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COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2019 15:05
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07/01/2012 23:06
 
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9 Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10 Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11 Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Seguire Gesù, farsi suoi discepoli ed imitarlo significa entrare in una dimensione d’amore dai confini inimmaginabili, perché si fa esperienza diretta dell’amore di Dio, di cui Gesù è la traduzione in termini umanamente comprensibili. Produrre frutto in qualità di discepoli significa amare come ha amato Gesù, che è lo specchio fedele dell’amore del Padre, fino alle estreme conseguenze del dono di sé per l’altro. Una volta sperimentati gli effetti dell’amore di Cristo, non si riesce ad immaginare una vita vissuta in modo diverso, nell’egoismo, nell’indifferenza, nell’inganno, nella prepotenza, nell’odio, nella vendetta. Quando Gesù elegge ed accoglie i discepoli, trasmette loro l’amore stesso del Padre, che lo permea e lo spinge ad operare (17,26) affinché tutti gli uomini possano fare esperienza di tale amore. Fa riflettere l’ostilità di qualche libero pensatore che guarda con sospetto al cristianesimo, ritenendolo una religione che si è autoalimentata, nel corso dei secoli, con un proselitismo condotto ad oltranza al solo scopo di affermare il primato sulle coscienze, riducendo gli uomini a schiavi di una morale incomprensibile e di un’etica del dolore. Togliendo al messaggio evangelico il contenuto dell’amore oblativo, si può benissimo intendere la figura di Gesù Cristo in modo del tutto distorto e fuorviante. Il Gesù dei liberi pensatori è un illuso, un idealista forse anche intelligente ma certamente assai poco scaltro, incapace di riconoscere i veri confini della realtà umana e fautore d’un illusorio irenismo universale. Gesù si è cercato la croce, può anche tenersela! Il cristianesimo è, tutto sommato, una solenne montatura, una mistificazione, un’invenzione messa in atto da pochi fanatici e creduloni seguaci del Galileo, un bluff di portata cosmica.
Già! Peccato che Gesù Cristo faccia ancora parlare di sé, nel bene come nel male e susciti così tanto interesse anche in chi vuole sradicarlo dalla coscienza degli uomini; peccato che tanti credano in Lui sino al punto di essere disposti a testimoniarlo col proprio sangue, perdonando nel suo Nome i propri persecutori; peccato che si dichiarino discepoli di questo presunto bluff, oltre a tanti anonimi e comuni cittadini del mondo, anche illustri rappresentanti della cultura, dello spettacolo, dello sport, della scienza, della politica, del giornalismo e dell’economia, per i quali Cristo rappresenta la vera speranza per un mondo migliore, più umano e giusto, in cui tutti si sentono e sono fratelli e figli di un unico Padre. Peccato che questo Gesù sia per molti il Risorto, il Vivente, il sempre Presente, il fondamento dell’umana salvezza, il Redentore, il vero Volto di Dio, la Parola creatrice e santificante dell’universo, l’alfa e l’omega, il principio e la fine dell’intero creato, il giudice unico dell’umanità passata, presente e futura, il Figlio unigenito del Padre, il Dio-con-noi. Alla faccia di chi lo vuole morto e sepolto da due millenni e lo considera un insignificante ebreo marginale! L’amore di Dio, di cui Gesù è la personificazione in chiave storica, sovrasta ed annichilisce la meschinità degli uomini, ma si lascia mettere in discussione dalla loro libertà, accettando anche di essere respinto, sempre pronto ad accogliere il ritorno di quanti si comportano come il figlio ingrato, spendaccione e vizioso della parabola (Lc 15,11-32).
L’amore dell’uomo per Dio e per il suo Messia si rende manifesto attraverso l’osservanza dei comandamenti di Gesù, che si riassumono in un unico, semplice e fondamentale comandamento, quello dell’amore fraterno. Gli uomini amano e sono amati da Dio se si amano tra di loro come Gesù ama ed è amato dal Padre, sino all’ultima goccia di sangue. L’amore reciproco assume la forza di un ordine, di un comandamento voluto da Dio ad ogni costo. Tutto il resto suona come un contorno che, pur essendo utile e necessario, tuttavia non è fondamentale, al punto che il giudizio divino finale verterà esclusivamente sui contenuti e sull’esercizio dell’amore (Mt 25,31-46), non sulle opinioni politiche, sulle credenze religiose, sull’appartenenza a gruppi ed associazioni o quant’altro. Il Vangelo non suggerisce agli uomini quale ideale politico seguire o quale modello socio-economico realizzare, ma impone solo scelte d’amore fraterno tra gli uomini. Le ideologie filosofiche o politiche, i modelli sociali ed economici e tutte le attività umane che contraddicessero od ostacolassero questo fondamentale “comandamento” divino, sarebbero contrari al volere di Dio ed alla piena realizzazione dell’uomo.
La breve unità discorsiva dei vv. 9-10, costruita con molta abilità dall’evangelista, si apre e si conclude con l’amore del Padre, reso manifesto nel Figlio al fine di raggiungere tutti gli uomini e di sollecitarli al medesimo reciproco amore che contraddistingue la relazione tra Dio Padre ed il Figlio suo unigenito. Al centro dei due versetti sta l’ammonimento a rimanere nell’amore di Gesù, condizione indispensabile per dare sostanza e peso anche all’amore tra gli uomini. Senza Gesù, l’amore umano, anche quello all’apparenza più generoso ed infuocato, rischia seriamente di raffreddarsi alle prime difficoltà. Tra il dire ed il fare c’è sempre di mezzo il classico profondissimo e tempestoso mare di fragilità e debolezza umana, nel quale annegano regolarmente le buone intenzioni!
Gesù conclude il discorso della vite affermando che chi rimane nel suo amore, mettendo in pratica il suo insegnamento, ottiene una pienezza di gioia, che è la naturale conseguenza della comunione con Cristo Signore. Si tratta, in questo caso, della gioia del tempo pasquale, che scaturisce dalla presenza certa e vera di Cristo risorto, l’eterno Vivente. Nel tempo presente è già in atto la realizzazione delle promesse contenute nell’Antico Testamento e collegabili al disegno di salvezza universale di cui Dio creatore è l’artefice e Cristo Gesù il realizzatore. La gioia di Gesù, che nell’intimo della propria coscienza ha ben presente la volontà salvifica del Padre, si riversa sui suoi discepoli di ogni tempo e luogo ed è pegno ed anticipazione della gioia piena, insopprimibile ed imperitura della fine dei tempi. Il momento storico presente è inevitabilmente contrassegnato dalla sofferenza, dall’insoddisfazione, dalla sensazione di precarietà e d’incertezza, ma il cristiano sa che la vita su questa terra è solo un momento di transito, una tappa di avvicinamento alla vita vera in cui ogni lacrima sarà asciugata ed ogni desiderio di felicità sarà pienamente realizzato (Ap 21,4).

12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. 13 Nessuno ha una amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. 14 Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. 15 Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perchè tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. 16 Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17 Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.
La pericope è inclusa tra due parole “chiave”: comando, amore. Nell’amore reciproco sono racchiusi tutti i comandamenti di Gesù, che in esso trovano il loro centro e la loro conferma. Nelle intenzioni del Maestro, l’amore è e deve sempre essere il carattere distintivo di ogni suo discepolo (13,35), di ogni comunità cristiana. Tale concetto fu ripreso ed ulteriormente spiegato soprattutto dalla prima lettera che Giovanni scrisse alla sua comunità per sgombrare il campo dalle gelosie, dalle invidie e dal desiderio di primeggiare che, come si sa, affliggono qualsiasi società umana, Chiesa compresa, definita da s. Agostino sancta meretrix: santa perché pensata, voluta e fondata da Gesù Cristo che ne è il Capo e, al tempo stesso, meretrice (o “prostituta”) perché costituita da donne e uomini peccatori e sempre inclini a ribellarsi all’amore misericordioso di Dio, il quale, per contro, è sempre disposto al perdono. L’amore reciproco (1Gv 3,11.23; 4,7.11; 2Gv 5), che equivale all’amore fraterno (1Gv 2,10; 3,10.14), trova il suo concreto campo d’azione proprio all’interno della comunità, i cui membri hanno il dovere di mettere in pratica il precetto divino dell’amore mediante vicendevoli sentimenti di rispetto, di perdono, di compassione, di comprensione, di misericordia, di bontà, di tolleranza e di pazienza. Il modello esemplare da imitare è Gesù stesso (1Gv 2,6; 3,3.7.16), il quale ha mostrato i reali confini dell’amore: dare la propria vita per i propri amici. A ben vedere, Gesù è andato assai oltre, poiché Egli si è sacrificato “anche” per i suoi nemici, dimostrando a chi vuole seguirlo che l’amore vero non fa distinzioni tra amici e nemici, tra buoni e cattivi, tra giusti ed ingiusti. Potrebbe sembrare, a prima vista, che l’amore di Dio per gli uomini sia a buon mercato e che, a prescindere dai propri comportamenti, si possa sempre farla franca; Dio, però, non è un tontolone né un bravo paparino di manica larga da menare per il naso. Succede spesso che qualche cristianuccio di scarse vedute, trovandosi di fronte ad una scelta tra il bene ed il male, si limiti ad osservare i principi minimali della morale e che non sappia vedere “oltre” l’angusta visuale di una fede di stampo tradizionalista e ritualista. Date queste premesse, è difficile offrire per gli amici la punta dell’unghia di un dito mignolo, figuriamoci donare la propria vita e, per giunta, in modo volontario come ha fatto Gesù! Solo l’amore può giustificare la scelta folle ed irrazionale della croce. Chi non crede nell’opzione d’amore di Cristo non può comprendere il significato della sofferenza e della morte violenta volontariamente subite dal Figlio di Dio, ma cerca di eliminare dal proprio orizzonte qualsiasi richiamo al sacrificio supremo di se stessi, a partire proprio dalla croce che ne rappresenta il simbolo per eccellenza. L’amore oblativo di Gesù per i suoi “amici” non fa sconti; chi è disposto a seguirlo e ad imitarlo anche nella rinuncia volontaria del bene supremo della propria vita a vantaggio dei propri simili, ha il diritto di considerarsi “amico di Gesù”. In caso contrario, chi preferisce salvaguardare la propria dimensione esistenziale, la legittima aspirazione al benessere, alla libertà di giudizio e di azione, la tutela dei propri diritti e della personale dignità umana anche a costo di calpestare lo spazio vitale dei fratelli, non è “amico” di Cristo e non è degno di essere suo discepolo. In questo senso va inteso il richiamo di Gesù: chi vuole salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà (Mt 16,25). La condizione necessaria per essere amici di Gesù è osservare i suoi comandi, riassunti da quell’ordine incisivo e perentorio pronunciato poco prima: amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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