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COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2019 15:05
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07/01/2012 23:09
 
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16,5 Ora però vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: Dove vai? 6 Anzi, perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore. 7 Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. 8 E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia ed al giudizio. 9 Quanto al peccato, perché non credono in me; 10 quanto alla giustizia, perché vado dal Padre e non mi vedrete più; 11 quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato.
Ora che è giunto il momento del definitivo distacco da questa vita terrena e dall’intimità “fisica” coi suoi discepoli, Gesù si sente in dovere di preannunciare loro i futuri dispiaceri (16,1-4a), determinati dal fatto di essere i “testimoni del Risorto”, garantendo, al tempo stesso, la venuta di un valido aiuto, di un Consolatore in grado di far loro superare ogni ostacolo. Prima di questo particolare evento, a Gesù era sembrato conveniente di non mettere in allarme i suoi fedeli discepoli (16,4b), perché la sua semplice presenza era per loro un fatto già di per sé rassicurante (“non ve le ho dette dal principio, perché ero con voi”). Adesso, però, le circostanze sono tali da rendere inevitabili le raccomandazioni e gli incoraggiamenti, che precedono un definitivo distacco, così imprevisto e doloroso da fare ammutolire i presenti.
Ora però vado da colui che mi ha mandato. Gesù rivela in modo esplicito sia la sua provenienza (dal Padre) e sia la sua missione (manifestare agli uomini il progetto di salvezza di Dio), al termine della quale Egli deve fare ritorno “alla destra di Dio” (Mt 26,64) ed essere sostituito da un misterioso personaggio, indiscutibilmente di natura divina, che Egli presenta come un Consolatore (16,7). C’è un tempo per ogni cosa (Qo 3,1ss), anche per la presenza di Dio “in carne ed ossa” nel tempo e nel mondo da Lui stesso creati. Dio Padre ha consegnato agli uomini il mistero dell’incarnazione e della morte in croce di suo Figlio, sollecitandoli a fare tesoro di questa esperienza d’amore, sublime ed insuperabile, con un atteggiamento di riconoscente accoglienza della salvezza, ma anche a loro ha fissato un “tempo” per decidere se lasciarsi salvare o no. Il tempo della presenza “fisica” di Dio sul pianeta Terra è giunto al termine, dando inizio al tempo dello Spirito Santo Paràclito, che deve condurre per mano gli uomini verso la sospirata méta della felicità senza fine e dell’immortalità. Il tempo concesso agli uomini per la definitiva scelta di campo non è dilazionabile né sul piano storico, perché la vita umana ha un termine inevitabile che coincide con la morte del corpo, né sul piano metafisico, perché non si può eternamente giocare a rimpiattino con Dio. L’ora di ogni singola scelta personale è adesso: o si sta con Dio o si sceglie il principe delle tenebre (3,18-21); non ci sono alternative di nessun altro genere, perché Dio non ama le mezze misure (Ap 3,16) ed è, anzi, assai geloso delle sue creature (Dt 4,24; 5,9; 7,9-10; Na 1,2), al punto che non vuole assolutamente spartirle con nessun altro, ma le vuole tutte per sé.
La tristezza ha riempito il vostro cuore. Gesù ha concluso la sua missione e si meraviglia che nessuno dei suoi discepoli gli chieda “Dove vai?”. Fissandoli negli occhi, ad uno ad uno, Egli legge nel loro cuore la profonda tristezza che li sta assalendo alla notizia che il loro amato Maestro sta per lasciarli per sempre. Gesù s’intenerisce per il loro smarrimento e si affretta a rincuorarli spiegando che la sua dipartita da questo mondo è necessaria per la loro stessa crescita umana e spirituale sotto la guida del Consolatore. La fede dei discepoli è ancora troppo fragile e condizionata dai sensi, come ammetterà lo stesso apostolo Tommaso, uno dei più pronti a seguire Gesù anche a costo della propria vita, almeno a parole (11,16): “Se non vedo… se non tocco… non crederò” (20,25). La tristezza è un sentimento molto umano, ma non deve far parte del bagaglio psicologico e spirituale del vero credente, perché implica un modo “sbagliato” di rapportarsi con Dio, il quale pretende fiducia e totale abbandono ai suoi disegni, che non collimano quasi mai coi progetti degli uomini.
Se non me vado, non verrà a voi il Consolatore. Lo Spirito Santo è l’inviato speciale di Gesù, quasi una sorta di suo alter ego e la sua venuta è così importante da poter ampiamente consolare gli apostoli ed i discepoli tutti della dipartita di Gesù, attraverso le cui parole, riportate dall’evangelista, è l’intera comunità cristiana a capire che non è il Gesù terreno a dare ed a dire l’ultima parola, bensì lo Spirito Santo, incaricato di animare la comunità dei credenti mediante la comprensione piena e la fedele attuazione delle parole che il Maestro, Verbo incarnato di Dio, ha affidato ai suoi discepoli. Attraverso lo Spirito è Gesù stesso che parla, sprigionando il suo potere salvifico a favore dell’umanità intera e si rende realmente presente nella comunità, che vive della sua parola ed opera grazie alla sua forza. La tristezza per la dipartita del Maestro deve, pertanto, cedere il passo ad una gioia indistruttibile, il cui fondamento non è più la semplice attesa del ritorno di Gesù negli ultimi tempi (parusìa), ma la presenza certa e concreta di Cristo nella sua Chiesa grazie all’azione dello Spirito Santo. Paradossalmente, l’annuncio dell’imminente e definitivo addio di Gesù da questo mondo diventa promessa della sua presenza, in un altro modo, “fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).
Quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Quanto al peccato, perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado dal Padre e non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato. L’azione dello Spirito Santo ha i connotati di un’azione giudiziaria, che si svolge nel contesto di un processo cosmico, di cui Gesù rivela contenuti e sostanza: peccato, giustizia, giudizio. Il vocabolo, utilizzato nella traduzione italiana del verbo greco elénkein, varia da traduttore a traduttore; “convincere”,7 “dimostrare”8 e “confutare”9 sono alcune possibili traduzioni di un verbo che, nella versione greca dell’Antico Testamento ed universalmente nota come “Bibbia dei LXX”, assume molti altri significati, come “ammonire, castigare, correggere, scoprire, convincere di colpevolezza”, più in senso morale e pedagogico, che forense in senso stretto. In altre parole, convincere o dimostrare a qualcuno che è nel peccato e nella colpa avrebbe lo scopo di indurlo alla conversione, non a sottoporlo ad inappellabile giudizio di condanna. Il Gesù del IV Vangelo ha in corso una causa giudiziaria contro il “mondo” incredulo (3,19; 5,22.30; 8,16.26; 9,39) ed il processo terreno, intentato contro Gesù, con un ribaltamento paradossale descrive velatamente tale dibattito (18,12-19,16). Peccato, giustizia e giudizio non sono “capi d’accusa”, ma i punti su cui agisce il Paraclito per “convincere il mondo” del suo errore nei confronti del Cristo di Dio. Così si esprime s. Agostino: “si direbbe che non esiste altro peccato che quello di non credere in Cristo, che sia giustizia anche il non vedere Cristo e che il giudizio consiste nel fatto che il principe di questo mondo, cioè il diavolo, è stato giudicato”.10 Poiché il Paraclito scopre in che cosa consiste il peccato, la giustizia ed il giudizio, egli convince il mondo della sua colpa e lo trae nel giudizio, che si è già compiuto sul principe di questo mondo. Non è dato sapere come il Paraclito agirà concretamente, ma è quasi certo che egli si servirà della fede della comunità dei credenti o dei discepoli,. Solo in questo modo si può comprendere questa frase, alquanto sibillina e di difficile comprensione: grazie alla vita di fede dei credenti il principe di questo mondo viene spodestato dal suo malefico potere, mentre Gesù, una volta ritornato al Padre, riprende il suo potere salvifico ed il mondo incredulo è inchiodato alla sua responsabilità e messo dalla parte del torto. Proviamo a districarci in questi concetti di comprensione non immediata.
Il Paraclito dimostra al “mondo” ostile a Dio ed al suo Messia, che il peccato in senso vero e proprio consiste nel non credere in Gesù. La fede della comunità dei credenti è come un indice accusatore puntato contro il “mondo” incredulo, che a torto si rifiuta di credere. La comunità cristiana è in certo qual modo irritata dall’incredulità che incontra, ma con la sua stessa fede è una continua accusa contro quanti non credono. Il dramma di chi non crede in dio e nel suo Cristo consiste nel chiudere il proprio cuore e la propria intelligenza all’amore di Dio. Squalificando Gesù e la sua missione di redenzione, il mondo resiste a Dio.
Con giustizia, l’evangelista non intende la dirittura morale in senso stretto ma piuttosto, conformemente al contesto processuale della pericope, quanto viene riconosciuto a beneficio di una delle due parti in causa: chi ha ragione, vale a dire i credenti, esce vincitore dal processo e riveste il manto della giustizia (Is 61,10). Il senso è quello di una giustizia resa ai credenti e con buon diritto. Dio, che è giusto (cf. 17,25), si è pronunciato facendo tornare a sé il suo Inviato, il Messia, che è rimasto fedele a Lui fino alla fine. La vittoria di Gesù è dimostrata dal suo ritorno al Padre, che è descritta dall’evangelista come una “salita” (20,17). Nella misura in cui il processo ha avuto luogo davanti al tribunale di Dio, questa salita è un “essere tolto dal mondo” alla maniera in cui la descrive Paolo: “Egli si manifestò nella carne, fu giustificato nello Spirito, apparve agli angeli, fu annunziato ai pagani, fu creduto nel mondo, fu assunto nella gloria” (1Tm 3,16). Contrariamente a come la pensa il “mondo” circa la morte di Gesù, l’esperienza terrena del Messia non si è consumata con la vergogna della Croce. L’espressione “non mi vedrete più” può essere intesa in due modi. Essa può voler dire che Gesù è ormai sottratto agli occhi di questo mondo, oppure che la sua invisibilità è un invito al credente a riconoscere il “luogo” in cui Egli si trova realmente, vale a dire nella gloria del Padre, “alla destra di Dio” (Mt 26,64). Per chi ha fede, dunque, l’invisibilità di Gesù è l’esatto rovescio della sua glorificazione, come saprà comprendere immediatamente il discepolo prediletto, che davanti alla tomba vuota, saprà con certezza che Gesù è ormai presente in questo mondo in modo del tutto nuovo, ma vero: Egli è il Risorto, l’eterno Vivente, il sempre Presente (cf. 20,8-9). Solo lo Spirito Santo può essere il garante di questa presenza nuova e definitiva di Cristo tra gli uomini, mediante la fede della comunità dei credenti.
Per quanto concerne il giudizio, Gesù aveva già dichiarato (12,31) che, al momento della sue “elevazione” sulla croce, il principe di questo mondo (satana) sarebbe stato “gettato fuori”: l’evento della croce di Cristo sancisce la condanna definitiva che Dio pronuncia contro il suo nemico, perché costui è pervicacemente ostile al progetto salvifico di Dio Padre, al punto da voler sottrarre quante più anime può alla salvezza eterna. Secondo il parere del “mondo”, è Gesù ad aver subito la condanna a morte, ma nel momento stesso in cui muore sulla croce, è l’Accusatore a subire la condanna da parte di Dio. Si tratta di un rovesciamento di giudizio e, secondo il linguaggio biblico, essere condannati da Dio significa subire l’eterna perdizione. Il Principe di questo mondo non ha alcun potere su Gesù (14,30), non ha alcuna presa su coloro che rimangono uniti al Figlio di Dio (1Gv 2,13), ma neppure sul mondo stesso, che egli crede di possedere: la Parola di Dio (Gesù) continua a farsi ascoltare dagli uomini, nonostante le apparenze contrarie. Il Paraclito sostiene i discepoli e dà loro la certezza che Dio è intervenuto con potenza. Non è tanto il “mondo” ad essere stato giudicato da Dio in via definitiva, bensì il suo Principe e tirannico signore. Ascoltando lo Spirito Santo, i discepoli non dovranno più dubitare della fondatezza della loro fede in Cristo Gesù e neppure nella missione che è stata loro affidata dal Maestro. L’incredulità, che li circonderà fino alla fine dei tempi, altro no è che un’anacronistica sopravvivenza del rifiuto della realtà, quella di una salvezza che si è realizzata in Gesù di Nazareth. È importante mettere in luce la menzogna in cui affonda il mondo, che rimane pur sempre amato da Dio (3,16). L’esistenza della comunità deve essere, in definitiva, un appello permanente rivolto alla coscienza degli uomini, nel corso di tutta la storia.

16,12 Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13 Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. 14 Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. 15 Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà.
I discepoli di Gesù sono attesi da una grande prova; la morte del loro Maestro e la grande pietra, posta a sigillo della sua tomba (Mt 27,60), sono motivi più che sufficienti per porre la parola “fine” su una vicenda umana, che ha avuto dell’incredibile. Ma il bello deve ancora venire. Il “terzo giorno”, quello della vita che ha la meglio sul caos (cf. Gen 1,11-12) e sulla morte (cf. Gv 2,19) è già imminente e pronto a spalancare le porte dell’eternità, per far entrare la luce di Dio e dissipare, in modo definitivo, il buio che avvolge il “mondo”. Dal “terzo giorno” in poi, nulla è più come prima; anche se i discepoli avessero ancora qualche titubanza circa la vittoria di Cristo risorto sul mondo del male e dell’ignoranza, basta che ascoltino lo Spirito, il Paraclito, per rincuorarsi e rendere testimonianza a Gesù “fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). È proprio un compito del Paraclito condurre i discepoli del Risorto “alla verità tutta intera” e renderli pienamente partecipi di tutto ciò che è proprio di Gesù, il Glorificato. La pericope precedente (Gv 16,8-11) evocava uno stato di profonda crisi, che lo Spirito avrebbe aiutato a superare di slancio; qui, invece, il tono è quello tipico dell’esultanza, della gioia fondata sul dato concreto della resurrezione di Gesù dal regno dei morti. Sta per concludersi un’epoca, quella della vita terrena di Gesù, di cui i discepoli non potranno più udire le parole e di cui non sono ancora in grado di “portare il peso”, ma sta per iniziare un’altra epoca, contrassegnata dall’azione dello Spirito. Si tratta apparentemente di due epoche distinte tra loro; in realtà, sono solo due fasi di un unico piano provvidenziale, i cui attori, Gesù e lo Spirito, sono sì Persone distinte, ma sono UNO nel loro agire, poiché il “parlare” dello Spirito ha origine in Gesù glorificato.
Gesù avrebbe ancora molte cose da dire (16,12), ma non le specifica; frugando nei suoi ricordi, l’evangelista si rende conto, proprio ora, che Gesù non le avrebbe comunque dette, perché i discepoli non le avrebbero nemmeno lontanamente comprese, perché non ancora assistiti dallo Spirito Santo e non ancora vagliati dalla prova della morte in croce del loro Maestro. Quello che ha “udito dal Padre” (15,15), Gesù lo ha trasmesso ai suoi discepoli, parlando loro soprattutto in parabole e compiendo “segni” rivelatori dell’amore del Padre, ma affinché i discepoli ne abbiano una comprensione più profonda, è necessario l’intervento dello Spirito, che è l’interprete più autorevole di Gesù, Parola incarnata del Dio vivente (1,14). Lo Spirito, che ha l’incarico di “guidare” i discepoli alla “verità tutta intera”, è colui che esaudisce la preghiera del salmista: “Guidami nella tua verità e istruiscimi, perché sei tu il Dio della mia salvezza, in te ho sempre sperato” (Sal 25 [24],5) ed è lo stesso Spirito che, secoli prima, aveva guidato gli ebrei nella traversata del Mare delle Canne per condurli alla Terra Promessa: “Lo Spirito del Signore li guidava al riposo” (Is 63,14). Talvolta associato al fuoco (Es 13,21; Ne 9,12.19) o ad una colonna di nube, lo Spirito ha guidato il popolo eletto nel suo peregrinare nel deserto del Sinai (Sap 18,3) ed ora ha il compito di svelare il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio e della sua signoria sull’intero universo (Ef 1,20-23; Fil 2,9-11; Col 1,15-20). Con “verità tutta intera” non s’intende propriamente il corpus dei dogmi sanciti dal Magistero della Chiesa nel corso dei secoli, ma “la verità una e totale del Cristo glorificato in Dio e che si comunica come tale ai suoi”.11 Per guidare a tale pienezza di verità, lo Spirito dirà le “parole” di Gesù; mediante lo Spirito, è Cristo stesso che continua a “dire” agli uomini le parole del Padre. Il parlare dello Spirito non è frutto di una sua autorità personale, proprio come Gesù che non agisce e non parla per conto proprio, ma in perfetta sintonia col Padre: lo Spirito ascolterà da Gesù come Gesù stesso ha ascoltato dal Padre: “io dico al mondo le cose che ho udito da lui” (Gv 8,26). Il modo di agire dello Spirito si distingue da quello usato da Gesù, le cui parole risuonano “fisicamente” nelle orecchie dei suoi ascoltatori; lo Spirito, invece, raggiunge “spiritualmente” il cuore dell’uomo, prolungando l’auto-rivelazione di Gesù nel tempo e nello spazio. Nello Spirito è Gesù stesso che parla e si rivela come Figlio di Dio e Salvatore.
Vi annunzierà le cose future. Su questa compito, che Gesù attribuisce allo Spirito Santo, molti autori hanno elaborato le interpretazioni più varie. Alcuni hanno immaginato che Gesù volesse anticipare ai discepoli le future assemblee conciliari, convocate per sancire dogmi e direttive morali, od avvenimenti futuri riguardanti la storia delle comunità cristiane; altri hanno ipotizzato un annuncio degli avvenimenti della Fine, rifacendosi al testo dell’Apocalisse, attribuito al medesimo autore del IV Vangelo; gli autori moderni interpretano questa frase nel senso di una chiara comprensione dei fatti storici e socio-psicologici, che riguardano i credenti di ogni epoca storica e di fronte ai quali lo Spirito suggerirà come comportarsi per essere veri interpreti e testimoni del Vangelo. Tale interpretazione suggerisce una costante presenza dello Spirito Santo nelle vicende umane della Chiesa, che Egli guida ed orienta sempre ed esclusivamente in funzione della salvezza dell’uomo. Ciò che accade nel corso della storia non è solo un concatenarsi di avvenimenti, lieti o tragici, sulla cui interpretazione si sbizzarriscono gli storici di turno, bensì un dono gratuito di salvezza che Dio, nella Persona dello Spirito, continuamente rinnova all’umanità intera e che si fonda sull’Evento della Pasqua di Cristo.
Ciò che lo Spirito riceve, per poi comunicarlo, proviene dal patrimonio di Gesù (“prenderà del mio”), da quanto Egli possiede: “tutto quello che il Padre possiede è mio”. Cosa possiede Gesù che appartenga al Padre di diritto? La vita, la gloria, l’amore, il mistero. Lo Spirito, dunque, comunicherà ai credenti quanto ha ricevuto da parte di Gesù e che costituisce un tesoro inesauribile di bontà e di amore; così facendo, lo Spirito rende gloria al Figlio, la cui missione ha lo scopo di rendere i credenti partecipi della vita eterna, già su questa terra (cf. 3,16; 10,28).
Con quest’ultima annotazione si conclude l’insegnamento di Gesù circa il Paraclito, designazione particolare della Persona dello Spirito Santo (14,26). I titoli “paraclito” e “Spirito di verità” sono di conio tipicamente giovanneo e corrispondono ad una selezione, operata dall’evangelista, dei ruoli dello Spirito Santo come sono percepiti dalla comunità, cui egli si rivolge. In altri passi del IV Vangelo, lo Spirito è descritto anche come colui che produce la rinascita (3,3-5), che vivifica (6,63) o che perdona i peccati (20,22s), ma dalla lettura attenta del Vangelo di Giovanni si comprende bene come la funzione dominante dello Spirito Paraclito sia quella di manifestare al mondo il mistero del Figlio.
Il dono del Paraclito è, prima di tutto, determinato dal ritorno di Gesù al Padre (14,16; 16,7).
In secondo luogo, il Paraclito ha il compito di stare sempre con i discepoli, di insegnare e ricordare loro tutto ciò che Gesù ha detto. Lo Spirito è il perfetto interprete di Gesù e, rendendogli testimonianza circa il mistero della sua origine (divina) ed attività (salvifica), accompagna i suoi discepoli come testimoni della sua resurrezione di fronte al mondo intero (15,26).
La testimonianza dello Spirito di verità si esprime, inoltre, nella dimostrazione della colpevolezza del mondo, che non crede in Gesù (16,8-11).
Infine, il Paraclito conduce i credenti a conoscere la, così come è stata consegnata loro dal Figlio glorificato, risorto e ritornato “alla destra del Padre” (16,13-15) verità per intero.
Tutte le funzioni dello Spirito sono, pertanto, relative al Figlio ed hanno lo scopo di indurre gli uomini a credere fermamente in Gesù e di testimoniarlo con coraggio e coerenza di fronte al mondo ostile e nemico di Dio. Principalmente per questo motivo, Gesù afferma che sarà glorificato dallo Spirito di verità (16,14). Orientato alla glorificazione di Gesù, il ruolo del Paraclito è perfettamente sintonizzato sul volere salvifico del Padre, la cui opera a favore degli uomini è imperniata sulla rivelazione del Figlio suo unigenito. Il testo del IV Vangelo sottolinea che il Paraclito è donato dal Padre (14,16.26; 15,26), da cui è uscito (15,26). Gesù interviene in questa dinamica di dono, poiché anch’Egli invia lo Spirito (14,16; 15,26; 16,7) per manifestare agli uomini l’unità della sua azione con quella del Padre (5,19) e per ribadire che tutto quello che il Padre possiede è suo (16,15).
Volendo semplificare i dati del testo evangelico, riduciamo a tre punti le funzioni dello Spirito Santo Paraclito:12
1.essere con e nei discepoli. Secondo le attese del popolo giudaico, Dio avrebbe effuso il proprio Spirito nel cuore degli uomini al momento dell’Alleanza definitiva, secondo un progetto di salvezza da Lui stabilito sin dall’eternità. Accordato sino ad allora soltanto ai re, ai giudici, ai profeti per sostenerli nelle loro specifiche funzioni e missioni, promesso al Servo di Dio (Is 42,1) ed al Messia (Is 11,2), lo Spirito di Dio sarà dato a tutti i membri del popolo eletto, animandoli dal loro interno e rinnovandoli nello spirito (cf. Ez 36,26s; 39,29; Gl 3,1; Is 32,15; 44,3). Il Vangelo di Giovanni annuncia che, a differenza della presenza terrena di Gesù, il Paraclito sarà sempre con i discepoli, anzi, sarà sempre “in” loro (14,16-17); il dono dello Spirito Santo è ormai la caratteristica esistenziale di tutti i credenti, segnando di fatto il compimento dell’Alleanza ultima e definitiva. Dagli scritti di Luca (Vangelo ed Atti degli Apostoli) si apprende che questa Alleanza si è realizzata in tre tempi: a. la rivelazione fatta ad Israele (Lc 16,16); b. l’oggi della salvezza in Gesù (Lc 4,19); c. il tempo della predicazione missionaria nello Spirito. Negli Atti degli Apostoli, la presentazione dello Spirito, che agisce in modo prevalente, sembra conferire al terzo periodo una certa autonomia nei confronti di Gesù, anche se per inciso si afferma che: “innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso come voi stessi potete vedere ed udire” (At 2,33). Il racconto della Pentecoste (At 2,1-13) sembra, però, ignorare l’intervento diretto di Gesù nel dono dello Spirito e qualcuno, in passato, ha estremizzato l’azione dello Spirito Santo, dichiarando che la terza Persona della S.S. Trinità aveva, di fatto, rimpiazzato Gesù inaugurando una nuova epoca, sostanzialmente diversa ed autonoma rispetto a quella trascorsa nel segno del Padre, prima e di quella del Figlio, poi.13 Giovanni, per contro, se ne guarda bene dal far supporre che lo Spirito Santo sia una sorta di “successore” di Gesù, ma insiste ripetutamente sul ruolo del Figlio, il quale continua ad agire nel mondo per mezzo dello Spirito, anche dopo essere ritornato al Padre. Gesù dichiara, nel discorso dell’addio, che le sue opere saranno ulteriormente ingrandite da chi crede in Lui (14,12), ma afferma pure che ritornerà dai suoi discepoli (14,18), che questi lo rivedranno (14,19) e capiranno di essere protagonisti di una reciproca inabitazione con Lui (15,4.5.7): questo è, in sostanza, il contenuto vero e proprio del discorso d’addio. Secondo Giovanni, dunque, l’azione dello Spirito non è distinta da quella di Gesù, ma si fonda su questa ed è finalizzata alla conoscenza della verità riguardante il Figlio ed al riconoscimento di Lui da parte del mondo.
2.insegnare ai discepoli. L’insegnamento è la seconda funzione peculiare del Paraclito (Gv 14,26; 16,13-15). Questa importante attività didattica dello Spirito, appartiene anche alla Sapienza, che educa, conosce e comprende ogni cosa, guida il popolo (Sap 1,5; 9,11s; 10,10). L’analogia tra Spirito Santo e Sapienza si coglie anche in Gv 14,17 a proposito dell’incapacità del mondo a ricevere lo Spirito della verità: “… che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce”. Come lo Spirito Santo, anche la Sapienza “non entra in un’anima che opera il male, né abita in un corpo schiavo del peccato” (Sap 1,4).14 Paolo la pensa allo stesso modo, quando afferma che lo Spirito “scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio” (1Cor 2,10; cf. Ef 1,17). La funzione didattica dello Spirito consiste in un’attività di rivelazione, poiché a Lui compete far comprendere il senso e la portata delle parole di Gesù (Gv 14,26). Per ogni comunità cristiana, lo Spirito si comporta come la memoria vivente di Gesù, non solo chiarendo ciò che Gesù ha detto in modo velato ai suoi ascoltatori, ma anche comunicando ai credenti ciò egli ascolta dal Gesù glorificato, ossia l’evidenza della comunione dei credenti con l’essere stesso del Figlio, che è al contempo vero Dio e vero Uomo. Questo modo di agire dello Spirito rimane misterioso, ma non cesserà nel corso delle epoche storiche, esaurendosi solo alla fine dei tempi.
3.testimoniare in favore di Gesù. Questa funzione, esercitata dallo Spirito Paraclito (Gv 15,26; 16,8-11), trova corrispondenza anche nella tradizione sinottica (Mc 13,9 pp), secondo cui i discepoli saranno sostenuti dallo Spirito di fronte ai tribunali di questo mondo, nemico di Cristo. Gli atti di ostilità, messi in atto contro Gesù, sono uno stucchevole ritornello che accompagna da sempre la storia degli uomini, continuamente tentati di lasciarsi sedurre dalle capziose argomentazioni dei tanti “senza Dio”, palesi od occulti, i quali presumono di saper guidare le vicende umane seguendo un piano diabolico: distruggere l’immagine di Dio, presente in ogni persona, sostituendolo con i molteplici ed affascinanti idoli “costruiti da mani d’uomo” (Sal 115 [113 B],4-8; Is 40,20), quali il successo, il potere, la ricchezza, gli onori, il dominio, la visibilità, il culto della propria immagine. Costoro, però, non fanno i conti con il giudizio di Dio, che si è già pronunciato a favore del Figlio, crocifisso dagli uomini, risorto da morte ed ora “ assiso nella gloria alla sua destra” (cf. Sal 110 [109],1; Mt 22,44p). Lo Spirito Paraclito è il testimone verace e veritiero di tale giudizio, sancito da Dio Padre di fronte al genere umano; nonostante la persistente incredulità dell’uomo, lo Spirito di verità mantiene viva, con tutta la sua forza, la risonanza della Parola e, pur denunciando l’ingiustizia di coloro che respingono il Messia, mediante la sua testimonianza si adopera per far accogliere il messaggio della salvezza. Nessuno, infatti, deve rimanere escluso dal piano salvifico di Dio.
In che cosa lo Spirito si distingue dal Figlio, dal momento che il comportamento del Paraclito corrisponde esattamente a quello di Gesù in rapporto al Padre ed ai discepoli? La teologia tradizionale spiega che lo Spirito Santo è la terza Persona della S.S. Trinità, vale a dire un “essere in relazione” col Padre e col Figlio, così come il Padre è un essere in relazione col Figlio e con lo Spirito, mentre il Figlio è un essere in relazione col Padre e con lo Spirito. Le tre Persone della S.S. Trinità non sono individui chiusi in se stessi, ma sono Uno pur essendo Tre. Con la propria intelligenza, assai limitata per quanto concerne le realtà trascendenti, l’uomo tende a “individualizzare” le tre Persone della Trinità, quasi riducendole a “cose” distinte tra loro; i Padri della Chiesa, specie a partire dai grandi Cappadoci (s. Basilio Magno, s. Gregorio di Nissa e s. Gregorio di Nazianzo), coniarono la formula: Una natura, Tre persone (mìa fysis, trèis ypostàseis). Le Tre Persone della Trinità, uguali e distinte tra loro in quanto “esseri in relazione l’uno con gli altri”, sono in realtà un Unico e Solo Dio quanto a natura divina. Il Padre è colui che genera il Figlio, il Figlio colui che è generato dal Padre, lo Spirito è l’amore che unisce il Padre ed il Figlio ed è colui che ama ed è riamato dal Padre e dal Figlio.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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