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BRANI SCELTI di SANTI e DOTTORI della Chiesa

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:58
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10/06/2012 08:14
 
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Dalle «Opere» di san Tommaso d'Aquino, dottore della Chiesa
(Opusc. 57, nella festa del Corpo del Signore, lect. 1-4)
O prezioso e meraviglioso convito!

L'Unigenito Figlio di Dio, volendoci partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura e si fece uomo per far di noi, da uomini, dèi.
Tutto quello che assunse, lo valorizzò per la nostra salvezza. Offrì infatti a Dio Padre il suo corpo come vittima sull'altare della croce per la nostra riconciliazione. Sparse il suo sangue facendolo valere come prezzo e come lavacro, perché, redenti dalla umiliante schiavitù, fossimo purificati da tutti i peccati.
Perché rimanesse in noi, infine, un costante ricordo di così grande beneficio, lasciò ai suoi fedeli il suo corpo in cibo e il suo sangue come bevanda, sotto le specie del pane e del vino.
O inapprezzabile e meraviglioso convito, che dà ai commensali salvezza e gioia senza fine! Che cosa mai vi può essere di più prezioso? Non ci vengono imbandite le carni dei vitelli e dei capri, come nella legge antica, ma ci viene dato in cibo Cristo, vero Dio. Che cosa di più sublime di questo sacramento?
Nessun sacramento in realtà è più salutare di questo: per sua virtù vengono cancellati i peccati, crescono le buone disposizioni, e la mente viene arricchita di tutti i carismi spirituali. Nella Chiesa l'Eucaristia viene offerta per i vivi e per i morti, perché giovi a tutti, essendo stata istituita per la salvezza di tutti.
Nessuno infine può esprimere la soavità di questo sacramento. Per mezzo di esso si gusta la dolcezza spirituale nella sua stessa fonte e si fa memoria di quella altissima carità, che Cristo ha dimostrato nella sua passione.
Egli istituì l'Eucaristia nell'ultima cena, quando, celebrata la Pasqua con i suoi discepoli, stava per passare dal mondo al Padre.
L'Eucaristia è il memoriale della passione, il compimento delle figure dell'Antica Alleanza, la più grande di tutte le meraviglie operate dal Cristo, il mirabile documento del suo amore immenso per gli uomini.
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13/06/2012 08:28
 
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Dai «Discorsi» di sant'Antonio di Padova, sacerdote
(I, 226)
La predica è efficace quando parlano le opere

Chi è pieno di Spirito Santo parla in diverse lingue. Le diverse lingue sono le varie testimonianze su Cristo: così parliamo agli altri di umiltà, di povertà, di pazienza e obbedienza, quando le mostriamo presenti in noi stessi. La predica è efficace, ha una sua eloquenza, quando parlano le opere. Cessino, ve ne prego, le parole, parlino le opere. Purtroppo siamo ricchi di parole e vuoti di opere, e così siamo maledetti dal Signore, perché egli maledì il fico, in cui non trovò frutto, ma solo foglie. «Una legge, dice Gregorio, si imponga al predicatore: metta in atto ciò che predica». Inutilmente vanta la conoscenza della legge colui che con le opere distrugge la sua dottrina.
Gli apostoli «cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito Santo dava loro il potere di esprimersi» (At 2, 4). Beato dunque chi parla secondo il dettame di questo Spirito e non secondo l\'inclinazione del suo animo. Vi sono infatti alcuni che parlano secondo il loro spirito, rubano le parole degli altri e le propalano come proprie. Di costoro e dei loro simili il Signore dice a Geremia: «Perciò, eccomi contro i profeti, oracolo del Signore, i quali si rubano gli uni gli altri le mie parole. Eccomi contro i profeti, oracolo del Signore, che muovono la lingua per dare oracoli. Eccomi contro i profeti di sogni menzogneri, dice il Signore, che li raccontano e travìano il mio popolo con menzogne e millanterie. Io non li ho inviati né ho dato alcun ordine. Essi non gioveranno affatto a questo popolo. Parola del Signore» (Ger 23, 30-32).
Parliamo quindi secondo quanto ci è dato dallo Spirito Santo, e supplichiamolo umilmente che ci infonda la sua grazia per realizzare di nuovo il giorno di Pentecoste nella perfezione dei cinque sensi e nell'osservanza del decalogo. Preghiamolo che ci ricolmi di un potente spirito di contrizione e che accenda in noi le lingue di fuoco per la professione della fede, perché, ardenti e illuminati negli splendori dei santi, meritiamo di vedere Dio uno e trino.
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15/06/2012 06:40
 
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Dalle «Opere» di san Bonaventura, vescovo
(Opusc. 3, Il legno della vita, 29-30. 47; Opera omnia 8, 79)
Presso di te è la sorgente della vita

Considera anche tu, o uomo redento, chi, quanto grande e di qual natura sia colui che pende per te dalla croce. La sua morte dà la vita ai morti, al suo trapasso piangono cielo e terra, le dure pietre si spaccano.
Inoltre, perché dal fianco di Cristo morto in croce fosse formata la Chiesa e si adempisse la Scrittura che dice: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19, 37), per divina disposizione è stato permesso che un soldato trafiggesse e aprisse quel sacro costato. Ne uscì sangue ed acqua, prezzo della nostra salvezza. Lo sgorgare da una simile sorgente, cioè dal segreto del cuore, dà ai sacramenti della Chiesa la capacità di conferire la vita eterna ed è, per coloro che già vivono in Cristo, bevanda di fonte viva «che zampilla per la vita eterna» (Gv 4, 14).
Sorgi, dunque, o anima amica di Cristo. Sii come colomba «che pone il suo nido nelle pareti di una gola profonda» (Ger 48, 28). Come «il passero che ha trovato la sua dimora» (Sal 83, 4), non cessare di vegliare in questo santuario. Ivi, come tortora, nascondi i tuoi piccoli, nati da un casto amore. Ivi accosta la bocca per attingere le acque dalle sorgenti del Salvatore (cfr. Is 12, 3). Da qui infatti scaturisce la sorgente che scende dal centro del paradiso, la quale, divisa in quattro fiumi (cfr. Gn 2, 10) e, infine, diffusa nei cuori che ardono di amore, feconda ed irriga tutta la terra.
Corri a questa fonte di vita e di luce con vivo desiderio, chiunque tu sia, o anima consacrata a Dio, e con l\'intima forza del cuore grida a lui: «O ineffabile bellezza del Dio eccelso, o splendore purissimo di luce eterna! Tu sei vita che vivifica ogni vita, luce che illumina ogni luce e che conserva nell\'eterno splendore i multiformi luminari che brillano davanti al trono della tua divinità fin dalla prima aurora.
O eterno e inaccessibile, splendido e dolce fluire di fonte nascosta agli occhi di tutti i mortali! La tua profondità è senza fine, la tua altezza senza termine, la tua ampiezza è infinita, la tua purezza imperturbabile! Da te scaturisce il fiume "che rallegra la città di Dio" (Sal 45, 5), perché "in mezzo ai canti di una moltitudine in festa" (Sal 41, 5) possiamo cantare cantici di lode, dimostrando, con la testimonianza dell'esperienza, che "in te è la sorgente della vita e alla tua luce vediamo la luce" (Sal 35, 10)».
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16/06/2012 08:27
 
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Dai «Sermoni» di san Lorenzo Giustiniani, vescovo
(Sermone 8, nella festa della Purificazione
della B. V. Maria: Opera, 2, Venezia 1751, 38-39)
Maria serbava tutte queste cose
meditandole nel suo cuore

Maria meditava nel suo cuore tutto ciò che assimilava con la lettura, la vista, l\'udito, e che crescita grande realizzava nella fede, che acquisto faceva in meriti, di quanta saggezza veniva illuminata e di quale incendio di carità andava sempre più avvampando!
Schiudeva verso di sé la porta dei misteri celesti e si colmava di gioia, si arricchiva copiosamente del dono dello Spirito, orientandosi verso Dio, e nel medesimo tempo si conservava nella sua profonda umiltà.
L'opera del dono divino ha questo di caratteristico, che eleva dagli abissi al vertice e porta di gloria in gloria.
Beato il cuore della Vergine Maria che, avendo in sé lo Spirito e godendo del suo insegnamento, rimaneva docile alla volontà del Verbo di Dio!
Maria non era mossa da un suo sentimento o da proprie voglie, ma seguiva esternamente le vie della fede che la sapienza le suggeriva interiormente. E veramente si addiceva a quella Sapienza divina, che si costruisce a propria abitazione la casa della Chiesa, di servirsi di Maria santissima per inculcare l'osservanza della legge, la norma dell'unità e l'esigenza dell'offerta spirituale.
O anima fedele, imita la Vergine Maria. Entra nel tempio del tuo cuore per essere spiritualmente rinnovata ed ottenere il perdono dei tuoi peccati. Ricordati che Dio ricerca piuttosto l'intenzione, con la quale compiamo le nostre azioni, che l'opera medesima che noi facciamo. Perciò sia che ci rivolgiamo con l'anima a Dio mediante la contemplazione e ci dedichiamo a lui, sia che attendiamo al progresso delle virtù e ci occupiamo assiduamente in opere buone a servizio del prossimo, tutto facciamo in modo da sentirci sempre spinti dalla carità. Ripetiamo, infatti, che l'offerta spirituale che purifica noi e sale gradita a Dio, non è tanto l'opera delle nostre mani in se stessa, quanto il sacrificio spirituale che si immola nel tempio del cuore, ravvivato dalla presenza e dal compiacimento di Cristo Signor nostro.
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21/06/2012 06:45
 
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Dalla «Lettera alla madre» di san Luigi Gonzaga
(Acta SS., giugno, 5, 878)
Canterò senza fine le grazie del Signore

Io invoco su di te, mia signora, il dono dello Spirito Santo e consolazioni senza fine. Quando mi hanno portato la tua lettera, mi trovavo ancora in questa regione di morti. Ma facciamoci animo e puntiamo le nostre aspirazioni verso il cielo, dove loderemo Dio eterno nella terra dei viventi. Per parte mia avrei desiderato di trovarmici da tempo e, sinceramente, speravo di partire per esso già prima d\'ora.
La carità consiste, come dice san Paolo, nel «rallegrarsi con quelli che sono nella gioia e nel piangere con quelli che sono nel pianto». Perciò, madre illustrissima, devi gioire grandemente perché, per merito tuo, Dio mi indica la vera felicità e mi libera dal timore di perderlo. Ti confiderò, o illustrissima signora, che meditando la bontà divina, mare senza fondo e senza confini, la mia mente si smarrisce. Non riesco a capacitarmi come il Signore guardi alla mia piccola e breve fatica e mi premi con il riposo eterno e dal cielo mi inviti a quella felicità che io fino ad ora ho cercato con negligenza e offra a me, che assai poche lacrime ho sparso per esso, quel tesoro che è il coronamento di grandi fatiche e pianto.
O illustrissima signora, guàrdati dall'offendere l'infinita bontà divina, piangendo come morto chi vive al cospetto di Dio e che con la sua intercessione può venire incontro alle tue necessità molto più che in questa vita.
La separazione non sarà lunga. Ci rivedremo in cielo e insieme uniti all'autore della nostra salvezza godremo gioie immortali, lodandolo con tutta la capacità dell'anima e cantando senza fine le sue grazie. Egli ci toglie quello che prima ci aveva dato solo per riporlo in un luogo più sicuro e inviolabile e per ornarci di quei beni che noi stessi sceglieremmo.
Ho detto queste cose solo per obbedire al mio ardente desiderio che tu, o illustrissima signora, e tutta la famiglia, consideriate la mia partenza come un evento gioioso. E tu continua ad assistermi con la tua materna benedizione, mentre sono in mare verso il porto di tutte le mie speranze. Ho preferito scriverti perché niente mi è rimasto con cui manifestarti in modo più chiaro l'amore ed il rispetto che, come figlio, devo alla mia madre.
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04/07/2012 06:27
 
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Dal libro «Il cammino di perfezione» di santa Teresa d'Avila, vergine
(Cap. 30, 1-5; OEuvres complètes, Desclée de Brouwer, Paris, 1964, 467-468)
Venga il tuo regno

Chi è colui che, per quanto sia insensato, dovendo chiedere un favore ad una persona importante, non pensa prima in che modo chiederlo, per non importunarla e procurarle molestia? Non deve forse sapere ciò che chiede e conoscere la necessità che ne ha, specialmente se domanda una cosa importante, come sono quelle che il nostro buon Gesù ci insegna a chiedere? Ecco una cosa che mi sembra doveroso far notare. Non potevi, Signor mio, racchiudere tutto in una parola e dire: «Dacci, o Padre, tutto quanto ci è necessario»? Per chi conosce tutto così bene, non sembra che occorra altro.
O Sapienza eterna! Per te e per tuo Padre questo sarebbe stato sufficiente; infatti così hai pregato nell'orto del Getsemani: hai manifestato la tua volontà e il tuo timore, ma poi ti sei rimesso alla sua volontà. Ma poiché tu conosci, Signor mio, che noi non siamo sottomessi come te alla volontà del Padre tuo, era necessario che definissi bene le domande, perché potessimo vedere se ci conviene ciò che domandiamo, e astenerci dal chiedere qualora non ci sembrasse conveniente. Perché noi siamo così fatti, che, se non ci viene dato ciò che desideriamo, con il nostro libero arbitrio rifiutiamo ciò che il Signore ci dà, si trattasse anche delle cose migliori. Infatti non vediamo di essere ricchi se non quando teniamo il denaro fra le mani.
Il buon Gesù, dunque, ci insegna a dire queste parole, con le quali chiediamo che venga in noi il suo regno: «Sia santificato il tuo nome, venga in noi il tuo regno». Ammirate ora la grande sapienza del nostro Maestro. Considerate - perché è bene che lo comprendiamo - che cosa chiediamo con questo regno. Il buon Gesù fece queste domande una dopo l'altra, vedendo che per la nostra miseria non avremmo potuto santificare, lodare, esaltare e glorificare il nome santo dell\'Eterno Padre, se prima non avesse esteso in noi il suo regno. Perciò, perché intendiate quello che chiedete e siate perseveranti nel domandare e procuriate, per quanto è possibile, di accontentare colui che vi può esaudire, tenete presente quanto vi dico.
Certamente uno dei beni più grandi, tra gli altri, che si godono in cielo, è che lassù l'anima non farà più conto alcuno dei beni della terra, ma sarà immersa nella tranquillità e nella gloria, si rallegrerà della gioia di tutti: una pace inalterabile e una soddisfazione senza confini le verrà vedendo che tutti santificano e lodano il Signore, benedicono il suo nome e non l'offendono più. Tutti lo amano; e la stessa anima non si preoccuperà che di amarlo, e non potrà cessare di amarlo, perché lo conoscerà. Se potessimo già conoscerlo, lo ameremmo così fin d'ora, sebbene non con la perfezione e continuità del cielo, ma certamente lo ameremmo in modo ben diverso di come lo amiamo attualmente.
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23/07/2012 09:24
 
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Dalle «Orazioni» attribuite a santa Brigida
(Oraz. 2; Revelationum S. Birgittae libri 2; Roma 1628, pp. 408-410)
Elevazione della mente a Cristo Salvatore

Sii benedetto, Signor mio Gesù Cristo, per aver predetto prima del tempo la tua morte, per aver trasformato in modo mirabile, durante l\'ultima Cena, del pane materiale nel tuo corpo glorioso, per averlo distribuito amorevolmente agli apostoli in memoria della tua degnissima passione, per aver lavato loro i piedi con le tue mani sante e preziose, dimostrando così l\'immensa grandezza della tua umiltà.
Onore a te, Signor mio Gesù Cristo, per aver sudato sangue dal tuo corpo innocente nel timore della passione e della morte, operando tuttavia la nostra redenzione che desideravi portare a compimento, mostrando così chiaramente il tuo amore per il genere umano.
Sii benedetto, Signor mio Gesù Cristo, per essere stato condotto da Caifa e per aver permesso nella tua umiltà, tu che sei giudice di tutti, di essere sottoposto al giudizio di Pilato.
Gloria a te, Signor mio Gesù Cristo, per essere stato deriso quando, rivestito di porpora, sei stato coronato di spine acutissime, e per aver sopportato con infinita pazienza che il tuo volto glorioso fosse coperto di sputi, che i tuoi occhi fossero velati, che la tua faccia fosse percossa pesantemente dalle mani sacrileghe di uomini iniqui.
Lode a te, Signor mio Gesù Cristo, per aver permesso con tanta pazienza di essere legato alla colonna, di essere flagellato in modo disumano, di essere condotto coperto di sangue al giudizio di Pilato, di esserti mostrato come un agnello innocente condotto all\'immolazione.
Onore a te, Signor mio Gesù Cristo, per esserti lasciato condannare nel tuo santo corpo, ormai tutto inondato di sangue, alla morte di croce; per aver portato con dolore la croce sulle tue sacre spalle, e per aver voluto essere inchiodato al legno del patibolo dopo essere stato trascinato crudelmente al luogo della passione e spogliato delle tue vesti.
Onore a te, Signore Gesù Cristo, per aver rivolto umilmente, in mezzo a tali tormenti, i tuoi occhi colmi di amore e di bontà alla tua degnissima Madre, che mai conobbe il peccato, né mai consentì alla più piccola colpa, e per averla consolata affidandola alla protezione fedele del tuo discepolo.
Benedizione eterna a te, Signor mio Gesù Cristo, per aver dato, durante la tua mortale agonia, la speranza del perdono a tutti i peccatori, quando hai promesso misericordiosamente la gloria del paradiso al ladrone che si era rivolto a te.
Lode eterna a te, Signor mio Gesù Cristo, per ogni ora in cui hai sopportato per noi peccatori sulla croce le più grandi amarezze e sofferenze; infatti i dolori acutissimi delle tue ferite penetravano orribilmente nella tua anima beata e trapassavano crudelmente il tuo cuore sacratissimo, finché, venuto meno il cuore, esalasti felicemente lo spirito e, inclinato il capo, lo consegnasti in tutta umiltà nelle mani di Dio Padre, rimanendo poi, morto, tutto freddo nel corpo.
Sii benedetto, Signor mio Gesù Cristo, per aver redento le anime col tuo sangue prezioso e con la tua santissima morte, e per averle misericordiosamente ricondotte dall\'esilio alla vita eterna. Sii benedetto, Signor mio Gesù Cristo, per aver lasciato che la lancia ti perforasse, per la nostra salvezza, il fianco e il cuore, e per il sangue prezioso e l'acqua che da quel fianco sono sgorgati per la nostra redenzione.
Gloria a te, Signor mio Gesù Cristo, per aver voluto che il tuo corpo benedetto fosse deposto dalla croce ad opera dei tuoi amici, fosse consegnato nelle braccia della tua addolorata Madre e da lei avvolto in panni, e che fosse rinchiuso nel sepolcro e custodito dai soldati.
Onore eterno a te, Signor mio Gesù Cristo, per essere risuscitato dai morti il terzo giorno e per esserti incontrato vivo con chi hai prescelto; per essere salito, dopo quaranta giorni, al cielo, alla vista di molti, e per aver collocato lassù, tra gli onori, i tuoi amici che avevi liberati dagli inferi.
Giubilo e lode eterna a te, Signore Gesù Cristo, per aver mandato nel cuore dei discepoli lo Spirito Santo e per aver comunicato al loro spirito un immenso e divino amore.
Sii benedetto, lodato e glorificato nei secoli, mio Signore Gesù, che siedi sul trono nel tuo regno dei cieli, nella gloria della tua maestà, corporalmente vivo con tutte le tue santissime membra, che prendesti dalla carne della Vergine. E così verrai nel giorno del giudizio per giudicare le anime di tutti i vivi e di tutti i morti: tu che vivi e regni col Padre e con lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.
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30/07/2012 08:26
 
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Dai «Discorsi» di san Cesario di Arles, vescovo
(Disc. 25, 1; CCL 103, 111-112)
La misericordia divina ed umana

«Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5, 7); dolcissima è questa parola «misericordia», fratelli carissimi, ma se è già dolce il nome, quanto più la realtà stessa. Sebbene tutti vogliano che nei loro confronti si usi misericordia, non tutti si comportano in modo da meritarla. Mentre tutti vogliono che sia usata misericordia verso di loro, sono pochi quelli che la usano verso gli altri.
O uomo, con quale coraggio osi chiedere ciò che ti rifiuti di concedere agli altri? Chi desidera di ottenere misericordia in cielo deve concederla su questa terra. Poiché dunque tutti noi, fratelli carissimi, desideriamo che ci sia fatta misericordia, cerchiamo di rendercela protettrice in questo mondo, perché sia nostra liberatrice nell'altro. C\'è infatti in cielo una misericordia, a cui si arriva mediante le misericordie esercitate qui in terra. La Scrittura dice in proposito: O Signore, la tua misericordia è in cielo (cfr. Sal 35, 6).
Esiste dunque una misericordia terrena e una celeste, una misericordia umana e una divina. Quale è la misericordia umana? Quella che si volge a guardare le miserie dei poveri. Quale è invece la misericordia divina? Quella, senza dubbio, che ti concede il perdono dei peccati.
Tutto ciò che la misericordia umana dà durante il nostro pellegrinaggio, la misericordia divina lo restituisce in patria. Dio infatti su questa terra ha fame e sete nella persona di tutti i poveri, come ha detto egli stesso: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me» (Mt 25, 40). Quel Dio che si degna di ricompensare in cielo vuole ricevere qui in terra.
E chi siamo noi che quando Dio dona vogliamo ricevere e quando chiede non vogliamo dare? Quando un povero ha fame, è Cristo che ha fame, come egli stesso ha detto: «Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare» (Mt 25, 42). Non disprezzare dunque la miseria dei poveri, se vuoi sperare con sicurezza il perdono dei peccati. Cristo, fratelli, ha fame; egli si degna di aver fame e sete in tutti i poveri; quello che riceve sulla terra lo restituisce in cielo.
Che cosa volete, fratelli, e che cosa chiedete quando venite in chiesa? Certamente non altro che la misericordia di Dio. Date dunque quella terrena ed otterrete quella celeste. Il povero chiede a te; anche tu chiedi a Dio; ti chiede un pezzo di pane; tu chiedi la vita eterna. Da' al povero per meritare di ricevere da Cristo. Ascolta le sue parole: «Date e vi sarà dato» (Lc 6, 38). Non so con quale coraggio pretendi di ricevere quello che non vuoi dare. Quando perciò venite in chiesa, non negate ai poveri un\'elemosina, anche se piccola, secondo le vostre possibilità.
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31/07/2012 08:10
 
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Dagli «Atti» raccolti da Ludovico Consalvo dalla bocca di sant'Ignazio
(Cap. 1, 5-9; Acta SS. Iulii, 7, 1868, 647)
Provate gli spiriti se sono da Dio

    Essendo stato appassionato divoratore di romanzi e d'altri libri fantasiosi sulle imprese mirabolanti di celebri personaggi, quando cominciò a sentirsi in via di guarigione, Ignazio domandò che gliene fossero dati alcuni tanto per ingannare il tempo. Ma nella casa, dove era ricoverato, non si trovò alcun libro di quel genere, per cui gliene furono dati due intitolati «Vita di Cristo» e «Florilegio di santi», ambedue nella lingua materna.
    Si mise a leggerli e rileggerli, e man mano che assimilava il loro contenuto, sentiva nascere in sé un certo interesse ai temi ivi trattati. Ma spesso la sua mente ritornava a tutto quel mondo immaginoso descritto dalle letture precedenti. In questo complesso gioco di sollecitazioni si inserì l'azione di Dio misericordioso.
    Infatti, mentre leggeva la vita di Cristo nostro Signore e dei santi, pensava dentro di sé e così si interrogava: «E se facessi anch'io quello che ha fatto san Francesco; e se imitassi l'esempio di san Domenico?». Queste considerazioni duravano anche abbastanza a lungo avvicendandosi con quelle di carattere mondano. Un tale susseguirsi di stati d'animo lo occupò per molto tempo. Ma tra le prime e le seconde vi era una differenza. Quando pensava alle cose del mondo era preso da grande piacere; poi subito dopo quando, stanco, le abbandonava, si ritrovava triste e inaridito. Invece quando immaginava di dover condividere le austerità che aveva visto mettere in pratica dai santi, allora non solo provava piacere mentre vi pensava, ma la gioia continuava anche dopo.
    Tuttavia egli non avvertiva né dava peso a questa differenza fino a che, aperti un giorno gli occhi della mente, incominciò a riflettere attentamente sulle esperienze interiori che gli causavano tristezza e sulle altre che gli portavano gioia.
    Fu la prima meditazione intorno alle cose spirituali. In seguito, addentratosi ormai negli esercizi spirituali, costatò che proprio da qui aveva cominciato a comprendere quello che insegnò ai suoi sulla diversità degli spiriti. 
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01/08/2012 07:48
 
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Dalla «Pratica di amare Gesù Cristo» di sant'Alfonso Maria de' Liguori, vescovo
(Cap. 1, 1-5)
L'amore di Cristo

Tutta la santità e la perfezione di un'anima consiste nell'amar Gesù Cristo nostro Dio, nostro sommo bene e nostro Salvatore. La carità è quella che unisce e conserva tutte le virtù che rendono l'uomo perfetto.
Forse Iddio non si merita tutto il nostro amore? Egli ci ha amati sin dall'eternità. «Uomo, dice il Signore, considera ch'io sono stato il primo ad amarti. Tu non eri ancora al mondo, il mondo neppur v'era ed io già t'amavo. Da che sono Dio, io t'amo». Vedendo Iddio che gli uomini si fan tirare da' benefici, volle per mezzo de' suoi doni cattivarli al suo amore. Disse pertanto: «Voglio tirare gli uomini ad amarmi con quei lacci con cui gli uomini si fanno tirare, cioè coi legami dell'amore». Tali appunto sono stati i doni fatti da Dio all'uomo. Egli dopo di averlo dotato di anima colle potenze a sua immagine, di memoria, intelletto e volontà, e di corpo fornito dei sensi, ha creato per lui il cielo e la terra e tante altre cose tutte per amor dell'uomo; acciocché servano all'uomo, e l'uomo l'ami per gratitudine di tanti doni.
Ma Iddio non è stato contento di donarci tutte queste belle creature. Egli per cattivarsi tutto il nostro amore è giunto a donarci tutto se stesso. L'Eterno Padre è giunto a darci il suo medesimo ed unico Figlio. Vedendo che noi eravamo tutti morti e privi della sua grazia per causa del peccato, che fece? Per l'amor immenso, anzi, come scrive l'Apostolo, pel troppo amore che ci portava mandò il Figlio diletto a soddisfare per noi, e così renderci quella vita che il peccato ci aveva tolta.
E dandoci il Figlio (non perdonando al Figlio per perdonare a noi), insieme col Figlio ci ha donato ogni bene: la sua grazia, il suo amore e il paradiso; poiché tutti questi beni sono certamente minori del Figlio: «Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?» (Rm 8, 32).
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09/08/2012 09:24
 
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Da «Scientia Crucis» di Santa Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein, vergine e martire
(Edith Stein Werke, I, Friburgi in Br. 1983, 15-16)
Ai credenti in Cristo Crocifisso viene aperta
la porta della vita

Cristo si era addossato lui stesso il giogo della legge, osservandola e adempiendola perfettamente, tanto da morire per la legge e vittima della legge. Nello stesso tempo, tuttavia, egli ha esonerato dalla legge tutti quelli che avrebbero accettato la vita da lui. I quali però avrebbero potuto riceverla solo disfacendosi della propria. Infatti «quanti sono stati battezzati in Cristo, sono stati battezzati nella sua morte» (Rm 6, 3). Essi si immergono nella sua vita per divenire membra del suo corpo, e sotto questa qualifica soffrire e morire con lui; ma anche per risuscitare con lui alla eterna vita divina. Questa vita sorgerà per noi nella sua pienezza soltanto nel giorno della glorificazione. Tuttavia, sin da ora «nella carne» noi vi partecipiamo, in quanto crediamo: crediamo che Cristo è morto per noi, per dare la vita a noi. Ed è proprio questa fede che ci fa diventare un tutto unico con lui, membra collegate al capo, rendendoci permeabili alle effusioni della sua vita. Così la fede nel Crocifisso - la fede viva, accompagnata dalla dedizione amorosa - è per noi la porta di accesso alla vita e l'inizio della futura gloria. Per di più, la croce è il nostro unico vanto: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (Gal 6, 14).
Chi si è messo dalla parte del Cristo risulta morto per il mondo, come il mondo risulta morto per lui. Egli porta nel suo corpo le stimmate del Signore (cfr. Gal 6, 17); è debole e disprezzato nell'ambiente degli uomini, ma appunto per questo è forte in realtà, perché nelle debolezze risalta pienamente la forza di Dio (cfr. 2 Cor 12, 9). Profondamente convinto di questa verità, il discepolo di Gesù non solo abbraccia la croce che gli viene offerta, ma si crocifigge da sé: «Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri» (Gal 5, 24). Essi hanno ingaggiato una lotta spietata contro la loro natura, per liquidare in se stessi la vita del peccato e far posto alla vita dello spirito. È quest\'ultima sola quella che importa. La croce non è fine a se stessa. Essa si staglia in alto e fa da richiamo verso l'alto. Quindi non è soltanto un'insegna, è anche l'arma vincente di Cristo, la verga da pastore con cui il divino Davide esce incontro all'infernale Golia, il simbolo trionfale con cui egli batte alla porta del cielo e la spalanca. Allora ne erompono i fiotti della luce divina, sommergendo tutti quelli che marciano al seguito del Crocifisso.
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11/08/2012 08:16
 
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Dalla «Lettera alla beata Agnese di Praga» di santa Chiara, vergine
(Ed. I. Omaechevarria, Escritos de Santa Clara, Madrid 1970, pp. 339-341)
Rifletti sulla povertà, umiltà e carità di Cristo

Felice certamente chi può esser partecipe del sacro convito, in modo da aderire con tutti i sentimenti del cuore a Cristo, la cui bellezza ammirano senza sosta tutte le beate schiere dei cieli, la cui tenerezza commuove i cuori, la cui contemplazione reca conforto, la cui bontà sazia, la cui soavità ricrea, il cui ricordo illumina dolcemente, al cui profumo i morti riacquistano la vita e la cui beata visione renderà felici tutti i cittadini della celeste Gerusalemme.
Poiché questa visione è splendore di gloria eterna, «riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia» (Sap 7, 26), guarda ogni giorno in questo specchio, o regina, sposa di Gesù Cristo. Contempla continuamente in esso il tuo volto, per adornarti così tutta interiormente ed esternamente, rivestirti e circondarti di abiti multicolori e ricamati, abbellirti di fiori e delle vesti di tutte le virtù, come si addice alla figlia e sposa castissima del sommo Re. In questo specchio rifulge la beata povertà, la santa umiltà e l'ineffabile carità. Contempla lo specchio in ogni parte e vedrai tutto questo.
Osserva anzitutto l'inizio di questo specchio e vedrai la povertà di chi è posto in una mangiatoia ed avvolto in poveri panni. O meravigliosa umiltà, o stupenda povertà! Il Re degli angeli, il Signore del cielo e della terra è adagiato in un presepio!
Al centro dello specchio noterai l'umiltà, la beata povertà e le innumerevoli fatiche e sofferenze che egli sostenne per la redenzione del genere umano.
Alla fine dello stesso specchio potrai contemplare l'ineffabile carità per cui volle patire sull'albero della croce ed in esso morire con un genere di morte di tutti il più umiliante. Perciò lo stesso specchio, posto sul legno della croce, ammoniva i passanti a considerare queste cose, dicendo: «Voi tutti che passate per la via, considerate e osservate se c'è un dolore simile al mio dolore!» (Lam 1, 12). Rispondiamo dunque a lui, che grida e si lamenta, con un'unica voce ed un solo animo: «Ben se ne ricorda e si accascia dentro di me la mia anima» (Lam 3, 20).
Così facendo ti accenderai di un amore sempre più forte, o regina del Re celeste.
Contempla inoltre le sue ineffabili delizie, le ricchezze e gli eterni onori, sospira con ardente desiderio ed amore del cuore, ed esclama: «Attirami dietro a te, corriamo al profumo dei tuoi aromi» (Ct 1, 3 volg.), o Sposo celeste. Correrò, né verrò meno fino a che non mi abbia introdotto nella tua dimora, fino a che la tua sinistra non stia sotto il mio capo e la tua destra mi cinga teneramente con amore (cfr. Ct 2, 4. 6).
Nella contemplazione di queste cose, ricòrdati di me, tua madre, sapendo che io ho scritto in modo indelebile il tuo ricordo sulle tavolette del mio cuore, ritenendoti fra tutte la più cara.
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12/08/2012 06:18
 
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Dal «Dialogo della Divina Provvidenza» di santa Caterina da Siena, vergine
(Cap. 13, libero adattamento; cfr. ed. I. Taurisano,
Firenze, 1928, I, pp. 43-45)
Dio, abisso di carità

Signore mio, volgi l'occhio della tua misericordia sopra il popolo tuo e sopra il corpo mistico della santa Chiesa. Tu sarai glorificato assai più perdonando e dando la luce dell'intelletto a molti, che non ricevendo l'omaggio da una sola creatura miserabile, quale sono io, che tanto t\'ho offeso e sono stata causa e strumento di tanti mali.
Che avverrebbe di me se vedessi me viva, e morto il tuo popolo? Che avverrebbe se, per i miei peccati e quelli delle altre creature, dovessi vedere nelle tenebre la Chiesa, tua Sposa diletta, che è nata per essere luce?
Ti chiedo, dunque, misericordia per il tuo popolo in nome della carità increata che mosse te medesimo a creare l'uomo a tua immagine e somiglianza.
Quale fu la ragione che tu ponessi l\'uomo in tanta dignità? Certo l'amore inestimabile col quale hai guardato in te medesimo la tua creatura e ti sei innamorato di lei. Ma poi per il peccato commesso perdette quella sublimità alla quale l'avevi elevata.
Tu, mosso da quel medesimo fuoco col quale ci hai creati, hai voluto offrire al genere umano il mezzo per riconciliarsi con te. Per questo ci hai dato il Verbo, tuo unico Figlio. Egli fu il mediatore tra te e noi. Egli fu nostra giustizia, che punì sopra di sé le nostre ingiustizie. Ubbidì al comando che tu, Eterno Padre, gli desti quando lo rivestisti della nostra umanità. O abisso di carità! Qual cuore non si sentirà gonfio di commozione al vedere tanta altezza discesa a tanta bassezza, cioè alla condizione della nostra umanità?
Noi siamo immagine tua, e tu immagine nostra per l'unione che hai stabilito fra te e l'uomo, velando la divinità eterna con la povera nube dell'umanità corrotta di Adamo. Quale il motivo? Certo l'amore.
Per questo amore ineffabile ti prego e ti sollecito a usare misericordia alle tue creature.
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14/08/2012 06:42
 
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Dalle lettere di san Massimiliano Maria Kolbe
(Cfr. Scritti di Massimiliano M. Kolbe, traduzione italiana, Vol. I, Firenze 1975, pp. 44-46. 113-114).
Zelo apostolico per la salvezza e la santificazione
delle anime

Sono pieno di gioia, fratello carissimo, per l\'ardente zelo che ti spinge a promuovere la gloria di Dio. Nei nostri tempi, constatiamo, non senza tristezza, il propagarsi dell\'«indifferentismo». Una malattia quasi epidemica che si va diffondendo in varie forme non solo nella generalità dei fedeli, ma anche tra i membri degli istituti religiosi. Dio è degno di gloria infinita. La nostra prima e principale preoccupazione deve essere quella di dargli lode nella misura delle nostre deboli forze, consapevoli di non poterlo glorificare quanto egli merita.
La gloria di Dio risplende soprattutto nella salvezza delle anime che Cristo ha redento con il suo sangue. Ne deriva che l'impegno primario della nostra missione apostolica sarà quello di procurare la salvezza e la santificazione del maggior numero di anime. Ed ecco in poche parole i mezzi più adatti per procurare la gloria di Dio nella santificazione delle anime. Dio, scienza e sapienza infinita, che conosce perfettamente quello che dobbiamo fare per aumentare la sua gloria, manifesta normalmente la sua volontà mediante i suoi rappresentanti sulla terra.
L\'obbedienza, ed essa sola, è quella che ci manifesta con certezza la divina volontà. È vero che il superiore può errare, ma chi obbedisce non sbaglia. L\'unica eccezione si verifica quando il superiore comanda qualcosa che chiaramente, anche in cose minime, va contro la legge divina. In questo caso egli non è più interprete della volontà di Dio.
Dio è tutto: solo lui è infinito, sapientissimo, clementissimo Signore, creatore e Padre, principio e fine, sapienza, potere e amore. Tutto ciò che esiste fuori di Dio ha valore in quanto si riferisce a lui, che è creatore di tutte le cose, redentore degli uomini, fine ultimo di tutte le creazioni. Egli ci manifesta la sua volontà e ci attrae a sé attraverso i suoi rappresentanti sulla terra, volendo servirsi di noi per attrarre a sé altre anime e unirle nella perfetta carità.
Considera, fratello, quanto è grande, per la misericordia di Dio, la dignità della nostra condizione. Attraverso la via dell'obbedienza noi superiamo i limiti della nostra piccolezza, e ci conformiamo alla volontà divina che ci guida ad agire rettamente con la sua infinita sapienza e prudenza. Aderendo a questa divina volontà a cui nessuna creatura può resistere, diventiamo più forti di tutti.
Questo è il sentiero della sapienza e della prudenza, l'unica via nella quale possiamo rendere a Dio la massima gloria. Se esistesse una via diversa e più adatta, il Cristo l\'avrebbe certamente manifestata con la parola e con l'esempio. Il lungo periodo della vita nascosta di Nazareth è compendiato dalla Scrittura con queste parole: «e stava loro sottomesso» (Lc 2, 51). Tutto il resto della sua vita è posto sotto il segno dell'obbedienza, mostrando frequentemente che il Figlio di Dio è disceso sulla terra per compiere la volontà del Padre.
Amiamo dunque, fratelli, con tutte le forze il Padre celeste pieno di amore per noi; e la prova della nostra perfetta carità sia l'obbedienza, da esercitare soprattutto quando ci chiede di sacrificare la nostra volontà. Infatti non conosciamo altro libro più sublime che Gesù Cristo crocifisso, per progredire nell'amore di Dio.
Tutte queste cose le otterremo più facilmente per l\'intercessione della Vergine Immacolata che Dio, nella sua bontà, ha fatto dispensatrice della sua misericordia. Nessun dubbio che la volontà di Maria è la stessa volontà di Dio. Consacrandoci a lei, diventiamo nelle sue mani strumenti della divina misericordia, come lei lo è stato nelle mani di Dio.
Lasciamoci dunque guidare da lei, lasciamoci condurre per mano, tranquilli e sicuri sotto la sua guida. Maria penserà a tutto per noi, provvederà a tutto e allontanando ogni angustia e difficoltà verrà prontamente in soccorso alle nostre necessità corporali e spirituali.
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17/08/2012 16:00
 
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Dal «Discorso sul battesimo» di san Paciano, vescovo
(Nn. 5-6; PL 13, 1092-1093)
Seguiamo la vita nuova nel Cristo per mezzo dello Spirito

Il peccato di Adamo era passato a tutto il genere umano: «Come a causa di un solo uomo», dice l'Apostolo, «il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti gli uomini hanno peccato» (Rm 5, 12). È quindi necessario che anche la giustizia di Cristo passi a tutto il genere umano e come Adamo col suo peccato fu causa di rovina per tutta la sua discendenza, così Cristo sarà causa di salvezza per la sua giustizia. Su questo l'Apostolo insiste: «Come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti, e come il peccato aveva regnato con la morte, così regni anche la grazia con la giustizia per la vita eterna» (Rm 5, 19. 21).
Qualcuno forse mi dirà: Era giusto che il peccato di Adamo passasse nei posteri, perché discendevano da lui per generazione. Ma siamo stati forse generati da Cristo perché da lui discenda a noi la salvezza? Effettivamente le cose stanno così e lo si capirà subito.
Negli ultimi tempi Cristo prese da Maria l'anima e la carne. Questa è la carne che egli venne a salvare, che non abbandonò negli inferi e che unì al suo spirito e fece sua. Queste sono le nozze del Signore, contratte con una sola carne, perché Cristo e la Chiesa, secondo quel grande mistero, fossero due in una sola carne.
Da queste nozze nasce il popolo cristiano, mentre dall\'alto discende lo Spirito del Signore. Il germe celeste viene infuso e unito alla sostanza della nostra anima; cominciamo quindi a svilupparci nel seno materno, quindi, venendo alla luce, entriamo nella vita che ci viene data dal Cristo.
Per questo l'Apostolo dice: «Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita» (1 Cor 15, 45). In questo modo Cristo genera nella Chiesa per mezzo dei suoi sacerdoti, come si esprime lo stesso Apostolo: «Io vi ho generato in Cristo» (1 Cor 4, 15).
Così Cristo, mediante lo Spirito di Dio, per il ministero del sacerdote e la forza della fede, dà alla luce l'uomo nuovo, formato nel seno della madre e accolto nella Chiesa col parto del fonte battesimale.
Bisogna quindi accogliere Cristo, perché egli possa rigenerarci. Lo afferma l'apostolo Giovanni: «A quanti l'hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1, 12). Tale nascita non può avvenire se non col sacramento del battesimo, del crisma e del sacerdote. Infatti col battesimo vengono lavati i nostri peccati, col crisma ci viene infuso lo Spirito Santo: l'una e l'altra cosa noi la otteniamo dalla mano e dalla bocca del sacerdote. In questo modo tutto l'uomo rinasce in Cristo: «Perché come Cristo fu risuscitato dai morti, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6, 4), vale a dire che, abbandonati gli errori della vita trascorsa, per mezzo dello Spirito seguiamo, sull'esempio di Cristo, una vita virtuosa.
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18/08/2012 07:08
 
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Dal «Discorso sul battesimo» di san Paciano, vescovo
(Nn. 6-7; PL 13, 1093-1094)
Puri e immacolati per il giorno del Signore

Come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste; poiché il primo uomo tratto dalla terra, è di terra, il secondo uomo viene dal cielo ed è celeste (cfr. 1 Cor 15, 47-49). Comportandoci così, o carissimi, non morremo mai più. Anche se questo corpo sarà preda della corruzione, noi vivremo in Cristo, come egli stesso ha detto: «Chi crede in me, anche se muore, vivrà» (Gv 11, 25).
Siamo quindi certi, sulla parola di Dio, che Abramo, Isacco, Giacobbe e tutti i santi di Dio vivono. Il Signore effettivamente ha detto che vivono, perché colui che è il loro Dio è Dio dei vivi e non dei morti (cfr. Mt 22, 32). Parlando di se stesso l\'Apostolo afferma: Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno: desidero morire ed essere con Cristo (cfr. Fil 1, 21-23). Ed ancora: «Finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora in visione» (2 Cor 5, 6).
Questa è la nostra fede, o carissimi fratelli. Del resto: se noi riponiamo la nostra speranza soltanto in questo mondo, siamo da compiangere più di tutti gli uomini (cfr. 1 Cor 15, 19). La nostra vita materiale, come voi medesimi potete osservare, ha la stessa durata di quella delle fiere, degli animali, degli uccelli e magari anche minore. Caratteristica dell'uomo invece è di ottenere quello che Cristo ha dato per mezzo del suo Spirito, la vita eterna, a patto però che non pecchiamo più. Come la morte viene a causa del peccato, così dalla morte siamo liberati per mezzo della santità; la vita si perde col peccato, mentre viene salvata dalla santità. «Il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna, in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 6, 23).
È lui, è lui che ci ha redenti, perdonandoci, come dice l\'Apostolo, tutti i nostri peccati e annullando il documento scritto del nostro debito le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce. Spogliandosi della carne, ha privato della loro forza i Principati e le Potestà, e ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al suo corteo trionfale (cfr. Col 2, 13-15). Liberò quelli che erano legati in ceppi e spezzò le loro catene, come David aveva profetizzato: Il Signore solleva quelli che sono caduti, il Signore scioglie quelli che sono legati, il Signore illumina i ciechi (cfr. Sal 145, 7-8). E ancora: «Hai spezzato le mie catene. A te offrirò sacrifici di lode» (Sal 115, 16-17). Siamo stati dunque sciolti dalle nostre catene quando, mediante il sacramento del battesimo, ci siamo raccolti sotto lo stendardo di Cristo, rinunziando al diavolo e a tutti i suoi sostenitori, ai quali avevamo servito fino allora. Siamo stati liberati da essi nel nome e col sangue di Cristo; non dobbiamo più quindi essere loro schiavi.
Perciò, carissimi, ricordiamoci che veniamo lavati una volta sola; una volta sola veniamo liberati, e una volta sola entriamo nel regno eterno. Una volta sola sono beati quelli a cui sono rimesse le colpe e perdonato il peccato (cfr. Sal 31, 1). Tenete ben stretto quello che avete ricevuto, conservatelo nella gioia; non vogliate più peccare. Conservatevi puri ed immacolati per il giorno del Signore.
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20/08/2012 08:10
 
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Dai «Discorsi sul Cantico dei Cantici» di san Bernardo, abate
(Disc. 83, 4-6; Opera omnia,
ed. Cisterc. 2 [1958] 300-302)
Amo perché amo, amo per amare

L\'amore è sufficiente per se stesso, piace per se stesso e in ragione di sé. È a se stesso merito e premio. L\'amore non cerca ragioni, non cerca vantaggi all\'infuori di sé. Il suo vantaggio sta nell\'esistere. Amo perché amo, amo per amare. Grande cosa è l\'amore se si rifà al suo principio, se ricondotto alla sua origine, se riportato alla sua sorgente. Di là sempre prende alimento per continuare a scorrere. L\'amore è il solo tra tutti i moti dell\'anima, tra i sentimenti e gli affetti, con cui la creatura possa corrispondere al Creatore, anche se non alla pari; l\'unico con il quale possa contraccambiare il prossimo e, in questo caso, certo alla pari. Quando Dio ama, altro non desidera che essere amato. Non per altro ama, se non per essere amato, sapendo che coloro che l\'ameranno si beeranno di questo stesso amore. L\'amore dello Sposo, anzi lo Sposo-amore cerca soltanto il ricambio dell\'amore e la fedeltà. Sia perciò lecito all\'amata di riamare. Perché la sposa, e la sposa dell\'Amore non dovrebbe amare? Perché non dovrebbe essere amato l\'Amore?
Giustamente, rinunziando a tutti gli altri suoi affetti, attende tutta e solo all\'Amore, ella che nel ricambiare l\'amore mira a uguagliarlo. Si obietterà, però, che, anche se la sposa si sarà tutta trasformata nell\'Amore, non potrà mai raggiungere il livello della fonte perenne dell\'amore. È certo che non potranno mai essere equiparati l\'amante e l\'Amore, l\'anima e il Verbo, la sposa e lo Sposo, il Creatore e la creatura. La sorgente, infatti, dà sempre molto più di quanto basti all\'assetato.
Ma che importa tutto questo? Cesserà forse e svanirà del tutto il desiderio della sposa che attende il momento delle nozze, cesserà la brama di chi sospira, l\'ardore di chi ama, la fiducia di chi pregusta, perché non è capace di correre alla pari con un gigante, gareggiare in dolcezza col miele, in mitezza con l\'agnello, in candore con il giglio, in splendore con il sole, in carità con colui che è l\'Amore? No certo. Sebbene infatti la creatura ami meno, perché è inferiore, se tuttavia ama con tutta se stessa, non le resta nulla da aggiungere. Nulla manca dove c\'è tutto. Perciò per lei amare così è aver celebrato le nozze, poiché non può amare così ed essere poco amata. Il matrimonio completo e perfetto sta nel consenso dei due, a meno che uno dubiti che l\'anima sia amata dal Verbo, e prima e di più.
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22/08/2012 08:03
 
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Dalle «Omelie» di sant'Amedeo di Losanna, vescovo
(Om. 7; SC 72, 188. 190. 192. 200)
Regina del mondo e della pace

La santa Vergine Maria fu assunta in cielo. Ma il suo nome ammirabile rifulse su tutta la terra anche indipendentemente da questo singolare evento, e la sua gloria immortale si irradiò in ogni luogo prima ancora che fosse esaltata sopra i cieli. Era conveniente, infatti, anche per l'onore del suo Figlio, che la Vergine Madre regnasse dapprima in terra e così alla fine ricevesse la gloria nei cieli. Era giusto che la sua santità e la sua grandezza andassero crescendo quaggiù, passando di virtù in virtù e di splendore in splendore per opera dello Spirito Santo, fino a raggiungere il termine massimo al momento della sua entrata nella dimora superna.
Perciò quando era qui con il corpo, pregustava le primizie del regno futuro, ora innalzandosi fino a Dio, ora scendendo verso i fratelli mediante l'amore. Fu onorata dagli angeli e venerata dagli uomini. Le stava accanto Gabriele con gli angeli e le rendeva servizio, con gli apostoli, Giovanni, ben felice che a lui, vergine, fosse stata affidata presso la croce la Vergine Madre. Quelli erano lieti di vedere in lei la Regina, questi la Signora, e sia gli uni che gli altri la circondavano di pio e devoto affetto.
Abitava nel sublime palazzo della santità, godeva della massima abbondanza dei favori divini, e sul popolo credente e assetato faceva scendere la pioggia delle grazie, lei che nella ricchezza della grazia aveva superato tutte le creature.
Conferiva la salute fisica e la medicina spirituale, aveva il potere di risuscitare dalla morte i corpi e le anime. Chi mai si partì da lei o malato, o triste, o digiuno dei misteri celesti? Chi non ritornò a casa sua lieto e contento dopo d'aver ottenuto dalla Madre del Signore, Maria, quello che voleva?
Maria era la sposa ricca di gioielli spirituali, la madre dell'unico Sposo, la fonte di ogni dolcezza, la delizia dei giardini spirituali e la sorgente delle acque vive e vivificanti che discendono dal Libano divino, dal monte Sion fino ai popoli stranieri sparsi qua e là. Ella faceva scendere fiumi di pace e grazia. Perciò mentre la Vergine delle vergini veniva assunta in cielo da Dio e dal Figlio suo, re dei re, tra l'esultanza degli angeli, il giubilo degli arcangeli e le acclamazioni festose del cielo, si compì la profezia del salmista che dice al Signore: «Sta la regina alla tua destra in veste tessuta d'oro, in abiti trapunti e ricamati» (Sal 44, 10 volg.).
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23/08/2012 08:31
 
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Dal trattato «Il saluto dell'Angelo» di Baldovino di Canterbury, vescovo
(Tratt. 7; PL 204, 477-478)
Un virgulto germoglierà dalla radice di Iesse

All'«Ave» dell'Angelo, con cui ogni giorno salutiamo devotamente la santissima Vergine, siamo soliti aggiungere: «e benedetto il frutto del tuo grembo». Queste parole conclusive sono quelle che Elisabetta pronunziò in risposta al saluto della Vergine.
Ella, come riprendendo la fine del saluto dell'Angelo, proseguì: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo» (Lc 1, 42). Questo è il frutto di cui parla appunto Isaia: «In quel giorno il germoglio del Signore crescerà in onore e gloria, e il frutto della terra sarà a magnificenza e ornamento» (Is 4, 2). Chi è questo frutto se non il Santo d'Israele, che a sua volta è discendenza di Abramo, germe del Signore e virgulto della radice di Iesse, frutto della vita al quale abbiamo partecipato?
Benedetto davvero nel seme e benedetto nel germe, benedetto nel fiore, benedetto nel dono, benedetto infine nel ringraziamento e nella lode. Cristo, seme di Abramo, nacque da David secondo la carne.
Egli solo fra gli uomini si trova perfetto in ogni bene. A lui lo Spirito fu dato senza misura, perché da solo potesse adempiere ogni giustizia. La sua giustizia infatti è sufficiente per tutti i popoli, secondo quanto sta scritto: «Poiché, come la terra produce la vegetazione e come un giardino fa germogliare i semi, così il Signore Dio farà germogliare la giustizia e la lode davanti a tutti i popoli» (Is 61, 11). Questo infatti è il germe della giustizia, che il fiore della gloria abbellisce dopo che è stato arricchito di benedizione. Ma di quanta gloria? Quanta più eccelsa si possa pensare, anzi quanta non si possa assolutamente pensare. Infatti un virgulto viene su dalla radice di Iesse. Fin dove? Fino al massimo, perché Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre (cfr. Fil 2, 11).
La sua magnificenza è stata innalzata al di sopra dei cieli, affinché il germe del Signore sia di ornamento e di gloria, e il frutto della terra sia sublime.
Ma quale vantaggio possiamo sperare da questo frutto? Quale se non quello della benedizione dal frutto benedetto? Infatti da questo seme, germe, fiore, proviene il frutto della benedizione. Ed è arrivato fino a noi. In un primo momento quasi in seme per la grazia del perdono; poi come se fosse in germoglio per l'accrescimento della giustizia; infine sboccia nel fiore per la speranza e per l'acquisto della gloria. Benedetto da Dio e in Dio, perché Dio sia glorificato in lui. Benedetto anche per noi, perché, benedetti da lui, siamo glorificati in lui. Con la promessa fatta ad Abramo, infatti, Dio ha dato a lui la benedizione di tutte le genti.
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30/08/2012 08:57
 
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Dalle «Istruzioni» di san Colombano, abate
(Istr. 13 su Cristo fonte di vita, 2-3; Opera, Dublino, 1957, 118-120)
Dio è tutto per noi

Ascoltiamo, o fratelli, l'invito, con cui la Vita stessa, che è sorgente non solo di acqua viva, ma anche fonte di vita eterna e di luce, ci chiama a sé. Da lui infatti provengono la sapienza, la vita, la luce eterna. L'autore della vita è sorgente della vita, il creatore della luce, la fonte stessa della luce. Non curiamoci delle cose che ci circondano, ma puntiamo lo sguardo verso l'alto, verso la sorgente della luce, della vita e dell'acqua viva. Facciamo come fanno i pesci che emergono nel mare attratti dalla fonte luminosa. Eleviamoci per bere alla sorgente d'acqua viva che zampilla per la vita eterna (cfr. Gv 4, 14).
Oh, se tu, o Dio misericordioso e Signore pietoso, ti degnassi di chiamarmi a questa sorgente, perché anch'io, insieme con tutti quelli che hanno sete di te, potessi bere dell'acqua viva che scaturisce da te, viva sorgente! Potessi inebriarmi della tua ineffabile dolcezza senza staccarmi mai più da te, tanto da dire: Quanto è dolce la sorgente dell'acqua viva; la sua acqua che zampilla per la vita eterna non viene mai a mancare!
O Signore, tu stesso sei questa fonte eternamente desiderabile, di cui continuamente dobbiamo dissetarci e di cui sempre avremo sete. Dacci sempre, o Cristo Signore, quest'acqua perché si trasformi anche in noi in sorgente di acqua viva che zampilli per la vita eterna!
Domando certo una grande cosa; chi non lo sa? Ma tu, o re della gloria, sai donare cose grandi e cose grandi hai promesso. Nulla è più grande di te: ma tu ti sei donato a noi e ti sei immolato per noi.
Per questo ti preghiamo di farci conoscere quello che amiamo, poiché nulla cerchiamo di avere all'infuori di te. Tu sei tutto per noi: la nostra vita, la nostra luce, la nostra salvezza, il nostro cibo, la nostra bevanda, il nostro Dio. Ti prego, o Gesù nostro, d'ispirare i nostri cuori col soffio del tuo Spirito e di trafiggere col tuo amore le nostre anime perché ciascuno di noi possa dire con tutta verità: Fammi conoscere colui che l\'anima mia ama (cfr. Ct 1, 6 volg.); sono infatti ferito dal tuo amore.
Desidero che quelle ferite siano impresse in me, o Signore. Beata l'anima trafitta dalla carità! Essa cercherà la sorgente, ne berrà. Bevendone, ne avrà sempre sete. Dissetandosi, bramerà con ardore colui di cui ha sempre sete, pur bevendone continuamente. In questo modo per l'anima l'amore è sete che cerca con brama, è ferita che risana. Il Dio e Signore nostro Gesù Cristo, medico pietoso, si degni di piagare con questa salutare ferita l'intimo della mia anima, egli che insieme col Padre e con lo Spirito Santo è un solo Dio nei secoli dei secoli. Amen.
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08/09/2012 07:41
 
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Dai «Discorsi» di sant'Andrea di Creta, vescovo
(Disc. 1; PG 97, 806-810)
Le cose vecchie sono passate,
ecco ne sono nate di nuove

«Il termine della legge è Cristo» (Rm 10, 4). Si degni egli di innalzarci verso lo spirito ancora più di quanto ci libera dalla lettera della legge.
In lui si trova tutta la perfezione della legge perché lo stesso legislatore, dopo aver portato a termine ogni cosa, trasformò la lettera in spirito, ricapitolando tutto in se stesso. La legge fu vivificata dalla grazia e fu posta al suo servizio in una composizione armonica e feconda. Ognuna delle due conservò le sue caratteristiche senza alterazioni e confusioni. Tuttavia la legge, che prima costituiva un onere gravoso e una tirannia, diventò, per opera di Dio, peso leggero e fonte di libertà.
In questo modo non siamo più «schiavi degli elementi del mondo» (Gal 4, 3), come dice l'Apostolo, né siamo più oppressi dal giogo della legge, né prigionieri della sua lettera morta.
Il mistero del Dio che diventa uomo, la divinizzazione dell'uomo assunto dal Verbo, rappresentano la somma dei beni che Cristo ci ha donati, la rivelazione del piano divino e la sconfitta di ogni presuntuosa autosufficienza umana. La venuta di Dio fra gli uomini, come luce splendente e realtà divina chiara e visibile, è il dono grande e meraviglioso della salvezza che ci venne elargito.
La celebrazione odierna onora la natività della Madre di Dio. Però il vero significato e il fine di questo evento è l'incarnazione del Verbo. Infatti Maria nasce, viene allattata e cresciuta per essere la Madre del Re dei secoli, di Dio.
La beata Vergine Maria ci fa godere di un duplice beneficio: ci innalza alla conoscenza della verità, e ci libera dal dominio della lettera, esonerandoci dal suo servizio. In che modo e a quale condizione? L'ombra della notte si ritira all'appressarsi della luce del giorno, e la grazia ci reca la libertà in luogo della schiavitù della legge. La presente festa è come una pietra di confine fra il Nuovo e l'Antico Testamento. Mostra come ai simboli e alle figure succeda la verità, e come alla prima alleanza succeda la nuova. Tutta la creazione dunque canti di gioia, esulti e partecipi alla letizia di questo giorno. Angeli e uomini si uniscano insieme per prender parte all'odierna liturgia. Insieme la festeggino coloro che vivono sulla terra e quelli che si trovano nei cieli. Questo infatti è il giorno in cui il Creatore dell\'universo ha costruito il suo tempio, oggi il giorno in cui, per un progetto stupendo, la creatura diventa la dimora prescelta del Creatore.
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11/09/2012 08:29
 
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Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate
(Disc. 5 su argomenti vari, 1-4; Opera omnia, ed. Cisterc. 6, 1[1970] 98-103)
Io starò al mio posto di guardia
per sentire ciò che mi dirà il Signore

Leggiamo nel vangelo che, mentre il Signore predicava e invitava i suoi discepoli a partecipare alla sua passione nel sacramento conviviale del suo corpo, alcuni dissero: Questo linguaggio è duro, e da quel momento non andarono più con lui. I discepoli, invece, interrogati se volessero andarsene anche loro risposero: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6, 68).
Così vi dico, fratelli: Fino ad oggi ci sono persone per le quali è chiaro che le parole di Gesù sono spirito e vita e perciò lo seguono. Ad altri invece paiono dure e cercano altrove ben magre consolazioni. La Sapienza fa sentire la sua voce sulle piazze, vale a dire ammonisce quelli che camminano per la via larga e spaziosa che conduce alla morte, per richiamare indietro quanti vi camminano.
Essa grida: «Per quarant'anni mi disgustai di quella generazione e dissi: Sono un popolo dal cuore traviato» (Sal 94, 10). In un altro salmo trovi: Il Signore ha parlato una sola volta (cfr. Sal 61, 12). Certo, una sola volta, perché parla sempre. Infatti unico e non interrotto, ma continuo e senza fine è il suo parlare.
Invita i peccatori a rientrare in sé, li rimprovera per lo sbandamento del cuore, perché ivi egli abita ed ivi parla, eseguendo di persona l'invito rivolto attraverso il profeta: «Parlate al cuore di Gerusalemme» (Is 40, 2).
Vedete, fratelli, quanto salutarmente ci ammonisca il profeta perché, se oggi udiamo la sua voce non induriamo i nostri cuori. Sono press\'a poco le medesime parole che si leggono nel vangelo. Il Signore infatti dice: «Le mie pecore ascoltano la mia voce» (Gv 10, 27). Vi fa eco il detto del santo Davide: «Popolo del suo pascolo (senza dubbio quello del Signore) e gregge che egli conduce. Ascoltate oggi la sua voce: non indurite il cuore» (Sal 94, 7-8).
Ascoltate infine il profeta Abacuc. Egli non nasconde il rimprovero del Signore, anzi lo trasmette con fedeltà e zelo. Dice infatti: Mi metterò di sentinella, in piedi nella fortezza, a spiare, per vedere che cosa mi dirà e che cosa debba rispondere ai rimproveri che il Signore mi fa (cfr. Ab 2, 1).
Anche noi dunque, fratelli, stiamo al nostro posto di guardia, perché è tempo di combattimento.
Rientriamo in noi stessi, esaminiamo il nostro cuore, dove abita Cristo, comportiamoci con saggezza e giudizio. Però la nostra fiducia non risiede in noi stessi. Poggerebbe infatti su un fondamento troppo debole.
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12/09/2012 09:18
 
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Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate
(Disc. 5 su argomenti vari, 4-5; Opera omnia
ed. Cisterc. 6, 1 [1970] 103-104)
I gradi di contemplazione

Entriamo nella fortezza fondata su Cristo, pietra solidissima che non vacilla mai. Sforziamoci con tutto l'impegno di rimanere in essa. Si verificherà allora su di noi il detto: «Egli ha stabilito i miei piedi sulla roccia, ha reso sicuri i miei passi» (Sal 39, 3). Così, bene fondati e resi sicuri, diamoci ormai alla contemplazione per considerare cosa voglia il Signore da noi, cosa gli piaccia e cosa torni gradito ai suoi occhi. Sappiamo che «tutti quanti manchiamo in molte cose» (Gc 3, 2) e che il nostro sforzo malauguratamente si dirige contro il suo santo volere, invece di unirsi e aderire ad esso. Umiliamoci perciò sotto la mano potente del Dio altissimo e cerchiamo in ogni modo di riconoscerci come realmente siamo agli occhi della sua misericordia, dicendo: «Guariscimi, o Signore, e sarò guarito, salvami e io sarò salvo» (Ger 17, 14). Possiamo fare anche quest'altra preghiera: «Pietà di me, Signore; risanami, contro di te ho peccato» (Sal 40, 5).
Quando l'occhio del cuore si è schiarito alla luce di questa preghiera, rigettiamo l'amarezza che vuole entrare nel nostro spirito, e apriamoci piuttosto alla grande gioia che sta nel riposare sullo Spirito di Dio. Più che la volontà di Dio, qual è in noi, contempliamo la volontà di Dio in se stessa. Infatti «nella volontà di Dio si trova la vita» (Sal 29, 6 volg.). Ciò che combacia con la sua volontà è senza dubbio per noi più utile e più rispondente alle nostre esigenze.
Conserviamo con sollecitudine la vita dell'anima e, con una medesima premura, asteniamoci dal seguire vie che non si concilino con essa. Quando ormai abbiamo fatto qualche progresso nella via spirituale sotto la guida dello Spirito Santo, che scruta anche le profondità di Dio, usciamo da noi ed entriamo in lui che è tanto buono. Preghiamo con il profeta per conoscere la sua volontà, e visitiamo non più il nostro cuore, ma il suo tempio dicendo: «In me si abbatte l\'anima mia, perciò di te mi ricordo» (Sal 41, 7).
Dobbiamo guardare noi stessi e dolerci dei nostri peccati in ordine alla salvezza. Ma dobbiamo anche guardare Dio, respirare in lui per avere la gioia e la consolazione dello Spirito Santo. Da una parte ci verrà il timore e l'umiltà, dall'altra la speranza e l'amore.
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14/09/2012 08:04
 
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Dai «Discorsi» di sant'Andrea di Creta, vescovo
(Disc. 10 sull'Esaltazione della santa croce;
PG 97,1018-1019.1022-1023)
La croce è gloria ed esaltazione di Cristo

Noi celebriamo la festa della santa croce, per mezzo della quale sono state cacciate le tenebre ed è ritornata la luce. Celebriamo la festa della santa croce, e così, insieme al Crocifisso, veniamo innalzati e sublimati anche noi. Infatti ci distacchiamo dalla terra del peccato e saliamo verso le altezze. È tale e tanta la ricchezza della croce che chi la possiede ha un vero tesoro. E la chiamo giustamente così, perché di nome e di fatto è il più prezioso di tutti i beni. È in essa che risiede tutta la nostra salvezza. Essa è il mezzo e la via per il ritorno allo stato originale.
Se infatti non ci fosse la croce, non ci sarebbe nemmeno Cristo crocifisso. Se non ci fosse la croce, la Vita non sarebbe stata affissa al legno. Se poi la Vita non fosse stata inchiodata al legno, dal suo fianco non sarebbero sgorgate quelle sorgenti di immortalità, sangue e acqua, che purificano il mondo. La sentenza di condanna scritta per il nostro peccato non sarebbe stata lacerata, noi non avremmo avuto la libertà, non potremmo godere dell\'albero della vita, il paradiso non sarebbe stato aperto per noi. Se non ci fosse la croce, la morte non sarebbe stata vinta, l'inferno non sarebbe stato spogliato.
È dunque la croce una risorsa veramente stupenda e impareggiabile, perché, per suo mezzo, abbiamo conseguito molti beni, tanto più numerosi quanto più grande ne è il merito, dovuto però in massima parte ai miracoli e alla passione del Cristo. È preziosa poi la croce perché è insieme patibolo e trofeo di Dio. Patibolo per la sua volontaria morte su di essa. Trofeo perché con essa fu vinto il diavolo e col diavolo fu sconfitta la morte. Inoltre la potenza dell'inferno venne fiaccata, e così la croce è diventata la salvezza comune di tutto l'universo.
La croce è gloria di Cristo, esaltazione di Cristo. La croce è il calice prezioso e inestimabile che raccoglie tutte le sofferenze di Cristo, è la sintesi completa della sua passione. Per convincerti che la croce è la gloria di Cristo, senti quello che egli dice: «Ora il figlio dell'uomo è stato glorificato e anche Dio è stato glorificato in lui, e lo glorificherà subito» (Gv 13, 31-32).
E di nuovo: «Glorificami, Padre, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17, 5). E ancora: «Padre glorifica il tuo nome. Venne dunque una voce dal cielo: L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò» (Gv 12, 28), per indicare quella glorificazione che fu conseguita allora sulla croce. Che poi la croce sia anche esaltazione di Cristo, ascolta ciò che egli stesso dice: Quando sarò esaltato, allora attirerò tutti a me (cfr. Gv 12, 32). Vedi dunque che la croce è gloria ed esaltazione di Cristo.
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15/09/2012 06:24
 
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Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate
(Disc. nella domenica fra l'ottava dell'Assunzione 14-15;
Opera omnia, ed. Cisterc. 5 [1968] 273-274)
La Madre di Gesù stava presso la croce

Il martirio della Vergine viene celebrato tanto nella profezia di Simeone, quanto nella storia stessa della passione del Signore. Egli è posto, dice del bambino Gesù il santo vegliardo, quale segno di contraddizione, e una spada, dice poi rivolgendosi a Maria, trapasserà la tua stessa anima (cfr. Lc 2, 34-35)
Una spada ha trapassato veramente la tua anima, o santa Madre nostra! Del resto non avrebbe raggiunto la carne del Figlio se non passando per l'anima della Madre. Certamente dopo che il tuo Gesù, che era di tutti, ma specialmente tuo, era spirato, la lancia crudele non poté arrivare alla sua anima. Quando, infatti, non rispettando neppure la sua morte, gli aprì il costato, ormai non poteva più recare alcun danno al Figlio tuo. Ma a te sì. A te trapassò l'anima. L'anima di lui non era più là, ma la tua non se ne poteva assolutamente staccare. Perciò la forza del dolore trapassò la tua anima, e così non senza ragione ti possiamo chiamare più che martire, perché in te la partecipazione alla passione del Figlio, superò di molto, nell'intensità, le sofferenze fisiche del martirio.
Non fu forse per te più che una spada quella parola che davvero trapassò l'anima ed arrivò fino a dividere anima e spirito? Ti fu detto infatti: «Donna, ecco il tuo figlio» (Gv 19, 26). Quale scambio! Ti viene dato Giovanni al posto di Gesù, il servo al posto del Signore, il discepolo al posto del maestro, il figlio di Zebedeo al posto del Figlio di Dio, un semplice uomo al posto del Dio vero. Come l'ascolto di queste parole non avrebbe trapassato la tua anima tanto sensibile, quando il solo ricordo riesce a spezzare anche i nostri cuori, che pure sono di pietra e di ferro?
Non meravigliatevi, o fratelli, quando si dice che Maria è stata martire nello spirito. Si meravigli piuttosto colui che non ricorda d'aver sentito Paolo includere tra le più grandi colpe dei pagani che essi furono privi di affetto. Questa colpa è stata ben lontana dal cuore di Maria, e sia ben lontana anche da quello dei suoi umili devoti.
Qualcuno potrebbe forse obiettare: Ma non sapeva essa in antecedenza che Gesù sarebbe morto? Certo. Non era forse certa che sarebbe ben presto risorto? Senza dubbio e con la più ferma fiducia. E nonostante ciò soffrì quando fu crocifisso? Sicuramente e in modo veramente terribile. Del resto chi sei mai tu, fratello, e quale strano genere di sapienza è il tuo, se ti meravigli della solidarietà nel dolore della Madre col Figlio, più che del dolore del Figlio stesso di Maria? Egli ha potuto morire anche nel corpo, e questa non ha potuto morire con lui nel suo cuore? Nel Figlio operò l'amore superiore a ogni altro amore. Nella Madre operò l\'amore, al quale dopo quello di Cristo nessun altro amore si può paragonare.
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20/09/2012 08:16
 
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Dall'ultima esortazione di sant'Andrea Kim Taegòn, prete e martire
(Cfr. Pro Corea. Documenta ed. Mission Catholique Séoul,
Séoul - Paris 1938, vol. I, 74-75)
Una fede suggellata dall'amore e dalla perseveranza

Fratelli e amici carissimi, pensate e ripensate: all'inizio dei tempi Dio creò il cielo e la terra (cfr. Gn 1, 1) e tutte le cose; chiedetevi il perché e con quale disegno abbia plasmato in modo così singolare l'uomo a sua immagine e somiglianza.
Se dunque in questo mondo pieno di pericoli e di miseria non riconoscessimo il Signore come creatore, a nulla ci gioverebbe esser nati e rimanere vivi. Se per grazia di Dio siamo venuti al mondo, pure per la sua grazia abbiamo ricevuto il battesimo e siamo entrati nella Chiesa; e così, divenuti discepoli del Signore, portiamo un nome glorioso. Ma a che cosa gioverebbe avere un così grande nome senza la coerenza della vita? Vano sarebbe esser nati ed entrati nella Chiesa; anzi sarebbe un tradire il Signore e la sua grazia. Meglio sarebbe non esser nati che aver ricevuto la grazia del Signore e peccare contro di lui.
Guardate l'agricoltore che semina nel campo (cfr. Gc 5, 7-8): a tempo opportuno ara la terra, poi la concima e stimando un niente la fatica portata sotto il sole, coltiva il seme prezioso. Quando le spighe sono mature e giunge il tempo della mietitura, il suo cuore, dimenticando fatica e sudore, si rallegra ed esulta per la felicità. Se invece le spighe sono vuote e non gli resta altro che paglia e pula, il contadino, ricordando il duro lavoro e il sudore, quanto più aveva coltivato quel campo, tanto più lo lascerà in abbandono.
Similmente ha fatto il Signore con noi: la terra è il suo campo, noi uomini i germogli, la grazia il concime. Mediante la sua incarnazione e redenzione egli ci ha irrigato con il suo sangue, perché potessimo crescere e giungere a maturazione.
Quando nel giorno del giudizio verrà il tempo di raccogliere, colui che sarà trovato maturo nella grazia, godrà nel regno dei cieli come figlio adottivo di Dio: ma chi sarà rimasto senza frutto, pur essendo stato figlio adottivo, diventerà nemico e sarà punito in eterno come merita.
Fratelli carissimi, sappiate con certezza che il Signore nostro Gesù, venuto nel mondo, ha preso su di sé dolori innumerevoli, con la sua passione ha fondato la santa Chiesa e la fa crescere con le prove e il martirio dei fedeli. Sebbene le potenze del mondo la opprimano e la combattano, tuttavia non potranno mai prevalere. Dopo l'Ascensione di Gesù, dal tempo degli Apostoli fino ai nostri giorni, in ogni parte della terra la santa Chiesa cresce in mezzo alle tribolazioni.
Così nel corso dei cinquanta o sessanta anni da quando la santa Chiesa è entrata nella nostra Corea, i fedeli hanno dovuto affrontare più volte la persecuzione e oggi infuria più che mai. Perciò numerosi amici nella stessa fede, anch'io fra essi, sono stati gettati in carcere e voi pure rimanete in mezzo alla tribolazione. Se è vero che formiamo un solo corpo, come non saremo rattristati nell'intimo dei nostri cuori? Come non sperimenteremo secondo il sentimento umano il dolore della separazione?
Tuttavia, come dice la Scrittura, Dio ha cura del più piccolo capello del capo (cfr. Mt 10, 30) e ne tiene conto nella sua onniscienza; come dunque potrà essere considerata una così violenta persecuzione se non una disposizione divina, un premio oppure una pena?
Abbracciate dunque la volontà di Dio e con tutto il cuore sostenete il combattimento per Gesù, re del cielo; anche voi vincerete il dèmone di questo mondo, già sconfitto da Cristo.
Vi scongiuro: non trascurate l'amore fraterno, ma aiutatevi a vicenda; e fino a quando il Signore vi userà misericordia allontanando la tribolazione, perseverate.
Qui siamo in venti, e per grazia di Dio stiamo ancora tutti bene. Se qualcuno verrà ucciso, vi supplico di avere cura della sua famiglia.
Avrei ancora molte cose da dire, ma come posso esprimerle con la penna e la carta? Termino la mia lettera. Essendo ormai vicini al combattimento io vi prego di camminare nella fedeltà; e alla fine, entrati nel cielo, ci rallegreremo insieme.
Vi bacio per l'ultima volta in segno del mio amore.
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27/09/2012 06:46
 
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Da alcune «Lettere e conferenze spirituali» di san Vincenzo de\' Paoli, sacerdote
(Cfr. lett. 2546, ecc.; Correspondance, entretiens, documents, Paris 1922-1925, passim)
Servire Cristo nei poveri

Non dobbiamo regolare il nostro atteggiamento verso i poveri da ciò che appare esternamente in essi e neppure in base alle loro qualità interiori. Dobbiamo piuttosto considerarli al lume della fede. Il Figlio di Dio ha voluto essere povero, ed essere rappresentato dai poveri. Nella sua passione non aveva quasi la figura di uomo; appariva un folle davanti ai gentili, una pietra di scandalo per i Giudei; eppure egli si qualifica l\'evangelizzatore dei poveri: «Mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio» (Lc 4, 18).
Dobbiamo entrare in questi sentimenti e fare ciò che Gesù ha fatto: curare i poveri, consolarli, soccorrerli, raccomandarli.
Egli stesso volle nascere povero, ricevere nella sua compagnia i poveri, servire i poveri, mettersi al posto dei poveri, fino a dire che il bene o il male che noi faremo ai poveri lo terrà come fatto alla sua persona divina. Dio ama i poveri, e, per conseguenza, ama quelli che amano i poveri. In realtà quando si ama molto qualcuno, si porta affetto ai suoi amici e ai suoi servitori. Così abbiamo ragione di sperare che, per amore di essi, Dio amerà anche noi.
Quando andiamo a visitarli, cerchiamo di capirli per soffrire con loro, e di metterci nella disposizione interiore dell\'Apostolo che diceva: «Mi sono fatto tutto a tutti» (1 Cor 9, 22). Sforziamoci perciò di diventare sensibili alle sofferenze e alle miserie del prossimo. Preghiamo Dio, per questo, che ci doni lo spirito di misericordia e di amore, che ce ne riempia e che ce lo conservi.
Il servizio dei poveri deve essere preferito a tutto. Non ci devono essere ritardi. Se nell\'ora dell\'orazione avete da portare una medicina o un soccorso a un povero, andatevi tranquillamente.
Offrite a Dio la vostra azione, unendovi l\'intenzione dell\'orazione. Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l\'orazione. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un\'opera di Dio per farne un\'altra. Se lasciate l\'orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa. È una grande signora: bisogna fare ciò che comanda.
Tutti quelli che ameranno i poveri in vita non avranno alcun timore della morte. Serviamo dunque con rinnovato amore i poveri e cerchiamo i più abbandonati. Essi sono i nostri signori e padroni.
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01/10/2012 08:09
 
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Dall\'«Autobiografia» di santa Teresa di Gesù Bambino, vergine
(Manuscrits autobiographiques, Lisieux 1957, 227-229)
Nel cuore della Chiesa io sarò l\'amore

Siccome le mie immense aspirazioni erano per me un martirio, mi rivolsi alle lettere di san Paolo, per trovarvi finalmente una risposta. Gli occhi mi caddero per caso sui capitoli 12 e 13 della prima lettera ai Corinzi, e lessi nel primo che tutti non possono essere al tempo stesso apostoli, profeti e dottori e che la Chiesa si compone di varie membra e che l\'occhio non può essere contemporaneamente la mano. Una risposta certo chiara, ma non tale da appagare i miei desideri e di darmi la pace.
Continuai nella lettura e non mi perdetti d\'animo. Trovai così una frase che mi diede sollievo: «Aspirate ai carismi più grandi. E io vi mostrerò una via migliore di tutte» (1 Cor 12, 31). L\'Apostolo infatti dichiara che anche i carismi migliori sono un nulla senza la carità, e che questa medesima carità è la via più perfetta che conduce con sicurezza a Dio. Avevo trovato finalmente la pace.
Considerando il corpo mistico della Chiesa, non mi ritrovavo in nessuna delle membra che san Paolo aveva descritto, o meglio, volevo vedermi in tutte. La carità mi offrì il cardine della mia vocazione. Compresi che la Chiesa ha un corpo composto di varie membra, ma che in questo corpo non può mancare il membro necessario e più nobile. Compresi che la Chiesa ha un cuore, un cuore bruciato dall\'amore. Capii che solo l\'amore spinge all\'azione le membra della Chiesa e che, spento questo amore, gli apostoli non avrebbero più annunziato il Vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro sangue. Compresi e conobbi che l\'amore abbraccia in sé tutte le vocazioni, che l\'amore è tutto, che si estende a tutti i tempi e a tutti i luoghi, in una parola, che l\'amore è eterno.
Allora con somma gioia ed estasi dell\'animo gridai: O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia vocazione. La mia vocazione è l\'amore. Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto me lo hai dato tu, o mio Dio.
Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l\'amore ed in tal modo sarò tutto e il mio desiderio si tradurrà in realtà.
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02/10/2012 08:54
 
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Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate
(Disc. 12 sul salmo 90: Tu che abiti, 3, 6-8;
Opera omnia, ed. Cisterc. 4 [1966] 458-462)
Ti custodiscano in tutti i tuoi passi

«Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi» (Sal 90, 11). Ringrazino il Signore per la sua misericordia e per i suoi prodigi verso i figli degli uomini. Ringrazino e dicano tra le genti: grandi cose ha fatto il Signore per loro. O Signore, che cos'è l'uomo, per curarti di lui o perché ti dai pensiero per lui? Ti dai pensiero di lui, di lui sei sollecito, di lui hai cura. Infine gli mandi il tuo Unigenito, fai scendere in lui il tuo Spirito, gli prometti anche la visione del tuo volto. E per dimostrare che il cielo non trascura nulla che ci possa giovare, ci metti a fianco quegli spiriti celesti, perché ci proteggano, e ci istruiscano e ci guidino.
«Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi». Queste parole quanta riverenza devono suscitare in te, quanta devozione recarti, quanta fiducia infonderti! Riverenza per la presenza, devozione per la benevolenza, fiducia per la custodia. Sono presenti, dunque, e sono presenti a te, non solo con te, ma anche per te. Sono presenti per proteggerti, sono presenti per giovarti.
Anche se gli angeli sono semplici esecutori di comandi divini, si deve essere grati anche a loro perché ubbidiscono a Dio per il nostro bene.
Siamo dunque devoti, siamo grati a protettori così grandi, riamiamoli, onoriamoli quanto possiamo e quanto dobbiamo.
Tutto l'amore e tutto l'onore vada a Dio, dal quale deriva interamente quanto è degli angeli e quanto è nostro. Da lui viene la capacità di amare e di onorare, da lui ciò che ci rende degni di amore e di onore.
Amiamo affettuosamente gli angeli di Dio, come quelli che saranno un giorno i nostri coeredi, mentre nel frattempo sono nostre guide e tutori, costituiti e preposti a noi dal Padre. Ora, infatti, siamo figli di Dio. Lo siamo, anche se questo attualmente non lo comprendiamo chiaramente, perché siamo ancora bambini sotto amministratori e tutori e, conseguentemente, non differiamo per nulla dai servi. Del resto, anche se siamo ancora bambini e ci resta un cammino tanto lungo e anche tanto pericoloso, che cosa dobbiamo temere sotto protettori così grandi?
Non possono essere sconfitti né sedotti e tanto meno sedurre, essi che ci custodiscono in tutte le nostre vie. Sono fedeli, sono prudenti, sono potenti. Perché trepidare? Soltanto seguiamoli, stiamo loro vicini e restiamo nella protezione del Dio del cielo.
04/10/2012 08:25
 
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Dalla «Lettera a tutti i fedeli» di san Francesco d\'Assisi
(Opuscoli, ed. Quaracchi 1949, 87-94)
Dobbiamo essere semplici, umili e puri

Il Padre altissimo fece annunziare dal suo arcangelo Gabriele alla santa e gloriosa Vergine Maria che il Verbo del Padre, così degno, così santo e così glorioso, sarebbe disceso dal cielo, e dal suo seno avrebbe ricevuto la vera carne della nostra umanità e fragilità. Egli, essendo oltremodo ricco, volle tuttavia scegliere, per sé e per la sua santissima Madre, la povertà.
All\'approssimarsi della sua passione, celebrò la Pasqua con i suoi discepoli. Poi pregò il Padre dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice» (Mt 26, 39).
Pose tuttavia la sua volontà nella volontà del Padre. E la volontà del Padre fu che il suo Figlio benedetto e glorioso, dato a noi e nato per noi, offrisse se stesso nel proprio sangue come sacrificio e vittima sull\'altare della croce. Non si offrì per se stesso, non ne aveva infatti bisogno lui, che aveva creato tutte le cose. Si offrì invece per i nostri peccati, lasciandoci l\'esempio perché seguissimo le sue orme (cfr. 1 Pt 2, 21). E il Padre vuole che tutti ci salviamo per mezzo di lui e lo riceviamo con puro cuore e casto corpo.
O come sono beati e benedetti coloro che amano il Signore e ubbidiscono al suo Vangelo! È detto infatti: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore e con tutta la tua anima, e il prossimo tuo come te stesso» (Lc 10, 27). Amiamo dunque Dio e adoriamolo con cuore puro e pura mente, perché egli stesso questo ricerca sopra ogni cosa quando dice «I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4, 23). Dunque tutti quelli che l\'adorano devono adorarlo in spirito e verità. Rivolgiamo a lui giorno e notte lodi e preghiere, perché dobbiamo sempre pregare e non stancarci mai (cfr. Lc 18, 1), e diciamogli: «Padre nostro, che sei nei cieli» (Mt 6, 9).
Facciamo inoltre «frutti degni di conversione» (Mt 3, 8) e amiamo il prossimo come noi stessi. Siamo caritatevoli, siamo umili, facciamo elemosine perché esse lavano le nostre anime dalle sozzure del peccato.
Gli uomini perdono tutto quello che lasciano in questo mondo. Portano con sé solo la mercede della carità e delle elemosine che hanno fatto. È il Signore che dà loro il premio e la ricompensa.
Non dobbiamo essere sapienti e prudenti secondo la carne, ma piuttosto semplici, umili e casti. Non dobbiamo mai desiderare di essere al di sopra degli altri, ma piuttosto servi e sottomessi a ogni umana creatura per amore del Signore. E su tutti coloro che avranno fatte tali cose e perseverato fino alla fine, riposerà lo Spirito del Signore. Egli porrà in essi la sua dimora ed abitazione. Saranno figli del Padre celeste perché ne compiono le opere. Saranno considerati come fossero per il Signore o sposa o fratello o madre.
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