti - ,pag. 134
E. RAGUIN, Professore di Mineraria alla Scuola Nazionale superiore.
"Constatando come nella maggior parte delle persone che hanno studiato queste questioni,
ci sia un abbandono totale o parziale del sistema trasformista da parte dei leaders delle scienze
della vita, io rimango sempre stupito di vedere ciò-nonostante continuare, nell'istruzione
della gioventù, l'insegnamento delle dottrine trasformiste, presentate come una sintesi
definitivamente acquisita nel patrimonio intellettuale dell'umanità" 19 .
M. CAULLERY, biologo.
"Le ricerche recenti, contrariamente a ciò che si poteva pensare una cinquantina di anni fa,
hanno piuttosto rinforzato l'idea della STABILITÀ PRESENTE DELLE FORME ANIMALI
E VEGETALI, e ricondotto le loro variazioni sia a dei fenomeni puramente individuali, senza
risonanza nella linea, sia a una differenziazione limitata e virtualmente contenuta nel tipo
di ciascuna specie" 20 .
M. DEGUGIS, biologo.
"La credenza al progresso continuo della vita, o piuttosto l'idea che il mondo vivente si trovi
ancora nel periodo ascendente, non è che un'illusione. Essa è ancora condivisa dalla
maggioranza degli uomini preoccupati di questi problemi, ma occorre rinunciarvi".
"Una delle certezze più decisive della biologia contemporanea è che un numero immenso
di specie vegetali ed animali, lungi dal progredire in organizzazione, sono in piena
regressione" 21 .
Louis BOUNOURE, professore di biologia generale alla facoltà delle scienze di Strasburgo
e direttore delle ricerche al C.N.R.S.
"Per di più, l'idea di evoluzione appare come una veduta antropomorfica, contraddittoria
colla nozione stessa di vita. L'ordine vitale implica una perfezione essenziale, inseparabile
dall'attitudine a vivere; ora, OGNI PERFEZIONE ESCLUDE IL PERFEZIONAMENTO.
Il "paradosso dell'AMEBA" cessa di essere paradosso per chi vede quest'umile cellula,
depauperata del sistema nervoso e di apparati differenziati, svolgere le funzioni fondamentali
della vita con lo stesso successo dei vertebrati più complessi; credere che l' AMEBA aspiri
a percorrere quelle 22 tappe evolutive che HAECKEL le ha assegnato per diventare specie
umana, è come proiettare sulla realtà naturale una tendenza alla continuità che non esiste
se non nella nostra mente" 22 .16
23 - Jean Rostand: Cio' che io credo, pag. 23-24-25-38
24 - Louis Bounoure : Ricerche di una dottrina di vita, pag. 189
Jean ROSTAND, il celebre biologo:
"Certo, noi conveniamo in tutta obiettività CHE NON SI HA IL DIRITTO DI RITENERE
L'EVOLUZIONE ORGANICA PER CERTA, POICHÉ SI TRATTA DI AVVENIMENTI
AVVENUTI SENZA TESTIMONI E DI CUI É PERMESSO DUBITARE CHE LA NATURA
ATTUALE CI FORNISCA ANCORA L'ESEMPIO".
J. ROSTAND dichiara tuttavia: "Senza essa (l'evoluzione), essi (questi avvenimenti) restano
inesplicabili".
... Ma aggiunge prudentemente: "... io non cerco di misconoscere il carattere straordinario;
vedere fantastiche delle trasformazioni che saremmo tenuti ad IMMAGINARE nel passato
della vita, e di cui sembra che non si stupiscano a sufficienza nè i profani, che non dubitano
delle difficoltà che esse sollevano, nè forse gli stessi specialisti, troppo familiarizzati con
le idee trasformiste".
Stupore e nuova causa di incertezza di Jan Rostand: "Da parte mia, penso volentieri che
il mondo vivente è ora in stato di stabilità, e che la natura organica non manifesti più le
attività alle quali deve la sua nascita" 23 .
Per ciò che concerne il fenomeno delle "mutazioni", che potrebbero ancora sembrare agli
occhi di qualcuno la causa più valida di un'evoluzione reale, Jean ROSTAND, dopo aver
riconosciuto come scadute le teorie di Lamark e di Darwin, dichiara: "...le mutazioni sono
quasi sempre dei cambiamenti sottrattivi, regressivi, caratterizzate da perdite o da atrofie
di organi. Infine, e soprattutto, ESSE NON APPORTANO MAI NIENTE DI VERAMENTE
NUOVO NELLA SPECIE" 24 .
Dr. MAURICE VERNET, biologo.
Secondo il dott. M. Vernet, la mutazione non è che una variazione patologica ...
"Se le mutazioni non possono essere considerate come capaci di realizzare la diversificazione
delle specie, non è solo perché la debole ampiezza delle mutazioni constatate non autorizza
questa ipotesi, ma anche perché il meccanismo delle mutazioni e le condizioni di vita
impediscono anche di esaminarle".
..............................................................................................................................
Tutti i fatti tendono a provare che, da una parte, NON C'É FISSITÀ ASSOLUTA DELLE
SPECIE, poiché delle variazioni minori possono prodursi all'interno della specie, ma che,
d'altra parte, NON C'É EVOLUZIONE NEL SENSO DELL'ORIGINE DELLE SPECIE,
ossia di trasformazione da una specie ad un'altra, poiché la sensibilità organica fondamentale17
25 - Dott. Maurice Vernet : La sensibilità organica. Analisi della Metabiologia di M.Vernet, a cura di
J.G. Bennet, rivista Mondo e vita, n
#
184, ottobre 1969, pag. 26
26 - Camille Arambourg : La genesi de l'umanità Parigi 1961, collezione "Que sais-je?", pag 125-126-
127
propria di una specie resta immutata nel corso delle generazioni.
L'importanza filosofica di una rottura radicale della credenza nel trasformismo, il quale è
alla base di tutte le filosofie evoluzionistiche, non ha bisogno di essere dimostrata. Da un
secolo la nostra metafisica é falsata a causa di questo errore iniziale, fondamento radicale
dell'ipotesi trasformista 25 .
Camille ARAMBOURG, paleontologo, professore al Museo Nazionale, Membro dell'Istituto.
"Dal punto di vista intellettuale e morale, molti buoni pensatori hanno posto la loro speranza
nel progresso continuo dell'umanità e in un miglioramento costante che la condurrebbe verso
una civilizzazione superiore, opera di superuomini così come li hanno fantasticati filosofi
e poeti: superuomini la cui intelligenza sarebbe così vasta e così penetrante da poter capire
subito, come scrisse Henri Poincare, la soluzione di un problema nello stesso tempo in cui
vengono forniti i dati; superuomini che, avendo deposto tutti i vecchi istinti della barbarie
primitiva, non vivono più che nell'altruismo e nella pace, nella ricerca delle gioie dello spirito,
nell'amore e nel rispetto per la bellezza...".
"Senza pessimismo eccessivo, è tuttavia difficile credere a questo miglioramento progressivo
e costante dell'umanità, poiché niente di ciò che noi conosciamo del meccanismo generale
dell'evoluzione, conferma questo modo di vedere".
"...L'uomo attuale ha, da un po' di tempo, profondamente sconvolto l'equilibrio biologico
del pianeta e forse stiamo assistendo all'inizio delle conseguenze che ne risultano. Egli ha
distrutto la maggior parte delle grandi specie animali e scombussolato la distribuzione di
altre, così come quelle dei vegetali; egli si è moltiplicato con un ritmo accelerato del quale
iniziano ora a preoccuparsi i sociologi. D'altro canto, esaurendo progressivamente le risorse
naturali che gli sono indispensabili, tutta la sua vita materiale e sociale si trova sempre
più legata al possesso o alla conquista di quelle risorse che rischiano di terminare. Al suo
biotipo naturale originale, egli sostituisce a poco a poco un biotipo artificiale del quale
diviene progressivamente schiavo. Fatto più grave, egli ha, con le sue scoperte biologiche
permettenti la sopravvivenza e la riproduzione di molti individui tarati o deficienti di ogni
tipo, perturbato profondamente il gioco della selezione naturale..."
"Ci sembra difficile che l'umanità sfugga a questa legge ed è per questo che temiamo
fortemente che il perfezionamento indefinito dell'uomo non sia che una pia illusione,
e il superuomo nel quale noi abbiamo sperato, un bel sogno!" 26 .18
27 - Paul Cordier-Goni: Cio' di cui io dubito, articolo pubblicato nel 1957 su Riviera scientifica.
28 - Lucien Cuenot: L'adattamento tra gli animali, art. pubblicato nel 1937 sul bollettino della società
degli amici della scienza di Nancy.
29 - Jean Rostand, La nuova biologia, 1937, pag. 79-80.
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04/12/2012 12:50
 
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ASPETTI ASSURDI DELLA DOTTRINA
DELL' EVOLUZIONE
UN PRINCIPIO CHE É BEN DIFFICILE ELUDERE.
Nessun atto di creazione o di trasformazione puo' avvenire senza essere stato suscitato
da un pensiero creatore o dall'elaborazione di un piano.
Ciò che è valevole per la costruzione di un tavolo o quella di un aereo, lo è ancora di più
per la trasformazione da un essere "primitivo" dalle forme più semplici in un essere più
"evoluto", provvisto di organi o di membra complesse.
Così, come dice giustamente lo zoologo Paul CORDIER-GONI, "LA COMPARSA DI DUE
OCCHI COMPORTA LA CONOSCENZA DELLE LEGGI DELL'OTTICA: un cieco nato
non saprebbe inventare un apparecchio di cui non è in grado di sospettarne l'utilità. E
nondimeno, fin dall'èra Secondaria, le deviazioni dei raggi luminosi vanno a concentrarsi
sul piano retinico. DUE occhi daranno il RILIEVO all'immagine. É così che compariranno
i pesci, provvisti ugualmente di branchie per respirare e di un sistema nervoso, altre innovazioni.
E come avrebbero potuto, degli animali più o meno "primitivi", risolvere di colpo il problema
di "più pesante dell'aria" e diventare uccelli o rettili volanti? In questo caso, non può trattarsi
di un fenomeno evolutivo di progressione graduale, poiché bisogna che la forma volante
soddisfi nell'insieme alle qualità necessarie ed indispensabili dell'apparecchio volante: dunque
niente tentativi, niente serie di esperienze, niente modificazioni fisiologiche successive, ma
una riuscita immediata!
Secondo i paleontologi, le prime specie volanti sono una sorta di cigni, di gru e, salvo i denti
al becco, sono molto poco cambiate, e noi le ritroviamo oggi con la loro fisionomia primitiva 27 .
Darwin, per il quale il trasformismo non era ancora che un'ipotesi e non un dogma, diceva
egli stesso che il problema di un organo complesso, come l'occhio, quando vi pensava, gli
dava la febbre! 28
Citazione del filosofo LE DANTEC, ripresa da Jean Rostand:
"Ammettere che delle variazioni fortuite abbiano formato degli esseri viventi, sembrava a
LE DANTEC, che non può essere sospettato di finalismo, TANTO INSENSATO COME
L'ATTENDERSI CHE UNA MASSA DI FERRO FUSO PRODUCA, RAFFREDDANDOSI,
UNA LOCOMOTIVA" 29 .19
L' UCCELLO E LE TEORIE TRASFORMISTE.
L'uccello è stato concepito per volare
L'uccello e i rettili fossili.
Gli zoologi, partigiani dalla dottrina dell'evoluzione, tentano di dimostrare che gli uccelli
discendono dai rettili. Se si esamina la lista degli antichi rettili, si scopre che i dinosauri
detti "a becco d'anitra" hanno due analogie con gli uccelli: sono bipedi e il loro becco somiglia
a quello di un'anatra, benché sia provvisto di 2000 denti. Ma questa constatazione non può
bastare a stabilire tutto un albero genealogico. É ugualmente vero che lo scheletro degli uccelli
e quello dei rettili comporta qualche similitudine, ma queste poche analogie sono lungi dal
dimostrare una filiazione tra questi due gruppi di vertebrati.
Anatomia e fisiologia degli uccelli.
É impossibile studiare l'anatomia e la fisiologia degli uccelli senza essere colpiti dal loro
notevole adattamento al loro stile di vita e particolarmente al volo: tutto il loro organismo
sembra concepito per volare. Citeremo una dozzina di caratteristiche importanti dell'uccello
che costituiscono una vera sfida alla teoria dell'evoluzionismo.
Le ossa degli uccelli.
Le ossa degli uccelli sono cave, il che dà loro il massimo della resistenza con un peso infimo.
Le ossa della testa sono sottili e leggiere; lo sterno è una sorta di birillo al quale sono attaccati
i grandi muscoli del volo.
Le sacche d'aria.
Nel corpo degli uccelli si trovano ripartite almeno nove sacche di aria. Si è per molto tempo
pensato che esse contribuivano ad aumentare l'estrema leggerezza dell'uccello, ma la loro
vera importanza è un'altra: considerando che si produce un aumento considerevole della
temperatura del corpo durante il volo, si suppone che queste sacche d'aria servano a mantenere
l'animale a temperature normali. Esse sono collegate con i polmoni tramite dei canali; il
meccanismo della respirazione non mette dunque solo i polmoni in movimento, ma anche
le sacche d'aria.
I polmoni:
Nei mammiferi, l'aria è introdotta nei polmoni grazie al diaframma. Gli uccelli non hanno20
il diaframma. I loro polmoni si dilatano grazie a leggiere trazioni delle costole e si contraggono
per una sorta di compressione delle pareti del corpo. Cosicché l'azione dei polmoni è in
correlazione con i pesanti muscoli pettorali utilizzati per il volo.
Le piume.
Avendo forza e leggerezza, le piume figurano fra le più belle meraviglie della natura. Ciascuna
è costituita da uno stelo centrale al quale sono attaccate una serie di barbe molto serrate e
tutte parallele. Ogni barba è munita di piccole barbette, provviste di uncini che le mantengono
legate le une alle altre. Gli uccelli hanno anche altre piume molto lanugginose, che hanno
il ruolo di climatizzatrici e che permettono loro di resistere al freddo. Durante l'inverno
una folta e pesante lanuggine prende posto sotto le piume di superficie. Grazie alla loro
colorazione, le piume hanno una funzione protettrice. Quelle del dorso sono generalmente
scure, permettendo all'uccello di confondersi con il suolo quando lo si guarda dall'alto. Quelle
del ventre sono più chiare e si confondono con il colore del cielo.
L'udito e la vista:
L'udito, come la vista, è particolarmente sviluppato. Gli uccelli possono distinguere suoni
molto più acuti rispetto all'uomo. La loro vista è la migliore di tutto il regno animale. Tutti
sanno che un'aquila può percepire la propria preda al suolo da un'altezza tale che per l'uomo
sarebbe impercettibile. I piccoli uccelli sono capaci di circonvoluzioni tra gli alberi senza
mai urtare i rami. La loro facoltà di accomodazione oculare è in funzione della velocità del
volo.
L'apparato circolatorio:
L'uccello beneficia di una circolazione sanguigna molto rapida e del tutto indipendente dalle
funzioni polmonari. Questo è per esso una necessità a causa degli sforzi straordinari procurati
durante il volo. Un uccello è capace di volare a più di 80 Km/h. Il suo cuore è relativamente
più pesante di quello di altri animali, e anche le sue pulsazioni sono più rapide. Nel pettirosso,
il cuore può battere 570 volte al minuto. Durante uno sforzo particolarmente intenso i battiti
possono raddoppiare.
La temperatura dell'uccello:
La temperatura normale degli uccelli è molto elevata, attorno ai 40
#
-43
#
. Ciò è molto
importante, giacchè è riconosciuto scientificamente che i processi chimici sono accelerati
quando la temperatura è elevata. Il ritmo del metabolismo degli uccelli è di conseguenza
accelerato. In altri termini, gli uccelli vivono più intensamente degli altri esseri viventi, il
che è indispensabile al loro modo di vita aerea.21
L'apparato digestivo:
Gli uccelli hanno anche un apparato digestivo appropriato. In luogo di masticare il loro
nutrimento, essi lo inghiottono immediatamente e lo sbriciolano quel tanto che basta per
poterlo inghiottire. Esso viene ammassato in una grande tasca, il gozzo, poi passa nello stomaco
o ventriglio, dove inizia la digestione. Gli uccelli non hanno dunque bisogno di prendere
tempo per masticare o digerire il proprio nutrimento.
Le zampe degli uccelli:
Le zampe degli uccelli sono assai particolari e sono adattate a numerosi fini: correre, camminare
nel fango, aggrapparsi, grattare il suolo, afferrare la preda, ecc. Gli altri animali hanno delle
zampe robuste e muscolose, mentre gli uccelli le hanno esilissime. Le ossa sono ridotte ai
minimi termini, e solo le parti superiori sono provviste di muscoli. I tendini sono posti in
un liquido circolante in stretti canali, il che permette un'azione assai rapida. Quando l'uccello
si aggrappa ad un ramo i potenti muscoli della parte superiore della zampa si contraggono,
i tendini si irrigidiscono e fanno curvare le dita, formando attorno al ramo un vero anello;
così l'uccello non può staccarsi senza raddrizzarsi e ciò gli impedisce di cadere durante il
sonno.
Le ghiandole a corpo grasso.
Alla base della coda si trovano delle ghiandole che secernono una sostanza grassa che l'uccello
preleva con il suo becco per lisciarsi le piume. Si vede sovente la gallina effettuare questa
sorta di puntura e spalmarsi le piume con questa specie di olio.
I nidi:
Ogni specie di uccello ha un tipo di nido proprio. Il modo di costruirlo è inscritto nell'istinto
dell'animale: un uccello farà il suo primo nido bene come gli altri. Si è colpiti nel costatare
che non si è potuto scoprire alcuna evoluzione nella nidificazione degli uccelli. Naturalmente
il nido varia secondo il posto.
Le uova degli uccelli:
Esse sono proporzionalmente più grosse di quelle dei pesci, dei batrachi e dei rettili; possiedono
qualità nutritive tali che il discendente è capace di raggiungere un grado di sviluppo molto
avanzato prima di nascere. Certi uccelletti sono anche capaci di correre fin dalla nascita.22
30 - Harold W. Clark, professore di biologia.
31 - J. Rostand in Ciò che io credo, 1957..
Le migrazioni degli uccelli:
Esse variano molto secondo le specie e generalmente sono in funzione del nutrimento. Bisogna
rimarcare che in molte specie i giovani migrano prima degli adulti, il che mostra che essi
non dipendono dai loro genitori per trovare il cammino.
Come sanno dove devono andare ? É un mistero!
Abbiamo fatto allusione a una dozzina di caratteristiche degli uccelli. Se ciascuna di esse
fosse considerata come una semplice unità, ci sarebbe una possibilità su 500.000.000 perché
essa si sviluppi simultaneamente con le altre in modo da funzionare in un organismo unico.
Ora, vi sono da 10 a 100 elementi anatomici, chimici o altri in ciascuna di queste caratteristiche;
di conseguenza, matematicamente parlando, le possibilità che esse hanno di trovarsi riunite
per caso sono infime 30 .
.............................................................................................................................
É interessante citare a sostegno dell'articolo del prof. H.W. Clark il testo seguente estratto
dall'articolo di M.Aimé MICHEL: "Ramage et Plumage", sui misteri del mondo animale,
apparso sulla rivista "La vita degli animali", del settembre 1970, pag.13:
"Se con gli occhi sotto 50 cm d'acqua di mare voi guardate verso il cielo e vi interrogate sul
modo migliore di sfuggire al vostro sguardo, dovete convenire che il camuffamento migliore
è un tenue bianco con un po' di nero; ed è appunto così che la questione viene risolta da tutti
gli uccelli marini: si tratta per essi di non essere mai visti da quelli che nuotano.
Una divertente illustrazione di questo principio ci è fornita dal MACAREUX MOINE, uno
dei soli uccelli di mare che sfoggia vivaci colori: il rosso, il blu, il giallo che esso offre allo
sguardo, non sono visibili che di profilo. Dal di sotto nulla lo lascia indovinare. Ed è per
la necessità di nascondere lo splendore dei colori ad ogni sguardo verticale che questo uccello
comprime lateralmente il becco in un modo tanto comico.
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04/12/2012 12:52
 
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FISSITÀ DELLE SPECIE
LA FISSITÀ DELLE SPECIE NON É UN MITO.
Da parte mia, scrive Jean Rostand, "penserei volentieri che il mondo vivente è ora in uno
stato di stabilità" 31 .
"E tuttavia mai si è tanto affermato di credere nelle mutazioni senza ottenerne una sola, e
nell'evoluzione senza dare un esempio di ciò che era oltremodo ammesso. La mutazione
si riduce al cambiamento di colore. Nelle razze "malleabili" si ottengono sempre delle piccole23
32 - Paul Cordier-Goni: Ciò di cui dubito, articolo pubblicato nel 1957 ne la Riviera scientifica
33 - Richiamo di M. Choisy, botanico, da una citazione di Stefano Geoffroy Saint Hilaire e Georges Cu-
vier
modificazioni che non si inscrivono che momentaneamente nella natura e non superano i
limiti della specie. Esse sono ereditarie, ma per quanto tempo ? Che cessino i sogni dell'uomo!.
la fatale legge del ritorno all'ancestrale eserciterà la sua potente forza: la rosa ridiventerà
una rosa canina, il bue domestico ritroverà le qualità selvagge del "bue primigenio": noi
l'abbiamo dimostrato".
"La fissità delle specie non è dunque un mito:
Nel Primario si ritrovano già, immutabilmente formate, tutte le varietà di felce, coi loro semi
e le loro spore. I ricci Cidaris, i mitili, le Cupulus ci presentano la stessa morfologia che
conosciamo oggi.
Con apparizione brusca, troveremo fossili Eocarpus e Lycoses. Essi sono attualmente immutati.
Il fossile e il vivente si ritrovano come in un album di foto di famiglia.
Il Gran Canyon dell'America ci mostra delle specie che l'alimentazione ha leggermente
modificato. Ma non vedremo certo un invertebrato trasformarsi progressivamente in vertebrato.
"La natura non muta mai i suoi metodi. Essa ci mostra la sua realtà nella stabilità" 32 .
SULL' APPARENTE MOLTIPLICAZIONE DELLE SPECIE.
Qui un'osservazione si impone: "l'uomo, questo animale orgoglioso che vede in sè una
sola specie, anche se caratteri di colore, di morfologie facciali o pelose, sarebbero sufficienti
per determinare delle specie differenti tra gli animali, è ancora più orgoglioso nel
moltiplicare le specie, là dove non esistono che delle varietà, e solamente per la gloria
di mettervi la sua firma".
"IN CIO' CHE NOI CHIAMIAMO LE SPECIE, NON BISOGNA VEDERVI CHE LE
DIVERSE DEGENERAZIONI DI UNO STESSO TIPO ?" 33
"Per ciò che concerne la maggior parte del mondo attuale, appare come certo o quasi certo,
che delle quantità innumerevoli di specie non si sono conservate se non diminuendo in un
modo o in un altro; ciò è vero soprattutto per i vegetali, ma anche per certi gruppi animali.
M.CHOISY, botanico: "DA ALCUNE RIFLESSIONI SULL'EVOLUZIONE E LE SUE
TEORIE", articolo pubblicato nel 1961 sul bollettino della Societè Linnéenne di Lione in
risposta al libro di M. Andrè de Cayeux: "TRENTA MILIONI DI SECOLI DI VITA").24
34 - P. Cordier-Goni, zoologo: Ciò che io dubito articolo pubblicato nel 1957 ne La riviera scientifica
in risposta al libro di Rostand: Ciò che io credo.
35 - M. Choisy, botanico :Da alcune riflessioni su l'evoluzione e sue teorie articolo pubblicato nel 1961,
bollettino de la Societè Linnéènne di Lione
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04/12/2012 12:54
 
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IL MITO DELL'EVOLUZIONE DEGLI EQUIDI.
"Si è citata sovente la storia dell'evoluzione del cavallo. Senza che si possa ritrovarne un
antenato, esso appare bruscamente circa 60 milioni di anni fa, sotto l'aspetto e la forma di
una lepre elegante. Si stima che possedesse allora 5 dita. Attualmente non ne possiede che
uno protetto da uno zoccolo: è il terzo delle 5 dita che si è conservato, accompagnato da 2
stiletti ossei. Le altre si sarebbero riassorbite".
Tali sono le affermazioni incrollabili degli evoluzionisti.
Malauguratamente questa pretesa filiazione che si estende su numerosi continenti, è molto
traballante, e non è sfuggita alla critica:
La signora PAVLOV, M.M. SCLOSSER, WEITHOFER, il Doyen DEPERET, hanno stimato
che, nè il PALEOTHERIUM, nè l'HIPPARIUM, nè l'ANCHITHERIUM, possono essere
contati nella filiazione del cavallo. Queste critiche sincere concludono tutte che la filiazione
degli equidi non offre che un'apparenza ingannatrice.
Essa è pertanto classica, essa è insegnata; da numerose generazioni questo errore è tenuto
per verità. Se è così, perchè non avere il coraggio di radiarla dai programmi d'insegnamento? 34 .
"Se il filum degli equidi non è un mito, se il vostro piccolo animale che ha 60 milioni di anni
era l'antenato del cavallo, come mai la libellula che ha 115 milioni di anni è rimasta libellula
e si è ridotta a 1/15
#
della sua grandezza iniziale? "
"Ecco qui, l'evoluzione regressiva: giacché, in rapporto al cavallo, la libellula moderna
dovrebbe misurare almeno quanto l'altezza media di un uomo" 35 .
IL CAELACANTUS CHE NON HA VOLUTO
CONTINUARE A EVOLVERSI
"Il Celacanto fossile era ritenuto come un intermediario disperso. Se ne è fatto un gran
chiasso: nelle pinne fossili si trovavano delle ossa che prefiguravano le ossa della mano.
É sufficiente, con l'immaginazione, aggiungere il radio, il cubito ed altre ossa necessarie
per arrivare al mammifero; così il passaggio da un tipo all'altro sarebbe provato".
"Ora, il Celacantus, ha commesso il reato di essere trovato vivo, senza cambiamenti,25
36 - Paul Cordier-Goni: Ciò che io dubito, 1957.
37 - G. Blond: La grande avventura delle balene.
38 - Louis Kevran, membro attivo Accademia delle scienze di New York
identico nella sua configurazione fossile, nei mari del sud" 36 .
I POLMONI DELLA BALENA.
"Alcuni studiosi pensano che la balena, o piuttosto i suoi antenati, fosse, a un certo punto
dell'evoluzione, un mammifero terrestre. La loro convinzione è fondata sulle osservazione
di due dettagli:
1
#
#
- lo scheletro della pinna della foca a testa tonda (cetaceo) rassomiglia a quello dei membri
superiori dei mammiferi terrestri: la forma e le funzioni di una pinna non giustificano una
tale disposizione; noi abbiamo qui, sembra, una delle prove che i cetacei sono mammiferi
terrestri adattati allo stato liquido.
2
#
#
- I disossatori hanno scoperto sulle balene "moderne", nascosti dal grasso, in ciascun lato
dell'animale, due rudimenti ossei che non possono essere che le vestigia di antichi membri
posteriori".
Si può allora chiedersi perché le balene, che avevano precedentemente trasformato le loro
branchie in polmoni (la pretesa evoluzione lo suppone) al fine di adattarsi al soggiorno terrestre,
non ritennero di ritrasformare questi polmoni in branchie allorché ritornarono a vivere nell'acqua.
Perché, allorquando rifecero le pinne dalle loro zampe anteriori e riassorbirono le zampe
posteriori, conservarono l'apparato respiratorio dei terrestri che le obbliga a una rude ginnastica
per venire a respirare in superficie ? Ora, non ci sembra affatto che i polmoni dei cetacei
tendano a ridiventare delle branchie
37 .
PERFEZIONE DELLE SPECIE.
E SE IL VERME DELLA TERRA SI FOSSE EVOLUTO ?
"I lombrichi, con altri vermi e microorganismi, partecipano alla trasformazione in humus
dei vegetali e degli escrementi. É consuetudine dire che i vermi di terra servono a convertire
il suolo, ma questo non è che un effetto visibile per tutti; in realtà i loro sforzi sono multipli
e, si dice, che i vermi non amano che le buone terre, ricche di materie organiche, NON SI
SA ANCORA CHE QUESTA PRESENZA É UNA CAUSA DEL VALORE DELLA TERRA,
E NON L'EFFETTO VISIBILE 38 .
Secondo M. KEVRAN, i vermi arricchiscono la terra di calcare. Essi sono capaci di modificarne
così la sua composizione, per un'azione endogena: "si sa che hanno delle ghiandole secernenti
carbonato di calcio..., ma io ho potuto mostrare che l'aumento del calcare di una terra lavorata26
39 - Francis Harper: The mammals of keewatin, pag.52, pubbl. Univ. di Kansas, Lawrence, Kansas, U.S.A., testo riprodotto nel
bollettino di informazione per la protezione della natura, vol. VI

, n

1, marzo 1957.
40 - Prof. Georges Maheux, dott. honoris causa, Univ. di Monreal: Le risorse naturali e la sopravvivenza dell'umanità, art.
pubbl. nella rivista Le naturaliste canadien, n

6, 1966.
dai lombrichi, non proveniva solamente dal calcare del suolo, solubile agli acidi organici,
inghiottito dai vermi, c'è ben di più: vi è una trasmutazione biologica. Il calcare viene dal
silicio e dai silicati (argilla), per una serie di reazioni sub-atomiche dove:
SILICIO + CARBONE = CALCIO.
Ciò avviene per l'effetto degli enzimi specifici secreti dalle ghiandole situate nei canali che
secernono il calcare: ghiandole alimentate dal carbonio della materia organica e dal silicio
dell'argilla che attraversa il loro tubo digerente".
É grazie all'umile verme della terra, questo oscuro lombrico, animale detto "inferiore",
e tuttavia, come dobbiamo constatare, perfetto in tutte le sue attività a servizio della
natura in generale e dell'uomo in particolare, che abbiamo oggi il vantaggio di constatare
che la terra, benché degradata dall'uomo, non è ancora un deserto. Benché disprezzato,
schiacciato, sezionato, torturato, esso continua nondimeno instancabilmente la sua opera
benefattrice in favore dell'uomo suo carnefice. Salutiamo dunque l'umile lombrico,
sforziamoci di seguire il suo esempio nel nostro compito quotidiano, e siamogli riconoscenti
per non aver avuto l'ambizione di diventare un uomo!
UN' EVOLUZIONE CHE NON HA NIENTE DI
PROGRESSIVO
L' UOMO, L' ULTIMO ANELLO DELLA "CATENA"
"IL FATTO È DIVENTATO UN'EVIDENZA: NESSUNA SPECIE PREDATRICE, SALVO
L'UOMO MODERNO, STERMINA IL PROPRIO NUTRIMENTO" 39 .
"Contrariamente alle popolazioni animali l'umanità soffre di un'imprevidenza molto grave,
e questa sembra essere veramente una malattia tipica dell'uomo". 40
L' IDEOLOGIA TRASFORMISTA E LE SUE CONSEGUENZE
"Di fronte all'influenza talvolta arrogante, talvolta insinuante, ma sempre invadente, e favorita
talora da circostanze inaspettate che esercitano sulla mente umana certe ideologie apparentate,
vien da chiedersi se non si elabori sotto i nostri occhi una nuova religione che avrebbe avuto
in HEGEL il suo precursore e profeta, che riconoscerebbe in effetti la sua legge del
"DIVENIRE" come dogma essenziale, trasportandola nel mito del progresso.

by CESHE (Belgium)
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10/12/2012 09:17
 
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DIFFERENZA GENETICA FRA UOMO E SCIMPANZE'
di N. Nobile Migliore
 

E' di comune credenza che la differenza genetica tra uomo e scimpanzè è di circa il 2% .Si pensa per questo che l'uomo e lo scimpanzè si siano distaccati da un antenato comune circa sei milioni di anni fa .Per affermare questo il pensiero darwinista punta proprio a questa "minima differenza genetica del solo 2%.Ma non si riflette bene su alcuni fatti:noi e anche le scimmie antropomorfe hanno circa 25000 geni che codificano 25000 proteine funzionali,facendo dei semplici calcoli si deduce che il 2% solo di differenza genetica comporta l'esistenza di ben 500 nuove proteine funzionali che l'uoma ha e che lo scimpanzè non possiede ;ora ottenere proteine funzionali nuove ex novo o da altre proteine già esistenti è molto difficile :dei lavori recenti di Dougla Axe e Ann gauger dimostrano che nei batteri ottenere un nuovo enzima simile ad un altro precedente comporta almeno sette mutazioni concordanti ,cioè mutazioni tutte necessarie per la nuova funzionalità dell'enzima ,calcolando il tasso di riproduzione batterica e il tasso di mutazione il nuovo enzima si sarebbe formato in un tempo enormemente lungo ,più lungo del tempo dell'esistenza della terra attraverso solo col meccanismo del caso e della necessità.Le proteine hanno nel loro interno una complessità irriducibile!Nel caso poi del passaggio dalla scimmia all'uomo ben 500 proteine nuove si sarebbero dovute formare e il tempo di riproduzione dei mammiferi è molto ridotto rispetto ai batteri che si riproduconio in poche ore rispetto ai 40 anni circa delle scimmie e dell'uomo.Quindi il tempo di sei milioni di anni è un tempo ridicolmente troppo piccolo per la formazione di tante nuove funzionalità .Il paradigma darwiniano è quindi del tutto inadeguato a spiegare col caso e necessità la formazione del 2% del nuovo materiale genetico .

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12/12/2012 08:19
 
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                                          IL BIG-BANG E LA CREAZIONE

Pontifex.RomaCredo in Dio, Padre Onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili… Doveroso chiarimento: ritengo opportuno chiarire qualche dubbio postomi a seguito di queste lettere che esulano dall’argomento della fede per invadere il campo della scienza, come se compito del cristiano fosse solo quello di pregare Dio alla cieca, estraniandosi dal resto del mondo. Si tratta di argomenti accessibili a tutti, e non solo prerogativa per esperti, come neppure io lo sono, argomenti che un credente di media cultura (come è ormai la maggior parte della gente) ha il dovere di affrontare, approfondire e almeno in buona parte risolvere, se non vuole cadere nelle solite trappole del nemico che vuole rendere sempre più insanabile, come detto, la spaccatura tra fede e ragione, tra Parola di Dio e parola della scienza, relegando i credenti, a forza di menzogne, nella categoria degli imbecilli. Mio intento è solo quello di invogliare la gente a leggere  almeno qualcuna delle opere ...

... evidenziate nelle note, perché, mentre parlano di scienza in modo chiaro e accessibile alla media cultura, sono aiuti formidabili per capire e gustare anche le verità della nostra fede contenute nel “Credo”, nella certezza che il Dio cristiano, Uno e Trino, non ci inganna chiedendoci di inginocchiarci davanti a Lui, piuttosto che davanti a ‘sua maestà’ Darwin, responsabile di aver eliminato il Dio vero per intronizzare ‘il caso’, cioè un assioma infondato e gratuito come unico artefice della vita. Non possiamo più accettare che cristiani impegnati per la nuova evangelizzazione, studenti, docenti, per non dire sacerdoti o Vescovi, continuino a difendere, anche se in buona fede, la teoria dell’evoluzionismo (che non è l’evoluzione) che nega la creazione, teorie che, soprattutto con le ultime scoperte del DNA e di quelle cosmologiche di cui accenneremo, hanno subìto una clamorosa sconfitta.

Io stessa, anni addietro, dopo aver letto qualcuna di queste opere e ascoltato opportune conferenze, (ricordo in particolare quelle assai incisive dei prof. Giancarlo Cavalleri e Francesco Grianti, docenti universitari di fisica generale e nucleare), ho dovuto in un certo senso riformulare con grande gioia il mio atto di fede, come una nuova, luminosa conversione, pur essendo sempre stata credente, perchè finalmente ho capito che la Parola di Dio è la stessa parola della scienza, però quella vera, e non quella strumentalizzata da falsi scienziati al fine di demolire la nostra fede cattolica. La cultura mondiale di tutti i tempi brulica di scienziati e umanisti credenti di altissimo livello, molti di essi cattolici, come ha segnalato in un libro molto interessante il prof. Francesco Agnoli: ‘Scienziati, dunque credenti!’. [1]

Ma chi ha il coraggio di citare questi illustri personaggi nelle nostre scuole, nei nostri seminari, nei nostri istituti teologici e religiosi, dove troneggia come verità assoluta l’abominevole e falsa figura dello scimmione che si alza un po’ alla volta su due piedi, come se questo fosse sufficiente per giustificare la differenza abissale che distingue l’uomo da qualunque altro essere vivente? Non solo biologica (c’è più informazione in una sola cellula umana che in tutte le cellule animali messe insieme), ma spirituale: il linguaggio, la coscienza di sé e dell’universo, lo studio, la libertà, il rapporto con il Trascendente, perché l’uomo è l’unico essere fatto a ‘immagine e somiglianza di Dio’, e destinato alla Vita Eterna.

Finchè nei Seminari e Istituti religiosi, nei vari studi teologici di tante diocesi italiane, si continua a dare spazio ai nuovi falsari, ai vari pseudo teologi alla “Vito Mancuso” che sono ascoltati e riveriti molto più del Papa, falsari che hanno trasferito al campo teologico le conseguenze assurde della teoria evoluzionista, negando il peccato originale, ci meravigliamo dei frutti che vediamo intorno a noi? Seminari e noviziati semideserti, gente che abbandona chiese e Messe, cercando aiuto presso le varie sette perché delusa dalla Chiesa cattolica, meglio detto, da certi falsari della Chiesa cattolica, falsari e traditori, che non hanno più nulla di vero e di santo da offrire, ma si barcamenano tra confusione, eresia e qualche pizzico di verità per confondere le coscienze. [2]

E come soluzione cosa propongono alcuni Vescovi? La riduzione delle Sante Messe nella speranza che almeno quelle che restano siano un po’ più frequentate, a tal punto che molti sacerdoti preferiscono celebrare solo una Santa Messa festiva, privilegiando nei giorni feriali altre attività. Massima stoltezza! È ciò che vuole la Massoneria la quale, dopo aver demolito tutti i baluardi della nostra fede: catechesi, morale, famiglia naturale, sacralità della vita, sacerdozio, ecc. adesso sta puntando i suoi cannoni contro l’ultimo baluardo che ancora regge: la Messa cattolica, nella consapevolezza che, meno Messe ci sono, più siamo esposti agli attacchi del nemico perchè meno grazie piovono dal Cielo, meno aiuti ci offre il Signore per le nostre necessità spirituali e materiali, finchè non saremo costretti ad arrenderci al loro piano diabolico che è quello di sottomettere l’umanità al Nuovo Ordine Mondiale, cioè a Satana. E sotto il dominio di Satana sono dolori acuti, qui sulla terra e, ancor peggio, nell’aldilà, perché non esiste una morale neutra, laica, che accontenta tutti in una pacifica fratellanza universale, come costoro vanno sbandierando: o si è con Gesù Cristo cioè con la Verità che è felicità, o si è con Satana, cioè con la menzogna che è disperazione.

C’è ancora tempo per reagire e per andare contro corrente con forza, in questo luminoso “Anno della Fede” voluto dal nostro amatissimo Santo Padre Benedetto XVI. Cristo ci aspetta sempre!

Le scoperte cosmologiche: il big bang

Affascinante oltre ogni immaginazione è la storia dell’universo che la scienza ci propone oggi perché l’assurdo è che proprio dalla scienza che voleva negare l’esistenza della creazione è stata invece fatta una scoperta a dir poco sensazionale che, guarda caso la coincidenza, si ravvicina in modo incredibile al concetto cristiano di creazione.

Questa scoperta, accettata da tutti per la sua evidenza, è stata denominata “big-bang”, dal fisico ateo Sir Fred Hoyle, che l’aveva così definita quasi con disprezzo perché la considerava troppo cristiana, in quanto presuppone un mondo originatosi dal nulla, quasi a coincidere con quella frase della Genesi “Fiat lux” pronunciata da Dio all’inizio della creazione, un mondo in cui moto, spazio e tempo hanno iniziato ad esistere in un momento ben preciso e potrebbero un giorno scomparire, fenomeni relativi e non assoluti, regolati da leggi fisiche ben mirate e non casuali, poste in essere da un Creatore, inteso come ‘Legislatore supremo’ o ‘divino Artefice’, conclusioni alle quali erano già pervenuti secoli addietro scienziati del livello di Copernico (1500), Keplero, e il grande Galilei (1600) e che oggi la scienza ha ulteriormente convalidato con i sofisticati strumenti di cui è in possesso.

I fisici dei nostri tempi, infatti, hanno potuto ricostruire con altissima precisione questi complicatissimi processi, soprattutto grazie alle scoperte ‘dell’estremamente piccolo’, fino all’interno delle componenti più infinitesime dell’atomo, a tal punto che uno dei più illustri docenti di astronomia e di storia della scienza della celebre università di Harvard, il prof. Owen Gingerich, considera la scoperta del cosiddetto “big-bang” uno dei tanti motivi scientifici per intravedere, dietro l’universo, un progetto divino. [3]

Per dirla qui in breve, nella speranza di suscitare abbastanza curiosità nei lettori da invogliarli ad approfondire meglio il tema attraverso i libri citati, si può dire che al momento del ‘big bang’ o grande esplosione iniziale, l’universo poteva avere la dimensione di una capocchia di spillo o anche meno, come una sfera incredibilmente compressa di materia e di energia a temperature elevatissime (mille miliardi di gradi circa) che si espandeva a una velocità di gran lunga superiore a quella della luce. Un minuto dopo il big bang, la temperatura dell’universo in espansione era scesa a circa 10 miliardi di gradi, tre minuti dopo a circa un miliardo di gradi che è la temperatura presente oggi all’interno delle stelle più calde. A tale temperatura le particelle che componevano la materia primigenia presero ad interagire fra loro e a trasformarsi negli elementi di cui è composta oggi la materia: idrogeno (77%) elio (23%) e da minute quantità di altri elementi. Ben diversa invece è la composizione di questi elementi sul nostro pianeta Terra, l’unico sul quale è possibile la vita, con buona pace dei sostenitori dell’esistenza dei marziani ai quali crederemo solo dopo averli visti e toccati con mano.  [4]

Da queste premesse molti scienziati affermano che il nostro sole, dopo aver trasformato in elio tutto l’idrogeno del suo nucleo, si raffredderà e si dilaterà enormemente, inglobando tutti i pianeti ad esso più vicini, compresa la terra, per poi subire un processo inverso, dalla dilatazione alla contrazione fino a diventare una ‘nana bianca’. Sarà allora la fine del mondo? Sarà molto prima? Lo stesso Cristo non ce l’ha voluto dire nel Vangelo, ma una cosa è certa: la fine del mondo per ciascuno di noi avverrà nel momento in cui chiuderemo gli occhi a questa terra, per aprirli per sempre alla luce della Verità e dell’Amore che non avranno tramonto, per chi è stato fedele, o alla luce della punizione eterna per chi ha voluto scegliere il rifiuto di Dio per privilegiare le tenebre.

Probabilmente per alcuni da fastidio l’idea di un Dio giudice del nostro operato, perché si vorrebbe fare e disfare a piacere quel che si vuole senza il pensiero di Qualcuno che ci sovrasta, che vede tutto e che potrebbe anche punire le nostre cattiverie. Si può anche capire questa sorta di paura, che non è certo il ‘Santo Timor di Dio’, ma in tale caso, l’unico rimedio non è certo quello di rinnegare Dio, ma semmai fidarsi di Lui, del Dio cristiano che non ha solo i connotati di un Dio supremo, Creatore e giudice, perché è soprattutto Amore, e ama infinitamente le sue creature, le conosce una per una, e perdona le loro debolezze per chi si rifugia nella sua infinita misericordia.

La creazione dell’uomo.

La Bibbia narra, nel primo libro della Genesi, cioè origine, come Dio creò il mondo in sei giorni, nell’ultimo dei quali fu creata la coppia umana, Adamo ed Eva. Inoltre la Sacra Scrittura ci descrive la genealogia dalla comparsa della prima coppia ad oggi, nome per nome, attraverso patriarchi, re, profeti, uomini comuni e peccatori e perciò si calcola che in tutto siano passati non più di 10.000 anni. Questo sembra in contrasto eclatante con quello che ha sempre affermato la scienza, che fa risalire l’origine dell’universo a miliardi di anni fa, e la comparsa dell’uomo a milioni di anni fa.

A parte che quei ‘sei giorni’ della Genesi simboleggiano il succedersi dei lunghissimi tempi dell’evoluzione cosmica, come riferirono anche gli studi del grande astronomo Giuseppe Armellini 1887.1958, a parte questo, sta di fatto che studi scientifici sempre più sofisticati stanno valutando anche l’ipotesi (soprattutto attraverso lo studio dei fossili) che l’inizio dell’universo e soprattutto della Terra possa risalire a una data assai più recente, cioè che si tratti non di miliardi ma di milioni di anni fa, o forse anche meno.

Come per la comparsa del big bang, anche la data dell’inizio della vita umana sulla terra è oggi più che mai fonte di dibattiti accesi fra le stesse correnti creazioniste che si chiedono quando e in quale modo sia intervenuta l’azione di Dio nel mondo, se attraverso un intervento solo iniziale, o continuo o virtuale ecc. A tale riguardo non possono essere ignorate le ricerche di scienziati eccezionali del calibro di Mons. Pier Carlo Landucci, ad esempio, attualmente servo di Dio in concetto di santità, alle cui preziose opere rimando l’approfondimento di queste tematiche. [5]

Ma è altrettanto doveroso segnalare le scoperte sensazionali a cui sono pervenuti altri scienziati, per lo più americani e giapponesi, non credenti, di cui nessuno parla ufficialmente,a tal punto che sembra di essere tornati ai tempi delle catacombe dove bisogna vivere e diffondere la verità di nascosto, quasi in una catena di ‘passa-parola’, ‘pissi-pissi, bao-bao’, pena l’esclusione dalla lobby dei sapienti, per essere confinati in quella degli ignoranti marchiati a vita, che non avranno mai un futuro professionale. Questa è la realtà nuda e cruda, purtroppo!

Il fisico prof. Cavalleri, di cui ho parlato, si è preso la briga di raccogliere queste notizie, vagliarle e diffonderle citandone le fonti che noi qui brevemente segnaliamo. In un articolo sulla rivista ‘Le Scienze’ (n. 286 del giugno 92) i professori A.C. Wilson e R. L. Cann dell’università di Berkeley, hanno annunciato che: “I confronti genetici nello studio del DNA mitocondriale trasmesso solo per via materna, depongo a favore del fatto che tutta l’umanità attuale possa essere ricondotta per ascendenza materna a una sola donna che visse probabilmente in Africa circa 200.000 anni fa. (e non milioni di anni fa come si vorrebbe far risalire la comparsa del primo uomo). L’umanità moderna apparve in un unico luogo da una sola donna e da lì si propagò.”

Sensazionale è pure la scoperta che l’homo sapiens ha abitato per decine di migliaia di anni accanto a tipi umanoidi più arcaici (le cosiddette scimmie umanoidi, cioè i cosiddetti ominidi, che non erano uomini) senza però mescolarsi con essi, e vi sono testimonianze fossili che lo convalidano quali le scoperte effettuate nelle grotte di Qafzeh in Israele che indicano appunto che uomini di Neanderthal e uomini di tipo moderno vissero a fianco per 40.000 anni senza interscambio genetico.

Alla stessa conclusione è arrivato il paleontologo D.M. Waddle, il quale sulla rivista Natura (vol. 368 del 31.3.94) afferma che, studiando i più antichi crani di homo sapiens, il luogo di comparsa della nostra specie umana potrebbe essere o l’Africa Orientale, o il Medio Oriente, e non oltre 150.000 anni fa.

Studi e ricerche effettuate da parte di equipe di francesi del ‘Collège de France’ sul cromosoma Y che determinano l’appartenenza al sesso maschile, hanno stabilito che anche le linee di discendenza paterne riconducono a un singolo progenitore che potrebbe risalire a circa 250.000 anni fa (quindi, dentro gli errori sperimentali concessi, assai vicino alla data della prima donna).

Pure fantasie? Errori madornali? Probabilità da approfondire o da scartare come assurdità?

E’ logico che nel campo scientifico tutto è in continua ricerca ed evoluzione, ma allora perché non riportare semmai gli stessi dubbi anche alla intoccabile e quasi intramontabile teoria darwiniana che puzza ormai di logoro e di stantio? Di statico e di arcaico? Di menzogna più che di verità?

Questo confermerebbe quanto afferma la Bibbia sul peccato originale (senza del quale tutta la storia degli uomini risulterebbe incomprensibile) che non si riferisce dunque a una sorta di indefinita popolazione primigenia formata da una moltitudine di individui, come invitavano a pensare le scoperte iniziali della paleontologia e come ha proposto Karl Rahnner, ma proprio a un solo uomo e a una sola donna, come afferma la Bibbia.

Saranno poi i veri teologi a stabilire in che cosa realmente sia consistito il peccato originale, anche se la Bibbia dice chiaramente che si è tratto di superbia ‘diventerete come Dio’, che è l’eterno, intramontabile peccato di tutti i tempi e di tutti gli uomini che non accettano il dolcissimo ruolo di creature, di figli di un Padre amorosissimo e tenerissimo che ha preparato per loro le bellezze di questo nostro meraviglioso mondo che è la Terra in vista di ‘Cieli nuovi e terra nuova’ che non avranno mai fine, ma si ostinano a razzolare come galline che si beccano nel pollaio.

LE SCOPERTE BIOLOGICHE:  LA CLONAZIONE.

Quale scienziato nella pretesa di negare con tanta sicurezza l’intervento di Dio nella creazione , è stato finora in grado di creare o inventare nuove galassie o per lo meno qualche piccolo pianeta? Nessuno! Perché gli scienziati non inventano nulla ma scoprono leggi fisiche o biologiche o chimiche o altro che si trovano già in natura dall’origine dell’universo, grazie all’utilizzo di strumenti sempre più sofisticati e perfetti che permettono di conoscere cose che crediamo nuove, ma che in realtà sono antiche come il mondo. Ad esempio la scoperta del DNA ad opera del premio nobel Francis Crick non è una sua invenzione o creazione, ma è una realtà esistente in natura sin dall’origine della vita e di cui si è venuti a conoscenza solo da pochi anni grazie a nuovi strumenti inventati dagli scienziati, ai quali va comunque il merito di essere riusciti a scandagliare i misteri della natura per conoscerla meglio.

D’accordo, ma come la mettiamo con l’ingegneria genetica e la clonazione? Non è giunto il momento di ammettere che finalmente gli scienziati sono riusciti, alla pari di Dio se non meglio!! a costruire l’uomo in laboratorio, addirittura prolungandone la vita in una sorta di eternità sulla terra, e scegliendo perfino i connotati su ordinazione?

La clonazione, presentata con tono trionfalistico come se si trattasse della facoltà di creare l’uomo in laboratorio, “ex nihilo”, al di là del fatto che per ottenere ciò devono comunque partire almeno da un ovulo e un nucleo e non certo dal nulla; al di là del fatto che non si conoscono le reazioni psichiche che potrebbe avere un simile robot umano per lui e per l’umanità intera; al di là del pericolo rappresentato dal delirio di onnipotenza alla Frankstein che si propone di controllare la vita umana in un chimerico e deleterio desiderio di immortalità terrena, ecc. resta sempre il fatto che… a Dio non la si fa!

Infatti, il biochimico Erwin Chargaff, pioniere nei suoi studi sul DNA, afferma che, con la clonazione, qualora si ottenessero le stesse, identiche caratteristiche fisico-biologiche del donatore, il cervello risulta essere comunque unico e irrepetibile, e inoltre diverse sarebbero gli ambienti e situazioni in cui si verrebbe a trovare il nuovo ‘malcapitato clonato’, ergo… non abbiamo affatto la stessa persona che vive una specie di nuova vita ripetibile nel tempo a volontà, ma un nuovo essere, non si sa fino a che punto umano, o para-umano, comunque un povero essere che agisce con la sua libertà e il suo cervello, con gravi rischi comportamentali, però, perché l’uomo non è solo il risultato di un composto organico ma assai di più, e far scaturire la vita dal gelo del laboratorio piuttosto che dal calore dell’amore, può avere conseguenze disastrose per tutti. I media esaltano i successi degli esperimenti ma tacciono sulle loro gravissime conseguenze, come per la pecora Dolly invecchiata precocemente nel giro di pochi mesi, sempre malata e deceduta in pochissimi anni.

E conclude nel suo libro “Il mistero impenetrabile”: “La vita e la morte bisogna lasciarle stare perché non dipendono dalla modalità di riproduzione che si vuole dare agli esseri umani. Gli orribili esperimenti di ingegneria genetica e di inseminazione artificiale mostrano che ci muoviamo su un piano spaventosamente inclinato. Perciò la scienza dovrebbe culminare in una contemplazione estatica della natura, e non in una lotta violenta contro di essa”.  [6]

QUALI SCIENZIATI?  Mentre per il lungo elenco di illustri scienziati credenti invitiamo alla lettura del libro del prof. Agnoli già citato, una parola speciale la vogliamo spendere per due personaggi eccezionali e ancora poco conosciuti: FERNARD CROMBETTE e NICOLO’ STENONE.

Fernard Crombette, nato in Francia nel 1880 e morto in Belgio, novantenne, nel 1970. Un vero genio che ha composto una trentina di opere nel campo della decifrazione della lingua egizia, ittita, etrusca, cretese, copta, atzeca, opere di fisica, astronomia, geografia della terra antica e moderna, geologia, studi sulla ricostruzione della storia biblica da Adamo in giù attraverso lo studio dell’onomastica e la decrittazione dei geroglifici egiziani e del copto. L’ultima sua opera è stata una lettura approfondita della Genesi traducendo il testo direttamente dall’ebraico antico. Profondamente credente, ha dato vita ad una Associazione internazionale di studiosi e scienziati cristiani (CESHE) che si propone di riconciliare scienza e fede, proprio attraverso l’approfondimento di entrambe le discipline attraverso le lingue antiche.  [7]

Niccolò Stenone. Nel panorama scientifico del seicento, Niels Steensen, Niccolò Stenone, (1638-1686) è una delle personalità più affascinanti e geniali di quel secolo, peraltro già nobilitato da personaggi di alto livello quali Keplero, Newton, Galilei, Cartesio ecc. A renderlo tale non sono solamente le sue scoperte fondamentali in anatomia (il dotto salivare, detto di Stenone, ghiandole, muscoli, cervello) e in altre discipline (è considerato il fondatore delle geologia e per molti aspetti, della paleontologia e della cristallografia), ma soprattutto le sue qualità di uomo, di scienziato e di credente.  [8]

Stenone nasce in Danimarca da genitori orafi, convinti luterani. La sua passione è l’anatomia, perciò si iscrive all’università di Copenaghen. È un instancabile viaggiatore, uomo versatile, minuzioso ricercatore, amico di principi e studiosi altrettanto tenaci, quali Jan Swammerdan, fondatore dell’entomologia che intende scrivere un libro sulle api per dimostrare la saggezza del Creatore. Così anche Stenone, assieme alla passione per la natura, coltiva un profondo senso religioso come fervente luterano. I suoi studi lo portano poi in Italia, precisamente a Livorno dove è attratto da amici di grande cultura e ferventi cattolici, Viviani, Redi ecc. che gli fanno cadere i pregiudizi negativi nei confronti della chiesa cattolica. Qui continua i suoi studi spaziando tra discipline scientifiche e teologiche e compone un’opera di carattere scientifico ‘De solido’ nel quale affronta anche questioni bibliche e di fede.

Un momento particolare gli tocca profondamente il cuore: la processione del Corpus Domini a Livorno, da dove nasce la sua conversione al cattolicesimo aiutata dalla figura ascetica del gesuita Paolo Segneri e da alcune nobildonne toscane profondamente credenti. Trasferitosi poi a Firenze e accolto con grande ammirazione soprattutto dai Medici, continua i suoi studi, soprattutto teologici in vista dell’Ordinazione sacerdotale che avverrà a Firenze nel 1675. Inviato poi dal Papa Innocenzo XI presso i suoi concittadini, trova molte ostilità e umiliazioni perché lo accusano di ‘resa al papismo’, a tal punto che gli viene precluso l’insegnamento all’università. Qui non solo risponde con garbo e fermezza parlando del Papa, dell’Eucaristia e della Chiesa, ma si batte anche per ridurre la pressione fiscale del suo popolo e per risollevare le famiglie povere con opportune iniziative.

Chiamato a Roma per la consacrazione episcopale, vi si reca a piedi alla stregua di un pellegrino penitente, e accetta poi di buon grado il compito di trasferirsi nella Germania del Nord per occuparsi delle piccole comunità cattoliche sparse tra i protestanti dove percorre a piedi e con molta fatica città e villaggi per incoraggiare alla fedeltà i pochi cattolici rimasti. Gli ultimi anni sono molto duri, vive in condizioni estreme, vende perfino l’anello vescovile e la croce d’argento per aiutare i poveri. Dorme poco, digiuna, lavora, prega e sogna di tornare alla sua amata Firenze, ‘exul immeritus’ come Dante.

Muore a Schwerin a soli 48 anni, e gli stessi luterani accolgono infine con devozione la sua salma nella loro chiesa, pieni di ammirazione. Cosimo III dei Medici, suo amico e protettore, farà giungere la sua salma a Firenze dove è sepolto nella basilica di San Lorenzo e dove la gente, tra cui molti studenti, lo onora e venera come santo chiedendogli grazie con centinaia di bigliettini posti sul suo sarcofago. Giovanni Paolo II lo ha beatificato nel 1988 e la sua festa liturgica cade il 5 dicembre.

Terminiamo con una sua significativa preghiera:

O Signore, tu,
senza il cui beneplacito
né un capello del capo,
né una foglia dell’albero,
né un Uccello del cielo,  cade.
Né il pensiero allo spirito,
né la parola alla lingua,
né l’azione alla mano,  riesce,
Tu mi hai guidato
per sentieri a me sconosciuti.
Guidami ancora in futuro
sul sentiero della grazia,
sia che io veda, 
sia che io non veda. Amen

(Nicolò Stenone)

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