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COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2019 15:05
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09/01/2012 13:30
 
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La preghiera per i discepoli.

Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato, perché sono tuoi.

Dopo aver rivelato la relazione che deve necessariamente esistere tra Padre, Discepoli, Parola e Inviato da Dio, dopo aver manifestato qual è la vera fede e su che cosa essa deve essere sempre fondata, Gesù ora prega il Padre per i suoi discepoli. Anche questa preghiera è rivelazione, manifestazione di un rapporto che per essere vissuto secondo verità, ha bisogno che divenga parte dell’unico mistero di comunione che regna tra il Padre e il Figlio.

Gesù prega per i discepoli. Viene anzitutto messo in risalto che Gesù non prega per il mondo. Il mondo non può convertirsi e quindi non ha bisogno di preghiera. Per mondo è da intendersi qui tutti coloro che ostinatamente e con risolutezza si oppongono al disegno divino di salvezza e sono già caduti nel peccato contro lo Spirito Santo, peccato che non è perdonabile né in questa vita, né nella vita eterna, dopo la morte di colui che l’ha commesso.

Gesù non può pregare per il mondo, come non si può pregare per i dannati. Se non si può pregare è perché c’è ormai una definitiva rottura con Dio. Questi non può fare suoi coloro che con volontà ferma e decisa hanno stabilito che non vogliono fare parte di quanti appartengono a Dio.

Che Gesù non possa pregare per il mondo, o che ha deciso di non pregare, dovrebbe farci riflettere, seriamente pensare, specie oggi, in cui la stessa categoria di mondo sembra non esistere più nella mentalità teologica.

Gesù prega per tutti coloro che il Padre gli ha dato e glieli ha dati in quanto erano e sono del Padre. Il Padre ha potuto dare a Gesù solo coloro che hanno voluto essere del Padre e quindi il Padre esercita su di essi la sua divina potestà di essere il loro Signore per sempre. Esercitando un tale potere, li ha dati a Gesù perché entrassero per suo mezzo nel mistero della salvezza e della redenzione.

Gesù prega per quanti erano del Padre ed ora sono suoi, perché rimangano sempre del Padre e suoi, ma per questo occorre rimanere nella parola, quindi nella sua accoglienza, e di conseguenza nella fede nella parola. La preghiera di Gesù è per la fede dei discepoli, perché essi credano e perseverino nella fede sino alla fine, ora nel momento della prova che si abbatte su di loro a causa della sua passione e morte e dopo la sua risurrezione gloriosa, quando le tribolazioni pioveranno su di loro ed avranno bisogno di radicarsi nella parola, di abbandonarsi e consegnarsi interamente ad essa, al fine di vincere la tentazione che vorrebbe, attraverso le difficoltà della storia, condurli su sentieri di non fede e di abbandono della via della vita.

Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie, e io sono glorificato in loro.

Viene, in questo versetto, rivelata la relazione esistente tra il Padre e il Figlio in ordine alle persone e alle cose. Tutto è di Dio e tutto è del Figlio, tutto ciò che è di Dio è del Figlio e tutto ciò che è del Figlio è del Padre. I discepoli sono del Padre e quindi del Figlio, sono del Figlio per essere del Padre.

Gesù è glorificato in loro, cioè nei discepoli, ogni qualvolta essi accolgono la sua Parola come Parola del Padre e la custodiscono nel proprio cuore osservandola, e donando la loro vita, come Gesù, per rimanere fedeli alla parola accolta.

Gesù è glorificato in loro, perché accogliendo la sua Parola come Parola di Dio, accolgono lui come il vero, unico inviato da Dio nel mondo per la redenzione e la salvezza dell’umanità. Chiunque accoglie Gesù come il Servo di Dio, il suo Messia, l’Eletto del Padre, costui testimonia che Gesù è vero nella sua parola e nelle sue opere e per questo lo glorifica e lo onora.

Gesù è glorificato ogni qualvolta la sua Parola produce frutti di vita eterna in coloro che l’hanno accolta e custodita con amore nel proprio cuore. Ogni fruttificazione della Parola è un segno di gloria che dalla terra sale al cielo e raggiunge Gesù. Dinanzi al mondo intero, la sua missione, attraverso la fruttificazione della parola, è riconosciuta vera, autentica, proveniente da Dio, come d’altronde lui stesso viene da Dio, perché inviato da lui.

La gloria sale a Gesù attraverso i suoi discepoli quando questi credono nella sua parola, credono in lui, vivono la sua parola, la fanno fruttificare, attestando, essi e la parola, la verità di Gesù.

lo non sono più nel mondo; essi invece sono nel mon­do, e io vengo a te.

Gesù pone adesso la differenza tra lui e i suoi discepoli ed è a causa di questa differenza che egli innalza al Padre la sua preghiera. Gesù non prega per sé, perché egli non è più del mondo; egli ormai ha vinto il mondo per sempre, con la sua morte e risurrezione è uscito per sempre dal mondo e sale in cielo, siede alla destra del Padre, va da lui.

Nel cielo la preghiera di Gesù sarà sempre di lode e di benedizione per il Padre, sarà di intercessione per i suoi discepoli e per quanti il Padre darà ai suoi discepoli come suoi, perché si salvino, accogliendo la Parola di vita.

I suoi discepoli invece sono nel mondo, che è il luogo della prova, della tentazione, dello smarrimento, del peccato, del tradimento, dell’abbandono, dell’apostasia, dell’eresia e di ogni altra lacerazione della fede.

Perché rimangano e siano sempre di Gesù, poiché il Padre glieli ha dato, è necessario che il Padre li prenda sotto la sua particolare protezione, assistenza, aiuto. Gesù vuole che il Padre non li abbandoni; se il Padre dovesse abbandonarli, perché loro si sono lasciati abbandonare dal Padre, essi non saranno più suoi, ritorneranno ad essere del mondo.

Questo pericolo è per chiunque ed ognuno ha bisogno della preghiera di Gesù. Chiederla a Gesù è anche nostro preciso dovere, perché perennemente esposti alla tentazione e alla caduta dalla fede. La tentazione contro la fede è la più dura e la più ostinata, satana sa che se cadiamo dalla fede, tutto quanto noi faremo appartiene al mondo e non più a Dio, perché noi apparteniamo al mondo e non più a Dio.

Padre santo, custodisci nel tuo no­me coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi.

Gesù chiama il Padre suo santo. In verità la santità è l’essenza stessa di Dio,. Dio è santo per essenza divina; in lui c’è solo divina carità, divino amore, divina verità.

Al Padre Santo Gesù chiede che custodisca nel suo nome coloro che gli ha dato. Custodire nel nome del Padre santo significa: custodirli nella santità del Padre, nella sua verità, nel suo amore, nella sua divina carità. Gesù vuole che i suoi discepoli vivano con il Padre la sua stessa relazione di verità e di carità, in quella obbedienza perfettissima, che in lui fu dono dell’intera sua vita per la salvezza.

Il Padre potrà custodirli attraverso il suo Santo Spirito. Questi posandosi su di loro dovrà insegnare come si ama, come si obbedisce a Dio, come si conserva pura ed integra la Parola del Padre. Egli dovrà custodirli nella verità della Parola. Se i suoi discepoli usciranno dalla Parola, usciranno dalla verità e dalla carità e non saranno più né di Gesù e né del Padre. La tentazione mira proprio a questo, a togliere i discepoli di Gesù dalla custodia del Padre per affidarli a se stessi, ai loro pensieri, alle loro preoccupazioni, ai loro desideri, alle loro scelte operative, ad ogni cosa che proceda dal loro cuore, ma non dal cuore del Padre e dal cuore di Gesù, reso presente per mezzo dello Spirito.

Gesù vuole che il Padre li custodisca perché i discepoli siamo una cosa sola, come una cosa sola sono il Padre e il Figlio. Si è una cosa sola quando si è una cosa sola con la Parola; Cristo e il Padre sono una cosa sola per la Parola che è una cosa sola tra di loro. La Parola del Padre è Parola del Figlio, la volontà del Padre è volontà del Figlio; il Figlio esprime in sé tutta e solo la vita del Padre attraverso la sua vita; tra il Padre e il Figlio c’è una sola vita che si vive, la vita del Padre nella vita del Figlio.

Questa stessa unità Gesù vuole tra i suoi discepoli. Costoro potranno essere una cosa sola a condizione che vi sia una sola Parola, una sola volontà e la Parola e la Volontà devono essere quelle del Padre che divengono e sono divenute Parola del Figlio, che diviene Parola di ogni discepolo. Se il discepolo si discosta anche di una sola “lettera” dalla Parola del Padre e di Gesù, egli non potrà più essere una cosa sola con i suoi fratelli, perché non c’è più una sola Parola che regna tra di loro. Essendo più Parole, o più comprensioni della Parola, queste molte parole creano la moltitudine tra i discepoli e non più la cosa sola che Gesù ha chiesto al Padre per loro.

Quando si parla di comunione che bisogna realizzare all’interno della Chiesa e si prescinde dalla Parola, diviene impossibile creare la comunione, che è l’essere una cosa sola di quanti credono in Cristo Gesù. Ma come si può essere una cosa sola, se non c’è una sola Parola, se manca una sola fede, se c’è differenza di fede e di parola?

Molti vedono la comunione come una unità operativa, come opera comune e quindi come unità di intenti tra i molti discepoli di Gesù: Vescovi, Sacerdoti, Popolo di Dio. L’unità operativa o l’unità d’intenti presuppone, anzi esige l’unità nella Parola. Questa unità spesso manca; su di essa nessuno si interroga; ci si interroga invece sull’altra unità, quella operativa, e si vorrebbe crearla attraverso una comune unità di intenti e di operazioni, intendendo per unità di intenti e di operazioni mettersi allineati sulla volontà di chi presiede, o di chi ha un pensiero umano più forte dell’altro, o chi vorrebbe imporre la sua volontà ai suoi fratelli.

Questo è il metodo anticristiano di creare la sola cosa, che si crea da sé una volta che si è creata l’unità nella Parola, che diviene unità di carità, unità di verità, unità di fede e di speranza. Quando si vive questa unità, il resto viene compreso nella sua relatività, nella sua storicità, di quanto è differente neanche ci si accorge, perché brilla su di noi il sole dalla comunione nella Parola di Gesù, che è Parola del Padre.

La comunione può essere e costruirsi solo nella verità, solo nella Parola; pretendere di costruirla su altre cose, su accordi umani, è la cosa più sbagliata che si possa compiere. Questa unità non regge, perché non c’è il cuore nella Parola. Quando il cuore non è nella parola esso è semplicemente con se stesso, se con se stesso non può essere con gli altri, è con gli altri solo per convenienza momentanea.

Quand'ero con loro, io conservavo nel tuo nome co­loro che mi hai dato e li ho custoditi; nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, per­ché si adempisse la Scrittura.

Gesù manifesta al Padre la sua coscienza pastorale. Egli ha agito finora con rettitudine e con verità, conformemente al comando ricevuto. Ha conservato nel nome del Padre e ha custoditi nella sua verità, o nella sua parola coloro che il Padre gli ha affidato.

Uno solo si è posto fuori della custodia di Gesù; uno solo non ha voluto essere conservato nel nome del Padre. Questo era già stato previsto; da sempre si sapeva che uno solo vi si sarebbe sottratto. Gesù è senza responsabilità dinanzi a questa sottrazione, perché lui nulla ha fatto, in pensieri ed in opere, in parole, che potesse anche incidentalmente, spingere costui ad uscire dalla custodia che il Padre gli aveva affidato.

Avere la coscienza che quanti si sottraggono alla verità, si sottraggono per loro propria colpa e responsabilità deve essere per tutti stile di lavoro apostolico. Ognuno deve vivere con il santo timore di Dio, sapendo che domani bisogna rendere conto a Dio di tutti coloro che egli ci ha dato e che per nostra colpa, o disattenzione, si sono sottratti alla custodia del Padre, nella verità e nella carità. La responsabilità pastorale è grande in tal senso ed ognuno deve assumersela e viverla nel timore e nel tremore, pensando che sempre si può compiere una trasgressione o una omissione che spinge qualcuno ad uscire dalla custodia del Padre.

La custodia è sempre nel nome del Padre, essa è cioè nella verità del Padre, che è verità del Figlio, perché il Padre l’ha data a lui, ma non è del Figlio in quanto ad origine e a provenienza. Anche questa custodia deve essere fatta da noi nello stile di Gesù. La verità non è nostra, è del Padre, e questo deve sempre apparire, essere manifesto in tutto quello che noi facciamo. Noi non dobbiamo mai avere una verità, una legge di carità, che non siano verità e carità del Padre.

L’altro che viene custodito da noi deve in ogni istante poter constatare che la custodia è nel nome del Padre, e non nel proprio nome. Se questa constatazione non è evidente e l’altro abbandona la nostra custodia, di questo abbandono noi siamo responsabili, perché non gli abbiamo manifestato l’origine divina della nostra parola e di quella obbedienza che abbiamo chiesto in nome del Padre.

Ma ora io vengo a te e dico queste cose mentre sono ancora nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia.

Gesù sta per andare presso il Padre. Da Dio è venuto a Dio sta per ritornare. Una volta che egli è ritornato presso Dio, egli ha compiuto interamente la sua missione.

Ancora però è nel mondo e la sua missione non è stata ancora totalmente portata a termine. Egli non ha ancora detto tutto ai discepoli; ora lo sta dicendo attraverso la forma della preghiera, ma è sempre una forma di rivelazione e di manifestazione del suo essere e del loro, dell’essenza del Padre e della loro vocazione all’unità che si realizza nella verità.

Gesù si rivela nella preghiera ai discepoli, rivela la sua vita, ma anche la loro vocazione, perché essi abbiano la pienezza della sua gioia. Ma qual è la gioia di Gesù? Per Gesù è una sola: aver compiuto interamente la volontà del Padre. I discepoli, sapendo che ogni cosa che Gesù ha fatto ed ogni cosa che ha detto era solo volontà del Padre, riconoscendo che egli nulla ha fatto di suo, di suo nulla ha messo, posseggono l’identità del suo vero amore per loro. È questo amore che egli ha per loro che dovrà riempirli di gioia.

Sapere che qualcuno è capace di amarci per obbedienza al Padre, perché questa è sua volontà, dona gioia. La grandezza del sacrificio si comprende dall’opera che si compie. Gesù ha dato loro la pienezza della sua gioia, essi l’hanno fatta propria, in quanto hanno accolto tutta la Parola di Gesù, che è parola del Padre. L’hanno vissuta interamente per amore, anche loro consegnano la loro vita per amare quelli che sono di Gesù e che il Padre ha consegnato loro perché li amino nel nome del Padre e di Gesù.

Quando avranno fatto questo, il loro cuore raggiungerà la pienezza della gioia e niente più vi mancherà. Ma anche loro dovranno comunicare questa pienezza di gioia ai loro fratelli, perché anch’essi si dispongano ad amare come Cristo ha amato, come loro hanno amato, dopo averlo appreso dal loro Maestro. Il Maestro lo ha rivelato loro e ha dato loro anche la sua pienezza di gioia.

Io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.

La Parola che Gesù ha dato ai suoi discepoli, non è sua ma del Padre. Questa verità deve essere sempre la luce e la guida di chi vuole operare alla maniera di Gesù e compiere la sua volontà.

È volontà di Gesù che si dia la Parola del Padre. Ma per dare la Parola del Padre bisogna porre ogni attenzione a che in essa niente di nostro venga a frapporsi. Questa cautela e circospezione deve essere al centro dei nostri pensieri e della nostra sollecitudine. Qualora si dovesse introdurre nella Parola un qualcosa di nostro, essa perderebbe la sua connotazione di essere Parola del Padre e diverrebbe nostra parola, che non salva, né apre le porte del regno dei cieli per chi dovesse accoglierla.

La Parola del Padre è l’elemento discriminante, di giudizio. Essa accolta fa appartenere a Dio, essa non accolta ci fa essere e rimanere del mondo. Con essa nel cuore non si è più del mondo ed il mondo odia tutti coloro che non sono suoi, li odia manifestando loro una durissima opposizione, che arriva anche fino alla morte, pur di strappare dalla Parola colui che l’ha accolta e che la vive.

Gesù non è stato mai del mondo; egli è stato sempre del Padre suo; è rimasto saldamente ancorato alla Parola del Padre. I discepoli attualmente sono del Padre, non sono del mondo, ma saranno del Padre finché la Parola rimarrà ancorata al loro cuore e sarà la loro forma di vita; qualora dovessero allontanarsi dalla Parola, ritornerebbero nuovamente nel mondo e il mondo ricomincerebbe ad amarli. Il mondo ama sempre tutto ciò che è suo, ed è suo tutto ciò che è senza la Parola del Padre.

Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li cu­stodisca dal maligno.

Finché si rimane in vita, si rimane nel mondo; finché si rimane nella Parola, non si è del mondo ed il mondo odia coloro che non sono suoi. Gesù sa che i suoi devono restare nel mondo, non devono essere però del mondo e per questo chiede al Padre, non che li tolga dal mondo, ma che li protegga dal maligno, e cioè che non permetta mai che essi ritornino ad essere del mondo.

Non può chiedere che li tolga dal mondo, perché dal mondo si esce solo con la morte e la loro ora non è ancora venuta. Ognuno è tolto dal mondo quando verrà la sua ora, fino a quel momento bisogna stare nel mondo, vivere in mezzo ad esso, al fine di essere i testimoni di Gesù, per dare ad ogni uomo che vive nel mondo e che è anche del mondo la Parola della salvezza.

Per fare questo occorre che il discepolo di Gesù sia sempre dalla parte del Padre e quindi deve essere protetto, custodito, perché non cada in tentazione, abbandoni la Parola e ritorni ad essere del mondo. Gesù aveva fatto l’esperienza della forza e della tenacia con cui il Maligno costantemente lo tentava e metteva ostacoli sul suo cammino perché si distaccasse dalla Parola del Padre. Con l’aiuto del Padre, con la sua luce e la sua forza, egli ha vinto sempre il maligno, il Padre lo ha custodito da esso, ma lui si è lasciato custodire, ha sempre chiesto di essere custodito.

Ora egli chiede al Padre che custodisca i suoi dal maligno, che li protegga e li salvi da esso, perché non cadano nella sua tentazione, che è sempre contro la Parola e quindi per un ritorno ad appartenere al mondo. Quando un discepolo di Gesù cade nella tentazione del maligno e ritorna ad essere schiavo del mondo, egli non potrà più essere testimone di Gesù, qualsiasi cosa egli faccia, sarà sempre opera in conformità al pensiero del mondo, ma mai in conformità alla volontà del Padre, poiché lui nella volontà del Padre non c’è più, è fuori di essa. Chi è fuori della volontà del Padre non potrà certamente condurre alcuno a vivere in essa; può attrarre alla Parola chi nella Parola vive, chi ha la Parola nel cuore, chi fa della Parola la sua vita.

Essi non sono del mondo, co­me io non sono del mondo.

Avendo gli Apostoli accolto la Parola di Gesù, essi non sono del mondo, non gli appartengono, come Gesù non appartiene neanche lui al mondo, a causa della Parola del Padre, alla quale egli è rimasto sempre fedele, anche a costo della sua passione e morte, pagando di persona con ogni genere di umiliazioni e di sofferenze fisiche e spirituali.

Consacrali nella verità. La tua parola è verità.

Dopo aver chiesto al Padre che custodisca i suoi dal maligno, Gesù chiede un’altra grazia: che i suoi siano consacrati dal Padre nella verità, specificando che la verità nella quale dovranno essere consacrati è la sua Parola. La Parola del Padre è la verità, in questa verità essi dovranno essere consacrati.

La consacrazione è dono totale di una cosa, di una persona a Dio. Si toglie una cosa, si toglie una persona dalla sua profanità, dalla sua appartenenza al mondo, e si dona totalmente ed interamente a Dio. Gesù chiede al Padre suo che tolga in modo definitivo e per sempre, in modo globale, i suoi discepoli dalla non verità, che sono le parole del mondo, e li trasporti in modo perenne ed abituale nella sua Parola, l’unica verità che salva e redime, l’unica verità di cui l’uomo ha bisogno.

La consacrazione è pertanto atto di donazione degli Apostoli e dei discepoli alla Parola, alla verità. Per sempre essi dovranno appartenere alla parola del Padre, come Gesù per sempre è stato della Parola del Padre. La loro è consacrazione perché è dono dal quale non si può più retrocedere. La consacrazione riveste questa particolare caratteristica: la sua irreversibilità, la non possibilità di ritornare indietro, di non appartenere più al mondo. Chi si consacra alla verità, appartiene in eterno alla verità, non può più appartenere alla menzogna; si libera una volta per tutte dal mondo, che appartiene alla menzogna e alla falsità. Il mondo è del maligno, che è omicida e menzognero fin dall’inizio, perché in lui non c’è verità.

La consacrazione alla verità è possibile solo per grazia di Dio, il quale giorno per giorno la concede e la dona, liberando il consacrato dalla tentazione e custodendolo dal maligno.

Gesù chiede al Padre due grazie per i suoi discepoli: che non cadano nelle mani del maligno, che non ritornino nel mondo; che siano sempre in opposizione al mondo, perché appartenenti in modo globale e irreversibile alla sua Parola. Per mezzo di queste due grazie essi potranno compiere l’opera della salvezza, perché sempre e comunque potranno essere testimoni del Risorto nel mondo.

Anche la consacrazione non deve essere solamente richiesta da Gesù; con questa preghiera Gesù ha insegnato ai suoi cosa devono chiedere loro giorno per giorno al Padre. Il discepolo di Gesù deve, nella sua preghiera, chiedere al Padre che protegga dal maligno lui e tutti coloro che credono; che lui e tutti coloro che hanno accolto la Parola, ad essa consacrino tutta la loro vita, la loro vita sia un sacrificio alla Parola, un dono per la Parola, un olocausto ed una oblazione per la Parola.

Questa preghiera deve essere scandita ed elevata al cielo ora per ora e momento per momento, deve essere la preghiera del discepolo di Gesù per se stesso per i quanti hanno accolto la Parola e si sono liberati dal mondo ed ora appartengono a Gesù Signore e in Gesù al Padre.

Come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo;

I discepoli devono essere consacrati alla Parola, perché essi devono andare e rimanere nel mondo. È questa la loro missione, questo mandato ha dato loro Gesù. Andate in tutto il mondo.

Gesù è in Dio, è da Dio e il Padre lo ha mandato nel mondo per portare la sua Parola di vita eterna. I discepoli sono stati tratti dal mondo, ora vivono con Gesù, ma lo stare con Gesù è di pochi giorni, di pochissimo tempo, il tempo per imparare da Gesù la Parola, poi dovranno ritornare nel mondo, perché il mondo si salvi per mezzo della Parola che essi hanno appreso da Gesù e nella quale sono stati consacrati dal Padre.

Il mondo è la casa del discepolo di Gesù, come esso è stato la casa di Gesù. Uscire dal mondo non si deve, né si può, perché nel mondo il discepolo di Gesù deve essere il lievito, la luce, il sale; con la sua presenza di consacrato alla parola, egli deve a poco a poco liberarlo dalla menzogna e ricondurlo nella verità. Se il discepolo di Gesù si toglie dal mondo, se ne va lontano da esso, egli non potrà essere né lievito, né luce, né sale ed il mondo rimane nella sua menzogna.

Ci si può allontanare dal mondo per evitare che si diventi del mondo. Dalla vita di Gesù sappiamo che egli si allontanava dal mondo il tempo necessario per rivestirsi della luce e della grazia che discendevano da Dio su di lui attraverso quella preghiera di silenzio e di solitudine che era sempre fatta lontana dal mondo e in assenza di esso, anche del suo frastuono e del suo chiasso. Poi, rivestito di luce e di grazia, ritornava nel mondo per riversare su di esso l’abbondanza e la pienezza della sua verità, perché esso fosse messo in questione e si aprisse all’accoglienza di quella luce che egli aveva ricevuto dal Padre e con la quale lo aveva abbagliato. Questo lo stile e la vita di Gesù, questo deve essere lo stile e la vita di ogni discepolo di Gesù.

Fuggire il mondo per paura di essere travolti dal mondo, potrebbe giovare a noi, ma non sicuramente al mondo, il quale perde il suo punto di contrasto e di opposizione che mettendolo in questione, può anche aprirlo alla verità, a quel processo di conversione che è il fine del discepolo di Gesù. Un discepolo di Gesù che non si ponga la questione della salvezza del mondo e non si renda efficacemente presente nel mondo al fine di portare in esso la verità della Parola, è un discepolo che ancora non è entrato nella pienezza del suo essere e quindi del suo agire. La consacrazione e la protezione dal maligno è per il discepolo, ma anche per la conversione di ogni uomo di buona volontà.

per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consa­crati nella verità.

La consacrazione è dono totale per. La finalità di una consacrazione è specificata dalla sua finalità espressa e manifestata nelle parole della consacrazione. Gesù ha chiesto al Padre di consacrare i suoi discepoli nella verità; essi devono fare della loro vita un dono totale alla verità, con l’aiuto del Padre.

Gesù si è consacrato interamente alla verità, alla verità ha consegnato la sua vita. Ma in lui c’è un’altra consacrazione che si vive. La sua vita è un dono totale per i suoi discepoli. Gesù vive per loro, per loro dona tutta la sua vita, per loro si consegna alla morte, per loro risuscita, per loro ascende al cielo.

Gesù consacra la sua vita ai suoi discepoli, perché sa che attraverso il dono della sua vita per loro, vedendo il suo esempio, ascoltando la sua parola, osservando il modo in cui egli va al Padre, contemplando la sua passione e morte, la sua umiliazione e l’onta e il disonore della croce - chi era appeso al palo era considerato un maledetto - essi avranno la forza, la volontà, la decisione di lasciarsi anch’essi consacrare nella verità, vorranno anch’essi darsi totalmente alla Parola.

Gesù ci insegna attraverso questa sua consacrazione, che il fine della vita di ogni suo discepolo, deve essere sempre duplice: consacrarsi alla verità, alla Parola, ma anche consacrarsi a quanti credono già nella Parola, perché attraverso il suo dono totale ad essi, anche quanti già credono possano crescere e consacrarsi interamente alla Parola, alla verità.

C’è pertanto un duplice movimento che deve sempre caratterizzare la vita del discepolo di Gesù: un movimento ascensionale verso la Parola del Padre, con la quale si deve divenire una sola vita, ed un movimento orizzontale, verso quanti già credono nella Parola, perché dal nostro esempio di vita, dalla nostra dedizione alla Parola, dal nostro servizio costante alla Parola, si sviluppi in loro una più ferma e decisa volontà, che non solo li avvicini di più alla Parola, ma che sia capace di consacrarli interamente, irreversibilmente, totalmente nella verità.

Con questa sua consacrazione Gesù insegna a tutti i suoi discepoli il fine della loro vita, della loro consacrazione a Dio. Consacrarsi a Dio è consacrarsi anche all’amore e al servizio di quanti già credono in Dio, perché abbiano anche loro il desiderio di imitazione, di elevazione, di donazione piena alla Parola, alla verità, perché anch’essi diventino una cosa sola con la Parola. Quando questo avverrà, quando questa consacrazione alla Parola sarà perfetta, anch’essi possono iniziare l’opera di consacrazione che è dono e servizio perché quanti già credono, arrivino a questa perfezione di essere e di operare, giungano alla perfetta maturità in Cristo Gesù, che è consacrazione alla Parola, ma anche a quanti già credono, ma che ancora non sono totalmente consacrati alla parola e mai lo potranno divenire senza il nostro aiuto e il nostro servizio.

È in fondo questa la regola della pastorale ordinaria e straordinaria. Chi non si consacra ai propri fratelli, non li aiuta a che loro si consacrino alla verità e ai fratelli; interrompe il circuito della consacrazione e l’altro se ne ritorna nel mondo.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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