Nuova Discussione
Rispondi
 

BRANI SCELTI di SANTI e DOTTORI della Chiesa

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:58
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
19/08/2014 06:27
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalla «Omelia in lode della Vergine Madre» di san Bernardo, abate
(Om. 2, 1-2. 4; Opera omnia, ed. Cisterc. 4 [1966] 21-23)
Preparata dall'Altissimo, prefigurata dai padri

A Dio conveniva una natività di questo genere: che non nascesse se non dalla Vergine; anche alla Vergine si addiceva un parto tale: che non generasse se non Dio. Perciò il creatore degli uomini, che stava per nascere dall'uomo per diventare uomo, dovette scegliere tra tutte le donne, anzi creare una tale madre, quale sapeva convenire a sé e che gli sarebbe piaciuta.
Volle dunque che fosse una vergine. Lui immacolato volle nascere dall'Immacolata, perché avrebbe dovuto lavare le macchie di tutti. Lui mite ed umile di cuore volle venire da una madre piena di mitezza e di umiltà, perché doveva offrirsi a ognuno modello di tali virtù, utili, anzi necessarie per la salvezza. Concesse il dono della maternità alla Vergine, lui che le aveva ispirato il voto della verginità e l'aveva arricchita dei meriti dell'umiltà.
Altrimenti come avrebbe potuto l'Angelo proclamarla piena di grazia, se avesse avuto qualcosa anche piccola che non fosse dalla grazia? Ella che stava per concepire il Santo dei santi ed era in procinto di darlo alla luce, perché fosse santa nel corpo, ricevette il dono della verginità, e, perché lo fosse anche nella mente, ricevette quello dell'umiltà.
La Vergine di stirpe regale, ornata di gemme di santità e splendente della doppia bellezza della mente e del corpo, conosciuta nelle sedi celesti per le sue doti e la sua bellezza, richiamò sopra di sé lo sguardo dei cittadini del cielo e attirò sulla sua persona l'occhio del Re, che la fece oggetto della sua scelta e destinataria del messaggio angelico.
«L'angelo Gabriele fu mandato», dice, «a una vergine» (Lc 1, 26-27): vergine nel corpo, vergine nell'anima, vergine per voto, vergine insomma quale la descrive l'Apostolo, santa nell'anima e nel corpo; e non scoperta di recente né per caso, ma eletta dall'eternità, conosciuta in antecedenza dall'Altissimo e preparata per lui, custodita dagli angeli, prefigurata dai padri, promessa dai profeti.
OFFLINE
20/08/2014 08:00
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dai «Discorsi sul Cantico dei Cantici» di san Bernardo, abate
(Disc. 83, 4-6; Opera omnia,
ed. Cisterc. 2 [1958] 300-302)
Amo perché amo, amo per amare

L'amore è sufficiente per se stesso, piace per se stesso e in ragione di sé. È a se stesso merito e premio. L'amore non cerca ragioni, non cerca vantaggi all'infuori di sé. Il suo vantaggio sta nell'esistere. Amo perché amo, amo per amare. Grande cosa è l'amore se si rifà al suo principio, se ricondotto alla sua origine, se riportato alla sua sorgente. Di là sempre prende alimento per continuare a scorrere. L'amore è il solo tra tutti i moti dell'anima, tra i sentimenti e gli affetti, con cui la creatura possa corrispondere al Creatore, anche se non alla pari; l'unico con il quale possa contraccambiare il prossimo e, in questo caso, certo alla pari. Quando Dio ama, altro non desidera che essere amato. Non per altro ama, se non per essere amato, sapendo che coloro che l'ameranno si beeranno di questo stesso amore. L'amore dello Sposo, anzi lo Sposo-amore cerca soltanto il ricambio dell'amore e la fedeltà. Sia perciò lecito all'amata di riamare. Perché la sposa, e la sposa dell'Amore non dovrebbe amare? Perché non dovrebbe essere amato l'Amore?
Giustamente, rinunziando a tutti gli altri suoi affetti, attende tutta e solo all'Amore, ella che nel ricambiare l'amore mira a uguagliarlo. Si obietterà, però, che, anche se la sposa si sarà tutta trasformata nell'Amore, non potrà mai raggiungere il livello della fonte perenne dell'amore. È certo che non potranno mai essere equiparati l'amante e l'Amore, l'anima e il Verbo, la sposa e lo Sposo, il Creatore e la creatura. La sorgente, infatti, dà sempre molto più di quanto basti all'assetato.
Ma che importa tutto questo? Cesserà forse e svanirà del tutto il desiderio della sposa che attende il momento delle nozze, cesserà la brama di chi sospira, l'ardore di chi ama, la fiducia di chi pregusta, perché non è capace di correre alla pari con un gigante, gareggiare in dolcezza col miele, in mitezza con l'agnello, in candore con il giglio, in splendore con il sole, in carità con colui che è l'Amore? No certo. Sebbene infatti la creatura ami meno, perché è inferiore, se tuttavia ama con tutta se stessa, non le resta nulla da aggiungere. Nulla manca dove c'è tutto. Perciò per lei amare così è aver celebrato le nozze, poiché non può amare così ed essere poco amata. Il matrimonio completo e perfetto sta nel consenso dei due, a meno che uno dubiti che l'anima sia amata dal Verbo, e prima e di più.
OFFLINE
22/08/2014 07:48
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalle «Omelie» di sant'Amedeo di Losanna, vescovo
(Om. 7; SC 72, 188. 190. 192. 200)
Regina del mondo e della pace

La santa Vergine Maria fu assunta in cielo. Ma il suo nome ammirabile rifulse su tutta la terra anche indipendentemente da questo singolare evento, e la sua gloria immortale si irradiò in ogni luogo prima ancora che fosse esaltata sopra i cieli. Era conveniente, infatti, anche per l'onore del suo Figlio, che la Vergine Madre regnasse dapprima in terra e così alla fine ricevesse la gloria nei cieli. Era giusto che la sua santità e la sua grandezza andassero crescendo quaggiù, passando di virtù in virtù e di splendore in splendore per opera dello Spirito Santo, fino a raggiungere il termine massimo al momento della sua entrata nella dimora superna.
Perciò quando era qui con il corpo, pregustava le primizie del regno futuro, ora innalzandosi fino a Dio, ora scendendo verso i fratelli mediante l'amore. Fu onorata dagli angeli e venerata dagli uomini. Le stava accanto Gabriele con gli angeli e le rendeva servizio, con gli apostoli, Giovanni, ben felice che a lui, vergine, fosse stata affidata presso la croce la Vergine Madre. Quelli erano lieti di vedere in lei la Regina, questi la Signora, e sia gli uni che gli altri la circondavano di pio e devoto affetto.
Abitava nel sublime palazzo della santità, godeva della massima abbondanza dei favori divini, e sul popolo credente e assetato faceva scendere la pioggia delle grazie, lei che nella ricchezza della grazia aveva superato tutte le creature.
Conferiva la salute fisica e la medicina spirituale, aveva il potere di risuscitare dalla morte i corpi e le anime. Chi mai si partì da lei o malato, o triste, o digiuno dei misteri celesti? Chi non ritornò a casa sua lieto e contento dopo d'aver ottenuto dalla Madre del Signore, Maria, quello che voleva?
Maria era la sposa ricca di gioielli spirituali, la madre dell'unico Sposo, la fonte di ogni dolcezza, la delizia dei giardini spirituali e la sorgente delle acque vive e vivificanti che discendono dal Libano divino, dal monte Sion fino ai popoli stranieri sparsi qua e là. Ella faceva scendere fiumi di pace e grazia. Perciò mentre la Vergine delle vergini veniva assunta in cielo da Dio e dal Figlio suo, re dei re, tra l'esultanza degli angeli, il giubilo degli arcangeli e le acclamazioni festose del cielo, si compì la profezia del salmista che dice al Signore: «Sta la regina alla tua destra in veste tessuta d'oro, in abiti trapunti e ricamati» (Sal 44, 10 volg.).
OFFLINE
25/08/2014 07:00
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalla «Esposizione su Giovanni» di san Tommaso d'Aquino, sacerdote
(Cap. 10, lect. 3)
Il resto d'Israele pascolerà e riposerà

«Io sono il buon pastore» (Gv 10, 11). A Cristo compete chiaramente di essere pastore. Infatti, come il comune gregge viene guidato e pascolato dal pastore, così i fedeli sono ristorati da Cristo con un cibo spirituale, con il suo corpo e il suo sangue.
«Un tempo», dice l'Apostolo, «eravate erranti come pecore, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime» (1 Pt 2, 25). Ed il profeta: «Come un pastore egli fa pascolare il gregge» (Is 40, 11).
Ma siccome Cristo ha detto che il pastore entra per la porta e che egli è la porta, mentre qui dice di essere il pastore, ne segue che egli entra attraverso se stesso. E veramente entra attraverso se stesso, perché rivela se stesso e per se stesso conosce il Padre. Noi invece entriamo per lui, perché da lui siamo resi beati.
Ma osserva che nessun altro, all'infuori di lui, è la porta, perché nessun altro è la luce vera, ma la possiede solo in quanto gli viene partecipata da lui. «Egli non era la luce», è detto di Giovanni Battista, «ma doveva rendere testimonianza alla luce» (Gv 1, 8).
Invece di Cristo è detto: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1, 9). E perciò nessuno dice di sé di essere la porta. Questo, Cristo lo riservò solo per se stesso. Mentre partecipò ad altri il compito di essere pastori. Infatti Pietro fu pastore, lo furono gli altri apostoli, lo sono i buoni vescovi. «Vi darò, dice la Scrittura, pastori secondo il mio cuore» (Ger 3, 15). Sebbene, infatti, i capi della Chiesa, che sono suoi figli, tutti siano pastori, tuttavia dice di esserlo lui in modo singolare: «Io sono il buon pastore», allo scopo di introdurre con dolcezza la virtù della carità. Non si può essere infatti buon pastore se non diventando una cosa sola con Cristo e suoi membri mediante la carità. La carità è il primo dovere del buon pastore, perciò dice: «Il buon pastore offre la vita per le pecore» (Gv 10, 11). Infatti c'è differenza tra il buono e il cattivo pastore: il buon pastore ha di mira il vantaggio del gregge, mentre il cattivo il proprio.
Nei guardiani di pecore non si esige che, per essere giudicati buoni, espongano la propria vita per la salvezza del gregge. Ma siccome la salvezza del gregge spirituale ha maggior peso della vita corporale del pastore, quando incombe il pericolo del gregge ogni pastore spirituale deve affrontare il sacrificio della vita corporale. Questo dice il Signore: «Il buon Pastore offre la sua vita per le sue pecore». Egli consacra a loro la sua persona nell'esercizio dell'autorità e della carità. Si esigono tutte e due le cose: che gli ubbidiscano e che le ami. Infatti la prima senza la seconda non è sufficiente.
Cristo ci ha dato l'esempio di questo insegnamento: «Se Cristo ha dato la sua vita per noi, anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3, 16).
OFFLINE
29/08/2014 07:00
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalle «Omelie» di san Beda, il Venerabile, sacerdote
(Om. 23; CCL 122, 354. 356. 357)
Precursore della nascita
e della morte di Cristo

Il beato precursore della nascita del Signore, della sua predicazione e della sua morte, dimostrò una forza degna degli sguardi celesti nel suo combattimento. Anche se agli occhi degli uomini ebbe a subire tormenti, la sua speranza è piena di immortalità, come dice la Scrittura (cfr. Sap 3, 4). È ben giusto che noi ricordiamo con solenne celebrazione il suo giorno natalizio. Egli lo rese memorabile con la sua passione e lo imporporò del suo sangue. È cosa santa venerarne la memoria e celebrarla in gioia di spirito. Egli confermò con il martirio la testimonianza che aveva dato per il Signore.
San Giovanni subì il carcere e le catene a testimonianza per il nostro Redentore, perché doveva prepararne la strada. Per lui diede la sua vita, anche se non gli fu ingiunto di rinnegare Gesù Cristo, ma solo di tacere la verità. Tuttavia morì per Cristo.
Cristo ha detto: «Io sono la verità» (Gv 14, 6), perciò proprio per Cristo versò il sangue, perché lo versò per la verità. E siccome col nascere, col predicare, col battezzare doveva dare testimonianza a colui che sarebbe nato, avrebbe predicato e battezzato, così soffrendo segnalò anche che il Cristo avrebbe sofferto.
Un uomo di tale e tanta grandezza pose termine alla vita presente con lo spargimento del sangue dopo la lunga sofferenza delle catene. Egli annunziava la libertà della pace superna e fu gettato in prigione dagli empi. Fu rinchiuso nell'oscurità del carcere colui che venne a rendere testimonianza alla luce e che dalla stessa luce, che è Cristo, meritò di essere chiamato lampada che arde e illumina. Fu battezzato nel proprio sangue colui al quale era stato concesso di battezzare il Redentore del mondo, di udire la voce del Padre su di lui e di vedere la grazia dello Spirito Santo scendere sopra di lui.
Ma a persone come lui non doveva riuscire gravoso, anzi facile e bello sopportare per la verità tormenti transitori ripagabili con le gioie eterne. Per uno come lui la morte non riusciva un evento ineluttabile o una dura necessità. Era piuttosto un premio, una palma di vita eterna per la confessione del nome di Cristo.
Perciò ben dice l'Apostolo: «A voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per lui» (Fil 1, 29). Chiama grazia di Cristo che gli eletti soffrano per lui: «Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà esser rivelata in noi» (Rm 8, 18).
OFFLINE
01/09/2014 07:23
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dal libro della «Imitazione di Cristo»
(Lib. 3, 3)
Dio parlò ai profeti e parla a tutti

Il Signore dice: Ascolta, figlio, le mie parole, parole soavissime che oltrepassano ogni scienza di filosofi e di sapienti del mondo. Le mie parole sono spirito e vita (cfr. Gv 6, 63), né sono da pesare con la bilancia del senso umano, né da giudicare in base al gradimento degli uomini, ma da ascoltare piuttosto in silenzio, e da accogliere con tutta umiltà e affetto grande.
Rispondo: «Beato l'uomo che tu istruisci, Signore, e che ammaestri nella tua legge, per dargli riposo nei giorni di sventura e non lasciarlo nella desolazione sulla terra» (Sal 93, 12-13).
Io, dice il Signore, ho illuminato i profeti sin dall'inizio, e anche ora non cesso di parlare a tutti. Molti però alla mia voce stan duri e sordi. Ascoltano più volentieri il mondo che non Dio. Seguono più facilmente il desiderio della carne che non il piacere di Dio. Il mondo promette cose temporali, meschine e lo si serve con grande fervore. Io prometto le cose più alte, le cose eterne e i cuori degli uomini stan lì intorpiditi. Chi serve me con tanta cura, chi obbedisce a me in tutto, come si serve al mondo e ai suoi padroni?
Arrossisci dunque, servo pigro e querulo, al vedere che si trovano più pronti loro alla perdizione che non tu alla vita.
Godono più loro della vanità, che non tu della verità. Di fatto, spesso la loro speranza li inganna; ma la promessa mia non inganna nessuno, né rimanda a mani vuote chi in me confida. Quel che ho promesso, manterrò; quel che ho detto, adempirò; purché si resti fermi e fedeli nel mio amore sino alla fine. Sono io che rimunero tutti i buoni e metto a forte prova tutti i devoti.
Scrivi le mie parole nel tuo cuore, e meditale con diligenza; nel tempo della tentazione ti saranno indispensabili. Quel che non capisci mentre leggi, lo capirai nel giorno della prova. Sono solito provare i miei in due maniere: con la tentazione, e con la consolazione. E impartisco loro ogni giorno due lezioni: una rimproverando i loro vizi, l'altra esortandoli a crescere nelle virtù.
Chi ha le mie parole e le disprezza, ha chi lo giudicherà nel giorno ultimo (cfr. Gv 12, 48).
OFFLINE
02/09/2014 07:34
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dal libro della «Imitazione di Cristo»
(Lib. 3, 14)
La verità del Signore rimane in eterno

Tu tuoni sopra di me i tuoi giudizi, o Signore, e di timore e tremore scuoti tutte le mie ossa. L'anima mia è molto sbigottita.
Rimango attonito e considero che i cieli non sono puri ai tuoi occhi. Se hai trovato difetti negli angeli (cfr. Gb 15, 15; 4, 18) e non li hai risparmiati, che cosa avverrà di me? Caddero le stelle dal cielo (cfr. Ap 6, 13), e io, polvere, che cosa presumo? Alcuni uomini che sembravano seguire una condotta sublime, caddero nel più basso; e chi mangiava il pane degli angeli, l'ho poi visto compiacersi delle ghiande dei porci. Non c'è, dunque, nessuna santità, se tu, Signore, sottrai la tua mano. Nessuna sapienza giova, se tu smetti di governare. Nessuna fortezza vale, se tu cessi di sostenere.
Se siamo abbandonati, affondiamo e periamo. Se invece siamo visitati, c'innalziamo e viviamo. Siamo instabili, ma da te siamo fatti saldi. Ci intepidiamo, ma tu ci riaccendi.
Ogni gloria fatua è inghiottita dalla profondità dei tuoi giudizi su me. Che cos'è ogni carne al tuo cospetto? Forse che la creta si glorierà contro chi la plasma? (cfr. Is 29, 16). Come può perdersi in vanterie chi ha il senso vivo della verità e sta soggetto a Dio?
Il mondo intero non riuscirebbe a fare inorgoglire colui che si sente sottomesso alla legge della verità, né il labbro di tutti gli adulatori smuoverà colui che ha stabilito ogni sua speranza in Dio. Quelli stessi che parlano, son nulla anche loro; verranno meno col suono delle parole: «La fedeltà del Signore», invece, «dura in eterno» (Sal 116, 2).
OFFLINE
08/09/2014 08:53
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dai «Discorsi» di sant'Andrea di Creta, vescovo

(Disc. 1; PG 97, 806-810)
Le cose vecchie sono passate,
ecco ne sono nate di nuove

«Il termine della legge è Cristo» (Rm 10, 4). Si degni egli di innalzarci verso lo spirito ancora più di quanto ci libera dalla lettera della legge.
In lui si trova tutta la perfezione della legge perché lo stesso legislatore, dopo aver portato a termine ogni cosa, trasformò la lettera in spirito, ricapitolando tutto in se stesso. La legge fu vivificata dalla grazia e fu posta al suo servizio in una composizione armonica e feconda. Ognuna delle due conservò le sue caratteristiche senza alterazioni e confusioni. Tuttavia la legge, che prima costituiva un onere gravoso e una tirannia, diventò, per opera di Dio, peso leggero e fonte di libertà.
In questo modo non siamo più «schiavi degli elementi del mondo» (Gal 4, 3), come dice l'Apostolo, né siamo più oppressi dal giogo della legge, né prigionieri della sua lettera morta.
Il mistero del Dio che diventa uomo, la divinizzazione dell'uomo assunto dal Verbo, rappresentano la somma dei beni che Cristo ci ha donati, la rivelazione del piano divino e la sconfitta di ogni presuntuosa autosufficienza umana. La venuta di Dio fra gli uomini, come luce splendente e realtà divina chiara e visibile, è il dono grande e meraviglioso della salvezza che ci venne elargito.
La celebrazione odierna onora la natività della Madre di Dio. Però il vero significato e il fine di questo evento è l'incarnazione del Verbo. Infatti Maria nasce, viene allattata e cresciuta per essere la Madre del Re dei secoli, di Dio.
La beata Vergine Maria ci fa godere di un duplice beneficio: ci innalza alla conoscenza della verità, e ci libera dal dominio della lettera, esonerandoci dal suo servizio. In che modo e a quale condizione? L'ombra della notte si ritira all'appressarsi della luce del giorno, e la grazia ci reca la libertà in luogo della schiavitù della legge. La presente festa è come una pietra di confine fra il Nuovo e l'Antico Testamento. Mostra come ai simboli e alle figure succeda la verità, e come alla prima alleanza succeda la nuova. Tutta la creazione dunque canti di gioia, esulti e partecipi alla letizia di questo giorno. Angeli e uomini si uniscano insieme per prender parte all'odierna liturgia. Insieme la festeggino coloro che vivono sulla terra e quelli che si trovano nei cieli. Questo infatti è il giorno in cui il Creatore dell'universo ha costruito il suo tempio, oggi il giorno in cui, per un progetto stupendo, la creatura diventa la dimora prescelta del Creatore
OFFLINE
09/09/2014 07:28
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate
(Disc. 5 su argomenti vari, 1-4; Opera omnia, ed. Cisterc. 6, 1[1970] 98-103)
Io starò al mio posto di guardia
per sentire ciò che mi dirà il Signore

Leggiamo nel vangelo che, mentre il Signore predicava e invitava i suoi discepoli a partecipare alla sua passione nel sacramento conviviale del suo corpo, alcuni dissero: Questo linguaggio è duro, e da quel momento non andarono più con lui. I discepoli, invece, interrogati se volessero andarsene anche loro risposero: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6, 68).
Così vi dico, fratelli: Fino ad oggi ci sono persone per le quali è chiaro che le parole di Gesù sono spirito e vita e perciò lo seguono. Ad altri invece paiono dure e cercano altrove ben magre consolazioni. La Sapienza fa sentire la sua voce sulle piazze, vale a dire ammonisce quelli che camminano per la via larga e spaziosa che conduce alla morte, per richiamare indietro quanti vi camminano.
Essa grida: «Per quarant'anni mi disgustai di quella generazione e dissi: Sono un popolo dal cuore traviato» (Sal 94, 10). In un altro salmo trovi: Il Signore ha parlato una sola volta (cfr. Sal 61, 12). Certo, una sola volta, perché parla sempre. Infatti unico e non interrotto, ma continuo e senza fine è il suo parlare.
Invita i peccatori a rientrare in sé, li rimprovera per lo sbandamento del cuore, perché ivi egli abita ed ivi parla, eseguendo di persona l'invito rivolto attraverso il profeta: «Parlate al cuore di Gerusalemme» (Is 40, 2).
Vedete, fratelli, quanto salutarmente ci ammonisca il profeta perché, se oggi udiamo la sua voce non induriamo i nostri cuori. Sono press'a poco le medesime parole che si leggono nel vangelo. Il Signore infatti dice: «Le mie pecore ascoltano la mia voce» (Gv 10, 27). Vi fa eco il detto del santo Davide: «Popolo del suo pascolo (senza dubbio quello del Signore) e gregge che egli conduce. Ascoltate oggi la sua voce: non indurite il cuore» (Sal 94, 7-8).
Ascoltate infine il profeta Abacuc. Egli non nasconde il rimprovero del Signore, anzi lo trasmette con fedeltà e zelo. Dice infatti: Mi metterò di sentinella, in piedi nella fortezza, a spiare, per vedere che cosa mi dirà e che cosa debba rispondere ai rimproveri che il Signore mi fa (cfr. Ab 2, 1).
Anche noi dunque, fratelli, stiamo al nostro posto di guardia, perché è tempo di combattimento.
Rientriamo in noi stessi, esaminiamo il nostro cuore, dove abita Cristo, comportiamoci con saggezza e giudizio. Però la nostra fiducia non risiede in noi stessi. Poggerebbe infatti su un fondamento troppo debole.
OFFLINE
10/09/2014 07:38
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate
(Disc. 5 su argomenti vari, 4-5; Opera omnia
ed. Cisterc. 6, 1 [1970] 103-104)
I gradi di contemplazione

Entriamo nella fortezza fondata su Cristo, pietra solidissima che non vacilla mai. Sforziamoci con tutto l'impegno di rimanere in essa. Si verificherà allora su di noi il detto: «Egli ha stabilito i miei piedi sulla roccia, ha reso sicuri i miei passi» (Sal 39, 3). Così, bene fondati e resi sicuri, diamoci ormai alla contemplazione per considerare cosa voglia il Signore da noi, cosa gli piaccia e cosa torni gradito ai suoi occhi. Sappiamo che «tutti quanti manchiamo in molte cose» (Gc 3, 2) e che il nostro sforzo malauguratamente si dirige contro il suo santo volere, invece di unirsi e aderire ad esso. Umiliamoci perciò sotto la mano potente del Dio altissimo e cerchiamo in ogni modo di riconoscerci come realmente siamo agli occhi della sua misericordia, dicendo: «Guariscimi, o Signore, e sarò guarito, salvami e io sarò salvo» (Ger 17, 14). Possiamo fare anche quest'altra preghiera: «Pietà di me, Signore; risanami, contro di te ho peccato» (Sal 40, 5).
Quando l'occhio del cuore si è schiarito alla luce di questa preghiera, rigettiamo l'amarezza che vuole entrare nel nostro spirito, e apriamoci piuttosto alla grande gioia che sta nel riposare sullo Spirito di Dio. Più che la volontà di Dio, qual è in noi, contempliamo la volontà di Dio in se stessa. Infatti «nella volontà di Dio si trova la vita» (Sal 29, 6 volg.). Ciò che combacia con la sua volontà è senza dubbio per noi più utile e più rispondente alle nostre esigenze.
Conserviamo con sollecitudine la vita dell'anima e, con una medesima premura, asteniamoci dal seguire vie che non si concilino con essa. Quando ormai abbiamo fatto qualche progresso nella via spirituale sotto la guida dello Spirito Santo, che scruta anche le profondità di Dio, usciamo da noi ed entriamo in lui che è tanto buono. Preghiamo con il profeta per conoscere la sua volontà, e visitiamo non più il nostro cuore, ma il suo tempio dicendo: «In me si abbatte l'anima mia, perciò di te mi ricordo» (Sal 41, 7).
Dobbiamo guardare noi stessi e dolerci dei nostri peccati in ordine alla salvezza. Ma dobbiamo anche guardare Dio, respirare in lui per avere la gioia e la consolazione dello Spirito Santo. Da una parte ci verrà il timore e l'umiltà, dall'altra la speranza e l'amore.
OFFLINE
11/09/2014 07:33
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dal «Commento sui salmi» di san Bruno, monaco
(Sal. 83, ed. Certosa N. Dame des Prés, 1891, 376-377)
Come potrò dimenticarmi di te, Gerusalemme?

«Quanto sono amabili le tue dimore! L'anima mia anela di giungere negli atri del Signore» (Sal 83, 2 volg.), cioè nella magnificenza della Gerusalemme celeste, che è la città di Dio. Perché, o Signore, il profeta sospira di giungere ai tuoi atri? Perché tu sei il Dio delle schiere celesti, mio re e mio Dio. E allora «Beato chi abita la tua casa» (Sal 83, 5), la Gerusalemme celeste! Come se dicesse: Chi non bramerebbe venire nei tuoi atri, dal momento che tu sei Dio, e cioè creatore e Signore delle schiere e re dell'universo? Per questo veramente beati sono tutti quelli che abitano nella tua casa.
Atri e casa qui sono tutt'uno. Quando il salmista dice «beati» vuol far capire che essi godono tanta felicità quanta se ne può immaginare. Ed è chiaro che per questo sono beati, perché ti loderanno con devozione ed amore per tutti i secoli dei secoli (cfr. Sal 83, 5), cioè in eterno; infatti non loderebbero in eterno, se non fossero felici in eterno.
Nessuno certo potrebbe giungere a questo traguardo con le sole sue forze, anche se ha speranza, fede e carità; ma «Beato chi trova in te la sua forza» (Sal 83, 6) per l'ascesa alla beatitudine desiderata dal suo cuore. In altre parole arriverà alla felicità solo colui che decide in cuor suo di arrivare alla grande meta mediante le buone opere. Egli riceverà l'aiuto della tua grazia, senza la quale nessuno può presumere di giungere alla vetta della somma gioia.
Lo dice il Signore stesso: «Nessuno è salito al cielo», cioè con le sue sole forze, «fuorché il figlio dell'uomo che è disceso dal cielo» (Gv 3, 13).
Dio ha predisposto i gradini proprio perché noi ci troviamo in fondo alla valle, «nella valle del pianto» (Sal 83, 6. 7 volg.), cioè in questa vita che è meschina e piena di lacrime per le tribolazioni, in confronto con l'altra vita che è una montagna piena di gioia.
Siccome poi il salmista aveva detto: «Beato l'uomo che trova in te la sua forza», qualcuno potrebbe domandare: Ma Dio aiuta per l'ascensione alla felicità? Risponde che i beati sono aiutati certamente da Dio: infatti il legislatore, cioè Cristo che ci ha dato la legge, dà e darà continuamente la sua benedizione, cioè molti e svariati doni di grazia. Benedirà i suoi, cioè li innalzerà alla felicità. Per mezzo di questa stessa benedizione «cresce lungo il cammino il loro vigore» (Sal 83, 8), perché in futuro possano vedere nella Sion celeste Cristo, Dio degli dèi, quando apparirà. Essendo lui Dio, deificherà anche i suoi. Si può intendere anche in un altro modo: a quanti formano Sion apparirà, in spirito, Dio degli dèi, cioè Dio uno e trino, vale a dire: con l'intelligenza vedranno Dio in sé, che qui non possono vedere poiché Dio sarà tutto in tutti (cfr. 1 Cor 15, 28).
OFFLINE
12/09/2014 08:21
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dai «Discorsi» del beato Isacco, abate del monastero della Stella
(Disc. 11; PL 194, 1728-1729)
Cristo non vuole perdonare nulla senza la Chiesa

Due sono le cose che sono riservate a Dio solo: l'onore della confessione e il potere della remissione. A lui noi dobbiamo fare la nostra confessione; da lui dobbiamo aspettarci la remissione. A Dio solo infatti spetta rimettere i peccati e perciò a lui ci si deve confessare. Ma l'Onnipotente, avendo preso in sposa una debole e l'eccelso una di bassa condizione, da schiava ne ha fatto una regina e colei che gli stava sotto i piedi la pose al suo fianco. Uscì infatti dal suo costato, donde la fidanzò a sé.
E come tutte le cose del Padre sono del Figlio e quelle del Figlio sono del Padre, essendo una cosa sola per natura, così lo sposo ha dato tutte le cose sue alla sposa, e lo sposo ha condiviso tutto quello che era della sposa, che pure rese una cosa sola con se stesso e con il Padre. Voglio, dice il Figlio al Padre, pregando per la sposa, che come io e tu siamo una cosa sola, così anch'essi siano una cosa sola con noi (cfr. Gv 17, 21).
Lo sposo pertanto è una cosa sola con il Padre e uno con la sposa; quello che ha trovato di estraneo nella sposa l'ha tolto via, configgendolo alla croce, dove ha portato i peccati di lei sul legno e li ha eliminati per mezzo del legno. Quanto appartiene per natura alla sposa ed è sua dotazione, lo ha assunto e se ne è rivestito; invece ciò che gli appartiene in proprio ed è divino l'ha regalato alla sposa. Egli annullò ciò che era del diavolo, assunse ciò che era dell'uomo, donò ciò che era di Dio. Per questo quanto è della sposa è anche dello sposo.
Ed ecco allora che colui che non commise peccato e sulla cui bocca non fu trovato inganno, può dire: «Pietà di me, o Signore: vengo meno» (Sal 6, 3), perché colui che ha la debolezza di lei, ne abbia anche il pianto e tutto sia comune allo sposo e alla sposa. Da qui l'onore della confessione e il potere della remissione, per cui si deve dire: «Va' a mostrarti al sacerdote» (Mt 8, 4).
Perciò nulla può rimettere la Chiesa senza Cristo e Cristo non vuol rimettere nulla senza la Chiesa. Nulla può rimettere la Chiesa se non a chi è pentito, cioè a colui che Cristo ha toccato con la sua grazia; Cristo nulla vuol ritenere per perdonato a chi disprezza la Chiesa. «Quello che Dio ha congiunto l'uomo non lo separi. Questo mistero è grande, lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa» (Mt 19, 6; Ef 5, 32). Non voler dunque smembrare il capo dal corpo. Il Cristo non sarebbe più tutto intero. Cristo infatti non è mai intero senza la Chiesa, come la Chiesa non è mai intera senza Cristo. Infatti il Cristo totale ed integro è capo e corpo ad un tempo; per questo dice: «Nessuno è mai salito al cielo fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo» (Gv 3, 13). Questi è il solo uomo che rimette i peccati.
OFFLINE
14/09/2014 08:20
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dai «Discorsi» di sant'Andrea di Creta, vescovo
(Disc. 10 sull'Esaltazione della santa croce;
PG 97,1018-1019.1022-1023)
La croce è gloria ed esaltazione di Cristo

Noi celebriamo la festa della santa croce, per mezzo della quale sono state cacciate le tenebre ed è ritornata la luce. Celebriamo la festa della santa croce, e così, insieme al Crocifisso, veniamo innalzati e sublimati anche noi. Infatti ci distacchiamo dalla terra del peccato e saliamo verso le altezze. È tale e tanta la ricchezza della croce che chi la possiede ha un vero tesoro. E la chiamo giustamente così, perché di nome e di fatto è il più prezioso di tutti i beni. È in essa che risiede tutta la nostra salvezza. Essa è il mezzo e la via per il ritorno allo stato originale.
Se infatti non ci fosse la croce, non ci sarebbe nemmeno Cristo crocifisso. Se non ci fosse la croce, la Vita non sarebbe stata affissa al legno. Se poi la Vita non fosse stata inchiodata al legno, dal suo fianco non sarebbero sgorgate quelle sorgenti di immortalità, sangue e acqua, che purificano il mondo. La sentenza di condanna scritta per il nostro peccato non sarebbe stata lacerata, noi non avremmo avuto la libertà, non potremmo godere dell'albero della vita, il paradiso non sarebbe stato aperto per noi. Se non ci fosse la croce, la morte non sarebbe stata vinta, l'inferno non sarebbe stato spogliato.
È dunque la croce una risorsa veramente stupenda e impareggiabile, perché, per suo mezzo, abbiamo conseguito molti beni, tanto più numerosi quanto più grande ne è il merito, dovuto però in massima parte ai miracoli e alla passione del Cristo. È preziosa poi la croce perché è insieme patibolo e trofeo di Dio. Patibolo per la sua volontaria morte su di essa. Trofeo perché con essa fu vinto il diavolo e col diavolo fu sconfitta la morte. Inoltre la potenza dell'inferno venne fiaccata, e così la croce è diventata la salvezza comune di tutto l'universo.
La croce è gloria di Cristo, esaltazione di Cristo. La croce è il calice prezioso e inestimabile che raccoglie tutte le sofferenze di Cristo, è la sintesi completa della sua passione. Per convincerti che la croce è la gloria di Cristo, senti quello che egli dice: «Ora il figlio dell'uomo è stato glorificato e anche Dio è stato glorificato in lui, e lo glorificherà subito» (Gv 13, 31-32).
E di nuovo: «Glorificami, Padre, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17, 5). E ancora: «Padre glorifica il tuo nome. Venne dunque una voce dal cielo: L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò» (Gv 12, 28), per indicare quella glorificazione che fu conseguita allora sulla croce. Che poi la croce sia anche esaltazione di Cristo, ascolta ciò che egli stesso dice: Quando sarò esaltato, allora attirerò tutti a me (cfr. Gv 12, 32). Vedi dunque che la croce è gloria ed esaltazione di Cristo.
OFFLINE
15/09/2014 07:34
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate
(Disc. nella domenica fra l'ottava dell'Assunzione 14-15;
Opera omnia, ed. Cisterc. 5 [1968] 273-274)
La Madre di Gesù stava presso la croce

Il martirio della Vergine viene celebrato tanto nella profezia di Simeone, quanto nella storia stessa della passione del Signore. Egli è posto, dice del bambino Gesù il santo vegliardo, quale segno di contraddizione, e una spada, dice poi rivolgendosi a Maria, trapasserà la tua stessa anima (cfr. Lc 2, 34-35)
Una spada ha trapassato veramente la tua anima, o santa Madre nostra! Del resto non avrebbe raggiunto la carne del Figlio se non passando per l'anima della Madre. Certamente dopo che il tuo Gesù, che era di tutti, ma specialmente tuo, era spirato, la lancia crudele non poté arrivare alla sua anima. Quando, infatti, non rispettando neppure la sua morte, gli aprì il costato, ormai non poteva più recare alcun danno al Figlio tuo. Ma a te sì. A te trapassò l'anima. L'anima di lui non era più là, ma la tua non se ne poteva assolutamente staccare. Perciò la forza del dolore trapassò la tua anima, e così non senza ragione ti possiamo chiamare più che martire, perché in te la partecipazione alla passione del Figlio, superò di molto, nell'intensità, le sofferenze fisiche del martirio.
Non fu forse per te più che una spada quella parola che davvero trapassò l'anima ed arrivò fino a dividere anima e spirito? Ti fu detto infatti: «Donna, ecco il tuo figlio» (Gv 19, 26). Quale scambio! Ti viene dato Giovanni al posto di Gesù, il servo al posto del Signore, il discepolo al posto del maestro, il figlio di Zebedeo al posto del Figlio di Dio, un semplice uomo al posto del Dio vero. Come l'ascolto di queste parole non avrebbe trapassato la tua anima tanto sensibile, quando il solo ricordo riesce a spezzare anche i nostri cuori, che pure sono di pietra e di ferro?
Non meravigliatevi, o fratelli, quando si dice che Maria è stata martire nello spirito. Si meravigli piuttosto colui che non ricorda d'aver sentito Paolo includere tra le più grandi colpe dei pagani che essi furono privi di affetto. Questa colpa è stata ben lontana dal cuore di Maria, e sia ben lontana anche da quello dei suoi umili devoti.
Qualcuno potrebbe forse obiettare: Ma non sapeva essa in antecedenza che Gesù sarebbe morto? Certo. Non era forse certa che sarebbe ben presto risorto? Senza dubbio e con la più ferma fiducia. E nonostante ciò soffrì quando fu crocifisso? Sicuramente e in modo veramente terribile. Del resto chi sei mai tu, fratello, e quale strano genere di sapienza è il tuo, se ti meravigli della solidarietà nel dolore della Madre col Figlio, più che del dolore del Figlio stesso di Maria? Egli ha potuto morire anche nel corpo, e questa non ha potuto morire con lui nel suo cuore? Nel Figlio operò l'amore superiore a ogni altro amore. Nella Madre operò l'amore, al quale dopo quello di Cristo nessun altro amore si può paragonare.
OFFLINE
20/09/2014 07:49
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dall'ultima esortazione di sant'Andrea Kim Taegòn, prete e martire
(Cfr. Pro Corea. Documenta ed. Mission Catholique Séoul,
Séoul - Paris 1938, vol. I, 74-75)
Una fede suggellata dall'amore e dalla perseveranza

Fratelli e amici carissimi, pensate e ripensate: all'inizio dei tempi Dio creò il cielo e la terra (cfr. Gn 1, 1) e tutte le cose; chiedetevi il perché e con quale disegno abbia plasmato in modo così singolare l'uomo a sua immagine e somiglianza.
Se dunque in questo mondo pieno di pericoli e di miseria non riconoscessimo il Signore come creatore, a nulla ci gioverebbe esser nati e rimanere vivi. Se per grazia di Dio siamo venuti al mondo, pure per la sua grazia abbiamo ricevuto il battesimo e siamo entrati nella Chiesa; e così, divenuti discepoli del Signore, portiamo un nome glorioso. Ma a che cosa gioverebbe avere un così grande nome senza la coerenza della vita? Vano sarebbe esser nati ed entrati nella Chiesa; anzi sarebbe un tradire il Signore e la sua grazia. Meglio sarebbe non esser nati che aver ricevuto la grazia del Signore e peccare contro di lui.
Guardate l'agricoltore che semina nel campo (cfr. Gc 5, 7-8): a tempo opportuno ara la terra, poi la concima e stimando un niente la fatica portata sotto il sole, coltiva il seme prezioso. Quando le spighe sono mature e giunge il tempo della mietitura, il suo cuore, dimenticando fatica e sudore, si rallegra ed esulta per la felicità. Se invece le spighe sono vuote e non gli resta altro che paglia e pula, il contadino, ricordando il duro lavoro e il sudore, quanto più aveva coltivato quel campo, tanto più lo lascerà in abbandono.
Similmente ha fatto il Signore con noi: la terra è il suo campo, noi uomini i germogli, la grazia il concime. Mediante la sua incarnazione e redenzione egli ci ha irrigato con il suo sangue, perché potessimo crescere e giungere a maturazione.
Quando nel giorno del giudizio verrà il tempo di raccogliere, colui che sarà trovato maturo nella grazia, godrà nel regno dei cieli come figlio adottivo di Dio: ma chi sarà rimasto senza frutto, pur essendo stato figlio adottivo, diventerà nemico e sarà punito in eterno come merita.
Fratelli carissimi, sappiate con certezza che il Signore nostro Gesù, venuto nel mondo, ha preso su di sé dolori innumerevoli, con la sua passione ha fondato la santa Chiesa e la fa crescere con le prove e il martirio dei fedeli. Sebbene le potenze del mondo la opprimano e la combattano, tuttavia non potranno mai prevalere. Dopo l'Ascensione di Gesù, dal tempo degli Apostoli fino ai nostri giorni, in ogni parte della terra la santa Chiesa cresce in mezzo alle tribolazioni.
Così nel corso dei cinquanta o sessanta anni da quando la santa Chiesa è entrata nella nostra Corea, i fedeli hanno dovuto affrontare più volte la persecuzione e oggi infuria più che mai. Perciò numerosi amici nella stessa fede, anch'io fra essi, sono stati gettati in carcere e voi pure rimanete in mezzo alla tribolazione. Se è vero che formiamo un solo corpo, come non saremo rattristati nell'intimo dei nostri cuori? Come non sperimenteremo secondo il sentimento umano il dolore della separazione?
Tuttavia, come dice la Scrittura, Dio ha cura del più piccolo capello del capo (cfr. Mt 10, 30) e ne tiene conto nella sua onniscienza; come dunque potrà essere considerata una così violenta persecuzione se non una disposizione divina, un premio oppure una pena?
Abbracciate dunque la volontà di Dio e con tutto il cuore sostenete il combattimento per Gesù, re del cielo; anche voi vincerete il dèmone di questo mondo, già sconfitto da Cristo.
Vi scongiuro: non trascurate l'amore fraterno, ma aiutatevi a vicenda; e fino a quando il Signore vi userà misericordia allontanando la tribolazione, perseverate.
Qui siamo in venti, e per grazia di Dio stiamo ancora tutti bene. Se qualcuno verrà ucciso, vi supplico di avere cura della sua famiglia.
Avrei ancora molte cose da dire, ma come posso esprimerle con la penna e la carta? Termino la mia lettera. Essendo ormai vicini al combattimento io vi prego di camminare nella fedeltà; e alla fine, entrati nel cielo, ci rallegreremo insieme.
Vi bacio per l'ultima volta in segno del mio amore.
OFFLINE
23/09/2014 07:47
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalle lettere di san Pio da Pietrelcina, sacerdote

(Edizione 1994: II, 87-90, n. 8).
Pietre dell'eterno edificio


Con ripetuti colpi di salutare scalpello e con diligente ripulitura l'Artista divino vuole preparare le pietre con le quali costruire l'edificio eterno. Così canta la nostra tenerissima madre, la santa Chiesa Cattolica, nell'inno dell'ufficio della dedicazione della chiesa. E così è veramente.
Molto giustamente si può affermare che ogni anima destinata alla gloria eterna è costituita per innalzare l'edificio eterno. Un muratore che vuole edificare una casa innanzi tutto deve ben ripulire le pietre che vuole usare per la costruzione. Cosa che ottiene a colpi di martello e scalpello. Allo stesso modo si comporta il Padre celeste con le anime elette, che la somma sapienza e provvidenza fin dall'eternità ha destinate ad innalzare l'edificio eterno.
Dunque, l'anima destinata a regnare con Gesù Cristo nella gloria eterna deve essere ripulita a colpi di martello e di scalpello, di cui l'Artista divino si serve per preparare le pietre, cioè le anime elette. Ma quali sono questi colpi di martello e di scalpello? Sorella mia, sono le ombre, i timori, le tentazioni, le afflizioni di spirito e i tremori spirituali con qualche aroma di desolazione e anche il malessere fisico.
Ringraziate, quindi, l'infinita pietà dell'eterno Padre che tratta così la vostra anima perché destinata alla salvezza. Perché non gloriarsi di questo trattamento amoroso del più buono di tutti i padri? Aprite il cuore a questo celeste medico delle anime e abbandonatevi con piena fiducia tra le sue santissime braccia. Egli vi tratta come gli eletti, affinché seguiate Gesù da vicino sull'erta del Calvario. Io vedo con gioia e con vivissima commozione dell'animo come la grazia ha operato in voi.
Siate certi che tutto quello che ha sperimentato la vostra anima è stato disposto dal Signore. Non abbiate perciò timore di incorrere nel male e nell'offesa di Dio. Vi basti sapere che in tutto questo mai avete offeso il Signore, anzi che lui ne è rimasto ancor più glorificato.
Se questo tenerissimo Sposo si nasconde alla vostra anima non è perché, come pensate, voglia vendicarsi della vostra infedeltà, ma perché mette sempre più alla prova la vostra fedeltà e costanza e inoltre vi purifica da alcuni difetti, che non appaiono tali agli occhi carnali, cioè quei difetti e quelle colpe, dai quali neppure il giusto è esente. Nelle sacre pagine è infatti scritto: «Il giusto cade sette volte» (Pr 24, 16).
E credetemi che se non vi sapessi così afflitti, sarei meno contento, perché vedrei che il Signore vi dona meno gemme preziose... Scacciate come tentazioni i dubbi contrari... Scacciate anche i dubbi che riguardano il modo di essere della vostra vita, cioè che non ascoltate le ispirazioni divine e che resistete ai dolci inviti dello Sposo. Tutto questo non proviene da spirito buono, ma da spirito cattivo. Si tratta di arti diaboliche, che cercano di allontanarvi dalla perfezione o almeno di ritardare il vostro cammino verso di essa. Non vi perdete di coraggio!
Se Gesù si manifesta, ringraziatelo; se si nasconde, ringraziatelo ancora: sono scherzi di amore. Mi auguro che arriviate a spirare con Gesù sulla croce ed esclamare con Gesù: «Consummatum est» (Gv 19, 30).
OFFLINE
27/09/2014 08:22
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Da alcune «Lettere e conferenze spirituali» di san Vincenzo de' Paoli, sacerdote
(Cfr. lett. 2546, ecc.; Correspondance, entretiens, documents, Paris 1922-1925, passim)
Servire Cristo nei poveri

Non dobbiamo regolare il nostro atteggiamento verso i poveri da ciò che appare esternamente in essi e neppure in base alle loro qualità interiori. Dobbiamo piuttosto considerarli al lume della fede. Il Figlio di Dio ha voluto essere povero, ed essere rappresentato dai poveri. Nella sua passione non aveva quasi la figura di uomo; appariva un folle davanti ai gentili, una pietra di scandalo per i Giudei; eppure egli si qualifica l'evangelizzatore dei poveri: «Mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio» (Lc 4, 18).
Dobbiamo entrare in questi sentimenti e fare ciò che Gesù ha fatto: curare i poveri, consolarli, soccorrerli, raccomandarli.
Egli stesso volle nascere povero, ricevere nella sua compagnia i poveri, servire i poveri, mettersi al posto dei poveri, fino a dire che il bene o il male che noi faremo ai poveri lo terrà come fatto alla sua persona divina. Dio ama i poveri, e, per conseguenza, ama quelli che amano i poveri. In realtà quando si ama molto qualcuno, si porta affetto ai suoi amici e ai suoi servitori. Così abbiamo ragione di sperare che, per amore di essi, Dio amerà anche noi.
Quando andiamo a visitarli, cerchiamo di capirli per soffrire con loro, e di metterci nella disposizione interiore dell'Apostolo che diceva: «Mi sono fatto tutto a tutti» (1 Cor 9, 22). Sforziamoci perciò di diventare sensibili alle sofferenze e alle miserie del prossimo. Preghiamo Dio, per questo, che ci doni lo spirito di misericordia e di amore, che ce ne riempia e che ce lo conservi.
Il servizio dei poveri deve essere preferito a tutto. Non ci devono essere ritardi. Se nell'ora dell'orazione avete da portare una medicina o un soccorso a un povero, andatevi tranquillamente.
Offrite a Dio la vostra azione, unendovi l'intenzione dell'orazione. Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l'orazione. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un'opera di Dio per farne un'altra. Se lasciate l'orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa. È una grande signora: bisogna fare ciò che comanda.
Tutti quelli che ameranno i poveri in vita non avranno alcun timore della morte. Serviamo dunque con rinnovato amore i poveri e cerchiamo i più abbandonati. Essi sono i nostri signori e padroni.
OFFLINE
01/10/2014 07:28
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dall'«Autobiografia» di santa Teresa di Gesù Bambino, vergine
(Manuscrits autobiographiques, Lisieux 1957, 227-229)
Nel cuore della Chiesa io sarò l'amore

Siccome le mie immense aspirazioni erano per me un martirio, mi rivolsi alle lettere di san Paolo, per trovarvi finalmente una risposta. Gli occhi mi caddero per caso sui capitoli 12 e 13 della prima lettera ai Corinzi, e lessi nel primo che tutti non possono essere al tempo stesso apostoli, profeti e dottori e che la Chiesa si compone di varie membra e che l'occhio non può essere contemporaneamente la mano. Una risposta certo chiara, ma non tale da appagare i miei desideri e di darmi la pace.
Continuai nella lettura e non mi perdetti d'animo. Trovai così una frase che mi diede sollievo: «Aspirate ai carismi più grandi. E io vi mostrerò una via migliore di tutte» (1 Cor 12, 31). L'Apostolo infatti dichiara che anche i carismi migliori sono un nulla senza la carità, e che questa medesima carità è la via più perfetta che conduce con sicurezza a Dio. Avevo trovato finalmente la pace.
Considerando il corpo mistico della Chiesa, non mi ritrovavo in nessuna delle membra che san Paolo aveva descritto, o meglio, volevo vedermi in tutte. La carità mi offrì il cardine della mia vocazione. Compresi che la Chiesa ha un corpo composto di varie membra, ma che in questo corpo non può mancare il membro necessario e più nobile. Compresi che la Chiesa ha un cuore, un cuore bruciato dall'amore. Capii che solo l'amore spinge all'azione le membra della Chiesa e che, spento questo amore, gli apostoli non avrebbero più annunziato il Vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro sangue. Compresi e conobbi che l'amore abbraccia in sé tutte le vocazioni, che l'amore è tutto, che si estende a tutti i tempi e a tutti i luoghi, in una parola, che l'amore è eterno.
Allora con somma gioia ed estasi dell'animo gridai: O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia vocazione. La mia vocazione è l'amore. Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto me lo hai dato tu, o mio Dio.
Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l'amore ed in tal modo sarò tutto e il mio desiderio si tradurrà in realtà.
OFFLINE
02/10/2014 07:27
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate
(Disc. 12 sul salmo 90: Tu che abiti, 3, 6-8;
Opera omnia, ed. Cisterc. 4 [1966] 458-462)
Ti custodiscano in tutti i tuoi passi

«Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi» (Sal 90, 11). Ringrazino il Signore per la sua misericordia e per i suoi prodigi verso i figli degli uomini. Ringrazino e dicano tra le genti: grandi cose ha fatto il Signore per loro. O Signore, che cos'è l'uomo, per curarti di lui o perché ti dai pensiero per lui? Ti dai pensiero di lui, di lui sei sollecito, di lui hai cura. Infine gli mandi il tuo Unigenito, fai scendere in lui il tuo Spirito, gli prometti anche la visione del tuo volto. E per dimostrare che il cielo non trascura nulla che ci possa giovare, ci metti a fianco quegli spiriti celesti, perché ci proteggano, e ci istruiscano e ci guidino.
«Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi». Queste parole quanta riverenza devono suscitare in te, quanta devozione recarti, quanta fiducia infonderti! Riverenza per la presenza, devozione per la benevolenza, fiducia per la custodia. Sono presenti, dunque, e sono presenti a te, non solo con te, ma anche per te. Sono presenti per proteggerti, sono presenti per giovarti.
Anche se gli angeli sono semplici esecutori di comandi divini, si deve essere grati anche a loro perché ubbidiscono a Dio per il nostro bene.
Siamo dunque devoti, siamo grati a protettori così grandi, riamiamoli, onoriamoli quanto possiamo e quanto dobbiamo.
Tutto l'amore e tutto l'onore vada a Dio, dal quale deriva interamente quanto è degli angeli e quanto è nostro. Da lui viene la capacità di amare e di onorare, da lui ciò che ci rende degni di amore e di onore.
Amiamo affettuosamente gli angeli di Dio, come quelli che saranno un giorno i nostri coeredi, mentre nel frattempo sono nostre guide e tutori, costituiti e preposti a noi dal Padre. Ora, infatti, siamo figli di Dio. Lo siamo, anche se questo attualmente non lo comprendiamo chiaramente, perché siamo ancora bambini sotto amministratori e tutori e, conseguentemente, non differiamo per nulla dai servi. Del resto, anche se siamo ancora bambini e ci resta un cammino tanto lungo e anche tanto pericoloso, che cosa dobbiamo temere sotto protettori così grandi?
Non possono essere sconfitti né sedotti e tanto meno sedurre, essi che ci custodiscono in tutte le nostre vie. Sono fedeli, sono prudenti, sono potenti. Perché trepidare? Soltanto seguiamoli, stiamo loro vicini e restiamo nella protezione del Dio del cielo.
OFFLINE
04/10/2014 08:29
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalla «Lettera a tutti i fedeli» di san Francesco d'Assisi
(Opuscoli, ed. Quaracchi 1949, 87-94)
Dobbiamo essere semplici, umili e puri

Il Padre altissimo fece annunziare dal suo arcangelo Gabriele alla santa e gloriosa Vergine Maria che il Verbo del Padre, così degno, così santo e così glorioso, sarebbe disceso dal cielo, e dal suo seno avrebbe ricevuto la vera carne della nostra umanità e fragilità. Egli, essendo oltremodo ricco, volle tuttavia scegliere, per sé e per la sua santissima Madre, la povertà.
All'approssimarsi della sua passione, celebrò la Pasqua con i suoi discepoli. Poi pregò il Padre dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice» (Mt 26, 39).
Pose tuttavia la sua volontà nella volontà del Padre. E la volontà del Padre fu che il suo Figlio benedetto e glorioso, dato a noi e nato per noi, offrisse se stesso nel proprio sangue come sacrificio e vittima sull'altare della croce. Non si offrì per se stesso, non ne aveva infatti bisogno lui, che aveva creato tutte le cose. Si offrì invece per i nostri peccati, lasciandoci l'esempio perché seguissimo le sue orme (cfr. 1 Pt 2, 21). E il Padre vuole che tutti ci salviamo per mezzo di lui e lo riceviamo con puro cuore e casto corpo.
O come sono beati e benedetti coloro che amano il Signore e ubbidiscono al suo Vangelo! È detto infatti: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore e con tutta la tua anima, e il prossimo tuo come te stesso» (Lc 10, 27). Amiamo dunque Dio e adoriamolo con cuore puro e pura mente, perché egli stesso questo ricerca sopra ogni cosa quando dice «I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4, 23). Dunque tutti quelli che l'adorano devono adorarlo in spirito e verità. Rivolgiamo a lui giorno e notte lodi e preghiere, perché dobbiamo sempre pregare e non stancarci mai (cfr. Lc 18, 1), e diciamogli: «Padre nostro, che sei nei cieli» (Mt 6, 9).
Facciamo inoltre «frutti degni di conversione» (Mt 3, 8) e amiamo il prossimo come noi stessi. Siamo caritatevoli, siamo umili, facciamo elemosine perché esse lavano le nostre anime dalle sozzure del peccato.
Gli uomini perdono tutto quello che lasciano in questo mondo. Portano con sé solo la mercede della carità e delle elemosine che hanno fatto. È il Signore che dà loro il premio e la ricompensa.
Non dobbiamo essere sapienti e prudenti secondo la carne, ma piuttosto semplici, umili e casti. Non dobbiamo mai desiderare di essere al di sopra degli altri, ma piuttosto servi e sottomessi a ogni umana creatura per amore del Signore. E su tutti coloro che avranno fatte tali cose e perseverato fino alla fine, riposerà lo Spirito del Signore. Egli porrà in essi la sua dimora ed abitazione. Saranno figli del Padre celeste perché ne compiono le opere. Saranno considerati come fossero per il Signore o sposa o fratello o madre.
OFFLINE
07/10/2014 07:23
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate
(Disc. «De aquæductu»;
Opera omnia, edit. Cisterc. 5 [1968] 282-283)
Bisogna meditare i misteri della salvezza

Il Santo che nascerà da te, sarà chiamato Figlio di Dio (cfr. Lc 1, 35), fonte della sapienza, Verbo del Padre nei cieli altissimi.
Il Verbo, o Vergine santa, si farà carne per mezzo tuo, e colui che dice: «Io sono nel Padre e il Padre è in me» (Gv 10, 38) dirà anche: «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo» (Gv 16, 28).
Dunque «In principio era il Verbo», cioè già scaturiva la fonte, ma ancora unicamente in se stessa, perché al principio «Il Verbo era presso Dio» (Gv 1, 1), abitava la sua luce inaccessibile. Poi il Signore cominciò a formulare un piano: Io nutro progetti di pace e non di sventura (cfr. Ger 29, 11). Ma il progetto di Dio rimaneva presso di lui e noi non eravamo in grado di conoscerlo. Infatti: Chi conosce il pensiero del Signore e chi gli può essere consigliere? (cfr. Rm 11, 24). E allora il pensiero di pace si calò nell'opera di pace: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14); venne ad abitare particolarmente nei nostri cuori per mezzo della fede. Divenne oggetto del nostro ricordo, del nostro pensiero e della nostra stessa immaginazione.
Se egli non fosse venuto in mezzo a noi, che idea si sarebbe potuto fare di Dio l'uomo, se non quella di un idolo, frutto di fantasia?
Sarebbe rimasto incomprensibile e inaccessibile, invisibile e del tutto inimmaginabile. Invece ha voluto essere compreso, ha voluto essere veduto, ha voluto essere immaginato. Dirai: Dove e quando si rende a noi visibile? Appunto nel presepio, in grembo alla Vergine, mentre predica sulla montagna, mentre passa la notte in preghiera, mentre pende sulla croce e illividisce nella morte, oppure mentre, libero tra i morti, comanda sull'inferno, o anche quando risorge il terzo giorno e mostra agli apostoli le trafitture dei chiodi, quali segni di vittoria, e, finalmente, mentre sale al cielo sotto i loro sguardi.
Non è forse cosa giusta, pia e santa meditare tutti questi misteri? Quando la mia mente li pensa, vi trova Dio, vi sente colui che in tutto e per tutto è il mio Dio. È dunque vera sapienza fermarsi su di essi in contemplazione. È da spiriti illuminati riandarvi per colmare il proprio cuore del dolce ricordo del Cristo.
OFFLINE
10/10/2014 08:20
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dal «Primo Commonitorio» di san Vincenzo di Lerins, sacerdote
(Cap. 23; PL 50, 667-668)
Lo sviluppo del dogma

Qualcuno forse potrà domandarsi: non vi sarà mai alcun progresso della religione nella Chiesa di Cristo? Vi sarà certamente e anche molto grande.
Chi infatti può esser talmente nemico degli uomini e ostile a Dio da volerlo impedire? Bisognerà tuttavia stare bene attenti che si tratti di un vero progresso della fede e non di un cambiamento. Il vero progresso avviene mediante lo sviluppo interno. Il cambiamento invece si ha quando una dottrina si trasforma in un'altra.
È necessario dunque che, con il progredire dei tempi, crescano e progrediscano quanto più possibile la comprensione, la scienza e la sapienza così dei singoli come di tutti, tanto di uno solo, quanto di tutta la Chiesa. Devono però rimanere sempre uguali il genere della dottrina, la dottrina stessa, il suo significato e il suo contenuto. La religione delle anime segue la stessa legge che regola la vita dei corpi. Questi infatti, pur crescendo e sviluppandosi con l'andare degli anni, rimangono i medesimi di prima. Vi è certamente molta differenza fra il fiore della giovinezza e la messe della vecchiaia, ma sono gli stessi adolescenti di una volta quelli che diventano vecchi. Si cambia quindi l'età e la condizione, ma resta sempre il solo medesimo individuo. Unica e identica resta la natura, unica e identica la persona.
Le membra del lattante sono piccole, più grandi invece quelle del giovane. Però sono le stesse. Le membra dell'uomo adulto non hanno più le proporzioni di quelle del bambino. Tuttavia quelle che esistono in età più matura esistevano già, come tutti sanno, nell'embrione, sicché quanto a parti del corpo, niente di nuovo si riscontra negli adulti che non sia stato già presente nei fanciulli, sia pure allo stato embrionale.
Non vi è alcun dubbio in proposito. Questa è la vera e autentica legge del progresso organico. Questo è l'ordine meraviglioso disposto dalla natura per ogni crescita. Nell'età matura si dispiega e si sviluppa in forme sempre più ampie tutto quello che la sapienza del creatore aveva formato in antecedenza nel corpicciuolo del piccolo.
Se coll'andar del tempo la specie umana si cambiasse talmente da avere una struttura diversa oppure si arricchisse di qualche membro oltre a quelli ordinari di prima, oppure ne perdesse qualcuno, ne verrebbe di conseguenza che tutto l'organismo ne risulterebbe profondamente alterato o menomato. In ogni caso non sarebbe più lo stesso.
Anche il dogma della religione cristiana deve seguire queste leggi. Progredisce, consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l'età. È necessario però che resti sempre assolutamente intatto e inalterato.
I nostri antenati hanno seminato già dai primi tempi nel campo della Chiesa il seme della fede. Sarebbe assurdo e incredibile che noi, loro figli, invece della genuina verità del frumento, raccogliessimo il frutto della frode cioè dell'errore della zizzania.
È anzi giusto e del tutto logico escludere ogni contraddizione tra il prima e il dopo. Noi mietiamo quello stesso frumento di verità che fu seminato e che crebbe fino alla maturazione.
Poiché dunque c'è qualcosa della primitiva seminagione che può ancora svilupparsi con l'andar del tempo, anche oggi essa può essere oggetto di felice e fruttuosa coltivazione.
OFFLINE
14/10/2014 07:54
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalle «Istruzioni» di san Colombano, abate
(Istr. sulla compunzione, 12, 2-3;
Opera, Dublino 1957, pp. 112-114)
Luce perenne nel tempio del pontefice eterno

Quanto sono beati, quanto sono felici «quei servi che il Signore, al suo ritorno, troverà ancora svegli»! (Lc 12, 37). Veglia veramente beata quella in cui si è in attesa di Dio, creatore dell'universo, che tutto riempie e tutto trascende! Volesse il cielo che il Signore si degnasse di scuotere anche me, meschino suo servo, dal sonno della mia mediocrità e accendermi talmente della sua divina carità da farmi divampare del suo amore sin sopra le stelle, sicché ardessi dal desiderio di amarlo sempre più, né mai più in me questo fuoco si estinguesse! Volesse il cielo che i miei meriti fossero così grandi che la mia lucerna risplendesse continuamente di notte nel tempio del mio Dio, sì da poter illuminare tutti quelli che entrano nella casa del mio Signore! O Dio Padre, ti prego nel nome del tuo Figlio Gesù Cristo, donami quella carità che non viene mai meno, perché la mia lucerna si mantenga sempre accesa, né mai si estingua; arda per me, brilli per gli altri.
Dégnati, o Cristo, dolcissimo nostro Salvatore, di accendere le nostre lucerne: brillino continuamente nel tuo tempio e siano alimentate sempre da te che sei la luce eterna; siano rischiarati gli angoli oscuri del nostro spirito e fuggano da noi le tenebre del mondo.
Dona, dunque, o Gesù mio, la tua luce alla mia lucerna, perché al suo splendore mi si apra il santuario celeste, il santo dei santi, che sotto le sue volte maestose accoglie te, sacerdote eterno del sacrificio perenne.
Fa' che io guardi, contempli e desideri solo te; solo te ami e solo te attenda nel più ardente desiderio.
Nella visione dell'amore il mio desiderio si spenga in te e al tuo cospetto la mia lucerna continuamente brilli ed arda.
Dégnati, amato nostro Salvatore, di mostrarti a noi che bussiamo, perché, conoscendoti, amiamo solo te, te solo desideriamo, a te solo pensiamo continuamente, e meditiamo giorno e notte le tue parole. Dégnati di infonderci un amore così grande, quale si conviene a te che sei Dio e quale meriti che ti sia reso, perché il tuo amore pervada tutto il nostro essere interiore e ci faccia completamente tuoi. In questo modo non saremo capaci di amare altra cosa all'infuori di te, che sei eterno, e la nostra carità non potrà essere estinta dalle molte acque di questo cielo, di questa terra e di questo mare, come sta scritto: «Le grandi acque non possono spegnere l'amore» (Ct 8, 7).
Possa questo avverarsi per tua grazia, anche per noi, o Signore nostro Gesù Cristo, a cui sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.
OFFLINE
15/10/2014 10:35
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalle «Opere» di santa Teresa di Gesù, vergine
(Opusc. «Il libro della vita», cap. 22, 6 - 7, 14)
Ricordiamoci sempre dell'amore di Cristo

Chi ha come amico Cristo Gesù e segue un capitano così magnanimo come lui, può certo sopportare ogni cosa; Gesù infatti aiuta e dà forza, non viene mai meno ed ama sinceramente. Infatti ha sempre riconosciuto e tuttora vedo chiaramente che non possiamo piacere a Dio e da lui ricevere grandi grazie, se non per le mani della sacratissima umanità di Cristo, nella quale egli ha detto di compiacersi.
Ne ho fatto molte volte l'esperienza, e me l'ha detto il Signore stesso. Ho visto nettamente che dobbiamo passare per questa porta, se desideriamo che la somma Maestà ci mostri i suoi grandi segreti. Non bisogna cercare altra strada, anche se si è raggiunto il vertice della contemplazione, perché per questa via si è sicuri. È da lui, Signore nostro, che ci vengono tutti i beni. Egli ci istruirà.
Meditando la sua vita, non si troverà modello più perfetto. Che cosa possiamo desiderare di più, quando abbiamo al fianco un così buon amico che non ci abbandona mai nelle tribolazioni e nelle sventure, come fanno gli amici del mondo? Beato colui che lo ama per davvero e lo ha sempre con sé! Guardiamo il glorioso apostolo Paolo che non poteva fare a meno di avere sempre sulla bocca il nome di Gesù, perché l'aveva ben fisso nel cuore. Conosciuta questa verità, ho considerato e ho appreso che alcuni santi molto contemplativi, come Francesco, Antonio da Padova, Bernardo, Caterina da Siena, non hanno seguito altro cammino. Bisogna percorrere questa strada con grande libertà, abbandonandoci nelle mani di Dio. Se egli desidera innalzarci fra i principi della sua corte, accettiamo volentieri tale grazia.
Ogni volta poi, che pensiamo a Cristo, ricordiamoci dell'amore che lo ha spinto a concederci tante grazie e dell'accesa carità che Dio ci ha mostrato dandoci in lui un pegno della tenerezza con cui ci segue: amore infatti domanda amore. Perciò sforziamoci di considerare questa verità e di eccitarci ad amare. Se il Signore ci facesse la grazia, una volta, di imprimerci nel cuore questo amore, tutto ci diverrebbe facile e faremmo molto, in breve e senza fatica.
OFFLINE
25/10/2014 08:34
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dai «Discorsi» di san Pietro Crisòlogo, vescovo
(Disc. 117; PL 52, 520-521)
Il Verbo, Sapienza di Dio, si è fatto carne

Il beato Apostolo ci ha fatto sapere che due uomini hanno dato principio al genere umano, cioè Adamo e Cristo. Due uomini uguali riguardo al corpo, ma diversi per merito. Somigliantissimi nelle membra, ma quanto mai diversi per la loro stessa origine. «Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita» (1 Cor 15, 45).
Quel primo fu creato da quest'ultimo, dal quale ricevette l'anima per vivere. Questi si è fatto da se stesso, perché è tale che non potrebbe aspettare la vita da un altro, egli che è il solo a dare a tutti la vita. Quello fu plasmato da vilissimo fango, questo viene al mondo dal grembo nobilissimo della Vergine. In quello la terra fu trasformata in carne, in questo la carne viene elevata fino a Dio.
E che più? Questo è il secondo Adamo che plasmò il primo e gli impresse la propria immagine. E così avvenne poi che egli ne prese la natura e il nome, per non dover perdere ciò che egli aveva fatto a sua immagine. C'è un primo Adamo e c'è un ultimo Adamo. Il primo ha un principio, l'ultimo non ha fine. È proprio quest'ultimo infatti ad essere veramente il primo, dal momento che dice: «Sono io, io solo, il primo e anche l'ultimo» (Is 48, 12).
«Io sono il primo», cioè senza principio; «io sono l'ultimo», perché senza fine. «Non ci fu prima il corpo spirituale», dice l'Apostolo, «ma quello animale, e poi lo spirituale» (1 Cor 15, 46). Certo la terra viene prima del frutto, ma la terra non è tanto preziosa quanto il frutto. Quella richiede lamenti e fatiche, questo dà alimento e vita. Giustamente il profeta si gloria di tal frutto, dicendo: La nostra terra ha dato il suo frutto (cfr. Sal 84, 13). Quale frutto? Evidentemente quello di cui dice altrove: «Il frutto delle tue viscere io metterò sul tuo trono» (Sal 131, 11). «Il primo uomo, tratto dalla terra, dice l'Apostolo, è di terra; il secondo uomo, invece, che viene dal cielo, è celeste». E continua: «Quale è l'uomo fatto di terra così sono quelli di terra, ma quale il celeste, così anche i celesti» (1 Cor 15, 47-48). Come mai coloro che non sono nati tali potranno essere trovati celesti, non rimanendo cioè quello che erano quando nacquero, ma continuando ad essere ciò che diventarono quando sono rinati? È questo, fratelli, il motivo per cui lo Spirito celeste con la sua luce divina rende fecondo il fonte verginale. Quelli che la sorgente fangosa aveva messo al mondo nella povera condizione di terrestri, il nuovo fonte li partorisce celesti e li conduce alla somiglianza del loro divino autore. Perciò, ormai rigenerati, ormai riformati ad immagine del nostro creatore, compiamo ciò che comanda l'Apostolo: «Come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste» (1 Cor 15, 49).
Rinati ormai a somiglianza di nostro Signore e adottati da Dio come figli, portiamola tutta l'immagine del nostro Autore, portiamola con totale somiglianza, non nella maestà che a lui solo compete, ma in quella innocenza, semplicità, mitezza, pazienza, umiltà, misericordia, pace, con cui si è degnato di diventare come noi ed essere a noi simile.
OFFLINE
31/10/2014 06:17
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalle «Opere» di Baldovino di Canterbury, vescovo
(Tratt. 6; PL 204, 451-453)
La parola di Dio è viva ed efficace

«La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio» (Eb 4, 12). Ecco quanto è grande la potenza e la sapienza racchiusa nella parola di Dio! Il testo è altamente significativo per chi cerca Cristo, che è precisamente la parola, la potenza e la sapienza di Dio. Questa parola, fin dal principio coeterna col Padre, a suo tempo fu rivelata agli apostoli, per mezzo di essi fu annunziata ed accolta con umile fede dai popoli credenti. È dunque parola nel Padre, parola nella predicazione, parola nel cuore.
Questa parola di Dio è viva, e ad essa il Padre ha dato il potere di avere la vita in se stessa, né più né meno come il Padre ha la vita in se stesso. Per cui il Verbo non solo è vivo, ma è anche vita, come egli stesso dice: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6).
È quindi vita, è vivo, e può dare la vita. Infatti «come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole» (Gv 5, 21). E dà la vita quando chiama il morto dal sepolcro e dice: «Lazzaro, vieni fuori» (Gv 11, 43).
Quando questa parola viene predicata, mediante la voce del predicatore, dona alla sua voce, che si percepisce esteriormente, la virtù di operare interiormente, per cui i morti riacquistano la vita e rinascono nella gioia dei figli di Abramo.
Questa parola è dunque viva nel cuore del Padre, viva sulla bocca del predicatore, viva nel cuore di chi crede e di chi ama. Ed appunto perché questa parola è così viva, non v'è dubbio che sia anche efficace.
È efficace nella creazione, è efficace nel governo del mondo, è efficace nella redenzione. Che cosa potrebbe essere più efficace e più potente? «Chi può narrare i prodigi del Signore e far risuonare tutta la sua lode?» (Sal 105, 2). È efficace quando opera, è efficace quando viene predicata. Infatti non ritorna indietro vuota, ma produce i suoi frutti dovunque viene annunziata.
È efficace e «più tagliente di ogni spada a doppio taglio» (Eb 4, 12) quando viene creduta ed amata. Che cosa infatti è impossibile a chi crede, che cosa è impossibile a chi ama? Quando parla questa parola, le sue parole trapassano il cuore, come gli acuti dardi, scagliati da un eroe. Entrano in profondità come chiodi battuti con forza, e penetrano tanto dentro, da raggiungere le intimità segrete dell'anima. Infatti questa parola è più penetrante di qualunque spada a doppio taglio, perché il suo potere d'incisione supera quello della lama più temprata e la sua acutezza quella di qualsiasi ingegno. Nessuna saggezza umana e nessun prodotto d'intelligenza è fine e sottile al pari di essa. È più appuntita di qualunque sottigliezza della sapienza umana e dei più ingegnosi raziocini.
OFFLINE
01/11/2014 09:59
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate
(Disc. 2; Opera omnia, ed. Cisterc. 5 [1968] 364-368)
Affrettiamoci verso i fratelli che ci aspettano

A che serve dunque la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità? Perché ad essi gli onori di questa stessa terra quando, secondo la promessa del Figlio, il Padre celeste li onora? A che dunque i nostri encomi per essi? I santi non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal nostro culto. È chiaro che, quando ne veneriamo la memoria, facciamo i nostri interessi, non i loro.
Per parte mia devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri.
Il primo desiderio, che la memoria dei santi o suscita o stimola maggiormente in noi, è quello di godere della loro tanto dolce compagnia e di meritare di essere concittadini e familiari degli spiriti beati, di trovarci insieme all'assemblea dei patriarchi, alle schiere dei profeti, al senato degli apostoli, agli eserciti numerosi dei martiri, alla comunità dei confessori, ai cori delle vergini, di essere insomma riuniti e felici nella comunione di tutti i santi.
Ci attende la primitiva comunità dei cristiani, e noi ce ne disinteresseremo? I santi desiderano di averci con loro e noi ce ne mostreremo indifferenti? I giusti ci aspettano, e noi non ce ne prenderemo cura? No, fratelli, destiamoci dalla nostra deplorevole apatia. Risorgiamo con Cristo, ricerchiamo le cose di lassù, quelle gustiamo. Sentiamo il desiderio di coloro che ci desiderano, affrettiamoci verso coloro che ci aspettano, anticipiamo con i voti dell'anima la condizione di coloro che ci attendono. Non soltanto dobbiamo desiderare la compagnia dei santi, ma anche di possederne la felicità. Mentre dunque bramiamo di stare insieme a loro, stimoliamo nel nostro cuore l'aspirazione più intensa a condividerne la gloria. Questa bramosia non è certo disdicevole, perché una tale fame di gloria è tutt'altro che pericolosa.
Vi è un secondo desiderio che viene suscitato in noi dalla commemorazione dei santi, ed è quello che Cristo, nostra vita, si mostri anche a noi come a loro, e noi pure facciamo con lui la nostra apparizione nella gloria. Frattanto il nostro capo si presenta a noi non come è ora in cielo, ma nella forma che ha voluto assumere per noi qui in terra. Lo vediamo quindi non coronato di gloria, ma circondato dalle spine dei nostri peccati.
Si vergogni perciò ogni membro di far sfoggio di ricercatezza sotto un capo coronato di spine. Comprenda che le sue eleganze non gli fanno onore, ma lo espongono al ridicolo.
Giungerà il momento della venuta di Cristo, quando non si annunzierà più la sua morte. Allora sapremo che anche noi siamo morti e che la nostra vita è nascosta con lui in Dio.
Allora Cristo apparirà come capo glorioso e con lui brilleranno le membra glorificate. Allora trasformerà il nostro corpo umiliato, rendendolo simile alla gloria del capo, che è lui stesso.
Nutriamo dunque liberamente la brama della gloria. Ne abbiamo ogni diritto. Ma perché la speranza di una felicità così incomparabile abbia a diventare realtà, ci è necessario il soccorso dei santi. Sollecitiamolo premurosamente. Così, per loro intercessione, arriveremo là dove da soli non potremmo mai pensare di giungere.
OFFLINE
04/11/2014 08:10
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota


Dal Discorso tenuto da san Carlo, vescovo, nell'ultimo Sinodo

(Acta Ecclesiae Mediolanensis, Milano 1599, 1177-1178)
Vivere la propria vocazione

Tutti siamo certamente deboli, lo ammetto, ma il Signore Dio mette a nostra disposizione mezzi tali che, se lo vogliamo, possiamo far molto. Senza di essi però non sarà possibile tener fede all'impegno della propria vocazione.
Facciamo il caso di un sacerdote che riconosca bensì di dover essere temperante, di dover dar esempio di costumi severi e santi, ma che poi rifiuti ogni mortificazione, non digiuni, non preghi, ami conversazioni e familiarità poco edificanti; come potrà costui essere all'altezza del suo ufficio?
Ci sarà magari chi si lamenta che, quando entra in coro per salmodiare, o quando va a celebrare la Messa, la sua mente si popoli di mille distrazioni. Ma prima di accedere al coro o di iniziare la Messa, come si è comportato in sacrestia, come si è preparato, quali mezzi ha predisposto e usato per conservare il raccoglimento?
Vuoi che ti insegni come accrescere maggiormente la tua partecipazione interiore alla celebrazione corale, come rendere più gradita a Dio la tua lode e come progredire nella santità? Ascolta ciò che ti dico. Se già qualche scintilla del divino amore è stata accesa in te, non cacciarla via, non esporla al vento. Tieni chiuso il focolare del tuo cuore, perché non si raffreddi e non perda calore. Fuggi, cioè, le distrazioni per quanto puoi. Rimani raccolto con Dio, evita le chiacchiere inutili.
Hai il mandato di predicare e di insegnare? Studia e applicati a quelle cose che sono necessarie per compiere bene questo incarico.
Da' sempre buon esempio e cerca di essere il primo in ogni cosa. Prèdica prima di tutto con la vita e la santità, perché non succeda che essendo la tua condotta in contraddizione con la tua prèdica tu perda ogni credibilità.
Eserciti la cura d'anime? Non trascurare per questo la cura di te stesso, e non darti agli altri fino al punto che non rimanga nulla di te a te stesso. Devi avere certo presente il ricordo delle anime di cui sei pastore, ma non dimenticarti di te stesso.
Comprendete, fratelli, che niente è così necessario a tutte le persone ecclesiastiche quanto la meditazione che precede, accompagna e segue tutte le nostre azioni: Canterò, dice il profeta, e mediterò (cfr. Sal 100, 1 volg.). Se amministri i sacramenti, o fratello, medita ciò che fai. Se celebri la Messa, medita ciò che offri. Se reciti i salmi in coro, medita a chi e di che cosa parli. Se guidi le anime, medita da quale sangue siano state lavate; e «tutto si faccia tra voi nella carità» (1 Cor 16,14). Così potremo facilmente superare le difficoltà che incontriamo, e sono innumerevoli, ogni giorno. Del resto ciò è richiesto dal compito affidatoci. Se così faremo avremo la forza per generare Cristo in noi e negli altri.
OFFLINE
09/11/2014 08:09
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dall'«Omelia» di un autore del secondo secolo
(Capp. 1, 1 - 2, 7; Funk, 1, 145-149)
Cristo volle salvare tutto ciò che andava in rovina

Fratelli, ravviviamo la nostra fede in Gesù Cristo, vero Dio, giudice dei vivi e dei morti, e rendiamoci consapevoli dell'estrema importanza della nostra salvezza. Se noi svalutiamo queste grandi realtà facciamo male e scandalizziamo quelli che ci sentono e mostriamo di non conoscere la nostra vocazione né chi ci abbia chiamati né per qual fine lo abbia fatto e neppure quante sofferenze Gesù Cristo abbia sostenuto per noi.
E quale contraccambio potremo noi dargli o quale frutto degno di quello che egli stesso diede a noi? E di quanti benefici non gli siamo noi debitori? Egli ci ha donato l'esistenza, ci ha chiamati figli proprio come un padre, ci ha salvati mentre andavamo in rovina. Quale lode dunque, quale contraccambio potremo dargli per ricompensarlo di quanto abbiamo ricevuto? Noi eravamo fuorviati di mente, adoravamo pietre e legno, oro, argento e rame lavorato dall'uomo. Tutta la nostra vita non era che morte! Ma mentre eravamo avvolti dalle tenebre, pur conservando in pieno il senso della vista, abbiamo riacquistato l'uso degli occhi, deponendo, per sua grazia, quel fitto velo che li ricopriva.
In realtà, scorgendo in noi non altro che errori e rovine e l'assenza di qualunque speranza di salvezza, se non di quella che veniva da lui, ebbe pietà di noi e, nella sua grande misericordia, ci donò la salvezza. Ci chiamò all'esistenza mentre non esistevamo, e volle che dal nulla cominciassimo ad essere.
Esulta, o sterile, tu che non hai partorito; prorompi in grida di giubilo, tu che non partorisci, perché più numerosi sono i figli dell'abbandonata dei figli di quella che ha marito (cfr. Is 54, 1). Dicendo: Esulta, o sterile, tu che non hai partorito, sottolinea la gioia della Chiesa che prima era priva di figli e poi ha dato noi alla luce. Con le parole: Prorompi in grida di giubilo..., esorta noi ad elevare a Dio, sempre festosamente, le voci della nostra preghiera. Con l'espressione: Perché più numerosi sono i figli dell'abbandonata dei figli di quella che ha marito, vuol dire che il nostro popolo sembrava abbandonato e privo di Dio e che ora, però, mediante la fede, siamo divenuti più numerosi di coloro che erano guardati come adoratori di Dio.
Un altro passo della Scrittura dice: «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9, 13). Dice così per farci capire che vuol salvare quelli che vanno in rovina. Importante e difficile è sostenere non ciò che sta bene in piedi, ma ciò che minaccia di cadere. Così anche Cristo volle salvare ciò che stava per cadere e salvò molti, quando venne a chiamare noi che già stavamo per perderci.
OFFLINE
11/11/2014 08:27
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalle «Lettere» di Sulpicio Severo

(Lett. 3, 6. 9-10. 11. 14-17. 21; SC 133, 336-343)
Martino povero e umile

Martino previde molto tempo prima il giorno della sua morte. Avvertì quindi i fratelli che ben presto avrebbe cessato di vivere. Nel frattempo un caso di particolare gravità lo chiamò a visitare la diocesi di Candes. I chierici di quella chiesa non andavano d'accordo tra loro e Martino, ben sapendo che ben poco gli restava da vivere, desiderando di ristabilire la pace, non ricusò di mettersi in viaggio per una così nobile causa. Pensava infatti che se fosse riuscito a rimettere l'armonia in quella chiesa avrebbe degnamente coronato la sua vita tutta orientata sulla via del bene.
Si trattenne quindi per qualche tempo in quel villaggio o chiesa dove si era recato finché la pace non fu ristabilita. Ma quando già pensava di far ritorno al monastero, sentì improvvisamente che le forze del corpo lo abbandonavano. Chiamati perciò a sé i fratelli, li avvertì della morte ormai imminente. Tutti si rattristarono allora grandemente, e tra le lacrime, come se fosse uno solo a parlare, dicevano: «Perché, o Padre, ci abbandoni? A chi ci lasci, desolati come siamo? Lupi rapaci assaliranno il tuo gregge e chi ci difenderà dai loro morsi, una volta colpito il pastore? Sappiamo bene che tu desideri di essere con Cristo; ma il tuo premio è al sicuro. Se sarà rimandato non diminuirà. Muoviti piuttosto a compassione di coloro che lasci quaggiù».
Commosso da queste lacrime, egli che, ricco dello spirito di Dio, si muoveva sempre facilmente a compassione, si associò al loro pianto e, rivolgendosi al Signore, così parlò dinanzi a quelli che piangevano: Signore, se sono ancora necessario al tuo popolo, non ricuso la fatica: sia fatta la tua volontà.
O uomo grande oltre ogni dire, invitto nella fatica, invincibile di fronte alla morte! Egli non fece alcuna scelta per sé. Non ebbe paura di morire e non si rifiutò di vivere. Intanto sempre rivolto con gli occhi e con le mani al cielo, non rallentava l'intensità della sua preghiera. I sacerdoti che erano accorsi intorno a lui, lo pregavano di sollevare un poco il suo povero corpo mettendosi di fianco. Egli però rispose: Lasciate, fratelli, lasciate che io guardi il cielo, piuttosto che la terra, perché il mio spirito, che sta per salire al Signore, si trovi già sul retto cammino. Detto questo si accorse che il diavolo gli stava vicino. Gli disse allora: Che fai qui, bestia sanguinaria? Non troverai nulla in me, sciagurato! Il seno di Abramo mi accoglie.
Nel dire queste parole rese la sua anima a Dio.
Martino sale felicemente verso Abramo. Martino povero e umile entra ricco in paradiso
Nuova Discussione
Rispondi
Cerca nel forum
Tag discussione
Discussioni Simili   [vedi tutte]
BRANI SCELTI DI S.AGOSTINO (348 messaggi, agg.: 19/06/2023 00:52)
PERLE PATRISTICHE (794 messaggi, agg.: 02/12/2017 23:57)
BRANI SCELTI DI ASCETICA CRISTIANA (7 messaggi, agg.: 07/12/2022 16:16)
TESTI SCELTI DEI PAPI PRECEDENTI (222 messaggi, agg.: 02/12/2017 23:59)
BRANI DEL MAGISTERO (75 messaggi, agg.: 02/12/2017 23:59)
BRANI SCELTI di s.Girolamo (21 messaggi, agg.: 07/09/2014 18:06)
 
*****************************************
Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra | Regolamento | Privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 16:10. Versione: Stampabile | Mobile - © 2000-2024 www.freeforumzone.com