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Risposte a DOMANDE di FEDE

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12/03/2010 09:11
 
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Dio non rispetta sempre il libero arbitrio?

Perchè allora è scritto:

Mentre tu parti per tornare in Egitto, sappi che tu compirai alla presenza del faraone tutti i prodigi che ti ho messi in mano; ma io indurirò il suo cuore ed egli non lascerà partire il mio popolo. (Es 4,21)


Risposta

Il dilemma  è stato proposto anche dallo stesso Paolo nella lettera ai Romani 9 quando dice:

14 Che diremo dunque? C'è forse ingiustizia da parte di Dio? No certamente! 15 Egli infatti dice a Mosè: Userò misericordia con chi vorrò, e avrò pietà di chi vorrò averla. 16 Quindi non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia. 17 Dice infatti la Scrittura al faraone: Ti ho fatto sorgere per manifestare in te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato in tutta la terra. 18 Dio quindi usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole 19 Mi potrai però dire: "Ma allora perché ancora rimprovera? Chi può infatti resistere al suo volere?". 20 O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? Oserà forse dire il vaso plasmato a colui che lo plasmò: "Perché mi hai fatto così?". 21 Forse il vasaio non è padrone dell'argilla, per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile e uno per uso volgare? 22 Se pertanto Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande pazienza vasi di collera, già pronti per la perdizione, 23 e questo per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso vasi di misericordia, da lui predisposti alla gloria, 24 cioè verso di noi, che egli ha chiamati non solo tra i Giudei ma anche tra i pagani, che potremmo dire?


Paolo non risolve il dilemma nella sua lettera.
Tuttavia alla luce di quanto emerge da tutta la Scrittura si può trarre qualche conclusione come fa questo commento al brano citato:

Dio, nell'attuale piano di salvezza, si riserva sempre ed in modo esclusivo l’ iniziativa e l’azione, trascendendo ogni aspettativa umana. È Dio, con la più assoluta indipendenza da ogni elemento umano, che salva, mantenendo le sue promesse. Paolo esprime queste verità usando molti antropomorfismi e mantenendosi nell'ambito della mentalità semitica. Antropomorfìsmi: in noi la libertà di iniziativa è compresa quando, davanti alla possibilità di un'azione, sappiamo di poter fare il contrario. Paolo per dire che Dio è sommamente indipendente nella sua azione salvifica e per farlo capire, si esprime in termini di scelta e di alternativa: ha misericordia di chi ha misericordia, non l’ha di chi non l'ha, usa bontà verso chi vuole, indurisce chi vuole. Ciò non porta ad una discriminazione di fatto e solo un modo di dire che Dio usa misericordia, salva, solo in base a se stesso e alla sua bontà. Non si afferma che ci sia una parte dell'umanità e nemmeno un solo uomo, verso cui Dio, di fatto, non usi misencordia. Non deve perciò essere frainteso il modo di esprimersi di Paolo quando parla dell'indurimento del Faraone e Io attribuisce semplicemente a Dio (come fa anche l'Esodo, ma con varie sfumature che proprio permettono di isolare le diverse tradizioni "Dio indurisce " 9,12, 10,27, "il Faraone si indurisce" 7,15, 9,55), non vuol dire affatto che Dio abbia voluto direttamente quel fatto negativo, ma, preso atto del fatto concreto, lo riferisce a Dio globalmente, secondo la mentalità semitica, indicando come Dio sa trarre il bene dal male.

l9-23 Paolo avverte che il suo 'modo di dire potrebbe essere frainteso. Se Dio è autore di tutto e vuole tutto, se è lui che indurisce, come può poi lamentarsi, minacciare, biasimare: come può rimproverare l'uomo del suo comportamento peccaminoso, se è Dio che, irresistibilmente, vuole tutto questo? Il problema è posto in termini chiari. Ma Paolo avverte subito la difficoltà di una risposta adeguata: quindi, mentre implicitamente afferma che l'uomo è libero è responsabile, e che quindi Dio ha tutti i diritti di rimproverare, situa il problema nel suo contesto naturale: la trascendenza divina. Fa questo anzitutto con una interrogazione retorica: come può l'uomo mettersi a discutere, quasi da pari a pari con Dio fino a contraddirlo? È la posizione assurda con cui l'uomo pone dei problemi che toccano la trascendenza divina, posizione che Dio rimprovera, ad esempio, a Giobbe (58-39). Paolo porta poi l'esempio del vasaio; nello sviluppare l'esempio secondo il suo solito, mette in risalto un solo fatto: il vasaio è padrone assoluto, può costruire i vasi che vuole e come vuole, ha sempre lui la piena iniziativa: è assurdo che un vaso d'argilla si metta a discutere col vasaio. L'applicazione a Dio ribadisce la piena libertà di iniziativa e di azione, assoluta e senza alcun limite, che Dio ha nella salvezza. Ma non vuol dire di più: non ha senso perciò sviluppare i dettagli dell'esempio, facendone l'applicazione all'uomo. Anche nell'esempio del vasaio e nella sua applicazione a Dio abbiamo lo stesso antropomorfismo di cui sopra: la libertà espressa mediante la contrapposizione della possibilità contraria. A proposito in particolare del v. 24, notiamo l'anacoluto: Paolo non conclude il discorso, non dà esplicitamente una risposta alla domanda posta al versetto 19.

sopportò... vasi di ira approntati per la perdizione: si tratta in concreto degli uomini che, per i loro peccati e la non accettazione del messaggio evangelico, sono oggetto dell'ira divina, sono cioè in assoluta antitesi con Dio che salva. Essi sono stati e permangono approntati per la rovina eterna. Chi li ha messi in questa situazione? Il testo usa il perfetto passivo e lascia quindi la questione aperta: si potrebbe intendere come forma verbale media e allora si avrebbe la spiegazione: che si sono, essi stessi, approntati per la rovina, ma da altri contesti in cui si parla di ira di Dio (cf Rm 1,18; 2,5; 4,15; 13,4; ecc.) si suppone sempre un male morale che la provochi e che quindi le è antecedente. Come si comporta Dio di fronte a questi vasi di ira? Ci aspetteremmo una condanna radicale. Il testo invece dice: li sopportò con molta longanimità e la longanimità di Dio attende un possibile cambiamento. Infatti Dio manifesta, nella situazione attuale in cui essi si trovano, la sua ira, e se essi vi permangono la manifesterà ancora di più nel giorno dell'ira; ma Dio nel sopportare ha anche un altro scopo: mostra ciò di cui è capace, la sua potenza giustificante: potrà cambiare i vasi d'ira in vasi di misericordia.

Si suppone una situazione diversa. Ci sono vasi di misericordia, cioè uomini che, aderendo a Dio e accettando la salvezza del vangelo, sono oggetto attualmente dell'azione salvifica di dìo. In essi Dio manifesta la ricchezza della sua gloria, cioè una partecipazione quanto mai abbondante di se stesso, della sua vita divina. E fa ciò attivamente: li prepara (in contrapposizione con "preparati" del v. 22).

Siccome chiedi qualche contributo patristico, ho trovato questo:

Da S.Agostino: 83 questioni.

Tratto dalla questione n.68

….Anche a proposito del Faraone si può facilmente rispondere che un tale indurimento del cuore, da non credere neppure ai segni più manifesti del volere divino, era la giusta conseguenza dei precedenti demeriti con i quali aveva perseguitato i forestieri nel suo regno. Da un’unica massa, vale a dire di peccatori, ha tratto fuori vasi di misericordia a cui prestare soccorso, quando i figli d’Israele lo avrebbero invocato, e vasi d’ira, cioè il Faraone e il suo popolo: col loro castigo avrebbe istruiti quelli; perché, sebbene gli uni e gli altri fossero peccatori, e di conseguenza appartenessero all’identica massa, era necessario tuttavia trattare in un modo coloro che avevano supplicato nei gemiti l’unico Dio, perché li soccoresse, e in un altro coloro che li avevano afflitti con ingiusti gravami. Ha sopportato dunque con grande pazienza i vasi di collera, già pronti per la perdizione 282. Con l’espressione con grande pazienza ha indicato a sufficienza i loro precedenti peccati, per i quali li aveva sopportati: li avrebbe vendicati a tempo opportuno, quando dalla loro punizione avrebbe prestato soccorso a quelli che sarebbero stati liberati. E questo per far comprendere la ricchezza della sua gloria verso vasi di misericordia, da lui predisposti alla gloria 283. A questo punto forse sei confuso e ritorni sulla questione precedente. Egli usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole. Perché ancora rimprovera? Chi può infatti resistere al suo volere? 284 Senza dubbio usa misericordia a chi vuole e indurisce chi vuole, eppure questa volontà di Dio non può essere ingiusta. Scaturisce difatti da meriti assai occulti; anche gli stessi peccatori, sebbene a causa del comune peccato costituiscano un’unica massa, non sono tuttavia senza qualche differenza tra loro. In alcuni peccatori precede dunque qualcosa per cui, sebbene non siano ancora giustificati, sono degni di essere giustificati; e in altri peccatori precede ugualmente qualcosa per cui sono meritevoli di ostinazione. Altrove scopri lo stesso Apostolo che dice: Poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d’una intelligenza depravata 285. Averli abbandonati a un’intelligenza depravata equivale ad aver indurito il cuore del Faraone 286. L’aver disprezzato la conoscenza di Dio è stato il motivo per cui hanno meritato di essere abbandonati a un’intelligenza depravata.

5. È vero però che non dipende dalla volontà né dagli sforzi, ma dalla misericordia di Dio 287. Sebbene, infatti, qualcuno si renda degno della misericordia di Dio con grande gemito e dolore tanto per i peccati più lievi quanto per quelli più gravi e addirittura numerosi, ciò non dipende da lui, che si perderebbe se fosse abbandonato, ma dalla misericordia di Dio che viene in aiuto alle sue preghiere addolorate. Non basta infatti volere se Dio non usa misericordia. Ma Dio, che chiama alla pace, non usa misericordia se non precede la volontà, perché la pace in terra è per gli uomini di buona volontà 288. E poiché nessuno può volere, senza essere prevenuto e chiamato sia interiormente, dove nessun uomo vede, che esteriormente per mezzo della predicazione o di altri segni manifesti, risulta che è Dio a suscitare in noi questo stesso volere 289. Infatti a quella cena, che nel Vangelo il Signore dice di aver preparato, non tutti gli invitati hanno voluto partecipare, e quelli che sono venuti non sarebbero potuti venire senza essere stati invitati 290. Pertanto quelli non devono attribuire a se stessi di essere venuti, perché sono venuti su invito: né devono incolpare altri, ma se stessi, coloro che non sono voluti venire, perché erano chiamati a partecipare in piena libertà. La chiamata dunque suscita la volontà prima del merito. Di conseguenza se qualcuno attribuisce a se stesso di aver corrisposto alla chiamata, non può attribuire a se stesso di essere stato chiamato. Chi invece non ha risposto all’invito, come non ha avuto alcun merito per essere chiamato, così inizia a meritare il castigo per aver trascurato l’invito a venire. Ci saranno così due cose: Canterò, Signore, la tua misericordia e la tua giustizia 291. La chiamata dipende dalla misericordia; dalla giustizia dipende la felicità di coloro che hanno risposto all’appello e il castigo di coloro che hanno rifiutato di venire. Non si rendeva forse conto il Faraone dei vantaggi derivati al suo paese dalla venuta di Giuseppe 292? La conoscenza di questo fatto costituiva dunque per lui l’appello a non essere ingrato, trattando con indulgenza il popolo d’Israele. Rifiutando di corrispondere a quest’invito e rendendosi crudele verso coloro ai quali doveva umanità e indulgenza, ha meritato come punizione l’indurimento del suo cuore e una tale cecità di spirito da non credere ai numerosi e così grandi ed evidenti prodigi di Dio. Con questo castigo dell’ostinazione e del suo definitivo e visibile naufragio in mare, si poteva istruire il popolo che, a motivo della sua sofferenza, il Faraone aveva meritato, sia l’occulta ostinazione del cuore che la manifesta scomparsa tra i flutti 293.

6. Ora questa chiamata, rivolta secondo l’opportunità dei tempi, sia agli individui che ai popoli e all’intero genere umano, è segno di una disposizione elevata e profonda. Ad essa si riferiscono anche queste parole: Io ti ho santificato nel seno materno 294; e: Ti ho visto quando eri ancora nei lombi di tuo padre 295 e: Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù 296, che sono state pronunciate prima che essi nascessero. Forse possono comprenderle soltanto coloro che amano il Signore loro Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la loro mente e amano il prossimo come se stessi 297. Fondati in una così grande carità forse possono già comprendere con i santi la lunghezza, l’ampiezza, l’altezza e la profondità 298. Bisogna però ritenere con fermissima fede che Dio non fa nulla d’ingiusto e che non c’è alcuna natura che non debba a Dio ciò che è. A Dio si deve infatti ogni splendore, bellezza e armonia delle parti: se tu l’analizzerai a fondo e la eliminerai dalle cose fino alle ultime parti, non rimane più nulla.

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