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I FONDAMENTI DEL CRISTIANESIMO

Ultimo Aggiornamento: 18/10/2018 14:41
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19/04/2010 23:41
 
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La STORICITA' della RISURREZIONE
Le interpretazioni dei documenti





In questo capitolo vedremo:
come sono stati interpretati nei secoli
i racconti della risurrezione

Presenteremo le interpretazioni:
- degli ebrei non cristiani
- della scuola critica
- della scuola mitica
- della scuola tradizionale




1. Il problema: la storicità dei racconti

1. Abbiamo visto che nei documenti antichi riguardanti la risurrezione di Gesù, sono emerse due opinioni contrastanti:

- un gruppo notevole di documenti (quelli cristiani) dice che Gesù è risorto; però in essi, ci sono, quanto ai fatti, convergenze di fondo, ma anche divergenze e contraddizioni;- altri documenti (quelli ebraici) dicono che i cristiani hanno rubato il cadavere di Gesù ed hanno ingannato la gente dicendo che Gesù era risorto.

2. Ora, chiunque si ponga seriamente il problema della realtà della risurrezione dovrà valutare l'attendibilità dei documenti per dare un giudizio di storicità

- positivo, ove attribuisca maggior peso alle convergenze;

- negativo, ove ritenga maggiormente probanti le varie divergenze e contraddizioni.

* Nel primo caso si dovranno spiegare le divergenze esistenti fra i documenti (tutti affermanti il medesimo fatto);

* nel secondo invece sarà necessario spiegare non solo le concordanze, ma soprattutto come sia sorta l'idea della risurrezione di un uomo-Dio tra ebrei così estranei ad ogni tentazione di associare all'unico e trascendente Dio Jhwh un uomo, anche importante come Mosè.

3. Il giudizio di storicità non si dà solo in base ai testi (i quali possono essere letti - in buona fede - in vari modi), ma in base al modo di interpretarli, per il quale è implicata la propria esperienza di vita.

Tutto questo forma il delicato problema della precomprensione del testo: ad un testo si arriva già con precedenti esperienze di vita che ne condizionano l’interpretazione.

4. Una cosa, comunque, è chiara: soltanto una delle due affermazioni è storicamente vera e cioè

- o Gesù è risorto

- o Gesù non è risorto.

Ma quale delle due? In altri termini:

- o è stata la prima comunità cristiana a creare, magari in buona fede, la risurrezione che poi ha predicato come fondamento del Cristianesimo;
- o è stata la risurrezione - fatto reale - a riunire i discepoli, che la morte di Gesù aveva disperso, e a dare inizio alla comunità.

Qual è la causa e quale l'effetto?

A livello soggettivo poi si aggiunge una terza possibilità: il dubbio.



Per capire meglio l’argomento e per poter fare una scelta a ragion veduta, è bene conoscere le risposte che lungo i secoli furono date al problema dagli studiosi.

Ecco, perciò, la necessità delle informazioni che seguono.



2. Le interpretazioni dei documenti

I testi sulla risurrezione di Gesù furono letti prima di noi da molti studiosi, che dedicarono a volte anni della loro vita a questo studio e che ne diedero diverse interpretazioni.
Nessuna meraviglia! Che un morto sia tornato in vita è, non diciamo un fatto impossibile, perché non sappiamo che cosa nella storia sia possibile o impossibile, ma almeno contrario alla nostra esperienza ordinaria.
E perciò la risurrezione è un fatto difficile da accettare.
Tuttavia, leggendo i documenti, si ha l’impressione che i testimoni la raccontino come un fatto reale.
Come devono essere giudicati i primi cristiani che si sono presentati come testimoni oculari della risurrezione 1: credibili o non credibili?
Presentiamo in sintesi il quadro delle interpretazioni date lungo i secoli.


Vediamo ora in dettaglio le varie posizioni:

A) Interpretazioni contrarie alla storicità

Se non si vuole accettare la testimonianza dei primi cristiani nel suo senso più immediato e, a prima vista, ovvio, allora bisognerà trovare una spiegazione plausibile alla testimonianza stessa. Poiché la risurrezione è impossibile, allora non è successa. E se i vangeli la raccontano, è perché c'è stato un errore.
E l'errore è stato fatto:
- o in malafede: i cristiani hanno inventato tutto;
- o in buona fede: hanno raccontato la risurrezione come un fatto, ma, in realtà, il fatto non è successo: semplicemente si sono sbagliati.


1. La malafede dei primi cristiani

L’affermazione della malafede dei primi cristiani è stata fatta da alcuni ebrei (ovviamente non cristiani) almeno a partire dall’80-85: «I discepoli di Gesù hanno rubato il suo cadavere ed ingannato la gente dicendo che era risorto dai morti» (cfr. Mt 27-28, Giustino e i Talmùd ebraici).

Movente: salvarsi dalla brutta figura di fronte ai loro amici ebrei per aver seguito un fanatico.



2. La buona fede dei primi cristiani

L’ipotesi della malafede dei primi cristiani contrasta col loro comportamento. Resta difficile infatti accettare che queste persone abbiano avuto il coraggio di testimoniare con la morte un’affermazione che sapevano essere falsa.

Tuttavia qualcuno può obiettare che è anche possibile che alcuni apostoli fossero in malafede (i 2-3 asportatori del cadavere) e tutti gli altri (quelli che si sono fatti uccidere per le loro convinzioni) invece siano stati ingannati da questi 2 o 3.
Questo è possibile, ma a supporto di questa ipotesi non abbiamo alcun indizio nei documenti.

Accettata la buona fede dei testimoni, sorge allora il problema:
come può avvenire che delle persone in buona fede raccontino cose non successe?
I pensatori che hanno tentato di rispondere a questa domanda si possono raggruppare in due grandi gruppi o scuole, dette rispettivamente:

scuola critica e scuola mitica.


1) Scuola critica o razionalista

a) Il problema e la risposta dei razionalisti

Che i racconti evangelici contengano contraddizioni, non è cosa che scopriamo noi oggi: già nell’antichità vari pensatori, anche cristiani, si erano interrogati sul problema. Valga per tutti l’esempio di sant’Agostino, che circa nel 400 d.C. scrisse un trattato intitolato De consensu evangelistarum, il cui scopo era dichiaratamente quello di dimostrare che le contraddizioni contenute nei vangeli erano solo apparenti e non turbavano il consenso di fondo dei racconti.
Sulla questione si tornò a discutere con maggiore consapevolezza scientifica a partire dal ‘700, quando numerosi autori, cui si dà il nome di razionalisti, riproposero il problema della storicità dei vangeli sulla base di una minuziosa analisi critica dei medesimi, condotta in opere spesso intitolate Vita di Gesù. Gli autori di tendenza razionalistica operarono tra il ‘700 e l’ ‘800, in un’epoca in cui i grandi progressi nel campo delle scienze “esatte” (matematica e fisica) e delle scienze naturali (chimica, biologia, medicina) avevano generato negli intellettuali dell’epoca due convinzioni:

1) l’infallibilità della retta ragione
Poiché i progressi scientifici sono il risultato dell’applicazione della ragione a vari campi di ricerca, i razionalisti conclusero che la ragione, se usata bene (= retta), conduce l’uomo al pieno possesso della verità;

2) l’inviolabilità delle leggi di natura
Il mondo è retto da leggi ferree, eterne, immutabili, che valgono sempre ed ovunque, e non possono essere infrante senza compromettere l’ordine del mondo.

Da queste due convinzioni, essi fecero derivare due corollari:

1) la negazione del soprannaturale, dimensione di cui l’uomo non ha esperienza e su cui, pertanto, nulla può dire di sicuro. Il soprannaturale o non esiste, o, se anche esiste, non interferisce comunque assolutamente con la realtà dell’uomo;

2) la negazione del miracolo: esso, infatti, è un’eccezione alle leggi di natura, per definizione invece inviolabili. Pertanto esso è impossibile e, se anche viene raccontato, non può essere accaduto. Nei tempi passati il miracolo era credibile solo a motivo dell’ignoranza delle leggi scientifiche e dell’assenza di spirito critico degli antichi.

Valga ad illustrazione di queste idee questo passo di Reimarus (1694-1768):

“L’unico miracolo di Dio è la creazione. Ulteriori miracoli sono impossibili, perché sarebbero correzioni o mutamenti ad un’opera che, per essere uscita dalle mani di Dio, deve considerarsi perfetta. Dio non può volere che l’immutabile conservazione del mondo nella sua totalità. Quindi, se i miracoli sono impossibili, è impossibile anche una rivelazione soprannaturale che sarebbe essa stessa un miracolo” (Trattato delle principali verità della religione naturale).

L’applicazione di questi criteri alla lettura dei vangeli produce risultati facilmente prevedibili.
Là dove essi parlano di miracoli, è intervenuta la fede degli evangelisti, che ha deformato la storia.
Il compito dello storico è, pertanto, quello di eliminare dai testi l’elemento fideistico (storia sacra), per ricostruire i fatti come si sono svolti realmente (storia vera).

Valga ad illustrazione di queste idee questo passo tratto dal dramma Processo a Gesù di Diego Fabbri (1955):
“Quel miracolo collettivo raccontato un momento fa da Pietro il pescatore (la moltiplicazione dei pani - ndr), potrebbe essere contestato in cento modi, con cento argomenti. Era una turba, ci ha detto, una turba numerosa... Ma quale turba? Quanti potevano mai essere? E chi ci dice che ognuno non avesse la sua brava provvista com’è solita fare la povera gente quando parte per un viaggetto? L’involto, il cartoccio, la sporta... E quel po’ di provvista che tutti avevano fu messo in comune, e bastò a tutti! I pochi pani e i pochi pesci erano quel che avevano i discepoli. In fondo, ognuno dovette mangiare col proprio! Dov’è il miracolo? (...) Io non invento. Interpreto. Dò spiegazioni logiche, razionali”.

Ciò che, secondo i razionalisti, vale per tutti i miracoli, vale anche per il miracolo per eccellenza, ossia per la risurrezione. Essa è per loro un semplice racconto, privo di ogni fondamento storico, che può esser nato:

- o da una vera e propria frode degli apostoli, i quali, per non esporsi al ridicolo dopo la morte di Gesù, che segnava la fine delle loro ambizioni terrene, trafugarono nottetempo il suo cadavere, diffondendo poi la notizia della risurrezione.

Questa accusa, già mossa ai cristiani dai capi ebrei, fu ripresa dal Reimarus, primo autore a sottoporre i vangeli al vaglio della ragione.

- o da un errore degli apostoli, che, pur in buona fede, avevano sbagliato nell’interpretare i fatti .

Tali fatti erano:
- la reale morte di Gesù,
- il sepolcro trovato vuoto,
- le apparizioni di Gesù,
da cui avevano dedotto la risurrezione.

Come esempio, si vedano questi due brani di Ernest Renan:

* “La domenica mattina le donne si recarono di buon’ora al sepolcro; prima fu Maria di Màgdala. La pietra dell’apertura era spostata e il corpo non era più nel luogo dove era stato riposto. Nel medesimo tempo, in mezzo alla comunità cristiana si diffusero le voci più strane. Il grido: “Egli è risorto!” sorse tra i discepoli come un lampo. A tanto l’amore persuase facilmente di prestar fede.
Che era avvenuto? Esamineremo questo punto narrando la storia degli apostoli, e indagheremo l’origine delle leggende relative alla risurrezione. La vita di Gesù finisce per lo storico con il suo ultimo respiro; ma nel cuore dei discepoli e di alcune devote amiche egli aveva lasciato una tale orma di sé, che per varie settimane fu vivente e consolatore per essi.
Era stato rapito il suo corpo? L’entusiasmo, sempre credulo, fece sorgere più tardi quell’insieme di racconti, con i quali si cercò di stabilire la fede nella risurrezione? Mancandoci documenti contraddittori lo ignoreremo sempre. Notiamo tuttavia che la forte immaginazione di Maria di Màgdala ebbe in questa circostanza una parte capitale. Potenza divina dell’amore! Momenti sacri, in cui la passione di un’allucinata risuscita un Dio al mondo!” (Vita di Gesù, tr. it., 1975, I corvi, p. 240).

* “Il gruppo principale dei discepoli era appunto allora adunato intorno a Pietro. Era notte fonda. Ognuno comunicava le sue impressioni, e ciò che aveva udito dire: la credenza generale era che Gesù fosse risuscitato.
All’entrare dei due discepoli (quelli di Emmaus - ndr), gli altri si affrettarono a parlar loro della “visione di Pietro”. Quelli, d’altra parte, narrarono quello che era avvenuto loro per via e come l’avevano riconosciuto dal modo di spezzare il pane. La fantasia di tutti si trovò vivamente accesa. Le porte erano chiuse, sia per timore dei Giudei, sia perché le città orientali sono mute dopo il tramonto; il silenzio quindi era in certi momenti profondo nell’interno; ogni lieve rumore che si produceva per caso, era interpretato nel senso dell’aspettativa universale. L’aspettativa suol creare il suo oggetto. Durante un momento di silenzio, qualche lieve soffio passò sul volto degli astanti. In quelle ore decisive, una corrente d’aria, il cigolìo di una finestra, un fortuito mormorìo fermano per secoli la credenza dei popoli. Insieme al soffio, parve loro udire qualche strepito. Alcuni dissero di aver distinto la parola shalòm, “felicità” o “pace”, saluto ordinario di Gesù, parola con cui rivelava la sua presenza. Nessun dubbio è possibile: Gesù è presente; è nell’assemblea. È la sua voce diletta; ognuno la riconosce” (Gli Apostoli, tr. it., Dall’Oglio, 1966, pp. 16-17).


b) Le ricerche dei razionalisti:
loro impatto e prime reazioni

Gli esiti delle ricerche dei razionalisti suscitarono, al loro tempo, una fortissima impressione: il loro modo di leggere i vangeli era, infatti, assolutamente nuovo per l’epoca.

Gli effetti sulla pratica religiosa non tardarono a farsi sentire e così, soprattutto in Germania, le chiese, sia cattoliche, sia protestanti, cominciarono a svuotarsi.

Sicuramente, grazie a loro, l’esegesi biblica compì enormi progressi: leggendo i vangeli come documenti antichi prima che come testi ispirati, essi ne ripulirono l’interpretazione dalle incrostazioni pietistiche e dal sentimentalismo che si erano accumulati su di loro nel corso dei secoli. Se oggi noi possiamo applicare ai vangeli lo stesso metodo storico-critico che usiamo per tutti gli altri testi letterari, lo dobbiamo proprio al contributo dei razionalisti.

Tuttavia, agli inizi del ‘900, cominciarono a manifestarsi tra gli studiosi segni sempre più evidenti di reazione a quel metodo di lettura dei testi, per effetto di varie constatazioni:

1) l’analisi di tutte le Vite di Gesù prodotte nell’arco di un secolo rivelava che ogni autore ricostruiva un Gesù diverso, per cui spesso i razionalisti si trovavano in contrasto tra loro.

Di qui derivò una prima, importantissima conseguenza: si cominciò a dubitare seriamente dell’infallibilità della ragione. Se, infatti, essa è davvero infallibile ed è la stessa per tutti gli uomini (presupposto che per i razionalisti era assolutamente indiscutibile), tutti gli studiosi, applicando la stessa ragione, avrebbero dovuto pervenire alle stesse conclusioni. Questo, però, era smentito dai fatti.

Da questo primo dubbio ne derivò un altro, circa la reale possibilità di distinguere con sicurezza, sulla base della ragione, tra storia vera e storia sacra, cioè tra il livello dei fatti bruti e quello della loro interpretazione. Questo secondo dubbio era confermato da un dato di esperienza: nessun testimone, per quanto onesto ed imparziale sia, racconta i fatti; tutt’al più, egli racconta i fatti come lui li ha visti. Il che introduce sempre, in qualunque resoconto storico, una componente soggettiva, con la quale lo studioso moderno deve fare i conti. Pretendere di separare, in qualunque documento storico, il livello dei fatti da quello dell’interpretazione che ne dà l’autore significa esporsi al rischio di stravolgere il documento stesso;

2) il Gesù ricostruito dai razionalisti era, per lo più, un predicatore di morale, e di una morale di stampo illuministico, spesso coincidente con quella dei singoli interpreti. Ma si poteva attribuire una morale o una religiosità sette-ottocentesca ad un uomo vissuto nel I sec. d.C.

Si cominciò pertanto a sospettare che le ricostruzioni dei razionalisti, malgrado le pretese di storicità, mancassero di senso storico.

* Per dirla in breve, si cominciò a pensare che, nelle Vite di Gesù, molto vi fosse di arbitrario e che quel “principio di ragionevolezza” invocato dai razionalisti si traducesse concretamente nel criterio di accettare per vero ciò che coincideva con l’immagine di Gesù che ogni autore aveva in mente, interpretando invece quegli aspetti che non si conciliavano con le sue proprie idee.

Si veda questa ironica osservazione di Charles Perrot contenuta nel suo saggio Gesù e la storia (Borla, 1981, p. 180): “Altri, infine, ma rifiutati dagli odierni specialisti di critica biblica, cedono ai miraggi di un falso razionalismo di tipo “storicista” o alle spiegazioni cosiddette parapsicologiche. In effetti si proiettano subito nella storia riportata da un racconto dato e, non appena non quadra con le loro idee, ne riscrivono allegramente un’altra! Così Gesù se ne sarebbe andato a spasso un mattino sulla riva... e i discepoli avrebbero creduto da lontano che egli camminasse sulle acque!”.

Tutte queste critiche furono organicamente espresse in un importante studio di Albert Schweitzer, intitolato: Da Reimarus a Wrede: storia della ricerca sulla Vita di Gesù. Questo saggio, uscito nel 1913, è un solenne necrologio di tutta la produzione dei razionalisti, tra cui, a detta dello Schweitzer, si salvano solo Reimarus e Wrede, rispettivamente il primo e l’ultimo della serie.

Il messaggio, per gli addetti ai lavori, era chiarissimo: se si voleva affrontare il problema “Gesù”, era inutile insistere su un metodo che ormai aveva dato tutto quello che poteva dare. Bisognava percorrere nuove vie.



2) Scuola mitica

a) La nuova lettura dei vangeli
ad opera di Bultmann

La provocazione di Schweitzer fu raccolta da Rudolf Bultmann, fondatore della “Scuola della storia delle forme” (Form-geschitchtliche Schule), nota anche col nome di Scuola Mitica.

Egli, riprendendo la polemica contro i razionalisti, oppone loro un’affermazione di san Paolo: “Se anche abbiamo conosciuto il Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così” (2 Cor 5, 16). Da essa, il Bultmann deduce le ragioni del fallimento delle ricerche dei razionalisti.

Essi hanno fallito perché hanno preteso di usare i vangeli come testi di storia, mentre, da quanto dice san Paolo, si capisce chiaramente che tutte le opere del Nuovo Testamento - e quindi anche i vangeli - sono testi di fede, scritti da credenti e indirizzati a credenti, per rafforzare una fede già sorta.

Lo scopo primario ed esclusivo dei vangeli è quindi la catechesi, per cui agli evangelisti non interessa ricostruire “archeologicamente” la figura di Gesù, ma annunciarlo come Cristo, Figlio di Dio e Salvatore degli uomini.

Nei vangeli, dunque, non troviamo il Gesù della storia, cioè il profeta galileo vissuto in Palestina nel I sec. d. C. e crocifisso sotto Ponzio Pilato, ma il Cristo della fede, cioè colui che ha definitivamente realizzato la promessa di salvezza fatta da Dio agli uomini. Il personaggio Gesù è sicuramente esistito, ma la fede di cui è stato fatto oggetto lo ha completamente sottratto alla storia, al punto che “di nessuna parola o azione a lui attribuita si può dimostrare la storicità”.

Se tutto questo è vero, conclude Bultmann, pretendere di ricostruire la “vita di Gesù” a partire dai vangeli significa cercare in essi proprio quello che non c’è e, quand’anche le ricostruzioni storiche dei razionalisti fossero attendibili, esse non avrebbero nulla da dire al credente, perché egli, con la sua fede, salta la storia a pié pari.

A queste affermazioni non vale obiettare che, eliminata la storia, non si capisce più su che cosa si possa fondare la fede, perché Bultmann, in quanto luterano, è assolutamente convinto che la caratteristica primaria della fede sia quella di imporsi all’uomo contro ogni evidenza razionale o storica; essa, quindi, non si fonda né sulla ragione (irrimediabilmente corrotta per effetto del peccato originale e quindi incapace di pervenire alla verità), né sulla storia, ma solo su se stessa, in quanto dono di Dio (la fede si autofonda!).

Tuttavia, se oggetto dei vangeli è la fede, bisogna tener presente che essa è stata espressa in termini che erano capiti nel I sec. d.C., cioè in un mondo che non solo non è più il nostro, ma è anzi lontanissimo dal nostro: se la mentalità dell’uomo di oggi è scientifica, quella degli antichi era mitica.

Per capire la differenza tra mentalità mitica e mentalità scientifica, ricorreremo ad un facile esempio. Tutti sappiamo che il tuono è effetto di una scarica elettrica causata dall’incontro di strati d’aria a differente potenziale: questa è la spiegazione scientifica del fenomeno “tuono”. I nostri vecchi, invece, che non la conoscevano, dicevano che quando tuona “il diavolo va in carrozza”, oppure che “i santi giocano a bocce”: queste spiegazioni del fenomeno sono per l’appunto di tipo mitico.

Poiché la visione del mondo degli antichi non è più la nostra, il compito dello studioso del Nuovo Testamento è quello di demitizzare l’annuncio degli apostoli, ossia di attualizzarlo culturalmente, trascrivendolo in termini comprensibili per gli uomini di oggi.

Per questa via, Bultmann perviene a distinguere nel kérygma (cioè nell’annuncio della fede cristiana) ciò che gli apostoli hanno detto da ciò che essi hanno voluto dire.

Ciò che veramente conta per il credente di oggi è questo secondo aspetto; la forma in cui gli apostoli si sono espressi è legata alla loro cultura e a quella dei loro primi uditori, nonché ai modi di dire propri della lingua in cui essi si esprimevano.

Applicando tutto questo all’annuncio “Gesù è risorto”, Bultmann conclude che al credente non interessa affatto sapere o stabilire se dietro ad esso stia o non stia un fatto storico; ciò che conta per lui è che Gesù sia risorto nell’annuncio degli apostoli, il cui valore autentico ed eterno non sta quindi nel fatto di riferire un evento realmente accaduto, ma nel fatto di mettere l’uomo davanti ad una scelta radicale: se credere o non credere.

In altre parole, Bultmann ritiene che, con l’affermazione “Gesù è risorto”, gli apostoli volessero dire ai loro ascoltatori: “In questo momento, attraverso le nostre parole, Dio vi sta interpellando a fidarvi ciecamente di Lui”.

Si veda, a conferma di quanto detto sopra, il seguente testo di Bultmann:
“Spesso... si dice che, secondo la mia interpretazione del kérygma, Gesù sarebbe risorto nel kérygma. Io accetto questa formula. Essa è esatta a condizione che sia esattamente compresa. Essa suppone che il kérygma stesso sia un evento escatologico; essa afferma che Gesù è realmente presente nel kérygma, che questo è la sua parola la quale raggiunge l’uditore nel kérygma. Se non fosse così, tutte le speculazioni sul modo di essere del Risorto, tutti i racconti sulla tomba vuota e tutte le leggende pasquali, anche se contengono alcuni elementi di ordine storico e anche se possono essere vere secondo il simbolismo del loro contenuto, tutto diventa senza valore. Il senso della fede pasquale è di credere al Cristo presente nel kérygma” (Verhaltnis, 1960, p. 127).

Da questo punto di vista, l’annuncio del Cristo (la risurrezione) è attualizzazione definitiva dell’annuncio di Gesù (il Regno di Dio): già in esso era infatti contenuto l’invito ad una scelta radicale: “Per amore del Regno di Dio vale la pena di rinunciare a tutto. L’uomo è situato di fronte ad un grande aut... aut, se decidersi per il regno di Dio e sacrificare ad esso ogni cosa” (Gesù, tr. it., Queriniana, p. 28).

A chi gli chiedesse allora: “Come mai la predicazione apostolica non si è limitata a ripetere l’annuncio di Gesù, come i discepoli in genere ripetono la dottrina del maestro”, Bultmann risponde che: “La comunità più antica ha inteso (con sempre maggior chiarezza) la storia di Gesù come l’evento escatologico decisivo, che come tale non può essere mai relegato nel passato, ma resta sempre presente, nell’annuncio (...). Se la pura ripetizione dell’annuncio di Gesù (...) rende il passato presente in modo tale che esso pone l’uditore (o il lettore) di fronte ad una decisione per (o contro) una possibilità di autocomprendersi, quale ci viene dischiusa nell’annuncio del Gesù storico, il kérygma del Cristo esige la fede nel Gesù presente in esso, in quel Gesù che a differenza del Gesù storico non si è limitato a promettere la salvezza, ma l’ha già conferita” (Sitzungberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften, 1960).

In altre parole, se l’annuncio del Regno di Dio è promessa, l’annuncio della risurrezione evidenzia che quella promessa si è definitivamente realizzata.

Con questa lettura teologica, Bultmann replicava ad un’insidiosa obiezione dei razionalisti, quella per cui Gesù aveva predicato il Regno di Dio... e ne era nata la Chiesa.

Ancora più significativo è un testo di W. Marxen, discepolo di Bultmann, anche perché si presta bene a sintetizzare tutto quanto si è detto sin qui della scuola mitica:
“Nell’indagine storica dietro i nostri testi noi non incontriamo il fatto della risurrezione di Gesù, bensì la fede della comunità primitiva dopo la morte di Gesù.
Questa fede è una realtà constatabile nelle sue espressioni. Ci imbattiamo, nello stesso tempo, con l’asserzione che questa realtà si è verificata attraverso un miracolo. E il fatto che abbiamo a che fare in essa con un miracolo, lo si esprime con la rappresentazione della risurrezione di Gesù (...)
Se io sperimento il mio-giungere-alla-fede come miracolo e se esprimo questo miracolo dicendo che Gesù è risorto, non posso affermare nulla di più di quello che affermava la comunità primitiva.
Nondimeno, ci si può chiedere se è assolutamente necessario esprimerlo così. Di fronte all’attuale babele si potrebbe persino chiedere se si debba ancor oggi esprimere così, perché c’è il pericolo di equivocare subito. Per questo ho proposto altre formulazioni: la causa di Gesù continua; oppure: egli viene ancor oggi... È la realtà del mio esser-giunto-alla-fede che qui interpreto. La realtà non esiste isolata dall’interpretazione. Ma essa esprime il carattere di miracolo della realtà, la priorità di Dio o di Gesù nel verificarsi della mia fede” (La Risurrezione, 1968, p. 144).
Il discorso di Marxen è chiarissimo: il vero miracolo è quello della fede, non l’evento della risurrezione. Anzi, intendere il kérygma nel secondo modo significa esporsi al rischio di “equivocare”.

Detto questo, però, si trattava per Bultmann e per i suoi allievi di spiegare da dove fosse nato “l’equivoco” della fede nella risurrezione come fatto: tale fede, storicamente documentata, costituisce infatti un autentico travisamento dell’originario annuncio degli apostoli.

Per Bultmann, questo travisamento va collocato nel momento cruciale della diffusione del Cristianesimo presso i pagani. Finché, infatti, la prima comunità si era rivolta agli ebrei, il valore metaforico dell’annuncio della risurrezione, formulato originariamente in ebraico o in aramaico, era chiaro a tutti: l’espressione “Gesù è risorto” era un modo di dire proprio di una lingua semitica e tanto chi la pronunciava, quanto chi la ascoltava sapeva benissimo che essa non andava presa alla lettera, ma che si trattava di un “mito”, ovvero di un discorso figurato che voleva esprimere un’altra realtà.

Quando, però, il Cristianesimo si diffuse presso i pagani, che erano per lo più di lingua greca, l’annuncio della risurrezione fu tradotto alla lettera, secondo l’uso degli antichi: proprio per questo, il valore metaforico dell’originaria espressione semitica andò perso e i greci furono indotti ad intendere l’espressione “Gesù è risorto” in senso storico, anziché in senso mitico.

In altre parole, Bultmann ritiene che vi sia stato un errore nella seconda comunità cristiana, quella greca, che ha interpretato male i modi di dire ebraici o aramaici che gli apostoli hanno impiegato per esprimere la loro fede nel Cristo.



b) Critiche al metodo di Bultmann

A Bultmann furono, tuttavia, mosse varie obiezioni:

1) in primo luogo non convinse il suo atteggiamento di rinuncia totale a qualunque collocazione storico-cronologica degli avvenimenti relativi all’uomo Gesù: non c’è dubbio che la sua figura sia stata idealizzata dagli evangelisti, ma poneva e pone tuttora obiettive difficoltà pensare che questa idealizzazione sia stata talmente radicale da far scomparire totalmente un personaggio dalla storia a non molto tempo di distanza dalle sue vicende.

Ad accorgersi di questa difficoltà fu proprio un allievo di Bultmann, Ernest Kase-mann, al quale dobbiamo l’elaborazione di una serie di criteri grazie a cui è possibile, dai vangeli, risalire al Gesù storico e pronunciarsi, con un buon grado di probabilità, sulla storicità effettiva di questo o quel detto o fatto di Gesù.

In effetti, un esame anche non approfondito dell’attuale produzione relativa al problema del Gesù storico rivela che più nessuno studioso condivide lo scetticismo radicale di Bultmann;

2) l’abdicazione alla storia implicita nella lettura di Bultmann produce un altro inconveniente, quello per cui non si riesce a spiegare storicamente come dal giudaismo sia potuta scaturire l’idea, anzi... il mito del dio che si incarna. Bultmann tentò di spiegare la cosa, ma la sua spiegazione non risultò convincente;

3) Paolo di Tarso, che culturalmente era bilingue, in quanto conosceva perfettamente sia il greco, sia le lingue semitiche, in 1 Cor 15, 6, parla della risurrezione di Gesù come di un autentico fatto, tant’è che si fa scrupolo di precisare che molti testimoni delle apparizioni di Gesù erano ancora vivi nel momento in cui egli scriveva (senso del discorso: “Non credete a me? Andate a chiedere a loro!”): ora, se c’era una persona perfettamente in grado di cogliere il valore... figurato dell’annuncio della risurrezione, era proprio lui. Paradossalmente, proprio Paolo, “l’apostolo delle genti”, sarebbe stato alla radice del fraintendimento di quell’annuncio!


In sintesi,

per le scuole critica e mitica la risurrezione non è successa o non è importante sapere se è successa: c’è stato un errore di interpretazione, in buona fede, da parte della comunità cristiana:

- per la scuola critica l’errore è stato nella prima comunità cristiana (gli ebrei cristiani) che hanno interpretato male i fatti che aveva visto;

- per la scuola mitica l’errore è stato nella seconda comunità cristiana (i cristiani greci) che hanno interpretato male i modi di dire ebraici/aramaici che gli apostoli hanno usato.

Queste due ipotesi che vogliono salvare la buona fede della comunità cristiana, sono le uniche possibili, perché l'errore è potuto solo avvenire in una di quelle due comunità, ebraica o greca. In seguito l'errore non fu più possibile, perché
- il greco non fu più dimenticato;
- nel Nuovo Testamento, dopo la codificazione nel canone, non poterono introdursi altri errori d’interpretazione, data la continuità nel tempo delle comunità che lo leggevano.



B) Interpretazione per la storicità

La scuola della tradizione, formata da cattolici, ortodossi e molti protestanti, ha sempre letto i testi nel loro senso più immediato. Accetta perciò la storicità della risurrezione di Gesù, ritenendo che le convergenze esistenti nei vari racconti della risurrezione siano molto più importanti che non le divergenze e le contraddizioni.

Si è mossa in tre direzioni:

1) Obietta a quelli che sostengono la tesi contraria

+ agli ebrei e a tutti i sostenitori della malafede:
qualcuno dà forse la vita per una ragione che sa essere falsa?

+ alle scuole critica e mitica: per sostenere le loro tesi hanno dovuto ipotizzare una datazione tardiva per i vangeli, datazione smentita dalle scoperte archeologiche.

+ alla scuola critica:
- si aggrappa alla ottimistica fede nell'infallibilità della ragione umana. Ma la ragione umana è veramente infallibile?
- suppone le leggi naturali assolutamente immutabili. È certo?
- come può ipotizzare con tanta disinvoltura la divinizzazione di un uomo da parte di ebrei? (scarsa conoscenza della loro mentalità);

+ alla scuola mitica:

- abdica a qualunque collocazione cronolo-gica degli avvenimenti riguardanti l'uomo Gesù. Possibile che gli evangelisti abbiano così radicalmente idealizzato il personaggio, a poco tempo di distanza dalle sue vicende?
- ancor più della precedente scuola essa non è in grado di giustificare storicamente come dal giudaismo sia potuta scaturire l'idea, anzi... il mito (!) del dio che si incarna (disinformazione storica);
- come spiegare la testimonianza di Paolo, in 1 Cor 15,6: egli conosceva perfettamente il greco, l'ebraico e l'aramaico e dice «apparve a più di 500 fratelli in una volta, la maggior parte dei quali vive ancora, mentre alcuni sono morti»?

Non si fa così anche oggi per far accettare la storicità di un fatto?

2) Porta "indizi" a favore dell'attendibilità dei cristiani (v. Cap. successivo):

1. I primi cristiani,

pur volendo far credere alla risurrezione, non la raccontano mai. Raccontano di aver visto Gesù vivo, di averlo visto morto e poi risorto. Non dicono di averlo visto risorgere.

2. Senza la risurrezione resta difficile spiegare:
a) come gli apostoli siano ritornati a credere a Gesù dopo la catastrofe della sua morte (nell'ebraismo non si pensava ad una risurrezione immediatamente dopo la morte);
b) come gli apostoli si siano impegnati così a fondo per dire che Gesù è risorto. Che cosa potevano fare di più? Chi glielo faceva fare? Solo il fanatismo?
c) come gli apostoli, da giovani, non abbiano avuto il coraggio di morire per Gesù e poi l'abbiano avuto da vecchi.

3. La conversione di Paolo:
come spiegarla dopo quello che egli ha fatto per diffondere il Cristianesimo, senza che fosse convinto di aver veramente visto Gesù risorto?

4. Il fatto che gli stessi cristiani,
pur accorgendosi delle contraddizioni contenute nei vangeli (le discussioni al riguardo datano già dal II sec. d.C.), non abbiano mai approvato i tentativi operati per appianarle. Così, ad es., non fu accettato come canonico il vangelo di Pietro, che pure tentava di eliminare le divergenze dei racconti evangelici.

5. Il "fatto" che molte persone, dopo averli conosciuti,
abbiano accettato la loro parola ed abbiano creduto a loro: vuol dire che li hanno giudicati credibili.

3) Cerca di spiegare le ragioni delle divergenze nei testi:

- prima di essere scritti, i fatti sono stati tramandati a voce per alcuni decenni e una tradizione orale può alterare i particolari;
- i vangeli sono libri di fede scritti da credenti e per credenti: non mirano a far credere, ma a far rafforzare una fede già sorta e quindi non si preoccupano troppo dei particolari storici;
- gli antichi avevano un diverso concetto di storia: non si curavano tanto della precisione cronachistica, quanto piuttosto di dimostrare la veridicità delle tesi da loro affermate;
- anche oggi i racconti fatti da più testimoni sul medesimo avvenimento sono spesso contraddittori o quanto meno divergenti (almeno nei particolari).

Per esserne convinti basta confrontare fra loro le varie descrizioni che di uno stesso fatto danno i diversi giornali. Anzi un criterio di indipendenza reciproca di più testimoni spesso è proprio la diversità di impostazione del racconto e la divergenza dei particolari messi in risalto.

- l'attenzione dell'uomo, che è un essere limitato, si ferma su quegli aspetti che lo toccano di più. Quindi non può essere totalmente oggettivo;
- i primi cristiani hanno raccolto attorno all’annuncio fondamentale della risurrezione soprattutto quei particolari che permettevano loro di rispondere ad obiezioni critiche che nascevano o potevano nascere da parte dell’uditorio il quale, da un ambiente all’altro, manifestava interessi ed esigenze diverse. Nei racconti evangelici si colgono molti accenni scritti espressamente per controbattere le obiezioni degli avversari. Così hanno ricordato via via quei particolari dei racconti che più servivano a rispondere a sempre nuove obiezioni.

Alla luce di questi princìpi si spiegano abbastanza bene le varie divergenze contenute nei racconti della risurrezione.
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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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