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COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2019 15:05
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09/01/2012 13:33
 
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LA RIVELAZIONE DI GESÙ AL MONDO ( 18,1-19,42)

CAPITOLO DECIMO OTTAVO
L'arresto di Gesù.

Detto questo, Gesù uscì con i suoi discepoli e andò di là dal torrente Cèdron, dove c'era un giardino nel quale entrò con i suoi di­scepoli.

Gesù lascia il Cenacolo con i suoi discepoli, abbandona anche la città di Gerusalemme, oltrepassa un piccolo torrente chiamato Cèdron, ed entra in un giardino appartato, solitario.

Comunemente questo giardino è detto “Orto degli ulivi”, a causa delle piante di ulivo che vi si trovavano. Gesù vi si recava quando era a Gerusalemme a causa della riservatezza del luogo, perché era possibile mettersi in preghiera ed entrare in comunione con il Padre suo, senza che alcuno disturbasse, o distraesse la sua anima nel colloquio con il Cielo.

Anche Giuda, il traditore, conosceva quel po­sto, perché Gesù vi si ritirava spesso con i suoi disce­poli.

Viene qui precisata una notizia di importanza storica. Sappiamo che Giuda era uscito dal Cenacolo non appena era iniziata la Cena; egli era andato dai sommi sacerdoti per rivelare ciò che avrebbe fatto Gesù in quella notte, conoscendo le sue abitudini e la sua volontà di solitudine e di preghiera. Spesso anche Giuda si era trovato con Gesù nel giardino e quindi lo conosceva bene.

Giuda pertanto sapeva dove sarebbe andato Gesù in quella notte e sapeva anche muoversi nel giardino in quanto di sua conoscenza.

Giuda dunque, preso un distaccamento di sol­dati e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei, si recò là con lanterne, torce e armi.

Viene qui confermato cosa ha fatto Giuda non appena uscito dal Cenacolo. Egli andò dai sommi sacerdoti e disse che avrebbe potuto in quella notte consegnare loro Gesù, dicendo anche dove avrebbe potuto sicuramente trovarlo.

I sommi sacerdoti e i farisei, che non attendevano altro, gli fornirono dei soldati e con questi egli si recò nel giardino in assetto di guerra, pronto cioè per poter catturare Gesù. Le lanterne e le torce servivano per vedere e quindi potersi muovere con disinvoltura, ma anche per riconoscere Gesù e catturarlo, senza possibilità di errore.

Gesù allora conoscendo tutto quello che gli doveva accadere, si fece innanzi e disse loro: « Chi cercate? ».

Nel Vangelo di Giovanni viene omessa la preghiera di Gesù ed il sonno dei discepoli. Giovanni ha appena riferito la lunga preghiera che Gesù ha rivolto al Padre e quanto riportato contiene nell’essenza la richiesta del compimento della sua volontà, anche se è espresso in termini di glorificazione.

Gesù sa cosa Giuda è venuto a fare; sa cosa vogliono da lui i soldati che lo accompagnavano; sa cosa essi avrebbero fatto. Con piena conoscenza dei fatti futuri, ma anche per coscienza pronta al compimento della volontà del padre, si fa innanzi e domanda loro chi fossero venuti a cercare.

Gesù lo sa che cercano lui, ma vuole che loro lo dicano apertamente, che manifestino il motivo del loro essere lì, in quella notte, in quel luogo.

Potremmo anche chiederci il motivo della domanda di Gesù e la risposta può essere una sola. Quando l’ora giunge, ognuno dovrebbe saperla riconoscere; allora non è più il momento di tirarsi indietro, bisogna andare incontro alla propria ora con determinazione, decisamente, senza indugiare, senza ritardare il suo compimento. L’obbedienza al Padre deve essere sempre pronta, sollecita, decisa, puntuale.

Gli rispo­sero: « Gesù, il Nazareno ».

Loro cercano solo Gesù il Nazareno. Gesù è qui detto Nazareno, perché ritenuto nato a Nazaret. La radice ebraica di Nazareno secondo il vangelo di Matteo è Nazir che significa radice; Gesù è in verità la radice che spunta dal tronco di Iesse, egli è il Messia di Dio atteso da secoli, ma ora presente in mezzo al suo popolo. Loro cercano Gesù, la radice di Iesse, Gesù il Messia.

Disse loro Gesù: « Sono io! ».

Con altrettanta verità Gesù si manifesta loro, dichiara la sua essenza. “Sono io!”.

Da ricordare che “Io sono”, “Sono io”, non solo indica la presenza di una persona dinanzi a chi lo interroga, ma nel vangelo di Giovanni ha una sua particolare significanza rivelazionale. “Io sono” è il nome di Dio, Gesù è “Io sono”, “Io sono” è il suo nome.

Vi era là con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse « Sono io », indietreggiarono e caddero a terra.

Giuda è con loro, è lui la loro guida. Egli è chiamato qui con il nome che conserverà nella storia. Il Traditore. Traditore perché ha consegnato (da tradere=consegnare) l’amico ai suoi nemici. Questo è il suo peccato ed è un peccato grave perché l’amicizia è la cosa più sacra che possa esistere tra gli uomini e per nulla al mondo essa si può tradire. Il suo peccato è grave perché lo ha fatto per denaro.

Che sia un venduto alla causa dei sommi sacerdoti e dei farisei lo dimostra il fatto che sia proprio lui a guidarli presso Gesù. Quindi è un tradimento consumato in ogni sua parte e per di più con coscienza e volontà di partecipazione alla sua cattura. Il peccato è ancora più grave, poiché non ha avuto timore di incontrare lo sguardo del suo Maestro, anzi lo ha sfidato, poiché gli è andato incontro facendo da guida perché fosse catturato senza errore di sorta.

I soldati e quanti erano presenti, al sentire “Sono io” indietreggiano e cadono a terra. È questa una manifestazione della potenza di Gesù, di quella custodia che il Padre aveva posto attorno a lui. Questo evento vuole significare a noi che non è in mano dell’uomo poter catturare o fare del male agli inviati di Dio, ed in modo del tutto particolare, a Gesù Signore, che è l’inviato del Padre, che è “Io sono”, senza che il Padre dei cieli lo permetta e se lo permette è segno che è arrivata l’ora della consegna, l’ora della cattura, l’ora del processo e della condanna.

Domandò loro di nuovo: « Chi cercate? ».

Gesù a questo momento avrebbe potuto andarsene, senza che nessuno avrebbe potuto mettere le mani su di lui. Invece, sapendo qual era la volontà del Padre e quale il desiderio del suo amore, nuovamente domanda chi stessero cercando.

Questo anche per dimostrare a Giuda che egli non è catturato a causa del suo tradimento e neanche a causa dei soldati. Giuda ha visto la fine che hanno fatto i soldati, non appena Gesù ha proferito la sua identità. Egli è catturato solo perché si lascia catturare, solo perché è volontà del Padre che lui dia compimento alla sua missione.

Ri­sposero: « Gesù, il Nazareno ».

Evidentemente il distaccamento dei soldati non conosceva direttamente Gesù. E nonostante che per la seconda volta Gesù domandasse loro chi stessero cercando, essi non lo riconoscono e rispondono che l’oggetto della loro ricerca è Gesù, il Nazareno.

Giovanni ha una visione tutta teologica della vita di Gesù e pertanto tralascia alcuni particolari storici, che sono stati riportati dagli altri Evangelisti, quali il bacio di Giuda.

Egli mette in evidenza nel suo Vangelo non l’accaduto storico, ma la volontà di Gesù e la sua decisione presa dinanzi al Padre di andare incontro alla morte e alla morte di croce. È questa decisione che determina e consente che l’atto storico del tradimento si compia, senza di essa invece niente sarebbe avvenuto, poiché la scienza con la quale Gesù leggeva e vedeva la storia prima del suo compimento gli avrebbe senz’altro consentito di evitare Giuda e il suo piccolo esercito. Questo comportamento di Gesù che precede la storia deve essere il comportamento di ogni suo discepolo. Anche lui deve andare incontro alla storia e domandare ad essa qual è l’oggetto della sua ricerca al fine di consegnarsi ad essa, se è già l’ora della consegna.

La forza dei discepoli di Gesù è la volontà del Padre che è nei cieli, per questa forza i discepoli si consegnano alla storia, ma anche la evitano, se ancora non è giunta l’ora di consegnarsi ad essa e di abbandonare questo mondo, per andare presso il Padre.

Gesù replicò: « Vi ho detto che sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano ».

Gesù nuovamente manifesta la sua identità. “Sono io”. “Io sono” la persona che voi cercate. Ma anche questa volta, pur non stramazzando a terra, non per questo possono catturarlo. Prima di catturarlo devono consentire ai suoi discepoli che sono con lui nel giardino di potersene andare via.

L’oggetto della loro ricerca è Gesù il Nazareno e solo Gesù il Nazareno deve essere catturato. Gli altri non possono essere presi insieme a lui. Ancora una volta si manifesta la straordinaria padronanza di Gesù su uomini e su eventi. Nessuno sulla terra, nel cielo, e sotto terra ha il potere di agire contro la volontà di Gesù. Basterebbe questa sua padronanza sulla storia per aprire ogni cuore alla fede in lui, fede nella sua Parola, ma anche fede nella sua Persona, che veramente è di origine divina, viene da Dio.

Perché s'adempisse la parola che egli aveva detto: « Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato ».

La parola detta è quella rivolta al Padre da Gesù nella preghiera del c. 17. Gesù non solo prega il Padre, non solo gli dice che nessuno dei suoi è andato perduto, vuole che nessuno vada perduto e per questo dona l’ordine ai soldati che catturino solo lui e lascino andare via i suoi discepoli.

Questo deve convincerci che sovente è necessario che noi non solo preghiamo, ma anche aiutiamo il Padre a compiere quanto noi diciamo nella preghiera. Ogni qualvolta è necessario che noi prendiamo una decisione di comando o di opera, essa deve essere presa, se si vuole che la parola della nostra preghiera si compia. In verità ci sono avvenimenti che dipendono anche dalla nostra fermezza e decisionalità, saperli dirigere nel momento storico è grande saggezza. Da Gesù dobbiamo imparare anche questa saggezza e sapienza nel dirigere la storia e di condurla verso un fine buono.

Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l'orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco.

Pietro non ascolta il suo Maestro, non solo non se ne va, non solo non obbedisce, passa immediatamente all’azione e pensa di difendere il suo Maestro e con una spada che possedeva, che aveva portato con sé - nel cenacolo, secondo il Vangelo di Luca ce n’erano due e Gesù aveva dato quest’ordine: “chi ha una spada la prenda”, parlando con linguaggio assai simbolico e non reale - taglia l’orecchio al servo del sommo sacerdote. Viene qui precisato anche il nome del servo che è Malco.

Ancora una volta, come tutte le altre volte, Pietro ha sempre una sua soluzione ai problemi del Maestro. Ma quando non si è nello Spirito di Dio, quando non si è ancora entrati nello Spirito di Gesù, non si può dare una soluzione divina, la soluzione che si dona è sempre umana, ma quella umana non è la soluzione di Dio, è la soluzione dell’uomo. Questa soluzione non produce salvezza, non salva la storia, anzi la incattivisce e la conduce su sentieri di non saggezza e di non sapienza divina.

Questo deve essere affermato con forza. Dona alla storia una soluzione secondo Dio solo chi è nello Spirito di Dio. Per essere nello Spirito di Dio bisogna pregare molto, ma anche amare molto, ma soprattutto dimorare nella Parola di Gesù, che è la Parola della nostra verità e della nostra vita eterna. Pietro non è nello Spirito di Gesù, perché non è nella Parola di Gesù, non è nella volontà del Padre, è nella sua volontà e nella sua decisione. Egli non ha ascoltato Gesù, il quale aveva chiesto alle guardie di lasciare andare via quanti erano con lui.

Gesù allora disse a Pietro: « Rimetti la tua spada nel fodero, non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato? ».

Gesù invita Pietro a rimettere la spada nel fodero. Per combattere il mondo ci vuole un’altra spada, ancora più forte, più robusta, più tagliente e questa spada è la Parola della salvezza. Solo con questa spada si può vincere il mondo, le spade di ferro o di acciaio non servono, queste servono solo per spargere altro sangue.

Giovanni omette la frase che si trova negli altri evangelisti: “chi di spada ferisce, di spada perisce”. Il motivo non è nel sangue che il sangue versato richiama, ma è nella visione teologica che Giovanni ha dell’ora di Gesù.

Pietro deve rimettere la spada nel fodero, perché la sua azione di combattimento, anche se è sbagliata come metodo e come forme, non è nel piano di salvezza del Padre. Nel piano di salvezza del Padre c’è ora la glorificazione di Gesù e questa necessariamente deve passare attraverso la sua passione, morte e risurrezione.

Ora non è il momento di combattere, non è l’ora di sottrarsi, di andarsene, di vincere per Gesù, è solo l’ora di bere il calice che il Padre gli ha dato.

Ancora una volta Gesù ci insegna che vari sono i momenti della storia personale di ognuno, ed ogni decisione deve essere presa in conformità al momento storico, visto ed osservato in Dio, contemplato nella sua divina volontà. Questa è la chiave per leggere quanto sta accadendo a Gesù in questi istanti, ma anche in ogni altro istante della sua esistenza terrena. Per sapere quanto Dio vuole, è necessario che l’uomo glielo chieda con umiltà e soprattutto con spirito di adorazione, riconoscendo cioè che lui è il solo, l’unico Signore, nelle cui mani noi vogliamo porre la nostra vita, perché lui ne disponga secondo la sua santissima volontà.

Gesù di fronte ad Anna.

Allora il distaccamento con il comandante e le guardie dei Giudei afferrarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli era infatti suocero di Caifa, che era sommo sacer­dote in quell'anno.

Gesù è ora afferrato e legato. Possono farlo perché è questa l’ora in cui ciò deve avvenire.

Egli viene condotto da Anna, che non è sommo sacerdote, è suocero di Caifa, il sommo sacerdote in carica.

Viene qui evidenziato il primo male del mondo. Il male risiede nel conservare la potestà senza il ministero che tale potestà conferisce. Anna non è sommo sacerdote e quindi non ha più nessuna potestà di sommo sacerdote. Non perché egli sia il suocero di Caifa, può prendere decisioni come se fosse sommo sacerdote.

Ministero e responsabilità dinanzi a Dio e agli uomini vanno insieme. Pecca chi usurpa, ma anche chi si lascia usurpare. C’è un governo che appartiene solo a chi è investito del ministero e una volta lasciato il ministero, occorre che si lascia anche il governo e la potestà ad esso connessa. Ma anche è giusto che chi assume il governo di una cosa, assuma anche la potestà e la responsabilità. È grave ingiustizia dinanzi a Dio e agli uomini, assumere un governo e lasciare la potestà agli altri. Chi non ha la forza di assumersi anche la potestà decisionale, che non si assuma il ministero, abbia la forza di rifiutarlo prima, o se dovesse accorgersi che non è possibile mantenere intatta la responsabilità derivante dall’onere assunto.

Questo male distrugge la storia, la porta in rovina, perché la priva della giusta responsabilità, la mette in mano a persone superbe, che la governano in nome di persone deboli, succubi, sottomesse ad un potere di arroganza e di sopruso. La passione del mondo è anche in questa arroganza di Anna ed in questa debolezza di Caifa.

Caifa poi era quello che aveva consigliato ai Giudei: « È meglio che un uomo solo muoia per il popolo ».

Caifa governa per interposta persona, per volontà del suocero. Ma anche lui ha le sue responsabilità nella passione di Gesù. Viene qui specificato che per una sua parola il Sinedrio ha deciso la morte di Gesù. Egli infatti aveva consigliato che sarebbe stato meglio che solo Gesù morisse e non tutto il popolo, che sicuramente sarebbe stato schiacciato dai Romani se avesse continuato ad andare dietro Gesù, attratto dai suoi segni e conquistato dalla sua Parola.

Caifa è l’uomo del calcolo politico, dell’utilità immediata, ma si tratta di un calcolo e di una utilità non secondo giustizia, ma secondo regole di opportunità. La giustizia non è mai opportunità, la giustizia è operare secondo la verità, in conformità al comandamento del Signore. Ora secondo il comandamento del Signore mai sarà possibile togliere la vita ad uno solo per salvare la vita di un popolo.

Una vita, mille vite, sono presso Dio una sola vita, perché è la vita. La vita nessuno la può togliere, ognuno invece può darla, può sacrificarla per la salvezza dei suoi fratelli. In tal caso si compirebbe l’altra parola di Gesù: Nessuno ha un amore più grande di colui che offre la vita per i propri amici.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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