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COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2019 15:05
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09/01/2012 21:31
 
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Gesù muore.

Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: « Ho sete ».

Con la consegna della Madre al discepolo e del discepolo alla Madre Gesù ha compiuto tutto quanto il Padre gli ha comandato di fare e di dire in mezzo a noi.

Ci saranno ancora altre cose da compiere, ma queste dovranno essere operate dopo la sua risurrezione gloriosa, quando si fermerà anche in modo visibile con i suoi discepoli nei quaranta giorni che precedono la sua gloriosa ascensione al cielo.

Ora Gesù ha sete e lo dice. Anche questa sete era stata prevista dalla Scrittura, quando profetizzò la sua passione e morte dall’alto della croce.

Cosa è la sete di Gesù? Egli aveva precedentemente detto: “Chi ha sete venga e beva chi crede in me e dal suo seno sgorgheranno fiumi di acqua viva che zampillano per la vita eterna”.

Avere sete si può, ma solo di Dio. La Scrittura parla sempre di questa sete. L’anima mia ha sete del Dio vivente, quando verrò e vedrò il volto di Dio. Ora è venuto per Gesù il momento di andare a contemplare il volto del Padre, a vederlo nella sua divina essenza, ad abitare presso di lui.

La sete di Gesù è questo desiderio ardente di completare ciò che ancora manca al fine di poter lasciare questa terra e quella sofferenza per andare incontro al Padre suo che è nei cieli.

Gesù ha sete di infinito, di eternità; ha sete del Padre, lo ama tanto che vuole raggiungerlo al più presto. Dice di aver sete, perché ora tutto è compiuto; può ora lasciare questo mondo perché la sua missione è stata portata a termine. Non lo ha detto prima, perché prima tutto era da compiere, e finché tutto non si compie, non si può lasciare questo mondo. Anche se si ha sete, bisogna che ci si trattenga finché non viene l’ora di potersi dissetare abbondantemente in modo che non si abbia più sete in eterno.

Questa sete deve sperimentare l’uomo nella sua vita: avere sete di Dio, desiderio di cielo, volontà di andare presso il Signore, di raggiungerlo nel suo regno di gloria. Quando si ha sete di Dio, non si hanno altre seti; il fatto che l’uomo non abbia sete di Dio, spiega il perché egli ha sete delle cose del mondo. La sete per le cose del mondo si trasforma in concupiscenza ed in superbia della vita, cose che apparentemente colmano l’arsura del cuore, invece altro non fanno che aumentare la sua sete, poiché l’acqua con la quale si viene dissetati è come l’acqua del mare, piena di sale; questa non disseta, aumenta la sete di chi la beve.

Vi era lì un vaso pieno d'aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca.

L’uomo non comprende il linguaggio di Gesù; immerso nelle cose della terra, a queste pensa e queste solo comprende. Poiché Gesù ha detto di avere sete, bisogna pur dissetarlo e cosa gli danno? Dell’aceto.

Inzuppano nell’aceto una spugna, la pongono in cima ad una canna e gliela accostano alla bocca.

Il fatto che l’uomo non sia in grado di dissetare il desiderio di Gesù, il fatto che alla sua sete di Dio l’uomo gli risponda con una misera e povera spugna imbevuta di aceto, è per noi segno che nessuna creatura umana, nessun uomo può colmare il nostro cuore.

Se un uomo pretendesse di poter colmare la sete di Dio che è nel nostro cuore, sarebbe come questi uomini ai piedi della croce; quest’uomo potrebbe dare solo dell’aceto, ma l’aceto non disseta, poiché non è sua natura dissetare.

Da qui la necessità di ripensare il nostro ruolo nei rapporti della sete che l’uomo ha e sperimenta in sé. Solo Gesù può dissetare l’uomo e l’acqua che egli gli dona è il suo santo Spirito, che fra poco farà sgorgare dal suo costato aperto mentre egli si è addormentato sulla croce.

E dopo aver ricevuto l'aceto, Gesù disse: « Tutto è com­piuto! ».

Gesù non sarebbe potuto morire senza aver prima espresso e manifestato il suo desiderio, la sua sete di Dio. È questo il fine di tutta la nostra vita. Noi viviamo per questo, per avere sete di Dio, desiderio di lui, volontà di vivere per lui, con lui, in lui.

Ora che questo desiderio è stato manifestato, egli non ha più nulla da rivelarci di sé. Tutto è ora veramente compiuto. La sua missione è portata a termine nella perfezione. Ora se ne può andare.

E, chinato il capo, spirò.

Di fatto se ne va, rende lo spirito al Padre suo, perché glielo custodisca per l’eternità, perché l’accolga nel suo regno, perché lo disseti di sé.

C’è chi vede in questo passo l’effusione dello Spirito sull’umanità. In verità per Giovanni l’effusione dello Spirito avviene in un’altra modalità, che segue subito dopo.

Qui viene narrata la morte vera, reale, e non presunta di Gesù. Rendere lo spirito è vera morte. Lo spirito si rende a Dio, il quale lo aveva spirato nelle narici, quando aveva fatto l’uomo un essere vivente. Quando a causa del peccato, l’uomo incorse nella morte, allora il Signore ritirò dall’uomo il suo spirito, che non essendo dell’uomo, ma di Dio, deve renderlo al momento della morte.

Gesù veramente muore; muore perché rende a Dio il suo alito di vita, la sua anima. Questo sta a significare che Gesù veramente ha preso su di sé il nostro peccato ed ogni sua conseguenza, la prima fra tutte la morte e la riconsegna dello spirito, o alito di vita, a colui al quale esso apparteneva ed appartiene.

Dicendo che Gesù ha reso lo spirito si vuole intendere la perfetta umanità di Gesù, il quale avendo l’anima spirituale, deve renderla e di fatto gliela rende perché la conservi nello scrigno della vita presso di lui nel suo regno.

Gesù accogliendo la morte si predispone così alla vittoria sulla morte. Come si può vincere la morte se non liberandosi di essa, no non morendo, ma vincendola nel suo stesso regno?

Per questo c’è anche una differenza tra la morte di Gesù che è stata assunta per sconfiggere la morte, ed il termine della vita di Maria sulla terra. Se la tradizione ritiene che essa non sia morta, ma solamente che il passaggio sia avvenuto per trasformazione e non per separazione dell’anima dal corpo prima della sua assunzione al Cielo, ma che l’assunzione sia questa trasformazione senza passare per la morte, il motivo è questo: Gesù ha subito la morte per vincere la morte, dopo la sua risurrezione la morte è vinta, essa non ha più bisogno di essere vinta.

Essendo Maria Santissima concepita anche senza peccato originale, a lei la morte non era dovuta per un motivo di stretta giustizia, quindi come è stata preservata dal peccato originale per i meriti di Gesù attribuiti a lei precedentemente, così può benissimo essere attribuita a lei la vittoria di Gesù sulla morte, senza necessariamente passare per la morte.

Sarebbe questa vittoria di Gesù il primo dono fatto alla Madre sua ed ancora una volta in modo assai mirabile, non facendola passare attraverso di essa. Ma questa è una questione teologica e non di fede, poiché il dogma dell’assunta lascia aperta la questione perché con saggezza non si pronunzia né per la morte e né per la non morte. Dice semplicemente che terminato il corso della sua vita terrena (il come viene tralasciato), Maria fu assunta in cielo in corpo ed anima.

Il colpo di lancia e la sepoltura.

Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanes­sero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via.

La Pasqua per i Giudei era un giorno di grande festa. Lasciare appesi al palo tre condannati avrebbe certamente turbato la celebrazione, anche perché sovente l’agonia della croce durava anche dei giorni.

Chiedono pertanto a Pilato che conceda che si acceleri artificialmente il processo di morte, spezzando le gambe e quindi favorendo una uscita dalla vita per dissanguamento.

Questa non può essere in alcun caso chiamata pietà. La pietà vuole che non si infliggano pene così crudeli, ma che non si aggiunga ad una pena un’altra ancora più dolorosa. Non è neanche pietà perché il motivo è solamente sacrale, e riguarda l’ordinata celebrazione della pasqua. La pietà invece è vera quando si pensa solo al bene più grande di colui che soffre e certamente qui non ci troviamo dinanzi ad un bene più grande verso i crocifissi.

Vennero dun­que i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all'altro che era stato crocifisso insieme con lui.

Pilato non ha difficoltà a concedere quanto loro chiedono ed i soldati spezzano le gambe all’uno e all’altro dei due crocifissi posti ai lati di Gesù.

Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua.

Gesù invece era morto. A lui non vengono spezzate le gambe. Uno dei soldati gli dona come un colpo di grazia, gli colpisce il fianco con una lancia.

Dalla ferita, annota l’Evangelista-Testimone oculare del fatto, ne uscì sangue e acqua.

L’acqua e il sangue che sgorgano dal costato di Gesù dormiente sulla croce, è lo Spirito che sgorga dal nuovo tempio e che deve inondare la terra per renderla nuovamente fruttificabile di santità; il sangue sono invece i sacramenti, attraverso i quali, lo Spirito del Signore, opera la rigenerazione e la santificazione dell’uomo.

Gesù lo aveva detto di essere il tempio di Dio, il luogo della presenza abituale del Padre, della divinità. Lui è Dio e nello stesso tempo lui è anche uomo, nella sua umanità Dio abita corporalmente, in tal senso è vero tempio di Dio, pur rimanendo in se stesso Dio.

Dal lato destro di questo nuovo tempio sgorga l’acqua che diverrà il fiume della vita e che dovrà inondare il mondo intero. Per l’evangelista questa è la vera effusione dello Spirito, poi essa si concretizzerà, si storicizzerà su ogni uomo, attraverso la fede, ma senza questa effusione, l’altra non sarebbe possibile.

Dobbiamo chiederci perché è dalla morte di Gesù che sgorga lo Spirito e i sacramenti della nuova vita che lo Spirito dona ai credenti in Cristo Gesù. Con la morte avviene la perfetta glorificazione del Padre, a lui viene restituito il debito dell’obbedienza che l’umanità aveva contratto in Adamo, ora questo debito è saldato per intero, non solo, la gloria che Gesù ha dato al Padre è così sovrabbondante che si trasforma per lui in merito di salvezza e di grazia per l’intero genere umano e per questo il Padre effonde dal costato di Gesù, che è la vera origine della salvezza e della redenzione, lo Spirito e la grazia della nuova vita.

Ogni effusione di Spirito Santo e di grazia è sempre sgorgante dal costato di Gesù che dorme sulla croce. Ogni redenzione è pertanto solo frutto, o merito, della sua morte. Ogni qualvolta c’è il dono dello Spirito o la grazia questo dono lo si attinge sempre in questo mistero di obbedienza, di glorificazione, di grande sofferenza, di morte di Gesù.

Questo deve anche significare per tutti noi che non sarà mai possibile che l’uomo in Cristo diventi tempio di Dio dal quale sgorga l’acqua e il sangue, se non si diviene intimamente uniti a questo mistero di obbedienza nella sofferenza. L’obbedienza nella sofferenza, o l’obbedienza che conduce alla morte dell’uomo, cioè al dono della sua vita a Dio, produce e genera l’effusione dello Spirito che conduce l’uomo nella verità e del sangue che rigenera l’uomo a nuova vita, sempre per opera dello Spirito effuso.

Se questa è la via, l’unica via, per l’effusione dello Spirito sulla terra e del sangue che la rinnova, se ciò avviene divenendo noi credenti tempio nel tempio che è Gesù, un solo tempio di Dio con lui, si comprende allora quanto sia necessaria la nostra obbedienza, il compimento della volontà di Dio, che è anche sofferta e dolorosa a causa dei patimenti ad essa congiunti, perché lo Spirito venga effuso e il sangue sgorghi per lavare la terra dal suo peccato.

Se questa via viene ignorata e l’obbedienza esclusa, se il divenire morte nella morte di Gesù allontanata dai nostri occhi, la salvezza non si compie e il mondo rimane nella sua sporcizia di peccato e nel suo tenore di morte. Per il cristiano pertanto non c’è altra via, se veramente vuole essere in Gesù datore dello Spirito che dà la vita e del sangue che risana e lava, se non quella di morire la morte di Gesù, se non quella di addormentarsi nella sua morte sul legno della croce.

Una sequela che non conduce alla quotidiana morte, non è sequela del Signore e se non si segue il Signore nella morte, non lo si può seguire nell’effusione dell’acqua e del sangue. Questa è la verità perenne che muove la storia della conversione alla verità e della rigenerazione alla vita per mezzo di coloro che sono in Cristo sul legno della croce, morti in lui e con lui effondono l’acqua e il sangue della vita nuova sul mondo.

Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimo­nianza è vera e egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate.

Giovanni che ha visto quanto è avvenuto dopo la morte di Gesù e quanto è avvenuto in Gesù morto, lo testimonia e lo attesta; la sua parola è verità, purissima verità. Egli lo sa che quanto sta dicendo è vero, sa che dal costato di Gesù è uscito sangue ed acqua. Lo dice perché anche noi crediamo.

Perché dobbiamo credere in questo evento compiutosi nel Cristo morto e dal Cristo morto? Dobbiamo credere perché è in questo evento la nostra salvezza, la nostra giustificazione, la nostra santificazione, la nostra cooperazione alla salvezza del mondo.

Ciò che avviene in Cristo e ciò che viene dal costato di Gesù, dal suo lato destro, per Giovanni non è un fatto puramente naturale, esso è un evento soprannaturale, è il compimento della redenzione. Oggi si compie la redenzione del mondo, oggi nasce la salvezza dei cuori, oggi è data la possibilità a ciascuno di potersi lasciare rigenerare a vita nuova e santa.

Credere in questo evento soprannaturale è necessario e per diverse ragioni. Si deve credere perché altrimenti non c’è salvezza; si deve credere perché altrimenti non ci sarà neanche continuazione del dono della salvezza. Oggi è il giorno della nascita della Chiesa, ma anche il giorno della nascita della sua vocazione a divenire in Cristo una sola vita ed una sola effusione di sangue e di acqua.

C’è pertanto il mistero del Cristo crocifisso che è dono a Dio della gloria attraverso l’obbedienza, e c’è anche un mistero del Cristo morto, che è dono all’uomo del frutto e del merito della sua obbedienza, come ci sarà anche un mistero del Cristo risorto che diviene dono della sua gloriosa risurrezione nell’ultimo giorno.

Si ama Gesù crocifisso, ma si deve amare anche Gesù morto e questo per un motivo teologale assai specifico. Quando l’uomo è nella morte è allora che per mezzo di lui si effonde lo Spirito e la grazia, non prima, non dopo. Amare lo stato di morte che avviene attraverso l’obbedienza a Dio significa trasformarsi in datori di vita per il mondo intero.

E così la ragione viene veramente messa al bando nel cristianesimo. Mentre tutto il mondo pensa che bisogna essere nel pieno della vita perché si possa creare la vita, Gesù ci insegna che è proprio nel pieno della nostra morte che si dona la vita e più si muore, più si rimane nella morte a causa dell’obbedienza e più la vita si espande sulla terra.

Qui entriamo in un altro mondo, nel mondo della morte e la morte non fa parte di questo mondo, perché il mondo ama la vita, non la morte, ama una vita di morte, mentre Gesù vuole che noi amiamo una morte di vita. Siamo all’opposto, tra noi e il mondo non può esserci intesa, nessuna intesa, poiché “le verità” che ci costituiscono sono diverse, opposte, contrarie l’una all’altra.

Se questa è la via della vita attraverso la morte, allora non resta anche a noi che una sola scelta e questa scelta è la via della morte per la vita. Questo ci vuole dire il testimone che testimonia secondo verità quanto ha visto e lo testimonia perché anche noi crediamo. Egli lo dice perché è qui il fondamento della nostra nuova esistenza e fuori di questo fondamento non c’è nuova esistenza, né per noi, né attraverso noi per gli altri.

Questo infatti avvenne perché si adem­pisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso.

Compiendo la Scrittura, Gesù si rivela qui come il vero agnello pasquale. Ma il vangelo non era forse iniziato con la presentazione di Gesù come l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo? Inizio e fine divengono un’unica verità, un unico mistero, un’unica realtà e storia di salvezza.

L’agnello pasquale aveva per gli Ebrei un duplice significato: di liberazione e di sostentamento. La carne ed il sangue utilizzati possedevano un diverso mistero di vita.

Il sangue liberava dallo sterminatore e preservava dalla morte; la carne mangiata permetteva il cammino della vita, poiché era necessario un lungo viaggio per entrare nella libertà definitiva e questo viaggio era reso possibile grazie alla carne mangiata la notte di pasqua, mentre passava l’angelo sterminatore a distruggere i primogeniti d’Egitto, lasciando in vita, a causa del sangue sparso sugli stipiti e gli architravi delle porte dove gli Ebrei erano riuniti per mangiare la Pasqua del Signore.

Essendo Gesù il vero agnello pasquale ed avendoci egli precedentemente lasciato il suo sangue da bere e la sua carne da mangiare, l’uomo è invitato a mangiarlo con fede, il sangue deve berlo per sfuggire alla morte eterna che incombe su di lui, la carne deve mangiarla per compiere il cammino della vita eterna, cui è chiamato dal Signore, verso la conquista della libertà definitiva nel regno dei cieli.

C’è anche un’altra verità che è nascosta nel fatto che all’agnello non dovevano essere spezzate le ossa. Secondo un’antica credenza non si spezzavano le ossa, perché dopo il pasto sacrificale dei pastori nomadi, si pensava che l’agnello dovesse ritornare in vita e per questa ragione le ossa venivano lasciate intatte.

Gesù veramente risorge, ma non ha più bisogno di ossa intatte, perché il suo corpo e quindi anche le sue ossa sono stati trasformati dalla potenza del Padre in una nuova realtà che è tutta spirituale. Il corpo di Gesù è ora di spirito, come l’anima è di spirito, e quindi non ha bisogno che le sue ossa vengano conservate intatte.

E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volge­ranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.

L’evangelista invita ogni uomo a guardare con occhi di fede quanto accade alla croce. Già ha detto il perché egli ha testimoniato secondo verità ciò che ha visto. Ora dice un’altra grande verità: a Gesù crocifisso non si può guardare se non con gli occhi della fede.

Ma cosa significa guardare a Gesù crocifisso, a colui che hanno trafitto, con gli occhi della fede? Significa che bisogna andare assolutamente oltre l’evento umano e vedere la crocifissione e la morte come un evento soprannaturale, quindi di salvezza e di redenzione.

Umanamente parlando, la morte di Gesù è insignificante, è una morte come tante altre morti; se la si vede solo con gli occhi della carne; se invece la si vede con gli occhi dello spirito e quindi della fede, la sua morte è l’evento storico per eccellenza, perché dalla morte tutto è scaturito, è su quel legno che tutto si compie.

È da quel legno che nasce la nuova vita; è quel legno l’albero della vita ed è Gesù il frutto che bisogna cogliere per mangiare e ritornare in possesso della vita perduta nel giardino dell’Eden, il giorno della nostra disobbedienza.

Il semplice fatto che non si mediti mai abbastanza sul Cristo morto, nel quale tutto avviene e tutto si compie in quanto a mistero di vita e di salvezza, sta a significare che noi abbiamo perso molto del suo mistero. Il voler passare subito alla risurrezione, e vederla come il trionfo di Gesù sulla morte, è uno sminuire la morte stessa di Gesù, come se essa fosse solamente la via della vita di gloria.

Prima della vita di gloria, c’è la vita di grazia e di salvezza, e questa vita non viene dalla risurrezione di Gesù, poiché anche questa è un frutto della morte di Gesù, è un frutto del suo dono totale. La morte di Gesù è il mistero dei misteri e come tale bisogna che sia accolto e vissuto.

Il mondo nel quale viviamo non vuole la morte, la sfugge, vuole la vita, ad essa si aggrappa disperatamente. Questo è anche un segno della perdita della fede in Cristo e nel mistero della sua morte. Finché l’uomo non vivrà la sua morte alla maniera di Gesù, egli non avrà mai compreso il mistero della morte di Gesù e chi rimane fuori del mistero della morte di Gesù, rimane anche fuori del mistero della sua vita.

Perché questo non avvenga, bisogna che anche noi iniziamo a guardare a Gesù come a colui che hanno trafitto, lo guardiamo cioè nel suo mistero di vita che sgorga dalla sua morte. Se pertanto la morte diviene il mistero dal quale sgorga la vita, allora è giusto che la si accolga e la si viva come principio di nuova vita, vita di verità e di grazia, vita di salvezza e di redenzione, di vita di amore e di giustificazione.

Nella morte di Gesù si scopre anche il valore della sofferenza, del dolore, di ogni negatività che si abbatte su di noi. Ora sappiamo che tutto ciò che conduce alla morte per obbedienza, per fede, per amore del Signore, si trasforma in principio di vita per il mondo intero. Morendo la morte di Gesù anche noi diveniamo quel tempio nuovo dal quale sgorga l’acqua ed il sangue, in Cristo, per Cristo ed in Cristo, per la redenzione del mondo.

Dopo questi fatti, Giuseppe d'Arimatèa, che era di­scepolo di Gesù, ma di nascosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù.

Dopo aver guardato a Gesù con occhi di fede, dopo aver detto tutto ciò che serve per leggere l’evento della morte di Gesù con gli occhi della verità soprannaturale, si può procedere agli ultimi riti che sono la deposizione dalla croce, la rapida preparazione del corpo di Gesù e la sua sepoltura.

Gesù aveva diversi discepoli nascosti; credevano in lui, ma avevano paura dei Giudei. Quest’uomo era sicuramente influente, una personalità nel mondo Giudaico e a causa di questo suo peso sociale, chiede a Pilato di prendere il corpo di Gesù.

Ci sono dei momenti in cui è anche possibile, per ragione di opportunità, restare nel nascondimento, ma questo non deve essere stile abituale di servire Gesù. C’è un secondo momento in cui bisogna manifestarsi. Giuseppe di Arimatea ora si manifesta, quale egli realmente è, un discepolo di Gesù. Ora si interessa perché il corpo del suo Maestro abbia una degna sepoltura, anche se bisogna fare in fretta a causa dell’ora tardiva. Col tramonto del sole era vietato ogni lavoro servile.

Per tornare al discepolato vissuto nel nascondimento: questo in certi momenti può essere anche un aiuto a quanti seguono Gesù apertamente. Lo abbiamo anche visto e considerato nel caso di Nicodemo. È lui che interviene nel momento in cui si voleva arrestare Gesù anzi tempo con la sua proposta di agire secondo la legge e non contro di essa.

Questo è il momento storico a deciderlo, poi è necessario che si faccia pubblica confessione di Gesù. È questa la via della vera salvezza; bisogna che si vinca il timore degli uomini, la loro paura e si entri a vivere nel timore del Signore, che domanda che per la verità si abbia la forza di offrire anche la propria vita.

Chiunque ha scoperto la verità, una verità superiore a quella che egli professa, ha il grave obbligo di coscienza di abbracciarla; il non abbracciarla per seguirla e per viverla è peccato contro la propria coscienza. Ora poiché la propria coscienza è la suprema legge, sottoporre la propria coscienza ad una coscienza estranea che impone di non seguire la verità superiore scoperta, diviene per la coscienza un agire contro se stessa.

Se questo è permesso per un breve tempo, non può essere invece considerato norma di vita. Urge allora fare la scelta della verità superiore ed abbracciarla anche a costo della propria vita. Scegliere la verità superiore però è mettersi dalla sua parte in modo palese e chiaro; tutto il mondo deve sapere la posizione veritativa. Lo richiede la verità, lo esige la coscienza, lo vuole il Signore.

Pilato lo concesse.

Pilato non ha alcuna difficoltà a concedere a Giuseppe d’Arimatea quanto chiestogli. Ormai Gesù è morto. Aveva prima concesso che gli fossero spezzate le gambe; concede ora che venga sepolto. È questa una grazia del governatore di Roma, poiché sovente neanche questa grazia spesso veniva concessa e si lasciavano esposti i cadaveri per diversi giorni.

Allora egli andò e prese il corpo di Gesù.

Giuseppe d’Arimatea depone il corpo dalla croce e lo prepara per la sepoltura. C’è da osservare in questo interessamento di Giuseppe d’Arimatea il compimento di un’altra parola di Gesù. Quando uno della folla gli aveva chiesto di volerlo seguire, ma ad una condizione, che prima avrebbe dovuto egli provvedere a seppellire suo padre e sua madre, Gesù gli aveva risposto: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Tu vieni e seguimi”.

Gesù voleva semplicemente dire che quando c’è una volontà di Dio che bisogna compiere e questa volontà porta lontano dal padre e dalla madre, costui non si deve preoccupare, il Signore provvederà non soltanto alla sepoltura, ma a tutto ciò che è necessario al padre e alla madre per vivere dignitosamente la loro vita e anche concluderla con una degna sepoltura.

La provvidenza del Padre suo celeste predispone uomini e cose perché chi si è affidato a lui non venga privato di niente di quanto umanamente si è soliti fare. Gesù si è completamente affidato al Padre suo che è nei cieli, ora il Padre provvede ad una degna e onorata sepoltura. Vengono uomini da lontano, dei discepoli nascosti e provvedono a quanto è necessario che si faccia.

Questo sta a significare che quando si compie la volontà di Dio non bisogna temere né in vita e né in morte, né per la vita e né per la morte. Dall’alto dei cieli il Padre vede e con amorevole cura suscita uomini e predispone eventi perché tutto si faccia nell’amore più grande.

Ed in verità Gesù ha avuto grande amore nella morte. Viene trattato il suo corpo con grande rispetto, e bisognava rispettarlo, trattarlo bene, con riverenza, con santità, con quella sacralità che gli si addice in quanto sta per entrare nella gloria eterna del cielo.

La Chiesa ha sempre insegnato il rispetto del corpo dei morti, è un rispetto sacro che ella insegna e lo insegna perché il corpo anche se diviene polvere del suolo deve prepararsi e si sta preparando per entrare nella gloria del cielo, nella beata risurrezione.

Vi andò anche Nicodèmo, quello che in precedenza era andato da lui di notte, e portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre.

Ora viene alla luce anche Nicodemo. Egli, al pari di Giuseppe di Arimatea, credeva in Gesù, lo sapeva un uomo di Dio, che veniva da Dio e come tale ora lo serve e lo cura. Durante la sua vita ha potuto fare ben poco per lui, ora cerca di fare molto di più. Infatti si presenta con una mistura di mirra e di aloe che era un unguento che serviva per ungere il corpo prima della sepoltura.

Centro libbre sono più che trentatré chili di unguento, una quantità sufficiente per la prima preparazione del corpo di Gesù. Altro non si può fare perché ormai l’ora è già al limite. Sta per calare la sera e con l’accendersi delle prime luci ogni lavoro servile era vietato, compreso quello dell’imbalsamazione del corpo di Gesù.

Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com'è usanza seppellire per i Giudei.

Tutto quanto è stato possibile fare, essi lo hanno fatto, hanno trattato con molto onore il corpo di Gesù, avvolgendolo in bende insieme con oli aromatici.

Viene cioè rispettata ogni usanza, secondo il costume dei Giudei. L’evangelista insiste su questi momenti della sepoltura ed un motivo certamente dovrà esserci. Questo motivo è sicuramente la sacralità del corpo dell’uomo. Esso è degno di riverenza, di rispetto, di cura, di amore. Esso appartiene alla persona umana e senza di esso non c’è persona umana, poiché da sola l’anima non è la persona umana. Da qui l’attesa della risurrezione da parte dell’anima.

C’è quindi un peccato contro il corpo dell’uomo, che diviene disprezzo dell’uomo e della sua umanità. La storia attesta sempre che di questi peccati se ne commettono tanti contro la sacralità dei corpi morti. Questo non deve avvenire, se avviene tradisce e rivela non solo la carenza di umanità in chi lo commette, ma anche la sua non fede, la sua non attesa della risurrezione, il suo non essere di Cristo.

Oggi l’uomo sembra non appartenere più a Gesù, anche a causa delle molte profanazioni che sovente si fanno dei corpi, considerati non più necessari all’anima, non più facenti parte della persona umana. Questo è un retrocedere in umanità, è uno svilimento della persona umana, è un perdersi ed un considerare la vita solo una meccanica di sentimenti e di sensazioni finché c’è il movimento, quando questo movimento non produce più sensazioni allora tutto può essere considerato finito, non solo per il corpo, ma anche per l’anima.

A questa nullità si è giunti nella considerazione dell’uomo; questa la sua grandezza: un nulla, un niente. Giovanni invece ci sta mostrando con quanta cura, con quanta attenzione viene trattato il corpo di Gesù. Esso è un corpo che appartiene a Dio, è di Dio, è il corpo di Gesù e deve fra poco salire alla destra del Padre. Questa la verità di fede che è sotto queste descrizioni di preparativi di sepoltura che in apparenza potrebbero risultare superflue, o non necessarie in questo momento.

Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto.

Viene qui precisato dove è stato posto Gesù per il suo seppellimento. Accanto al Golgota, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo. Nessuno mai vi era stato deposto.

Gesù non ha sepolcro. Niente di questa terra fu suo. Non la culla nella quale fu posto quando è nato. Apparteneva a qualche asinello; e neanche un sepolcro, anche questo non si sa a chi appartenesse.

Questa povertà estrema Gesù aveva predicato e questa povertà egli vive. Ancora una volta egli è tutto consegnato nelle mani del Padre, il quale provvede ad ogni cosa a suo tempo.

Così Gesù dalla nascita alla morte ci insegna una grande verità: la vita dell’uomo per essere vera vita deve essere consegnata alla Provvidenza del Padre, è Lui che dall’alto dei cieli si prende cura perché ogni cosa sia fatta con amore per il bene dei suoi figli.

Questa è quella povertà in spirito che è l’inizio del suo Vangelo. Ma la povertà nello spirito è la piena libertà dalle cose del mondo in quanto a pensiero, perché dobbiamo interamente pensare alle cose del Padre nostro. Quando noi avremo pensato alle cose del Padre, il Padre per intero provvederà e penserà alle nostre cose. Questa la verità confermata nella storia di Gesù.

Là dunque deposero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino.

Viene qui precisato che Gesù fu posto proprio in quel sepolcro e in quel giardino. Viene anche indicato il motivo. Non era possibile reperire un altro sepolcro a causa dell’ora tardiva. Era la grande sera della celebrazione della Pasqua ed il Sabato ormai stava per iniziare.

Per un giorno intero, dal tramonto del sole alle prime luci dell’alba del primo giorno dopo il Sabato è riposo assoluto. Riposa il corpo, ma non lo spirito di quanti amano Gesù. Per tutti costoro quella Pasqua non è stata sicuramente la loro Pasqua. Il loro cuore è nel sepolcro con Gesù ed essi attendono di potervisi recare al fine di compiere e di completare quanto non è stato possibile fare in questa sera così solenne e così sacra per la vita di Israele.

E mentre si celebra la Pasqua antica, non ci si è ancora accorti che questa Pasqua è finita per sempre. Ormai c’è la nuova Pasqua che bisogna celebrare e questa Pasqua è già iniziata sulla croce, è sfociata nella morte di Gesù.

Mentre l’altra Pasqua era un passaggio verso la vita per sfuggire alla morte, la nuova pasqua è invece un passaggio verso la morte per ritornare in vita. Questa la sua novità ed è a questa novità che ormai i discepoli di Gesù dovranno prepararsi. Vive la Pasqua chi sa entrare con Gesù nella morte, poiché la sua Pasqua è dalla morte verso la vita, non è una liberazione dalla morte, ma un entrare profondamente, essenzialmente, vitalmente nella morte.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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