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FIGLIO D'UOMO E FIGLIO DI DIO

Ultimo Aggiornamento: 14/01/2022 10:58
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28/06/2018 20:35
 
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Matteo 10,37 "Chi ama padre, o madre, più di me, non è degno di me; e chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me..."

Solo chi è con Dio una sola essenza, poteva così, al pari di Dio, mettersi al disopra anche dei più stretti familiari, ed esigere un amore esclusivo e superiore a quello dei figli per i genitori, o dei genitori per i propri figli.
Se Cristo ci chiede di non anteporre all'amore per Lui, l'amore per loro e che dobbiamo metterLo al primo posto negli affetti, persino al di sopra degli affetti verso i consanguinei, dobbiamo concludere che Egli è Dio.

Al riguardo scrive P.Raniero Cantalamessa:
un uomo che parla così, che chiede di essere amato più del padre, della moglie, dei figli, o è un pazzo esaltato, o è Dio. Basta rifletterci e si capisce che non c’è via di mezzo. Chi, se non Dio solo, può pretendere tanto? Ora la storia, da sola, non è in grado di dimostrare che Gesù Cristo è Dio (questo lo può fare solo la fede), ma una cosa può dimostrare, e in venti secoli ha dimostrato: che non era un pazzo e un esaltato, visto che ha cambiato il mondo e la storia. A noi di tirare la conclusione.
Gli studiosi continuano ad affannarsi per cercare, nei vangeli, prove della divinità di Cristo, cioè del fatto che egli era consapevole di essere il Figlio di Dio. Ebbene, eccone una per me tra le più convincenti, proprio perché indiretta, non messa lì per provare qualcosa. Nelle richieste che fa all’uomo, Gesù si comporta come solo Dio può comportarsi. Gli chiede esattamente ciò che chiedeva Dio agli ebrei nell’Antico Testamento: di amarlo sopra tutte le cose
(cfr. Deuteronomio 6, 5).

da http://www.cantalamessa.org/?p=3127
[Modificato da Credente 28/06/2018 22:34]
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28/06/2018 20:57
 
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L'IDENTITA' DI GESU' FU ESAMINATA ATTENTAMENTE DAL SINEDRIO

Premessa:

 

Secondo il monoteismo male inteso degli ebrei, appariva inconciliabile con la loro fede, inaccettabile e meritevole di morte il solo affermare di essere vero Figlio di Dio.

 

Infatti Gv.19,7 riferisce che i Giudei dissero: “noi abbiamo una Legge e secondo questa legge egli deve morire perché si è fatto figlio di Dio.”

 

Quindi il punto che occorre rimarcare è che i giudei attribuivano a Gesù la pretesa di essere figlio di Dio in senso reale, vero e non simbolico, proprio come riferisce Gv. 5,18 e 10,33: " I giudei cercavano di ucciderlo perchè chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio".

 

 I Giudei dichiarano che la legge  li obbligava a "lapidare chiunque avrebbe bestemmiato il nome del Signore" Levitico 24:16, e che Gesù aveva trasgredito una tal legge, dicendosi "Figlio di Dio". I Romani lasciavano ai popoli vinti le loro leggi e le loro istituzioni nazionali, in quanto almeno non eran contrarie alla loro autorità. I Giudei si fondano ora su questo, e tengono Pilato obbligato, qual governatore, ad assicurare l'osservanza delle loro leggi, mettendo a morte il trasgressore che si faceva uguale a Dio. I Giudei consideravano evidentemente come blasfemo, per qualunque uomo, il dirsi uguale a Dio. 



Consideriamo ora il passaggio decisivo nella disamina sulla reale identità di Gesù, e cioè quando Gesù venne portato davanti al Sinedrio per essere giudicato inequivocabilmente sulla sua persona e in particolare su CHI Egli affermava di essere.

Matteo 26,63 riferisce che "il sommo sacerdote gli domandò in maniera perentoria ed inequivocabile:
«Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio».

Caifa conosceva perfettamente il salmo 82,6 che dice: “io ho detto, voi siete dei, siete tutti figli dell’Altissimo” per cui non poteva condannare Gesù sulla base di una generica figliolanza divina che la Scrittura stessa attribuiva a tutti indistintamente.

Se Caifa avesse ritenuto che il termine Figlio di Dio, che l’accusato non rifiutava di farsi dare, avesse per l'Imputato un valore generico e che non pretendesse di essere della stessa natura del Padre, non avrebbe fatto crocifiggere Gesù.

Neanche avrebbe potuto condannarlo soltanto sulla pretesa da parte di Gesù di essere il Cristo, cioè il Messia che pure rivendicava di essere, perchè molti altri avevano avuto questa stessa pretesa e nessuno di essi fu mai condannato a morte.

Per questo Mt 26,63 riferisce due distinte domande da parte dei sinedristi:

la prima voleva accertare se Gesù ritenesse di essere davvero il Cristo, ed egli lo confermò dicendo: “d’ora in avanti il Figlio dell’uomo sarà seduto alla destra della potenza di Dio”, attribuendo a se stesso il testo messianico di Daniele 7,13 che i rabbini attribuivano all’atteso liberatore e sgominatore di tutti i nemici d’Israele per incarico di Dio. Questa risposta poteva lasciare al massimo indignati gli accusatori i quali potevano ritenere che Gesù fosse un millantatore, ma non un bestemmiatore reo di morte.

Inoltre la figura dell’atteso Messia non era associata all’idea che egli fosse vero Figlio di Dio. Questa era la voce popolare che circolava su Gesù e i sinedristi la sfruttarono vantaggiosamente per trovare il capo d’accusa.

Fu infatti allora che, come risulta da Lc 22,70, il sinedrio rivolse a Gesù la più specifica domanda: “sei tu dunque il Figlio di Dio?”

Ed egli confermò rispondendo: “IO SONO” (Mc.14,62).

Tale risposta non lasciava dubbi sulla identità che Gesù affermava di avere. 
Egli confermava di essere  realmente il vero Figlio di Dio, la cui natura era insita nella stessa risposta IO SONO, senza aggiungere alcun altra precisazione .
In tal modo Gesù appariva come usurpatore della natura divina, ed Egli non fece nulla per rettificare questa idea dei suoi giudici, a conferma che era proprio quella la idea giusta che essi dovevano avere nei suoi confronti, che voleva rendere TESTIMONIANZA ALLA VERITA' DI SE STESSO, fino alla estrema conseguenza.
Se egli fosse stato solo una creatura di qualsiasi rango e posizione, avrebbe dovuto senz'altro, in questa decisiva occasione, precisare che quel titolo era da considerare in maniera diversa da come appariva ai giudici, in modo che
1) non usurpasse la natura divina con tutte le sue prerogative, 
2) che venisse attestata la verità su se stesso.
3) che evitasse la propria passione e morte. 
4) che evitasse un tragico equivoco che avrebbe implicato la responsabilità morale dei sinidristi. 

Ma Gesù non rettificò quella opinione dei sinedristi per il semplice fatto che evidentemente Gesù la riteneva corretta anche se portava come conseguenza la sua condanna.

Ecco allora perché a quel punto, Caifa si stracciò le vesti e lo accusò di essere reo di bestemmia: perché riteneva appunto che Gesù osasse usurpare l’assoluta unicità di Dio, dichiarandosi suo Figlio e quindi della sua stessa natura divina, mettendo quindi in discussione il comandamento ricevuto da Mosè: “ NON AVRAI ALTRI DEI DI FRONTE A ME” e “IL SIGNORE E’ UNO.”

Non fu immediatamente dopo che nostro Signore ebbe pronunziato le parole dei vers. 62, implicando ch'egli era il Messia che Caiafa procedette a stracciarsi le vesti. Riferendoci di bel nuovo a Luca 22:70, è evidente che il Sinedrio aveva inteso, per la risposta di nostro Signore, ch'egli asseriva competergli qualche cosa di più alto ancora di ciò ch'essi intendevano per la dignità di Messia, e quindi la seconda domanda che il presidente gli fece, sotto l'obbligazione solenne d'un giuramento, ed alla quale sì associò, come ad una voce, tutta quanta l'assemblea. "E tutti dissero: Sei tu adunque il Figliuol di Dio?" Fu in seguito della risposta di Gesù a questa seconda domanda che Caiafa stracciò le sue vesti. È della più alta importanza l'aver presente che da quegli scritti giudaici che ci rimangono dei più prossimamente contemporanei al soggiorno di nostro Signore sulla terra (come sarebbero gli Apocrifi, Filone, Onkelos, gli altri Targumisti e Tritone, contemporaneo di Giustino Martire), non può rimanere alcun dubbio che i dotti Giudei, se non la massa del popolo, riguardavano il Logos,la Parola del Signore come una persona divina; e che facevano una evidentissima distinzione tra la Parola e l'aspettato Messia,considerando quest'ultimo come un semplice uomo e non una persona divina. In prova di questo basteranno le seguenti citazioni, dopo aver premesso che i Targumisti solitamente distinguono tra i diversi sensi in cui s'ha da intendere la parola Logos, usando per essa Memraquando significa la Parola Divina, e Pitgama quando vuol dire un discorso o una parola nel senso in cui gli uomini l'usano comunemente. E come prova che i Giudei riconoscevano "la parola del Signore" per una persona Divina, leggiamo negli Apocrifi, intorno alla strage dei primogeniti d'Egitto; "La tua onnipotente parola s'avventò dal cielo, da' troni reali, a guisa di rigido guerriero, in mezzo del paese dello sterminio, portando il suo non finto comandamento a guisa di spada acuta e, stando in piè, riempiè ogni casa di morte" Sapienza 18:16,16. C'è qui spiccata la distinzione tra il Logos e il comandamento del Signore, in conferma di che, sappiamo dai Targum che laparola personale ora considerata dai Giudei come l'agente della liberazione dall'Egitto e della distruzione dei primogeniti. Onkelos fa la stessa distinzione nella sua traduzione del Deuteronomio 5:5: "Stavo io in quel tempo fra la PAROLA (Memra) del Signore e voi, e riportava a voi la parola (pitgama) del Signore". Riguardo poi alla distinzione che i Giudei facevano tra il LOGOS e il Messia Onkelos traduce Deuteronomio 18:15 (che i Giudei ammettono doversi riferire al Messia, e che Pietro applica direttamente a Gesù Atti 3:22): "Se alcuno non ascolterà le mie parole pitgama, che quel profeta dirà a mio nome, la mia PAROLA (Memra), gliene ridomanderà conto". E il Targum di Gerusalemme, descrivendo la consumazione finale delle parole dell'Esodo 12:42, dice: "Mosè uscirà fuori del deserto e il re Messia fuori di Roma, l'uno andrà avanti in una nuvola, e la PAROLA del Signore sarà luce tra essi due". Finalmente in prova che i Giudei credevano il Messia essere un mero uomo e non un ente divino, Tritone, in risposta all'argomento di Giustino Martire diretto a provare che Gesù era non solo il Messia ma ancora il vero Figliuolo di Dio, replica: "Che questo Cristo esistesse al pari di Dio prima del mondo, e che poi si sottomettesse a divenire e nascere uomo, e che egli non fosse semplicemente un uomo generato dall'uomo, mi sembra non solo incredibile ma assurdo. A me pare molto più credibile la dottrina di coloro che dicono che egli (Gesù) nascesse uomo e per elezione fosse unto e fatto Cristo, che non ciò che voi affermate. Imperocché noi tutti ancora crediamo che il Cristo deve essere un uomo nato da umani genitori". Questo soggetto è trattato assai completamente da Treffry nella sua, dottissima opera: "Ricerche intorno alla dottrinadell'eterna figliazione di nostro Signore Gesù Cristo", dove si trovano prove ancora più ampie. Nelle narrazioni degli Evangelisti vi è molto a conferma dell'opinione che al tempo di nostro Signore sia il popolo giudaico che i suoi rettori si aspettavano che il loro Messia sarebbe semplicemente un uomo e non una persona divina. Quando Gesù richiese i Farisei intorno al Cristo, dicendo: "Di chi è egli figliuolo?"Matteo 22:42-45, essi risposero senza esitare: "Di Davide"; ma quando procedette a domandarli intorno alla sua più alta natura aggiungendo: "Come adunque Davide lo chiama egli in ispirito Signore?" essi non sapevano capacitarsi come i caratteri apparentemente contraddittori di figlio e di Signore di Davide, dovessero riscontrarsi nel medesimo individuo. Inoltre, sebbene i rettori rifiutassero di riconoscere Gesù per Messia a ragione della sua povertà ed umile condizione, il popolo era generalmente disposto ad ammettere il suo diritto a tale dignità, e nessuna accusa di bestemmia fu mossa giammai sia contro di lui che contro qualsiasi altro a tale riguardo. Il popolo avrebbe, voluto impadronirsene e farlo suo re dopo il miracolo operato presso Betsaida, dacché essi dicevano (in riferenza aDeuteronomio 18:18): "Certo costui è il profeta che deve venire al mondo" Giovanni 6:14-15. Bartimeo la donna sirofenice, il popolo radunato in Gerusalemme all'ultima, pasqua celebrata da Gesù, tutti insomma lo salutarono col nome di "Figliuolo di Davide", pel quale notoriamente si designava il Messia. Gli stessi suoi nemici riconobbero l'influenza che egli avea sopra il popolo, ed eran atterriti all'idea che il riconoscimento del preteso suo diritto avrebbe menato ad una lotta coi Romani, la quale avrebbe distrutta la nazione Giovanni 11:47-48; 12:19; ma essi non pretendevano di trattare quella pretesa come una bestemmia. Il più che essi potessero fare onde comprimere la ognor crescente ammirazione del popolo per lui, era di scomunicare temporaneamente coloro che lo riconoscevano per Messia Giovanni 9:22. Ma notisi la differenza rimarchevole nel trattamento che Gesù ebbe dal popolo stesso che credeva in lui come Messia o lo ammirava, come profeta, ogni qual volta l'intese pretendere di essere "Il Figliuol di Dio" e quindi una divina persona, uguale a Dio. Essi presero tosto delle pietre per lapidarlo, supplizio dovuto al bestemmiatore, secondo la loro legge. Giovanni ricorda quattro differenti occasioni in cui questo, accadde (Vedi Note Giovanni 5:9Giovanni 5:17-18; Giovanni 8:30-31; Giovanni 8:56-59;Giovanni 10:24-31; Giovanni 10:33Giovanni 10:39). Citeremo solo il primo a mo' d'esempio. Avendo Gesù, all'accusa di violare il sabato, affermato la sua suprema autorità col dire: "Il mio padre opera infino ad ora ed io ancora opero", il suo uditorio intese perfettamente il significato delle sue parole e ne rimase offeso. "Perciò adunque i Giudei cercavano vieppiù d'ucciderlo perciocché non solo violava il sabato ma anco diceva Iddio esser suo padre, suo proprio padre, FACENDOSI UGUALE A Dio". Le suddette considerazioni riguardanti la distinzione fatta dal Giudei fra Messia e la "Parola di Dio" spiegano la ragione della seconda interrogazione fatta a nostro Signore dal sommo sacerdote sotto il vincolo del giuramento. Solo Luca ci dà la sua risposta: "Ed egli disse loro: Voi lo dite (cioè la vostra supposizione è vera); perciocché io lo sono". Vi è un forte contrasto fra la maniera in cui Gesù rispose alla prima interrogazione e la risposta apertissima e senza ombra di reticenza che diede a quest'altra, contrasto che non si spiega semplicemente col dire che ora Gesù era vincolato dal giuramento e prima non l'era. La prima interrogazione era affatto superflua, imperocché il Sinedrio aveva mezzi amplissimi di conoscere che egli pretendeva essere il Messia; ma siccome credevano che il Messia fosse per essere semplicemente un uomo, gli fecero questa seconda domanda alla quale Gesù soltanto poteva rispondere, e sebbene egli sapesse che così facendo poneva li suggello alla propria condanna, ei non esitò a dire pienamente la verità. L'ora era giunta quando, per la gloria di suo Padre, e per la fede e consolazione della sua Chiesa infino alla fine del tempo, era richiesto che egli dovesse pubblicamente dichiarare se stesso tanto Figliuolodi Dio, come figliuol dell'uomo. Questa, non il semplice riconoscimento fatto davanti al governatore che egli fosse un Re, era "la buona confessione testimoniata davanti a Ponzio Pilato" (sotto, durante il governo di), della quale Paolo parla in 1Timoteo 6:13.


Questo dunque è quanto i giudei pensavano esprimendo la condanna, ma quello che maggiormente ci interessa è la posizione e la reazione di Gesù di fronte alla loro opinione:

Gesù non negò l’interpretazione dei giudici sulla sua reale figliolanza divina.

Se il termine Figlio di Dio stava ad indicare una natura creata, cioè come quella di tutte le altre creature, diversa dalla natura divina del Padre, avrebbe dovuto rettificare il loro pensiero e precisare chi egli fosse veramente, per non mettere in discussione la divinità del Padre, per non usurpare la sua Assoluta Unicità e soprattutto per non privarlo della Sua Gloria assoluta così come era stata rivendicata ad esempio in Isaia 42,8, il che gli stava a cuore più di ogni altra cosa e di cui in pratica veniva accusato.

Ma Gesù non modificò il loro concetto a suo riguardo, come opportunamente fece davanti a Pilato quando gli mosse l’accusa di essersi fatto Re dei giudei: Gesù precisò in quel caso che “il suo regno non era di questo mondo” (Gv.18,36) e questo significava che non pretendeva di usurpare il regno di Cesare. Per questo Pilato, ritenendolo al massimo un vaneggiatore, un esaltato, voleva scagionarlo.

Sarebbe ben strano se Gesù si fosse preoccupato di salvaguardare la gloria di Cesare e non quella di Dio, mentre egli invece intendeva rendere testimonianza assoluta alla Verità. Davanti al Sinedrio, il supremo tribunale religioso ebraico, veniva perciò ufficialmente resa nota l’identità che Egli era il vero Figlio di Dio.
La wt equivocando e non comprendendo nulla di questo cruciale processo il cui scopo era proprio quello di stabilire CHI FOSSE GESU', continuano a pensare che Egli fosse "figlio" ma solo in senso metaforico, non nel significato reale del termine, per cui subì la condanna alla morte di croce.

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Gesù in mt 26,64 rispose a Caifa: «Tu l'hai detto; anzi vi dico che da ora in poi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza, e venire sulle nuvole del cielo». ..: Questa risposta di Gesù evoca due specifici brani del Vecchio Testamento e precisamente :
Salmo 109
1 Di Davide. Salmo.
Oracolo del Signore al mio Signore:
«Siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici
a sgabello dei tuoi piedi».
2 Lo scettro del tuo potere
stende il Signore da Sion:
«Domina in mezzo ai tuoi nemici.
3 A te il principato
nel giorno della tua potenza
tra santi splendori;
dal seno dell'aurora,
come rugiada, IO TI HO GENERATO». 

e poi Daniele 7,13-14:
13 Guardando ancora nelle visioni notturne,
ecco apparire, sulle nubi del cielo,
uno, simile ad un figlio di uomo;
giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui,
14 che gli diede potere, gloria e regno;
tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano;
il suo potere è un potere eterno,
che non tramonta mai, e il suo regno è tale
che non sarà mai distrutto." -------------------------------------------

Tali brani avrebbero dovuto ricordare ai sinedristi che Dio ha un vero Figlio che si sarebbe seduto alla Sua destra e che sarebbe venuto dal cielo per regnare con Lui. Su tali brani a cui Gesù fece opportuno riferimento, avrebbero dovuto riflettere i sinedristi per non commettere il fatale errore e il grave peccato della morte di quell'Imputato.
Ma anzichè riflettere su Chi avevano davanti, scatenarono la sdegnata condanna per bestemmia contro Dio, non riconoscendo a Gesù tanto umiliato e inerme, una tale divina grandezza.

Per una ricostruzione più completa del processo a Gesù vedasi al seguente link:
https://credenti.freeforumzone.com/d/11642690/RICOSTRUZIONE-DEL-PROCESSO-CONTRO-GESU-/discussione.aspx

[Modificato da Credente 19/07/2019 23:52]
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18/08/2018 15:50
 
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ISAIA VIDE LA GLORIA DI GEOVA O DI GESÚ?
(Isaia 6:1-10)

"Nell’anno della morte del re Uzzia vidi L'ETERNO ( YHWH ) seduto sopra un trono alto, molto elevato, e i lembi del suo mantello riempivano il tempio. 2 Sopra di lui stavano dei serafini, ognuno dei quali aveva sei ali; con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. 3 L’uno gridava all’altro e diceva: «Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria!» 4 Le porte furono scosse fin dalle loro fondamenta dalla voce di loro che gridavano, e la casa fu piena di fumo.
5 Allora io dissi: «Guai a me, sono perduto! Perché io sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure; e I MIEI OCCHI HANNO VISTO IL RE,YHWH DEGLI ESERCITI!»

Qui in questo passo leggiamo che Isaia dice di VEDERE LA GLORIA DI L'ETERNO DIO YHWH.
Se leggete questo passo dalla Traduzione del Nuovo Mondo che usano i Testimoni di Geova, leggerete che ISAIA VIDE GEOVA:
'' Allora io dissi: «Guai a me, sono perduto! I MIEI OCCHI HANNO VISTO IL RE, GEOVA DEGLI ESERCITI!»'' (Isa 6:5 Traduzione del Nuovo Mondo TNM)

Nel vangelo di Giovanni ci viene detto invece che in realtá il profeta Isaia non vide Geova ma vide la Gloria di Cristo.

(Giovanni 12:36-41)

"Sebbene (Gesú) avesse fatto tanti segni in loro presenza, NON CREDEVANO IN LUI, 38 affinché si adempisse la parola detta dal profeta Isaia:
«Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione? A chi è stato rivelato il braccio del Signore?»
39 Perciò non potevano credere, per la ragione detta ancora da Isaia:
40 «Egli ha accecato i loro occhi e ha indurito i loro cuori, affinché non vedano con gli occhi, non comprendano con il cuore, non si convertano e io non li guarisca».
41 Queste cose disse Isaia, perché VIDE LA GLORIA DI LUI (di Gesú) E DI LUI PARLÓ".

Come si legge dal vangelo di Giovanni , il profeta Isaia dunque vide la gloria di Gesú Cristo
Come mai leggiamo che Isaia non vide la gloria di Geova ma vide invece la gloria di Gesú? Questo perché il YHWH dell'antico Testamento non é il Padre ma é Gesú Cristo.
Infatti Gesú é Dio manifestato in carne, Gesú '' é l'immagine di Dio'' (Col 1:15).
Continuando a leggere il racconto del vangelo di Giovanni, Gesú disse:

'' «Chi crede in me, crede non in me, ma in colui che mi ha mandato; 45 e chi vede me, vede colui che mi ha mandato''. (Giov 12:44-45)

La TNM che usano i Testimoni di Geova é manipolata. Hanno aggiunto nel testo delle parole messe tra parentesi, rendendo il testo di Giovanni cosí:
''«Chi crede in me, crede non (SOLO) in me, ma (ANCHE) in colui che mi ha mandato; 45 e chi vede me, vede (ANCHE) colui che mi ha mandato.'' (Giov 12:44, 45 TNM)
Quí dunque vediamo il tentativo del Corpo Direttivo di DIVIDERE il Padre dal Figlio, quando invece sono "una cosa sola" (Giov 10:30 C.E.I.).
Il contesto del vangelo di Giovanni capitolo 12 é molto chiaro e ci dice che Gesú fú visto dal profeta Isaia in gloria. Chi crede in Gesú crede i Dio e chi vede Gesú vede Dio.
Giovanni infatti spiega che quello che vide Isaia era la GLORIA DI CRISTO = YHWH.

''VIDI L'ETERNO seduto sopra un trono alto, molto elevato...Allora io dissi: «Guai a me, sono perduto! I MIEI OCCHI HANNO VISTO IL RE, YHWH (Gesú) DEGLI ESERCITI!»'' (Isa 6:1, 5) "Tutta la terra è piena della sua gloria" (Isa 6:3)
''Queste cose disse Isaia, perché VIDE LA GLORIA DI LUI (Gesú) E DI LUI PARLÓ''. (Giov 12:41)
"Colui che discese è lo stesso che anche ascese AL DI SOPRA DI TUTTI I CIELI, per riempire tutte le cose." (Efesini 4:10)
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02/02/2019 11:00
 
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La divinità di Gesù
non fu un’elaborazione della chiesa primitiva

bart ehrman gesùDivinità di Gesù: pretese di essere Dio? Si dichiarò Dio? Secondo lo studioso Bart D. Ehrman la risposta è negativa, la sua natura divina fu un’elaborazione successiva delle comunità cristiane. Ma non è vero, ecco perché.

 

«Nessuno dei nostri primi tre vangeli dichiara che Gesù è Dio o lasci intendere che Gesù abbia mai sostenuto di esserlo». Questo afferma con convinzione l’agnostico Bart D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento presso la North Carolina University, uno studioso importante che moltissimo ha fatto per dimostrare l’esistenza storica di Gesù di Nazareth, entrando in polemica con i “miticisti”, ovvero i pochi (e privi di titoli accademici) sostenitori della teoria del “Gesù mitico”.

Tuttavia, Ehrman non è credente e si giustifica teorizzando che «il Gesù storico non è quello contrabbandato dal cristianesimo contemporaneo. Gesù è esistito. Ma non fu la persona che oggi la maggior parte dei credenti pensa che fosse» (Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 344). Nel sostenere ciò, lo studioso statunitense mostra spesso forti limitazioni e contraddizioni, l’esempio più classico è quando mette in discussione la divinità di Gesù Cristo. Lo abbiamo già osservato nell’aprile 2016.

Davvero Gesù non sostenne mai di essere Dio e «l’attribuzione di una natura divina a Gesù è stata un’elaborazione successiva delle comunità cristiane» (p. 235, 236)? No, è falso, anche se vi è una circostanza da chiarire: effettivamente Gesù ha rivelato la sua natura ai discepoli in modo progressivo e prudente, pedagogico. Spesso ha usato parabole e metafore, e quando gli apostoli intuirono si premurò: «Allora domandò: “Ma voi chi dite che io sia?”. Pietro, prendendo la parola, rispose: “Il Cristo di Dio”. Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno» (Lc 9,20-21 // Mc 8,29-30 // Mt 16,15-20). Se si fosse presentato fin da subito come il Salvatore atteso, il Sinedrio non gli avrebbe concesso nemmeno un anno di vita pubblica.

In ogni caso egli stesso espresse più volte la sua natura divina ed è ciò che conclusero anche i discepoli che con lui vissero e l’apostolo Paolo, che da loro si informò direttamente pochi anni dopo la morte di Cristo. E’ sufficiente riferirsi a 4 fonti: la Prima lettera ai Corinzi, un passaggio della Lettera ai Filippesi, un brano del Vangelo di Marco e un detto contenuto in Q, la fonte comune tra Matteo e Luca.

 

PRIMA LETTERA AI CORINZI E DIVINITA’ DI GESU’.

La Prima lettera ai Corinzi è stata composta da Paolo attorno al 53/54 d.C., ovvero una ventina d’anni dopo la morte di Gesù. Già in essa, in particolare in 1Corinzi 1, 21-25, San Paolo si riferisce a Gesù come «il potere di Dio e la saggezza di Dio». E’ una prima e chiara identificazione divina di Gesù Cristo, vicinissima alla sua morte.

Sempre in questa lettera, Paolo si riferisce al Cristo così: «Per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale sono tutte le cose, e noi viviamo per lui, e un solo Signore, Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose, e mediante il quale anche noi siamo» (1Corinzi 8,4-6). Gli studiosi concordano sul fatto che in questo passaggio Paolo sta alludendo alla famosa preghiera ebraica “Shema”, contenuta in Deuteronomio 6, 4-9, una forte affermazione del monoteismo ebraico. Quando scrive che “dal quale sono tutte le cose”, Paolo prefigura ed anticipa quel che scriverà successivamente Giovanni, quando identificherà Gesù con «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14).

 

LETTERA AI FILIPPESI E DIVINITA’ DI GESU’.

Anche in un’altra lettera di San Paolo, destinata ai cristiani di Filippi e composta anch’essa tra il 53-54 d.C. (dunque contemporanea alla Prima lettera ai Corinzi), Paolo identifica in modo netto e univoco Gesù di Nazareth con Dio. Ecco cosa scrive: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,5-11).

Ancora una volta, pochissimi anni dopo la morte di Gesù c’è già nella comunità cristiana primitiva la convinzione che quell’uomo ha una natura divina. Sono gli anni in cui Pietro e Giacomo, testimoni oculari della vita e delle parole di Gesù di Nazareth, vivono ancora a Gerusalemme e con loro Paolo ha parlato più volte. Impossibile sostenere che l’apostolo delle genti riferisse qualcosa di differente dalle convinzioni di Pietro e Giacomo, così è altrettanto impossibile sostenere che la divinità di Gesù fu un’elaborazione successiva della comunità cristiana.

 

VANGELO DI MARCO E DIVINITA’ DI GESU’.

Tra i molti passaggi evangelici in cui Gesù auto-identifica la sua natura divina, ce n’è uno contenuto nel Vangelo di Marco -il più antico tra i vangeli- che tutti gli studiosi ritengono quasi certamente risalente al Gesù storico. Si trova in Mc 13,32, Gesù parla della data del giudizio finale: «Quanto poi a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre».

Gesù stabilisce una gerarchia, ponendosi al di sopra degli angeli del cielo. E’ un passaggio “sicuro” dal punto di vista dell’attendibilità storica in quanto è imbarazzante per la chiesa primitiva il fatto che Gesù Cristo stesso sia ignorante di qualcosa e, tuttavia, si dichiara come Figlio di Dio.

Ed è proprio il suo manifestarsi che lo porterà alla croce: «Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: “Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?”. Gesù rispose: “Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo”. Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: “Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?”. Tutti sentenziarono che era reo di morte» (Mc 14,60-64 // Mt 26, 57-66).

 

FONTE Q E DIVINITA’ DI GESU’.

Come già detto, la cosiddetta Q è la antica fonte pre-sinottica comune dei due evangelisti, Matteo e Luca. Così si esprime Gesù: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27 // Lc 10,22). La fonte Q è solitamente data tra gli anni 40 e 50 d.C. (quindi 10/20 anni dopo la morte di Gesù).

 

Bastano dunque questi pochi e sintetici esempi per mostrare che Gesù sostenne di essere Dio e l’attribuzione di una natura divina non venne affatto elaborata successivamente dalle prime generazioni di cristiani, ma ebbe origine dagli stessi testimoni oculari, quegli uomini che vissero quotidianamente assieme a Gesù di Nazareth. Certo, si può rifiutarsi di credere a quel che Cristo disse di se stesso ma, come abbiamo già spiegato, diventa poi razionalmente complicato stimare e ammirare Gesù di Nazareth, riducendolo ad un semplice uomo, senza credere in Lui.

FONTE : UCCR


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11/07/2019 20:56
 
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DIALOGO SULLA DIVINITA' DI CRISTO

Matteo 14,33. E quando furono saliti sulla barca, il vento cessò. Allora quelli ch'erano nella barca LO ADORARONO dicendo: VERAMENTE TU SEI IL FIGLIO DI DIO.

Il Signore condusse Pietro alla barca, e mentre essi vi entravano, il vento che fino allora aveva imperversato, cessò immediatamente. I discepoli rimasti a bordo «più che mai sbigottirono in loro stessi»; e Marco ci narra che essi si prostrarono innanzi a lui ADORANDO (l'originale greco riporta il verbo "προσκυνήσῃς"=adorazione).

Questo loro atto ci permette di dedurre cosa essi intendessero dicendo: «Veramente tu sei il Figlio di Dio!»

Lo stesso verbo si incontra in Atti 10,25 in cui si dice che:Mentre Pietro stava per entrare, Cornelio andandogli incontro si gettò ai suoi piedi per adorarlo.

Ma in tal caso Pietro opportunamente rifiuta tale atto dicendo al verso 26: «Alzati: anch'io sono un uomo!».

Possiamo quindi capire che gli apostoli fecero verso Gesù proprio la stessa cosa che fece Cornelio nei confronti di Pietro, ma mentre Pietro, giustamente riprese Cornelio, Gesù invece non riprese i suoi apostoli per essersi prostrati in adorazione davanti a Lui.

Il che significa che Egli, in quanto vero FIGLIO DI DIO, è della stessa natura del Padre, e quindi l'adorazione che fanno verso di Lui gli apostoli è del tutto opportuna.

Lo stesso verbo si incontra in Mat.28,17 in cui gli apostoli vedono Gesù dopo la sua resurrezione: ...E, vedutolo, l'ADORARONO;

Purtroppo ogni volta che il verbo originale "προσκυνήσῃς" si riferisce a Gesù, la wt traduce molto riduttivamente "resero omaggio", mettendo Gesù alla pari con chiunque altro a cui si voglia dare un po' di onore.

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iNTERLOCUTORE  non credente

Westcott-Hort riporta προσεκύνησαν come rendere omaggio, prostrarsi.
Il Thayer Lexicon riporta προσεκύνησαν come "inginocchiarsi e toccare terra con la fronte", oppure "inginocchiarsi per rendere omaggio".
Il Liddell-Scott riporta adorazione verso una 
divinità o sottomissione/prostrazione/rendere omaggio verso un re o un superiore (interso come essere non divino).
Alla fine dei conti la polisemia del termine consente di renderlo anche con "rendere omaggio" senza per questo effettuare una traduzione errata. Come spesso accade con il testo biblico, le confessioni religiose impostano le traduzioni attingendo da questa o quella accezione del singolo termine, a seconda delle proprie intenzioni teologiche. Per la Cei chiaramente conviene di più tradurre con "adorare", mentre alla WT conviene tradurre con "rendere omaggio". Di fatto nessuna delle due effettua una traduzione errata dal punto di vista lessicale. Riguardo al termine "figlio di Dio", nella mentalità semitica non significa necessariamente l'essere divino (soprattutto non un essere al pari di Dio) ma, molto più spesso, indica un prediletto di Dio, un unto, ecc. Israele è figlio di Dio e, soprattutto, il re messianico è figlio di Dio, ma sempre e solo un uomo. E' in questo contesto che andrebbe riportata l'espressione "figlio di Dio" usata nei testi greci, ricordando cosa significava nell'uso comune per gli autori di quell'epoca.

Credente:

Quindi Pietro, quando Cornelio fece davanti a lui l'atto del "προσεκύνησαν", poteva anche non rifiutare. Non ti pare strano che anche in Apoc 19,10 e 22,8 il veggente venga messo bene in guardia dal fare lo stesso gesto del προσεκύνησαν in quanto atto di adorazione che si sarebbe dovuto rivolgere solo a Dio?. Possibile che solo per Gesù lo stesso gesto avrebbe dovuto avere, nello stesso linguaggio biblico, una diversa e molto più riduttiva accezione? Anche se un termine potrebbe avere più di un modo per poterlo tradurre, ti sembra normale che lo si possa tradurre a proprio tornaconto proprio nei punti scomodi, come fa la wt? Si tenga anche presente che nel 1967 anche la wt traduceva Eb 1,6 con "tutti gli angeli LO ADORINO" riferito a Gesù.
Per quanto riguarda il "Figlio di Dio", come mai il sinedrio condannò Gesù proprio per questo termine che Egli si attribuiva, visto che poteva essere inteso in modo tanto generico come tu dici?


Non credente:

Pertanto è il contesto che determina il significato, o meglio, l'accezione. Nel caso delle traduzioni teologicamente schierate, la Cei sceglie un'accezione, assumendo a prescindere un contesto teologicamente ispirato (divinità di Cristo), mentre la TNM sceglie ovviamente l'altra (sintatticamente valida) accezione, assumendo teologicamente che il contesto fosse diverso, ovvero che Gesù non sia Dio e quindi non venga adorato ma riverito. Ti linko il Thayer https://www.bibletools.org/.../Lex.../ID/G4352/proskuneo.htm
Su "figlio di Dio", l'espressione non è generica, o almeno non più di qualunque altra. Se consideri che il termine elohim in ebraico non indica esclusivamente Dio, ma anche governanti umani, legislatori e personalità di spicco, diventa chiaro come anche l'espressione "ben elohim" possa assumere diverso significato, ma, nella cultura giudaica biblica, non assume mai il signficato di "equivalente a Dio". Siccome gli autori, o quantomeno i personaggi del NT, avevano una mentalità giudaica, è alquanto difficile sostenere che per loro l'espressione "figlio di Dio" significasse "pari a Dio". Appare quindi chiaro il perchè le autorità giudaiche considerassero al pari della blasfemia il fatto di proclamarsi "figlio di Dio", inteso come il re messia atteso dai giudei da secoli.

Credente:

immaginavo già la tua risposta. Però c'è un altro fattore da considerare e che è fondamentale. La trasmissione e l'interpretazione costante della comunità cristiana nel quale il Testo è nato e vissuto. Non è che la Cei dopo 2000 anni, ha reputato "conveniente" questa traduzione, ma lo fa in quanto il senso da dare a quel termine è quello che gli è stato a partire dai primi cristiani. I vocabolari possono anche riportare più significati, ma quello che ha importanza è anche la ptramissione della traduzione, che non si può ribaltare a piacimento solo perchè esistono vari modi per tradurre una parola scomoda e si va a scegliere dopo 2000 anni quello che fa al proprio caso.

non credente:

Non si tratta di "ribaltare a piacimento". Tu stesso parli di "interpretazione costante", e si tratta di una interpretazione successiva agli eventi e ai personaggi di cui raccontano i Vangeli. Il significato più attendibile non è quello assunto successivamente secondo una traduzione posteriore...il significato più attendibile, quantomeno da un punto di vista filologico, è quello che verosimilmente i personaggi nel loro tempo adottavano. Se, ad esempio, io sono un autore che scrive nel 1800 e utilizzo la parola "fico", ad esempio scrivendo (nel mio intento di autore della mia epoca) "io sono un fico"....sto facendo, per motivi poetici, un'analogia con un albero. Io lettore che studio quel testo nel presente, so bene che "fico" può significare anche qualcosa di bello, di divertente, ecc... Pertanto, nel fare l'analisi di quel testo, prenderò in considerazione cosa "fico" voleva dire all'epoca dell'autore, oppure riterrò che tale termine volesse indicare l'uso moderno del termine, ovvero che l'autore è un tipo tosto, alla moda, ecc? Chiaramente utilizzerò il primo metro di valutazione.

credente:

riferisce Gv. 5,18 e 10,33: " I giudei cercavano di ucciderlo perchè chiamava Dio suo Padre, FACENDOSI UGUALE A DIO". Per questo motivo fu condannato a morte non per essersi fatto messia. Di pretesi "messia" ce ne furono tanti ma nessuno mi risulta essere stato condannato da sinedristi per tale motivo. Mentre ciò che scatenò la condanna fu il titolo di Figlio di Dio, e i sinedristi sapevano ben distinguere il senso metaforico da quello reale del termine.

non credente:

Correggimi se sbaglio, ma Giovanni è l'unico a sostenere che Gesù si facesse uguale a Dio... Questa informazione fondamentale, traspare anche dai sinottici? Nei sinottici, nel sinedrio si parla di Gesù che si fa "Cristo, il figlio di Dio benedetto". Cristo arriva dal termine mashiach , che nella cultura giudaica indicava un unto, e, in termini più specifici, il re messia terreno...

credente:

 Io parlavo del senso che la comunità cristiana ha sempre attribuito, sin dagli inizi al termine in questione rendendolo poi costantemente come sin dalla patristica ci è stato trasmesso. Insomma, voglio dire che una traduzione biblica, quando sono possibili più modi per tradurre, va preferito necessariamente il senso trasmesso costantemente ad un termine in un determinato versetto biblico.

continua...






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11/07/2019 21:01
 
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non credente:
Capisco cosa intendi, però converrai con me che storicamente non si può sostituire un'interpretazione successiva al contesto culturale dei fatti narrati. E' un'operazione fondamentalmente scorretta. E' storicamente (e biblicamente) attend
ibile il fatto che il termine messia (mashiach) indicasse un re terreno umano, nella cultura giudaica. E' altrettanto attendibile il fatto che l'espressione "figlio di Dio" nella cultura giudaica non indicasse mai un essere "pari a Dio", ma sempre una creatura subordinata, sebbene sia da Egli unta o benedetta. Prendendo questi elementi, e ricollocando il testo greco nella cultura che lo ha originato, risulta evidente che un giudeo del primo secolo non avrebbe mai inteso "figlio di Dio" o "messia" come attributi di un essere divino.

credente:

altri pretesi "messia" ci furono in quel tempo ma non furono processati dal sinedrio. Forse ebbero la peggio a causa dei romani ma non davano fastidio alle autorità religiose. Che invece nel caso di quel "figlio di Dio" furono molto disturbati. Mt 26,63 riferisce due distinte domande da parte dei sinedristi:

la prima voleva accertare se Gesù ritenesse di essere davvero il Cristo, ed egli lo confermò dicendo: “d’ora in avanti il Figlio dell’uomo sarà seduto alla destra della potenza di Dio”, attribuendo a se stesso il testo messianico di Daniele 7,13 che i rabbini attribuivano all’atteso liberatore e sgominatore di tutti i nemici d’Israele per incarico di Dio. Questa risposta poteva lasciare al massimo indignati gli accusatori i quali potevano ritenere che Gesù fosse un millantatore, ma non un bestemmiatore reo di morte. (vedasi Ricciotti che sulla questione è molto circostanziato)
Fu infatti allora che, come risulta da Lc 22,70, il sinedrio rivolse a Gesù la più specifica domanda: “sei tu dunque il Figlio di Dio?”
Ed egli confermò rispondendo: "Ego eimi" “IO SONO” (Mc.14,62).

non credente:

In Marco gli viene chiesto se lui è l'unto (mashiach), figlio di Dio. Egli risponde di si, ma ribadisco che tale espressione nella cultura giudaica non indicava in alcun modo un essere di natura divina pari a Dio. Lo stesso in Luca. Se continuiamo a considerare il termine "figlio di Dio" con il significato che gli viene attribuito in seguito, stiamo compiendo un'operazione "legale" dal punto di vista della teologia, mentre, dal punto di vista storico e della critica testuale (ovvero l'analisi più vicina ai fatti, invece che alle pure speculazioni), stiamo di fatto operando una manipolazione, togliendo un significato al suo contesto culturale e sostituendolo con un'elaborazione successiva.

credente:
infatti io sto dicendo che al titolo di Messia non veniva associata l'idea di Figliolanza divina e della stessa natura. Perciò la condanna non avvenne per il titolo di Messia ma per quello di Figlio Dio. Per il primo titolo, associato a una generica natura non divina, non si sarebbe arrivati alla condanna da parte del sinedrio. Non fu immediatamente dopo che nostro Signore ebbe pronunziato le parole dei vers. 62, implicando ch'egli era il Messia che Caiafa procedette a stracciarsi le vesti. Riferendoci a Luca 22:70, è evidente che il Sinedrio aveva inteso, per la risposta di nostro Signore, ch'egli asseriva competergli qualche cosa di più alto ancora di ciò ch'essi intendevano per la dignità di Messia, e quindi la seconda domanda che Caifa gli fece, sotto l'obbligazione solenne d'un giuramento, ed alla quale sì associò, come ad una voce, tutta quanta l'assemblea. "E tutti dissero: Sei tu dunque il Figlo di Dio?" Fu a seguito della risposta di Gesù a questa seconda domanda che Caiafa stracciò le sue vesti.

Non si tratta di elaborazione successiva, il motivo finale e cruciale della condanna di Gesù, a seguito della chiara conferma che Egli diede alla domanda se fosse IL Figlio di Dio. Stiamo cercando di indagare un dettaglio fondamentale e decisivo per capire, volendo basarci ora sui soli sinottici, che Gesù fu condannato proprio e solo per quello e non per essersi proclamato messia. Quando Gesù richiese i Farisei intorno al Cristo, dicendo: "Di chi è egli figliuolo?" Matteo 22:42-45, essi risposero senza esitare: "Di Davide"; ma quando procedette a domandarli intorno alla sua più alta natura aggiungendo: "Come dunque Davide lo chiama egli in spirito Signore?" essi non sapevano capacitarsi come i caratteri apparentemente contraddittori di figlio e di Signore di Davide, dovessero riscontrarsi nel medesimo individuo. Inoltre, sebbene i maggiorenti giudei rifiutassero di riconoscere Gesù per Messia a ragione della sua povertà ed umile condizione, il popolo era generalmente disposto ad ammettere il suo diritto a tale dignità, e nessuna accusa di bestemmia fu mossa giammai sia contro di lui che contro qualsiasi altro a tale riguardo. Il popolo avrebbe, voluto impadronirsene e farlo suo re dopo il miracolo operato presso Betsaida, dacché essi dicevano (in riferenza a Deuteronomio 18:18): "Certo costui è il profeta che deve venire al mondo" Giovanni 6:14-15. Bartimeo la donna sirofenice, il popolo radunato in Gerusalemme all'ultima, pasqua celebrata da Gesù, tutti insomma lo salutarono col nome di "Figliuolo di Davide", per il quale notoriamente si designava il Messia. Gli stessi suoi nemici riconobbero l'influenza che egli aveva sopra il popolo, ed erano atterriti all'idea che il riconoscimento del preteso suo diritto avrebbe portato ad una lotta coi Romani, la quale avrebbe distrutta la nazione Giovanni 11:47-48; 12:19; ma essi non pretendevano di trattare quel titolo come una bestemmia. Il più che essi potessero fare onde comprimere la crescente ammirazione del popolo per lui, era di ostracizzare temporaneamente coloro che lo riconoscevano per Messia Giovanni 9:22. Ma si noti la differenza rimarchevole nel trattamento che Gesù ebbe dal popolo stesso che credeva in lui come Messia o lo ammirava, come profeta, ogni qual volta però lo senti pretendere di essere "Il Figliuol di Dio" e quindi una divina persona, uguale a Dio, essi presero delle pietre per lapidarlo, supplizio dovuto al bestemmiatore, secondo la loro legge.

non credente:
Concordo sull'accusa di farsi "figlio di Dio", ma tale titolo, lo ribadisco, nella mentalità giudaica non indica un essere al pari di Dio. Questo punto è fondamentale. Se nell'ottica giudaica del primo secolo figlio di Dio era indicativo di un soggetto (umano) benedetto o unto da Dio, allora non si può far dire al testo quello che non dice, sempre restando nell'ottica del contesto culturale entro cui le vicende si sono verosimilmente svolte.

credente:

il titolo di figlio di Dio era impiegato anche per significare vari personaggi o figure, ma quello che ti prego di considerare è il fatto che se Gesù si fosse fregiato di un semplice significato generico, i maggiorenti ebrei non l'avrebbero fatto condannare alla morte di crpce abbandonandolo perfino nelle mani degli odiati romani. Questo punto non ti deve sfuggire. Qui siamo di fronte ad un titolo esclusivo non generico, reale non metaforico. Perchè se i capi giudei avessero sopravvalutato la portata di quella espressione tanto da arrivare alla condanna, Gesù avrebbe avuto il DOVERE di chiarire la propria posizione,. avrebbe dovuto senz'altro, in questa decisiva occasione, precisare che quel titolo era da considerare in maniera diversa da come appariva ai giudici, in modo che 
1) non usurpasse la natura divina con tutte le sue prerogative, 
2) che venisse attestata la verità su se stesso.
3) che evitasse la propria passione e morte. 
4) che evitasse un tragico equivoco che avrebbe implicato la responsabilità morale dei sinidristi. 

Ma Gesù non rettificò quella opinione dei sinedristi per il semplice fatto che evidentemente Gesù la riteneva corretta anche se portava come conseguenza la sua condanna. Questo è il nodo cruciale di quel processo, che era stato portato a termine proprio facendo emergere in maniera chiara Chi essi pensavano che Gesù pretendesse di essere e Chi l'accusato riteneva e rivendicava di essere veramente e cioè il Figlio di Dio in senso proprio e non figurato. Perciò della natura del Padre.








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20/09/2019 14:03
 
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14/01/2022 10:58
 
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Giovanni 20,28-29  Allora Tommaso rispose e gli disse: «Signor mio e Dio mio!». 29 Gesù gli disse: «Perché mi hai visto, Tommaso, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto».



per la wt la risposta di Tommaso a Gesù era paragonabile ad una semplice esclamazione per il suo stupore, come quando diciamo Oh my God!!!--
Nella traduzione omettono che Tommaso IN RISPOSTA disse: Mio Signore e mio Dio (che figurava invece nella loro interlineare).
In tal modo fanno sembrare che Tommaso non stesse facendo una professione di fede che nel verso 29 Gesù confermò dicendo: poichè hai visto HAI CREDUTO. Ma creduto a cosa? Se non intendessimo l'espressione di Tommaso come una professione di fede, ma solo come una esclamazione generica, Gesù non avrebbe potuto dire HAI CREDUTO.
Quindi l'espressione di Tommaso non può in alcun modo essere considerata una semplice esclamazione generica, ma come una ulteriore attestazione diretta e chiara della divinità di Cristo, che l'evangelista pone al termine del suo Vangelo come un suggello finale di quanto aveva attestato sin dal suo inizio dicendo che LA PAROLA ERA DIO.

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Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una TORRE, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un NOME...Gen 11,4
 
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