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LA FISICA E LA RICERCA DI DIO

Ultimo Aggiornamento: 12/01/2023 19:54
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04/05/2010 12:25
 
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La fisica dei quanti e la ricerca di Dio

I cosmologi di oggi, richiamandosi alla cosiddetta "fisica dei quanti", cercano di rendere ragionevole l'idea teologica di una creazione dal nulla dell'universo.
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I teologi affermano che l'universo ha molti tratti "contingenti". Intendono dire che presenta dei fenomeni che devono essere spiegati con il richiamo a qualcosa d'altro, con delle cause esterne all'universo. Certamente l'esistenza degli esseri umani, come quasi tutto ciò che possiamo osservare nell'universo, è, in questo senso, contingente.
Dunque, ci deve essere stato un atto di intellegenza che ha selezionato l'enorme varietà di universi possibili. Deve essere stato, in qualche modo, "scelto" un universo, o una gamma ristretta di universi. Non é illecito ritenere che questa selezione si situi al di fuori o al di là del dominio della fisica, nello spazio della metafisica. Così da un punto di vista religioso si può dire che questa selezione è stata fatta da Dio. Molti scienziati non amano questa spiegazione ed affermano che dobbiamo ricercare un meccanismo di selezione del tutto interno all'universo.
I cosmologi di oggi, però, si richiamano alla cosiddetta "fisica dei quanti" e con essa cercano di rendere ragionevole l'idea teologica di una creazione dal nulla dell'universo. La fisica dei quanti si basa sul cosiddetto "principio di indeterminazione" di W. Heisenberg. Questo principio ci dice che tutto ciò che può essere misurato o osservato è soggetto a fluttuazioni spontanee: possono accadere, cioé, cambiamenti improvvisi senza ragione alcuna. Possiamo osservare in laboratorio come il fenomeno dei quanti faccia accadere delle cose senza ragione apparente. Ad esempio, il decadimento di un nucleo radioattivo è qualcosa che accadrà in un certo momento particolare senza ragioni apparenti. Noi non possiamo dire in anticipo perché o quando il nucleo decadrà, perché ciò accade in un momento piuttosto che in un altro. In altre parole, per la fisica dei quanti c'è una imprevedibilità inerente alla natura. Diviene così possibile per la prima volta concepire un universo che nasce per una sorta di fluttuazione quantistica: la sua origine è un evento senza causa.
Nella fisica pre-quantistica non era concesso avere degli eventi senza cause. Tutto ciò che avveniva nell'universo doveva avere una causa antecedente ben definita, mentre nella fisica quantistica è possibile che si producano degli eventi senza una causa antecedente ben definita. Se questo evento è la nascita dell'universo, esso non costituisce più per noi un problema: l'universo semplicemente nasce venendo fuori dal nulla.
Dobbiamo ricordarci che già molti secoli or sono Sant'Agostino diceva che il mondo é nato con il tempo e non nel tempo. E' degno di nota che la moderna immagine cosmologica riprenda questo punto di vista. Oggi sappiamo che spazio e tempo sono parte dell'universo fisico e sono nati con esso. Vorrei esprimere la cosa in questi termini: prima di Einstein si era portati a pensare allo spazio e al tempo come ad un'arena in cui si rappresentava il grande dramma della natura. Noi sapppiamo ora che spazio e tempo appartengono in effetti al "cast" di questo dramma: essi stessi partecipano al dramma, sono attori nel grande dramma della natura che si svolge di fronte a noi.
Non si può davvero parlare della nascita della materia senza parlare della nascita dello spazio e del tempo. L'idea della nascita del tempo é molto originale. Essa comporta una conseguenza: domande del tipo "Cosa accadde prima del "big bang"?", oppure "Che cosa ha causato il "big bang"?", risultano prive di significato, perché non c'era un "prima", non c'era una causa antecedente come la intende la fisica tradizionale.
Inoltre, se spazio e tempo sono elementi dell'universo, possono essere allungati e accorciati perfino in laboratorio. Possiamo manipolare spazio e tempo allo stesso modo in cui possiamo manipolare la materia. Se essi sono parte, per usare un termine religioso, della "creazione", allora devono esser stati creati. Io personalmente non credo che ci sia modo di dare un senso al mondo senza supporre che spazio e tempo, nel "big bang", siano stati creati con la materia e l'energia originarie.
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Tratto dall'intervista "Riflessioni sulla cosmologia contemporanea"
Venezia, Università Ca' Foscari, sabato 16 dicembre 1989
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04/05/2010 17:11
 
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Albert Einstein non era soddisfatto del principio di indeterminazione, e sfidò Niels Bohr con il seguente famoso esperimento mentale: "Riempiamo una scatola con del materiale radioattivo che emette radiazioni casuali. La scatola ha uno sportello, che viene aperto e chiuso immediatamente, da un orologio, a un preciso istante, permettendo così a un po' di radiazione di uscire. In questo modo il tempo è già noto con precisione. Vogliamo ancora misurare la variabile coniugata energia, con precisione. Non c'è problema dice Einstein: pesiamo la scatola prima e dopo. L'equivalenza tra massa ed energia, derivante dalla relatività speciale ci permetterà di determinare precisamente quanta energia ha lasciato la scatola". Bohr ribatté come segue, per di più applicando l'equivalenza massa-energia sviluppata proprio da Einstein: "Se l'energia esce, la scatola è più leggera e si solleverà leggermente sulla bilancia. Questo cambia la posizione dell'orologio. Quindi l'orologio devia dal nostro sistema di riferimento stazionario, e quindi per la relatività speciale, la sua misurazione del tempo sarà diversa dalla nostra, portando ad un inevitabile margine d'errore". Infatti, un'analisi dettagliata mostra che l'imprecisione è correttamente data dalla relazione di Heisenberg.

All'interno della diffusa (ma non universalmente accettata) interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica, il principio di indeterminazione è inteso come il fatto che a un livello elementare, l'universo fisico non esiste in forma deterministica, ma piuttosto come una collezione di probabilità, o potenziali. Ad esempio, il modello (probabilità di distribuzione) prodotto da milioni di fotoni che passano attraverso una fessura di diffrazione, può essere calcolato usando la meccanica quantistica, ma il percorso esatto di ogni fotone non può essere predetto da nessun metodo conosciuto. L'interpretazione di Copenaghen sostiene che non può essere predetto da nessun metodo.

Ed è questa interpretazione che Einstein stava mettendo in discussione quando disse: "Non credo che Dio abbia scelto di giocare a dadi con l'universo". Bohr, che era uno degli autori dell'interpretazione di Copenaghen rispose: "Einstein, smettila di dire a Dio cosa fare con i suoi dadi". Più tardi Stephen Hawking aggiunse "Einstein [...] sbagliò quando disse: «Dio non gioca a dadi». La considerazione dei buchi neri suggerisce infatti non solo che Dio gioca a dadi, ma che a volte ci confonda gettandoli dove non li si può vedere".

Einstein era convinto che questa interpretazione fosse errata. Il suo ragionamento era che tutte le distribuzioni di probabilità precedentemente conosciute, sorgessero da eventi deterministici. La distribuzione di un lancio di moneta può essere descritta con una distribuzione di probabilità (50% testa e 50% croce). Ma questo non significa che i movimenti fisici siano impredicibili. La meccanica classica può essere usata per calcolare esattamente come ogni moneta atterrerà, se le forze agenti su di essa sono conosciute. E la distribuzione testa/croce si allineerà con la distribuzione di probabilità (date forze iniziali casuali).

Einstein assunse che ci fossero delle variabili nascoste nella meccanica quantistica che sottostanno alle probabilità osservate. Né Einstein né altri sono mai riusciti a costruire una teoria della variabile nascosta soddisfacente, e la disuguaglianza di Bell illustra alcuni aspetti critici di questa ricerca. Anche se il comportamento di una particella individuale è casuale, è correlato al comportamento delle altre particelle. Quindi, se il principio di indeterminazione è il risultato di qualche processo deterministico, deve essere il caso che particelle poste a grande distanza trasmettano istantaneamente l'informazione a tutte le altre, per assicurare che ci sia una correlazione nel comportamento.

Tuttavia, recentemente è stato proposto un meccanismo basato su una teoria classica del pendolo, il quale genera impredicibilità e quantizzazione a partire da un sistema deterministico. Gli autori della teoria non sanno al momento come verificare questa ipotesi.

da Wikipedia
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04/05/2010 17:58
 
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Il principio di indeterminazione:

L'attacco forse più forte che è stato mosso contro il principio di causalità,è rappresentato dal principio di indeterminazione,formulato dal fisico tedesco Werner Heisenberg nel 1927. Tale principio afferma l'impossibilità,a livello quantistico(la meccanica quantistica è quella branca della fisica che studia la dinamica dei sistemi atomici e subatomici),di poter misurare con precisione arbitraria coppie di grandezze fisiche complementari come tempo ed energia o posizione e velocità.Ci si riferisce ad una vera e propria indeterminazione costitutiva del mondo subatomico,intendendo che la realtà osservabile è diversa da quella effettivamente esistente;in pratica si è scoperto che mentre a livello subatomico la realtà appare intrinsecamente indeterminata,a livello macroscopico rimane pur sempre deterministica.Fuor di linguaggio scientifico,questo significa che la validità del nesso causa-effetto che è tanto evidente agli occhi di un osservatore comune,diventa molto più labile agli occhi del microscopio;di solito per spiegare il concetto si usa questo esempio:è certo che sparando un proiettile contro una finestra il vetro andrà in frantumi(causa-effetto);a livello quantistico però osserviamo che alcune particelle appartenenti alla materia del proiettile non seguono precisamente la traiettoria,ma deviano verso un’altra direzione.L’effetto sarà in ogni caso la rottura del vetro(a livello macroscopico),ma i fenomeni fisici riservano delle sorprese quando si scende più in profondità(a livello subatomico).Fondamentalmente è questo che si intende per “indeterminazione”:non possiamo conoscere con esattezza come si comporta la materia sul piano infinitesimale.Va subito precisato che il principio di indeterminazione come formulato da Heisenberg,ha il merito di far capire interessanti risvolti della dinamica del mondo subatomico;è l'interpretazione che del principio ha dato Niels Bohr,che ne consente un'applicazione antirealistica,finalizzata a negare la possibilità di qualsiasi rapporto causale.Con la sua "interpretazione di Copenaghen",Bohr ha spianato la strada ad una errata concezione filosofica della realtà materiale:numerosi sono infatti attualmente i pensatori che hanno decretato l’invalidità del principio di causalità,proprio partendo dalle speculazioni relative a questa scoperta scientifica.Famoso è il caso del filosofo Antimo Negri che ha affermato addirittura:“[…] Attraverso la meccanica quantistica viene stabilita definitivamente la nullità del principio di causalità”;in pratica la fisica non riguarderebbe l'essere di per sè,cioè la materia in se stessa,ma solo gli aspetti quantitativi delle cose che già esistono.Un ragionamento di questo tipo,portato alle estreme(neanche tanto estreme)conseguenze,induce a sostenere che una realtà non esiste solo perchè non è perfettamente misurabile;cosa che scientificamente è inaccettabile.In pratica si vuole affermare che la materia attualmente esistente non abbia necessariamente avuto bisogno di una causa generatrice per nascere,solo perchè nella sua struttura non è esattamente quantificabile.Non si può dire che non esistono tutti quei processi causali che non sono misurabili:questo è un approccio filosofico nei confronti della realtà,che prescinde totalmente dalle osservazioni scientifiche;dunque che validità può avere?
Trasformare il concetto di indeterminazione in un principio che consenta di partire dal discorso fisico per accedere a quello meta-fisico,è un gravissimo errore metodologico:si pretende di ragionare e arrivare a conclusione su due piani completamente diversi!
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23/11/2013 11:22
 
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La fisica non è tutto,
parola di Thomas Nagel

Mind & Cosmos 
 
di Giorgio Masiero*
*fisico

 Lo scientismo è la convinzione che 1) soltanto la scienza sperimentale ci dà conoscenza e che  2) ogni questione può essere risolta col metodo scientifico.

Nel mainstream dominante nei media lo scientismo è anche l’unico modo di pensare razionale e adulto, quando invece l’assunzione 1. è auto-contraddittoria e la 2. è un pio desiderio smentito dai limiti inerenti al metodo scientifico, che per es. “non insegna che cosa è bene e che cosa è male” (Richard Feynman) e, all’interno di quei limiti, dal teorema di Gödel, che afferma l’esistenza di proposizioni vere indimostrabili già nell’aritmetica e quindi possibilmente anche in scienza naturale. L’assunzione 2. è la negazione apodittica, instillata dall’apparente onnipotenza della tecnica, del mistero dell’essere, che da sempre suscita lo stupore all’origine della religiosità umana. In quanto tale, lo scientismo è il fondamento teoretico (si vede quanto solido) dell’ateismo di massa nell’Occidente contemporaneo.

La sua vulgata standard, l’evoluzionismo neodarwiniano, comincia narrando il portentoassurdo di un Universo sorto “da nulla, casualmente, per la legge di gravità” (Stephen Hawking, 1983), ed evolutosi poi sotto l’azione delle forze fisiche a formare stelle, galassie, pianeti. 4 miliardi di anni fa, per una coincidenza di distanze, masse, età, velocità e parametri d’impatto rispetto a una stella e a un satellite (e ad altri astri vicini), si stabilirono in un Pianeta condizioni di temperatura e di pressione adatte alla nascita d’ogni sorta di molecole stabili, quante un puzzle ricco di tessere e tempo poteva produrre. Le più abbondanti e varie contenevano il carbonio a cagione del suo “polimerismo”, avrebbe chiosato molti evi dopo una struttura macromolecolare, intelligente e parlante del Pianeta. Il quale si riempì così di oceani d’acqua ribollenti come grandi fabbriche chimiche dove accadde – prosegue il racconto –, quasi subito e naturalmente per caso, un secondo portento statisticamente implausibile (a dir poco): l’autoassemblaggio di miliardi di quelle molecole in una macchina “avente la caratteristica di riprodurre copie di sé” (Richard Dawkins, 1986), catturando materia ed energia dall’ambiente circostante: fu l’inizio della vita nel Pianeta, “avvenimento forse unico in tutto l’Universo” (Jacques Monod, 1970). Attraverso errori casuali di copiatura e la selezione naturale di quelli più adatti alla sopravvivenza, sempre per caso e fuori di ogni intenzionalità, crebbero “alleanze” tra i robot replicanti, che si trovarono organizzati in strutture sempre più complesse, in competizione per la spartizione delle risorse locali: sono le milioni di specie vegetali ed animali che oggi occupano mare, terra e cielo del Pianeta. Il bello però, il terzo portento doveva ancora avvenire: un centomila anni fa (o 2 milioni?! v. i fossili di Dmanisi), in un altro giro della “roulette di Montecarlo” (J. Monod, 1970), “non per evoluzione, ma per un evento improvviso da exaptation” (Ian Tattersall, 2013) comparve l’uomo, l’unica specie ad interrogarsi con stupore su tutto ciò, dando un nome alle cose. Il Pianeta fu chiamato Terra.

Questi, in estrema sintesi, i 3 grandi miti (“fantascienza in senso buono”, Joseph Ratzinger) passati a scuola nelle ore dedicate alle scienze naturali. Oggi non farò una critica scientifica alla cosmogonia di Hawking, né all’abiogenesi di Dawkins che, come ho mostrato in altri articoli, nulla guadagnano in veridicità (e neanche solo in verisimiglianza) nel confronto con la “Teogonia” di Esiodo (VII sec. a.C.), mentre tutto vi perdono in stile, metrica e godibilità. Intendo invece ricordare il libro di uno dei maggiori filosofi viventi, l’ateo impenitente Thomas Nagel, la cui uscita un anno fa scosse d’improvviso la palude conformistica, mostrando l’impossibilità “costitutiva” (cioè inerente al suo metodo) della scienza a spiegare il terzo grande evento: la mente umana. Il libro s’intitola “Mente e cosmo. Perché la concezione materialistica neodarwiniana della natura è quasi certamente falsa” ed è stato pubblicato dalla Oxford University Press (e ciò ha l’apparenza d’un quarto portento…).

Nella concezione materialistica neodarwiniana”, scrive Nagel, “la fisica è tutto”: ogni cosa che esiste o accade è riconducibile al comportamento di particelle e campi di energia, insomma all’armamentario dei fisici. Il successo della fisica si deve al metodo di ridurre i propri fenomeni ai loro costituenti fondamentali e di studiare matematicamente come questi interagiscono. Dove nello studio della materia inanimata la procedura è stata applicata, le spiegazioni appaiono complete, come confermano tremende applicazioni: per i fisici è del tutto implausibile che le proprietà d’un pezzo di ferro o d’una goccia d’acqua, d’una stella o d’un atomo non siano deducibili per questa strada. Dalla metà del secolo scorso poi, la biologia molecolare ha esteso tramite la chimica la riduzione della biologia alla fisica, e con un certo successo se iniziamo ad avere una qualche comprensione anche dei processi vitali. La questione però, è se anche la mente può essere compresa con questi metodi e qui Nagel argomenta di no e che quindi lo scientismo neodarwiniano deve essere falso.

In particolare, secondo Nagel, il fisicalismo non può spiegare tre facoltà della mente: la coscienza, la cognizione intellettuale e l’intenzionalità, da cui deriva anche la responsabilità etica. E se pure arrivasse a spiegare come le menti possano coesistere con un mondo fisico, esso non potrà mai spiegare come di fatto siano arrivate ad esistervi. Nel linguaggio di Nagel, il materialismo non fornisce una spiegazione né “costitutiva” né “storica” dei fenomeni mentali. E per giunta lascia inspiegata la stessa intelligibilità del mondo: “Non solo appaiono in natura esseri coscienti dotati di mente, ma la natura risulta comprensibile alle menti”. La conclusione di Nagel è che la mente è una proprietà del mondo naturale altrettanto fondamentale degli oggetti usuali della fisica come le particelle e i campi.

Tutti i padri della scienza moderna, da Galileo a Cartesio a Newton, ed anche molti della rivoluzione quantistica del XX secolo, come Niels Bohr ed Erwin Schrödinger, concorderebbero. Anzi, dalla distinzione metodologica (non necessariamente ontologica) trares cogitans e res extensa nacquero l’una e l’altra. Perché? Limitiamoci alla questione della coscienza. Nelle famose lezioni di Dublino del 1943 che hanno insegnato la chimica, la fisica e l’informazione ai biologi, Schrödinger scrive: “Escludo il soggetto della conoscenza dal dominio della natura che ci sforziamo di conoscere [...] la mente non può far fronte a questo compito gigantesco, se non al prezzo di una comprensione semplificata che la escluda” (“What is life?”). Questo perché la mente (l’osservatore, in gergo) ha un ruolo asimmetrico rispetto ai fenomeni naturali sottoposti ad osservazioneLa mente in fisica classica come in meccanica quantistica è il Grande Fratello, che tutto osserva e da nessuno è osservabile. Se la distinzione è implicita nella fisica classica, è esplicita nella meccanica quantistica, la cui assiomatica – ci ricorda Schrödinger, che quegli assiomi aveva collaborato a scrivere –, separando le osservabili dall’osservatore, si nega “costitutivamente” l’universalità scientifica per spiegare il “soggetto”.

E se domani una nuova teoria scientifica della fisica superasse la dicotomia della meccanica quantistica possiamo aspettarci di spiegare la coscienza? La risposta è ancora no, perchéparimenti al “nulla” (donde nessuna teoria scientifica può trarre alcunché) anche la mente non è un fenomeno. Le neuroscienze misurano nel cervello flussi sanguigni, correnti elettriche ed altre grandezze chimico-fisiche, che vengono nell’analisi statistica correlate agli stati psichicidescritti (nel modo necessariamente incompleto ed ambiguo delle lingue parlate, che non sono formalizzabili) dal soggetto il cui cervello è l’oggetto delle osservazioni, ma ciò che esse misurano nel corpo fisico non sono i pensieri vissuti dall’anima: ciò che la mente ha vissuto pensando quei pensieri appartiene all’Io interno ed è altro dalle grandezze fisiche osservate dall’Io (esterno) del neurologo. Se per le ragioni di Schrödinger il problema è inaccessibile alla meccanica quantistica, per questa alterità ontologica la mente è inaccessibile all’osservazionetout court.

Lo scientismo ha la pretesa di eliminare lo stupore verso il mistero dell’essere? Nagel ha constatato che esso può solo togliere lo stupore a qualcuno, lasciando intatto il mistero. Col che non risolve una questione universale, di tutti gli uomini, ma al più ne apre una psicanalitica, per i suoi adepti.

[Modificato da Credente 23/11/2013 11:24]
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21/03/2014 19:46
 
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Da fisico, un inno alla Bellezza




di Giorgio Masiero*
*fisico

 Ho dedicato alcuni articoli ad argomentare l’esistenza di Dio dagli indizi che ci fornisce la scienza moderna: dall’impossibilità d’un infinito tempo passato, mostrata per via logico-matematica dal veto di Hilbert e per via cosmologica dal teorema di Borde, Guth e Vilenkin (BGV), alla non chiusura dell’Universo rivelata dal fine tuning antropico delle costanti fisiche.

In particolare, il teorema BGV, le cui assunzioni sono valide per il nostro Universo e per tutti i modelli inflazionari di multiverso (ammesso che una tal creatura esista), aggiorna una conseguenza del secondo Principio della termodinamica, cui già era pervenuto nel XIX secoloLudwig Boltzmannse l’Universo è eterno nel passato, com’è che non si trova già in uno stato di morte termica ed invece contiene ancora energia utile alle sue trasformazioni attuali?

Naturalmente non intendo con ciò asserire che la scienza dimostra l’esistenza di Dio: nella mia concezione epistemologica, la scienza sperimentale non è in grado di dimostrare con sicurezza nulla che riguardi anche il solo mondo naturale; immaginarsi il soprannaturale! Intendo solo che l’esistenza di Dio non è in contrasto con la scienza e che, semmai, è l’ateismo scientista in autocontraddizione: come si può infatti credere nel secondo Principio della termodinamica (la “legge più importante di tutta la scienza”, Albert Einstein) e allo stesso tempo che “l’Universo è lì da sempre e questo è tutto” (Bertrand Russell)?

Non solo il “vero” però, dimostra la ragionevolezza di credere in Dio: tutti i trascendentalimedievali dell’essere possono costituire una strada per arrivare all’Assoluto. Così, si potrebbe argomentare l’esistenza di Dio con la legge morale inscritta nella coscienza di ogni uomo. C’è poi chi trova Dio attraverso il cammino congiunto del dolore e della bontà: in che altro modo potremmo imparare ad essere umani, se non per merito delle sofferenze del prossimo? Ci sono anche alcuni privilegiati, mistici e veggenti, che già in questo mondo arrivano a contemplare il divino. A me, più modestamente, può capitare di ammirarNe l’ombra nella bellezza, specificatamente nell’arte, quando forti ed inattese emozioni si susseguono repentine e l’anima si abbandona prigioniera all’estasi donata dalla sindrome di Stendhal.

Quel giorno avevo passato il tempo a visitare un’incredibile mostra dedicata a Pietro Bembo, un cosmopolita rinascimentale della mia terra che ebbe la sorte di vivere d’arte e di poesia. Per tutta la vita, la sua passione fu la bellezza assoluta e senza tempo, cercata meticolosamente nelle vestigia dell’antichità classica per farla rinascere alla sua epoca nelle città, nelle case e negli ambienti sociali che abitò. Egli inventò il collezionismo moderno, l’archeologia e la restaurazione conservativa e al suo canone estetico s’ispirò per la forgiatura della nuova lingua italiana, così come nei sonetti amorosi o nella musica. Quella mostra mi avvinse perché non era la solita successione di sale, con opere d’arte e preziosi cimeli appesi alle pareti o custoditi in teche, ma riproduceva gli spazi reali della vita quotidiana d’un mecenate: qui, ogni ambiente – dalla sala da pranzo alla camera da letto allo studio al teatro alla biblioteca, ecc. – era adornato dei capolavori e dei manufatti della sua ricchissima collezione. Quel giorno, lasciati i sensi pesanti dell’uomo moderno, vissi sospeso nel Rinascimento, tra Bellini e Giorgione, Tiziano eRaffaello. Stetti alla mensa egizia di bronzo dorato intarsiata di geroglifici e cartigli con Aldo Manuzio, sussurrai poesie d’amore a Lucrezia Borgia ed ascoltai la viola da gamba in compagnia di Elisabetta Gonzaga, e poi studiai antichi codici miniati sotto lo sguardo attento dell’imperatore Adriano e quello annoiato di Antinoo… Venne sera, e ancora intontito uscii da quell’empireo per andare a teatro, ad uno spettacolo che mia moglie aveva da tempo prenotato.

Qui caddi in un’altra, magica dimensione dell’arte. Se nessuna danza popolare raggiunge lo stesso livello di comunicazione tra i corpi (emozione, energia, respirazione, abbraccio, palpitazione), con Miguel Angel Zotto e Daiana Guspero il tango raggiunge la perfezione. Giustamente l’Onu l’ha dichiarato patrimonio dell’umanità: non c’è nulla come il tango argentino che metta insieme bellezza del corpo, passione dell’anima, danza, musica e anche arti figurative. Per due ore fui rapito dal prodigio di grazia degli enti vibranti, roteanti, palpitanti, risuonanti e luccicanti sulla scena. Come aveva ragione Gottfried von Leibniz – riflettevo, immerso nella contemplazione – a ritenere che la musica ci svela la struttura matematica contenuta nella bellezza e nella verità dell’essere! Fu in una lettera del 1712 a Christian Goldbach (quello della congettura matematica ancora irrisolta) che Leibniz diede la sua celebre definizione della musica come aritmetica inconscia: “musica est exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerare animi”, la musica è un esercizio occulto di aritmetica, nel quale l’anima calcola senza rendersene conto.

Il legame tra musica e matematica non era visto da Leibniz in senso mistico, come nella visione ingenua di Pitagora, ma razionalmente secondo la concezione cristiana, donde non a caso nacque la notazione diasistematica su righe parallele da cui sarebbe esplosa la polifonia della musica occidentale moderna. La struttura numerica sottostante la musica, che nella mente del compositore è analizzata e costruita, nella mente dell’ascoltatore è intuita come molteplicità organizzata. Il bello musicale coincide con l’osservabilità del molteplice, un atto di sintesi che coglie la quintuplicità aritmetica dei suoni – nelle frequenze, nelle ampiezze, nelle durate, nei timbri (che consistono nella successione delle ampiezze delle armoniche) e nei ritmi –. Il piacere musicale sta nel sentire l’armonia, che è il principio unificatore della varietà. Un’armonia che è tanto maggiore perciò, quanto maggiore è la varietà delle componenti che essa organizza, dissonanze comprese destinate a risolversi nella consonanza finale.

Allo stesso modo, ogni contrasto interno all’armonia del mondo (prodotto dal male, o da ciò che ci appare tale) venne ricondotto dalla teodicea di Leibniz ad un’apparenza, originatasi da una percezione della realtà non abbastanza comprensiva di quel principio armonico che governa il mondo. La varietà è condizione fondamentale dell’armonia, tanto sul piano estetico (del bello) quanto su quello metafisico (dell’essere), e gli elementi apparentemente dissonanti contribuiscono al suo arricchimento, disvelato dalla matematica soggiacente la Natura (il vero). L’arte del compositore che combina le note è una mimesi dell’attività combinatoria che il Creatore esercita su una varietà a priori infinita di essenze, portandone alcune dal non essere all’essere nell’accordo reciproco. L’arte musicale umana e l’arte combinatoria divina esprimono ancora una volta la somiglianza del logos umano creato al Logos divino creatore.

I trascendentali appartengono all’essere in quanto essere, e quindi appartengono sia alle creature che al Creatore: sono tracce di Dio nelle cose, così che in ogni trascendentale contemplato in un ente – fosse un’ape, un raggio di luce, o un suono – noi possiamo vedere un’immagine di Dio. Una copia limitata e offuscata rispetto all’Originale, ma comunque pregna di senso. Ma come sarà ammirare la Bellezza che ha creato tutte le bellezze? “Tardi Ti ho amato, Bellezza così antica e tanto nuova, tardi Ti ho amato. Sì, perché Tu eri dentro di me ed io fuori: lì Ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle sembianze delle Tue creature. Eri con me, ma io non ero con Te. Mi tenevano lontano da Te le Tue creature, inesistenti se non esistessero in Te. Mi chiamasti, e il Tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il Tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la Tua fragranza, respirai ed ora anelo verso di Te; Ti gustai ed ora ho fame e sete di Te; mi toccasti, e arsi dal desiderio della Tua pace” (Sant’AgostinoLe Confessioni).


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26/03/2014 18:58
 
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Il fisico Burov: «il Fine tuning
porta ad una mente trascendente»

Il fisico ha affrontato l’interessante questione del Principio antropico, ovvero l’evidenza che l’Universo è per molti aspetti “finemente sintonizzato” per la vita e che tali valori sembrano essere stati finemente accordati per questo scopo. Tale scoperta evidentemente riporta a galla una domanda volutamente affossata da molti: chi o che cosa ha accordato l’universo così bene?

«L’unico modo di risolvere il problema in un contesto scientifico è di mostrare una possibilità di far emergere l’essere dal nulla, di far emergere l’ordine dal caos, di una caos genesi», ha spiegato Burov. «Finora, c’è solo un concetto ampiamente riconosciuto come in grado di fare ciò: la teoria darwiniana dell’evoluzione». La quale dice questo (si chiama anche Principio antropico debole): l’Universo è formato da molteplici universi, generati l’uno dall’altro, dove uno eredita la maggior parte della sua struttura logica dall’universo madre, con qualche mutazione iniziale.

Attraverso un ragionamento che è utile leggere nell’articolo originale, per chi è interessato, il fisico del Fermi National Accelerator Laboratory ha confutatol’approccio darwinista alla cosmologia il quale, ha spiegato, «sarebbe indiscutibile prima del 1687, l’anno in cui fu pubblicato il libro di Newton, “Principia”», cioè un fortissimo argomento razionale contro l’origine puramente caotica del mondo.

Il fisico russo ha anche negato che la sintonizzazione fine dell’universo possa essereun’illusione della nostra mente che cerca di organizzare in forme semplici ciò che osserva, rispondendo a qualche obiezione di questo tipo, spiegando che«considerando che i più stringenti requisiti di un universo finemente sintonizzato sono di almeno 3 digit (come per il rapporto tra protone e neutrone), questa estrema precisione delle leggi fondamentali mostra chiaramente che l’universo è effettivamente strutturato secondo perfette forme razionali, dato che l’eventualità che si tratti di un’illusione o di una aberrazione è di 10-12/10-3, cioè uno su un miliardo».

Molto suggestiva la conclusione di questa riflessione puramente scientifica, che non si preclude pregiudizialmente una necessaria apertura ultima al metafisico: «Perché sono proprio queste leggi e non altre a strutturare l’Universo? Se si esclude una selezione naturale e se qualsiasi teoria ci lascia con lo stesso interrogativo, non dobbiamo riconoscere che ci resta un’unica spiegazione, cioè l’idea che il nostro universo è stato concepito e realizzato da una mente trascendente?». 


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27/07/2018 10:50
 
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Il fisico Meissner:
«le leggi universali sono un indizio di Dio»

Krzysztof MeissnerTutti sanno quanto il celebre fisico Albert Einstein fosse affascinato dalle leggi universali e dall’ordine del cosmo, tanto che in tutto questo scorgeva l’opera di uno “Spirito infinitamente superiore”, come amava dire lui. «In considerazione di tale armonia nel cosmo», aggiungeva, «che io, con la mia mente umana limitata sono in grado di riconoscere, ci sono ancora persone che dicono che Dio non esiste. Ma ciò che veramente mi fa più arrabbiare è che mi citano a sostegno di tali opinioni».

La posizione di Einstein è riflessa certamente nelle parole di Krzysztof Meissner, docente di fisica teorica all’Università di Varsavia e uno dei massimi studiosi di fisica delle particelle in Europa. Meissner ha lavorato nei più importanti centri di ricerca al mondo e attualmente sta lavorando ad una versione “allargata” della teoria standard dell’universo, alla ricerca di una seconda «particella di Dio», dopo il Bosone di Higgs. In questi giorni ha partecipato al “Cortile del dialogo” a Varsavia, organizzato dall’arcidiocesi con il patrocinio del Pontificio Consiglio della cultura.

In una recente intervista, alla domanda sulla differenza tra uno scienziato ateo e uno credente, il cattolico Meissner non ha risposto denigrando chi non crede, come invece ci hanno abituato i militanti miscredenti che si occupano di scienza come Dawkins o Odifreddi. Ha semplicemente spiegato che di differenze, «nel modo di fare ricerca, nessuna. Entrambi usano gli stessi mezzi, usano la stessa matematica. La differenza è nell’approccio al risultato finale. Le leggi che governano l’universo si rivelano sempre semplici, eleganti, con un che di perfetto nella loro essenza. Se uno non crede in Dio constata questa perfezione e si ferma lì. Se uno è credente non può non vedervi un riflesso della perfezione di Dio. Quello che cambia è insomma il significato attribuito alle scoperte, l’ottica con cui le possiamo guardare e apprezzare».

A 52 anni, dopo una vita spesa per la fisica Meissner è ancora affascinato dalle leggi universali, «leggi che sono appunto semplici, eleganti, perfette, a cui rispondono tutte le cose. Un universo sorto dal caso dovrebbe essere caotico. Se ci fossero delle leggi non potrebbero essere universali nel tempo e nello spazio. Potrebbe esserci una certa misura di correlazione fra la cose, non di più. La presenza di leggi universali, che è la condizione di possibilità della ricerca scientifica, leggi che non cambiano dal lunedì al mercoledì, è qualcosa di stupefacente, che non smette di sorprendermi dopo tanti anni. La considero più che un indizio, direi quasi una prova della presenza di una realtà trascendente, del fatto che c’è qualcosa di più grande del mondo in cui viviamo. Cosa sia questa trascendenza, se sia un Dio personale o una divinità panteistica, è un quesito per rispondere al quale abbiamo bisogno della fede. Ma, ripeto, che ci sia una dimensione che trascende il nostro mondo, per me come scienziato è evidente».

Bisogna però stare attenti, avverte, a non «tirare in ballo l’intervento divino per colmare le lacune della nostra conoscenza. Ma una cosa va detta. Fino alla fine del XIX secolo è stata dominante una visione della scienza, originatasi anche per influsso della Rivoluzione francese, fortemente deterministica […]. Un determinismo che riguardava anche l’uomo. Ogni fenomeno era ritenuto spiegabile e prevedibile. La fisica quantistica ha spezzato le catene di questo determinismo duro e semplicistico e ha resoil mondo più interessante. Si può dire che abbia anche ricreato le condizioni per riflettere sull’altro grande mistero che, secondo me, spinge a considerare l’esistenza di una realtà trascendente e che sfugge al determinismo, il libero arbitrio dell’uomo».

Un’altra avvertenza di cui occorre fare tesoro per noi credenti è l’approccio al Big Bang che non va confuso con la Genesi di cui parla la Bibbia: «Prima di tutto perché non sappiamo se il Big Bang sia realmente esistito, o meglio: i nostri strumenti di fisica teorica ci permettono di capire l’universo solo fino a un certo punto di densità, oltre al quale non possono esserci più di aiuto. Può esserci stato un punto zero, un inizio di tutto, ma non possiamo escludere, andando a ritroso, di entrare in una sorta di tempo negativo, oltre il punto zero. Ho sempre considerato quindi azzardato mettere in parallelo il Big Bang e la Genesi. Anche i credenti non dovrebbero mai dimenticare che la Bibbia è una verità rivelata sulla relazione tra l’uomo e Dio, non su quella tra l’uomo e la realtà materiale».


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27/07/2018 10:53
 
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Il fisico del Cern:
«la causa dell’universo dev’essere trascendente»

big bang dio«Sono convinto che la fede cristiana è una credenza ragionevole e non vi è alcun conflitto tra le scoperte scientifiche e il cristianesimo. Ritengo che il Creatore dell’universo è il Dio della Bibbia». Così si è presentato Michael G. Strauss, fisico delle particelle del CERN di Ginevra e docente presso l’Università dell’Oklahoma.

Poche settimane fa ha infatti aperto il suo sito web personale (www.michaelgstrauss.com), motivandolo così: «Da qualche tempo ho l’opportunità di parlare nelle università, nelle scuole e nelle chiese circa l’intersezione tra la scienza e la fede cristiana. Spesso capita che la gente mi chiede se ho scritto qualcosa su questo per esplorare il tema in modo più dettagliato». Così è nata l’idea di uno spazio virtuale, decisione insolita per un ricercatore di un certo peso: apprezziamo molto dato che tale tematica sul web è solitamente, e purtroppo, inflazionata per la gran parte da avvocati del creazionismo biblico e scienziati dell’ateismo militante.

Esperto dell’interazione tra quark e gluoni e attualmente impegnato sulle proprietà del bosone di Higgs, Strauss ha scritto che «come scienziato professionista e come cristiano posso avere qualcosa da offrire alla discussione concernente il rapporto tra cristianesimo, la scienza e pensiero oggettivo». I suoi primi due articoli sono stati dedicati alla teoria del Big Bang, riflettendo sulla «ripugnanza che questa idea ha generato» fin dall’inizio in certi ambienti positivisti, la quale «è stata alla fine accettata solo perché le prove a suo favore sono schiaccianti e indiscutibili». E’ interessante la sua precisazione: «Quando si sente dire che gli scienziati discutono se il Big Bang si sia davvero verificato, in realtà stanno solo mettendo in discussione ciò che è accaduto nei primi 10 -35 secondi o giù di lì, non se vi è stato un inizio effettivo. Nessuno ha dubbi sul fatto che l’universo visibile era molto piccolo, caldo e denso, circa 13,8 miliardi di anni fa ed è da allora in uno stato di espansione».

Il problema è che a molti «non piace l’implicazione teologica e filosofica di un universo che ha avuto un inizio effettivo e continuano a cercare scappatoie. Eppure tutte le osservazioni che abbiamo, tutti i calcoli teorici, e anche alcuni calcoli proiettivi come il teorema di Borde-Guth-Vilenkin, danno credito alla conclusione che tutto lo spazio, il tempo, la materia e l’energia di questo universo ha avuto un inizio. Il Big Bang è un termine improprio perché non c’è stata una sorta di esplosione dato che non c’era nulla che esisteva che potesse esplodere. È l’origine dell’universo. Quindi, se questo universo ha avuto un inizio, allora la causa dell’universo non può essere una parte dell’universo. La causa deve essere trascendente, come l’idea cristiana di Dio».

Fa bene il prof. Strauss a non parlare di “prova di Dio”, non è saggio mischiare i piani. Ha probabilmente ragione anche quando scrive: «I teisti non avrebbero potuto delineare uno scenario migliore per sostenere il teismo». Lo stesso pensiero del fisico americano è condiviso da altri colleghi, anche importanti premi Nobel, come ad esempio Arno Penzias, Leon Max Lederman e Antony Hewish. Abbiamo raccolto le loro parole in questo dossier.

Strauss ha promesso altri articoli in cui discuterà degli scenari alternativi all’origine del nostro universo che non richiederebbero un inizio effettivo di esso, entrando dunque nel vivo del grande dibattito scientifico e filosofico su questa tematica. Buon lavoro!


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01/09/2018 10:41
 
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Stephen Hawking, ateo o deista? 



Nel marzo scorso è morto Stephen Hawking, probabilmente il più famoso fisico della storia a non aver ricevuto il Premio Nobel. In molti hanno riflettuto sui suoi enormi contributi alla scienza, in questo contesto invece vorremmo focalizzare il suo pensiero religioso. Viene solitamente descritto come ateo, lui stesso si è così definito alcune volte, mentre altre ha espresso una visione deista.


La madre, Isabel, era un membro del Partito Comunista inglese e il figlio Stephen ha mantenuto nella sua vita questo background culturale. Nel gennaio 1963 gli è stata diagnosticata la sclerosi laterale amiotrofica, un mese dopo aver conosciuto la sua prima moglie, Jane Wilde Hawking, da sempre cristiana. Più volte Jane ha raccontato come la forza della fede l’abbia sorretta nell’accompagnare Stephen, nell’accettare il deterioramento della sua malattia e della sua relativa depressione. Assieme hanno trascorso 25 anni, «avevo due bambini piccoli, gestivo la casa e mi occupavo di Stephen a tempo pieno: vestendolo, facendogli il bagno, e si rifiutava di avere qualche aiuto al di fuori di me», ha raccontato. Dopo la pubblicazione del suo capolavoro, A Brief History of Time (Dal big bang ai buchi neri), Jane rivelò a un giornalista che il suo ruolo con il marito non consisteva più nel promuovere il suo successo, ma nel “dirgli che non era Dio”: «Si potrebbe dire che si sentisse davvero onnipotente».


La vita come moglie di un genio non è stata facile, Jane Hawking prese un dottorato in poesia spagnola medievale, tuttavia, disse, «Stephen non ha mai avuto troppo interesse per ciò. Immagino che quando stai pensando alle origini dell’universo queste cose non contano molto». «Per lui, l’unica cosa importante era la fisica, il resto non esisteva. Quando arrivava il fine settimana, Stephen si sedeva come il Pensatore di Rodin senza muoversi, i bambini non dovevano giocare per non disturbarlo. Dopo giorni di silenzio, improvvisamente diceva: “Ho appena fatto una grande scoperta per la fisica”. Ecco come è stata la mia vita per anni. La malattia, poi, lo ha reso ancora più introspettivo: non ha mai raccontato nulla alla sua famiglia, solo ordinava ciò di cui aveva bisogno, punto». Fino al 1990: «Stephen mi lasciò per andare con una delle infermiere che lo curava», ha raccontato la donna nel 2015. «Ero completamente esausta, ferita e amareggiata, perché ero stata trattata male, Stephen era stato molto crudele con me. Ho sentito un rancore molto profondo e ci sono voluti diversi anni per superarlo. Oggi l’ho superato».


A proposito del già citato bestseller di Hawking, Dal Big Bang ai buchi neri. Una breve storia del tempo (1988), il celebre chimico statunitense Henry F. Schaefer, III, dell’Università della Georgia, ha scritto: «Chi non ha letto questo libro sarà sorpreso di scoprire che ha un protagonista. Quel personaggio principale è Dio. Questa era la caratteristica del libro che il noto ateo Carl Sagan trovava angosciante». Ci sono alcune affermazioni nel libro di Hawking che H.F. Schaefer sottolinea, ad esempio: «È difficile discutere l’inizio dell’universo senza menzionare il concetto di Dio. Il mio lavoro sull’origine dell’universo si trova al confine tra scienza e religione, ma cerco di rimanere sul lato scientifico del confine. È del tutto possibile che Dio agisca in modi che non possono essere descritti dalle leggi scientifiche». Un’altra perla di Hawking, è la citazione del pensiero di Sant’Agostino: «L’idea che Dio possa voler cambiare idea è un esempio dell’errore -ha sottolineato Sant’Agostino- di immaginare Dio come un essere esistente nel tempo. Ma il tempo è solo una proprietà dell’universo creato da Dio».


Anche l’astrofisico italiano Marco Bersanelli, ordinario all’Università Statale di Milano, ha notato che «il percorso umano e scientifico di Hawking è stato scandito da una quasi implacabile necessità di misurarsi con l’incombente possibilità di un creatore, il più delle volte per negarla. La sua posizione a questo riguardo ha attraversato diverse fasi, oscillando da una religiosità panteista fino a giungere, negli ultimi anni, a un esplicito e radicale ateismo. Così lo straordinario successo delle sue opere divulgative e la sua visibilità mediatica, che ne hanno fatto una nuova icona della figura di scienziato, si sono portati dietro un alone di inconciliabilità tra approccio scientifico e fede in Dio». Bersanelli si riferisce senza dubbio all’uscita nel 2010 del libro The Grand Design, scritto assieme a Leonard Mlodinow, promotore di una “teoria del tutto” (la M-Theory) la quale, relazionata con l’idea di un Multiverso, avvalorerebbe una creazione spontanea dell’Universo, rendendo inutile la presenza di un Creatore.


La pubblicazione del libro, sponsorizzato mediaticamente come manifesto ateista, ha portato ad un interessante dibattito internazionale del quale hanno preso parte molti eminenti scienziati, smentendo l’ipotesi dell’inutilità del Creatore (abbiamo raccolto i loro interventi in un apposito dossier). Forse il più importante è stato Rose Penrose, celebre fisico dell’Università di Oxford e collaboratore per anni di Hawking nello sviluppo della teoria del Big Bang, che ha dichiarato: «Il libro di Hawking è fuorviante, ti dà l’impressione che esista una teoria che riesca a spiegare tutto, ma questa non è nemmeno una teoria. Non è per nulla dimostrato che l’Universo si sia creato dal nulla. Il multiverso non ha superato Dio». Tempo dopo, il co-autore del libro, Leonard Mlodinow, ha chiarito: «La scienza contro la spiritualità è una falsa dicotomia», sostenendo la plausibilità delle domande su Dio.


Il giorno della morte di Hawking, il noto opinionista inglese Andrew Graystone ha scritto: «Gli ho chiesto a lungo se credeva che ci fosse un Dio. Si è sempre rifiutato di rispondere alla domanda. Quando gli ho chiesto il perché, mi ha detto “Se dico di credere in Dio, tutti dichiareranno immediatamente che io credo nello stesso Dio in cui tutti credono. Quindi non dirò nulla». Tuttavia, in un’intervista del 2014, Hawking fu abbastanza lapidario: «Nel passato, prima della scienza, era logico credere che Dio creò l’universo. Però ora la scienza offre una spiegazione più convincente. Quello che intesi dire quando dissi che “conosceremo la mente di Dio”, era che comprenderemo tutto quello che Dio sarebbe stato capace di comprendere se fosse esistito. Però non c’è nessun Dio, sono ateo. La religione crede nei miracoli però questo non è compatibile con la scienza».


Una concezione di “dio”, tuttavia, molto ingenua, come ha spiegato l’astrofisico Marco Bersanelli (che già ha replicato in passato agli errori filosofici commessi da Hawking in The Grand Design): «La sua appassionata obiezione alla “creazione”, rivela un’idea alquanto ridotta di “creatore”. Nella sua immagine il ruolo di Dio è quello di mettere in moto, all’inizio dei tempi, il grande ingranaggio dell’universo per poi dissolversi nel nulla. Quasi un mago che dà un colpo di bacchetta magica e poi svanisce per sempre. Certo non si tratta del Dio cristiano, che crea il mondo come un padre genera la sua creatura, e si coinvolge con essa fino a dare se stesso. Una creazione che non è solo un avvio cronologico, ma il principio dell’essere di ogni cosa, sorgente di ogni istante. Ora come all’inizio».


In ogni caso, nel 2007, il celebre fisico inglese affermò tutt’altro sulla sua visione esistenziale in un’intervista per Reuters, dicendo di non essere religioso nel senso normale per cui lo si intende: «Credo che l’universo sia governato dalle leggi della scienza. Tali leggi potrebbero essere volute da Dio, ma Dio non interviene per infrangere tali leggi». Qualcosa di simile, Hawking, lo ha riferito ai suoi biografi, Michael White e John Gribbin: «È del tutto possibile che Dio agisca in modi che non possono essere descritti da leggi scientifiche, in tal caso si dovrebbe passare ad una fede personale» (M. White & J. Gribbin, Stephen Hawking; A Life in Science, Joseph Henry Press 2002, p. 167).


Queste sue dichiarazioni sembrano collimare con quanto dichiarato da mons. Marcelo Sanchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze (di cui Hawking era membro) e testimone privilegiato degli incontri tra Hawking e gli ultimi due pontefici, Bergoglio e Ratzinger: «Il suo rapporto con l’idea di Dio era in stretta connessione con il suo essere scienziato ma non era ateo. Da Benedetto XVI volle farsi benedire, esistono anche delle bellissime fotografie. A Ratzinger disse che era venuto in Vaticano apposta per approfondire il tema del rapporto tra scienza e fede,che all’epoca era al centro di una enciclica. Egli diceva che Dio non si può mettere in relazione alle cose che non si possono spiegare e in ogni caso non lo metteva in relazione all’origine dell’universo. Il suo approccio a questo argomento era positivista. Era contrario all’idea di un Dio che viene coinvolto ogni volta che non si può spiegare qualcosa. Di sicuro non voleva dare una spiegazione alla cosmologia religiosa perché diceva che l’origine di tutto è un problema filosofico, non scientifico. Affermava: “Io devo dare una spiegazione alle cose che vedo”. Questo approccio purtroppo è stato inteso dai giornalisti come una professione di ateismo. Un po’ riduttivo. Ma io non credo fosse ateo, sia per la fedeltà verso l’Accademia sia per l’interesse per il dialogo con i Pontefici».


Anche diversi opinionisti britannici, come Jeff Jacoby del Boston Globe, citando le sue “frasi religiose”, sostengono che «non sono certo espressioni di ateismo, ma di deismo -la fede in un Dio della creazione ma non della storia-, un Dio che ha avviato l’universo ma non interferisce con esso. Qualunque cosa si possa dire del suo pensiero su Dio, era troppo onesto e leale per affermare che un profondo impegno per la scienza è incompatibile con una profonda fede in un Creatore che ha portato l’universo, la vita e l’umanità all’esistenza. Dopo tutto, lo sostengono anche molti dei suoi colleghi scienziati».


I funerali di Hawking si sono svolti nella chiesa dell’università di Cambridge ed è stato sepolto nella basilica di Westminster, a Londra. Difficile che ciò fosse contrario alle sue volontà. I figli, Lucy, Robert e Tim, hanno dichiarato: «Abbiamo deciso di svolgere i funerali nella città che lui ha amato molto e da lei è stato amato. La vita di nostro padre ha significato molto per molte persone, religiose e non religiose. Così, il funerale sarà inclusivo e tradizionale, riflettendo l’ampiezza e la diversità della sua vita».

fonte: https://www.uccronline.it/2018/08/29/stephen-hawking-ateo-o-deista-ecco-i-suoi-pensieri-su-dio/


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18/10/2018 11:19
 
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A 11 anni è laureato in Fisica:
«Dio esiste, serve più fede per dire l’opposto»

Bambino prodigio. William Maillis è un rarissimo genio e ha già le idee chiare sul mondo che lo circonda. Ecco la sua storia.

 

Poco più di due anni fa, William Maillis salì in piedi su una sedia dietro ad un leggio, modificò l’angolazione del microfono e recitò un passo greco della Bibbia prima di decostruire una citazione del filosofo francese René Descartes. Aveva 9 anni. Così iniziava il suo percorso alla Penn-Trafford High School in Pennsylvania.

Oggi ha 11 anni e quest’estate si è laureato mentre i suoi coetanei stanno terminando la quinta elementare. Venne ritenuto un bambino prodigio fin da quando aveva 5 anni, anche se si ebbero i primi sospetti quando iniziò a parlare con frasi strutturate all’età di 7 mesi, a far di conto all’età di 2 anni, a parlare tre lingue all’età di 3 anni e ad imparare l’algebra all’età di 4 anni (c’è un video su Youtube in cui risolve in diretta le equazioni). La psicologa Joanne Ruthsatz ha studiato il suo caso e ha concluso dicendo che i bambini come lui sono circa 1 su 10 milioni.

Non tutto è facile, William soffre di solitudine e isolamento in quanto fatica a sentirsi accettato dai suoi coetanei e dai ragazzi più grandi, suoi compagni di studi. Un altro grande ostacolo è che la formazione scolastica non è sufficientemente stimolante per la sua mente così attiva. Il padre è il reverendo Peter Maillis, pastore della Chiesa ortodossa, che ha raccontato anche la passione per la storia del figlio William. Il professore di storia ha spiegato come a volte lasci la parola al giovane talento su temi storici che lo appassionano molto: la Grande Depressione, l’ascesa del razzismo in Europa, la Seconda Guerra Mondiale, la Guerra Fredda ecc. Per lui la storia è un hobby: «Mi piace teorizzare», ha spiegato William. «Ad esempio immagino cosa sarebbe accaduto se la Francia avesse vinto la Guerra dei sette anni, o se la Germania vincesse la prima guerra mondiale».

Ad agosto 2018 l’undicenne ha proseguito i suoi studi in Fisica presso la University of South Florida, con un particolare indirizzo verso l’astrofisica. «Il mio obiettivo è di prendere il dottorato quando avrò 18 anni», ha raccontato in uno dei tanti video che parlano di lui. «Ognuno di noi possiede dei doni da Dio, io sono stato dotato del dono della conoscenza. Voglio dimostrare che Dio esiste e voglio farlo attraverso la scienza. Vorrei che il mondo lo sapesse». Per lui, infatti, è nettamente più probabile che all’origine della realtà vi sia un potere intelligente piuttosto che un evento (o, meglio, una miriade di eventi) fortuito. «Scienza e religione non sono diverse, la scienza è uno strumento per spiegare il mondo e, nel farlo, non smentisce Dio». Il sito web di Repubblica ha ripreso uno dei filmati, evitando le parole del giovane genio in cui parla di Dio.

Nel video qui sotto William confuta la tesi pseudo-scientifica dell’astrofisico Stephen Hawking sull'”Universo creato dal nulla”, ovvero una riabilitazione della vecchia teoria della generazione spontanea in cui la legge di gravità diventa magicamente il “creatore”. «Serve molta più fede per credere che non c’è Dio piuttosto che dire il contrario», ha concluso il bambino.

Molti lo vedono come il nuovo Albert Einstein. L’augurio è che viva felice la sua adolescenza immerso nello studio, ma anche nel gioco e nell’amicizia. Il dono ricevuto è un talento che va speso e non nascosto, secondo la parabola evangelica, e William desidera investirlo nel più grande mistero, che riempie di significato tutto il resto: l’esistenza di Dio. Presto scoprirà che non esisterà mai una prova scientifica, pena la riduzione di Dio ad un oggetto del creato e che la scienza può solo essere un’alleataal percorso, come lo è l’arte, la poesia, la filosofia. E dopo la convinzione morale della Sua esistenza, inoltre, c’è un passo ancora più importante: dargli del Tu, conoscerLo e scoprirLo in azione nella propria vita. Non ci sono libri per imparare questo, solamente vivere con semplicità la comunità cristiana. Per questo William, con tutta la sua intelligenza, come tutti avrà sempre bisogno di maestri che lo sostengano, perché «se non ritornerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18, 1-5).

Fonte: https://www.uccronline.it/2018/10/15/a-11-anni-e-laureato-in-fisica-dio-esiste-serve-piu-fede-per-dire-lopposto/


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18/10/2018 11:24
 
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Il premio Nobel Charles Townes:
«credo in Dio anche grazie alla scienza»

Charles TownesIl fisico americano Charles Townes, vincitore del premio Nobel nel 1964 per l’invenzione che portò alla realizzazione del laser, è morto pochi giorni fa all’età di 99 anni. L’annuncio è stato dato dall’Università della California a Berkeley, in cui Townes era professore emerito in fisica.

E’ stato uno dei pionieri nel campo dell’astronomia a infrarossi, insieme a un team di colleghi fu il primo a scoprire molecole complesse nello spazio ed è accreditato per aver determinato la massa di un buco nero supermassivo al centro della Via Lattea. Il celebre fisico è inserito nel nostro dossier in cui abbiamo riportato le citazioni dei più grandi scienziati sul legame tra scienza e fede. Il prof. Townes, membro della Pontificia Accademia delle Scienze, è stato sempre molto interessato alla metafisica, tanto da affermare: «Credo fermamente nell’esistenza di Dio, basandomi sull’intuizione, sulle osservazioni, sulla logica, e anche sulla conoscenza scientifica» (C.H. Townes, “A letter to the compiler T. Dimitrov”, 24/05/2002).

Nessuna dicotomia dunque, la sua stessa persona impegnata nella fede cristiana e nella carriera scientifica, coronata dalla vincita del premio Nobel, dimostra che non vi può essere alcun conflitto. Ricevendo nel 2005 il Premio Templeton rispose al suo amico (ateo) fisico Steve Weinberg, noto per la frase: “Quanto più l’universo diventa comprensibile più appare inutile”. «Devo dirvi innanzitutto che Steve Weinberg mi ha fatto i complimenti per questo premio. Noi dobbiamo prendere le decisioni in base ad un giudizio, certo, ma abbiamo anche qualche prova per rispondere. Credo, ad esempio, che il riconoscimento che questo universo è così appositamente progettato sia una di queste. Questo è un universo molto particolare e dev’esserci stato un fine». Tra le altre cose, il prof. Townes ha anche citato il successo della preghiera: «Vi sono infatti altre prove pertinenti come gli effetti della preghiera. E la risposta, almeno in alcuni esperimenti, è che la preghiera sembra avere effettivamente effetti positivi. Dobbiamo guardare in generale e trarre conclusioni meglio che possiamo. Steve Weinberg ha un giudizio facile, ha detto che tutto è accidentale e senza scopo. Io ho un diverso tipo di giudizio».

In un’altra occasione scrisse, «la scienza, con i suoi esperimenti e la logica, cerca di capire l’ordine o la struttura dell’universo. La religione, con la sua ispirazione e riflessione teologica, cerca di capire lo scopo o significato dell’universo. Queste due strade sono correlate. Io sono un fisico. Anch’io mi considero un cristiano. Mentre cerco di capire la natura del nostro universo in questi due modi di pensare, vedo molti elementi comuni tra scienza e religione. Sembra logico che a lungo i due potranno anche convergere»(C.H. Townes, “Logic and Uncertainties in Science and Religion”, in Proceedings of the Preparatory Session 12-14 November 1999 and the Jubilee Plenary Session 10-13 November 2000).

Come spesso ha ripetuto uno dei più noti fisici italiani, Antonino Zichichi, la stessa scienza avanza e si basa su un atto di fede: «La religione, con la sua riflessione teologica, si basa sulla fede. Ma anche la scienza si basa sulla fede», scrisse ancora C. Townes. «Come? Per il successo scientifico dobbiamo avere fede che l’universo sia governato da leggi affidabili e, inoltre, che queste leggi possano essere scoperte dall’indagine umana. La logica della ricerca umana è affidabile solo se la natura è di per sé logica. La scienza funziona attraverso la fede nella logica umana, che può nel lungo periodo comprendere le leggi della natura. Questa è la fede della ragione […]. Noi scienziati lavoriamo sulla base di un assunto fondamentale per quanto riguarda la ragione nella natura e la ragione nella mente umana, un presupposto che si svolge come un principio cardine della fede. Tuttavia, questa fede è così automatica e generalmente accettata che difficilmente la riconosciamo come una base essenziale per la scienza» (C.H. Townes, “Logic and Uncertainties in Science and Religion”, in Proceedings of the Preparatory Session 12-14 November 1999 and the Jubilee Plenary Session 10-13 November 2000).

Quello del celebre fisico non era il Dio lontano e indifferente di Albert Einstein e dei deisti, ma l’Uomo incarnatosi 2000 anni fa: «Come una persona religiosa, sento fortemente la presenza e le azioni di un Essere ben al di là di me stesso, eppure semprepersonale e vicino» (citato in S. Begley, “Science found God”, Newsweek Vol. CXXXII, No. 4, 27/7/1998, pag. 44-49).


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23/03/2019 15:54
 
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«L’ateismo? Incoerente Con Il Metodo Scientifico».
Parla Il Fisico Marcelo Gleiser.

premio templeton 2019Lo scienziatofsaf omaggiato dal Premio Templeton 2019 è Marcelo Gleiser. Fisico e astrofisico brasiliano, si definisce “agnostico religioso” ed è un critico dell’ateismo scientista. La scienza lo ha portato ad ammirare il mistero dell’esistenza.

 

Il 29 maggio prossimo l’eminente fisico Marcelo Gleiser riceverà il Premio Templeton 2019. Una prestigiosa premiazione che onora gli uomini di scienza che sanno andare oltre la propria materia di competenza e riescono a dare contribuiti alla dimensione spirituale dell’esistenza.

In passato è stato assegnato a studiosi del calibro di Charles Hard Townes (fisico e premio Nobel), John David Barrow (matematico), Francisco J. Ayala(biologo), George Ellis (fisico), Martin John Rees (astrofisico). Quest’anno è toccato a Gleiser, professore di Fisica e Astronomia al Dartmouth College di Hanover (Germania), di origine brasiliana, giudicato «una voce di spicco tra gli scienziati, passati e presenti, che rifiutano l’idea che la scienza da sola possa portare a verità definitive sulla natura della realtà».

 

“L’assenza di prove di Dio non è una prova di assenza”.

Il fisico si è formato presso la Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro ed è noto per la scoperta, nel 1994, delle cosiddette oscillazioni elettrostatiche. Si definisce un “agnostico religioso” e da anni è un critico dichiarato dell’ateismo scientista, ben rappresentato all’estero da personaggi come Richard Dawkins, Daniel Dennett e Lawrence Krauss. In Italia, invece, tra le file del fondamentalismo ateo-scientifico è possibile elencare i noti Piergiorgio Odifreddi, Telmo Pievani ed Edoardo Boncinelli.

Ma, oltre ai tanti scienziati credenti, vi sono numerosi ricercatori agnostici e non credenti che non tollerano la strumentalizzazione del campo scientifico per fini ateistici e, tra questi, c’è proprio Marcelo Gleiser. «Vedo l’ateismo come incoerente con il metodo scientifico in quanto è, essenzialmente, la credenza nella non credenza», ha dichiarato l’eminente fisico in un’intervista a Scientific American«L’assenza di prove non è prova di assenza. Si può non credere in Dio, ma affermare la sua inesistenza con certezza non è scientificamente coerente».

 

Il mistero dell’esistenza e la relazione tra scienza e spiritualità.

La Fondazione Templeton ha spiegato che Gleiser, nei suoi interventi pubblici e nei documentari di cui è autore, manifesta un profondo timore reverenziale verso l’esistenza, «un’innegabile gioia nell’esplorazione, mantiene lo stesso senso di stupore e meraviglia per il Creato che ha sperimentato per la prima volta da bambino sulla spiaggia di Copacabana, guardando l’orizzonte ed il cielo notturno stellato, incuriosito da ciò che sta oltre».

Nell’intervista alla rivista scientifica americana, il fisico ha affermato: «la scienza è un modo per connettersi con il mistero dell’esistenza. Quelle domande che fanno parte di noi ora rientrano nella ricerca scientifica, ma sono molto, molto più vecchie della scienza stessa. Per me, come fisico teorico e anche per qualcuno che passa il tempo tra le montagne, questo tipo di domande offre una connessione profondamente spirituale con il mondo, attraverso la mia mente e attraverso il mio corpo. Einstein avrebbe detto la stessa cosa. Non sono solo io; anche il mio collega, l’astrofisico Adam Frank e molti altri, ormai parlano sempre più dellarelazione tra scienza e spiritualità».

 “Copernico non ha detronizzato l’uomo, siamo creature uniche e speciali”.

Forse la parte più interessante della sua intervista è quando riflette su quanti dicono -con intenti antimetafisici- che la rivoluzione copernicana ci avrebbe “scalzato” dal centro dell’Universo. Un Dio creatore non agirebbe così, afferma l’ateismo scientifico. «Quando la gente parla di Copernico e  di copernicanesimo – il “principio della mediocrità”», ha spiegato Gleiser, «rispondo sempre: “Sai una cosa? È tempo di andare oltre. Quando guardi là fuori verso gli altri pianeti (e gli esopianeti), quando guardi la storia della vita sulla Terra, realizzerai che questo luogo chiamato Terra è assolutamente stupefacente. E forse, sì, ce ne sono altri là fuori, forse, ma in questo momento quello che sappiamo è che abbiamo questo mondo, e siamo stupefacenti macchine molecolari capaci di autocoscienza. Tutto ciò ci rende davvero speciali. E sappiamo per certo che non ci saranno altri umani nell’universo; potrebbero esserci degli umanoidi da qualche parte là fuori, ma siamoprodotti unici della lunga storia del nostro singolo, piccolo pianeta”»

Marcelo Gleiser si è definito «sconvolto» dagli errori commessi da scienziati come Stephen Hawking e Lawrence Krauss quando hanno sostenuto che avremmo risolto il problema dell’origine dell’universo, o la correttezza della teoria delle stringhe, o che la “teoria del tutto” sarebbe ormai a portata di mano. «Tali affermazioni sono false! Quindi, mi sento come se fossi un guardiano per l’integrità della scienza in questo momento; qualcuno di cui ti puoi fidare perché questa persona è aperta e onesta abbastanza da ammettere che l’impresa scientifica ha dei limiti, il che non significa che sia debole! La mia missione è di riportare alla scienza, e alle persone che sono interessate alla scienza, questo attaccamento al mistero, perché la scienza è solo un altro modo di impegnarci con il mistero di chi siamo».

«Sia la religione che la scienza condividono lo stesso seme»ha spiegato il fisico in un’altra occasione. «La mente va mantenuta aperta. Il mistero dell’universo rimane. La Terra è un posto molto speciale, la vita è unica e la vita intelligente è rara. Abbiamo bisogno di una nuova moralità per il 21° secolo e sono convinto che tutta la vita sia sacra».

 Da dove proviene quel bisogno di senso che abita il cuore di ogni uomo?

Il fisico è partito da quelle domande sull’esistenza che ha ritrovato dentro di sé, più antiche della scienza stessa. Il vero mistero è proprio la loro natura, la loro genesi, l’impossibilità di appagare il bisogno di senso infinito che domina l’uomo che non si limita a sopravvivere. O è un terribile inganno evolutivo, e allora non siamo affatto “speciali”, oppure sono quella firma del Creatore perché la creatura non si allontani troppo e sia continuamente stimolato a ritornare all’origine.


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13/07/2019 22:15
 
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L’astrofisico John ZuHone:
«la fede cristiana ama la ragione e la scienza»

ZuHone JohnCi sono piaciute molto le riflessioni dell’astrofisico americano John ZuHone, docente presso il prestigioso Massachusetts Institute of Technology (MIT) e presso il NASA Goddard Space Flight Center, abbiamo così voluto condividerle.

Intervistato da un giornalista dell’Huffington Post ha infatti parlato della sua esperienza come scienziato e come cristiano: «Sono un astrofisico della NASA e anche un seguace di Gesù Cristo. Per quasi tutta la mia vita sono stato sia affascinato dalla scienza, sia un credente in Dio»«La fede cristiana», ha continuato ZuHone, «ha una grande considerazione per la ragione, la ricerca e la scienza. San Paolo, ad esempio, dice: “Esaminate ogni cosa e trattenete ciò che vale” (1 Tes 5,21). Il Salmista dice: “I cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia. Non è linguaggio e non sono parole, di cui non si oda il suono” (Salmo 19)».

Ecco, ha proseguito l’astrofisico americano, «cosa dice tutto questo a me, come cristiano? Dio mi parla sia attraverso la Sua parola nelle Scritture sia attraverso la natura, e posso scoprire la verità studiando entrambe. La mia finitezza e la tendenza verso l’egocentrismo indicano che la mia comprensione sarà sempre imperfetta, così se trovo una contraddizione tra Scrittura e natura significa probabilmente che ho capito male la Scrittura, o forse ho studiato male quello che la natura sta cercando di dirimi, o entrambe. Per esempio, se le prove dimostrano chiaramente che l’universo è nato miliardi di anni fa, vuol dire che io devo interpretare in altro modo il capitolo primo della Genesi». Il ragionamento è molto semplice ed efficace e può certamente aiutare tante persone a riflettere sui loro approcci così diffidenti al mondo scientifico. Il prof. ZuHone è di fede protestante e certamente ha più esperienza diretta con ambienti e gruppi pregiudizialmente timorosi rispetto alla ricerca scientifica.

Le sue parole, inoltre, portano alla mente la riflessione del card. Roberto Bellarmino, il noto ecclesiastico tra i responsabili del primo processo a Galileo Galilei, il cui pensiero era paradossalmente “più scientifico” dello stesso ricercatore pisano (oltretutto amico personale di Galilei). Così infatti scrisse a padre A. Foscarini il 12 aprile 1615: «Dico che quando ci fusse vera demostratione che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo, e che il sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole allhora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e piú tosto dire che non l’intendiamo che dire che sia falso quello che si dimostra. Ma io non crederò che ci sia tal dimostratione, fin che non mi sia mostrata». Ovvero, senza dimostrazione la scienza non può affermarsi come verità e in caso di dimostrazione allora bisogna crederle e migliorare, in questo caso, la nostra interpretazione delle Scritture (che non sono e non vogliono essere un libro scientifico!).

Tornando alle parole dello scienziato americano, la sua conclusione è stata questa: «Dio dice mediante il profeta Isaia: “Venite quindi e discutiamo assieme” (Is 1,18). Credo, e spero, che rispondendo a questa chiamata di Dio, questo Dio che nella persona di Gesù Cristo è morto e risorto per i miei peccati, Egli mi darà la comprensione di cui ho bisogno per essere non solo uno scienziato migliore, ma un miglior seguace di Lui».

La redazione


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13/07/2019 22:19
 
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L’astrofisico J. Lunine,
da Carl Sagan ai gesuiti del Vaticano

Scienziati credenti. Jonathan Lunine è un astrofisico di fama internazionale, convertitosi al cattolicesimo nel 2007. Un ammiratore del celebre Carl Sagan a cui però ha preferito i gesuiti della Specola Vaticana, fondando la Society of Catholic Scientists.

 

Quando il Congresso degli Stati Uniti vuole capire se valga la pena investire denaro per determinati progetti spaziali solitamente si rivolge ad un team di scienziati. Tra essi non manca mai Jonathan I. Lunine, astrofisico ed tra i più esperti al mondo nell’evoluzione, nella formazione e nella possibile abitabilità dei pianeti extraterrestri.

Lunine è direttore del Center for Radiophysics and Space Research della Cornell University, dove è docente. Ma è anche un devoto cattolico, convertitosi dall’ebraismo, nonché uno dei fondatori della Society of Catholic Scientists (nata nel 2016). Come scrivevamo, nonostante abbia solo due anni di vita, la Società degli scienziati cattolici vanta già 800 prestigiosi membri.

L’astrofisico americano si è battezzato nel 2007 ed è stato anche un grande ammiratore del famoso fisico Carl Sagan, un agnostico e promotore dello scetticismo scientifico, grazie al quale si è innamorato dell’esplorazione dello spazio. Il pallino di Lunine oggi è accompagnare i giovani cattolici ad aprirsi al mondo scientifico. «Come dice il Catechismo al punto n° 159», ha spiegato lo scienziato americano, «le realtà profane e le realtà della fede hanno la loro origine nello stesso Dio». Inoltre, «c’è una grande differenza tra il determinare la struttura dell’universo e la sua evoluzione nel tempo, e chiedersi perché esiste l’esistenza, perché c’è qualcosa, purtroppo invece è qualcosa che alcuni scienziati confondono».

 

La conversione dell’astrofisico grazie alla scienza.

La conversione di Lunine è davvero interessante. Proviene da una famiglia ebrea, il padre era un conservatore non praticante mentre la madre apparteneva alla corrente riformata dell’ebraismo, «riteneva che la religione era la fonte di tutti i mali dell’umanità e si è sempre rifiutata di praticare la sua fede», ha spiegato l’astrofisico. Tuttavia, Lunine crebbe con una certa “ansia spirituale” e, per questo, lo iscrissero al registro della Sinagoga Centrale a New York. Ma la spiritualità del giovane venne meno, «il mio modo per fuggire è stata la rivista mensile “Sky and Telescope”, che lessi avidamente». In particolare, lo colpì una recensione al famoso libro di Carl Sagan, “The Cosmic Connection: An Extraterrestrial Perspective”(1973). Iniziò a scrivere al famoso fisico e suo idolo giovanile che gli rispose, indicandogli alcune strade da percorrere per diventare un astronomo. «Ci ho provato con tutto me stesso», ricorda oggi Lunine, «seguendo quella lettera siamo diventati colleghi prima che lui morisse a metà degli anni ’90».

La carriera scientifica ha anche risvegliato in Lunine le “ansie spirituali” giovanili, le quali trovarono una adeguata risposta nell’incontro con la sua futura moglie, una cristiana metodista. Jonathan iniziò a frequentare i sermoni del reverendo David Wilkinson, anche se rifiutò il battesimo cristiano. Il suo lavoro lo portò a contatto con gli astronomi gesuiti della Specola Vaticana, che hanno a Tucson un loro osservatorio: fu questo l’incontro decisivo. «Mi colpì profondamente la loro vita, l’armonia tra scienza e fede. Non c’era nulla di artificiale, questo mi segnò. Molte cose mi attrassero al cattolicesimo, la vita dei Santi e le risposte alle domande più profonde». Dopo essersi recato a Roma per alcune conferenze, «realizzai che dovevo prendere una decisione, e sentivo che quello che volevo era diventare cattolico, accettare Gesù Cristo ed essere battezzato formalmente. Dovevo arrivare ad un’azione pratica invece di continuare un simposio personale di 30 anni nella mia testa».

Così Lunine iniziò il processo di catecumenato per adulti nel 2006 presso il Newman Center (Arizona) e fu battezzato e confermato il Sabato Santo del 2007. Ora il suo mentore è Guy Consolmagno, attuale direttore dell’Osservatorio Vaticano e ha scelto di avviare la Society of Catholic Scientists proprio per favorire un “reset” nella mente di molti giovani cattolici, messi sotto pressione dai loro pari sul presunto antagonismo tra scienza e fede.

fonte : UCCR

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13/07/2019 22:26
 
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Il fisico Ugo Amaldi,
amore per la scienza e amore per la fede

Il 16 novembre scorso è stato consegnato al noto fisico Ugo Amaldi il Premio internazionale Cultura cattolica al Museo civico di Bassano del Grappa (Vi), con la seguente motivazione: «Amore per la scienza e amore per la fede».

Amaldi lavora presso il Cern di Ginevra dal 1960, e dal 1982 è docente presso l’Università di Milano, già direttore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, membro delle maggiori accademie scientifiche, è tra i maggiori studiosi delle particelle elementari. Il suo ultimo libro, appena pubblicato, si chiama “Sempre più veloci” (Zanichelli 2012)

Intervistato per l’occasione da Avvenire, ha spiegato: «Le scienze studiano i fenomeni naturali e nei fatti non hanno nulla da dire alla fede. Però gli scienziati credenti e quelli che si pongono la domanda sulla fede sentono la necessità di integrarein maniera coerente la fede e la visione fisica del mondo. Così facendo devono affrontare questioni che si collocano alla frontiera fra alcune affermazioni del cristianesimo e ciò che loro sanno del mondo naturale. Difficoltà che talvolta possono essere illuminanti anche per coloro che non sono scienziati […]. D’altra parte non si può non restare meravigliati dalla complessità e dalla logica sottese alla maggior parte dei fenomeni naturali e questo è per uno scienziato credente un’apertura al trascendente»». 

Quest’ultima riflessione ricorda quella di un altro celebre fisico italiano, il premio Nobel Carlo Rubbia, il quale pochi mesi fa ha affermato: «L’uomo di scienza non può non sentirsi umile, commosso ed affascinato di fronte a questo immenso atto creativo, così perfetto e così immenso e generato nella sua integralità a tempi così brevi dall’inizio dello spazio e del tempo […]. L’universo si è evoluto in maniera unitaria e coerente, come se fosse un unico tutto. Ricordiamo a questo proposito le parole della Genesi, dove si dice: “Dio pose le costellazioni nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che era cosa buona”».

L’argomento si sposta poi su una questione originale, ovvero l’assenza della figura di Cristo nel dibattito tra scienza e fede, infatti «si preferisce parlare del Dio Creatore, del Dio che mantiene l’universo in essere e non si connette mai la figura del Cristo con le conoscenze degli scienziati, né queste vengono mai connesse con lo Spirito Santo che, in quanto scienza e sapienza sarebbe perfettamente a tema». Il motivo potrebbe risiedere, ha continuato Amaldi, «nel fatto che il rapporto personale che il credente ha con Cristo è completamente diverso dal rapporto impersonale che lo scienziato ha con i fenomeni naturali che studia. Viaggiano su piani diversi. Invece il Dio Creatore è strettamente connesso con la natura che è l’oggetto di studio dello scienziato».

Nell’intervista per Ilsussidiario.net ha invece affermato: «Io sono uno scienziato credente», ma anch’io «come ogni scienziato  devo essere un “agnostico metodologico”: l’essere credente non deve influenzare il modo di procedere […]. Penso che si possa integrare la razionalità scientifica con la fede che è poi quella che io chiamo la ragionevolezza sapienziale e trova le sue radici nei libri sacri, nell’esperienza di vita dei santi, nella rivelazione. Sono due aspetti diversi del nostro stesso intelletto, che si coniugano con la ragione filosofica portandoci a guardare il mondo in modo unitario. In tal modo si può costruire una visione della realtà tale che il problema scienza-fede non si pone».

Secondo recenti sondaggi (anche tra studenti universitari), sono una netta minoranza oggi gli scienziati che insistono nel ribadire una dicotomia tra scienza e fede, anche se -giustamente- Amaldi fa notare che «questo dibattito è considerato interessante solo da coloro che a priori si pongono, anche se non credenti, il problema della fede. Gli agnostici, gli atei continuano a considerare con fastidio questa relazione fra scienza e fede, la vedono come inutile».

fonte UCCR


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13/07/2019 22:28
 
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Il fisico Roberto Cingolani:
«se penso all’Universo annuso la trascendenza»

Roberto CingolaniSegnaliamo una bella intervista del giugno scorso a Roberto Cingolani, fisico italiano e direttore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia (IIT).

Il noto scienziato si è soffermato sui contenuti dell’enciclica di Francesco, “Laudato sì”, nella quale il Papa ha riflettuto anche sul ruolo della scienza e della tecnologia, nonché di argomenti come il clima, l’ecologia e l’inquinamento che rovinano la Creazione di Dio. «Chi trova strano che un Papa parli di scienza non ha letto l’enciclica, perché io, al contrario, vi ho riscontrato un atteggiamento molto scientifico», ha spiegato Cingolani. Nemmeno «vedo un atto d’accusa in quanto l’obiettivo della scienza non era la deriva che il Papa descrive e che è sotto gli occhi di tutti. Semmai, l’accusa ricade sullo sciagurato uso che l’uomo fa delle conoscenze scientifiche e sulla mancanza di una cultura della sostenibilità».

C’è spazio anche a una riflessione più personale da parte del fisico italiano, autore del recente libro Umani e umanoidi. Vivere con i robot (Il Mulino 2015). «Io non ho la grande fede del Papa, ma il mio concetto di trascendenza è quello del disagio dell’ignoranza: cioè sentirsi impotentemente ignoranti di fronte a misteri che sono fuori dalla portata del nostro cervello e rispetto ai quali ciascuno trova il suo disegno del divino. Io lo trovo in questo limite, che, beninteso, è una sconfitta per chi come me crede che tutto sia nella conoscenza. Come nanotecnologo mi impressiona l’idea di un Architetto che con sei atomi ha fatto tutto quello che c’è di organico e di biologico: io, lei, un mobile, un cavallo… cambia solo la disposizione nello spazio di questi atomi. Chi l’ha fatto era un genio di portata illimitata. Di fronte a questa trascendo. Se poi penso all’universo devo accettare l’esistenza di un infinito insondabile o di un nulla – pre Big Bang – altrettanto irraggiungibile dalla mente. E mi trovo a trascendere anche lì. In quei momenti annuso la trascendenza».

E’ sempre bello poter sfatare il mito -nato nell’illuminismo scientista- degli scienziati asettici, privi di stupore e incapaci o disinteressati a riflessioni sul senso della vita e su Dio. Rimaniamo anche colpiti da come tantissimi scienziati, impegnati seriamente nel loro lavoro, “annusino la trascendenza” anche in assenza di una fede personale (la quale non nasce da riflessioni o studi ma da un incontro, un’esperienza personale). Fu anche l’esperienza di Albert Einstein che più volte si accorse, studiando l’universo, di non poter negare la convinzione di uno «spirito immensamente superiore»: «La convinzione profondamente appassionante della presenza di un superiore potere razionale, che si rivela nell’incomprensibile universo, fonda la mia idea su Dio» (citato in Isaacson, “Einstein: His Life and Universe”, Simon e Schuster, pag. 27).

fonte UCCR


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13/07/2019 22:36
 
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Il fisico Steven Weinberg
e la sorprendente nostalgia di Dio

fisica ateiCertamente uno dei principali fisici teorici viventi è Steven Weinberg, premio Nobel (1979) e titolatissimo accademico americano. Tra i suoi meriti principali quello di aver enormemente contribuito all’elaborazione della teoria elettrodebole.

Weinberg è anche spesso citato dai critici del teismo e del cristianesimo in quanto dichiaratamente ateo, autore di questa famosissima frase: «Quanto più l’universo ci appare comprensibile, tanto più ci appare senza scopo» (S. Weinberg, “The First Three Minutes: A Modern View of the Origin of the Universe”, Basic Books 1977). Ovvero, con il procedere della scoperte scientifiche, diminuirebbe sempre più la percezione di uno scopo della vita e dell’universo.

Rispettiamo questo punto di vista, ricordando soltanto però che si tratta semplicemente di una opzione filosofica da lui semplicemente scelta: nessun dato naturale e/o scientifico ci costringe o porta necessariamente ad abbracciare questo estremo nichilismo.

Ci ha colpito molto leggere poco tempo fa un chiarimento dello stesso Weinberg circa la sua celebre citazione. «Nel mio libro del 1977, “I primi tre minuti”», ha scritto, «fui tanto imprudente da osservare che “più l’universo appare comprensibile, più appare senza scopo”. Non volevo dire che la scienza c’insegna che l’universo è senza scopo, ma che l’universo stesso non ci suggerisce nessuno scopo, e subito dopo aggiungevo che noi stessi possiamo inventare uno scopo della vita, magari quello di cercare di capire l’universo. Ma ormai il guaio era fatto, e da allora quella frase mi ha sempre perseguitato. […]. La risposta che mi è piaciuta di più è stata quella dell’astronomo Gerard de Vaucouleurs, mio collega all’Università del Texas, il quale disse di trovare “nostalgica” la mia osservazione. Lo era davvero; era piena di nostalgia per un mondo nel quale i cieli narrano la gloria di Dio» (S. Weinberg, Il sogno dell’unità dell’universo, Mondadori 1993, pp. 263-264).

Perché mai, vorremmo chiedergli, il suo animo percepisce tale nostalgia verso la gloria di Dio? Come si spiega il contrasto tra la sensazione di inutilità suggeritagli dall’universo e il desiderio interno a lui, inestirpabile, di un Significato? E’ forse un fatale inganno della nostra natura, averci creato con questa inesauribile sete di un Dio? Ancora una volta la risposta è affidata ad ognuno: o la nostra natura è crudelmente menzognera oppure non lo è.

Se Weinberg ha arbitrariamente deciso che l’universo non suggerisce (a lui) alcuno scopo, occorre precisare che molti suoi colleghi, invece, la pensano diversamente: «Secondo la mia opinione e quella di un crescente numero di scienziati», ha ad esempio affermato il noto fisico Paul Davies, «la scoperta che la vita e l’intelletto siano emersi come parte dell’esecuzione naturale delle leggi dell’universo è una forte prova della presenza di uno scopo più profondo nell’esistenza fisica. Invocare un miracolo per spiegare la vita è esattamente quello di cui non c’è bisogno per avere la prova di uno scopo divino nell’universo» (P. Davies, Conferenza pronunciata a Filadelfia su invito della John Templeton Foundation e diffusa da Meta List on “Science and Religion”).

Il premio Nobel per la fisica, C.H. Townes, ha voluto rispondere direttamente al suo amico Weinberg con queste parole: «Noi dobbiamo prendere le decisioni in base ad un giudizio, certo, ma abbiamo anche qualche prova per rispondere. Credo, ad esempio, che una di queste si avvale del riconoscimento che questo universo è appositamente progettato, è un universo molto particolare e dev’esserci stato un fine, uno scopo […]. Steve Weinberg ha un giudizio facile, ha detto che tutto è accidentale e senza scopo. Io ho un diverso tipo di giudizio» (C.H. Townes, discorso durante l’assegnazione del Premio Templeton 2005).

Tornando alla nostalgia professata da Weinberg, ci è anche sembrata molto opportuna l’osservazione dell’astrofisico italiano Marco Bersanelli, docente presso l’Università di Milano: «L’interrogativo è inevitabile: non ammettere la possibilità che il mondo fisico rimandi ad altro oltre a sé equivale a negare la possibilità di un senso. E talvolta anche chi afferma che tali domande sarebbero nostre invenzioni in fondo spesso nasconde la nostalgia di un significato pieno e totale» (M. Bersanelli e M. Gargantini, Solo lo stupore conosce, Rizzoli 2003, p.270).

fonte UCCR


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13/07/2019 22:39
 
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La conversione dell’astrofisica Salviander:
«ho percepito un ordine nell’Universo»

ordine universoHa fatto il giro di molti siti web internazionali la testimonianza della dott.ssa Sarah Salviander, ricercatrice presso il Dipartimento di Astronomia dell’Università del Texas e docente di Astrofisica presso la Southwestern University. La storia della sua conversione è davvero incredibile, originatasi dai suoi studi scientifici e dalla morte della figlia. Vale la pena prendersi cinque minuti per leggere le sue parole.

«Sono nata negli Stati Uniti, ma cresciuta in Canada», ha scritto la scienziata riassumendo quanto ha raccontato nel periodo pasquale in una chiesa di Austin (Texas) dove era stata invitata. «I miei genitori erano atei anche se preferivano definirsi “agnostici”, sono stati gentili, amorevoli e morali, ma la religione non ha giocato alcun ruolo nella mia infanzia».

«Il Canada era già un paese post-cristiano», ha proseguito, «col senno di poi è incredibile come per i primi 25 anni della mia vita ho incontrato solo tre persone che si sono identificate come cristiane. La mia visione del cristianesimo era fortemente negativa, guardando indietro ho capito che era dovuto all’assorbimento inconscio della generale ostilità verso il cristianesimo comune in Canada e in Europa. Non conoscevo nulla del cristianesimo ma pensavo che rendeva le persone deboli e sciocche, filosoficamente banale».

A venticinque anni la Salviander, che allora abbracciava la filosofia razionalista del filosofo Ayn Rand, si è trasferita negli Stati Uniti per frequentare l’università: «Mi sono iscritta al programma di fisica presso la Eastern Oregon University percependo subito l’aridità e la sterilità dell’oggettivismo razionalista, incapace di rispondere alle grandi domande: qual è lo scopo della vita? Da dove veniamo? Perché siamo qui? Cosa succede quando moriamo? Mi sono anche accorta che soffriva di una coerenza interna: tutta l’attenzione è rivolta alla verità oggettiva ma mancava una fonte per quella verità. E, tutti concentrarti a godersi la vita, gli oggettivisti razionalisti non sembravano provare alcuna gioia. Al contrario, erano rabbiosamente preoccupati di rimanere indipendenti da qualsiasi pressione esterna».

L’attenzione è stata così completamente rivolta agli studi di fisica e matematica, «sono entrata nei club universitari, cominciai a fare amicizia, e, per la prima volta nella mia vita, ho incontrando i cristiani. Non erano come i razionalisti: erano gioiosi, contenti e intelligenti, molto intelligenti. Sono rimasta stupita di scoprire che i miei professori di fisica, che ammiravo, erano cristiani. Il loro esempio personale ha cominciato ad avere una certa influenza su di me, ritrovandomi sempre meno ostile al cristianesimo. In estate, dopo il mio secondo anno, ho partecipato a uno stage di ricerca presso l’Università della California aderendo ad un gruppo del Center for Astrophysics and Space Sciences impegnato nello studiare le prove del Big bang. Sembrava incredibile trovare la risposta alla domanda sulla nascita dell’Universo, mi ha fatto pensare all’osservazione di Einstein che la cosa più incomprensibile sul mondo è che è comprensibile. Ho cominciato a percepire un ordine sottostante all’universo. Senza saperlo, stavo risvegliando in me quello che il Salmo 19 dice chiaramente: “I cieli narrano la gloria di Dio; il firmamento annunzia l’opera delle sue mani”».

Dopo questa intuizione la sua ragione si progressivamente trasformata in un’apertura al Mistero, «ho iniziato a rendermi conto che il concetto di Dio e della religione non erano così filosoficamente banale come avevo pensato. Durante il mio ultimo anno ho incontrato uno studente di informatica finlandese. Un uomo di forza, onore e profonda integrità che come me era cresciuto come ateo in un paese laico, ma aveva abbracciato Gesù Cristo come suo personale Salvatore a vent’anni attraverso un’intensa esperienza personale. Ci siamo innamorati e sposati. In qualche modo, anche se non ero religiosa, ero confortata nel sposare un uomo cristiano. Mi sono laureata in fisica e matematica in quell’anno e in autunno ho iniziato ad insegnare Astrofisica presso l’Università del Texas a Austin».

Il penultimo passaggio del suo percorso è stato l’incontro, anch’esso casuale, con un libro scritto da Gerald Schroeder, The Science of God. «Sono stata incuriosita dal titolo, ma qualcos’altro mi ha spinto a leggerlo, forse la nostalgia per una connessione più profonda con Dio. Tutto quello che so è che quello che ho letto ha cambiato la mia vita per sempre. Il dottor Schroeder è un fisico del MIT e un teologo, mi resi conto che incredibilmente la Bibbia e la scienza sono completamente d’accordo. Ho letto anche i Vangeli e ho trovato la persona di Gesù Cristo estremamente convincente, mi sentivo come Einstein quando disse di essere “affascinato dalla figura luminosa del Nazareno”. Eppure, nonostante avessi riconosciuto la verità e fossi intellettualmente sicura, non ero ancora convinta nel mio cuore».

L’approdo al cristianesimo è avvenuto solamente due anni fa attraverso un drammatico evento: «mi è stato diagnosticato il cancro, non molto tempo dopo mio ​​marito si è ammalato di meningite ed encefalite, guarendo per fortuna soltanto tempo dopo. La nostra bambina aveva circa sei mesi e abbiamo scoperto che soffriva trisomia 18, un’anomalia cromosomica fatale. Ellinor è morta poco tempo dopo. E’ stata la perdita più devastante della nostra vita, mi ha colto la disperazione fino a quando ho lucidamente avuto una visione della nostra bambina tra le braccia amorevoli del suo Padre celeste: solo allora ho trovato la pace. Pensai che, dopo tutte queste prove, io e mio marito non eravamo solo più uniti ma anche più vicini a Dio. La mia fede era reale. Io non so come avrei fatto di fronte a tali prove se fossi rimasta atea. Quando si hanno venti anni si è in buona salute, c’è la famiglia intorno e ci si sente immortali. Ma arriva un momento in cui la sensazione di immortalità svanisce e si è costretti a confrontarsi con l’inevitabilità del proprio annientamento e di quello dei propri cari».

Nella conclusione la dott.ssa Salviander ha spiegato i motivi della sua testimonianza pubblica: «Amo la mia carriera di astrofisico. Non riesco a pensare a nient’altro di meglio che studiare il funzionamento dell’universo e mi rendo conto ora che l’attrazione che ho sempre avuto verso lo spazio altro non era che un desiderio intenso di una connessione con Dio. Non dimenticherò mai quando uno studente, poco tempo dopo la mia conversione, si è avvicinato chiedendomi se era possibile essere uno scienziato e credere in Dio. Gli ho detto di si, naturalmente. L’ho visto visibilmente sollevato e mi ha riferito che un altro professore gli aveva invece risposto negativamente. Mi sono chiesta quanto altri giovani erano alle prese con domande simili, così ho deciso di aiutare coloro che stanno lottando con il dubbio. So che sarà una strada difficile da percorrere, ma il significato del sacrificio di Gesù non lascia dubbi su quello che devo fare».

fonte UCCR


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13/07/2019 22:41
 
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“Un Universo così grande è uno spreco divino”.
Risponde l’astrofisico Hugh Ross

Prima dell’invenzione del telescopio, alcuni consideravano il cosmo troppo piccolo ed insignificante per essere l’opera di un Creatore. Solo un cosmo infinito, dicevano, si adatterebbe ad una divinità infinita. Oggi conosciamo la grandezza dell’Universo, eppure alcuni sostengono che sia un argomento contro l’opera di un Creatore.

Nel suo libro God: The Failed Hypothesis, il fisico Victor Stenger si lamenta infatti: «Se Dio ha creato l’universo come un posto speciale per l’umanità, sembra aver sprecato una quantità enorme di spazio». L’universo contiene infatti circa 200 miliardi di galassie di grandi e medie dimensioni e cento volte più galassie nane e le stelle si stima che ammontino a circa 50 miliardi di trilioni.

L’astrofisico Hugh Ross, docente presso l’Università di Toronto (Canada), ha però spiegato che «coloro che non hanno avuto il privilegio di studiare astrofisica potrebbero non rendersi conto che l’universo deve essere tanto enorme per permettere la vita umana, o qualsiasi altra vita, al suo interno». Le ragioni sono almeno due. La prima riguarda la produzione di elementi essenziali per la vita, mentre la seconda la velocità di espansione.

Il modello del Big bang, che vanta oggi una forte plausibilità nel mondo scientifico, ci dice che al momento della creazione cosmica l’Universo era infinitamente caldo e compresso e la sua materia esisteva sotto forma di idrogeno. Espandendosi si raffreddava e la velocità di espansione dipendeva dalla sua massa. Senza addentrarsi in spiegazioni complesse, basta comprendere che se la densità di massa cosmica fosse stata di poco inferiore, la fusione nucleare dell’idrogeno primordiale non avrebbe funzionato e non si sarebbero mai prodotti elementi essenziali alla vita, come carbonio, azoto, ossigeno ecc. Se, invece, fosse stata di poco superiore tutto l’idrogeno sarebbe stato rapidamente fuso in elementi non utili. Così, Ross ha commentato: «Date le leggi della fisica in base alle quali opera l’universo, la massa cosmica non doveva essere diversa da quello che osservano esattamente gli astronomi, altrimenti non saremmo qui ad osservarla e a discuterne. Un universo più grande o meno grande non avrebbe permesso l’esistenza della vita fisica». Dunque, ritorna la sensazione di una sintonizzazione fine in direzione della vita intelligente.

La seconda ragione per cui l’Universo avrebbe dovuto avere la dimensione che ha, è legata all’espansione cosmica. Essa, come già scritto, dipende dalla densità di massa: data la legge di gravità, una densità di massa inferiore avrebbe reso troppo rapida l’espansione, impedendo il formarsi di stelle e pianeti. Con una densità di massa superiore, invece, tutte le stelle sarebbero state enormi (o trasformate in buchi neri) ed i pianeti in orbita completamente inadatti alla vita umana. La morale che se ne può trarre è che la vita fisica non può esistere in un universo con una densità di massa minore o maggiore del valore che osserviamo nel cosmo.

Entrando in campo filosofico e teologico, così come vi entra chi nega Dio a partire dalla dimensione dell’Universo, l’astrofisico canadese arriva addirittura a ribaltare i piani e formulare un ragionamento molto semplice: «Data questa situazione, qualcuno potrebbe obiettare che la pura coincidenza spiega la densità di massa “giusta” dell’universo. Eppure, gli scienziati osservano che la massa dell’universo è finemente sintonizzata per produrre l’adeguata abbondanza e diversità di elementi essenziali per la vita e che la densità di massa è fissata con precisione per consentire il giusto tasso di espansione per tutta la storia cosmica, così che stelle e pianeti si formino nei momenti giusti e nei luoghi giusti per la vita. La combinazione di queste improbabilità astronomiche sfida chiaramente qualsiasi spiegazione diversa dall’intenzionalità trascendente».

Ovvero, c’è un tale «perfezionamento cosmico» che si spiegherebbe solo presupponendo un’intenzione e non una coincidenza. Oltre non è prudenteandare, se non apprezzando quanto ha scritto Alfio Quarteroni, ordinario di Matematica presso l’Università del Minnesota: «Per chi ha fede, il Dio creatore non può esimersi dall’essere anche un matematico. Il più grande di tutti, naturalmente. Perché ha risolto il più complesso problema inverso che mai sia stato posto: determinare le condizioni iniziali giuste (al tempo zero, quello della creazione) affinché il sistema dinamico dell’evoluzione dell’universo arrivasse a oggi a possedere questa meravigliosa grandezza».

fonte UCCR


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13/07/2019 22:44
 
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Il fisico Lee Smolin:
«gli universi paralleli? Su, basta fantasticare»

Lee Smolin, il tempo e la teoria del Multiverso. Il celebre fisico statunitense rifiuta categoricamente la tesi degli universi paralleli e negli ultimi anni ha sostituito la sua nota avversione alla trascendenza con una visione più possibilista.

 

“Su, ragazzi. Basta scherzare, è ora di tornare con i piedi per terra”. Potrebbe essere questa l’estrema sintesi dell’ultimo libro del celebre fisico teorico Lee Smolin, intitolato “The Singular Universe and the Reality of Time: A Proposal in Natural Philosophy (Cambridge University Press 2014). D’altra parte il “tornare con i piedi a terra” è anche il titolo di un suo articolo abbastanza famoso.

Smolin non ha bisogno di presentazioni, membro del Perimeter Institute for Theoretical Physics e docente presso l’Università di Waterloo e di Toronto, è noto per i suoi importanti contributi alla meccanica quantistica. La tematica affrontata è quella riguardante il Multiverso, la tesi secondo la quale il nostro universo sarebbe soltanto uno degli infiniti altri (10500 universi, per la “precisione”). Un’ipotesi che molti respingono in quanto inverificabile e priva di fondamenti scientifici. Tra essi proprio Smolin: «La scienza viene danneggiata quando si abbandona la disciplina di validazione empirica», ha scritto. Per questo, se vogliamo restare nel campo scientifico, «abbiamo ragione di credere nell’esistenza di un solo universo, l’universo in cui ci troviamo. Nulla è stato scoperto fino a oggi che giustifica la convinzione che esso sia solo uno dei tanti. La moltiplicazione degli universi nella cosmologia contemporanea è il risultato di un tentativo di convertire un fallimento in un successo per quanto riguarda la spiegazione del cosmo».

L’astrofisico Adam Frank, a sua volta, in un articolo del 2015 sul New York Times ha confermato che la fisica moderna è in crisi per l’incapacità di spiegare l’origine dell’universo, concordando che la teoria del Multiverso «si trova al di là delle nostre capacità di osservazione e non potrà mai essere direttamente indagata».

La questione rimane comunque aperta ed affascinante, sopratutto perché l’argomento degli universi paralleli è frequentemente utilizzato da chi prova turbamento verso l’unicità del nostro universo ma anche per il cosiddetto fine-tuning: le leggi fisiche che hanno permesso l’emergere della vita intelligente sembrano essere perfettamente calibrate per questo obiettivo, come se ci fosse alla loro origine una mente cosiente. Proprio su questo sito web, il prof. Paolo Di Sia, docente di Matematica presso l’Università di Verona, ha spiegato che «il multiverso è stato anche definito “l’ultimo dio dell’ateo” e utilizzato da atei e materialisti come un modo per evitare argomenti che potrebbero essere presi a favore dell’esistenza di Dio, come l’inizio dell’universo, il “cosmological argument”, il “fine tuning argument”», osservando comunque a sua volta che «tutte le prove attualmente disponibili sembrano condurre al fatto che l’universo abbia avuto un inizio».

Il Multiverso, nonostante ciò che ripetono molti sostenitori anti-teisti, non è affatto incompatibile con una spiegazione teleologica dell’origine del cosmo. Smolin, in ogni caso,  non è certo un credente. O, meglio, non lo era fino al 2006. Tutti conoscono (e citano) la celebre conclusione del suo libro più famoso, datato 1997: «Dunque non c’è mai stato un Dio, non c’è mai stato nessun pilota che ha fatto il mondo imponendo un ordine al caos e rimanendo poi al di fuori ad osservare e a prescrivere» (L. Smolin, La vita del cosmo, Einaudi 1998, p. 382).

Pochi, tuttavia, sanno che nel suo L’Universo senza stringhe, ha sostituito questa visione disincantata e pessimista con una decisamente più aperta e possibilista: «Che esista o meno Dio, la nostra ricerca del divino ha qualcosa di nobilitante», ha scritto. «E anche qualcosa che rende più umani, che si esprime in ognuna delle strade scoperte per raggiungere un livello più profondo di verità. Alcuni cercano la trascendenza nella meditazione e nella preghiera, altri ancora […] nella pratica di un’arte. Un altro modo di dedicarsi a questioni più profonde della vita è la scienza» (L. Smolin, L’Universo senza stringhe, Einaudi 2007, p. IX).

fonte UCCR


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19/12/2019 12:25
 
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«L’ateismo? Incoerente con il metodo scientifico».


Parla il fisico Marcelo Gleiser.



premio templeton 2019Lo scienziatofsaf omaggiato dal Premio Templeton 2019 è Marcelo Gleiser. Fisico e astrofisico brasiliano, si definisce “agnostico religioso” ed è un critico dell’ateismo scientista. La scienza lo ha portato ad ammirare il mistero dell’esistenza.


 


Il 29 maggio prossimo l’eminente fisico Marcelo Gleiser riceverà il Premio Templeton 2019. Una prestigiosa premiazione che onora gli uomini di scienza che sanno andare oltre la propria materia di competenza e riescono a dare contribuiti alla dimensione spirituale dell’esistenza.


In passato è stato assegnato a studiosi del calibro di Charles Hard Townes (fisico e premio Nobel), John David Barrow (matematico), Francisco J. Ayala (biologo), George Ellis (fisico), Martin John Rees (astrofisico). Quest’anno è toccato a Gleiser, professore di Fisica e Astronomia al Dartmouth College di Hanover (Germania), di origine brasiliana, giudicato «una voce di spicco tra gli scienziati, passati e presenti, che rifiutano l’idea che la scienza da sola possa portare a verità definitive sulla natura della realtà».


 


“L’assenza di prove di Dio non è una prova di assenza”.


Il fisico si è formato presso la Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro ed è noto per la scoperta, nel 1994, delle cosiddette oscillazioni elettrostatiche. Si definisce un “agnostico religioso” e da anni è un critico dichiarato dell’ateismo scientista, ben rappresentato all’estero da personaggi come Richard Dawkins, Daniel Dennett e Lawrence Krauss. In Italia, invece, tra le file del fondamentalismo ateo-scientifico è possibile elencare i noti Piergiorgio Odifreddi, Telmo Pievani ed Edoardo Boncinelli.


Ma, oltre ai tanti scienziati credenti, vi sono numerosi ricercatori agnostici e non credenti che non tollerano la strumentalizzazione del campo scientifico per fini ateistici e, tra questi, c’è proprio Marcelo Gleiser. «Vedo l’ateismo come incoerente con il metodo scientifico in quanto è, essenzialmente, la credenza nella non credenza», ha dichiarato l’eminente fisico in un’intervista a Scientific American. «L’assenza di prove non è prova di assenza. Si può non credere in Dio, ma affermare la sua inesistenza con certezza non è scientificamente coerente».


 


Il mistero dell’esistenza e la relazione tra scienza e spiritualità.


La Fondazione Templeton ha spiegato che Gleiser, nei suoi interventi pubblici e nei documentari di cui è autore, manifesta un profondo timore reverenziale verso l’esistenza, «un’innegabile gioia nell’esplorazione, mantiene lo stesso senso di stupore e meraviglia per il Creato che ha sperimentato per la prima volta da bambino sulla spiaggia di Copacabana, guardando l’orizzonte ed il cielo notturno stellato, incuriosito da ciò che sta oltre».


Nell’intervista alla rivista scientifica americana, il fisico ha affermato: «la scienza è un modo per connettersi con il mistero dell’esistenza. Quelle domande che fanno parte di noi ora rientrano nella ricerca scientifica, ma sono molto, molto più vecchie della scienza stessa. Per me, come fisico teorico e anche per qualcuno che passa il tempo tra le montagne, questo tipo di domande offre una connessione profondamente spirituale con il mondo, attraverso la mia mente e attraverso il mio corpo. Einstein avrebbe detto la stessa cosa. Non sono solo io; anche il mio collega, l’astrofisico Adam Frank e molti altri, ormai parlano sempre più della relazione tra scienza e spiritualità».


 


“Copernico non ha detronizzato l’uomo, siamo creature uniche e speciali”.


Forse la parte più interessante della sua intervista è quando riflette su quanti dicono -con intenti antimetafisici- che la rivoluzione copernicana ci avrebbe “scalzato” dal centro dell’Universo. Un Dio creatore non agirebbe così, afferma l’ateismo scientifico. «Quando la gente parla di Copernico e  di copernicanesimo – il “principio della mediocrità”», ha spiegato Gleiser, «rispondo sempre: “Sai una cosa? È tempo di andare oltre. Quando guardi là fuori verso gli altri pianeti (e gli esopianeti), quando guardi la storia della vita sulla Terra, realizzerai che questo luogo chiamato Terra è assolutamente stupefacente. E forse, sì, ce ne sono altri là fuori, forse, ma in questo momento quello che sappiamo è che abbiamo questo mondo, e siamo stupefacenti macchine molecolari capaci di autocoscienza. Tutto ciò ci rende davvero speciali. E sappiamo per certo che non ci saranno altri umani nell’universo; potrebbero esserci degli umanoidi da qualche parte là fuori, ma siamo prodotti unici della lunga storia del nostro singolo, piccolo pianeta”»


Marcelo Gleiser si è definito «sconvolto» dagli errori commessi da scienziati come Stephen Hawking e Lawrence Krauss quando hanno sostenuto che avremmo risolto il problema dell’origine dell’universo, o la correttezza della teoria delle stringhe, o che la “teoria del tutto” sarebbe ormai a portata di mano. «Tali affermazioni sono false! Quindi, mi sento come se fossi un guardiano per l’integrità della scienza in questo momento; qualcuno di cui ti puoi fidare perché questa persona è aperta e onesta abbastanza da ammettere che l’impresa scientifica ha dei limiti, il che non significa che sia debole! La mia missione è di riportare alla scienza, e alle persone che sono interessate alla scienza, questo attaccamento al mistero, perché la scienza è solo un altro modo di impegnarci con il mistero di chi siamo».


«Sia la religione che la scienza condividono lo stesso seme», ha spiegato il fisico in un’altra occasione. «La mente va mantenuta aperta. Il mistero dell’universo rimane. La Terra è un posto molto speciale, la vita è unica e la vita intelligente è rara. Abbiamo bisogno di una nuova moralità per il 21° secolo e sono convinto che tutta la vita sia sacra».


 


Da dove proviene quel bisogno di senso che abita il cuore di ogni uomo?


Il fisico è partito da quelle domande sull’esistenza che ha ritrovato dentro di sé, più antiche della scienza stessa. Il vero mistero è proprio la loro natura, la loro genesi, l’impossibilità di appagare il bisogno di senso infinito che domina l’uomo che non si limita a sopravvivere. O è un terribile inganno evolutivo, e allora non siamo affatto “speciali”, oppure sono quella firma del Creatore perché la creatura non si allontani troppo e sia continuamente stimolato a ritornare all’origine.



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23/04/2021 15:52
 
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Max Planck:



Per una storia della scienza attraverso le figure più significative.
Testi tratti da "Uomo di scienza. Uomo di fede" di Mario Gargantini
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Nel 1947 si era sparsa la voce di una conversione al cattolicesimo del celebre fisico tedesco Max Planck; la cosa non avrebbe stupito più di tanto i numerosi ascoltatori delle sue ultime conferenze, sempre cariche di richiami alla dimensione religiosa della vita e della stessa ricerca scientifica.
La notizia fu comunque smentita dallo stesso scienziato, ormai 89enne e prossimo alla fine: «Sono sempre stato profondamente religioso — scrisse allora a un suo amico — ma non credo in un Dio personale, tanto meno nel Dio dei cristiani».
Conversione a parte, la figura di Planck resta una delle più significative della scienza contemporanea e costituisce un punto di riferimento inevitabile per chi è interessato a un confronto con essa.

La vita e i dilemmi

Nella sua lunga esistenza Planck ha incarnato la figura dell'uomo tutto d'un pezzo, con un radicato senso del dovere e una dirittura morale inflessibile.
Le testimonianze di molti che l'hanno accostato concordano nel dichiarare che non prendeva mai decisioni in base all'interesse personale, ma a tutto anteponeva l'osservanza di quei principi di lealtà, di obiettività e di rispetto della verità, ereditati da una discendenza di studiosi, giuristi e ministri del culto.
Attraversò vicissitudini familiari tragiche, sullo sfondo delle altrettanto tragiche sorti della nazione tedesca che tanto amava: un figlio morto durante il primo conflitto mondiale, le due figlie morte di parto e l'ultimo figlio impiccato dai nazisti.
Solo in quest'ultima circostanza restò abbattuto e perse quell'ottimismo che invece aveva contrassegnato tutte le altre vicende; fino ad allora, era sempre riuscito a trovare la forza d'animo per rispettare gli impegni assunti, anche nei momenti di difficoltà personale.
Data la sua posizione di simbolo della scienza tedesca, si trovò ad affrontare situazioni delicate e fu posto di fronte a numerosi dilemmi. Un recente libro dello storico americano John L. Heilbron, li ricostruisce nei particolari cercando di esplicitare le motivazioni delle sue scelte, non sempre apprezzate dai colleghi; soprattutto nel periodo nazista, quando Planck decise di non dichiarare pubblicamente il suo dissenso, ma di sfruttare la sua posizione per salvare il salvabile. Per discutibili che fossero le sue decisioni, apparenti cedimenti di fronte al regime, risulta chiaro come in lui era sempre una ragione di ordine superiore a prevalere, e mai giunse a compromessi con la propria coscienza.

«Un rivoluzionario contro voglia»
Con questa definizione lo presenta Emilio Segrè, riferendosi al contributo portato da Planck alla scienza del '900.
La sua attività scientifica è stata infatti contrassegnata da un sorprendente paradosso. Legato com'era a una visione tradizionale della scienza, si è trovato a introdurre il concetto più rivoluzionario della scienza contemporanea, il quanto d'azione, inaugurando una nuova branca della fisica: la fisica quantistica.
Anche questa non fu una decisione facile. Per anni, come lui stesso racconta, ha tentato di spiegare certi fenomeni singolari in base ai concetti classici. Fu «costretto» a introdurre la discontinuità quantistica, proprio all'alba del nuovo secolo; e in seguito si sforzò inutilmente di ricondurre la nuova fisica entro le interpretazioni tradizionali.
Ma ciò non fa che riproporre quella categoria costante del suo pensiero, che lo guidava anche nelle scelte non scientifiche: il rispetto della verità. Fu lo stesso criterio che lo rendeva capace di abbandonare un'ipotesi quando la riconosceva falsa, e di riconoscere quanto di buono vi era nelle scoperte e nelle idee degli altri. Grande fu, ad esempio, la sua ammirazione per le teorie di Einstein, del quale divenne amico nonostante le profonde divergenze in materia politica.
Essendo rimasto sulla scena della fisica per 70 anni, ne ha vissuto tutto il travaglio che, dalla grande unificazione maxwelliana di elettromagnetismo e ottica, ha portato nel pieno dell'era nucleare. È naturale perciò che si sia imbattuto in teorie superate, che abbia imboccato strade destinate a chiudersi e che sia dovuto più volte ritornare sulle sue idee per adeguarsi ai nuovi orientamenti in via di affermazione. Ma, come era restio a cambiare opinione prima di averne maturato una convinzione seria e documentata, così era pronto a difendere con decisione le nuove tesi, facendo una serena autocritica. È il caso dell'ipotesi atomica, cioè della natura discontinua della materia, da lui inizialmente avversata ma ben presto riconosciuta come valida e portata fino alle estreme conseguenze.
Nella sua scoperta fondamentale, gli sarebbe toccato fare ancor di più: cioè spingere questa idea della discontinuità oltre i confini della materia per coinvolgere anche l'energia: la sua famosa formula infatti parla di un'energia che si irradia per quantità discrete e che non può assumere valori qualsiasi ma solo multipli di un valore di base. «Fu un atto di disperazione. Avevo già lottato per sei anni con il problema del corpo nero. Sapevo che il problema era fondamentale e ne conoscevo la legge; una spiegazione teorica doveva trovarsi a qualunque costo... I miei vani tentativi di riconciliare in qualche modo il quanto elementare con la teoria classica continuarono per molti anni e mi costarono grandi sforzi. Molti dei miei colleghi videro in ciò quasi una tragedia ma io la penso diversamente perché la profonda chiarificazione che ricevetti da questo lavoro fu di gran valore per me».

La sua visione del mondo e della scienza

Come per Einstein, anche in Planck il contributo «rivoluzionario» in campo scientifico si accompagnava a una acuta sensibilità filosofica. «Ci si lamenta — scriveva Harnack — che la nostra generazione non abbia più filosofi. Ingiustamente: essi ora provengono da altre facoltà. Si chiamano Planck e Einstein».
La prima campagna filosofica di Planck fu contro il positivismo, visto come un costante pericolo per gli scienziati per quel suo svuotare di significato le domande più interessanti sulla realtà.
L'altro tema, che sta tornando di grande attualità nel dibattito ài fine secolo, è quello del realismo. Planck si trovò a combattere dapprima l'epistemologia di Ernst Mach, fautore di una fisica «antropomorfa» e negatore dell'esistenza di una realtà indipendente dalle nostre conoscenze. Per Mach le sole realtà erano le sensazioni e le scopo della scienza era la ricerca del «più economico» adattamento del pensiero all'esperienza. Planck invece era convinto della presenza di un mondo reale del quale l'uomo può comprendere, parzialmente le leggi.
Per questo si trovò in disaccordo con l'interpretazione dominanti della meccanica quantistica, quella della cosiddetta scuola di Copenhagen, secondo la quale noi non conosciamo la realtà ma soltanto i «fenomeni», cioè l'insieme delle cose e dei procedimenti con i quali osserviamo. Secondo Bohr e compagni, l'osservatore giocherebbe un ruolo decisivo nella misura della realtà fisica la cui conoscenze oggettiva diventerebbe impossibile: e ciò come conseguenza degli sviluppi di quella teoria dei quanti di cui Planck era stato involontarie iniziatore.
Planck si schierò dalla parte dei realisti, con Einstein e Schroedinger, giudicando l'interpretazione di Copenhagen «un caso particolare del profondo generale pessimismo culturale che offuscava quei tempi» (siamo sul finire degli anni '20). Neppure poteva accettare che una teoria scientifica arrivasse a minare le basi perenni del pensiero razionale, che trova nel principio di causalità un suo pilastro inamovibile.
Anche sulle condizioni necessarie allo svilupparsi di un'esperienza scientifica, la posizione di Planck si discosta da tanti luoghi comuni e contiene un messaggio di estremo interesse ancor oggi. «Non è la logica ma l'immaginazione creativa ad attizzare il primo lampo di una nuova conoscenza nella mente del ricercatore che si inoltri nel buio di regioni inesplorate». C'è quindi un fattore squisitamente personale all'origine di ogni impresa conoscitiva: che non diventa tuttavia soggettivismo perché spinge lo scienziato a ricercare regolanti e invarianti nelle varietà del reale. Eloquenti in proposito i suoi commenti alla teoria della relatività: mentre apprezzava la «forza immaginativa» di Einstein, non mancava di indicare la sua teoria come esempio di ricerca dell'assoluto e totalmente aliena da ogni relativismo culturale.
Oltre alle doti personali, la scienza richiede un humus culturale su cui innestarsi, ricco di valori umani, di ideali, di principi etici. Planck individuava il suo retroterra nella tradizione nazionale, e anche negli anni cupi della dittatura si è battuto per conservare il nucleo originale di quella tradizione, convinto che ne sarebbero rinati frutti buoni una volta passata l'ubriacatura nazista.
Anche per questo fu accusato di sciovinismo e compromissione con il regime; ma a muoverlo erano, come sempre, criteri più generali: « La storia ha ripetutamente dimostrato che la scienza, esattamente come l'arte e la religione, può prosperare solo sul suolo nazionale. Solo su questa base è fruttuosa l'associazione tra popoli in onorevole competizione».

Scienza e religione

A questo tema Planck ha dedicato buona parte delle sue ultime conferenze, riprendendo comunque affermazioni e criteri già più volte espressi.
Nelle sue polemiche, prima con Mach e poi con il Circolo di Vienna, era sempre presente la convinzione dell'impossibilità di «giungere all'eliminazione completa di ogni elemento metafisico dall'epistemologia della fisica».
L'attività scientifica non trova in sé i propri presupposti e richiede «la fede in qualcosa di extrascientifico» richiede, come minimo, un'opzione preliminare circa l'esistenza di un mondo esterno, indipendentemente dal ricercatore, di «un ordine universale che possiamo conoscere in certa misura». Planck arriva a identificare questo ordine con l'opera del Dio della religione; con la differenza che per il credente Dio sta all'inizio di ogni pensiero, per lo scienziato sta al termine.
E non si tratta solo di tolleranza o del riconoscimento del valore dell'esperienza religiosa; nella sua visione, fortemente attratta dal senso dell'unità a tutti i livelli, scienza e religione non solo non si oppongono ma diventano entrambe necessarie: «Dobbiamo coltivare sia le nostre facoltà scientifiche sia quelle religiose, se intendiamo sviluppare pienamente la nostra natura».

fonte:https://www.culturacattolica.it/scienze/scienze/scienziati/max-planck-rivoluzionario-contro-voglia


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23/04/2021 15:58
 
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Le "armonie celesti" di Keplero



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Chi ha mai detto che una visione metafisica o addirittura mistica non possa offrire spunti preziosi per il procedere della ricerca scientifica?
Non ci riferiamo al taoismo e alle filosofie orientali, oggi tanto di moda tra i fisici; in questi casi, più che fornire suggerimenti all'indagine scientifica, la filosofia svolge la funzione di copertura e di pronto soccorso epistemologico per superare (apparentemente) i colli di bottiglia in cui la fisica subnucleare si è infilata.
Vogliamo piuttosto ritornare a quel tormentato periodo, passato alla storia con il termine di «rivoluzione scientifica» ma vissuto dai protagonisti in modo ben poco rivoluzionario.
È il caso anche di Giovanni Keplero, uno dei primi e autorevoli sostenitori della cosmologia copernicana.

Tra Platone...
Vissuto, come Galileo, a cavallo tra il 1500 e il 1600, in una terra travagliata come la Germania, risente più che mai di tutte le difficoltà ideologiche e spirituali dell'epoca; riuscendo tuttavia a trasformare quel ribollire di tendenze contraddittorie in ricchezza di immagini e di idee.
La sua prima delle tre ben note leggi, quella che colloca la Terra su di un'orbita ellittica con il Sole in uno dei fuochi, è forse altrettanto «rivoluzionaria» quanto l'ipotesi eliocentrica di Copernico. Lo stesso abate polacco, come pure Galileo, non avevano osato intaccare il dogma platonico della circolarità dei moti celesti, simbolo di uniformità e di perfezione. Keplero invece non esita a infrangere la barriera, forte di quell'attaccamento ai dati delle osservazioni assimilato negli anni di collaborazione con il grande astronomo Tycho Brahe.
Come pure non evita di porsi in contrasto con Galileo sulla questione delle maree, facendosi accusare da quest'ultimo di aver «prestato fede a delle proprietà occulte e altre simili fantasie».
In entrambi i casi aveva ragione lui; ma ci volle più di un secolo, e il genio sintetico di Newton, per dimostrarlo.
A dispetto di queste posizioni progressiste, l'«humus » culturale di Keplero era imbevuto di tradizione classica. A partire proprio da Piatone. È evidente il riferimento al filosofo greco nella ardita costruzione del modello kepleriano di sistema solare. Keplero non possedeva ancora la chiave interpretativa dei moti planetari (che verrà fornita dalla legge di Newton); d'altra parte doveva pur spiegarsi come mai i pianeti obbedissero alle sue tre leggi, ricavate dalle osservazioni empiriche.
Ecco allora il ricorso a Platone, alla stupefacente architettura del cosmo, disegnata nel Timeo e basata sui cinque poliedri regolari.
Nel Mysterium Cosmographicum, lo scienziato tedesco costringe le orbite planetarie su sfere concentriche inscritte e circoscritte nei cinque solidi platonici: cubo, tetraedro, pentadodecaedro, icosaedro e ottaedro. Ma non si tratta di pura ipotesi fantastica: Keplero, come tutti i nuovi fisici, era anzitutto un matematico e prima di proporre il suo modello aveva «calcolato»: ebbene, il fatto sorprendente è che i rapporti tra i raggi dei pianeti desunti dalle osservazioni dirette si adattano assai bene ai rapporti ricavati dalla pura costruzione geometrica. Oggi sappiamo che ciò non basta per stabilire una legge fisica: ci vuole la controprova dell'esperimento. Lo sforzo di Keplero rese tuttavia sintomatico di un momento di passaggio dove l'insopprimibile tentazione dell'uomo di fantasticare inizia a sottoporsi al rigore della matematica e ad obbedire al responso degli strumenti di osservazione.
Peraltro alcuni commentatori hanno sottolineato il carattere apertamente allegorico e simbolico del Mysterium Cosmographicum, che lo avvicina ancor di più al Timeo platonico. Conservando alcuni simboli antichi, l'autore li traduce nella visione cristiana (Keplero era protestante): così il pentadodecaedro, che per Platone simboleggiava la bellezza dell'intero universo, qui racchiude l'orbita della Terra e quindi l'uomo «fine di ogni creazione». Come pure la simmetria platonica è conservata ponendo la Terra in mezzo ai pianeti.
Forse Keplero non sarebbe neppure stato troppo disturbato dalle affermazioni di Arthur Koestler che ha bollato questo suo lavoro come «pseudo-scoperta»: più forte era l'esigenza di evitare la divaricazione forzata tra le implacabili strade della scienza quantitativa e la potente visione del mondo fondata sull'ipotesi di un Creatore buono.
Certo non si può non essere d'accordo con Poincaré quando afferma che «questa idea non conteneva nulla di assurdo ma era sterile, dal momento che la natura non è fatta così».

...e Pitagora
Sterile però non si è rivelata la convinzione, già dei pitagorici, che «Dio geometrizza sempre». Convinzione abbracciata entusiasticamente da Keplero al punto di fargli scrivere un grande trattato sull'Armonia del mondo (Harmonices mundì). E se i greci hanno coniato il termine cosmo, che significa bellezza oltre che ordine, la scienza di tutti i tempi ha trovato nella geometria lo strumento concettuale per dare alla bellezza anche un supporto oggettivo e rigoroso.
I fisici e i biologi moderni macinano nei loro computer miliardi di numeri per trovare nuove simmetrie e nuove strutture da applicare ai fenomeni naturali; la stessa cosa ha fatto Keplero, con gli strumenti allora disponibili.
E, sulla scia di Pitagora, ha visto nelle armonie musicali il paradigma di tutta la realtà. La ragione di ciò sta in una analogia cosmica che vedrebbe riflessa in tutti i fenomeni la precisa armonia dei rapporti geometrici esistente tra i corpi celesti e impressa dal Creatore all'universo come un codice genetico.

L'analogia trinitaria
E sterile non si è rivelata neppure l'analogia trinitaria, la più scandalosa agli occhi illuminati dei moderni, se ha portato Keplero a difendere per primo pubblicamente l'ipotesi copernicana e a trovare spunti per le tre leggi; le quali restano valide anche nell'era della relatività e dei viaggi spaziali. La preferenza di Keplero per un universo eliocentrico piuttosto che geocentrico era espressamente di origine metafisica. «Io cercherò questa analogia nella mia futura opera cosmografica... Il Sole nel mezzo degli astri mobili, lui stesso immobile e pertanto sorgente di movimento, è l'immagine del Creatore di Dio Padre. Egli distribuisce la sua forza motrice attraverso un mezzo che contiene i corpi in movimento, allo stesso modo che Iddio Padre crea attraverso lo Spirito Santo». Quindi Sole, astri e spazio interstellare come Padre, Figlio e Spirito Santo.
È a partire da una visione così imbevuta di medioevale atteggiamento apologetico che Keplero arriva alle conclusioni più moderne Giungendo, nell'Astronomia Nova, a sfiorare il principio della gravitazione universale newtoniana, probabilmente troppo in anticipo sui tempi della storia. E anticipando una visione della attrazione tra i corpi molto più vicina al concetto di «campo», con cui i fisici moderni descrivono tutte le diverse interazioni: gravitazionali, elettro-magnetiche e nucleari.

Le sorgenti della scienza

La scienza è cresciuta anche per opera di gente come Keplero, con tutto il suo misticismo e le sue «fantasie».
Il secolo dei lumi, che tanto si è vantato di aver portato a compimento la rivoluzione scientifica, ha ignorato la sorgente dell'ispirazione di tanti grandi scienziati: forse per non dover ammettere che tale sorgente era la visione cristiana della vita e della storia. Così, nella sua «arroganza razionalista», come la chiama Koestler, ci ha tramandato una storia monca, privata degli inizi delle più belle avventure. E, quel che è peggio, ha abituato storici e scienziati a sottovalutare gli inizi. Al punto da indurre uno spirito sensibile come Einstein a cedere al luogo comune dichiarando (1952) che «Keplero era un protestante devoto» ma il suo successo scientifico dipendeva dall'essersi «liberato in grande misura dalla tradizione spirituale in cui era nato».
Se è vero che la scienza contemporanea soffre di una crisi di legittimità, personaggi come Keplero e gli scienziati suoi contemporanei costituiscono una provocazione e una testimonianza preziosa, soprattutto sul piano degli atteggiamenti e dell'impostazione di partenza.
Dopo l'ubriacatura positivista e neo-positivista, gli scienziati si sono trovati a corto di « ragioni » che possano giustificare la fatica della ricerca: si sono accorti che per conoscere la realtà non basta avere un metodo, per quanto raffinato: ci vuole soprattutto un «movente», un desiderio, una aspettativa, che trascenda il semplice risultato scientifico e resista alla difficoltà e all'insuccesso. I giovani oggi non hanno difficoltà ad apprezzare l'efficacia del metodo sperimentale né ad assimilarne i procedimenti: più difficile è convincerli che può valere la pena dedicare il proprio lavoro allo studio di oggetti lontani miliardi di anni luce, come le galassie, o contenuti in miliardesimi di metro come i frammenti del Dna.
Keplero aveva ereditato dai secoli precedenti «la sorgente» da cui può sgorgare la linfa della conoscenza. Una sorgente, come tutte, che si fa strada in mezzo al fango, che sgorga tra le pietre e trascina con sé macchie e impurità: ma che è energia prorompente e promessa di fecondo cammino.

fonte: www.culturacattolica.it/scienze/scienze/scienziati/le-armonie-celesti-di...


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23/04/2021 16:00
 
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La ricerca della verità in Newton



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Tra i padri fondatori della scienza moderna, Isaac Newton (1642-1727) occupa un posto di tutto rilievo.
Se il «rivoluzionario» Copernico è ancora immerso nella cultura medioevale; se in Keplero le componenti mistiche e teoriche tendono a ridurre la portata del procedimento sperimentale; e se lo stesso Galileo resta legato ad alcune concezioni precedenti; non altrettanto si può dire di Newton.
Con lui la gestazione del metodo scientifico può considerarsi compiuta e può iniziare quella presa di possesso della natura da parte della scienza, che avanzerà trionfalisticamente per due secoli.
Newton è totalmente figlio della nuova era, che ha come simbolo le scienze, ma rappresenta molto di più per la cultura occidentale: è l'era in cui la ragione inizia una irresistibile ascesa, ponendosi come criterio unico e indiscutibile di verità in tutti i campi.
I successi della meccanica newtoniana costituiscono la prova decisiva in favore della nuova mentalità: probabilmente senza Newton non ci sarebbe stato Kant e senza la perfezione rigorosa della meccanica razionale del '700 (stabilmente impiantata sulle fondamenta newtoniane) lo stesso movimento illuminista avrebbe avuto qualche «chance» in meno.
Risulta quindi di estremo interesse seguire la storia di questo gigante del pensiero moderno: soprattutto se si può disporre di una biografia che non separa l'uomo dallo scienziato e documenta l'evolversi del pensiero scientifico sullo sfondo dell'intera vicenda umana. Tale è appunto l'opera di Richard S. Westfall, Newton, pubblicata nell'80 dopo una ricerca ventennale e uscita in edizione italiana per i tipi di Einaudi sul finire dell'89. Due volumi esaurienti e condotti sul filo dell'obiettività: dove, nonostante la confessata ammirazione dell'autore per il personaggio, viene riportato tutto, compresi i lati e gli episodi meno felici.
Una vita in cui l'attività razionale e la smania della ricerca assumono incontestabilmente il ruolo di protagonisti; con le inevitabili contraddizioni e difficoltà: fino a diventare crisi personali e sorgente di accanite contese.

La scienza del quantitativo

Con Newton si afferma decisamente la scienza moderna come scienza del quantitativo. Dai fenomeni più generali, descritti nelle leggi universali, agli episodi marginali che entrano in scena come fattori di «disturbo» del quadro ideale, nulla deve sfuggire alla inesorabile precisione dell'analisi e delle spiegazioni matematiche. La possibilità di interpretazione su basi quantitative matematizzabili diventa criterio discriminante all'interno della filosofia naturale e, ben presto, della conoscenza «tout court».
Il regno del quantitativo diventa il regno delle certezze e delle verità; tutto il resto viene relegato in un'area speciale, dove possono diffondersi irrazionalità, incertezza e dubbio.
Nella pratica scientifica non c'è posto per i «sogni» e per le idee non sottoponibili a verifica empirica.
Anche le osservazioni di per sé non bastano: «solo la capacità di ricavare dalle osservazioni precisi rapporti quantitativi tra i fenomeni merita il nome di scienza».
Oggi, a tre secoli di distanza, le cose sono un po' cambiate.
Accanto ad un nucleo di conoscenze scientifiche validamente ancorato all'ideale newtoniano di scienza quantitativa, si fanno strada fenomeni e discipline che impongono di riconsiderare fattori più vicini al «qualitativo».
In chimica domina il concetto di struttura, che non è totalmente riducibile alle quantità; nelle scienze della vita è fondamentale la categoria di organizzazione; nelle scienze ambientali bisogna riferirsi ai sistemi e ragionare in termini di equilibrio e di controllo. Anche in certi settori della fisica si fa spesso ricorso a modelli dove non tutto è quantitativamente definito.
Non si può dire che le scienze naturali abbiano abbandonato il regno della quantità: la svolta newtoniana aveva (e conserva) le sue buone ragioni, e ha contribuito a offrire all'uomo un potente strumento per leggere il libro della natura. Ma la natura si rivela sorprendentemente più ricca e sarebbe una pretesa ritenere di aver trovato una volta per tutte l'unica chiave interpretativa.
Lo sbocco naturale della visione quantitativa è stato ben presto quella sorta di materialismo meccanicista che, per tanto tempo, ha contraddistinto l'immagine dello scienziato. Newton, benché con le sue leggi della dinamica abbia fornito un supporto determinante alla visione meccanicista, sul piano filosofico non aderì al meccanicismo.
Anzi, si oppose alla visione allora dominante, quella cartesiana, che vedeva tutto il cosmo riempito di particelle di materia interagenti per contatto diretto: una visione, a suo parere, che lasciava troppo spazio all'immaginazione di scenari ideali e troppo poco alla elaborazione matematica rigorosa. Nella sua teoria della gravitazione universale si parla sì di interazione tra le particelle materiali, ma è un'interazione «a distanza» e i veri protagonisti sono le forze, non la materia.

Le leggi universali

Tre motivi stanno diventando diffusi nel clima culturale del '600:
— la convinzione che la natura non fosse più soltanto nemica e distante ma diventasse vicina e comprensibile;
— la fiducia nel potere esplicativo delle scienze matematizzate;
— l'idea di una generale armonia e semplicità del cosmo.
In Newton ciò conduce alla formulazione di leggi universali: tale è la legge di gravitazione che, ancora oggi, spiega in modo soddisfacente molti fenomeni astronomici.
Inizia così una ricerca che ha conseguito traguardi spettacolari nei secoli successivi e vede a tutt'oggi impegnati i migliori fisici di tutto il mondo: la ricerca dell'unificazione.
Progressivamente, campi che sembravano indipendenti vengono a convergere e rendono sempre più vicino il miraggio di una possibile sintesi finale in quella che alcuni definiscono la «teoria del tutto».
Newton ha compiuto il primo grande passo, unificando meccanica terrestre con meccanica cosmica; poi è venuto Maxwell, poi Einstein, e ora la sfida è aperta per i fisici subnucleari. E con essa sono riaperte quelle grandi questioni filosofiche che al tempo di Newton ancora occupavano e preoccupavano un uomo di scienza e poi, nell'euforia positivistica, sono state accantonate come poco significative.

Contraddizioni
A dispetto dell'immagine razionalista di una scienza votata al continuo progresso, la vicenda di Newton mostra altri risvolti. Emerge in modo evidente il ruolo irrinunciabile della singola personalità, del genio, per la conquista di risultati innovativi. Non basta una codifica puntuale del procedimento scientifico, come volevano Bacone e Cartesio, per scoprire le leggi di natura; servono anche quelle doti umane che raramente si trovano condensate in un singolo: creatività, determinazione, intuizione, pazienza... Facoltà che possono essere accompagnate da altre caratteristiche non del tutto gradevoli.
Westfall non esita a raccontarci di un Newton piuttosto asociale durante i periodi di maggior creatività: un uomo che restò isolato due anni interi per rifinire i suoi Principia e che uno stretto collaboratore vide ridere una sola volta in cinque anni; uno che non esitava a distruggere la carriera accademica di un rivale, mescolando i risentimenti personali alle valutazioni sulle capacità dell'altro.
Una caratteristica comunque spicca al di sopra delle altre e può essere posta come termine sintetico di tutta una vita: Newton fu un uomo «affascinato dal desiderio di conoscere» continuamente proteso «alla ricerca della verità»: prevalentemente, ma non soltanto, di quella scientifica.
Un altro fatto che contrasta con l'immagine idealizzata di scienziato moderno, tutto rigore e razionalità, è la dedizione di Newton all'alchimia. Per anni interi e a più riprese il grande fisico si diede un gran da fare sia nella pratica alchimista che nella produzione di scritti sull'argomento. Forse però non si tratta di una contraddizione. Westfall avanza l'ipotesi che Newton vedesse nell'alchimia qualcosa di profondo, una visione del mondo meno arida di quella offerta dal meccanicismo. E proprio questa visione più «spirituale» potrebbe averlo aiutato nella sua costruzione cosmologica basata sull'azione a distanza, che tanto dispiaceva ai meccanicisti. A conferma che elementi extrascientifici possono giocare ruoli inaspettati nella genesi delle teorie.

Dio c'entra

C'è però una motivazione più sostanziale alla base dell'opposizione newtoniana a Cartesio e ai meccanicisti. È una motivazione di natura teologica.
Tra le attività intellettuali di Newton, la teologia ha occupato uno spazio considerevole; per anni interi, durante le pause della produzione scientifica, egli si è dedicato allo studio della Bibbia, ha scritto un trattato sull'Apocalisse e ha iniziato la stesura di una Storia della Chiesa con particolare riguardo ai secoli IV e V.
Un pilastro ha sempre sorretto la sua visione teologica: l'idea che la natura non fosse autosufficiente e che Dio c'entrasse in tutto. Non poteva sopportare le teorie dei meccanicisti che costruivano una cosmologia che «poteva fare a meno di Dio».
E anche nella disputa con Leibniz, il ruolo di Dio e il drammatico conflitto libertà-intelligenza diventano un punto discriminante delle due prospettive rivali.
Nella sua campagna anti-teista, Newton arriva a presentare lo spazio come «sensorio di Dio» trovando la netta opposizione di quanti non ritenevano necessario attribuire a Dio degli organi di senso.

Lo spirito della modernità

Nel clima di confusione tipico dell'epoca, l'interesse di Newton per la teologia sfociò fatalmente verso posizioni eterodosse, portandolo ad abbracciare l'arianesimo e a occuparsi di Cristo solo per dimostrare che non era Dio; fino a quel gesto estremo che gli fece rifiutare i sacramenti in punto di morte.
Non si può dire che non fosse religioso e devoto: «ma la sua devozione era stata toccata dalla gelida mano della filosofia, che aveva lasciato su di essa una macchia indelebile».
Egli, quindi, esprimendo appieno lo spirito della modernità, solleva questioni cruciali sul piano della fede e dei suoi rapporti con la ragione e la scienza; ma lo fa già in termini intellettualistici, non più legandole all'esperienza personale, assumendo quel distacco che la pratica scientifica gli aveva insegnato ma che non può diventare l'unico criterio in questioni così vitali.

fonte: www.culturacattolica.it/scienze/scienze/scienziati/la-ricerca-della-verit%C3%A0-i...


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18/05/2021 17:54
 
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C’è una forza intelligente che governa tutto


Fisico e teorico americano molto rispettato, Michio Kaku, famoso per la formulazione della teoria rivoluzionaria delle stringhe (modello di fisica fondamentale che presuppone che le particelle materiali apparentemente specifici

sono in realtà “stati vibrazionali”) , ha recentemente causato una piccola scossa nella comunità scientifica sostenendo di aver trovato le prove dell’esistenza di una forza sconosciuta e intelligente che governa la natura.

Più semplicemente, qualcuno simile al concetto che molti hanno di Dio come creatore e organizzatore dell’universo.
Per arrivare a questa conclusione Michio Kaku ha utilizzato una nuova tecnologia creata nel 2005 e che gli ha permesso di analizzare il comportamento della materia su scala subatomica, basandosi su un “primitivo tachioni semi-radio”.
Tachioni, incidentalmente, sono tutte quelle ipotetiche particelle in grado di muoversi a velocità superluminali, cioè sono particelle teoriche, prive di qualsiasi contatto con l’universo.
Quindi questa materia è pura, totalmente libera dalle influenze dell’universo che la circonda.

 
Viviamo in Matrix

Secondo il fisico, osservando il comportamento di questi tachioni in diversi esperimenti, si arriva alla conclusione che gli esseri umani vivono in una sorta di “Matrice”, cioè un mondo governato da leggi e principi concepiti da una specie di grande architetto intelligente . “Sono giunto alla conclusione che siamo in un mondo fatto da regole create da un’intelligenza, non molto diversa da un gioco per computer, ma naturalmente, più complessa”, ha detto lo scienziato.
 
Analizzando il comportamento della materia a scala subatomica, colpiti dalle primitive tachioni semi-radio , un piccolo punto nello spazio per la prima volta nella storia, totalmente libero da ogni influenza dell’universo, la materia, la forza o la legge, è percepito il caos assoluto in forma inedita .
“Credetemi, tutto quello che fino a oggi abbiamo chiamato caso, non ha alcun significato, per me è chiaro che siamo in un piano governato da regole create e non determinate dalle possibilità universali, Dio è un gran matematico” ha detto lo scienziato
 
 
C’è un Dio?
 
Michio Kaku ha ricordato che “qualcuno fece ad Einstein la grande domanda: c’è un Dio?
Al che Einstein rispose dicendo che credeva in un Dio rappresentato dall’ordine, dall’armonia, dalla bellezza, dalla semplicità e dall’eleganza, il Dio di Spinoza. L’universo potrebbe essere caotico e brutto, invece è bello, semplice e governato da semplici regole matematiche. ”
 
La teoria degli archi e la musica di Dio
 
Per quanto riguarda la formulazione del famoso “String Campo Theory”, o teoria delle stringhe, modello fondamentale della fisica che presuppone che particelle di materiale apparentemente specifici sono effettivamente “stati vibrazionali” un oggetto esteso più base chiamato ” corda “o” filamento “che renderebbe un elettrone, per esempio, non un” punto “struttura interna e dimensione zero, ma una massa di minuscole corde vibranti in uno spazio-tempo di più di quattro dimensioni , Kaku ha affermato che “per lungo tempo ho lavorato su questa teoria, che si basa su musica o piccole corde vibranti che ci danno le particelle che vediamo in natura. Le leggi della chimica con cui abbiamo avuto problemi alle superiori, sarebbero le melodie che possono essere suonate su queste corde vibranti. L’universo, sarebbe una sinfonia di queste corde vibranti e la mente di Dio, su cui Einstein scrisse molto, sarebbe la musica cosmica che risuona attraverso questo nirvana, attraverso uno spazio iper-dimensionale “.
 
Il fisico americano di origine giapponese ha concluso che “i fisici sono gli unici scienziati che possono pronunciare la parola
“Dio” e non arrossire.
Il fatto essenziale è che queste sono domande cosmiche di esistenza e significato. Thomas Huxley, il grande biologo del secolo scorso, ha affermato che la questione di tutte le questioni della scienza e della religione è determinare il nostro posto e il nostro vero ruolo nell’universo. Pertanto, scienza e religione trattano la stessa domanda. Tuttavia, c’è stato essenzialmente un divorzio nel secolo scorso, più o meno, tra scienza e umanesimo, e penso che sia molto triste che non parliamo più la stessa lingua “.

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18/05/2021 18:20
 
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William Daniel Phillips, fisico statunitense e vincitore del premio Nobel per la fisica nel 1997, per «lo sviluppo di metodi per raffreddare e catturare gli atomi tramite laser». E’ stato a lungo membro del MIT, del National Institute of Standards and Technology, docente persso l’University of Maryland e uno dei fondatori dell’International Society for Science & Religion. Sul sito della Templeton Foundation, intorno al 2004, ha lasciato una testimonianza sulla sua visione sull’esistenza di Dio e sul connubio tra scienza e fede.


Lui dice: «molti credono che la scienza, offrendo spiegazioni, si opponga alla comprensione che l’universo è una creazione amorevole di Dio», ritengono che «la scienza e la religione siano nemici inconciliabili. Ma non è così». Ne spiega il motivo attraverso la sua esperienza: «Io sono un fisico. Faccio ricerca tradizionale, pubblico in riviste peer-reviewed, presento le mie ricerche in riunioni professionali, formo studenti e ricercatori post-dottorato, cerco di imparare come funziona la natura. In altre parole, io sono uno scienziato ordinario. Sono anche una persona di fede religiosa. Frequento la chiesa, canto nel coro gospel, di domenica vado allo studio biblico, prego regolarmente, cerco di “fare giustizia, amare la misericordia e camminare umilmente con il mio Dio”. In altre parole, io sono una persona comune di fede». Dopo questa rarissima espressione di umiltà, prosegue: «Per molte persone, questo mi rende in contraddizione: uno scienziato serio che crede seriamente in Dio. Ma per molte più persone, io sono una persona come loro. Mentre la maggior parte dell’attenzione dei media va agli atei stridenti, che affermano che la religione è una sciocca superstizione, e ai creazionisti altrettanto integralisti che negano l’evidenza chiara dell’evoluzione cosmica e biologica, la maggioranza delle persone che conosco non ha alcuna difficoltà ad accettare la conoscenza scientifica e mantenere la fede religiosa».


Prosegue il Premio Nobel: «Come fisico sperimentale, ho bisogno di prove concrete, esperimenti riproducibili, e la logica rigorosa per supportare qualsiasi ipotesi scientifica. Come può una tale persona basarsi così sulla fede?». Ed ecco che si pone due domande: “Come posso credere in Dio?” e “Perché io credo in Dio?”. Risponde alla prima: «uno scienziato può credere in Dio perché tale convinzione non è una questione scientifica. Una dichiarazione scientifica deve essere “falsificabile”, cioè ci deve essere qualche risultato che almeno in linea di principio potrebbe dimostrare che l’affermazione è falsa [….]. Al contrario, le affermazioni religiose non sono necessariamente falsificabili […]. Non è necessario che ogni dichiarazione sia un’affermazione scientifica, né sono non-scientifiche, inutili o irrazionali dichiarazioni che semplicemente non sono scientifiche. “Canta magnificamente”, “E’ un uomo buono”, “Ti amo”: queste sono tutte affermazioni non-scientifiche che possono essere di grande valore. La scienza non è l’unico modo utile per guardare alla vita». Alla seconda domanda, cioè “Perché io credo in Dio?”, risponde: «Come fisico, guardo la natura da una prospettiva particolare. Vedo un universo ordinato, bellissimo, in cui quasi tutti i fenomeni fisici possono essere compresi da poche semplici equazioni matematiche. Vedo un universo che, se fosse stato costruito in modo leggermente diverso, non avrebbe mai dato vita a stelle e pianeti. E non vi è alcuna buona ragione scientifica per cui l’universo non avrebbe dovuto essere diverso. Molti buoni scienziati hanno concluso da queste osservazioni che un Dio intelligente deve avere scelto di creare l’universo con questa bella, semplice e vivificante proprietà. Molti altri buoni scienziati sono tuttavia atei. Entrambe le conclusioni sono posizioni di fede. Recentemente, il filosofo e per lungo tempo ateo Anthony Flew ha cambiato idea e ha deciso che, sulla base di tali elementi di prova, bisogna credere in Dio. Trovo questi argomenti suggestivi e di sostegno alla fede in Dio, ma non sono conclusivi. Io credo in Dio perché sento la presenza di Dio nella mia vita, perché riesco a vedere le prove della bontà di Dio nel mondo, perché credo nell’Amore e perché credo che Dio è Amore».


Ma questo, conclude,  «mi rende una persona migliore o un fisico migliore di altri? Difficilmente. Conosco un sacco di atei che sono sia persone che scienziati migliori di me. Sono libero di dubbi su Dio? Difficilmente. Domande sulla presenza del male nel mondo, la sofferenza di bambini innocenti, la varietà del pensiero religioso, e altre imponderabili lasciano spesso la domanda se ho ragione, e mi lasciano sempre cosciente della mia ignoranza. Ciò nonostante, credo più a causa della scienza che a dispetto di essa, ma alla fine soltanto perché io credo. Come ha scritto l’autore della lettera agli Ebrei: “la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di cose che non si vedono”».









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11/03/2022 17:15
 
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W.D. Phillips, premio Nobel e quel Dio presente: «nella mia vita e nell’Universo»



Dopo la breve intervista che ci ha concesso nel 2012, in occasione del Darwin Day, siamo rimasti in contatto con William D. Phillips, fisico statunitense e premio Nobel. E’ piacevolmente sorpreso della recente nascita della versione inglese del nostro sito web e oggi segnaliamo alcune sue recenti riflessioni.


Phillips viene chiamato “l’uomo che ha congelato gli atomi”, in quanto ha sviluppato alcuni importanti metodi per raffreddare egli atomi, tramite laser, con lo scopo di rallentarne il movimento e poterli studiare. E’ docente di Fisica alla Maryland University e membro del National Institute of Standards and Technology (NIST). Non ha mai fatto mistero della sua fede, è un cristiano metodista con grande stima per la Chiesa cattolica, membro oltretutto della Pontificia Accademia delle Scienze. «Non penso ci sia niente di strano», ha spiegato pochi giorni fa. «Molti degli scienziati che conosco credono in Dio. Non credo vi sia quel che viene chiamato “conflitto tra scienza e religione”, forse piuttosto alcune persone si dedicano a creare conflitti».


Il riferimento è ai suoi colleghi “new-atheists”, già presi di mira dal suo collega matematico Amir Aczel, dell’Università del Massachusetts, i quali hanno «compromesso l’integrità della scienza» per tentare di dimostrare che «l’idea della necessità di Dio debba essere necessariamente errata» (A. Aczel, Perché la scienza non nega Dio, Raffaele Cortina Editore 2015, p. 14). Aczel scelse di entrare nel dibattito proprio in reazione all'”ateismo scientifico” di Dawkins, Harris e Hitchens, in voga fino a pochi anni fa. Il premio Nobel Phillips, al contrario, si è sempre manifestato come credente.


Tornando al presunto conflitto tra scienza e fede, il fisico americano ha osservato che «per la Bibbia, la Terra ha un’età di alcune migliaia di anni, che è molto piccola. Questo, che sembra un conflitto, è in realtà molto facile da risolvere. La Bibbia non è un libro sulle origini scientifiche dell’universo, ma sul nostro rapporto con Dio e sulla relazione che vogliamo tra di noi. Secondo me, la Bibbia non si preoccupa di dettagli come quando fu creata la Terra, ma perché è stata creata e cosa Dio si aspetta dalla sua creazione. Questo è il messaggio della Bibbia, e non vedo alcun conflitto con il messaggio trasmesso dalla scienza». Una cosiddetta “risposta da premio Nobel”, per l’appunto! L’interpretazione letterale dell’Antico Testamento tradisce il loro scopo originario.


Phillips ha l’impegnativo compito di convincere il mondo cristiano protestante ad abbandonare il letteralismo biblico e l’opposizione all’evoluzione biologica. Per farlo chiama in causa, come esempio, i cattolici: «Sono un membro della Pontificia Accademia delle Scienze, e sia l’attuale che il precedente Papa ne hanno parlato molto chiaramente: la Chiesa cattolica non ha nulla contro la teoria dell’evoluzione», e tale posizione non è affatto «contraddittoria con la Bibbia». Entrando più nel profondo, ha detto di sé: «Credo che Dio sia il creatore di tutto ciò che vediamo. Questo è facile da credere perché ci sono una logica e un ordine così incredibili per poter credere che l’Universo sia emerso dal nulla. Certo, non ci sono prove, ovviamente. Questa è una questione di fede. E io ce l’ho». Ma non si tratta di distaccato deismo, il suo: «In realtà, Dio è molto più di questo. Penso che Dio si preoccupi per me, tu e tutti noi in un modo personale. Questo è molto più che dire che è un Creatore. Anche Einstein credeva in un Dio di questo tipo: ha sempre detto esplicitamente che non credeva in un Dio personale, ma quando ha parlato lo ha fatto in un modo molto personale, come se fosse una specie di amico».



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11/03/2022 17:18
 
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Il premio Nobel Charles Townes:
«credo in Dio anche grazie alla scienza»

Charles TownesIl fisico americano Charles Townes, vincitore del premio Nobel nel 1964 per l’invenzione che portò alla realizzazione del laser, è morto pochi giorni fa all’età di 99 anni. L’annuncio è stato dato dall’Università della California a Berkeley, in cui Townes era professore emerito in fisica.

E’ stato uno dei pionieri nel campo dell’astronomia a infrarossi, insieme a un team di colleghi fu il primo a scoprire molecole complesse nello spazio ed è accreditato per aver determinato la massa di un buco nero supermassivo al centro della Via Lattea. Il celebre fisico è inserito nel nostro dossier in cui abbiamo riportato le citazioni dei più grandi scienziati sul legame tra scienza e fede. Il prof. Townes, membro della Pontificia Accademia delle Scienze, è stato sempre molto interessato alla metafisica, tanto da affermare: «Credo fermamente nell’esistenza di Dio, basandomi sull’intuizione, sulle osservazioni, sulla logica, e anche sulla conoscenza scientifica» (C.H. Townes, “A letter to the compiler T. Dimitrov”, 24/05/2002).

Nessuna dicotomia dunque, la sua stessa persona impegnata nella fede cristiana e nella carriera scientifica, coronata dalla vincita del premio Nobel, dimostra che non vi può essere alcun conflitto. Ricevendo nel 2005 il Premio Templeton rispose al suo amico (ateo) fisico Steve Weinberg, noto per la frase: “Quanto più l’universo diventa comprensibile più appare inutile”. «Devo dirvi innanzitutto che Steve Weinberg mi ha fatto i complimenti per questo premio. Noi dobbiamo prendere le decisioni in base ad un giudizio, certo, ma abbiamo anche qualche prova per rispondere. Credo, ad esempio, che il riconoscimento che questo universo è così appositamente progettato sia una di queste. Questo è un universo molto particolare e dev’esserci stato un fine». Tra le altre cose, il prof. Townes ha anche citato il successo della preghiera: «Vi sono infatti altre prove pertinenti come gli effetti della preghiera. E la risposta, almeno in alcuni esperimenti, è che la preghiera sembra avere effettivamente effetti positivi. Dobbiamo guardare in generale e trarre conclusioni meglio che possiamo. Steve Weinberg ha un giudizio facile, ha detto che tutto è accidentale e senza scopo. Io ho un diverso tipo di giudizio».

In un’altra occasione scrisse, «la scienza, con i suoi esperimenti e la logica, cerca di capire l’ordine o la struttura dell’universo. La religione, con la sua ispirazione e riflessione teologica, cerca di capire lo scopo o significato dell’universo. Queste due strade sono correlate. Io sono un fisico. Anch’io mi considero un cristiano. Mentre cerco di capire la natura del nostro universo in questi due modi di pensare, vedo molti elementi comuni tra scienza e religione. Sembra logico che a lungo i due potranno anche convergere» (C.H. Townes, “Logic and Uncertainties in Science and Religion”, in Proceedings of the Preparatory Session 12-14 November 1999 and the Jubilee Plenary Session 10-13 November 2000).

Come spesso ha ripetuto uno dei più noti fisici italiani, Antonino Zichichi, la stessa scienza avanza e si basa su un atto di fede: «La religione, con la sua riflessione teologica, si basa sulla fede. Ma anche la scienza si basa sulla fede», scrisse ancora C. Townes. «Come? Per il successo scientifico dobbiamo avere fede che l’universo sia governato da leggi affidabili e, inoltre, che queste leggi possano essere scoperte dall’indagine umana. La logica della ricerca umana è affidabile solo se la natura è di per sé logica. La scienza funziona attraverso la fede nella logica umana, che può nel lungo periodo comprendere le leggi della natura. Questa è la fede della ragione […]. Noi scienziati lavoriamo sulla base di un assunto fondamentale per quanto riguarda la ragione nella natura e la ragione nella mente umana, un presupposto che si svolge come un principio cardine della fede. Tuttavia, questa fede è così automatica e generalmente accettata che difficilmente la riconosciamo come una base essenziale per la scienza» (C.H. Townes, “Logic and Uncertainties in Science and Religion”, in Proceedings of the Preparatory Session 12-14 November 1999 and the Jubilee Plenary Session 10-13 November 2000).

Quello del celebre fisico non era il Dio lontano e indifferente di Albert Einstein e dei deisti, ma l’Uomo incarnatosi 2000 anni fa: «Come una persona religiosa, sento fortemente la presenza e le azioni di un Essere ben al di là di me stesso, eppure sempre personale e vicino» (citato in S. Begley, “Science found God”, Newsweek Vol. CXXXII, No. 4, 27/7/1998, pag. 44-4

fonte UCCR


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02/06/2022 18:28
 
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Il principio antropico e il senso del mondo




di Umberto Fasol*
*docente di scienze naturali in un liceo scientifico

I valori possibili delle quattro forze fondamentali e delle particelle materiali (protone, neutrone, elettrone) sono infiniti, perché la loro struttura è “dimensiva”, cioè modulabile. Solo i valori misurati effettivamente consentono a loro di interagire in rete e creare un Universo. Dunque è stata fatta una “scelta” tra le infinite possibilità. Perché? Ascoltiamo due introduzioni alla risposta:

1. “Nonostante il mutamento e la dinamica incessanti del mondo visibile, vi sono aspetti della struttura dell’universo che presentano una irremovibile costanza. Sono questi misteriosi aspetti immutabili che rendono il nostro universo quello che è e lo distinguono da altri mondi che potremmo immaginare. Sono le costanti di natura. Esse sono alla base di ogni identità dell’universo: spiegano perché ogni elettrone sembra essere identico a ogni altro elettrone.” (John Barrow, “I Numeri dell’universo”, saggi Mondatori 2003).

2. “Se la densità dell’Universo 1 sec dopo il big bang fosse stata maggiore della densità critica di 1 parte su 100 miliardi, l’Universo sarebbe collassato dopo 10 anni. Se invece fosse stata minore dello stesso valore, l’Universo sarebbe già vuoto dopo 10 anni di esistenza.” (S.Hawking, “Dai buchi neri all’Universo”, 2001)

Ed ecco ora la vera risposta, ancora una volta dell’autore della più imponente monografia sul principio antropico:
“Provando a immaginare un’intera raccolta di ipotetici “altri universi” in cui tutte le grandezze che definiscono la struttura del nostro universo assumono tutte le possibili permutazioni di valori, scopriremmo che quasi tutti questi possibili universi da noi creati sulla carta sono nati morti, incapaci di generare quel tipo di complessità chimica che chiamiamo “vita”. Questa scoperta ha indotto Brandon Carter a suggerire che possa esistere, nell’universo, qualche aspetto metafisico più speculativo, che egli ha denominato principio antropico forte, per distinguerlo dal poco controverso principio antropico debole (l’esistenza dell’uomo richiede determinate condizioni fisiche e cosmologiche). Il principio antropico forte afferma che, dal momento che sembra esistere un così gran numero di “coincidenze” notevoli e apparentemente sconnesse, cospiranti per permettere che la vita sia possibile, nell’universo, questo deve dar luogo a osservatori, a un certo stadio della sua storia” (John D. Barrow, “Il mondo dentro il mondo”, Adelphi, Milano, 1988, pp. 440; 444-446).

Il principio antropico introduce dunque una “finalità” nello studio scientifico dell’Universo: “ospitare l’uomo”. Se l’affermazione risulta forte, è altrettanto vero che la sua negazione costringe a negare qualunque “senso” all’Universo: come a dire: “esiste, ma senza uno scopo” e ancora: “sono capace di interrogarmi sul senso di un Universo che non ha senso!”. La Scienza depone a favore della ragionevolezza della finalità antropica, pena l’assurdità del tutto, compresa quella di qualunque conclusione che la voglia negare. Nell’ambito di questo principio trova risposta anche la domanda sul senso delle dimensioni quasi infinite dell’Universo: “perché tanto spazio e tanta materia?”. In realtà le misure sono legate al tempo e questo è legato a sua volta alla costruzione dei materiali necessari per creare la vita: solo un Universo “vecchio” e quindi espanso ha permesso alle sue stelle di fabbricare gli elementi chimici come il carbonio per la cellula o come il silicio per il pianeta.

Ora, la sfida è questa: credere nell’assurdo o credere in una Ragione al fondamento di tutto. Si dice: “l’ipotesi di Dio non è scientifica, quindi non puoi dimostrarla”. E se non puoi dimostrarla, è inutile parlarne. Accontentiamoci delle sue alternative, anche se improbabili. Con queste due battute, Dio diventa un fonema, un suono delle labbra e il Caso-Nulla diventa un Totem, certificato anche dalla Scienza. Hawking giunge addirittura al punto di scrivere: “Dal momento che c’è una legge come quella di gravità, l’Universo può crearsi dal nulla e lo fa. La creazione spontanea è la ragione per cui c’è qualcosa invece di nulla. Non è necessario appellarsi a Dio per mettere in moto l’Universo” (“Il Grande Disegno”, Mondadori, pag.170). Ma come può agire la gravità se mancano i gravi? E com’è apparsa una legge così creativa, capace di centinaia di miliardi di galassie? (… e non insegnano poi questi Professori che la Scienza non può occuparsi di Dio, per definizione?). Credo che, in realtà, se non c’è un Logos all’origine di tutto, siamo condannati al non senso. Perfino il nostro ragionamento che giunge alla conclusione che l’Universo non ha nessuna causa trascendente non risulta “garantito”. Infatti chi mi garantisce che il mio cervello funzioni correttamente quando esprime giudizi dal momento che è anch’esso un prodotto di equilibri materiali forgiato dalla mutazione casuale e dall’ambiente selettivo? Perché mai dovrebbe dire “la verità” una mente che non è stata programmata per dirla? L’ambiente infatti suggerisce anche l’opportunità di non dirla, a volte.

Insomma, chi rinuncia ad accettare come scientifica l’ipotesi di un Creatore dell’Universo è in balìa di qualunque “giochino” che l’evoluzione può inventarsi, imprevedibile com’è, per definizione. Dall’altra parte l’ipotesi di Dio è prima di tutto un’intuizione della persona, che dà senso a tutto ciò che scopriamo sempre di più essere finalizzato a funzioni precise e finemente sintonizzate tra loro. E’ sperimentale che dal nulla non si crea nulla e che l’ordine non si crea da solo. Dunque, l’ipotesi di un Creatore appartiene anche al ragionamento di tipo scientifico. Per quanto concerne il principio antropico è lecito comunque porsi un’ulteriore domanda e cioè: “le condizioni per la vita sono sufficienti per la sua creazione?”. A questa domanda bisogna rispondere di no; le condizioni sono necessarie ma non sufficienti. La vita rappresenta un “di più” rispetto ai suoi ingredienti materiali e per questo il mistero dell’uomo si infittisce ulteriormente ed apre al trascendente. Il principio antropico ne esce con una nuova sfaccettatura.


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01/11/2022 08:30
 
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L'universo funziona un po' troppo bene per essere un caso

I fisici si chiedono continuamente perché tutto quello che ci circonda è così in perfetto equilibrio
L'universo in cui viviamo sembra perfetto e ora alcuni fisici statunitensi, francesi e coreani hanno provato a spiegare perché, riflettendo anche sull'opportunità eccezionale che la vita ha avuto di esistere.

Per qualche ragione la quantità di energia e l'accelerazione dell'espansione dell'universo sono super bilanciate, in assoluto equilibrio, e per questo, negli ultimi 13 miliardi di anni, si sono verificate le condizioni che riusciamo a vedere a livello astrofisico.


Un equilibrio apparentemente così perfetto potrebbe essere una conseguenza di qualcosa chiamata "messa a punto", un processo fisico in cui le caratteristiche di un sistema necessariamente corrispondono o si annullano, per far esistere tutto quanto come lo vediamo.

Ad esempio tutto è caricato in modo neutro. Per qualche ragione, capita che ci sia un numero quasi identico di protoni per annullare la carica di ciascun elettrone; se ci fossero invece più elettroni la materia sarebbe costretta a separarsi.

I fisici generalmente non amano fare appello a vaghe coincidenze quando osservano l'Universo. Se due caratteristiche di un sistema sembrano incredibilmente ben abbinate allora ci sarà una legge precisa che spiegherà questa contingenza.

Arrivare a questa spiegazione naturalmente è l'obiettivo principale della fisica, ma anche della filosofia. Un modo di spiegare tutto questo si chiama principio antropico che dice che solo un universo in grado di generare cervelli pensanti come il nostro può porre domande filosofiche come "perché sono qui?". Per dirlo meglio: le osservazioni scientifiche sono soggette ai vincoli dovuti alla nostra esistenza di osservatori.
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