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COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2019 15:05
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09/01/2012 21:29
 
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La condanna a morte.

Da quel momento Pilato cercava di liberarlo;

Dalla risposta di Gesù che non era sulla domanda postagli, ma sull’affermazione del potere di vita e di morte che Pilato avrebbe potuto esercitare in qualsiasi momento, Pilato comprende che Gesù sa la verità dei fatti, sa chi è lui e sa chi sono i sommi sacerdoti e per questo ora cerca di liberarlo.

Gesù non solo è un uomo giusto, è anche un uomo che conosce l’uomo, sa anche il motivo della sua azione. Questo Pilato non lo sa, la storia gli sfugge di mano, i cuori non sono in suo potere; mentre per Gesù tutto è chiaro, più che la luce del sole a mezzodì.

Per Pilato tutto diviene più chiaro, la sua mente si schiarisce; Gesù è giusto, saggio, conoscitore degli eventi, sa chi è più colpevole, da chi è meno colpevole. Quell’uomo che gli è dinanzi è portatore di un mistero indecifrabile ai suoi occhi, ma pur tuttavia portatore di un mistero e per questo vuole liberarlo. Questa la sua decisione in seguito all’ultimo colloquio. Ma lui è un debole.

ma i Giudei gridarono: « Se li­beri costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare ».

Prima i Giudei gridano che Gesù deve essere condannato perché si è fatto re dei Giudei. Visto che quest’accusa non ha alcun peso nel giudizio di Pilato, la cambiano e accusano Gesù di essersi fatto figlio di Dio. Poiché neanche questa seconda accusa ha preso piede nella mente e nel cuore di Pilato, ritornano alla prima, ma capovolta.

Non è più Gesù che è accusato, viene accusato Pilato. L’accusa che gli rivolgono, se dimostrata vera, era per lui morte politica e non solo, sarebbe stata anche morte civile e persino morte fisica.

Viene accusato Pilato di cospirazione politica, di connivenza. Gesù si è fatto re, così facendosi si è messo contro l’imperatore di Roma che non tollerava soprusi politici nel suo impero. Pilato vuole liberare un nemico di Cesare, vuole mandare in libertà uno che lotta contro Cesare. Se lui dovesse fare una tale azione, significherebbe ai loro occhi che egli non è un amico vero, sincero di Cesare, egli è un amico apparente ed un nemico nascosto; la liberazione di Gesù lo confermerebbe.

Veramente diabolici questi Giudei. Vogliono la morte di Gesù e morte deve essere ad ogni costo; poiché non riescono a convincere Pilato accusando Gesù, passano per un’altra strada, quella di accusare Pilato di essere connivente con Gesù e quindi nemico di Cesare.

Spostando l’accusa, Pilato è lui stesso coinvolto in persona, egli non ha più scelta, non può più giocare con loro e lui lo sa: c’è una sola decisione da prendere, o scegliere la sua morte politica, civile ed anche fisica, oppure optare per la morte di Gesù.

La scienza satanica di cui i Giudei sono maestri è riuscita nel suo intento. Quando non si può colpire direttamente l’innocente, lo si colpisce indirettamente, colpendo coloro che in qualche modo vogliono difendere la sua non colpevolezza. Quando un uomo è toccato lui direttamente, nella sua persona, egli sceglierà sempre per la sua persona, a meno che non sia un vero convertito ed un vero uomo di Dio.

Pilato non è uomo di Dio, non è un convertito, è un uomo debole. La debolezza lo vincerà, anche se con umana saggezza e prudenza vorrebbe prendere tempo, vorrebbe far finta di non aver capito l’accusa rivoltagli.

Udite queste parole Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà.

Pilato riconduce fuori Gesù. Assume ora la posizione del Giudice. Sta per emettere la sentenza. Ormai si può anche presagire quale sarà. Ma prima tenterà ancora un inutile gioco con i Giudei. Ma lui lo sa che è un gioco ed anche i Giudei. Tuttavia da questo gioco emergono delle verità che è giusto che vengano prese in esame e prospettate in tutta la loro gravità.

Era la Preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re! ».

Poiché per loro Gesù è re, Pilato si prende gioco di loro e beffandosi e schernendoli presenta loro il loro re.

Pilato sa che Gesù non è re di Roma, né contro Roma. La condanna di Gesù è un fatto interno al giudaismo. Ecco perché lui lo presenta con delle parole precise: “Ecco il vostro re!”. Il re è vostro, voi volete ucciderlo perché non lo volete riconoscere come il vostro re. Questa la verità, voi non lo volete uccidere perché è re contro Roma, lo volete uccidere come vostro re.

In questa frase di Pilato è contenuto tutto il dramma religioso dei Giudei. È questa la verità, non ce ne sono altre; tutte le altre “verità” fin qui addotte, sono solo di facciata, servono a coprire il cuore e quanto vi è in esso. Se Gesù è rifiutato come loro re, significa che essi non lo vogliono come messia, come inviato di Dio, poiché il re che sarebbe venuto in Israele sarebbe stato solo il Messia e come tale egli era stato accolto nel suo ingresso trionfale in Gerusalemme qualche giorno prima.

Prima i Giudei avevano messo Pilato alle strette, ora è Pilato che mette loro dinanzi alle loro responsabilità. Se vogliono condannare Gesù lo devono condannare perché è il loro re, lo devono condannare perché è il loro Messia, come tale lo devono rifiutare, come tale devono ora chiedergli che venga condannato alla morte di croce.

Ad ognuno le sue responsabilità. A Pilato è stato chiesto di assumersi le sue, ora Pilato chiede che si assumano le loro. Lui condannerà Gesù, ma non come un sovvertitore dei principi di governo del popolo dei Romani, ma come un “sovvertitore” del costumi e dei principi che regolano l’agire dei Giudei.

Ma quelli gridarono: « Via, via, crocifiggilo! ».

A loro non interessa il motivo della condanna, interessa solo che venga crocifisso e subito. Gesù non deve più rimanere su questa terra ed il modo per toglierlo di mezzo è solo la crocifissione. Pilato dunque deve fare subito, deve emettere la sentenza di condanna a morte per crocifissione.

Quando il cuore è governato dall’invidia, questa acceca e non riescono neanche a capire la sottigliezza e lo spostamento di motivo di colpevolezza operato da Pilato. Tanto può l’invidia e la gelosia, quando rendono duro come pietra il cuore e la mente di un uomo, di una categoria di uomini.

Disse loro Pilato: « Metterò in croce il vostro re? ».

Pilato non cede. Loro devono volere la morte di Gesù come il loro re. Questa è la condizione. Se loro non confesseranno che Gesù è il loro re, egli non consegnerà loro Gesù.

Risposero i sommi sacerdoti: « Non abbiamo altro re all'infuori di Cesare».

Ma loro non cedono. Loro non riconoscono Gesù come loro re. Loro re è solo Cesare. Al di fuori di Cesare loro non hanno re.

Pilato avrebbe voluto che Gesù fosse condannato come loro re. Loro invece non solo non riconoscono Gesù come loro re, non riconoscono nessun altro se non Cesare.

Questa loro confessione di fede è l’apice del rinnegamento di Dio, poiché secondo la loro fede Dio era il Re d’Israele e quanti lo governavano come re, lo facevano solo in suo nome e con la sua autorità. Rinnegando Cristo come loro re, devono necessariamente rinnegare Dio, il vero, il solo, l’unico re che lo aveva inviato perché in suo nome governasse e reggesse il suo popolo.

Se Cesare è il loro re, e Cesare è un pagano, uno senza Dio, anzi un idolatra, perché lui stesso si era considerato Dio, si era fatto Dio, quanti lo hanno scelto come re, mettendolo al posto di Dio, hanno scelto l’idolatria come via della loro fede.

Il processo secondo il quarto Vangelo non è fatto a Gesù, è fatto al popolo di Dio, il quale ora confessa perché esso è contro Gesù. Esso è contro Gesù, lo vuole tolto di mezzo, vuole che sia condotto per essere crocifisso, perché egli gli ricorda il vero Dio, ed esso non ha vero Dio, non ha il Dio dei Padri come suo Dio, suo Dio è l’uomo, che sia un Cesare o un altro uomo, ha poca importanza. È evidente il motivo della condanna di Gesù, palese, a tutti manifesto.

Pilato, che è il rappresentante del mondo, attesta alla storia che Gesù viene tolto di mezzo a causa di questa apostasia del popolo di Dio. Il processo si può chiudere e di fatto si chiude. Non c’è più bisogno che Pilato tergiversi, che si prenda ancora del tempo. Gli attori si sono manifestati, sappiamo chi sono, cosa vogliono

Gesù vuole che il Padre suo sia riconosciuto come l’unico vero Dio, l’unico vero Re, lui è il Messia, l’inviato di questo vero ed unico Re ed è venuto per condurre loro alla vera regalità, che è quella del Padre suo. Il Signore è il mio Pastore da quando esisto. Questo avrebbero dovuto confessare e gridare i capi dei Giudei.

I Giudei invece hanno abbandonato il vero Dio, lo hanno rinnegato, non vogliono più accoglierlo, loro ormai hanno il mondo, sono del mondo, appartengono al mondo e il mondo ha un suo re, Cesare. Loro sono per Cesare, non possono essere per il Signore né per chi il Signore ha inviato.

Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

Ora che tutto questo è chiaro, Pilato può uscire di scena, può andarsene, e se ne va convalidando la loro scelta di ateismo e di apostasia. Egli non difende più Gesù, non deve neanche difenderlo, sarebbe inutile ogni tentativo di difesa; avendo essi scelto Cesare, in qualsiasi altro modo avrebbero condannato Gesù. Gesù è morto nel loro cuore, deve morire dalla loro storia. Gesù non serve loro, ma Gesù non serve a chiunque ha deciso di avere come suo re Cesare.

Ci spieghiamo ora perché per Giovanni i particolari storici non sono essenziali. Lui, come sempre, va al cuore della verità, all’essenza del rapporto tra Gesù e il suo popolo e mette in luce la verità che sta dietro i singoli episodi, i singoli eventi. Questa verità fa sì che si possano leggere le ultime ore di Gesù con occhio di vera luce e quindi vedere la storia dal di dentro di essa.

Vista dal di dentro la storia rivela le vere ragioni della morte in croce di Gesù e queste ragioni sono l’idolatria e l’apostasia, la non conoscenza di Dio che diviene aperta confessione di ateismo ed appartenenza totale al mondo. Chi si fa governare da Cesare non può essere governato da Dio.

Lo dimostra il fatto che quando Cesare ha voluto governare i discepoli di Gesù, questi si sono lasciati rimettere in croce assieme al suo Maestro, ma non hanno rinnegato Dio, il vero Dio, quel Dio che l’Inviato di Dio, Gesù, aveva loro fatto conoscere secondo verità.

La crocifissione.

Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due uno da una parte e uno dall'altra, e Gesù nel mezzo.

Viene qui descritto con rara semplicità, senza eccedere in nessun particolare storico, che non fosse necessariamente indispensabile, quanto è avvenuto dopo che Pilato decise che Gesù fosse crocifisso.

Essi, grammaticalmente parlando sono i Giudei. Sono costoro che prendono Gesù anche se tutto ciò che avviene avviene per mezzo di soldati romani. Sono pertanto loro i veri autori, gli autori della crocifissione di Gesù, chi lo crocifigge manualmente, è solo un loro operaio, ma senza alcuna responsabilità, se non quella che deriva da una qualche assunzione di iniziativa personale contro Gesù. Di questi saranno sicuramente responsabili, ma non della crocifissione.

Gesù è crocifisso in mezzo ad altre due persone. Non si dice chi esse fossero, né che reato avessero commesso. Si dice solamente che Gesù è in mezzo a loro due, che uno è da una parte e uno dall’altra.

Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei».

Pilato vuole che tutto il mondo sappia perché Gesù è stato crocifisso. Il vero motivo per cui Gesù è stato condannato è perché è stato riconosciuto, o meglio accusato di essersi fatto re dei giudei.

Viene qui convalidata la motivazione della sentenza, ma convalidando la motivazione, viene anche resa pubblica l’apostasia dei Giudei, poiché loro lo hanno misconosciuto come loro re, proclamando pubblicamente, dinanzi al mondo, che loro non hanno re, il solo loro re è Cesare.

Molti Giudei lessero questa iscri­zione, perché il luogo dove fu crocifisso Gesù era vicino alla città, era scritta in ebraico, in latino e in greco.

Inoltre, poiché l’iscrizione è in latino, in greco e in ebraico, tutto il mondo conosce la vera motivazione. Gesù non è stato condannato perché è stato riconosciuto come il Messia di Israele. È stato condannato perché i Giudei lo hanno presentato a Pilato perché lo condannasse, essendo stato da loro accusato di essersi fatto re. Quindi Pilato ha scritto bene, sapeva quel che scriveva. Ha scritto il risultato del processo. Non poteva scrivere altro, perché altro non è emerso dal confronto tra Gesù e i suoi accusatori.

l sommi sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: « Non scrivere: il re dei Giudei, ma che egli ha detto: lo sono il re dei Giudei ».

I sommi sacerdoti dei Giudei, che avevano ben capito il senso di quelle parole e che dinanzi alla storia avrebbero sempre gridato il loro tradimento della fede nel Dio dei Padri, vorrebbero che Pilato cambiasse la scritta. Vorrebbero che egli scrivesse un altro motivo di condanna. Da Gesù Nazareno: il re dei Giudei; avrebbe dovuto scrivere: Egli ha detto: Io sono il re dei Giudei”.

Essi vorrebbero che Gesù fosse condannato per una specie di zelotismo, per esaltazione politica, come reazionario al regime di Roma. Ma questo non era emerso dal processo e quindi Pilato avrebbe dovuto emettere una motivazione non riguardosa della storia, in aperto contrasto con essa.

Gesù è per natura il re dei Giudei, per natura divina e per natura umana, poiché come tale fu consacrato da Dio. Gesù non può passare alla storia come un ribelle contro un’autorità, un sedizioso, uno zelota, e neanche come un povero esaltato che ha pensato con la sua forza di ribellarsi al potere di Roma, che in quei tempi era inflessibile e puniva con crudeltà ed atrocità ogni violazione della legge che reggeva i rapporti con i popoli vinti.

Gesù non è tutto questo e Pilato lo ha scritto. Tutto il mondo ora lo sa. I sommi sacerdoti vogliono invece che il mondo non lo sappia e per questo chiedono a Pilato il cambiamento della motivazione della condanna.

Rispose Pilato: « Ciò che ho scritto, ho scritto ».

Pilato è invece decisamente per la sua motivazione e questa volta non accetta compromessi, né suggerimenti. Quello che ho scritto, ho scritto e così dovrà rimanere, per sempre, nella storia, nei secoli e nell’eternità.

Dio è con Gesù, ogni dettaglio, anche se piccolo, o apparentemente insignificante, deve essere collocato nella verità, al suo proprio posto. E tutto nel Vangelo secondo Giovanni riceve il suo posto nella verità; niente viene trascurato. Questa la bellezza del quarto Vangelo. Veramente Giovanni è l’aquila dall’occhio profondo che sa scandagliare gli abissi, penetrare il mistero di Dio e dell’uomo e mettere ogni cosa al suo posto, al posto che occupa nella verità.

È giusto pertanto che ciò che Pilato ha scritto resti scritto per i secoli eterni.

l soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica.

Era consuetudine che ai soldati appartenessero gli abiti dei condannati. Essi prendono le vesti e ne fanno quattro parti. Ma c’è anche la tunica di Gesù.

Ora quella tunica era senza cuci­ture, tessuta tutta d'un pezzo da cima a fondo.

Questa tunica è senza cuciture, è un unico pezzo, da cima a fondo. Che fare di essa? Sarebbe un errore dividerla, ma d’altronde ognuno deve averne un pezzo, così è la consuetudine e l’usanza.

Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca. Così si adempiva la Scrittura:

Essi pensano allora di non stracciarla, di non dividerla in quattro parti, avrebbero rovinato la tunica e con le parti ricavate non avrebbero potuto trarre nulla di buono.

Decidono invece di tirarla a sorte. Su chi sarebbe caduta la sorte, costui sarebbe stato il proprietario dell’intera tunica.

Si son divise tra loro le mie vesti
e sulla mia tunica han gettato la sorte.

Inconsciamente ed inconsapevolmente i soldati compiono la Scrittura che aveva previsto anche questo del Messia. Coloro che sarebbero stati i suoi carnefici, avrebbero diviso tra di loro le sue vesti e sulla sua tunica avrebbero gettato la sorte.

La testimonianza della Scrittura è attestazione della verità della regalità di Gesù, poiché la Scrittura dice questo e lo predice del Messia. Il Messia, l’Unto del Signore, dopo essere stato condannato, nell’atrocità del supplizio gridava a Dio la sua condizione e quanto stava avvenendo attorno a lui.

E i soldati fecero proprio così.

Viene qui posto il sigillo all’affermazione della Scrittura, alla sua testimonianza. Gesù è il vero re d’Israele. Lo ha attestato Pilato che lo ha condannato per questo motivo, lo conferma la Scrittura che prevede e profetizza quanto a lui sarebbe capitato nell’ora della sua crocifissione.

La Chiesa ha sempre visto nella tunica di Gesù se stessa, la sua unità. Ciò che i soldati non fecero, molti dei suoi figli lo hanno fatto, lo fanno e lo faranno: dividerla non in molte, ma in infinite parti.

La bellezza della Chiesa è la sua unità; nell’unità è la sua forza, la sua testimonianza, la sua credibilità. Questo vale per la Chiesa universale, ma anche per ogni realtà locale, diocesi, o parrocchia, o altra forma, nella quale la Chiesa universale viene resa presente.

La Chiesa universale vive sempre in una realtà particolare e questa realtà particolare deve sempre esprimere l’essenza della Chiesa che è una.

Perché questo avvenga e si compia è necessario camminare nella verità e la verità è data dalla Parola di Gesù. Chi si allontana dalla Parola, chi la Parola non conosce, chi la ignora, chi presume di conoscerla, tutti costoro divengono, prima o poi, “divisori” della Chiesa, spaccano la sua unità e la riducono in pezzi, se non in frantumi.

Ma camminare nella Parola costa il sacrificio della propria vita, quell’umiltà che è capace di annientamento, di rinnegamento di sé, come Gesù ha insegnato ai suoi discepoli.

Chi vuole costruire l’unità della Chiesa deve lasciarsi lui frantumare dalla Parola per divenire una cosa sola con la Parola. Questo è il segreto. Ma lasciarsi frantumare è perdere la propria identità umana. Chi si lascia frantumare perde tutto se stesso, ma perdendosi si ricompone nella Parola e ricomponendosi in essa riacquista l’identità della Parola.

Divenuto una cosa sola con la Parola egli diviene costruttore dell’unità della Chiesa, perché sa qual è la giusta via per far sì che non solo la Chiesa rimanga una, sia in verità quella che Gesù ha voluto che essa sia, ma anche cresca nell’unità e coinvolga tutti i suoi figli perché si lascino frantumare dalla Parola e divenire una cosa sola con essa.

I santi, che sapevano questo si sono lasciati frantumare, hanno consacrato la loro vita alla verità, sono diventati una sola realtà con la Parola e hanno ricucito gli strappi che altri avevano operato nella tunica inconsutile di Gesù, nella sua santa Chiesa. Questo è il mistero e la forza della santità. Dove il peccato divide e separa, crea lo scisma, la santità unifica, ripara, fa crescere quell’unità che è la credibilità della Chiesa, perché espressione della sua carità.
Gesù e sua madre.

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala.

Viene qui precisato chi sta presso la Croce. Accanto a Gesù vi sono tre donne, tre “Maria”: Maria, la Madre di Gesù, Maria di Cleofa, Maria di Magdala.

Poiché è la prima volta che si parla di Maria di Cleofa e di Magdala, diviene difficile l’identificazione di esse. Pensare che sia una donna già precedentemente presentata, ma con altro nome, diviene impossibile poterlo giustificare.

Ciò che il Vangelo dice, lo si chiarifica e lo si comprende; ciò che il Vangelo non dice, se non lo dice, non lo dice per una ragione assai importante e quindi dobbiamo rispettare anche il suo silenzio.

Il Vangelo non è curiosità, non è ricerca di particolari storici, esso deve rimanere sempre un lieto annunzio, una buona novella, una proclamazione di gioia e come tale deve essere sempre conservato.

Ciò che invece è interessante cogliere è la presenza di queste tre donne accanto a Gesù. Degli altri non c’è nessuno, tranne che Giovanni, il discepolo che Gesù amava.

La sequela è fino in fondo, ma andare fino in fondo costa il sacrificio di noi stessi. Gesù lo aveva detto: molti sono i chiamati, pochi gli eletti. Sono pochi coloro che arrivano fino ai piedi della croce, per vivere il martirio dello spirito assieme a Gesù.

In queste poche righe si potrebbero leggere tante altre cose: la grande sensibilità di amore della donna, che quando ama, ama veramente in modo vero Gesù; l’aridità invece dell’uomo, che sovente resta fuori del mistero di Gesù, anche se opera e lavora per lui; la sproporzione tra le donne presenti alla croce e gli uomini: tre a uno, anche se il numero è sempre simbolico e non reale nella scrittura. Tuttavia è innegabile la presenza delle donne e l’assenza degli uomini.

È possibile anche vedere la giusta modalità di come si segue il Signore attraverso la presenza di Giovanni. Può arrivare sino al Golgota, al luogo del cranio, può assistere Gesù che muore e raccogliere le sue ultime volontà solo colui che ama il Signore. Chi non lo ama, chi non lo ha messo al primo posto nel suo cuore, segue Gesù per un certo tempo, poi se ne allontana, non ce la fa, perché solo l’amore è la forza della sequela e segue Gesù solo chi lo ama più della propria vita.

Gesù allora, vedendo la madre e Iì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: « Donna, ecco il tuo figlio! ».

Gesù, lasciandosi crocifiggere, ha già dato tutto di sé all’uomo. Fra qualche istante riverserà su di lui lo Spirito Santo e per sua opera il Padre suo diventerà anche Padre del Discepolo. Viene con la morte di Gesù dato all’uomo tutto Dio, in una relazione nuova, operata dallo Spirito, che crea l’uomo come nuova creatura, lo crea come figlio del Padre, in Cristo Gesù, nella sua santità.

Ma Gesù non ha solo il Padre e lo Spirito Santo e se stesso da donare al suo discepolo. Possiede anche un bene grandissimo, il più alto bene, che gli viene dalla sua incarnazione: la Madre sua, che per Gesù, è un bene uguale al Padre, pur nella differenza di divinità che separa i due beni. Il Padre è Dio e gli ha dato la vita come Dio, ha ricevuto da lui per generazione la personalità divina. Dio è il sommo bene per lui, su di lui deve riversare tutto il suo amore.

Anche la Madre ha dato a lui la vita per generazione, la sua natura umana viene da Maria, ma venendo da Maria la sua natura umana, da Maria non è nata la natura umana, è nata la Persona divina. Maria è vera Madre della Persona divina - come Dio è vero Padre della Persona divina - anche se in ragione della sua umanità. Da Maria è nata la Persona divina nella sua umanità ed è per questo che ella a giusto titolo è detta Madre di Dio.

Questo bene così prezioso egli ancora non lo ha dato a nessuno. A chi può darlo se non al discepolo che egli ama? Ma come può darlo al discepolo, se questi non viene costituito figlio di Maria?

Prima Gesù costituisce sua Madre Madre del Discepolo. Dobbiamo anche chiederci il perché di questa priorità. Prima viene la Madre, è la Madre che genera il Figlio; se la Madre non genera, il figlio non esiste. Gesù dona una priorità che è poi nell’ordine naturale delle cose, che diviene anche ordine soprannaturale.

Avendola Gesù costituita Madre del discepolo, conferisce alla Madre sua una maternità universale che ella dovrà vivere per tutto il tempo della storia e dovrà conservare per l’eternità beata, poiché nella storia e per l’eternità Maria dovrà essere madre di Gesù e madre del discepolo che Gesù ama.

Ci troviamo dinanzi al mistero della maternità mistica di Maria. Ella che aveva generato fisicamente Gesù, in Gesù deve ora generare misticamente, per mistero di grazia, ogni discepolo di Gesù. Come ogni discepolo di Gesù attraverso le acque del battesimo diviene un solo corpo con Gesù, diviene per opera dello Spirito Santo, figlio di Maria. Questo il grande dono che Gesù fa dall’alto della croce alla Madre sua.

Maria così diviene Madre del Corpo mistico di Gesù, che è la sua Chiesa, ed è Madre vera del discepolo, perché il discepolo è membro vero di quel corpo che fisicamente è nato da Maria per opera dello Spirito Santo, che lo ha concepito nel suo seno verginale.

Questo deve significare per tutti che non ci può essere retta confessione sulla Persona di Gesù, che non sia confessione della divina maternità di Maria, ma anche che non ci può essere confessione retta sul corpo di Gesù, che non sia confessione della maternità spirituale e mistica di Maria verso ogni discepolo del Signore.

Averla Gesù costituita Madre del discepolo, aver dichiarato dall’Alto della croce che il discepolo che Gesù amava è il figlio di Maria, vero, reale figlio, anche se non fisicamente figlio, poiché il concepimento non è avvenuto nel suo seno ma nel suo spirito, sempre per opera dello Spirito Santo, nelle acque del battesimo, ciò non significa che tutto sia compiuto.

Questo vale anche per Gesù. Pur avendo egli compiuto la redenzione del mondo una volta per tutte per opera della sua passione, morte e risurrezione, ciò non significa che l’uomo di per se stesso è salvo. È salvo se accoglie la verità e la grazia e le fa fruttificare nel suo cuore.

E così occorre che anche il discepolo voglia riconoscere Maria come Madre e per questo viene invitato da Gesù a vedere Maria come sua Madre.

Poi disse al di­scepolo: « Ecco la tua madre! ».

Con queste parole viene costituita una relazione di reciprocità. Maria è data come Madre al discepolo che Gesù amava e il discepolo che Gesù amava viene dato a Maria come suo figlio. Donna, ecco tuo figlio! Figlio, ecco tua Madre!

È necessario che vi sia questa reciprocità di figliolanza e di maternità, non basta che la madre generi, è necessario che il Figlio senta di essere generato dalla Madre. Non solo lo senta, lo sappia, perché dalla conoscenza della sua vera Madre nasca nel suo cuore quel rapporto di amore, di fiducia, di abbandono, di consegna.

Senza questa scienza e conoscenza mai il discepolo avrebbe potuto consegnarsi a Maria, sarebbe stato un rapporto da Maria verso il discepolo, ma non dal discepolo verso Maria. Invece il rapporto deve essere reciproco: da Maria verso il discepolo e dal discepolo verso Maria, da vera Madre e da vero figlio.

L’amore del discepolo di Gesù verso la Madre sua è amore filiale, che deve essere rispetto, fiducia, abbandono, consegna, lode, benedizione, ringraziamento, onore, canto del cuore, desiderio di comunione e di vicinanza, volontà di essere sempre assieme a lei in questa vita e nel regno dei cieli. Da questa duplice relazione, ascendente e discendente, dalla Madre verso il Figlio e dal Figlio verso la Madre, nasce la Pietà Mariana, che non può essere solo pia pratica religiosa, ma vero amore. L’amore è custodia della volontà di Gesù, che è anche volontà di Maria, desiderio che il discepolo compia tutta la volontà di Dio contenuta nella Parola di Gesù.

Nasce quel culto verso la Madre del discepolo, oltre che Madre di Gesù, che ha contrassegnato tutta la storia della Chiesa di Gesù, specie della Chiesa cattolica, dove veramente Maria è vista e pensata come la Madre del discepolo.

E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.

E tuttavia non è sufficiente che Gesù l’abbia data al discepolo come Madre, una madre si accoglie, si riconosce, si confessa privatamente e pubblicamente come la propria Madre.

È quello che fa il discepolo, il quale la prende nella sua casa, l’accoglie nel suo cuore; riceve e costituisce il bene prezioso che Gesù gli ha lasciato come testamento dall’alto della croce.

Ormai ci sarà una sola unità di Madre e di Figlio; qualora questa unità dovesse essere disciolta, abbandonata, sarebbe anche la fine del discepolo, il quale ormai esiste non nella relazione tra Gesù e lui, ma nella relazione tra sua Madre e lui.

Gesù salendo al cielo ha voluto che la relazione con lui passasse attraverso la relazione con la Madre sua e che tra il discepolo e sua Madre vi fosse la stessa relazione che vi è tra lui e la Madre; la sua è una relazione di Madre-figlio.

Il discepolo di Gesù esiste in questa relazione di Madre-figlio e fuori di questa relazione non c’è relazione con Gesù, perché se la relazione sua è quell’esistenza di Madre e di Figlio, nessuna altra relazione potrà essere vera con lui, se non in questa relazione dettata dall’Alto della croce e che vuole che Madre e Figlio siano un’unità inscindibile, inseparabile per i secoli eterni.

La questione Mariana non è accidentale nel dialogo ecumenico, essa è essenziale, quanto è essenziale la nostra relazione con Gesù, ma poiché Gesù è in relazione con la Madre ed in questa relazione di maternità ha incluso ogni suo discepolo, non c’è vero discepolo di Gesù se non in questa relazione. Ora se non esiste il discepolo vero di Gesù se non in questa relazione, questa relazione non può essere secondaria, accidentale, deve essere essenziale di necessità. Maria non può uscire dalla vita del credente come non può uscire dalla vita di Gesù.

Abbiamo precedentemente detto che per Gesù non c’è differenza come rapporto filiale tra il Padre celeste e la Madre terrena. Tutti e due gli hanno dato la vita, tutti e due sono per lui uguali quanto al dono della vita, anche se differisce la vita che l’uno e l’altro gli hanno dato.

Questo stesso discorso vale per il discepolo che Gesù amava. Il discepolo è concepito per opera dello Spirito Santo quale figlio di Dio nelle acque del battesimo, ma per nascere figlio di Dio, deve inserirsi nel corpo mistico di Gesù, che è il corpo nato da Maria. Divenendo un solo corpo con Cristo, diviene figlio di Maria e quindi la nascita dallo Spirito che lo fa figlio di Dio lo fa anche figlio di Maria. Come per il Cristo la doppia nascita pone il suo spirito in una stessa intensità di amore per il Padre suo celeste e per la Madre sua terrena; così il discepolo deve sempre vivere una sola intensità di amore, nello Spirito Santo, sia per il Padre suo che per la Madre sua celeste.

C’è un unico amore, anche se orientato per il Padre e per la Madre; se c’è un unico amore, questo amore deve rimanere indiviso per tutta l’eternità. Volerlo dividere è come distruggerlo, è dichiarare non amore l’amore verso il Padre. Non sarà mai possibile amare il Padre di un amore vero se non si ama la Madre di un amore vero, perché è un unico concepimento, un’unica nascita, una sola vita in Cristo Gesù.

È in questo amore dovuto il principio del vero culto a Maria ed è anche in esso che questo culto cresce, si sviluppa, si purifica e si rinnova, poiché il vero amore è sempre un amore che rinnova e ringiovanisce, purifica ed eleva il cuore alle soglie del cielo.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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