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COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2019 15:05
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04/06/2010 18:06
 
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Vangelo di Giovanni


L’opera giovannea

Gli scritti che vengono attribuiti all’apostolo Giovanni sono il IV Vangelo, l’Apocalisse e tre Lettere. Nel loro complesso, tali scritti costituiscono l’opera giovannea, che si caratterizza per l’utilizzo di un vocabolario proprio,1per essere unanimemente attribuito dalla tradizione all’apostolo Giovanni e per il fatto che risente di uno stesso ambiente vitale (Sitz im Leben).2

L’ambiente vitale dell’opera giovannea è caratterizzato dal clima di persecuzione che i cristiani subiscono per mano della sinagoga, cioè da parte delle autorità religiose giudaiche da una parte e, dall’altra, dalla minaccia alla fede in Cristo Signore per opera delle prime eresie (specie l’eresia gnostica).3 Probabilmente il IV Vangelo fu scritto ad Efeso, centro d’irradiazione della “scuola giovannea” e campo d’azione dell’apostolo Giovanni, anche se la comunità cristiana di quella città, ubicata nell’attuale Turchia, era stata fondata dall’apostolo Paolo in occasione del suo terzo viaggio missionario.4


L’autore del IV Vangelo

Dalla fine del XIX secolo molto si discute sull’autenticità giovannea del IV Vangelo. In effetti, tutti i Vangeli sono anonimi e le notizie circa i loro autori ci vengono dall’antica tradizione ecclesiastica. Risale circa al 180 d.C. la prima testimonianza sulla paternità giovannea del IV Vangelo ed è resa da s. Ireneo,5vescovo di Lione ma originario di Smirne, che si trovava nei pressi di Efeso. Egli ebbe modo di conoscere personalmente e di raccogliere, a sua volta, la testimonianza di s. Policarpo,6illustre vescovo di Smirne e discepolo diretto dell’apostolo Giovanni. Si può ben comprendere come la testimonianza di s. Ireneo sia un importante e valido anello di congiunzione con l’insegnamento apostolico ed elemento insostituibile della tradizione apostolica stessa.

L’autore del IV Vangelo sarebbe, dunque, l’apostolo Giovanni,7il cui nome significa “YHWH fece grazia”. Dai Sinottici sappiamo che Giovanni era figlio di Zebedeo e di Salòme, una delle pie donne che assistevano Gesù ed il gruppo degli apostoli durante il loro peregrinare sulle polverose strade di Palestina.8 Suo fratello era Giacomo, detto il Maggiore9per distinguerlo dall’altro Giacomo del gruppo apostolico, detto il Minore10 ed assai famoso nella primitiva Chiesa di Gerusalemme per essere il “fratello”, cioè il cugino del Signore e figlio di Alfeo e di Maria di Cléofa.

Giovanni e Giacomo erano pescatori originari di Betsaida, una cittadina affacciata sulle acque pescose del mare di Galilea e dovevano essere benestanti, visto che il padre si avvaleva del lavoro di dipendenti.11 I due fratelli erano soprannominati da Gesù “Boanerghès”, cioè “figli del tuono” per l’irruenza del loro carattere.12

Assieme al fratello Giacomo ed a Pietro, l’apostolo Giovanni appartiene al gruppo dei discepoli prediletti da Gesù, che li vuole unici testimoni della sua Trasfigurazione sul monte Tabor,13della risurrezione della figlia di Giàiro 14 e della sua agonia nel giardino del Getsémani.15

Il rapporto privilegiato col Maestro rende Giovanni e Giacomo alquanto sfrontati, al punto da indurli a chiedere a Gesù di sedere al suo fianco non appena si fosse realizzato l’avvento del Regno di Dio.16

Il nome di Giovanni non compare esplicitamente nel IV Vangelo; l’evangelista si presenta come “il discepolo che Gesù amava”. A lui Gesù confidò il nome del traditore durante l’ultima cena,17a lui affidò propria Madre sul Calvario18e fu lui a correre con Pietro al sepolcro vuoto il mattino di Pasqua per verificare il racconto di Maria Maddalena.19 Giovanni fu anche il primo a credere nella resurrezione di Gesù20ed il primo a riconoscere il Signore risorto sulla spiaggia del mare di Galilea.21 Nonostante il privilegio di essere “colui che Gesù amava” più degli altri (era forse il più giovane del gruppo?), Giovanni seppe mantenere una posizione subordinata rispetto a Pietro, il capo riconosciuto degli apostoli, pur venendo presentato da Paolo come una delle “colonne” della Chiesa madre di Gerusalemme.22 Con molta probabilità, Giovanni lasciò definitivamente la Città Santa poco prima che iniziasse la guerra giudaica, che si sarebbe conclusa nel 70 d.C. con la distruzione della città e del suo famoso Tempio, così come aveva previsto Gesù nell’imminenza della sua Passione e morte in croce.23 La sua destinazione fu la città di Efeso, sede di una comunità cristiana fondata da Paolo e nella quale si venerava Venere, la dea della fecondità e dove sorgeva un famoso tempio (l’Artemision), attorno al quale ruotavano enormi interessi commerciali legati alla continua affluenza di pellegrini in cerca di “emozioni forti”. Efeso era nota per i suoi costumi tutt’altro che morigerati e persino il battagliero e focoso Paolo di Tarso dovette allontanarsi in tutta fretta dalla città, non prima di aver provato i disagi della locale prigione, a causa di un tumulto suscitato da coloro cui aveva provocato, a causa della sua predicazione, un notevole danno economico.24 Giovanni portò con sé Maria, la Madre di Gesù e plasmò la fede della locale comunità cristiana con uno stile diverso da quello interpretato dal grande Tarsiota. Egli dovette rafforzare la fede in Gesù dei cristiani, presi di mira dalle persecuzioni perpetrate dalle autorità religiose ebraiche e colti di sorpresa anche dalle prime eresie, che tendevano a negare ora la vera umanità, ora la vera divinità del Signore. Dopo una vita lunga ed intensa, spesa per il Vangelo di Gesù Cristo, durante i primi anni dell’impero di Traiano (98-117 d.C.) Giovanni morì di vecchiaia in esilio nell’isola di Pathmos, dove era stato confinato dall’imperatore Domiziano.25



Genesi storica del Vangelo di Giovanni

Il racconto è stato definito la forma letteraria della memoria. Così, il racconto evangelico è la storia della primitiva comunità cristiana come emerge dalla “memoria” dell’evangelista. Il testo evangelico rimanda e rende testimonianza all’Evento dell’incarnazione, passione, morte e resurrezione del Figlio di Dio e si propone di suscitare la fede nel lettore di ogni epoca storica.

Il Vangelo è stato inizialmente soltanto predicato: testimonianza orale. Soltanto in seguito furono messi per iscritto alcuni elementi della testimonianza orale, centrati sulla passione, morte e resurrezione di Cristo ed oggetto di una costante e coraggiosa predicazione: testimonianza scritta. Giovanni utilizzò come prologo al suo Vangelo scritto un inno della primitiva comunità cristiana, di cui s’intuisce una formazione culturale greco-ellenistica. È un fatto marginale se a scrivere materialmente il Vangelo sia stato Giovanni in persona od un suo fidato discepolo; è fuor di dubbio che l’impronta dell’opera sia tipicamente giovannea, per cui l’eventuale discepolo scrittore può essere definito con buona ragione un testimone evangelista. Alcuni autori del XIX secolo hanno messo in dubbio il valore storico del Vangelo di Giovanni, attribuendogli un significato prettamente speculativo e negandogli un substrato palestinese. Un papiro scoperto ad Ossirinco, in Egitto, nel 1920 e noto come papiro Rylands (P52), riporta alcuni versetti del Vangelo di Giovanni: 18,31-33 e 18,37-38. Il papiro è stato datato intorno al 135-150 d.C., per cui il IV Vangelo circolava in Egitto pochi decenni dopo la scomparsa del suo autore o ispiratore. Oltre a ciò, nel 1947 sono stati scoperti a Qūmran, sul Mar Morto, dei manoscritti che hanno contribuito a confermare il substrato palestinese del Vangelo giovanneo, definito da Origene (III secolo d.C.) “il fiore dei Vangeli”. È in ogni caso certo che la redazione finale del IV Vangelo è opera di un discepolo dell’apostolo Giovanni, di cui raccolse gli elementi della predicazione orale e, forse, alcuni ricordi già fissati per iscritto, aggiungendo autonomamente il capitolo 21.


Scopo del IV Vangelo e suoi destinatari

Lo scopo principale del IV Vangelo è espressamente indicato nel versetto finale della conclusione originaria del testo evangelico (20,31): “Questi (segni) sono stati scritti affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, credendo, abbiate la vita nel suo nome”. Se lo scopo è la fede in Gesù, Cristo Signore, la conseguenza di tale fede è la vita eterna; dallo scopo si è in grado di identificare i destinatari del Vangelo, vale a dire coloro che ancora non credono, sia pagani sia ebrei, ma anche coloro che, pur essendo già cristiani, devono crescere e diventare “adulti” nella fede. Alcuni autori ritengono che il Vangelo di Giovanni abbia anche un intento polemico nei confronti degli eretici, che negavano la reale umanità di Cristo (i docetisti), oppure delle autorità religiose ebraiche (i giudei), che nel concilio di Jamnia (85-90 d.C.) avevano sancito la definitiva espulsione dalle sinagoghe degli ebrei convertiti al cristianesimo, definiti “eretici” (in ebraico minîm) e colpiti da solenne maledizione.


Data e luogo di composizione

Secondo gli studiosi più accreditati, il Vangelo di Giovanni sarebbe stato composto tra il 90 ed il 100 d.C.: ad Efeso, a parere dei più, oppure ad Alessandria d’Egitto,26come proposto da alcuni in considerazione della diffusione di questo Vangelo in Egitto nei primi decenni del II secolo dell’era cristiana o ancora, secondo altri, ad Antiochia di Siria,27la più grande città dell’impero dopo Roma e centro d’irradiazione del primitivo cristianesimo nel mondo pagano. Quest’ultima ipotesi sarebbe avvalorata dalle somiglianze tra il pensiero giovanneo e quello formulato nelle sue opere da s. Ignazio, vescovo d’Antiochia nel II secolo d.C.


Struttura e contenuto del IV Vangelo

Il Vangelo di Giovanni si compone di tre parti:

  1. Prologo (1,1-18), testimonianza del Battista (1,19-34) e vocazione dei primi discepoli (1,35-51)

  2. Racconto evangelico (cc. 2-20) suddiviso in due blocchi:

  1. cc. 2-12 ovvero il libro dei segni o miracoli: nozze di Cana (2,1-12); la prima pasqua a Gerusalemme con la cacciata dal Tempio dei mercanti (2,13-25); Nicodemo (3,1-21) ed ultima testimonianza del Battista (3,22-36); la Samaritana (4,1-42), Gesù in Galilea ed il miracolo del figlio dell’ufficiale regio (4,43-54); la guarigione dell’infermo alla piscina di Bethesda (5,1-47); la moltiplicazione dei pani (6,1-15), Gesù cammina sulle acque (6,16-21) e discorso sul pane di vita (6,22-71); Gesù a Gerusalemme per la festa delle Capanne e la grande rivelazione messianica (7,1-53); l’adultera (8,1-11), Gesù luce del mondo (8,12-20) ed altre rivelazioni (8,21-59);

il cieco nato (9,1-41); il Buon Pastore (10,1-21), ultima rivelazione alla festa della Dedicazione e ritiro oltre il Giordano (10,22-42); resurrezione di Lazzaro (11,1-44), congiura dei Giudei e ritiro di Gesù ad Efraim (11,45-57); unzione di Betania (12,1-11), ingresso messianico in Gerusalemme (2,12-19) ed incredulità dei Giudei (12,20-50).

  1. Cc. 13-20 ovvero il libro dei discorsi (13-17) e racconto della passione, morte e resurrezione di Gesù (18-20): Ultima Cena con la lavanda dei piedi (13,1-20), annuncio del tradimento (13,21-30) ed inizio del discorso d’addio (13,31-38); continuazione del discorso di addio (14,1-31); Gesù vera vite (15,1-17); i discepoli ed il mondo (15,18-27); la promessa del dono dello Spirito (16,1-15) e del ritorno di Gesù (16,16-33); la preghiera sacerdotale (17,1-26).

La Passione e morte di Gesù (18,1-19,42); la Resurrezione e le apparizioni di Gesù (20,1-29); prima conclusione del Vangelo (20,30-31).

  1. Appendice: il capitolo 21 è chiaramente un’aggiunta tardiva composta da un discepolo di Giovanni e comprende

  • l’apparizione sul lago di Tiberiade (21,1-14)

  • il primato di Pietro e predizione sulla sua sorte (21,15-19)

  • predizione sulla sorte del discepolo prediletto (21,20-23)

  • ultima conclusione del Vangelo (21,24-25).


Significato del Vangelo giovanneo

Vangelo (dal greco euanghélion) significa “buona notizia”. Il Vangelo è la buona notizia che Dio ha accordato a tutti gli uomini la salvezza grazie al sacrificio sulla croce di Cristo Gesù, il Figlio di Dio divenuto Uomo. Il Vangelo è Gesù stesso, che è venuto a mostrare la Verità dell’Amore di Dio per tutti gli uomini di ogni tempo, cultura, religione ed appartenenza sociale. Gesù non è esclusivo appannaggio di nessun popolo e, sulla traccia della sua storia, ogni uomo può tracciare la propria storia. Gesù è universale come il suo Vangelo. L’evento fondatore del Vangelo è la “venuta di Dio tra gli uomini”. Dio, che nessun uomo può dimostrare, si è mostrato e rivelato all’uomo in Gesù. Chi ha visto Gesù ha visto Dio. Era necessario che Gesù s’incarnasse per dare un senso alla libertà umana, ove per libertà si intende la decisione di essere se stessi, di realizzarsi come uomini. Per l’uomo, essere al mondo significa diventare, grazie a Gesù, figlio di Dio e fratello di Gesù. Grazie a Cristo, che ha donato se stesso morendo sulla croce, l’uomo ha ricevuto il dono supremo della vita e della libertà. Dal racconto evangelico emerge una sostanziale verità: chi crede in Gesù lo comprende sempre di più; chi osteggia Gesù, sempre più si allontana da Lui. Per suscitare la fede in Lui, Gesù si esprime con “parole” e con “segni” (i miracoli). I “segni” da Lui compiuti mostrano la potenza di Dio, che agisce per mezzo suo ma, per evitare un’interpretazione ambigua dei suoi gesti, Gesù li spiega con “parole”. Chi non ha fede in Gesù, però, non riesce a cogliere il significato né delle sue “parole” né dei suoi “segni” e rimane avvolto dalle tenebre dell’incredulità.


Caratteristiche letterarie

Il IV Vangelo fu scritto originariamente in greco; pur denotando alcuni influssi del modo di esprimersi in aramaico,28la versione greca non è una traduzione di un originale aramaico, come avvenne per il Vangelo matteano. L’autore del Vangelo giovanneo si è espresso in greco pur conservando alcuni tratti del modo di pensare aramaico. Il Vangelo di Giovanni è piuttosto povero dal punto di vista lessicale. Seppure composto da 15.420 parole, il IV Vangelo è formato da soli 1.011 vocaboli diversi. Esso è assai meno colorito e pittoresco del Vangelo di Marco e meno letterario di quello di Luca, ma i pochi vocaboli usati da Giovanni hanno generalmente un profondo significato teologico. Frequentemente ci s’imbatte in nomi semitici, regolarmente tradotti in greco: rabbì (didàskalos = maestro), masiah (traslitterato nel greco messìas = christòs = cristo, unto), kefàs (Pétros = Pietro), Sìloe (apestalménos = inviato).

Il malinteso è uno dei procedimenti letterari più caratteristici del IV Vangelo. Le parole, che Gesù utilizza in senso spirituale, vengono intese dai suoi uditori in senso puramente materiale, terreno, causando fraintendimenti talora umoristici. Gesù si esprime in modo enigmatico, favorendo l’incomprensione in chi ascolta ed intende le parole di Gesù in modo concreto, materiale, fisico. A questo punto, Gesù ripete la parola non capita e ne spiega il senso vero da Lui inteso: nonostante ciò, chi non vuole capire non capisce del tutto (malinteso finale). Dal malinteso scaturisce l’ironia tipica di Giovanni e che traspare soprattutto nei dialoghi, che oppongono Gesù ai suoi interlocutori umani, incapaci di cogliere il senso profondo delle “parole” del Maestro.

Alcuni racconti del IV Vangelo sono molto drammatici e Giovanni sa tenere alta la tensione dei suoi lettori: es. la Samaritana (4,1-42), il cieco nato (9,1-41), la resurrezione di Lazzaro (11,1-44), Gesù davanti a Pilato (18,28-19,16).

Il linguaggio giovanneo è ricco di simbologia; l’evangelista sa mettere in evidenza il significato spirituale di avvenimenti e fatti del tutto ordinari, di cui si possono offrire alcuni esempi chiarificatori: il tempio di Gerusalemme viene presentato come simbolo del corpo glorioso di Gesù (2,19-21); l’acqua della piscina di Sìloe, di cui erano note le proprietà benefiche, anzi, talvolta anche miracolose, viene assunta come simbolo delle benedizioni messianiche (9,7); quando Giuda esce dal Cenacolo dopo il tradimento, viene avvolto dalle tenebre della notte, simbolo delle tenebre del male in cui viene avviluppata la sua anima; dal cuore trafitto di Gesù escono il sangue, simbolo dell’eucaristia, e l’acqua, simbolo del battesimo ed entrambi sono simbolo della Chiesa, nata come nuova Eva dal costato del nuovo Adamo.

I discorsi costituiscono la parte predominante del IV Vangelo. Essi sviluppano di solito un tema determinato, esaminato da diverse angolature da Gesù, spesso interrotto da domande di chiarimento o da obiezioni avanzate dai suoi interlocutori. Giovanni non si accontenta, come i Sinottici, di riportare sentenze (lòghia) brevi di Gesù, isolate od in serie, per costruire un discorso od un contesto di rivelazione. I discorsi di Giovanni sono per se stessi “discorsi di rivelazione”: Gesù si rivela per quello che è in Se stesso e nei riguardi dell’uomo; Egli parla in prima persona ed usa sovente il verbo essere, che è la radice del nome divino YHWH (= Colui che era, che è e che sarà per Se stesso ed in relazione con l’uomo). Quando Gesù afferma in forma assoluta “Io Sono” (8,24.28; 13,19), rivela la sua divinità. Quando il verbo essere è seguito da un predicato nominale, Gesù sottolinea una delle relazioni salvifiche che Egli ha con gli uomini, indicate dal nome del predicato: “Io sono il pane vivo” (6,51); “Io sono la luce del mondo” (8,12); “Io sono il buon pastore” (10,11); “Io sono la resurrezione e la vita” (11,25); “Io sono la via, la verità e la vita” (14,6); “Io sono la vera vite” (15,1).

Tali discorsi sono composti in prosa ritmica ed utilizzano il tipico parallelismo paritetico, antitetico e sintetico della poesia ebraica (un concetto è ribadito usando parole diverse ma col medesimo significato, oppure viene espresso dicendo il contrario di quanto affermato prima o completando il pensiero precedente). Le controversie ed i dialoghi sono ricchi di doppi sensi e di malintesi, che caratterizzano la ben nota ironia giovannea. Spesso i dialoghi del IV Vangelo si prolungano in lunghi monologhi di Gesù, dando spazio alla “Parola di Dio divenuta carne”.

1 Nell’opera giovannea ricorrono vocaboli propri come “mondo”, “rimanere”, “conoscere”, “Verbo”. Questo ultimo vocabolo viene usato come appellativo riferito a Gesù Cristo.

2 Per “ambiente vitale” o Sitz im Leben si intende il contesto umano, culturale, sociale, psicologico e storico in cui si svolgono, vengono narrati e contestualizzati i fatti descritti da un autore.

3 La “gnosi” era una complessa dottrina filosofico – religiosa, composta da elementi speculativi e da elementi religiosi di varia provenienza culturale (mistica orientale, filosofia greca), imperniata sulla convinzione che l’uomo si salva da se stesso, senza l’intervento di un Essere superiore, che è spesso ostile all’uomo.

4 Cf. At 19, 1-20.

5 S. Ireneo, la cui festa cade il 28 giugno, nacque a Smirne nel 130 d.C. e fu discepolo di s. Policarpo, vescovo di quella città. Divenne vescovo di Lione poco dopo il 177 d.C. e vi morì martire nel 200 circa.

66 S. Policarpo sarebbe diventato discepolo dell’apostolo Giovanni e, quindi, sarebbe diventato il primo vescovo di Smirne, dove morì martire nel 155 d.C. Secondo la tradizione fu arso vivo nello stadio della sua città. La sua festa si celebra il 23 febbraio. Egli può essere considerato, insieme ai discepoli degli apostoli, l’autorevole anello di congiunzione tra l’epoca apostolica e quella post-apostolica, garantendo l’autenticità e la veracità della trasmissione orale dei detti pronunciati da Gesù e dei gesti da Lui compiuti, non riportati dai Vangeli.

7 Affermare che Giovanni sia l’autore del IV Vangelo non significa asserire che lo abbia scritto di suo pugno, ma che ne sia stato comunque l’ispiratore. Era prassi normale per quell’epoca avvalersi dell’aiuto di scrivani, che mettevano per iscritto ciò che veniva loro dettato dall’autore di un’opera. L’ultimo capitolo del Vangelo giovanneo è sicuramente opera di un discepolo dell’apostolo Giovanni, probabilmente già morto all’epoca dell’aggiunta finale (cap. 21).

8 Cf. Mc 10,35; Mt 20,20.

9 S. Giacomo il Maggiore, figlio di Zebedeo, fu il primo apostolo a morire martire, intorno al 42 d.C.; viene festeggiato il 25 luglio.

10 S. Giacomo il Minore, figlio di Alfeo, fu vescovo di Gerusalemme e morì lapidato nel 62 d.C. La sua festa cade il 3 maggio e viene ricordato insieme a Filippo. L’appellativo di fratello del Signore, attribuito a Giacomo di Alfeo, ha dato adito a mille illazioni circa la verginità di Maria S. S. da parte di chi non conosce la realtà familiare tribale della popolazione ebraica, condivisa da buona parte delle popolazioni semitiche. Nella lingua ebraica non esistevano termini paragonabili a quelli oggi in uso per indicare la parentela tra consanguinei: il termine fratello indicava sia il cugino che lo zio, oltre che il fratello di sangue ed i vari membri maschi del clan familiare. Allo stesso modo il termine sorella si applicava anche alla cugina, alla zia ed ai membri femminili del clan.

11 Cf. Mc 1,20.

12 Cf. ibid. 3,17.

13 Cf. Mt 17,1; Mc 9,2; Lc 9,28.

14 Cf. Mc 5,37; Lc 8,5.

15 Cf. Mt 26,37; Mc 14,35.

16 Cf. Mc 10,35-45.

17 Cf. Gv 13, 23-26.

18 Cf. ibid. 19,26.

19 Cf. ibid. 20,2-3.

20 Cf. ibid. 20,8.

21 Cf. ibid. 21,7.

22 Cf. Gal 2,9.

23 Cf. Mt 23,37-24,2.

24 Cf. At 19,21-20,1.

25 Cf. Ap 1,1. Secondo la tradizione, l’apostolo Giovanni fu esiliato dopo aver subito diversi supplizi senza subirne alcun danno fisico. Durante l’esilio nell’isola di Pathmos avrebbe scritto o dettato l’Apocalisse.

26 Alessandria d’Egitto era, forse, il centro culturale più importante dell’impero romano ed era sede della biblioteca più attrezzata e famosa dell’antichità classica.

27 Antiochia di Siria era un vero e proprio crocevia etnico, linguistico, culturale, commerciale e religioso. In questa città comparve per la prima volta il nome di cristiani per indicare i seguaci di Cristo.

28 Mentre il periodo sintattico greco è piuttosto complesso, essendo costituito da una frase principale e da diverse frasi dipendenti, coordinate e subordinate (come l’attuale lingua italiana), la sintassi aramaica ed ebraica è alquanto semplice, caratterizzata dalla paratassi, che consiste nel collegare le diverse azioni, espresse dal verbo, con la congiunzione “e”. Si ottiene una serie di frasi principali collegate tra loro senza gradualità sintattica.

[Modificato da Coordin. 04/06/2010 18:09]
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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