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BRANI SCELTI di SANTI e DOTTORI della Chiesa

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:58
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14/08/2013 08:02
 
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Dalle lettere di san Massimiliano Maria Kolbe
(Cfr. Scritti di Massimiliano M. Kolbe, traduzione italiana, Vol. I, Firenze 1975, pp. 44-46. 113-114).
Zelo apostolico per la salvezza e la santificazione
delle anime

Sono pieno di gioia, fratello carissimo, per l\'ardente zelo che ti spinge a promuovere la gloria di Dio. Nei nostri tempi, constatiamo, non senza tristezza, il propagarsi dell\'«indifferentismo». Una malattia quasi epidemica che si va diffondendo in varie forme non solo nella generalità dei fedeli, ma anche tra i membri degli istituti religiosi. Dio è degno di gloria infinita. La nostra prima e principale preoccupazione deve essere quella di dargli lode nella misura delle nostre deboli forze, consapevoli di non poterlo glorificare quanto egli merita.
La gloria di Dio risplende soprattutto nella salvezza delle anime che Cristo ha redento con il suo sangue. Ne deriva che l\'impegno primario della nostra missione apostolica sarà quello di procurare la salvezza e la santificazione del maggior numero di anime. Ed ecco in poche parole i mezzi più adatti per procurare la gloria di Dio nella santificazione delle anime. Dio, scienza e sapienza infinita, che conosce perfettamente quello che dobbiamo fare per aumentare la sua gloria, manifesta normalmente la sua volontà mediante i suoi rappresentanti sulla terra.
L\'obbedienza, ed essa sola, è quella che ci manifesta con certezza la divina volontà. È vero che il superiore può errare, ma chi obbedisce non sbaglia. L\'unica eccezione si verifica quando il superiore comanda qualcosa che chiaramente, anche in cose minime, va contro la legge divina. In questo caso egli non è più interprete della volontà di Dio.
Dio è tutto: solo lui è infinito, sapientissimo, clementissimo Signore, creatore e Padre, principio e fine, sapienza, potere e amore. Tutto ciò che esiste fuori di Dio ha valore in quanto si riferisce a lui, che è creatore di tutte le cose, redentore degli uomini, fine ultimo di tutte le creazioni. Egli ci manifesta la sua volontà e ci attrae a sé attraverso i suoi rappresentanti sulla terra, volendo servirsi di noi per attrarre a sé altre anime e unirle nella perfetta carità.
Considera, fratello, quanto è grande, per la misericordia di Dio, la dignità della nostra condizione. Attraverso la via dell\'obbedienza noi superiamo i limiti della nostra piccolezza, e ci conformiamo alla volontà divina che ci guida ad agire rettamente con la sua infinita sapienza e prudenza. Aderendo a questa divina volontà a cui nessuna creatura può resistere, diventiamo più forti di tutti.
Questo è il sentiero della sapienza e della prudenza, l\'unica via nella quale possiamo rendere a Dio la massima gloria. Se esistesse una via diversa e più adatta, il Cristo l\'avrebbe certamente manifestata con la parola e con l\'esempio. Il lungo periodo della vita nascosta di Nazareth è compendiato dalla Scrittura con queste parole: «e stava loro sottomesso» (Lc 2, 51). Tutto il resto della sua vita è posto sotto il segno dell\'obbedienza, mostrando frequentemente che il Figlio di Dio è disceso sulla terra per compiere la volontà del Padre.
Amiamo dunque, fratelli, con tutte le forze il Padre celeste pieno di amore per noi; e la prova della nostra perfetta carità sia l\'obbedienza, da esercitare soprattutto quando ci chiede di sacrificare la nostra volontà. Infatti non conosciamo altro libro più sublime che Gesù Cristo crocifisso, per progredire nell\'amore di Dio.
Tutte queste cose le otterremo più facilmente per l\'intercessione della Vergine Immacolata che Dio, nella sua bontà, ha fatto dispensatrice della sua misericordia. Nessun dubbio che la volontà di Maria è la stessa volontà di Dio. Consacrandoci a lei, diventiamo nelle sue mani strumenti della divina misericordia, come lei lo è stato nelle mani di Dio.
Lasciamoci dunque guidare da lei, lasciamoci condurre per mano, tranquilli e sicuri sotto la sua guida. Maria penserà a tutto per noi, provvederà a tutto e allontanando ogni angustia e difficoltà verrà prontamente in soccorso alle nostre necessità corporali e spirituali.
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16/08/2013 07:51
 
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Dal «Discorso sul battesimo» di san Paciano, vescovo
(Nn. 5-6; PL 13, 1092-1093)
Seguiamo la vita nuova nel Cristo per mezzo dello Spirito

Il peccato di Adamo era passato a tutto il genere umano: «Come a causa di un solo uomo», dice l\'Apostolo, «il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti gli uomini hanno peccato» (Rm 5, 12). È quindi necessario che anche la giustizia di Cristo passi a tutto il genere umano e come Adamo col suo peccato fu causa di rovina per tutta la sua discendenza, così Cristo sarà causa di salvezza per la sua giustizia. Su questo l\'Apostolo insiste: «Come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l\'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti, e come il peccato aveva regnato con la morte, così regni anche la grazia con la giustizia per la vita eterna» (Rm 5, 19. 21).
Qualcuno forse mi dirà: Era giusto che il peccato di Adamo passasse nei posteri, perché discendevano da lui per generazione. Ma siamo stati forse generati da Cristo perché da lui discenda a noi la salvezza? Effettivamente le cose stanno così e lo si capirà subito.
Negli ultimi tempi Cristo prese da Maria l\'anima e la carne. Questa è la carne che egli venne a salvare, che non abbandonò negli inferi e che unì al suo spirito e fece sua. Queste sono le nozze del Signore, contratte con una sola carne, perché Cristo e la Chiesa, secondo quel grande mistero, fossero due in una sola carne.
Da queste nozze nasce il popolo cristiano, mentre dall\'alto discende lo Spirito del Signore. Il germe celeste viene infuso e unito alla sostanza della nostra anima; cominciamo quindi a svilupparci nel seno materno, quindi, venendo alla luce, entriamo nella vita che ci viene data dal Cristo.
Per questo l\'Apostolo dice: «Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l\'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita» (1 Cor 15, 45). In questo modo Cristo genera nella Chiesa per mezzo dei suoi sacerdoti, come si esprime lo stesso Apostolo: «Io vi ho generato in Cristo» (1 Cor 4, 15).
Così Cristo, mediante lo Spirito di Dio, per il ministero del sacerdote e la forza della fede, dà alla luce l\'uomo nuovo, formato nel seno della madre e accolto nella Chiesa col parto del fonte battesimale.
Bisogna quindi accogliere Cristo, perché egli possa rigenerarci. Lo afferma l\'apostolo Giovanni: «A quanti l\'hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1, 12). Tale nascita non può avvenire se non col sacramento del battesimo, del crisma e del sacerdote. Infatti col battesimo vengono lavati i nostri peccati, col crisma ci viene infuso lo Spirito Santo: l\'una e l\'altra cosa noi la otteniamo dalla mano e dalla bocca del sacerdote. In questo modo tutto l\'uomo rinasce in Cristo: «Perché come Cristo fu risuscitato dai morti, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6, 4), vale a dire che, abbandonati gli errori della vita trascorsa, per mezzo dello Spirito seguiamo, sull\'esempio di Cristo, una vita virtuosa.
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17/08/2013 06:23
 
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Dal «Discorso sul battesimo» di san Paciano, vescovo
(Nn. 6-7; PL 13, 1093-1094)
Puri e immacolati per il giorno del Signore

Come abbiamo portato l\'immagine dell\'uomo di terra, così porteremo l\'immagine dell\'uomo celeste; poiché il primo uomo tratto dalla terra, è di terra, il secondo uomo viene dal cielo ed è celeste (cfr. 1 Cor 15, 47-49). Comportandoci così, o carissimi, non morremo mai più. Anche se questo corpo sarà preda della corruzione, noi vivremo in Cristo, come egli stesso ha detto: «Chi crede in me, anche se muore, vivrà» (Gv 11, 25).
Siamo quindi certi, sulla parola di Dio, che Abramo, Isacco, Giacobbe e tutti i santi di Dio vivono. Il Signore effettivamente ha detto che vivono, perché colui che è il loro Dio è Dio dei vivi e non dei morti (cfr. Mt 22, 32). Parlando di se stesso l\'Apostolo afferma: Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno: desidero morire ed essere con Cristo (cfr. Fil 1, 21-23). Ed ancora: «Finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora in visione» (2 Cor 5, 6).
Questa è la nostra fede, o carissimi fratelli. Del resto: se noi riponiamo la nostra speranza soltanto in questo mondo, siamo da compiangere più di tutti gli uomini (cfr. 1 Cor 15, 19). La nostra vita materiale, come voi medesimi potete osservare, ha la stessa durata di quella delle fiere, degli animali, degli uccelli e magari anche minore. Caratteristica dell\'uomo invece è di ottenere quello che Cristo ha dato per mezzo del suo Spirito, la vita eterna, a patto però che non pecchiamo più. Come la morte viene a causa del peccato, così dalla morte siamo liberati per mezzo della santità; la vita si perde col peccato, mentre viene salvata dalla santità. «Il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna, in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 6, 23).
È lui, è lui che ci ha redenti, perdonandoci, come dice l\'Apostolo, tutti i nostri peccati e annullando il documento scritto del nostro debito le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce. Spogliandosi della carne, ha privato della loro forza i Principati e le Potestà, e ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al suo corteo trionfale (cfr. Col 2, 13-15). Liberò quelli che erano legati in ceppi e spezzò le loro catene, come David aveva profetizzato: Il Signore solleva quelli che sono caduti, il Signore scioglie quelli che sono legati, il Signore illumina i ciechi (cfr. Sal 145, 7-8). E ancora: «Hai spezzato le mie catene. A te offrirò sacrifici di lode» (Sal 115, 16-17). Siamo stati dunque sciolti dalle nostre catene quando, mediante il sacramento del battesimo, ci siamo raccolti sotto lo stendardo di Cristo, rinunziando al diavolo e a tutti i suoi sostenitori, ai quali avevamo servito fino allora. Siamo stati liberati da essi nel nome e col sangue di Cristo; non dobbiamo più quindi essere loro schiavi.
Perciò, carissimi, ricordiamoci che veniamo lavati una volta sola; una volta sola veniamo liberati, e una volta sola entriamo nel regno eterno. Una volta sola sono beati quelli a cui sono rimesse le colpe e perdonato il peccato (cfr. Sal 31, 1). Tenete ben stretto quello che avete ricevuto, conservatelo nella gioia; non vogliate più peccare. Conservatevi puri ed immacolati per il giorno del Signore.
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20/08/2013 07:49
 
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Dai «Discorsi sul Cantico dei Cantici» di san Bernardo, abate
(Disc. 83, 4-6; Opera omnia,
ed. Cisterc. 2 [1958] 300-302)
Amo perché amo, amo per amare

L\'amore è sufficiente per se stesso, piace per se stesso e in ragione di sé. È a se stesso merito e premio. L\'amore non cerca ragioni, non cerca vantaggi all\'infuori di sé. Il suo vantaggio sta nell\'esistere. Amo perché amo, amo per amare. Grande cosa è l\'amore se si rifà al suo principio, se ricondotto alla sua origine, se riportato alla sua sorgente. Di là sempre prende alimento per continuare a scorrere. L\'amore è il solo tra tutti i moti dell\'anima, tra i sentimenti e gli affetti, con cui la creatura possa corrispondere al Creatore, anche se non alla pari; l\'unico con il quale possa contraccambiare il prossimo e, in questo caso, certo alla pari. Quando Dio ama, altro non desidera che essere amato. Non per altro ama, se non per essere amato, sapendo che coloro che l\'ameranno si beeranno di questo stesso amore. L\'amore dello Sposo, anzi lo Sposo-amore cerca soltanto il ricambio dell\'amore e la fedeltà. Sia perciò lecito all\'amata di riamare. Perché la sposa, e la sposa dell\'Amore non dovrebbe amare? Perché non dovrebbe essere amato l\'Amore?
Giustamente, rinunziando a tutti gli altri suoi affetti, attende tutta e solo all\'Amore, ella che nel ricambiare l\'amore mira a uguagliarlo. Si obietterà, però, che, anche se la sposa si sarà tutta trasformata nell\'Amore, non potrà mai raggiungere il livello della fonte perenne dell\'amore. È certo che non potranno mai essere equiparati l\'amante e l\'Amore, l\'anima e il Verbo, la sposa e lo Sposo, il Creatore e la creatura. La sorgente, infatti, dà sempre molto più di quanto basti all\'assetato.
Ma che importa tutto questo? Cesserà forse e svanirà del tutto il desiderio della sposa che attende il momento delle nozze, cesserà la brama di chi sospira, l\'ardore di chi ama, la fiducia di chi pregusta, perché non è capace di correre alla pari con un gigante, gareggiare in dolcezza col miele, in mitezza con l\'agnello, in candore con il giglio, in splendore con il sole, in carità con colui che è l\'Amore? No certo. Sebbene infatti la creatura ami meno, perché è inferiore, se tuttavia ama con tutta se stessa, non le resta nulla da aggiungere. Nulla manca dove c\'è tutto. Perciò per lei amare così è aver celebrato le nozze, poiché non può amare così ed essere poco amata. Il matrimonio completo e perfetto sta nel consenso dei due, a meno che uno dubiti che l\'anima sia amata dal Verbo, e prima e di più.
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22/08/2013 09:21
 
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Dalle «Omelie» di sant\'Amedeo di Losanna, vescovo
(Om. 7; SC 72, 188. 190. 192. 200)
Regina del mondo e della pace

La santa Vergine Maria fu assunta in cielo. Ma il suo nome ammirabile rifulse su tutta la terra anche indipendentemente da questo singolare evento, e la sua gloria immortale si irradiò in ogni luogo prima ancora che fosse esaltata sopra i cieli. Era conveniente, infatti, anche per l\'onore del suo Figlio, che la Vergine Madre regnasse dapprima in terra e così alla fine ricevesse la gloria nei cieli. Era giusto che la sua santità e la sua grandezza andassero crescendo quaggiù, passando di virtù in virtù e di splendore in splendore per opera dello Spirito Santo, fino a raggiungere il termine massimo al momento della sua entrata nella dimora superna.
Perciò quando era qui con il corpo, pregustava le primizie del regno futuro, ora innalzandosi fino a Dio, ora scendendo verso i fratelli mediante l\'amore. Fu onorata dagli angeli e venerata dagli uomini. Le stava accanto Gabriele con gli angeli e le rendeva servizio, con gli apostoli, Giovanni, ben felice che a lui, vergine, fosse stata affidata presso la croce la Vergine Madre. Quelli erano lieti di vedere in lei la Regina, questi la Signora, e sia gli uni che gli altri la circondavano di pio e devoto affetto.
Abitava nel sublime palazzo della santità, godeva della massima abbondanza dei favori divini, e sul popolo credente e assetato faceva scendere la pioggia delle grazie, lei che nella ricchezza della grazia aveva superato tutte le creature.
Conferiva la salute fisica e la medicina spirituale, aveva il potere di risuscitare dalla morte i corpi e le anime. Chi mai si partì da lei o malato, o triste, o digiuno dei misteri celesti? Chi non ritornò a casa sua lieto e contento dopo d\'aver ottenuto dalla Madre del Signore, Maria, quello che voleva?
Maria era la sposa ricca di gioielli spirituali, la madre dell\'unico Sposo, la fonte di ogni dolcezza, la delizia dei giardini spirituali e la sorgente delle acque vive e vivificanti che discendono dal Libano divino, dal monte Sion fino ai popoli stranieri sparsi qua e là. Ella faceva scendere fiumi di pace e grazia. Perciò mentre la Vergine delle vergini veniva assunta in cielo da Dio e dal Figlio suo, re dei re, tra l\'esultanza degli angeli, il giubilo degli arcangeli e le acclamazioni festose del cielo, si compì la profezia del salmista che dice al Signore: «Sta la regina alla tua destra in veste tessuta d\'oro, in abiti trapunti e ricamati» (Sal 44, 10 volg.).
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26/08/2013 07:19
 
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Dalla «Esposizione su Giovanni» di san Tommaso d\'Aquino, sacerdote
(Cap. 10, lect. 3)
Il resto d\'Israele pascolerà e riposerà

«Io sono il buon pastore» (Gv 10, 11). A Cristo compete chiaramente di essere pastore. Infatti, come il comune gregge viene guidato e pascolato dal pastore, così i fedeli sono ristorati da Cristo con un cibo spirituale, con il suo corpo e il suo sangue.
«Un tempo», dice l\'Apostolo, «eravate erranti come pecore, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime» (1 Pt 2, 25). Ed il profeta: «Come un pastore egli fa pascolare il gregge» (Is 40, 11).
Ma siccome Cristo ha detto che il pastore entra per la porta e che egli è la porta, mentre qui dice di essere il pastore, ne segue che egli entra attraverso se stesso. E veramente entra attraverso se stesso, perché rivela se stesso e per se stesso conosce il Padre. Noi invece entriamo per lui, perché da lui siamo resi beati.
Ma osserva che nessun altro, all\'infuori di lui, è la porta, perché nessun altro è la luce vera, ma la possiede solo in quanto gli viene partecipata da lui. «Egli non era la luce», è detto di Giovanni Battista, «ma doveva rendere testimonianza alla luce» (Gv 1, 8).
Invece di Cristo è detto: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1, 9). E perciò nessuno dice di sé di essere la porta. Questo, Cristo lo riservò solo per se stesso. Mentre partecipò ad altri il compito di essere pastori. Infatti Pietro fu pastore, lo furono gli altri apostoli, lo sono i buoni vescovi. «Vi darò, dice la Scrittura, pastori secondo il mio cuore» (Ger 3, 15). Sebbene, infatti, i capi della Chiesa, che sono suoi figli, tutti siano pastori, tuttavia dice di esserlo lui in modo singolare: «Io sono il buon pastore», allo scopo di introdurre con dolcezza la virtù della carità. Non si può essere infatti buon pastore se non diventando una cosa sola con Cristo e suoi membri mediante la carità. La carità è il primo dovere del buon pastore, perciò dice: «Il buon pastore offre la vita per le pecore» (Gv 10, 11). Infatti c\'è differenza tra il buono e il cattivo pastore: il buon pastore ha di mira il vantaggio del gregge, mentre il cattivo il proprio.
Nei guardiani di pecore non si esige che, per essere giudicati buoni, espongano la propria vita per la salvezza del gregge. Ma siccome la salvezza del gregge spirituale ha maggior peso della vita corporale del pastore, quando incombe il pericolo del gregge ogni pastore spirituale deve affrontare il sacrificio della vita corporale. Questo dice il Signore: «Il buon Pastore offre la sua vita per le sue pecore». Egli consacra a loro la sua persona nell\'esercizio dell\'autorità e della carità. Si esigono tutte e due le cose: che gli ubbidiscano e che le ami. Infatti la prima senza la seconda non è sufficiente.
Cristo ci ha dato l\'esempio di questo insegnamento: «Se Cristo ha dato la sua vita per noi, anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3, 16).
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29/08/2013 06:40
 
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Dalle «Omelie» di san Beda, il Venerabile, sacerdote
(Om. 23; CCL 122, 354. 356. 357)
Precursore della nascita
e della morte di Cristo

Il beato precursore della nascita del Signore, della sua predicazione e della sua morte, dimostrò una forza degna degli sguardi celesti nel suo combattimento. Anche se agli occhi degli uomini ebbe a subire tormenti, la sua speranza è piena di immortalità, come dice la Scrittura (cfr. Sap 3, 4). È ben giusto che noi ricordiamo con solenne celebrazione il suo giorno natalizio. Egli lo rese memorabile con la sua passione e lo imporporò del suo sangue. È cosa santa venerarne la memoria e celebrarla in gioia di spirito. Egli confermò con il martirio la testimonianza che aveva dato per il Signore.
San Giovanni subì il carcere e le catene a testimonianza per il nostro Redentore, perché doveva prepararne la strada. Per lui diede la sua vita, anche se non gli fu ingiunto di rinnegare Gesù Cristo, ma solo di tacere la verità. Tuttavia morì per Cristo.
Cristo ha detto: «Io sono la verità» (Gv 14, 6), perciò proprio per Cristo versò il sangue, perché lo versò per la verità. E siccome col nascere, col predicare, col battezzare doveva dare testimonianza a colui che sarebbe nato, avrebbe predicato e battezzato, così soffrendo segnalò anche che il Cristo avrebbe sofferto.
Un uomo di tale e tanta grandezza pose termine alla vita presente con lo spargimento del sangue dopo la lunga sofferenza delle catene. Egli annunziava la libertà della pace superna e fu gettato in prigione dagli empi. Fu rinchiuso nell\'oscurità del carcere colui che venne a rendere testimonianza alla luce e che dalla stessa luce, che è Cristo, meritò di essere chiamato lampada che arde e illumina. Fu battezzato nel proprio sangue colui al quale era stato concesso di battezzare il Redentore del mondo, di udire la voce del Padre su di lui e di vedere la grazia dello Spirito Santo scendere sopra di lui.
Ma a persone come lui non doveva riuscire gravoso, anzi facile e bello sopportare per la verità tormenti transitori ripagabili con le gioie eterne. Per uno come lui la morte non riusciva un evento ineluttabile o una dura necessità. Era piuttosto un premio, una palma di vita eterna per la confessione del nome di Cristo.
Perciò ben dice l\'Apostolo: «A voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per lui» (Fil 1, 29). Chiama grazia di Cristo che gli eletti soffrano per lui: «Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà esser rivelata in noi» (Rm 8, 18).
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02/09/2013 07:15
 
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Dal libro della «Imitazione di Cristo»
(Lib. 3, 3)
Dio parlò ai profeti e parla a tutti

Il Signore dice: Ascolta, figlio, le mie parole, parole soavissime che oltrepassano ogni scienza di filosofi e di sapienti del mondo. Le mie parole sono spirito e vita (cfr. Gv 6, 63), né sono da pesare con la bilancia del senso umano, né da giudicare in base al gradimento degli uomini, ma da ascoltare piuttosto in silenzio, e da accogliere con tutta umiltà e affetto grande.
Rispondo: «Beato l\'uomo che tu istruisci, Signore, e che ammaestri nella tua legge, per dargli riposo nei giorni di sventura e non lasciarlo nella desolazione sulla terra» (Sal 93, 12-13).
Io, dice il Signore, ho illuminato i profeti sin dall\'inizio, e anche ora non cesso di parlare a tutti. Molti però alla mia voce stan duri e sordi. Ascoltano più volentieri il mondo che non Dio. Seguono più facilmente il desiderio della carne che non il piacere di Dio. Il mondo promette cose temporali, meschine e lo si serve con grande fervore. Io prometto le cose più alte, le cose eterne e i cuori degli uomini stan lì intorpiditi. Chi serve me con tanta cura, chi obbedisce a me in tutto, come si serve al mondo e ai suoi padroni?
Arrossisci dunque, servo pigro e querulo, al vedere che si trovano più pronti loro alla perdizione che non tu alla vita.
Godono più loro della vanità, che non tu della verità. Di fatto, spesso la loro speranza li inganna; ma la promessa mia non inganna nessuno, né rimanda a mani vuote chi in me confida. Quel che ho promesso, manterrò; quel che ho detto, adempirò; purché si resti fermi e fedeli nel mio amore sino alla fine. Sono io che rimunero tutti i buoni e metto a forte prova tutti i devoti.
Scrivi le mie parole nel tuo cuore, e meditale con diligenza; nel tempo della tentazione ti saranno indispensabili. Quel che non capisci mentre leggi, lo capirai nel giorno della prova. Sono solito provare i miei in due maniere: con la tentazione, e con la consolazione. E impartisco loro ogni giorno due lezioni: una rimproverando i loro vizi, l\'altra esortandoli a crescere nelle virtù.
Chi ha le mie parole e le disprezza, ha chi lo giudicherà nel giorno ultimo (cfr. Gv 12, 48).
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10/09/2013 08:31
 
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Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate
(Disc. 5 su argomenti vari, 1-4; Opera omnia, ed. Cisterc. 6, 1[1970] 98-103)
Io starò al mio posto di guardia
per sentire ciò che mi dirà il Signore

Leggiamo nel vangelo che, mentre il Signore predicava e invitava i suoi discepoli a partecipare alla sua passione nel sacramento conviviale del suo corpo, alcuni dissero: Questo linguaggio è duro, e da quel momento non andarono più con lui. I discepoli, invece, interrogati se volessero andarsene anche loro risposero: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6, 68).
Così vi dico, fratelli: Fino ad oggi ci sono persone per le quali è chiaro che le parole di Gesù sono spirito e vita e perciò lo seguono. Ad altri invece paiono dure e cercano altrove ben magre consolazioni. La Sapienza fa sentire la sua voce sulle piazze, vale a dire ammonisce quelli che camminano per la via larga e spaziosa che conduce alla morte, per richiamare indietro quanti vi camminano.
Essa grida: «Per quarant\'anni mi disgustai di quella generazione e dissi: Sono un popolo dal cuore traviato» (Sal 94, 10). In un altro salmo trovi: Il Signore ha parlato una sola volta (cfr. Sal 61, 12). Certo, una sola volta, perché parla sempre. Infatti unico e non interrotto, ma continuo e senza fine è il suo parlare.
Invita i peccatori a rientrare in sé, li rimprovera per lo sbandamento del cuore, perché ivi egli abita ed ivi parla, eseguendo di persona l\'invito rivolto attraverso il profeta: «Parlate al cuore di Gerusalemme» (Is 40, 2).
Vedete, fratelli, quanto salutarmente ci ammonisca il profeta perché, se oggi udiamo la sua voce non induriamo i nostri cuori. Sono press\'a poco le medesime parole che si leggono nel vangelo. Il Signore infatti dice: «Le mie pecore ascoltano la mia voce» (Gv 10, 27). Vi fa eco il detto del santo Davide: «Popolo del suo pascolo (senza dubbio quello del Signore) e gregge che egli conduce. Ascoltate oggi la sua voce: non indurite il cuore» (Sal 94, 7-8).
Ascoltate infine il profeta Abacuc. Egli non nasconde il rimprovero del Signore, anzi lo trasmette con fedeltà e zelo. Dice infatti: Mi metterò di sentinella, in piedi nella fortezza, a spiare, per vedere che cosa mi dirà e che cosa debba rispondere ai rimproveri che il Signore mi fa (cfr. Ab 2, 1).
Anche noi dunque, fratelli, stiamo al nostro posto di guardia, perché è tempo di combattimento.
Rientriamo in noi stessi, esaminiamo il nostro cuore, dove abita Cristo, comportiamoci con saggezza e giudizio. Però la nostra fiducia non risiede in noi stessi. Poggerebbe infatti su un fondamento troppo debole.
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11/09/2013 07:01
 
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Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate
(Disc. 5 su argomenti vari, 4-5; Opera omnia
ed. Cisterc. 6, 1 [1970] 103-104)
I gradi di contemplazione

Entriamo nella fortezza fondata su Cristo, pietra solidissima che non vacilla mai. Sforziamoci con tutto l\'impegno di rimanere in essa. Si verificherà allora su di noi il detto: «Egli ha stabilito i miei piedi sulla roccia, ha reso sicuri i miei passi» (Sal 39, 3). Così, bene fondati e resi sicuri, diamoci ormai alla contemplazione per considerare cosa voglia il Signore da noi, cosa gli piaccia e cosa torni gradito ai suoi occhi. Sappiamo che «tutti quanti manchiamo in molte cose» (Gc 3, 2) e che il nostro sforzo malauguratamente si dirige contro il suo santo volere, invece di unirsi e aderire ad esso. Umiliamoci perciò sotto la mano potente del Dio altissimo e cerchiamo in ogni modo di riconoscerci come realmente siamo agli occhi della sua misericordia, dicendo: «Guariscimi, o Signore, e sarò guarito, salvami e io sarò salvo» (Ger 17, 14). Possiamo fare anche quest\'altra preghiera: «Pietà di me, Signore; risanami, contro di te ho peccato» (Sal 40, 5).
Quando l\'occhio del cuore si è schiarito alla luce di questa preghiera, rigettiamo l\'amarezza che vuole entrare nel nostro spirito, e apriamoci piuttosto alla grande gioia che sta nel riposare sullo Spirito di Dio. Più che la volontà di Dio, qual è in noi, contempliamo la volontà di Dio in se stessa. Infatti «nella volontà di Dio si trova la vita» (Sal 29, 6 volg.). Ciò che combacia con la sua volontà è senza dubbio per noi più utile e più rispondente alle nostre esigenze.
Conserviamo con sollecitudine la vita dell\'anima e, con una medesima premura, asteniamoci dal seguire vie che non si concilino con essa. Quando ormai abbiamo fatto qualche progresso nella via spirituale sotto la guida dello Spirito Santo, che scruta anche le profondità di Dio, usciamo da noi ed entriamo in lui che è tanto buono. Preghiamo con il profeta per conoscere la sua volontà, e visitiamo non più il nostro cuore, ma il suo tempio dicendo: «In me si abbatte l\'anima mia, perciò di te mi ricordo» (Sal 41, 7).
Dobbiamo guardare noi stessi e dolerci dei nostri peccati in ordine alla salvezza. Ma dobbiamo anche guardare Dio, respirare in lui per avere la gioia e la consolazione dello Spirito Santo. Da una parte ci verrà il timore e l\'umiltà, dall\'altra la speranza e l\'amore.
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12/09/2013 09:02
 
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Dal «Commento sui salmi» di san Bruno, monaco
(Sal. 83, ed. Certosa N. Dame des Prés, 1891, 376-377)
Come potrò dimenticarmi di te, Gerusalemme?

«Quanto sono amabili le tue dimore! L\'anima mia anela di giungere negli atri del Signore» (Sal 83, 2 volg.), cioè nella magnificenza della Gerusalemme celeste, che è la città di Dio. Perché, o Signore, il profeta sospira di giungere ai tuoi atri? Perché tu sei il Dio delle schiere celesti, mio re e mio Dio. E allora «Beato chi abita la tua casa» (Sal 83, 5), la Gerusalemme celeste! Come se dicesse: Chi non bramerebbe venire nei tuoi atri, dal momento che tu sei Dio, e cioè creatore e Signore delle schiere e re dell\'universo? Per questo veramente beati sono tutti quelli che abitano nella tua casa.
Atri e casa qui sono tutt\'uno. Quando il salmista dice «beati» vuol far capire che essi godono tanta felicità quanta se ne può immaginare. Ed è chiaro che per questo sono beati, perché ti loderanno con devozione ed amore per tutti i secoli dei secoli (cfr. Sal 83, 5), cioè in eterno; infatti non loderebbero in eterno, se non fossero felici in eterno.
Nessuno certo potrebbe giungere a questo traguardo con le sole sue forze, anche se ha speranza, fede e carità; ma «Beato chi trova in te la sua forza» (Sal 83, 6) per l\'ascesa alla beatitudine desiderata dal suo cuore. In altre parole arriverà alla felicità solo colui che decide in cuor suo di arrivare alla grande meta mediante le buone opere. Egli riceverà l\'aiuto della tua grazia, senza la quale nessuno può presumere di giungere alla vetta della somma gioia.
Lo dice il Signore stesso: «Nessuno è salito al cielo», cioè con le sue sole forze, «fuorché il figlio dell\'uomo che è disceso dal cielo» (Gv 3, 13).
Dio ha predisposto i gradini proprio perché noi ci troviamo in fondo alla valle, «nella valle del pianto» (Sal 83, 6. 7 volg.), cioè in questa vita che è meschina e piena di lacrime per le tribolazioni, in confronto con l\'altra vita che è una montagna piena di gioia.
Siccome poi il salmista aveva detto: «Beato l\'uomo che trova in te la sua forza», qualcuno potrebbe domandare: Ma Dio aiuta per l\'ascensione alla felicità? Risponde che i beati sono aiutati certamente da Dio: infatti il legislatore, cioè Cristo che ci ha dato la legge, dà e darà continuamente la sua benedizione, cioè molti e svariati doni di grazia. Benedirà i suoi, cioè li innalzerà alla felicità. Per mezzo di questa stessa benedizione «cresce lungo il cammino il loro vigore» (Sal 83, 8), perché in futuro possano vedere nella Sion celeste Cristo, Dio degli dèi, quando apparirà. Essendo lui Dio, deificherà anche i suoi. Si può intendere anche in un altro modo: a quanti formano Sion apparirà, in spirito, Dio degli dèi, cioè Dio uno e trino, vale a dire: con l\'intelligenza vedranno Dio in sé, che qui non possono vedere poiché Dio sarà tutto in tutti (cfr. 1 Cor 15, 28).
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20/09/2013 06:34
 
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Dall\'ultima esortazione di sant\'Andrea Kim Taegòn, prete e martire
(Cfr. Pro Corea. Documenta ed. Mission Catholique Séoul,
Séoul - Paris 1938, vol. I, 74-75)
Una fede suggellata dall\'amore e dalla perseveranza

Fratelli e amici carissimi, pensate e ripensate: all\'inizio dei tempi Dio creò il cielo e la terra (cfr. Gn 1, 1) e tutte le cose; chiedetevi il perché e con quale disegno abbia plasmato in modo così singolare l\'uomo a sua immagine e somiglianza.
Se dunque in questo mondo pieno di pericoli e di miseria non riconoscessimo il Signore come creatore, a nulla ci gioverebbe esser nati e rimanere vivi. Se per grazia di Dio siamo venuti al mondo, pure per la sua grazia abbiamo ricevuto il battesimo e siamo entrati nella Chiesa; e così, divenuti discepoli del Signore, portiamo un nome glorioso. Ma a che cosa gioverebbe avere un così grande nome senza la coerenza della vita? Vano sarebbe esser nati ed entrati nella Chiesa; anzi sarebbe un tradire il Signore e la sua grazia. Meglio sarebbe non esser nati che aver ricevuto la grazia del Signore e peccare contro di lui.
Guardate l\'agricoltore che semina nel campo (cfr. Gc 5, 7-8): a tempo opportuno ara la terra, poi la concima e stimando un niente la fatica portata sotto il sole, coltiva il seme prezioso. Quando le spighe sono mature e giunge il tempo della mietitura, il suo cuore, dimenticando fatica e sudore, si rallegra ed esulta per la felicità. Se invece le spighe sono vuote e non gli resta altro che paglia e pula, il contadino, ricordando il duro lavoro e il sudore, quanto più aveva coltivato quel campo, tanto più lo lascerà in abbandono.
Similmente ha fatto il Signore con noi: la terra è il suo campo, noi uomini i germogli, la grazia il concime. Mediante la sua incarnazione e redenzione egli ci ha irrigato con il suo sangue, perché potessimo crescere e giungere a maturazione.
Quando nel giorno del giudizio verrà il tempo di raccogliere, colui che sarà trovato maturo nella grazia, godrà nel regno dei cieli come figlio adottivo di Dio: ma chi sarà rimasto senza frutto, pur essendo stato figlio adottivo, diventerà nemico e sarà punito in eterno come merita.
Fratelli carissimi, sappiate con certezza che il Signore nostro Gesù, venuto nel mondo, ha preso su di sé dolori innumerevoli, con la sua passione ha fondato la santa Chiesa e la fa crescere con le prove e il martirio dei fedeli. Sebbene le potenze del mondo la opprimano e la combattano, tuttavia non potranno mai prevalere. Dopo l\'Ascensione di Gesù, dal tempo degli Apostoli fino ai nostri giorni, in ogni parte della terra la santa Chiesa cresce in mezzo alle tribolazioni.
Così nel corso dei cinquanta o sessanta anni da quando la santa Chiesa è entrata nella nostra Corea, i fedeli hanno dovuto affrontare più volte la persecuzione e oggi infuria più che mai. Perciò numerosi amici nella stessa fede, anch\'io fra essi, sono stati gettati in carcere e voi pure rimanete in mezzo alla tribolazione. Se è vero che formiamo un solo corpo, come non saremo rattristati nell\'intimo dei nostri cuori? Come non sperimenteremo secondo il sentimento umano il dolore della separazione?
Tuttavia, come dice la Scrittura, Dio ha cura del più piccolo capello del capo (cfr. Mt 10, 30) e ne tiene conto nella sua onniscienza; come dunque potrà essere considerata una così violenta persecuzione se non una disposizione divina, un premio oppure una pena?
Abbracciate dunque la volontà di Dio e con tutto il cuore sostenete il combattimento per Gesù, re del cielo; anche voi vincerete il dèmone di questo mondo, già sconfitto da Cristo.
Vi scongiuro: non trascurate l\'amore fraterno, ma aiutatevi a vicenda; e fino a quando il Signore vi userà misericordia allontanando la tribolazione, perseverate.
Qui siamo in venti, e per grazia di Dio stiamo ancora tutti bene. Se qualcuno verrà ucciso, vi supplico di avere cura della sua famiglia.
Avrei ancora molte cose da dire, ma come posso esprimerle con la penna e la carta? Termino la mia lettera. Essendo ormai vicini al combattimento io vi prego di camminare nella fedeltà; e alla fine, entrati nel cielo, ci rallegreremo insieme.
Vi bacio per l\'ultima volta in segno del mio amore.
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21/09/2013 08:40
 
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Dalle «Omelie» di san Beda il Venerabile, sacerdote
(Om. 21; CCL 122, 149-151)
Gesù lo guardò con sentimento di pietà e lo scelse

Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi» (Mt 9, 9). Vide non tanto con lo sguardo degli occhi del corpo, quanto con quello della bontà interiore. Vide un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: «Seguimi». Gli disse «Seguimi», cioè imitami. Seguimi, disse, non tanto col movimento dei piedi, quanto con la pratica della vita. Infatti «chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato» (1 Gv 2, 6).
«Ed egli si alzò, prosegue, e lo seguì» (Mt 9, 9). Non c\'è da meravigliarsi che un pubblicano alla prima parola del Signore, che lo invitava, abbia abbandonato i guadagni della terra che gli stavano a cuore e, lasciate le ricchezze, abbia accettato di seguire colui che vedeva non avere ricchezza alcuna. Infatti lo stesso Signore che lo chiamò esternamente con la parola, lo istruì all\'interno con un\'invisibile spinta a seguirlo. Infuse nella sua mente la luce della grazia spirituale con cui potesse comprendere come colui che sulla terra lo strappava alle cose temporali era capace di dargli in cielo tesori incorruttibili.
«Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli» (Mt 9, 10). Ecco dunque che la conversione di un solo pubblicano servì di stimolo a quella di molti pubblicani e peccatori, e la remissione dei suoi peccati fu modello a quella di tutti costoro. Fu un autentico e magnifico segno premonitore di realtà future. Colui che sarebbe stato apostolo e maestro della fede attirò a sé una folla di peccatori già fin dal primo momento della sua conversione. Egli cominciò, subito all\'inizio, appena apprese le prime nozioni della fede, quella evangelizzazione che avrebbe portato avanti di pari passo col progredire della sua santità. Se desideriamo penetrare più a fondo nel significato di ciò che è accaduto, capiremo che egli non si limitò a offrire al Signore un banchetto per il suo corpo nella propria abitazione materiale ma, con la fede e l\'amore, gli preparò un convito molto più gradito nell\'intimo del suo cuore. Lo afferma colui che dice: «Ecco, sto alla porta e busso; se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3, 20).
Gli apriamo la porta per accoglierlo, quando, udita la sua voce, diamo volentieri il nostro assenso ai suoi segreti o palesi inviti e ci applichiamo con impegno nel compito da lui affidatoci. Entra quindi per cenare con noi e noi con lui, perché con la grazia del suo amore viene ad abitare nei cuori degli eletti, per ristorarli con la luce della sua presenza. Essi così sono in grado di avanzare sempre più nei desideri del cielo. A sua volta, riceve anche lui ristoro mediante il loro amore per le cose celesti, come se gli offrissero vivande gustosissime.
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23/09/2013 07:39
 
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Dalle lettere di san Pio da Pietrelcina, sacerdote
(Edizione 1994: II, 87-90, n. 8).
Pietre dell\'eterno edificio


Con ripetuti colpi di salutare scalpello e con diligente ripulitura l\'Artista divino vuole preparare le pietre con le quali costruire l\'edificio eterno. Così canta la nostra tenerissima madre, la santa Chiesa Cattolica, nell\'inno dell\'ufficio della dedicazione della chiesa. E così è veramente.
Molto giustamente si può affermare che ogni anima destinata alla gloria eterna è costituita per innalzare l\'edificio eterno. Un muratore che vuole edificare una casa innanzi tutto deve ben ripulire le pietre che vuole usare per la costruzione. Cosa che ottiene a colpi di martello e scalpello. Allo stesso modo si comporta il Padre celeste con le anime elette, che la somma sapienza e provvidenza fin dall\'eternità ha destinate ad innalzare l\'edificio eterno.
Dunque, l\'anima destinata a regnare con Gesù Cristo nella gloria eterna deve essere ripulita a colpi di martello e di scalpello, di cui l\'Artista divino si serve per preparare le pietre, cioè le anime elette. Ma quali sono questi colpi di martello e di scalpello? Sorella mia, sono le ombre, i timori, le tentazioni, le afflizioni di spirito e i tremori spirituali con qualche aroma di desolazione e anche il malessere fisico.
Ringraziate, quindi, l\'infinita pietà dell\'eterno Padre che tratta così la vostra anima perché destinata alla salvezza. Perché non gloriarsi di questo trattamento amoroso del più buono di tutti i padri? Aprite il cuore a questo celeste medico delle anime e abbandonatevi con piena fiducia tra le sue santissime braccia. Egli vi tratta come gli eletti, affinché seguiate Gesù da vicino sull\'erta del Calvario. Io vedo con gioia e con vivissima commozione dell\'animo come la grazia ha operato in voi.
Siate certi che tutto quello che ha sperimentato la vostra anima è stato disposto dal Signore. Non abbiate perciò timore di incorrere nel male e nell\'offesa di Dio. Vi basti sapere che in tutto questo mai avete offeso il Signore, anzi che lui ne è rimasto ancor più glorificato.
Se questo tenerissimo Sposo si nasconde alla vostra anima non è perché, come pensate, voglia vendicarsi della vostra infedeltà, ma perché mette sempre più alla prova la vostra fedeltà e costanza e inoltre vi purifica da alcuni difetti, che non appaiono tali agli occhi carnali, cioè quei difetti e quelle colpe, dai quali neppure il giusto è esente. Nelle sacre pagine è infatti scritto: «Il giusto cade sette volte» (Pr 24, 16).
E credetemi che se non vi sapessi così afflitti, sarei meno contento, perché vedrei che il Signore vi dona meno gemme preziose? Scacciate come tentazioni i dubbi contrari? Scacciate anche i dubbi che riguardano il modo di essere della vostra vita, cioè che non ascoltate le ispirazioni divine e che resistete ai dolci inviti dello Sposo. Tutto questo non proviene da spirito buono, ma da spirito cattivo. Si tratta di arti diaboliche, che cercano di allontanarvi dalla perfezione o almeno di ritardare il vostro cammino verso di essa. Non vi perdete di coraggio!
Se Gesù si manifesta, ringraziatelo; se si nasconde, ringraziatelo ancora: sono scherzi di amore. Mi auguro che arriviate a spirare con Gesù sulla croce ed esclamare con Gesù: «Consummatum est» (Gv 19, 30).
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27/09/2013 09:33
 
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Da alcune «Lettere e conferenze spirituali» di san Vincenzo de\' Paoli, sacerdote
(Cfr. lett. 2546, ecc.; Correspondance, entretiens, documents, Paris 1922-1925, passim)
Servire Cristo nei poveri

Non dobbiamo regolare il nostro atteggiamento verso i poveri da ciò che appare esternamente in essi e neppure in base alle loro qualità interiori. Dobbiamo piuttosto considerarli al lume della fede. Il Figlio di Dio ha voluto essere povero, ed essere rappresentato dai poveri. Nella sua passione non aveva quasi la figura di uomo; appariva un folle davanti ai gentili, una pietra di scandalo per i Giudei; eppure egli si qualifica l\'evangelizzatore dei poveri: «Mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio» (Lc 4, 18).
Dobbiamo entrare in questi sentimenti e fare ciò che Gesù ha fatto: curare i poveri, consolarli, soccorrerli, raccomandarli.
Egli stesso volle nascere povero, ricevere nella sua compagnia i poveri, servire i poveri, mettersi al posto dei poveri, fino a dire che il bene o il male che noi faremo ai poveri lo terrà come fatto alla sua persona divina. Dio ama i poveri, e, per conseguenza, ama quelli che amano i poveri. In realtà quando si ama molto qualcuno, si porta affetto ai suoi amici e ai suoi servitori. Così abbiamo ragione di sperare che, per amore di essi, Dio amerà anche noi.
Quando andiamo a visitarli, cerchiamo di capirli per soffrire con loro, e di metterci nella disposizione interiore dell\'Apostolo che diceva: «Mi sono fatto tutto a tutti» (1 Cor 9, 22). Sforziamoci perciò di diventare sensibili alle sofferenze e alle miserie del prossimo. Preghiamo Dio, per questo, che ci doni lo spirito di misericordia e di amore, che ce ne riempia e che ce lo conservi.
Il servizio dei poveri deve essere preferito a tutto. Non ci devono essere ritardi. Se nell\'ora dell\'orazione avete da portare una medicina o un soccorso a un povero, andatevi tranquillamente.
Offrite a Dio la vostra azione, unendovi l\'intenzione dell\'orazione. Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l\'orazione. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un\'opera di Dio per farne un\'altra. Se lasciate l\'orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa. È una grande signora: bisogna fare ciò che comanda.
Tutti quelli che ameranno i poveri in vita non avranno alcun timore della morte. Serviamo dunque con rinnovato amore i poveri e cerchiamo i più abbandonati. Essi sono i nostri signori e padroni.
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01/10/2013 08:16
 
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Dall\'«Autobiografia» di santa Teresa di Gesù Bambino, vergine
(Manuscrits autobiographiques, Lisieux 1957, 227-229)
Nel cuore della Chiesa io sarò l\'amore

Siccome le mie immense aspirazioni erano per me un martirio, mi rivolsi alle lettere di san Paolo, per trovarvi finalmente una risposta. Gli occhi mi caddero per caso sui capitoli 12 e 13 della prima lettera ai Corinzi, e lessi nel primo che tutti non possono essere al tempo stesso apostoli, profeti e dottori e che la Chiesa si compone di varie membra e che l\'occhio non può essere contemporaneamente la mano. Una risposta certo chiara, ma non tale da appagare i miei desideri e di darmi la pace.
Continuai nella lettura e non mi perdetti d\'animo. Trovai così una frase che mi diede sollievo: «Aspirate ai carismi più grandi. E io vi mostrerò una via migliore di tutte» (1 Cor 12, 31). L\'Apostolo infatti dichiara che anche i carismi migliori sono un nulla senza la carità, e che questa medesima carità è la via più perfetta che conduce con sicurezza a Dio. Avevo trovato finalmente la pace.
Considerando il corpo mistico della Chiesa, non mi ritrovavo in nessuna delle membra che san Paolo aveva descritto, o meglio, volevo vedermi in tutte. La carità mi offrì il cardine della mia vocazione. Compresi che la Chiesa ha un corpo composto di varie membra, ma che in questo corpo non può mancare il membro necessario e più nobile. Compresi che la Chiesa ha un cuore, un cuore bruciato dall\'amore. Capii che solo l\'amore spinge all\'azione le membra della Chiesa e che, spento questo amore, gli apostoli non avrebbero più annunziato il Vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro sangue. Compresi e conobbi che l\'amore abbraccia in sé tutte le vocazioni, che l\'amore è tutto, che si estende a tutti i tempi e a tutti i luoghi, in una parola, che l\'amore è eterno.
Allora con somma gioia ed estasi dell\'animo gridai: O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia vocazione. La mia vocazione è l\'amore. Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto me lo hai dato tu, o mio Dio.
Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l\'amore ed in tal modo sarò tutto e il mio desiderio si tradurrà in realtà.
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04/10/2013 08:12
 
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Dalla «Lettera a tutti i fedeli» di san Francesco d\'Assisi
(Opuscoli, ed. Quaracchi 1949, 87-94)
Dobbiamo essere semplici, umili e puri

Il Padre altissimo fece annunziare dal suo arcangelo Gabriele alla santa e gloriosa Vergine Maria che il Verbo del Padre, così degno, così santo e così glorioso, sarebbe disceso dal cielo, e dal suo seno avrebbe ricevuto la vera carne della nostra umanità e fragilità. Egli, essendo oltremodo ricco, volle tuttavia scegliere, per sé e per la sua santissima Madre, la povertà.
All\'approssimarsi della sua passione, celebrò la Pasqua con i suoi discepoli. Poi pregò il Padre dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice» (Mt 26, 39).
Pose tuttavia la sua volontà nella volontà del Padre. E la volontà del Padre fu che il suo Figlio benedetto e glorioso, dato a noi e nato per noi, offrisse se stesso nel proprio sangue come sacrificio e vittima sull\'altare della croce. Non si offrì per se stesso, non ne aveva infatti bisogno lui, che aveva creato tutte le cose. Si offrì invece per i nostri peccati, lasciandoci l\'esempio perché seguissimo le sue orme (cfr. 1 Pt 2, 21). E il Padre vuole che tutti ci salviamo per mezzo di lui e lo riceviamo con puro cuore e casto corpo.
O come sono beati e benedetti coloro che amano il Signore e ubbidiscono al suo Vangelo! È detto infatti: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore e con tutta la tua anima, e il prossimo tuo come te stesso» (Lc 10, 27). Amiamo dunque Dio e adoriamolo con cuore puro e pura mente, perché egli stesso questo ricerca sopra ogni cosa quando dice «I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4, 23). Dunque tutti quelli che l\'adorano devono adorarlo in spirito e verità. Rivolgiamo a lui giorno e notte lodi e preghiere, perché dobbiamo sempre pregare e non stancarci mai (cfr. Lc 18, 1), e diciamogli: «Padre nostro, che sei nei cieli» (Mt 6, 9).
Facciamo inoltre «frutti degni di conversione» (Mt 3, 8) e amiamo il prossimo come noi stessi. Siamo caritatevoli, siamo umili, facciamo elemosine perché esse lavano le nostre anime dalle sozzure del peccato.
Gli uomini perdono tutto quello che lasciano in questo mondo. Portano con sé solo la mercede della carità e delle elemosine che hanno fatto. È il Signore che dà loro il premio e la ricompensa.
Non dobbiamo essere sapienti e prudenti secondo la carne, ma piuttosto semplici, umili e casti. Non dobbiamo mai desiderare di essere al di sopra degli altri, ma piuttosto servi e sottomessi a ogni umana creatura per amore del Signore. E su tutti coloro che avranno fatte tali cose e perseverato fino alla fine, riposerà lo Spirito del Signore. Egli porrà in essi la sua dimora ed abitazione. Saranno figli del Padre celeste perché ne compiono le opere. Saranno considerati come fossero per il Signore o sposa o fratello o madre.
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07/10/2013 07:18
 
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Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate
(Disc. «De aqu?ductu»;
Opera omnia, edit. Cisterc. 5 [1968] 282-283)
Bisogna meditare i misteri della salvezza

Il Santo che nascerà da te, sarà chiamato Figlio di Dio (cfr. Lc 1, 35), fonte della sapienza, Verbo del Padre nei cieli altissimi.
Il Verbo, o Vergine santa, si farà carne per mezzo tuo, e colui che dice: «Io sono nel Padre e il Padre è in me» (Gv 10, 38) dirà anche: «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo» (Gv 16, 28).
Dunque «In principio era il Verbo», cioè già scaturiva la fonte, ma ancora unicamente in se stessa, perché al principio «Il Verbo era presso Dio» (Gv 1, 1), abitava la sua luce inaccessibile. Poi il Signore cominciò a formulare un piano: Io nutro progetti di pace e non di sventura (cfr. Ger 29, 11). Ma il progetto di Dio rimaneva presso di lui e noi non eravamo in grado di conoscerlo. Infatti: Chi conosce il pensiero del Signore e chi gli può essere consigliere? (cfr. Rm 11, 24). E allora il pensiero di pace si calò nell\'opera di pace: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14); venne ad abitare particolarmente nei nostri cuori per mezzo della fede. Divenne oggetto del nostro ricordo, del nostro pensiero e della nostra stessa immaginazione.
Se egli non fosse venuto in mezzo a noi, che idea si sarebbe potuto fare di Dio l\'uomo, se non quella di un idolo, frutto di fantasia?
Sarebbe rimasto incomprensibile e inaccessibile, invisibile e del tutto inimmaginabile. Invece ha voluto essere compreso, ha voluto essere veduto, ha voluto essere immaginato. Dirai: Dove e quando si rende a noi visibile? Appunto nel presepio, in grembo alla Vergine, mentre predica sulla montagna, mentre passa la notte in preghiera, mentre pende sulla croce e illividisce nella morte, oppure mentre, libero tra i morti, comanda sull\'inferno, o anche quando risorge il terzo giorno e mostra agli apostoli le trafitture dei chiodi, quali segni di vittoria, e, finalmente, mentre sale al cielo sotto i loro sguardi.
Non è forse cosa giusta, pia e santa meditare tutti questi misteri? Quando la mia mente li pensa, vi trova Dio, vi sente colui che in tutto e per tutto è il mio Dio. È dunque vera sapienza fermarsi su di essi in contemplazione. È da spiriti illuminati riandarvi per colmare il proprio cuore del dolce ricordo del Cristo.
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11/10/2013 08:28
 
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Dal «Primo Commonitorio» di san Vincenzo di Lerins, sacerdote
(Cap. 23; PL 50, 667-668)
Lo sviluppo del dogma

Qualcuno forse potrà domandarsi: non vi sarà mai alcun progresso della religione nella Chiesa di Cristo? Vi sarà certamente e anche molto grande.
Chi infatti può esser talmente nemico degli uomini e ostile a Dio da volerlo impedire? Bisognerà tuttavia stare bene attenti che si tratti di un vero progresso della fede e non di un cambiamento. Il vero progresso avviene mediante lo sviluppo interno. Il cambiamento invece si ha quando una dottrina si trasforma in un\'altra.
È necessario dunque che, con il progredire dei tempi, crescano e progrediscano quanto più possibile la comprensione, la scienza e la sapienza così dei singoli come di tutti, tanto di uno solo, quanto di tutta la Chiesa. Devono però rimanere sempre uguali il genere della dottrina, la dottrina stessa, il suo significato e il suo contenuto. La religione delle anime segue la stessa legge che regola la vita dei corpi. Questi infatti, pur crescendo e sviluppandosi con l\'andare degli anni, rimangono i medesimi di prima. Vi è certamente molta differenza fra il fiore della giovinezza e la messe della vecchiaia, ma sono gli stessi adolescenti di una volta quelli che diventano vecchi. Si cambia quindi l\'età e la condizione, ma resta sempre il solo medesimo individuo. Unica e identica resta la natura, unica e identica la persona.
Le membra del lattante sono piccole, più grandi invece quelle del giovane. Però sono le stesse. Le membra dell\'uomo adulto non hanno più le proporzioni di quelle del bambino. Tuttavia quelle che esistono in età più matura esistevano già, come tutti sanno, nell\'embrione, sicché quanto a parti del corpo, niente di nuovo si riscontra negli adulti che non sia stato già presente nei fanciulli, sia pure allo stato embrionale.
Non vi è alcun dubbio in proposito. Questa è la vera e autentica legge del progresso organico. Questo è l\'ordine meraviglioso disposto dalla natura per ogni crescita. Nell\'età matura si dispiega e si sviluppa in forme sempre più ampie tutto quello che la sapienza del creatore aveva formato in antecedenza nel corpicciuolo del piccolo.
Se coll\'andar del tempo la specie umana si cambiasse talmente da avere una struttura diversa oppure si arricchisse di qualche membro oltre a quelli ordinari di prima, oppure ne perdesse qualcuno, ne verrebbe di conseguenza che tutto l\'organismo ne risulterebbe profondamente alterato o menomato. In ogni caso non sarebbe più lo stesso.
Anche il dogma della religione cristiana deve seguire queste leggi. Progredisce, consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l\'età. È necessario però che resti sempre assolutamente intatto e inalterato.
I nostri antenati hanno seminato già dai primi tempi nel campo della Chiesa il seme della fede. Sarebbe assurdo e incredibile che noi, loro figli, invece della genuina verità del frumento, raccogliessimo il frutto della frode cioè dell\'errore della zizzania.
È anzi giusto e del tutto logico escludere ogni contraddizione tra il prima e il dopo. Noi mietiamo quello stesso frumento di verità che fu seminato e che crebbe fino alla maturazione.
Poiché dunque c\'è qualcosa della primitiva seminagione che può ancora svilupparsi con l\'andar del tempo, anche oggi essa può essere oggetto di felice e fruttuosa coltivazione.
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14/10/2013 08:01
 
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Dal trattato «Contro Fabiano» di san Fulgenzio di Ruspe, vescovo
(Cap. 28, 16-19; CCL 91 A, 813-814)
La partecipazione al corpo e al sangue di Cristo
ci santifica

Nell\'offerta del sacrificio si compie ciò che prescrisse lo stesso Salvatore, come è testimoniato anche da Paolo. Ecco quanto dice l\'Apostolo: «Il Signore Gesù nella notte in cui veniva tradito prese il pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: Questo è il mio corpo che è per voi; fate questo in memoria di me. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo ogni volta che ne bevete in memoria di me. Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga» (1 Cor 11, 23-26).
Perciò il sacrificio viene offerto perché sia annunziata la morte del Signore e si faccia memoria di lui, che per noi ha dato la sua vita. Egli stesso poi dice: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13). Cristo è morto per noi. Perciò quando facciamo memoria della sua morte, durante il sacrificio, invochiamo la venuta dello Spirito Santo quale dono di amore. La nostra preghiera chiede quello stesso amore per cui Cristo si è degnato di essere crocifisso per noi. Anche noi, mediante la grazia dello Spirito Santo, possiamo essere crocifissi al mondo e il mondo a noi. Siamo invitati ad imitare Cristo. Egli per quanto riguarda la sua morte, morì al peccato una volta per tutte; ora invece, per il fatto che vive, vive per Dio. Così anche noi consideriamoci morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù (cfr. Rm 6, 10-11). «Camminiamo in una vita nuova» (Rm 6, 4) mediante il dono dell\'amore.
«Infatti l\'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5). Noi partecipiamo al corpo e al sangue del Signore, noi mangiamo il suo pane e ne beviamo il calice. Perciò dobbiamo morire al mondo e condurre una vita nascosta con Cristo in Dio e crocifiggere la nostra carne con i suoi vizi e le sue concupiscenze (cfr. Col 3, 3; Gal 5, 24).
Tutti i fedeli che amano Dio e il prossimo, anche se non bevono il calice della passione corporale, bevono tuttavia il calice dell\'amore del Signore. Inebriati da esso, mortificano le loro membra e, avendo rivestito il Signore Gesù Cristo, non si danno pensiero dei desideri della carne e non fissano lo sguardo sulle cose che si vedono, ma su quelle che non si vedono. Così chi beve al calice del Signore custodisce la santa carità, senza la quale nulla giova, neppure il dare il proprio corpo alle fiamme. Per il dono della carità poi ci viene dato di essere veramente quello che misticamente celebriamo in modo sacramentale nel sacrificio.
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15/10/2013 08:50
 
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Dalle «Opere» di santa Teresa di Gesù, vergine
(Opusc. «Il libro della vita», cap. 22, 6 - 7, 14)
Ricordiamoci sempre dell\'amore di Cristo

Chi ha come amico Cristo Gesù e segue un capitano così magnanimo come lui, può certo sopportare ogni cosa; Gesù infatti aiuta e dà forza, non viene mai meno ed ama sinceramente. Infatti ha sempre riconosciuto e tuttora vedo chiaramente che non possiamo piacere a Dio e da lui ricevere grandi grazie, se non per le mani della sacratissima umanità di Cristo, nella quale egli ha detto di compiacersi.
Ne ho fatto molte volte l\'esperienza, e me l\'ha detto il Signore stesso. Ho visto nettamente che dobbiamo passare per questa porta, se desideriamo che la somma Maestà ci mostri i suoi grandi segreti. Non bisogna cercare altra strada, anche se si è raggiunto il vertice della contemplazione, perché per questa via si è sicuri. È da lui, Signore nostro, che ci vengono tutti i beni. Egli ci istruirà.
Meditando la sua vita, non si troverà modello più perfetto. Che cosa possiamo desiderare di più, quando abbiamo al fianco un così buon amico che non ci abbandona mai nelle tribolazioni e nelle sventure, come fanno gli amici del mondo? Beato colui che lo ama per davvero e lo ha sempre con sé! Guardiamo il glorioso apostolo Paolo che non poteva fare a meno di avere sempre sulla bocca il nome di Gesù, perché l\'aveva ben fisso nel cuore. Conosciuta questa verità, ho considerato e ho appreso che alcuni santi molto contemplativi, come Francesco, Antonio da Padova, Bernardo, Caterina da Siena, non hanno seguito altro cammino. Bisogna percorrere questa strada con grande libertà, abbandonandoci nelle mani di Dio. Se egli desidera innalzarci fra i principi della sua corte, accettiamo volentieri tale grazia.
Ogni volta poi, che pensiamo a Cristo, ricordiamoci dell\'amore che lo ha spinto a concederci tante grazie e dell\'accesa carità che Dio ci ha mostrato dandoci in lui un pegno della tenerezza con cui ci segue: amore infatti domanda amore. Perciò sforziamoci di considerare questa verità e di eccitarci ad amare. Se il Signore ci facesse la grazia, una volta, di imprimerci nel cuore questo amore, tutto ci diverrebbe facile e faremmo molto, in breve e senza fatica.
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16/10/2013 08:29
 
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Dalle «Risposte a Talassio» di san Massimo il Confessore, abate
(Risp. 63; PG 90, 667-670)
Luce che illumina ogni uomo

La lampada posta sul candelabro è la luce del Padre, quella vera, che illumina ogni uomo che viene al mondo (cfr. Gv 1, 9). È il Signore nostro Gesù Cristo che, prendendo da noi la nostra carne, divenne e fu chiamato lampada, cioè sapienza e parola connaturale del Padre. È questa lampada che la Chiesa di Dio mostra con fede e amore nella predicazione, e che viene tenuta alta e splende agli occhi dei popoli nella vita santa dei fedeli e nella loro condotta ispirata ai comandamenti. Essa fa luce a tutti quelli della casa, cioè a tutti gli uomini di questo mondo, e perciò la stessa divina parola dice: «Né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa» (Mt 5, 15). Il Verbo chiama se stesso lucerna in quanto, essendo Dio per natura, si fece uomo per dispensare la sua luce.
E anche il grande Davide comprese tutto questo, io penso, quando chiamò il Signore lucerna dicendo: «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Sal 118, 105). Infatti il mio salvatore e mio Dio sa disperdere le tenebre dell\'ignoranza e del vizio, e anche per questo la Scrittura lo chiamò lucerna.
Egli con la sua potenza e sapienza ha dissipato, come fa il sole, ogni nebbia di ignoranza e di vizio, e guida coloro che camminano con lui sulla via della giustizia e dei comandamenti divini.
Chiamò lucerniere la santa Chiesa, perché in essa risplende la parola di Dio mediante la predicazione, e così, con i bagliori della verità, illumina quanti si trovano in questo mondo come in una casa, arricchendo le intelligenze con la conoscenza di Dio.
Questa parola annunziata dalla Chiesa esige di essere posta sulla sommità del lucerniere cioè all\'apice dell\'onore e dell\'impegno di cui la Chiesa è capace. Infatti finché la parola è nascosta dalla lettera della legge come da un moggio, lascia tutti privi della luce eterna. Essa non può trasmettere la visione spirituale a chi non si sforzi di togliere il velo del senso materiale che trae in inganno e può addirittura fuorviare verso l\'errore e la falsità. Invece va posta sul lucerniere della Chiesa. Ciò significa che la parola rivelata va intesa nel senso interiore e spirituale, spiegato dalla Chiesa stessa. Solo così potrà veramente illuminare ogni uomo che si trova nel mondo. Se infatti la Scrittura non viene intesa spiritualmente, mostra solo un significato superficiale e parziale e non può far giungere al cuore tutta la sua ricca sostanza. Guardiamoci dunque dal porre sotto il moggio la lucerna, che accendiamo con la contemplazione e la pratica coerente della parola, cioè non mortifichiamo quella sua energia potente che dà luce e conoscenza. Non riduciamo colpevolmente la indescrivibile vitalità della sapienza a causa della lettera; ma poniamo la lucerna sopra il lucerniere cioè sulla santa Chiesa, di modo che dall\'alta cima di una interpretazione autentica ed esatta, mostri a tutti lo splendore delle verità divine.
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26/10/2013 07:44
 
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Dai «Discorsi» di san Pietro Crisòlogo, vescovo
(Disc. 117; PL 52, 520-521)
Il Verbo, Sapienza di Dio, si è fatto carne

Il beato Apostolo ci ha fatto sapere che due uomini hanno dato principio al genere umano, cioè Adamo e Cristo. Due uomini uguali riguardo al corpo, ma diversi per merito. Somigliantissimi nelle membra, ma quanto mai diversi per la loro stessa origine. «Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l\'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita» (1 Cor 15, 45).
Quel primo fu creato da quest\'ultimo, dal quale ricevette l\'anima per vivere. Questi si è fatto da se stesso, perché è tale che non potrebbe aspettare la vita da un altro, egli che è il solo a dare a tutti la vita. Quello fu plasmato da vilissimo fango, questo viene al mondo dal grembo nobilissimo della Vergine. In quello la terra fu trasformata in carne, in questo la carne viene elevata fino a Dio.
E che più? Questo è il secondo Adamo che plasmò il primo e gli impresse la propria immagine. E così avvenne poi che egli ne prese la natura e il nome, per non dover perdere ciò che egli aveva fatto a sua immagine. C\'è un primo Adamo e c\'è un ultimo Adamo. Il primo ha un principio, l\'ultimo non ha fine. È proprio quest\'ultimo infatti ad essere veramente il primo, dal momento che dice: «Sono io, io solo, il primo e anche l\'ultimo» (Is 48, 12).
«Io sono il primo», cioè senza principio; «io sono l\'ultimo», perché senza fine. «Non ci fu prima il corpo spirituale», dice l\'Apostolo, «ma quello animale, e poi lo spirituale» (1 Cor 15, 46). Certo la terra viene prima del frutto, ma la terra non è tanto preziosa quanto il frutto. Quella richiede lamenti e fatiche, questo dà alimento e vita. Giustamente il profeta si gloria di tal frutto, dicendo: La nostra terra ha dato il suo frutto (cfr. Sal 84, 13). Quale frutto? Evidentemente quello di cui dice altrove: «Il frutto delle tue viscere io metterò sul tuo trono» (Sal 131, 11). «Il primo uomo, tratto dalla terra, dice l\'Apostolo, è di terra; il secondo uomo, invece, che viene dal cielo, è celeste». E continua: «Quale è l\'uomo fatto di terra così sono quelli di terra, ma quale il celeste, così anche i celesti» (1 Cor 15, 47-48). Come mai coloro che non sono nati tali potranno essere trovati celesti, non rimanendo cioè quello che erano quando nacquero, ma continuando ad essere ciò che diventarono quando sono rinati? È questo, fratelli, il motivo per cui lo Spirito celeste con la sua luce divina rende fecondo il fonte verginale. Quelli che la sorgente fangosa aveva messo al mondo nella povera condizione di terrestri, il nuovo fonte li partorisce celesti e li conduce alla somiglianza del loro divino autore. Perciò, ormai rigenerati, ormai riformati ad immagine del nostro creatore, compiamo ciò che comanda l\'Apostolo: «Come abbiamo portato l\'immagine dell\'uomo di terra, così porteremo l\'immagine dell\'uomo celeste» (1 Cor 15, 49).
Rinati ormai a somiglianza di nostro Signore e adottati da Dio come figli, portiamola tutta l\'immagine del nostro Autore, portiamola con totale somiglianza, non nella maestà che a lui solo compete, ma in quella innocenza, semplicità, mitezza, pazienza, umiltà, misericordia, pace, con cui si è degnato di diventare come noi ed essere a noi simile.
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01/11/2013 07:42
 
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Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate
(Disc. 2; Opera omnia, ed. Cisterc. 5 [1968] 364-368)
Affrettiamoci verso i fratelli che ci aspettano

A che serve dunque la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità? Perché ad essi gli onori di questa stessa terra quando, secondo la promessa del Figlio, il Padre celeste li onora? A che dunque i nostri encomi per essi? I santi non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal nostro culto. È chiaro che, quando ne veneriamo la memoria, facciamo i nostri interessi, non i loro.
Per parte mia devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri.
Il primo desiderio, che la memoria dei santi o suscita o stimola maggiormente in noi, è quello di godere della loro tanto dolce compagnia e di meritare di essere concittadini e familiari degli spiriti beati, di trovarci insieme all\'assemblea dei patriarchi, alle schiere dei profeti, al senato degli apostoli, agli eserciti numerosi dei martiri, alla comunità dei confessori, ai cori delle vergini, di essere insomma riuniti e felici nella comunione di tutti i santi.
Ci attende la primitiva comunità dei cristiani, e noi ce ne disinteresseremo? I santi desiderano di averci con loro e noi ce ne mostreremo indifferenti? I giusti ci aspettano, e noi non ce ne prenderemo cura? No, fratelli, destiamoci dalla nostra deplorevole apatia. Risorgiamo con Cristo, ricerchiamo le cose di lassù, quelle gustiamo. Sentiamo il desiderio di coloro che ci desiderano, affrettiamoci verso coloro che ci aspettano, anticipiamo con i voti dell\'anima la condizione di coloro che ci attendono. Non soltanto dobbiamo desiderare la compagnia dei santi, ma anche di possederne la felicità. Mentre dunque bramiamo di stare insieme a loro, stimoliamo nel nostro cuore l\'aspirazione più intensa a condividerne la gloria. Questa bramosia non è certo disdicevole, perché una tale fame di gloria è tutt\'altro che pericolosa.
Vi è un secondo desiderio che viene suscitato in noi dalla commemorazione dei santi, ed è quello che Cristo, nostra vita, si mostri anche a noi come a loro, e noi pure facciamo con lui la nostra apparizione nella gloria. Frattanto il nostro capo si presenta a noi non come è ora in cielo, ma nella forma che ha voluto assumere per noi qui in terra. Lo vediamo quindi non coronato di gloria, ma circondato dalle spine dei nostri peccati.
Si vergogni perciò ogni membro di far sfoggio di ricercatezza sotto un capo coronato di spine. Comprenda che le sue eleganze non gli fanno onore, ma lo espongono al ridicolo.
Giungerà il momento della venuta di Cristo, quando non si annunzierà più la sua morte. Allora sapremo che anche noi siamo morti e che la nostra vita è nascosta con lui in Dio.
Allora Cristo apparirà come capo glorioso e con lui brilleranno le membra glorificate. Allora trasformerà il nostro corpo umiliato, rendendolo simile alla gloria del capo, che è lui stesso.
Nutriamo dunque liberamente la brama della gloria. Ne abbiamo ogni diritto. Ma perché la speranza di una felicità così incomparabile abbia a diventare realtà, ci è necessario il soccorso dei santi. Sollecitiamolo premurosamente. Così, per loro intercessione, arriveremo là dove da soli non potremmo mai pensare di giungere.
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05/11/2013 08:10
 
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Dal Discorso tenuto da san Carlo, vescovo, nell\'ultimo Sinodo
(Acta Ecclesiae Mediolanensis, Milano 1599, 1177-1178)
Vivere la propria vocazione

Tutti siamo certamente deboli, lo ammetto, ma il Signore Dio mette a nostra disposizione mezzi tali che, se lo vogliamo, possiamo far molto. Senza di essi però non sarà possibile tener fede all\'impegno della propria vocazione.
Facciamo il caso di un sacerdote che riconosca bensì di dover essere temperante, di dover dar esempio di costumi severi e santi, ma che poi rifiuti ogni mortificazione, non digiuni, non preghi, ami conversazioni e familiarità poco edificanti; come potrà costui essere all\'altezza del suo ufficio?
Ci sarà magari chi si lamenta che, quando entra in coro per salmodiare, o quando va a celebrare la Messa, la sua mente si popoli di mille distrazioni. Ma prima di accedere al coro o di iniziare la Messa, come si è comportato in sacrestia, come si è preparato, quali mezzi ha predisposto e usato per conservare il raccoglimento?
Vuoi che ti insegni come accrescere maggiormente la tua partecipazione interiore alla celebrazione corale, come rendere più gradita a Dio la tua lode e come progredire nella santità? Ascolta ciò che ti dico. Se già qualche scintilla del divino amore è stata accesa in te, non cacciarla via, non esporla al vento. Tieni chiuso il focolare del tuo cuore, perché non si raffreddi e non perda calore. Fuggi, cioè, le distrazioni per quanto puoi. Rimani raccolto con Dio, evita le chiacchiere inutili.
Hai il mandato di predicare e di insegnare? Studia e applicati a quelle cose che sono necessarie per compiere bene questo incarico.
Da\' sempre buon esempio e cerca di essere il primo in ogni cosa. Prèdica prima di tutto con la vita e la santità, perché non succeda che essendo la tua condotta in contraddizione con la tua prèdica tu perda ogni credibilità.
Eserciti la cura d\'anime? Non trascurare per questo la cura di te stesso, e non darti agli altri fino al punto che non rimanga nulla di te a te stesso. Devi avere certo presente il ricordo delle anime di cui sei pastore, ma non dimenticarti di te stesso.
Comprendete, fratelli, che niente è così necessario a tutte le persone ecclesiastiche quanto la meditazione che precede, accompagna e segue tutte le nostre azioni: Canterò, dice il profeta, e mediterò (cfr. Sal 100, 1 volg.). Se amministri i sacramenti, o fratello, medita ciò che fai. Se celebri la Messa, medita ciò che offri. Se reciti i salmi in coro, medita a chi e di che cosa parli. Se guidi le anime, medita da quale sangue siano state lavate; e «tutto si faccia tra voi nella carità» (1 Cor 16,14). Così potremo facilmente superare le difficoltà che incontriamo, e sono innumerevoli, ogni giorno. Del resto ciò è richiesto dal compito affidatoci. Se così faremo avremo la forza per generare Cristo in noi e negli altri.
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08/11/2013 09:05
 
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Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo
(Disc. 7 per il fratello Cesare, 23-24; PG 35, 786-787)
È cosa veramente santa pregare per i morti

«Che cosa è l\'uomo perché te ne ricordi?» (Sal 8, 5). Qual nuovo e grande mistero avvolge la mia esistenza? Perché sono piccolo e insieme grande, umile eppure eccelso, mortale e immortale, terreno ma insieme celeste? La prima condizione viene dal mondo inferiore, l\'altra da Dio; quella dalla sfera materiale, questa dallo spirito.
È necessario che io sia sepolto con Cristo, che risorga con Cristo, che sia coerede di Cristo, che diventi figlio di Dio, anzi che diventi come lo stesso Dio.
Ecco la profonda realtà che è racchiusa in questo nuovo e grande mistero. Dio ha assunto in pieno la nostra umanità ed è stato povero per far risorgere la carne, salvarne l\'immagine primitiva e restaurare così l\'uomo perché diventiamo una cosa sola con Cristo. Egli si è comunicato interamente a noi. Tutto ciò che egli è, è diventato completamente nostro. Sotto ogni aspetto noi siamo lui. Per lui portiamo in noi l\'immagine di Dio dal quale e per il quale siamo stati creati. La fisionomia e l\'impronta che ci caratterizza è quella di Dio. Perciò solo lui può riconoscerci per quel che siamo. Conseguentemente passano in seconda linea le differenze e le distinzioni fisiche e sociali, che pur certamente esistono fra gli uomini. Per questo si può dire che non c\'è più né maschio né femmina, né barbaro né scita, né schiavo né libero (cfr. Col 3, 11).
Dio voglia che anche nel futuro riusciamo a diventare quello che speriamo di essere e che l\'amore di Dio ci ha preparato! Egli esige poco da noi, però ora e sempre fa grandi doni a coloro che lo amano. E allora, pieni di speranza in lui, soffriamo tutto e sopportiamo tutto lietamente. Abbiamo il coraggio di rendergli grazie sempre e dappertutto, nella gioia e nel dolore. Convinciamoci che le tribolazioni sono strumento di salvezza. E poi non dimentichiamoci di raccomandare al Signore le anime nostre e anche quelle di coloro che ci hanno preceduto nel comune viaggio verso la casa paterna.
O Signore, sei tu che hai creato tutte le cose, tu che hai plasmato il mio essere. Tu sei Dio, Padre e guida di tutti gli uomini. Sei il sovrano della vita e della morte. Sei la difesa e la salvezza delle nostre anime. Sei tu che fai tutto. Sei tu che dirigi il progresso di tutte le cose, scegliendo le scadenze più opportune e ubbidendo alla tua infinita sapienza e provvidenza e sempre attraverso la tua parola.
Accogli fra le tue braccia, o Signore, il mio fratello maggiore che ci ha lasciati. A suo tempo accogli anche noi, dopo che ci avrai guidati lungo il pellegrinaggio terreno fino alla meta da te stabilita. Fa\' che ci presentiamo a te ben preparati e sereni, non sconvolti dal timore, non in stato di inimicizia verso di te, almeno nell\'ultimo giorno, quello della nostra dipartita. Fa\' che non ci sentiamo come strappati e sradicati per forza dal mondo e dalla vita e non ci mettiamo quindi contro voglia in cammino. Fa\' invece che veniamo sereni e ben disposti, come chi parte per la vita felice che non finisce mai, per quella vita che è in Cristo Gesù, Signore Nostro, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.
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09/11/2013 08:03
 
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Dai «Discorsi» di san Cesario di Arles, vescovo
(Disc. 229, 1-3; CCL 104, 905-908)
Con il battesimo
siamo tutti diventati tempio di Dio

Con gioia e letizia celebriamo oggi, fratelli carissimi, il giorno natalizio di questa chiesa: ma il tempio vivo e vero di Dio dobbiamo esserlo noi. Questo è vero senza dubbio. Tuttavia i popoli cristiani usano celebrare la solennità della chiesa matrice, poiché sanno che è proprio in essa che sono rinati spiritualmente.
Per la prima nascita noi eravamo coppe dell\'ira di Dio; la seconda nascita ci ha resi calici del suo amore misericordioso. La prima nascita ci ha portati alla morte; la seconda ci ha richiamati alla vita. Prima del battesimo tutti noi eravamo, o carissimi, tempio del diavolo. Dopo il battesimo abbiamo meritato di diventare tempio di Cristo. Se rifletteremo un po\' più attentamente sulla salvezza della nostra anima, non avremo difficoltà a comprendere che siamo il vero e vivo tempio di Dio. «Dio non dimora in templi costruiti dalle mani dell\'uomo» (At 17, 24), o in case fatte di legno e di pietra, ma soprattutto nell\'anima creata a sua immagine per mano dello stesso Autore delle cose. Il grande apostolo Paolo ha detto: «Santo è il tempio di Dio che siete voi» (1 Cor 3, 17). Poiché Cristo con la sua venuta ha cacciato il diavolo dal nostro cuore per prepararsi un tempio dentro di noi, cerchiamo di fare, col suo aiuto, quanto è in nostro potere, perché questo tempio non abbia a subire alcun danno per le nostre cattive azioni. Chiunque si comporta male, fa ingiuria a Cristo. Prima che Cristo ci redimesse, come ho già detto, noi eravamo abitazione del diavolo. In seguito abbiamo meritato di diventare la casa di Dio, solo perché egli si è degnato di fare di noi la sua dimora.
Se dunque, o carissimi, vogliamo celebrare con gioia il giorno natalizio della nostra chiesa, non dobbiamo distruggere con le nostre opere cattive il tempio vivente di Dio. Parlerò in modo che tutti mi possano comprendere: tutte le volte che veniamo in chiesa, riordiniamo le nostre anime così come vorremmo trovare il tempio di Dio. Vuoi trovare una basilica tutta splendente? Non macchiare la tua anima con le sozzure del peccato. Se tu vuoi che la basilica sia piena di luce, ricordati che anche Dio vuole che nella tua anima non vi siano tenebre. Fa\' piuttosto in modo che in essa, come dice il Signore, risplenda la luce delle opere buone, perché sia glorificato colui che sta nei cieli. Come tu entri in questa chiesa, così Dio vuole entrare nella tua anima. Lo ha affermato egli stesso quando ha detto: Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò (cfr. Lv 26, 11. 12).
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11/11/2013 07:43
 
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Dalle «Lettere» di Sulpicio Severo
(Lett. 3, 6. 9-10. 11. 14-17. 21; SC 133, 336-343)
Martino povero e umile

Martino previde molto tempo prima il giorno della sua morte. Avvertì quindi i fratelli che ben presto avrebbe cessato di vivere. Nel frattempo un caso di particolare gravità lo chiamò a visitare la diocesi di Candes. I chierici di quella chiesa non andavano d\'accordo tra loro e Martino, ben sapendo che ben poco gli restava da vivere, desiderando di ristabilire la pace, non ricusò di mettersi in viaggio per una così nobile causa. Pensava infatti che se fosse riuscito a rimettere l\'armonia in quella chiesa avrebbe degnamente coronato la sua vita tutta orientata sulla via del bene.
Si trattenne quindi per qualche tempo in quel villaggio o chiesa dove si era recato finché la pace non fu ristabilita. Ma quando già pensava di far ritorno al monastero, sentì improvvisamente che le forze del corpo lo abbandonavano. Chiamati perciò a sé i fratelli, li avvertì della morte ormai imminente. Tutti si rattristarono allora grandemente, e tra le lacrime, come se fosse uno solo a parlare, dicevano: «Perché, o Padre, ci abbandoni? A chi ci lasci, desolati come siamo? Lupi rapaci assaliranno il tuo gregge e chi ci difenderà dai loro morsi, una volta colpito il pastore? Sappiamo bene che tu desideri di essere con Cristo; ma il tuo premio è al sicuro. Se sarà rimandato non diminuirà. Muoviti piuttosto a compassione di coloro che lasci quaggiù».
Commosso da queste lacrime, egli che, ricco dello spirito di Dio, si muoveva sempre facilmente a compassione, si associò al loro pianto e, rivolgendosi al Signore, così parlò dinanzi a quelli che piangevano: Signore, se sono ancora necessario al tuo popolo, non ricuso la fatica: sia fatta la tua volontà.
O uomo grande oltre ogni dire, invitto nella fatica, invincibile di fronte alla morte! Egli non fece alcuna scelta per sé. Non ebbe paura di morire e non si rifiutò di vivere. Intanto sempre rivolto con gli occhi e con le mani al cielo, non rallentava l\'intensità della sua preghiera. I sacerdoti che erano accorsi intorno a lui, lo pregavano di sollevare un poco il suo povero corpo mettendosi di fianco. Egli però rispose: Lasciate, fratelli, lasciate che io guardi il cielo, piuttosto che la terra, perché il mio spirito, che sta per salire al Signore, si trovi già sul retto cammino. Detto questo si accorse che il diavolo gli stava vicino. Gli disse allora: Che fai qui, bestia sanguinaria? Non troverai nulla in me, sciagurato! Il seno di Abramo mi accoglie.
Nel dire queste parole rese la sua anima a Dio.
Martino sale felicemente verso Abramo. Martino povero e umile entra ricco in paradiso.
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18/11/2013 09:05
 
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Dal Trattato «La remissione» di san Fulgenzio di Ruspe, vescovo
(Lib. 2, 11, 2 - 12, 1. 3-4; CCL 91 A, 693-695)
Chi vincerà non sarà colpito dalla seconda morte

«In un istante, in un batter d\'occhio, al suono dell\'ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati» (1 Cor 15, 52). Quando dice «noi» Paolo mostra che con lui conquisteranno il dono della futura trasformazione coloro che insieme a lui e ai suoi compagni vivono nella comunione ecclesiale e nella vita santa. Spiega poi la qualità di tale trasformazione dicendo: «È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e che questo corpo mortale si vesta di immortalità» (1 Cor 15, 53). In costoro allora seguirà la trasformazione dovuta come giusta ricompensa a una precedente rigenerazione compiuta con atto spontaneo e generoso del fedele. Perciò si promette il premio della rinascita futura a coloro che durante la vita presente sono passati dal male al bene.
La grazia prima opera, come dono divino, il rinnovamento di una risurrezione spirituale mediante la giustificazione interiore. Verrà poi la risurrezione corporale che perfezionerà la condizione dei giustificati. L\'ultima trasformazione sarà costituita dalla gloria. Ma questa mutazione sarà definitiva ed eterna.
Proprio per questo i fedeli passano attraverso le successive trasformazioni della giustificazione, della risurrezione e della glorificazione, perché questa resti immutabile per l\'eternità.
La prima metamorfosi avviene quaggiù mediante l\'illuminazione e la conversione, cioè col passaggio dalla morte alla vita, dal peccato alla giustizia, dalla infedeltà alla fede, dalle cattive azioni ad una santa condotta. Coloro che risuscitano con questa risurrezione non subiscono la seconda morte. Di questi nell\'Apocalisse è detto: «Beati e santi coloro che prendon parte alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte» (Ap 20, 6).
Nel medesimo libro si dice anche: «Il vincitore non sarà colpito dalla seconda morte» (Ap 2, 11). Dunque, come la prima risurrezione consiste nella conversione del cuore, così la seconda morte sta nel supplizio eterno. Pertanto chi non vuol esser condannato con la punizione eterna della seconda morte s\'affretti quaggiù a diventare partecipe della prima risurrezione. Se qualcuno infatti durante la vita presente, trasformato dal timore di Dio, si converte da una vita cattiva a una vita buona, passa dalla morte alla vita e in seguito sarà anche trasformato dal disonore alla gloria.
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19/11/2013 08:56
 
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Dai «Discorsi» di sant\'Andrea di Creta, vescovo
(Disc. 9 sulle Palme; PG 97, 1002)
Ecco viene a te il tuo re, giusto e salvatore

Diciamo anche noi a Cristo e ripetiamolo: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore!» (Mt 21, 9), «Il re di Israele» (Mt 27, 42). Eleviamo verso di lui, come rami di palme, le ultime parole risuonate dalla croce. Seguiamolo festosamente, non agitando ramoscelli di ulivo, ma onorandolo con la nostra carità fraterna. Stendiamo i nostri desideri quasi come mantelli per il suo passaggio, perché, attraverso le nostre aspirazioni, entri nel nostro cuore, si stabilisca completamente dentro di noi, trasformi noi totalmente in lui ed esprima se stesso interamente in noi. Ripetiamo a Sion quel messaggio profetico: Abbi fiducia, figlia di Sion, non temere: Ecco, a te viene il tuo re umile, cavalca un asino (cfr. Zc 9, 9).
Viene colui che è presente in ogni luogo e riempie ogni cosa. Viene per compiere in te la salvezza di tutti. Viene colui il quale non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a penitenza (cfr. Mt 9, 13) per richiamarli dalle vie del peccato. Non temere dunque. Vi è un Dio in mezzo a te; non sarai scossa (cfr. Dt 7, 21). Accoglilo con le braccia aperte. Accogli colui che nelle sue palme ha segnato la linea delle tue mura e ha gettato le tue fondamenta con le sue stesse mani.
Accogli colui che in se stesso accolse tutto ciò che è proprio della natura umana, eccetto il peccato. Rallègrati, o città madre Sion, non temere, «celebra le tue feste» (Na 2, 1). Glorifica colui che per la sua grande misericordia viene a noi per tuo mezzo. Ma gioisci anche di cuore, figlia di Gerusalemme, sciogli il tuo canto, muovi il passo alla danza. «Rivestiti di luce, rivestiti di luce», gridiamo così con Isaia, «perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te» (Is 60, 1).
Ma quale luce? Quella che illumina ogni uomo che viene nel mondo (cfr. Gv 1, 9). Dico la luce eterna, la luce senza tempo che è apparsa nel tempo. La luce che si è manifestata nella carne, luce che per sua natura è occulta. La luce che avvolse i pastori e fu guida ai magi nel loro cammino. La luce che era nel mondo fin dal principio, e per mezzo della quale è stato fatto il mondo, quel mondo che non la conobbe. La luce che venne fra la sua gente e che i suoi non hanno accolto.
«La gloria del Signore», quale gloria? Senza dubbio la croce, sulla quale Cristo è stato glorificato: lui, lo splendore della gloria del Padre, come egli stesso ebbe a dire nella imminenza della sua passione: Ora il Figlio dell\'uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui e ben presto lo glorificherà (cfr. Gv 13, 31-32). Chiama gloria la sua esaltazione sulla croce. La croce di Cristo infatti è gloria ed è la sua esaltazione. Ecco perché dice: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12, 32).
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