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ESPERIENZE di NDE: Oltre la vita

Ultimo Aggiornamento: 30/08/2023 18:59
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23/05/2010 22:26
 
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Il fenomeno delle NDE:
dalla speculazione filosofico-religiosa alle ipotesi della scienza
di Astro Calisi
Il fenomeno delle esperienze di premorte (EPM, come vennero inizialmente chiamate da
Raymond Moody (1), o NDE (Near Death Experiences, nella terminologia oggi quasi
universalmente adottata) si è imposto negli ultimi decenni all’attenzione generale, e in particolare a
quella di medici e psicologi. Si tratta di un insieme di esperienze molto particolari che si verificano
solitamente in corrispondenza di gravi traumi o malattie.
I diversi studi, più o meno sistematici, finora condotti, hanno evidenziato alcuni aspetti
ricorrenti in tali esperienze, quali l’impressione di separarsi dal proprio corpo, trovandosi spesso a
osservarlo da una prospettiva diversa rispetto alla posizione effettivamente occupata dal corpo
stesso; attraversare rapidamente una specie di tunnel o una zona buia, fino a giungere in un luogo
pieno di luce; incontrare parenti e amici defunti, anch’essi immersi nella luce; trovarsi davanti a un
Essere particolarmente luminoso, dal quale emana un intenso sentimento di amore e di
comprensione; passare rapidamente in rassegna, come in un film, le azioni compiute durante la
propria vita, avvertendo immediatamente gli effetti che esse hanno avuto sugli altri; infine sentirsi
richiamato prepotentemente all’indietro e risvegliarsi nel mondo ordinario.
E’ bene precisare che tali aspetti, sia pure caratteristici del fenomeno delle NDE, non sono
quasi mai tutti presenti contemporaneamente nell’esperienza di una singola persona,
rappresentando piuttosto gli elementi più comuni che riscontrati nei resoconti relativi al fenomeno
stesso.
Un tempo il fenomeno delle NDE era piuttosto raro, non se ne trovava traccia nella
letteratura medica, e i pochi pazienti che osavano accennare alla loro esperienza, erano spesso
considerati affetti da turbe psichiche e inviati alle cure di un psichiatra (2). Oggi, con il
perfezionarsi delle tecniche di rianimazione, il numero dei pazienti in condizioni critiche che
vengono riportati in vita si è enormemente accresciuto. Ciò ha permesso di raccogliere una
notevole mole di dati sul fenomeno, contribuendo a diffonderne la conoscenza, anche tra il vasto
pubblico, modificando di conseguenza anche l’atteggiamento nei suoi confronti. Oggi non si mette
più in dubbio l’esistenza delle NDE, né le si considera una forma di patologia; in discussione è
piuttosto l’interpretazione da dare a esse. A tal proposito, le posizioni attuali possono essere
ricondotte a due grandi categorie, che chiamerò interpretazione materialista e interpretazione
spiritualista.
L’interpretazione materialistica è la tipica posizione della scienza ufficiale, in particolar
modo della medicina e della neurologia, per le quali le NDE non sarebbero altro che fenomeni di
natura allucinatoria, provocati dal particolare stato di sofferenza in cui vengono a trovarsi le cellule
cerebrali a causa di una carenza di ossigeno e di sostanze nutritive. Secondo questa concezione, le
esperienze riferite dai soggetti sarebbero simili a quelle che si verificano sotto l’effetto di certe
droghe o sollecitando particolari zone della corteccia cerebrale con deboli correnti elettriche: quindi
non ci sarebbe in esse nulla di veramente particolare.
Secondo l’interpretazione spiritualista, invece, le NDE costituirebbero una prova
dell’esistenza di una parte immateriale dell’uomo, che sopravvive alla morte del corpo fisico. In
tale prospettiva, le NDE andrebbero considerate come una sorta di sbirciatina nel mondo
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dell’aldilà: la luce intensa (vista come una emanazione divina) e il rivivere in rapida successione i
vari episodi della propria vita (che ricorda molto da vicino il “giudizio finale” che attenderebbe
ogni persona al suo ingresso nell’aldilà), sarebbero altrettanti indicatori della validità di questa
interpretazione. A sostegno della loro tesi, gli spiritualisti portano anche altri argomenti di
maggiore consistenza scientifica. In particolare:
a) Le NDE avvengono per lo più in condizioni di arresto cardiaco e di assenza di attività cerebrale
(EEG piatto), in corrispondenza delle quali ci si aspetterebbe un totale offuscamento delle facoltà
coscienti.
b) Le NDE sono estremamente vivide e coinvolgenti, nonché ricche di particolari; i ricordi si
fissano stabilmente nella memoria del soggetto, che si dimostra in grado di fare descrizioni
accuratissime dell’esperienza vissuta, anche a distanza di anni. Ciò è esattamente il contrario di
quanto si verifica sotto l’effetto di droghe o in seguito ad altri tipi di stimolazione.
c) Le NDE provocano dei cambiamenti profondi e duraturi negli atteggiamenti e nelle convinzioni
del soggetto, soprattutto nel suo modo di porsi nei confronti dell’esistenza e nei suoi rapporti con
gli altri.
Questi argomenti, per quanto non privi di una certa rilevanza, non possono comunque
essere considerati prove decisive sulla non riconducibilità delle NDE agli ordinari fenomeni
neurofisiologici. Ad esempio, all’osservazione che le NDE si verificano solitamente in condizioni
di assenza di attività elettrica del cervello, è possibile replicare che non si può escludere del tutto
l’esistenza di processi nervosi residui, di entità così debole da sfuggire alla rilevazione delle
apparecchiature attualmente disponibili. Allo stesso modo, l’intensità dell’esperienza e gli effetti
prodotti sulle persone, benché insoliti per fenomeni di natura allucinatoria, non sono sufficienti per
giustificare la conclusione che le NDE riguardano entità e mondi che non appartengono alla realtà
fisica ordinaria.
In linea generale, si può dire che l’interpretazione spiritualista del fenomeno delle NDE
tragga ispirazione dalla tradizione religiosa cristiana, limitandosi poi a presentare i resoconti dei
soggetti coinvolti come prove della validità di tale interpretazione. Si tratta di una concezione
molto debole sotto il profilo scientifico, poiché il richiamarsi a un mondo soprannaturale o
all’esistenza di entità spirituali è precisamente l’aspetto che più contrasta con il naturalismo
scientifico, fondato sul deciso rifiuto di ogni forma di dualismo.
I sostenitori dell’interpretazione materialista, d’altro canto, proponendo spiegazioni delle
NDE compatibili con la visione scientifica del mondo, non si spingono mai a specificare con
chiarezza i fatti, o le circostanze, che qualora verificati, dimostrerebbero l’insostenibilità delle
spiegazioni da loro avanzate. In tal modo, le loro argomentazioni tradiscono il loro carattere
“filosofico”, quanto mai lontano dai metodi rigorosi della scienza.
Il dibattito sulle NDE, talvolta anche acceso, rischia così di essere sterile e inconcludente,
riducendosi, nella maggioranza dei casi, a un dialogo tra sordi. La verità è che gli argomenti con
cui si cerca di difendere le rispettive posizioni non sono, quasi di regola, quelli che hanno portato
ad assumere quelle posizioni, ma costituiscono spesso costruzioni a posteriori con le quali si cerca
di giustificare convinzioni che hanno motivazioni profonde e a cui molto difficilmente si sarebbe
disposti a rinunciare.
Per quanto mi riguarda, sono portato a ritenere che le tesi materialistiche tradizionali siano
largamente insufficienti per render conto di tutti i dati di cui oggi disponiamo. Infatti, se è vero che
in alcuni casi le spiegazioni neuroscientifiche possono essere considerate soddisfacenti in quanto
capaci di mostrare analogie con quanto riscontrato in particolari situazioni cliniche o sperimentali,
è vero anche che nessuna di queste spiegazioni è compatibile con tutti i fenomeni rilevati nelle
NDE.
Credo che siano maturi i tempi per dirimere una volta per tutte la questione, dimostrando in
modo inequivocabile l’insostenibilità dell’interpretazione materialista, almeno nei termini con cui
questa viene attualmente sostenuta nell’ambito della medicina e delle neuroscienze. Affinché ciò
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avvenga, è necessario abbandonare l’ambito del puro confronto verbale, basato sulla forza
dell’argomentazione razionale, per cercare una solida base empirica dei fenomeni, capace di porsi
come arbitro imparziale tra le due posizioni oggi contrapposte.
La quasi totalità di coloro che si occupano del fenomeno delle NDE sembra coltivare la
convinzione che una simile base non esista, dal momento che gli unici dati a cui possiamo attingere
sono quelli che derivano dai resoconti degli individui direttamente coinvolti nell’esperienza, dati
che rimandano ai vissuti interiori e quindi inevitabilmente soggettivi. I sostenitori dell’ipotesi
materialista hanno giocato molto su questa presunta inadeguatezza, che sembra contravvenire a uno
dei principali requisiti metodologici della scienza, ossia la prescrizione di oggettività. La
prescrizione di oggettività stabilisce che solo i fenomeni rilevabili da più osservatori con metodi
rigorosi hanno importanza per l’indagine scientifica. Tuttavia, quando si ha a che fare con
fenomeni che si riferiscono alla mente, e in particolare all’esperienza cosciente, tale prescrizione
appare un puro non senso: come si può pretendere di studiare la coscienza, luogo dei contenuti
soggettivi, con metodi oggettivi?
Del resto, molti neuroscienziati sono pervenuti a scoperte di straordinaria importanza
proprio grazie alla loro decisione di non prendere troppo sul serio la prescrizione di oggettività,
ponendo a confronto dati relativi a specifici vissuti soggettivi, così come riferiti dagli individui
coinvolti nelle situazioni sperimentali, e dati oggettivi sull’attivazione di particolari aree cerebrali,
rilevati da opportuni strumenti. Voglio qui ricordare solo alcuni tra i ricercatori più famosi, come
James Olds, che scoprì il legame tra la sensazione di piacere provata da un soggetto e l’attivazione
di specifiche aree cerebrali; Benjamin Libet, famoso per aver scoperto il rapporto esistente tra i
nostri atti volontari e la comparsa di segnali elettrici in determinate zone del cervello; Wilder
Penfield, noto soprattutto per la sua scoperta della possibilità di riportare alla coscienza ricordi
tramite la stimolazione di aree cerebrali ben definite; Michael Persinger, autore di importanti
ricerche sulla stimolazione magnetica dei lobi cerebrali in relazione alla comparsa di visioni
allucinatorie o stati mistici. (3)
E’ possibile immaginare, per il fenomeno delle NDE, delle metodologie di indagine simili,
dotate di autentica valenza empirica?
Finora i sostenitori dell’ipotesi spiritualista hanno concentrato la loro attenzione sui vissuti
soggettivi delle NDE, senza curarsi eccessivamente di eventuali aspetti o implicazioni oggettive,
anzi, dando per scontata l’inesistenza di simili aspetti e implicazioni. Abbiamo così assistito a una
ricerca quasi spasmodica di casi sempre più insoliti e stupefacenti, come se la forza degli argomenti
prodotti fosse proporzionale alla spettacolarità dei resoconti riportati. E’ venuto il momento di
spostare l’indagine dagli aspetti soggettivi delle NDE, cioè dalle esperienze vissute dai soggetti, per
quanto intense e coinvolgenti possano essere, ai loro contenuti, vale a dire agli oggetti e ai
fenomeni a cui esse fanno riferimento, nel presupposto che almeno qualcuno di questi abbia delle
corrispondenze, verificabili empiricamente, con aspetti della realtà esterna al soggetto.
Molti soggetti che hanno sperimentato una NDE raccontano di essersi trovati a osservare il
proprio corpo da una prospettiva decentrata rispetto alla posizione effettiva in cui questo si trovava.
Essi si mostrano in grado di descrivere con abbondanza di particolari tutto ciò che accadeva intorno
a loro: le persone presenti nella stanza, i tentativi frenetici dei medici e degli infermieri di
rianimarli, le frasi dette, ecc. In alcuni casi, il paziente riferisce addirittura di essersi spostato in
ambienti vicini, anche qui riportando dettagliatamente osservazioni su oggetti e persone...
La spiegazione della medicina ufficiale è ovviamente che si tratta di mere allucinazioni,
costruite a partire dai contenuti della memoria del soggetto, e per questo abbastanza verosimili da
essere scambiate per fenomeni reali. Supponiamo tuttavia che, almeno in qualche caso, tali forme
di percezione non siano del tutto illusorie. Dovremmo, di conseguenza, aspettarci che i fatti narrati
dal soggetto contengano informazioni di cui egli non era in possesso fino al momento di vivere
l’esperienza della NDE. Quindi, se lo spostamento della prospettiva di osservazione non è di natura
allucinatoria, il soggetto dovrebbe essere capace di riferire su oggetti ed eventi che non erano
accessibili dalla specifica posizione occupata dal suo corpo. Questa precisazione è essenziale per
la dimostrazione della realtà delle percezioni che si hanno durante una NDE, ma soprattutto è
essenziale per stabilire che si tratta di percezioni non riconducibili alle facoltà ordinarie. Infatti,
ascoltando le descrizioni, anche accurate, che un soggetto fa circa ciò che avveniva intorno a lui,
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qualcuno potrebbe osservare che non si può escludere che questi conservasse un certo grado di
coscienza residua tale da permettergli di ascoltare i discorsi fatti e, anche, di vedere confusamente
attraverso le palpebre, forse non completamente chiuse. Ponendo la condizione dell’inaccessibilità
delle informazioni rispetto alla posizione del corpo, ossia l’impossibilità di attingere ad esse anche
se il soggetto si fosse trovato nel pieno possesso delle sue facoltà, si esclude che la fonte di certi
particolari riferiti possa essere quella della percezione normale.
Supponiamo che un soggetto racconti, come spesso avviene, di essersi trovato ad osservare
il proprio corpo dall’alto e successivamente di essersi spostato in una stanza accanto. Se non si
tratta di una semplice allucinazione, egli dovrebbe essere in grado di descrivere ciò che gli si
presentava da questa nuova prospettiva: un oggetto collocato sulla sommità di un armadio, non
visibile dal letto in cui era adagiato il suo corpo; ma anche gli oggetti e le persone che si trovavano
nella stanza attigua, come pure eventi e circostanze, discorsi fatti, e altri particolari a cui egli non
poteva aver accesso attraverso i normali canali percettivi. Confrontando successivamente il suo
racconto con quanto effettivamente accaduto (magari registrato da apposite telecamere), si potrebbe
verificare la correttezza delle sue osservazioni.
E’ sorprendente quanto questo aspetto delle NDE e le relative implicazioni per un corretto
inquadramento del fenomeno siano stati sottovalutati fino ad oggi. Eppure lo stesso Moody, fin
dalla pubblicazione della sua prima opera sull’argomento, ne aveva in qualche modo colto
l’importanza ai fini della produzione di prove a favore della non illusorietà delle esperienze (4).
Salvo liquidare subito dopo il tutto come poco attendibile, perché nella maggioranza dei casi, i
“fatti” avrebbero come testimoni soltanto il morente o pochi amici e parenti (5). Per questo motivo,
egli preferisce soffermarsi diffusamente sulla descrizione delle conseguenze, cioè dei cambiamenti
profondi negli atteggiamenti e negli orientamenti di valore che si verificano nel soggetto in seguito
a una NDE. (6)
Tale convinzione non sembra aver subito mutamenti sostanziali nel corso del tempo. Tant’è
vero che la ritroviamo, all’incirca negli stessi termini, nella recente opera, La luce e la rinascita, di
Fulvia Cariglia (7). In questo libro, l’autrice, partendo dalla considerazione che nelle NDE è quasi
impossibile ottenere riscontri oggettivi, ritiene che l’unico modo per produrre prove significative
sia quello di concentrarsi sulle ricadute personali del fenomeno, piuttosto che sul suo verificarsi. Il
dopo delle NDE, ovvero i suoi effetti visibili sulle persone, rappresenterebbero infatti «l’unico
reperto tangibile del fenomeno» (8). Per questo, la Cariglia dedica buona parte del suo libro alla
descrizione accurata dei cambiamenti positivi che l’esperienza di una NDE provoca nella
maggioranza dei soggetti, quali la scomparsa della paura della morte, una maggior attenzione verso
gli altri, un’accresciuta stabilità psicologica e, in qualche caso, persino lo sviluppo di doti artistiche.
Si tratta di un aspetto indubbiamente importante, che la maniera rigorosa e distaccata con
cui l’autrice ne illustra le singole componenti, rende particolarmente interessante. Tuttavia, esso
non può essere considerato un argomento scientificamente decisivo per la confutazione della tesi
materialista tradizionale. Non abbiamo infatti alcuna certezza che una allucinazione
particolarmente vivida e coinvolgente, non possa produrre delle modificazioni, anche durevoli,
negli atteggiamenti e nei comportamenti di una persona.
Già oggi disponiamo di un certo numero di resoconti che indicano notevoli corrispondenze
tra contenuti delle esperienze dei soggetti che hanno sperimentato una NDE ed oggetti o eventi del
mondo reale posti al di fuori della percezione dei soggetti stessi. Purtroppo, nella quasi totalità dei
casi si tratta di riscontri effettuati da una sola persona e, per questo, del tutto inadeguati per
costituire una base empirica affidabile. Bisogna sgomberare il campo da qualsiasi possibilità che
chi propone casi significativi di questo tipo, abbia inventato di sana pianta certe corrispondenze o
vi abbia aggiunto, anche involontariamente, dei particolari non corrispondenti alla realtà. Occorre
quindi costruire situazioni sperimentali ben controllate, in modo da escludere frodi o errori
accidentali, con l’obiettivo di raccogliere un numero statisticamente significativo di resoconti di
NDE in cui la relazione tra esperienze soggettive e fatti esterni sia ben individuabile e, nello stesso
tempo, si possa escludere che il soggetto abbia avuto accesso a tali fatti attraverso i normali canali
visivi e uditivi.
E’ importante osservare che questa metodologia di indagine renderebbe prive di valore
tutte le presunte spiegazioni finora avanzate in ambito materialista, poiché si rivolge a “fatti” che si
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collocano al di là di esse. La stessa questione se le NDE riguardino individui che sono veramente
morti, e non soltanto pericolosamente vicini a tale condizione, diverrebbe del tutto irrilevante. Si
tratterebbe, in effetti, di un esperimento di straordinaria importanza perché i suoi risultati
potrebbero dimostrare, in maniera difficilmente contestabile, se le NDE sono fenomeni del tutto
illusori o meno: cioè la validità della concezione materialistica tradizionale o la sua definitiva
sconfitta. Esperimenti di questo genere, nella scienza, si chiamano “cruciali”, poiché sono in genere
capaci di decidere, con scarsa possibilità di appello, quale, tra due ipotesi in conflitto, sia quella da
considerare falsa.
Sarebbero ovviamente da attendersi forti resistenze da parte dei sostenitori della
interpretazione materialista nel caso in cui i risultati sperimentali si mostrassero in contrasto con le
loro tesi. In particolare, le critiche potrebbero concentrarsi sulle metodologie adottate, mettendone
in luce imprecisioni, aspetti trascurati o altri elementi di inadeguatezza. Si tratta di un
comportamento più che comprensibile, del resto molto frequente nella scienza di fronte alla
prospettiva di drastici mutamenti nei modelli esplicativi consolidati. Ma, alla fine, qualora
l’evidenza dei fatti si rivelasse inattaccabile da qualsiasi tentativo di confutazione, la nuova
concezione non potrebbe che trionfare.
Spero vivamente che le mie considerazioni spingano qualche ricercatore di buona volontà,
soprattutto se impegnato in strutture ospedaliere e quindi a diretto contatto con ammalati gravi o
con pazienti in rianimazione, a intraprendere una sperimentazioni con le caratteristiche da me
delineate. Una sperimentazione di questo genere, se vuole essere rigorosa, non può venir condotta
in segreto, nel chiuso di un laboratorio, ma richiede l’allestimento di condizioni adeguate, e
soprattutto la collaborazione di altre persone. Essa espone inevitabilmente il suo realizzatore a
critiche, opposizioni di ogni genere, se non addirittura alla derisione e all’ostracismo. E’ mia
convinzione che, almeno parte di queste resistenze possano essere attenuate, indipendentemente
dalle proprie intime convinzioni, presentando la ricerca come finalizzata a spazzar via
definitivamente ogni ipotesi spiritualista, ossia come un tentativo di dimostrare che le NDE sono
fenomeni di natura illusoria e, in quanto tali, non in grado di consentire l’acquisizione di altre
informazioni sull’ambiente rispetto a quelle già in possesso del soggetto.
Avviandomi alla conclusione, non posso fare a meno di accennare brevemente al
significato da attribuire alla eventuale conferma dell’esistenza di percezioni non riconducibili agli
ordinari organi percettivi. Personalmente non credo che simile scoperta dovrebbe necessariamente
essere interpretata come una prova incontestabile dell’esistenza di un mondo soprannaturale e di
entità spirituali in grado di accedere ad esso. Assai più modestamente, ritengo che essa andrebbe
considerata per quel che è, e cioè una confutazione della tesi materialista tradizionale secondo la
quale la nostra mente non sarebbe altro che una emanazione dell’attività nervosa del cervello,
sintetizzabile nello scambio di segnali di natura elettro-chimica tra neuroni, sia pur all’interno di
un’organizzazione estremamente complessa. Si tratterebbe comunque di un risultato di
straordinaria rilevanza scientifica, dalle implicazioni di così vasta portata da sfuggire a ogni nostra
attuale immaginazione. Non saremmo ancora alla comprensione del fenomeno “mente”, ma, certo,
ci troveremmo davanti a una svolta radicale che aprirebbe scenari finora impensati, rendendo
possibile (e lecito) avanzare nuove ipotesi rivoluzionarie e percorrere strade del tutto inedite per la
sperimentazione.
---------------------
NOTE
(1) Raymond Moody, La vita oltre la vita, Mondadori, Milano, 1977
(2) Raymond Moody, La luce oltre la vita, Mondadori, Milano, 1989, pagg. 103-5.
(3) (James Olds e P. Milner, “Positive Reinforcement Produced by Electrical Stimulation of Septal Area and
Other Regions of Rat Brain”, in J. Comp. Physiol. Psychol., 1954, 47, pagg. 419-27; Benjamin Libet, Mind
time. Il fattore temporale nella coscienza, Raffaello Cortina, Milano, 2007; W. Penfield e T Rasmussen, The
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6
Central Cortex of Man. A Clinical Study of Localizzation of Functions, MacMillan, New York, 1950;
Michael Persinger, ELF and VLF Electromagnetic Field Effects, Hardcover, 1974 e Michael Persinger,
Neurophysiological Bases of God Beliefs, Kindle Edition, 1987.
(4) Raymond Moody, La vita oltre la vita, cit., pagg. 87-9.
(5) Ibid., pag. 89.
(6) Ibid., pagg. 80-6.
(7) Fulvia Cariglia, La luce e la rinascita, Mondadori, Milano, 2009.
(8) Ibid., pag. 5.
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