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RICERCA SU GESU' NELLA STORIA e STORICITA' DEI VANGELI

Ultimo Aggiornamento: 26/02/2024 17:25
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09/12/2015 18:32
 
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I miracoli sono inseparabili dalla figura del Gesù storico



Miracoli paganoAd un certo punto della storia, almeno dal 1700 in poi, gli uomini hanno iniziato a vergognarsi di Gesù Cristo. Com’era possibile conciliare i racconti evangelici, i miracoli e gli esorcismi di Gesù, con la fede nella Dea ragione? Così studiosi, esegeti, biblisti, teologi e intellettuali hanno cominciato ad idealizzare il profilo di Gesù, privandolo delle caratteristiche che lo rendevano “scomodo” ai loro contemporanei.


Un Gesù “light”, più digeribile dalla dieta intellettuale razionalista e secolarizzata. I miracoli vennero tralasciati o demitizzati, definendoli “simboli” e non eventi storicamente accaduti. Tuttavia, con la cosiddetta third quest (terza via), ovvero la ricerca contemporanea sul Gesù storico avviatasi dagli anni ’90, sono state messe da parte le opere di “fantasia” degli studiosi ottocenteschi (Schweitzer e Bultmann), ripristinando un po’ le cose. «Le attuali ricerche sulle fonti bibliche ed extrabibliche confermano che un Gesù senza miracoli non solo non è storico, ma non è neppure concepibile». Ad affermarlo è il prof. Gianmario Pagano, biblista, realizzatore di serie e mini-serie su Gesù per progetti televisivi Rai e Mediaset, e autore del libro I miracoli di Gesù (Paoline 2008).


Un volume agile (134 pagine), adatto a chi vuole introdursi ad un aspetto del Gesù storico che anima da tempo gli studiosi: i miracoli, per l’appunto. Lo fa in modo attendibile anche perché si richiama esplicitamente in alcune parti al miglior testo scientifico attualmente in circolazione, ovvero il volume 2 di “Un ebreo marginale”, di J.P. Meier (che, con le sue 1300 pagine, non è proprio alla portata di tutti).


La prima osservazione utile da fare è che al contrario dei vangeli apocrifi, i racconti dei miracoli di Gesù nei vangeli canonici sono sì molto numerosi, ma esposti in modo sobrio, senza particolare enfasi. Anzi, osserva lo studioso, «i Vangeli canonici raccontano un Gesù che compie miracoli conprudenza, a volte persino con ritrosia, cosciente di esporsi a dei pericoli, ma come se tale modo di agire facesse parte dei suoi doveri» (p.6). Il miracolo è un segno, una testimonianza, non una prova di Dio.


La seconda osservazione, ancora più interessante, è valutare l’effettiva storicità dei miracoli nel Gesù storico. Sorprendentemente, il fatto che Gesù compisse dei miracoli è una delle cose che soddisfa maggiormente i criteri utilizzati dagli storici per valutare la probabilità di un fatto, a partire dalcriterio della molteplice attestazione«le fonti Q, M, L, Marco, Giovanni e Flavio Giuseppe», spiega Pagano, «ne fanno apertamente menzione». Inoltre, compaiono diversi brani in cui Gesù stesso parla dei miracoli che ha compiuto (Mt 11,5-6 ecc) e invia i discepoli a compiere loro stessi miracoli (Mt 10,8//Lc 10,9). Anche lo storico ebreo Flavio Giuseppe accerta che «in quel tempo apparve Gesù, un uomo saggio. Infatti fu operatore di fatti sorprendenti, un maestro di persone che accoglievano la verità con piacere». Il brano è il noto Testimonium Flavianum, parole che fanno parte del nucleo riconosciuto come autentico da ormai quasi tutti gli studiosi. I miracoli soddisfano anche il criterio della coerenza: i vari episodi convergono e si sostengono a vicenda ed è «difficile escludere che la fama popolare di Gesù sia dovuta almeno alla combinazione, in lui davvero speciale, tra parola e miracoli» (p. 36). Anche il criterio dell’imbarazzo è soddisfatto: in alcuni casi i Vangeli indicano che Gesù fu sospettato di essersi accordato con il diavolo per i suoi esorcismi, un sospetto che difficilmente gli evangelisti avrebbero riportato se Gesù non avesse compiuto alcun esorcismo, mettendolo così in una posizione di ambiguità rispetto ai destinatari dei loro vangeli.


Uno studioso serio del Gesù storico sa quindi che «i miracoli sono di fatto inseparabili dalla figura storica di Gesù e contribuiscono a determinarla. In tutte le fonti Gesù è associato ad atti prodigiosi. La grande popolarità della sua persona e del suo messaggio appaiono persino inspiegabili se si ignorano del tutto i miracoli. Se non si ritengono i miracoli verosimili, si finisce per accusare di inverosimiglianza le fonti nel loro complesso, quelle stesse che invece guadagnano sempre più fiducia sotto ogni altro punto di vista quanto più vengono studiate dagli specialisti» (p. 41,42). Ovviamente non puó esserci la dimostrazione palese che Gesù compiva miracoli, tuttavia si può affermare che certamente si considerava una persona capace di operare miracoli ed esorcismi e tutti coloro che hanno avuto a che fare con lui direttamente o indirettamente, amici e nemici, lo consideravano come capace di compiere prodigi inspiegabili.


L’ultima parte del libro è invece dedicata ad una riflessione originale, ovvero la modalità secondo cui gli evangelisti raccontano i miracoli di Gesù. Attraverso di essi comunicano infatti dei contenuti e appaiono come «la riproposizione drammatica di un evento significativo della vita di Gesù»(p.79). Non sono quindi dei racconti inseriti per puro stupore dei lettori ma «rileggere i miracoli in chiave drammatica aiuta a coglierli come strumenti interpretativi adeguati a cogliere la loro profonda “intenzionalità”: essi indicano con forza la presenza misteriosa tra gli uomini del fondamento di una speranza non vana» (p. 133).


Un bel libro, adatto a chi vuole approcciarsi per la prima volta al Gesú storico e alla storicità dei miracoli descritti nei Vangeli.



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18/12/2015 15:34
 
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Tirando le somme.

Quante fonti antiche non cristiane citano Gesù? Includendo Giuseppe Flavio ci sono ben 10 fonti storiche non cristiane scritte entro 150 anni dalla vita di Gesù: Giuseppe Flavio, Tacito, Plinio il Giovane, Flegonte di Tralles, Tallo, Svetonio, Luciano, Celso, Mara Bar Serapion e Il Talmud. Come esempio di confronto, negli stessi 150 anni, ci sono soltanto nove fonti non cristiane che citano Tiberio Cesare, l’imperatore romano all’epoca di Gesù.

Quindi, anche non considerando tutte le fonti cristiane (di cui noi difenderemo la storicità e validità) Gesù è menzionato una volta in più rispetto all’imperatore romano! E se includiamo le fonti cristiane, gli autori che citano Gesù sono ben 43 rispetto ai dieci di Tiberio (nove più uno, che sarebbe il Vangelo di Luca). Potete trovare elencate 42 delle 43 fonti nel libro “The case for the Resurrection of Jesus” di Gary Habermas e Michael Licona (loro non includono il Talmud, di cui noi, in altri articoli, difenderemo la sua antica datazione e la sua storicità).

Alcune fonti non cristiane come il Talmud, Tacito e Celso, potrebbero essere considerate addirittura fonti anti cristiane e comunque non hanno nulla che contraddica i documenti del Nuovo Testamento. E quindi cosa possiamo imparare da queste fonti e anche da quelle non cristiane più neutrali?

Possiamo ricostruire, solamente con queste fonti, una storia che è sorprendentemente congruente con il Nuovo testamento. Unendo infatti queste dieci fonti possiamo vedere come:

  1. Gesù visse durante l‘epoca di Tiberio Cesare
  2. Visse una vita virtuosa
  3. Era un operatore di miracoli
  4. Aveva un cugino chiamato Giacomo
  5. Era acclamato come Messia
  6. Fu crocifisso sotto Ponzio Pilato
  7. Fu crocifisso alla vigilia della Pasqua ebraica
  8. Oscurità e terremoti avvennero quando morì
  9. I suoi discepoli credettero che egli risorse dai morti
  10. I suoi discepoli erano disposti a morire per la loro credenza
  11. Il cristianesimo si espanse rapidissimamente sino a Roma
  12. I suoi discepoli rigettarono gli dei pagani e adorarono Gesù come Dio.

Questa lista in 12 punti è molto sintetica: per un approfondimento vedere James Patrick Holding, “Shattering the Christ myth: Did Jesus not exist?”

In vista di tutte queste citazioni non cristiane, la teoria che Gesù non sia mai esistito è chiaramente irragionevole. Come poterono 10 scrittori non cristiani scrivere collettivamente una storia simile a quella del Nuovo Testamento se Gesù non fosse mai esistito?

Ma le implicazioni sono ancora più profonde di questo. Che cosa stanno a significare queste fonti nel confronto del Nuovo Testamento? Questi autori non fanno altro che confermare ciò che dice il NT. Infatti anche se questi autori non cristiani non credevano nella Resurrezione, riportarono che i discepoli certamente credettero ciò.


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05/01/2016 22:30
 
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Ispirato liberamente, tradotto liberamente, e rielaborato dal 9° Capitolo di “I Don’t Have Enough Faith to Be an Atheist” di Frank Turek e Norman L. Geisler


1. ABBIAMO TESTIMONIANZE SU GESU’ SCRITTE NELLA PROSSIMITA’ DEI FATTI DESCRITTI?


Il Vangelo secondo i non-cristiani


Nel 66 d.C gli ebrei in Palestina iniziarono una rivolta contro la dominazione romana.


L’imperatore mandò truppe, comandate dal generale Vespasiano per sopprimere la ribellione e riprendere il controllo delle aree che si erano rivoltate. Nel 67 Vespasiano assediò la città ribelle di Iotapata in Galilea.


Durante questo rigido assedio un giovane rivoluzionario ebreo scelse di arrendersi all’esercito romano nettamente più forte, piuttosto che combattere fino alla morte. Questo giovane fu apprezzato da Vespasiano, e successivamente fu portato a Roma dal generale Tito, figlio di Vespasiano, dopo la distruzione di Gerusalemme.


Questo giovane era Giuseppe Flavio (37-100 d.C circa), che diventò il più grande storico ebreo della sua epoca. Giuseppe iniziò a scrivere a Roma mentre lavorava come storico per l’imperatore romano Domiziano. E’ in questo periodo che scrisse la sua autobiografia e due grandi trattati storici. Una di queste opere è conosciuta come le “Antichità Giudaiche”, che finì nel 93 d.C. circa.


Nel libro diciotto delle Antichità, nella terza sezione del terzo capitolo, Giuseppe, che non era cristiano, scrisse:


“In questo tempo [il tempo di Pilato] vi era un uomo saggiò chiamato Gesù. Il suo comportamento era buono ed era noto per essere virtuoso. E molte persone tra gli ebrei e di altre nazioni diventarono suoi discepoli. Pilato lo condannò per essere crocifisso e morire. Ma quelli che diventarono discepoli non abbandonarono il loro discepolato. Infatti apparve loro il terzo giorno, di nuovo vivo, avendo i divini profeti detto queste cose su di lui e moltissime altre meraviglie. E ancor fino al giorno d’oggi continua a esistere la tribù dei cristiani che da lui prende il nome”


In questo articolo non commenteremo l’autenticità di questo passo. Nei prossimi articoli parleremo di come questo passo, chiamato il “Testimonuim Flavianum”, sia quasi totalmente autentico.


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05/01/2016 22:34
 
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Questa non fu l’unica citazione di Gesù di Giuseppe Flavio. In un altro passaggio delle Antichità, Giuseppe spiegò come il nuovo sacerdote dei giudei, Atanasio il giovane, approfittò della situazione per uccidere Giacomo, il cugino di Gesù. Accadde nel 62 d.C. quando il governatore romano Festo morì improvvisamente. Passarono tre mesi prima che il suo successore Albino potesse arrivare da Roma in Giudea, permettendo così ad Anano di scatenare una repressione anticristiana. Giuseppe descrive l’accaduto così:

Anano […] convocò il sinedrio a giudizio e vi condusse il fratello di Gesù, detto il Cristo, di nome Giacomo, e alcuni altri, accusandoli di trasgressione della legge e condannandoli alla lapidazione”.

Quindi non abbiamo solamente una citazione di Gesù del primo secolo, ma anche una conferma che avesse un cugino (non staremo qui a spiegare tutta la controversia tra il termine cugino e fratello) chiamato Giacomo, che ovviamente non era ben accetto dalle autorità ebraiche. Potrebbe essere che Giacomo fosse martire perché era a capo della chiesa di Gerusalemme, come asserisce il Nuovo Testamento?

Quante fonti antiche non cristiane citano Gesù? Includendo Giuseppe Flavio ci sono ben 10 fonti storiche non cristiane scritte entro 150 anni dalla vita di Gesù: Giuseppe Flavio, Tacito, Plinio il Giovane, Flegonte di Tralles, Tallo, Svetonio, Luciano, Celso, Mara Bar Serapion e Il Talmud. Come esempio di confronto, negli stessi 150 anni, ci sono soltanto nove fonti non cristiane che citano Tiberio Cesare, l’imperatore romano all’epoca di Gesù.


[Modificato da Credente 08/12/2020 21:41]
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05/01/2016 22:35
 
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Ma le implicazioni sono ancora più profonde di questo. Che cosa stanno a significare queste fonti nel confronto del Nuovo Testamento? Questi autori non fanno altro che confermare ciò che dice il NT. Infatti anche se questi autori non cristiani non credevano nella Resurrezione, riportarono che i discepoli certamente credettero ciò.


Visto che tutti questi non cristiani tendono a confermare il NT ci sorge naturale chiederci: I documenti del NT riportano fatti realmente accaduti? E’ possibile che non siano racconti mitici e fantasiosi come alcuni studiosi atei vogliono farci credere?


Per capire quindi se il NT riporta fatti realmente accaduti non ci resta che rispondere a due domande:


1) Abbiamo copie accurate dei documenti originali che furono scritti nel primo secolo? 2) Ciò che dicono è vero?


 


2. DOMANDA 1: ABBIAMO COPIE ACCURATE DEGLI ORIGINALI?


Credo che tutti conoscano il “gioco del telefono”, tanto usato dai bambini, in cui a un bambino viene dato un messaggio verbale che poi viene passato segretamente ad un altro bambino e così via. Quando il messaggio arriverà all’ultimo bambino della lunga fila, il messaggio recepito sarà solitamente diverso dal messaggio originario.


Alcuni credono che questa stessa forma di distorsione del messaggio originale sia applicabile ai documenti che vengono trasmessi di generazione in generazione, come nel caso del Nuovo Testamento, che viene tramandato da duemila anni.


Fortunatamente però il NT non fu trasmesso nello stesso modo: il messaggio non fu trasmesso da una singola persona ad un’altra singola persona, quindi il paragone del gioco del telefono non può essere considerato applicabile.


Infatti numerose persone, indipendentemente, testimoniarono gli eventi descritti nel NT, e molti altri memorizzarono quei contenuti, mentre nove persone (testimoni oculari o contemporanei) raccolsero le loro osservazioni in forma scritta.


A questo punto dobbiamo chiarire una comune incomprensione riguardante il NT: quando parliamo di documenti del NT, non stiamo parlando di un solo documento, ma di ben 27 documenti che furono scritti su 27 differenti pergamene da nove autori diversi in lasso di tempo che va da un periodo dai 20 ai 50 anni.


Questi scritti indipendenti furono poi collezionati in un libro chiamato Bibbia. Il Nuovo Testamento non è quindi una fonte, ma una collezione di fonti diverse.


C’è quindi solo un problema: fino ad ora nessuno dei documenti originali del NT è stato scoperto. Abbiamo solo copie degli scritti originali, chiamati manoscritti. Questo apparente problema ci impedisce di capire cosa fosse scritto nell’originale?


Per niente. Infatti, tutta la letteratura importante del mondo antico è ricostruita nella sua forma originale comparando i manoscritti sopravvissuti. Per ricostruire l’originale è utile avere un vasto numero di manoscritti che non sono stati scritti molto dopo quello originale: più manoscritti abbiamo, e più questi ultimi sono stati scritti vicini (temporalmente) all’originale e più possiamo avere una ricostruzione accurata dell’originale.


Detto questo, i documenti del NT ci permettono di ricostruire con ragionevole fiducia il contenuto originale?


Certamente si, meglio di qualunque altro documento del mondo antico. Infatti abbiamo più manoscritti scritti vicini a quelli originali che i 10 pezzi di più famosi della letteratura classica messi insieme:


1) La quantità di manoscritti: Ci sono circa 5,700 manoscritti greci redatti a mano del NT. In più abbiamo più di 9000 manoscritti in altre lingue (Siriaco, Copto, Latino e Arabo). Alcuni di questi quasi 15mila manoscritti sono Bibbie complete, altri sono libri o pagine e piccoli frammenti.Non c’è niente del mondo antico che si avvicini anche lontanamente a tale abbondanza documentale, eppure pochi sono coloro che mettono in dubbio la storicità delle opere non cristiane.


Numero di copie manoscritte


Nuovo Testamento= 9000 + 5686 (15000 circa)


Omero= 643


Demostene= 200


Erodoto= 8


Platone= 7


Tacito= 20


Cesare= 10


Plinio=7


2) La vicinanza temporale dei manoscritti sopravvissuti a quello originale: Non solo il NT ha un numero elevatissimo di manoscritti, ma ha manoscritti che sono stati scritti poco dopo l’originale.


Lasso di tempo in anni tra l’originale e le prime copie sopravvissute.


Nuovo testamento= 25


Omero= 500


Demostene= 1400


Erodoto= 1400


Platone= 1200


Tacito=1000


Cesare= 1000


Plinio=750


Il manoscritto indiscusso redatto più vicino a quello originale è un piccolo segmento di Giovanni 18:31-33, 37-38 noto come il fragmento di John Rylands. Gli accademici datano questo frammento nel 117-138 d.C. Questo frammento fu trovato in Egitto, che non fa altro che dimostrare che il Vangelo di Giovanni fu copiato e diffuso fino ad una certa distanza già agli inizi del secondo secolo.


Esistono inoltre ben 9 frammenti datati dal 50 al 70 d.C travati nei Manoscritti del Mar Morto. La loro storicità è però più discussa e meno certa (Geisler, Baker Encyclopedia of Christian Apologetics, 531-537, 547). Alcuni accademici credono infatti che questi frammenti appartengano a sei libri del NT (Marco, Atti, Romani, 1 Timoteo, 2 Pietro e Giacomo), mentre altri credono che essi non possano essere definitivamente attribuiti al NT, anche se non hanno nessun altro testo del NT a cui poterli attribuire (Geisler, Baker Encyclopedia of Christian Apologetics, 547).


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05/01/2016 22:38
 
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Questi frammenti furono trovati in una grotta che era stata precedentemente identificata come contenente materiale dal 50 a.C al 50 d.C. L’accademico che per primo identificò questi primissimi frammenti come parti del NT fu Jose O’Callahan, un famoso paleografo spagnolo. Il New York Times ammise le implicazioni della teoria di O’Callahan dicendo che se fosse vera ” proverebbe che almeno uno dei Vangeli, quello di San Marco, fu scritto solo pochi anni dopo la morte di Gesù” (The First New Testament, Nashville:Nelson, 1978, p.137).


Ma anche se non appartenessero al NT e il frammento di John Rylands fosse il primo di cui noi siamo a conoscenza, il lasso di tempo tra l’originale e la prima coppia sopravissuta è di gran lunga più piccolo rispetto a qualsiasi altro scritto del mondo antico. E ricordiamoci che non stiamo parlando del lasso di tempo tra gli eventi e i primi documenti, cosa che come vedremo è ancora più vicino ai fatti, ma solamente dei manoscritti rinvenutaci.


L’Illiade, che dopo il NT ha il lasso di tempo più piccolo, ha ben 500 anni di differenza tra il primo manoscritto trovato e il suo originale. Il NT ha invece solo 25 anni di differenza, e ciò chiaramente non vuol dire che non ce ne fossero altri ancora precedenti che sono andati persi o non sono stati ancora scoperti.


E a che età risalgono i manoscritti completi di libri del NT? Vi sono dei manoscritti completi di singoli libri del NT che risalgono al 200 d.C. circa; vi sono poi manoscritti con gran parte del NT, inclusi tutti e 4 i Vangeli che risalgono al 250 a.C. e vi è un manoscritto dell’intero NT, il Codex Vaticanus, che risale al 325 circa.


E tutti tali manoscritti presentano caratteristiche di ortografia e punteggiatura che li fanno risalire a “famiglie” di manoscritti risalenti ad un’epoca tra il 100 e il 150 d.C.


Se questi manoscritti fossero tutto ciò che gli accademici hanno, si riuscirebbe comunque a ricostruire l’originale con grande accuratezza, ma ci sono ulteriori elementi che ci permettono una ricostruzione ancora più certa: All’inizio del febbraio del 303 d.C. l’imperatore romano Diocleziano ordinò tre editti di persecuzione dei cristiani. Questi editti portarono alla distruzione di chiese, manoscritti, libri e l’uccisione dei cristiani.


Centinaia se non migliaia di manoscritti furono distrutti durante la persecuzione, che durò fino al 311. Ma anche se la distruzione dei testi fosse stata totale, ovvero se tutti i manoscritti del NT fossero tutti andati distrutti, come sostengono Frank Turek e Werner Wallace, solo con le citazioni dei padri della Chiesa, si riuscirebbe comunque a ricostruire il ben 46% percento dell’intero NT, tra cui passi che sostengono che: 1) Gesù fosse stato profetizzato nell’AT così come descritto nell’NT 2) Gesù ha una natura divina 3) Gesù insegnò ai suoi discepoli così come descritto nell’NT 3)Gesù compiva miracoli 4) Gesù era nato da una vergine 5) Gesù fu crocifisso come descritto nell’NT 6) Gesù risorse dai morti e dimostrò la sua divinità, così come descritto nel NT.


Anche se non si può ricostruire l’intero NT con le citazioni dei padri della Chiesa, ma solo la metà, queste citazioni ci permettono di capire il contenuto generale del NT. Dato che queste citazioni, in gran parte dei primissimi padri del primo secolo, come Ignazio di Antiochia, Policarpo e Clemente di Roma, ci descrivono un Gesù tanto divino, tanto miracoloso quanto quello nel NT, diventa quindi irrazionale credere che il NT abbia subito un processo di modifica nei secoli finalizzato alla glorificazione del personaggio di Gesù. Questi tre padri infatti confermano l’autenticità di ciò che è scritto nell’NT, e tutte le loro citazioni corrispondono ai testi ufficiali del NT.


I primi padri ci permettono quindi di capire che anche il contenuto generale (oltre che al 46% da loro citato) dell’NT non è cambiato. Diventa perciò ragionevole credere che, se tutte le citazioni dei padri corrispondono a ciò che troviamo nei testi, ciò che è nei testi non è cambiato nel tempo.


Per maggiore approfondimento su questo punto leggere “Cold Case Christianity” di Werner Wallace


Come si ricostruisce l’originale?


Questi tre fatti: il loro grande numero, la loro prossimità temporale con i fatti, e la conferma di autenticità da parte dei primissimi padri della Chiesa permettono agli accademici di ricostruire il Nuovo Testamento originale in modo abbastanza facile e sicuro.


Il processo di comparazione delle molte copie e delle citazioni dei primi padri ci permette di avere una ricostruzione precisissima, anche se nel coro dei secoli sono stati introdotti errori nei manoscritti.


E come funziona questo processo di comparazione e ricostruzione? Considerate il seguente esempio: ipotizzate di avere quattro manoscritti differenti che hanno quattro errori differenti nello stesso verso. Prendiamo per esempio il famoso e bellissimo versetto di Filippesi 4:13 Tutto posso in colui che mi dà la forza.


Queste sono le seguenti 4 copie con gli errori:


a) #utto posso in colui che mi dà la forza.


b) T#tto posso in colui che mi dà la forza.


c) Tu#to posso in colui che mi dà la forza.


d) Tut#o posso in colui che mi dà la forza.


C’è per caso qualche dubbio su cosa fosse il contenuto originale? No, per niente. Tramite la comparazione infatti si può facilmente vedere dove risiede l’errore in una determinata copia. E la ricostruzione del NT è ancora più facile di questo esempio in quanto ci sono ben più di quattro copie da comparare.


Assumendo che il NT sia la parola di Dio, un fedele a questo punto potrebbe chiedersi come mai Dio in modo provvidenziale non abbia preservato l’originale in quanto appunto parola ispirata. Qui si può solamente speculare, ma è possibile che Dio abbia permesso che l’originale venisse disperso o distrutto cosicché la sua Parola potesse essere meglio preservata tramite le copie. Il motivo è che se qualcuno fosse in possesso degli originali, quella persona potrebbe cambiarne il contenuto. Ma se le copie sono sparse in tutto il mondo antico, non c’è alcun modo per uno scriba o chiunque altro di cambiare la Parola di Dio.


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05/01/2016 22:40
 
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Come abbiamo visto il processo di ricostruzione permette che esistano varianti e che esse vengano identificate, quindi, paradossalmente, non avere gli originali in un certo senso preserva potenzialmente meglio la Parola di Dio.


Quanto accurata è la ricostruzione?


Per capire quanto sia accurata la ricostruzione bisogna prima capire qualche comune incomprensione generata da alcuni scrittori atei. Alcuni hanno infatti stimato che ci siano circa 200,000 errori nei manoscritti del NT.


Prima di tutto, questi non sono “errori” ma varianti, quasi sempre grammaticali (per di più di punteggiatura e di ortografia). Secondo, queste varianti sono diluite nei 5700 manoscritti, cosicché una variante di spelling di anche solo una singola lettera di una parola di un singolo verso in 2000 manoscritti, viene contato come 2000 “errori”.


Esperti del testo biblico come Westcott e Hort hanno stimato che solamente un errore su sessanta di queste varianti ha un minimo di rilevanza. Detto questo, con qualche semplice calcolo si arriva quindi all’autenticità del 98.33% del NT (per maggiori dettagli Geisler, Baker Encycloedia of Christian Apologetics, 532). Philip Schaff calcolò che delle 150,000 varianti note al suo tempo, solo 400 cambiavano il significato del passo in questione, e solo 50 erano di vera rilevanza e neanche una che cambiava un punto oggetto di fede o precetto religioso che non fosse abbondantemente confermato da altri e indiscussi passi delle Scritture o dall’intero contesto delle stesse.” (Philp Schaff, A Companion to the Greek Testament and the English Version, 3rd Edition, 1883, 177).


Nessun altro documento o libro antico è così ben autenticato: il grande studioso del NT, professore dell’Università di Princeton Bruce Metzger stimò che il Mahabharata dell’Induismo sia stato copiato con il 95% di accuratezza e l’Illiade di Omero con circa il 95%. Stimò inoltre che il NT è per il 99.5% accurato (per approfondimento Geisler, “Baker Encyclopedia of Christian Apologetics”, 532).


E ripetiamo, questo 0.5 percento non influenza minimamente alcuna dottrina cristiana.


Come dice l’esperto di manoscritti antichi Fredric Kenyon “Non può essere fortemente affermato che la Bibbia è certa solo in sostanza (a grandi linee), specialmente nel caso del NT. Il numero di manoscritti del NT, di traduzioni vicine temporalmente a esso, e le quotazioni dei più antichi scrittori della Chiesa, è così ampio che è praticamente certo che la lettura di ogni passaggio dubbio è confermata in una o in un’altra di queste antiche autorità. Questo non può essere detto per nessun altro testo antico nel mondo.” (Fredrik Kenyon, Our Bible and the Ancient Manuscripts, 4° Ed, rev A.W. Adams, 532)


Possiamo quindi dire che abbiamo lo stesso NT che fu scritto 2000 anni fa.


Ma la domanda seguente è ancora più importante: Abbiamo una copia accurata della verità o di una bugia? In altre parole, il NT è storicamente attendibile?


L’accuratezza di trascrizione verrà maggiormente approfondita negli articoli successivi. In particolare vedremo nello specifico che cosa e quali sono questi suddetti “errori”, confutando le fragili tesi degli atei Bart Ehrman e Richard Carrier.


Interessante è anche vedere la “catena di custodia” ovvero le modalità di trasmissione delle informazioni dei testi del NT. Anche questo verrà visto negli articoli successivi.


 


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05/01/2016 23:01
 
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3. DOMANDA 2: CIO’ CHE DICE IL NUOVO TESTAMENTO E’ VERO O FALSO?


Quando ci poniamo la domanda, “il Nuovo Testamento è storicamente attendibile?” staimo cercando di capire se gli eventi del NT sono veramente accaduti, in specifico se veramente c’è stato un certo Gesù che 2000 anni fa insegnò, fece miracoli, fu crocifisso per aver detto di essere Dio e risorse, apparendo a tanti testimoni oculari dal terzo giorno dopo la sua morte.


Importante è sottolineare è che adesso non stiamo cercando di dimostrare che il NT non abbia errori o sia la “Parola di Dio”, ma bensì stiamo cercando di valutare se i contenuti siano realtà o finzione.


Dobbiamo quindi valutare se gli eventi sono stati scritti poco dopo gli eventi vissuti dai testimoni oculari (o da coloro che hanno conosciuto i testimoni) o se sono stati scritti molto dopo da seguaci non imparziali che hanno abbellito i dettagli della vita di un personaggio storico?


Per capire quindi se il contenuto di un documento sia realtà o finzione esistono dei cosiddetti “test di storicità” che includono:


1) Abbiamo una testimonianza temporalmente vicina ai fatti accaduti? In genere, più tempo passa per la redazione delle fonti e più queste fonti sono meno accurate.


2) Abbiamo testimoni che hanno visto il fatto descritto? In genere i testimoni oculari sono il miglior modo per capire che cosa sia successo realmente.


3) Abbiamo attestazioni a) multiple, b) indipendenti l’una dall’altra, c) di testimoni oculari? Questo tipo di attestazione ci permette di capire se gli eventi descritti sono veramente accaduti e ci danno informazioni addizionali che una singola fonte avrebbe potute perdere.


4) Questi testimoni sono veritieri? Perché dovremmo credere loro?


5) Abbiamo evidenze a) archeologiche, b) di scrittori extrabiblici, c) interne al testo stesso (supporto non intenzionale nei testi o tra i testi) che corroborano il contenuto del NT? Questa è un’ulteriore conferma che può anche darci dettagli ulteriori.


6) Abbiamo attestazioni nemiche? Ovvero se gli oppositori dei testimoni oculari ammettessero certi fatti dicendo che sono veri, allora questi fatti molto probabilmente sono veri (ad esempio se tua madre dicesse che sei coraggioso potrebbe essere vero, ma se lo dicesse il tuo arcinemico sarebbe ancor più probabilmente vero).


7) La testimonianza contiene eventi o dettagli che mettono in imbarazzo gli autori? Dato che a nessuno piace scrivere male su se stesso, la testimonianza che mette in cattiva luce l’autore è probabilmente vera.


Oltre a questi 7 criteri, come vedremo negli articoli successivi ne esistono molti altri. In quasi tutti i casi i documenti che soddisfano quasi tutte queste condizioni sono considerati veri oltre ogni ragionevole dubbio. E il Nuovo Testamento come si comporta dinnanzi a questi test?


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05/01/2016 23:02
 
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Prima di iniziare dal punto 1, vediamo qualche obiezione generale alla veridicità del NT.


La storia non può essere conosciuta: Questa asserzione a nostro parere è del tutto priva di ragionevolezza. Non siamo per caso in grado di sapere chi fosse il primo presidente italiano o americano? Quando siano iniziale le due guerre mondiali? Certo che lo sappiamo. Lo scettico (l’ateo) sbaglia.


Perché qualcuno non potrebbe avere conoscenze di ciò che è successo nel passato? Lo scettico risponderà dicendo che non abbiamo alcun accesso ai fatti! Ma questo è ovviamente assurdo.


Mentre è vero che non abbiamo accesso a tutti i fatti del passato, possiamo essere in grado di accumularne un certo numero al fine di fare un’inferenza di che cosa sia successo.


Parte della confusione parte da ciò che si intende con la parola “conoscere”. Poiché per noi è impossibile tornare nel passato e vedere dal vivo eventi storici, la nostra conoscenza della storia si basa sulla probabilità. In altre parole utilizziamo gli stessi standard e parametri che utilizzano i tribunali per giudicare se un imputato abbia commesso un crimine. Se non ci è dato conoscere la storia, allora nessuna giuria potrebbe mai arrivare a un verdetto! Dopo tutto infatti una giuria giudica l’imputato colpevole o assolto in base a una conoscenza di qualche evento del passato. Gli storici devono scoprire fatti del passato proprio come un investigatore di polizia e un agente della scientifica, mettendo insieme gli elementi di prova e intervistando i testimoni.


Infine, se non avessimo mai la possibilità di raggiungere la conoscenza dei fatti storici, allora gli scettici (atei) non potrebbero nemmeno affermare che il Cristianesimo è falso. Per dire che il Cristianesimo è falso infatti, dovrebbero conoscere come esattamente sono avvenuti i fatti. Perché? Perché anche una negazione implica un’affermazione. Per dire infatti che Gesù non risorse dai morti (negazione), gli scettici devono conoscere cosa in verità Gli accadde (affermazione).


Dopo tutto infatti, gli scettici sono intrappolati in un dilemma. Se dicono che la storia non può essere conosciuta, allora perdono la possibilità di dire, ad esempio, che l’evoluzionismo sia vero e che il Cristianesimo sia falso. Se invece ammettono che si possa conoscere la storia, devono accettare o almeno affrontare per confutarla tutta l’evidenza storica in favore della Creazione e della veridicità del Cristianesimo.


Il Nuovo Testamento contiene miracoli:


Gli atei spesso dicono: “Il NT contiene miracoli, quindi molto di esso deve essere leggendario!” Ma la credenza che i miracoli non siano possibili è fallace in quanto presuppone come provata la non esistenza di Dio. Infatti, se solo si postulasse la possibilità della Sua esistenza, si sarebbe costretti a postulare quantomeno la possibilità dei miracoli. Ovviamente l’argomento dei miracoli è più complesso e verrà analizzato in altre occasioni. In ogni caso gli eventi del NT si svolgono in un contesto dove non solo i miracoli sono possibili ma erano anche stati predetti. Addirittura si può sostenere che i miracoli non demoliscano la storicità del NT ma la rafforzino (proprio poiché riportano eventi predetti).


Gli scrittori del NT erano imparziali


Gli scettici spesso dicono che un testimone deve essere totalmente imparziale e che le persone convertite non sono oggettive, e che dunque non ci si possa fidare di ciò che hanno scritto. Dicono che questi sono racconti influenzati da persone a loro volta influenzate.


Ma questo però non implica che tali persone abbiano mentito o esagerato. Anzi, la loro conversione e il loro essere di parte potrebbero avere infatti averli portati ad essere più accurati. Vediamo perché.


Cosa c’è di errato logicamente nel dire: “la maggior parte dei fatti del NT ci derivano dagli evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni, e non possiamo dunque fidarci che ciò che hanno scritto sia accurato poiché erano dei convertiti”? Cosa c’è di illogico in questa affermazione? Il motivo per il quale questa affermazione fallisce è perché fallisce nel domandarsi la domanda più importante: “Perché si erano convertiti”? infatti la domanda più importante non è quali fossero le credenze di questi scrittori, ma come mai si sono convertiti a queste credenze. In altre parole bisogna chiedersi come mai gli autori del NT abbiano lasciato la loro vita (famigliare, lavorativa, casalinga ecc.) e la loro religione per aderire a queste nuove credenze. Facendo questa domanda, si potrebbe ricevere come risposta che questi scrittori erano in cerca di fama e di potere sopra alle masse. Ma quale potere ottennero gli scrittori del NT affermando che Gesù risorse dai morti? Nessuno. Infatti anziché ottenere potere, ottennero esattamente l’opposto: dovevano sottomettersi, rendersi schiavi o servi, essere perseguitati, torturati e essere uccisi. Bisogna poi rivolgere a loro un’altra domanda: “Ma per quale motivo gli scrittori del NT avrebbero dovuto inventarsi la storia della Resurrezione se questa non era mai avvenuta”? A queste domande di solito non si riceve risposta. Perché? Perché gli scettici si rendono conto che gli scrittori del NT avevano in realtà ogni motivo per negare e rifiutare la Resurrezione piuttosto che proclamarLa. Non c’era infatti alcun motivo o incentivo per inventarsi la storia del NT. E’ evidente che sottomissione, servitù, persecuzione, tortura e morte non sono delle grandi motivazioni per cui inventarsi una storia simile.


Gli scrittori del NT certamente non avevano alcun motivo per inventarsi una nuova religione, bisogna infatti ricordare che tutti loro (con la possibile esclusione di Luca) erano ebrei che credevano fermamente di essere già nella religione vera; e che questa loro religione di 2000 anni constatava che loro, gli ebrei, erano il popolo scelto da Dio. Perché mai degli ebrei convertiti al Cristianesimo dovrebbero rischiare persecuzione, morte e forse anche dannazione eterna per qualcosa che 1) fosse falsa 2)elevava i non ebrei nel rapporto esclusivo che gli ebrei affermavano di avere col Creatore dell’Universo? E se la Resurrezione non fosse davvero avvenuta, perché dovrebbero, quasi immediatamente, smettere di osservare il Sabbath, la circoncisione, la Legge Mosaica, la centralità del tempio, il sistema sacerdotale, e altri insegnamenti dell’Antico Testamento (AT). Gli scrittori del NT avevano dovuto infatti aver visto dell’evidenza molto forte per abbandonare quelle antiche credenze e pratiche che definivano loro (e il loro popolo) da 2000 anni.


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05/01/2016 23:04
 
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Le persone convertite non sono oggettive


A questo punto lo scettico potrebbe avere da ridire: “Dal momento che gli scrittori del NT erano convertiti, non possono essere oggettivi”. Sciocchezze. Si può benissimo essere oggettivi anche quando non si è neutrali. Un medico può dare una diagnosi oggettiva anche se ha dei forti legami affettivi con il paziente; può essere oggettivo se pur non è neutrale; inoltre la sua affettività con il suo paziente potrebbe benissimo portarlo ad essere ancora più diligente nella sua diagnosi e nel trattare correttamente la malattia.


Nello scrivere questo articolo, non essendo certamente neutri ma di parte, stiamo presentando fatti oggettivi. Anche gli atei non sono neutri, ma possono anche loro presentare fatti oggettivi, se decidono di farlo. Così anche possono fare gli scrittori del NT.


La verità è che ogni libro o articolo è scritto per un motivo, e la maggior parte degli autori crede in ciò che sta scrivendo! Ma questo non significa affatto che ciò che stanno scrivendo sia falso o che non sia sostenuto da nessun elemento oggettivo. I sopravvissuti dell’Olocausto che scrissero le loro esperienze certamente non erano neutrali; credevano fortemente e appassionatamente infatti che scrivendo e fissando per sempre questi fatti il mondo avrebbe potuto imparare dai suoi errori e non commetterli più. Come la passione potrebbe causare in alcuni una esagerazione nel descrivere degli eventi, in altri potrebbe portarli ad essere più meticolosi e accurati per non perdere credibilità e accettazione del messaggio che vogliono comunicare.


La distinzione tra neutralità e oggettività degli scrittori del NT è un punto estremamente importante. Troppo spesso i documenti che compongono il NT sono automaticamente considerati di parte e non affidabili, questo è ironico, poiché coloro che sostengono ciò, sono anch’essi di parte. Sono influenzati dal fatto che prima di esprimersi non abbiano investigato i documenti del NT o il contesto in cui sono scritti.


Come vedremo ora, i documenti del NT testamenti non sono “propaganda della Chiesa” o un blocco unico di scritti progettati per promuovere e diffondere una teologia inventata dalla Chiesa. Per vedere prima di tutto se sono affidabili, bisogna capire quanto tempo è passato dall’evento allo scritto, (dunque quanto gli scritti sono recenti al fatto): questo è il primo “test” di storicità.


 


4. PRIMO TEST: I DOCUMENTI DEL NUOVO TESTAMENTO SONO CRONOLOGICAMENTE VICINI AI FATTI?


Sì, Quanto?


Tutti i libri del NT furono scritti prima del 100 d.C. (quindi al massimo circa 70 anni dopo la morte di Cristo)


Come vedrete nella tabella, in lettere scritte tra il 95 e il 100 d.C., tre padri della Chiesa, Clemente, Ignazio e Policarpo, citarono passi di 25 tra i 27 libri del NT. Solo il breve libro di Giuda e 2Giovanni non sono stati citati, ma erano certamente già stati scritti (Giuda, non l’Iscariota, aveva certamente scritto la sua lettera prima del 100 d.C. poiché essendo parente coetaneo di Gesù era quasi certamente morto pima di quell’epoca; e 2Giovanni fu scritto prima del 100 d.C. poiché viene prima di 3Giovanni che è uno dei libri citati)


Clemente, scrivendo da Roma (95 d.C. circa) Ignazio, scrivendo da Smirne in Asia Minore (107 d.C. circa) Policarpo, scrivendo da Smirne in Asia Minore (110 d.C. circa)
Matteo

 


Marco


Luca


Romani


1 Corinzi


Efesini


1 Timoteo


Tito


Ebrei


Giacomo


1 Pietro


 


Matteo

 


Marco


Luca


Giovanni


Atti


Romani


1 Corinzi


2 Corinzi


Galati


Efesini


Filippesi


Colossesi


1 Tessalonicesi


1 Timoteo


2 Timoteo


Tito


Filemone


Ebrei


Giacomo


1 Pietro


2 Pietro


1 Giovanni


3 Giovanni


Apocalisse


Matteo

 


Marco


Luca


Giovanni


Atti


Romani


1 Corinzi


2 Corinzi


Galati


Efesini


Filippesi


Colossesi


2 Tessalonicesi


1 Timoteo


2 Timoteo


Ebrei


1 Pietro


1 Giovanni



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05/01/2016 23:06
 
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Poiché Clemente si trovava a Roma e Ignazio e Policarpo erano a distanza di centinaia di miglia di distanza a Smirne, gli originali documenti del NT dovevano essere stati scritti molto prima, se no non sarebbero circolati attraverso il mondo antico in quell’epoca. Dunque è saggio dire che tutti i testi del NT siano stati scritti prima del 100 d.C. e che almeno quelli nella colonna a sinistra prima del 95 d.C.Ma questa è solo la data più lontana dai fatti in cui è possibile che siano stati scritti, la maggior parte (se non tutti) dei testi del NT infatti probabilmente furono scritti prima del 70 d.C.


La maggior parte (se non tutti) dei libri del NT fu scritta prima del 70 d.C. (circa 40 dopo la morte di Cristo)


Immagina di essere un Ebreo devoto del 1° secolo: il tuo centro nazionale, economico e di vita religiosa sarebbe Gerusalemme, e specialmente il tempio. È stato così nella tua nazione, nella tua famiglia, e in quasi ogni famiglia ebrea per migliaia di anni, sin da quando Salomone costruì il primo tempio. La maggior parte del nuovo tempio, costruito dal Re Erode, fu completato quando eri solo un bambino, ma pezzi di esso sono ancora in costruzione e lo sono stati dal 19 a.C. Per tutta la vita hai compiuto servizi e sacrifici lì per espiare i tuoi peccati commessi contro Dio. Perché? Perché tu e i tuoi connazionali considerate questo tempio l’abitazione terrena del Dio dell’universo, Colui che ha fatto i cieli e la terra, la vera Divinità il cui nome è così sacro per te che non osi pronunciarlo. Come giovane uomo, incominci a seguire un ebreo chiamato Gesù che dichiara e sostiene di essere il lungo atteso Messia predetto nelle Scritture; Lui compie miracoli, insegna profonde verità, e rimprovera e sbeffeggia i sacerdoti del tempio. Incredibilmente predica la sua stessa morte e resurrezione. Predica inoltre che il tempio stesso sarà distrutto prima che la tua generazione muoia (Marco 13:2, 30).


Questo è scandaloso! Gesù è accusato di blasfemia dai tuoi sacerdoti del tempio ed è crocefisso alla vigilia della Pasqua Ebraica, una delle tue feste più sacre e importanti. È sepolto in una tomba ebraica, ma tre giorni dopo tu e gli altri seguaci di Gesù Lo vedete vivo proprio come aveva predetto. Lo tocchi, mangi con Lui, e Lui continua a fare miracoli, e per ultima cosa viene assunto in cielo. Quarant’anni dopo il tuo tempio è distrutto proprio come Gesù aveva predetto, insieme all’intera città e a migliaia dei tuoi concittadini.


Domanda: se tu e i tuoi compagni seguaci (di Gesù) scrivete riguardo a Gesù dopo che il tempio e la tua città sono stati distrutti nel 70 d.C., non citereste almeno quella tragedia inaudita nazionale, umana, economica, e religiosa da qualche parte nei vostri scritti, specialmente poiché Gesù risorto lo aveva predetto? Ma certo che lo fareste! C’è un problema per coloro che sostengono che il NT fu scritto dopo il 70 d.C., non vi è infatti alcun accenno al compimento di questa tragedia predetta nel NT. Questo significa che la maggior parte (se non tutti) dei documenti del NT sono stati scritti prima del 70 d.C.


Una persona potrebbe obbiettare dicendo che questo è il cosiddetto argumentum ex silentio ovvero una delle tante fallacie logiche. Ma questo non è affatto un argumentum ex silentio poiché il Nuovo Testamento parla del tempio e di Gerusalemme, e delle attività associate ad esse, come se fossero ancora intatte al tempo della redazione di questi documenti. Ma anche se fosse un argumentum ex silentio non ci sarebbe nulla di male: infatti la fallacia logica non è applicabile a qualsiasi caso. Per esempio, immaginate di trovare un libro sulla storia dei grattaceli e in particolare delle Torri Gemelle, che parla di quanta gente ogni giorno entra ed esce, senza però minimamente citare la loro distruzione e le 3000 vittime. Potremmo ragionevolmente infierire che questo libro è stato scitto prima dell’11 9 2001. O pensate ad un libro sulle guerre del Giappone che non parla di Pearl Harbor.


Per di più questo disastro del 70 d.C. era un evento di enorme importanza, che non poteva non essere citato in documenti che dicevano di scrivere storia. Giuseppe Flavio infatti definì questa (appunto la guerra Romana contro gli ebrei) la più grande guerra di tutti i tempi! (Barnett, Is The New Testament Reliable?, 65). Gli ebrei infatti, con questa guerra persero tutto: il tempio, l’intera capitale (che fu distrutta), decine di migliaia di persone che morirono e migliaia di villaggi che furono distrutti o abbandonati.


I documenti del NT però non citano nulla di questo, e quando parlano del tempio e di Gerusalemme, ne parlano come ancora esistente e funzionante e certamente non rasa al suolo. In più se fossero stati scritti dopo il 70, ci aspetteremmo a maggior ragione che gli autori ne avessero parlato, proprio perché il loro stesso Messia aveva predetto tale distruzione.


Sono quindi stati scritti prima del 70, ma quanto prima?


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05/01/2016 23:08
 
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Molti libri del Nuovo Testamento furono redatti prima del 62 d.C. (30 anni dopo la morte di Gesù)


Immagina di essere uno storico e un medico che deve trovare tutti i dati di ciò che è successo nel passato dei primissimi anni della Chiesa. Questa indagine consisterebbe nell’intervistare i testimoni oculari di Gesù e nel viaggiare con l’apostolo Paolo mentre va di chiesa in chiesa in giro per il mondo. Trascrivi i primi eventi della Chiesa, così come i documenti di Pietro e Giovanni, così come il martirio di Stefano e Giacomo (il fratello di Giovanni). Della vita di Paolo metti per iscritto tantissime cose, dai suoi sermoni, alle altre sue vicissitudini, come la sua prigionia, scrivi anche la sua aderenza teologica con Pietro e il cugino di Gesù, Giacomo. A forza di descrivere tutti questi eventi, anche in grande dettaglio, la narrazione è così puntigliosa che il lettore crederà che o che avevi accesso alle informazioni dei testimoni oculari o eri tu stesso un testimone.


Per esempio, seguendo Paolo nei suoi viaggi tu passi dall’usare “loro” al “noi”, puoi annotare i nomi di politici locali, forme dialettali locali, descrizioni metereologiche del luogo, topografia locale, attività lavorative locali; puoi anche annotare la corretta profondità dell’acqua circa a un quarto di miglia da Malta mentre la tua nave sta per imbattersi in una tempesta! Infatti puoi annotare almeno 84 dettagli del genere nella seconda metà della tua narrazione.


Domanda: poiché ovviamente ritieni importante annotare tutti questi dettagli minori, se il tuo soggetto principale, l’apostolo Paolo, fosse ucciso dall’imperatore romano Nerone, riterresti importante annotarlo? Oppure, se il fratello di Gesù, il capo della Chiesa di Gerusalemme, fosse ucciso dal Sinedrio, la stessa corte di giustizia ebraica che condanno a morte Gesù, riterresti importante annotarlo? Ma certamente sì! E se questi dettagli non comparissero nella tua narrazione, ne dedurremmo giustamente che tu l’abbia scritta prima che questi fatti accadessero.


Questa è la situazione che troviamo nel NT. Luca, il medico, meticolosamente annota tutti i generi di dettagli negli “Atti degli Apostoli” dove descrive la primissima Chiesa (sono stati elencati 84 dettagli storicamente confermati che analizzeremo in futuro). Luca mette per iscritto le morti di due martiri cristiani (Stefano e Giacomo fratello di Giovanni), ma la sua relazione termina con due dei capi principali della Chiesa (Paolo e Giacomo cugino di Gesù) ancora in vita. Gli Atti degli Apostoli finiscono improvvisamente con gli arresti domiciliari di Paolo a Roma e non c’è alcun accenno alla morte di Giacomo. Sappiamo da Clemente da Roma, che scrive alla fine del primo secolo, e da altri padri della Chiesa, che Paolo fu ucciso durante l’impero di Nerone che finì nel 68 d.C. E sappiamo da Giuseppe Flavio che Giacomo fu ucciso nel 62 d.C. Possiamo dunque così concludere che il libro degli Atti fu scritto prima del 62 d.C.


Se non si è ancora convinti, consideriamo questo moderno parallelismo: pensate ad un libro contenente i diritti civili in America, che anno per anno commenta come i neri riescano ad acquisire diritti, il libro finisce introducendo la figura di un certo Martin Luther King Jr. Qualsiasi persona concluderebbe che questo libro sia stato terminato prima dell’assassinio di Martin Luther King, allo stesso modo gli scritti di Luca non possono essere stati scritti dopo il 62. Norman Geisler, nel suo Baker Encyclopedia of Christian Apologetics a pag. 528, dà altri 13 motivi per credere che gli Atti siano stati scritti prima del 62 d.C.


Se gli Atti furono scritti prima del 62 d.C. allora il Vangelo di Luca fu scritto ancora prima. Lo sappiamo perché Luca ricorda ai lettori negli Atti di aver già scritto precedentemente un altro testo all’originale destinatario di Atti, Teofilo (che era probabilmente un importante ufficiale romano). Il primo versetto di Atti infatti dice: “Nel mio primo libro, oh Teofilo, parlai di tutto quel che Gesù prese e a fare e ad insegnare…”. Il “primo libro” deve essere il Vangelo di Luca poiché è indirizzato anch’esso a Teofilo (Luca 1:1-4).


Il Vangelo di Luca quindi è scritto prima di Atti, ma quanto prima? Ci sono diversi motivi per credere che sia stato scritto prima del 60. Infatti Paolo nel 62 d.C. cita in 1 Tim 5:18 il Vangelo di Luca. Quindi quest’ultimo doveva essere in circolazione da molto tempo, almeno il tempo affinché il Vangelo di Luca venisse considerato universalmente ispirato e ne venissero conosciuti i contenuti, tanto da citarne delle frasi dando per presupposto che anche il destinatario le conoscesse (Timoteo). Ricordiamoci inoltre che 62 d.C. è la data massima che si possa dare ad Atti.


Se Luca fu scritto quindi all’incirca nel 60, allora Marco e Matteo furono scritti precedentemente, in quanto Luca citò Marco e Matteo ripetutamente. Luca scrivendo il suo Vangelo ammise prontamente che non era un testimone oculare della vita e delle opere di Gesù. Invece si definì come uno storico che riuniva tutte le testimonianze di coloro che invece quei fatti li avevano visti dal vivo:


1Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, 2come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, 3così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo.” (Luca 1:1-4).


Come risultato, Luca spesso riportò o citò interi passi che erano stati esposti precedentemente o da Marco (350 versetti del Vangelo di Marco compaiono nel Vangelo di Luca) o da Matteo (250 versetti del Vangelo di Matteo compaiono negli scritti di Luca). Questi passi furono inseriti nel Vangelo di Luca come se fossero semplicemente copiati da altre fonti. È ragionevole dunque concludere che gli scritti di Marco erano già riconosciuti, accettati, e disponibili a Luca prima della scrittura del suo Vangelo.


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05/01/2016 23:09
 
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Qualche libro del NT fu scritto negli anni ’40 e ’50, utilizzando fonti degli anni ’30 (praticamente subito dopo la morte e resurrezione di Gesù)


Conoscendo la datazione dei documenti di Luca, non c’è alcun dubbio, anche per i teologi più concordisti, che Paolo scrisse la sua prima lettera alla chiesa di Corinto, tra il 55 e il 56 d.C.


La cosa fondamentale di questa lettera è che contiene la testimonianza meglio autenticata e più recente relativa ai fatti della Resurrezione. Nel 15° capitolo della prima lettera ai Corinzi, Paolo dice di riferire una testimonianza che egli ricevette da altre persone e che la testimonianza fu confermata quando Gesù apparve a lui stesso. Ecco il passo: “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto.” (1 Cor. 15:3-8).


Da dove Paolo prese ciò che ricevette? Probabilmente Paolo ricevette tale testimonianza da Pietro e Giacomo quando li visitò a Gerusalemme tre anni dopo la sua conversione (Gal. 1:18). Se fosse così allora Paolo ricevette questa testimonianza solo 5 anni dopo la morte di Gesù. Anche altre teorie sul quando Paolo ricevette questa attestazione variano poco la data della venuta a conoscenza di tale passo da parte di Paolo.


Perché questo passo è importante? Come spiega lo storico Gary Habermas, questo passo era una preghiera che le persone imparavano a memoria, proprio come il Credo di Nicea (per motivi di spazio verrà spiegheremo in futuro il motivo per il quale giunge a questa conclusione). Adesso, assumendo che ciò che abbia ricevuto, fosse esistito prima che egli lo ricevesse, possiamo concludere che abbiamo una fonte che precede uno dei primi documenti del Nuovo Testamento, la prima lettera ai Corinzi appunto.


Sapendo quindi che Paolo ricevette un credo trasmesso in forma orale in soli 5 anni dalla morte e resurrezione di Gesù, abbiamo un’attestazione dei fatti talmente recente, che credere ad una leggenda diventa impossibile. Se infatti c’era un posto in cui la leggenda non poteva crearsi era in Gerusalemme, poiché ebrei e romani avrebbero smentito subito tale leggenda mostrando il corpo di Gesù morto e quindi non risorto. Questo è noto come il “Jerusalem Factor” e tratteremo questo punto quando scriveremo delle prove storiche della resurrezione di Gesù.


In più, a conferma che questo credo orale non fosse una sua invenzione, notiamo che Paolo cita ben 14 testimoni oculari, i cui nomi sono noti, come i dodici apostoli, Giacomo, Cefa (termine aramaico per Pietro) ed infine, in modo collettivo facendo riferimento a ben 500 persone. Citando così tante persone che potevano verificare e confermare ciò che Paolo aveva scritto, Paolo stava sfidando le persone dei Corinto a verificare ciò che aveva detto. Se la resurrezione non fosse mai avvenuta, perché Paolo avrebbe dovuto mettersi in una posizione così vulnerabile e testabile. Avrebbe infatti perso subito credibilità nei confronti dei lettori corinzi.


Oltre a questo, altri documenti del NT sono datati dagli accademici intorno agli anni ‘50 come Galati nel 48, 1 Tessalonicesi nel 50-54, e Romani nel 57-58 (in futuro spiegheremo il perché di queste precise date).


Queste evidenze, assieme ad altre non riportate, hanno costretto anche i teologi e storici più liberali e secolarizzati ad ammettere la prossimità di redazione dei documenti del NT ai fatti, come ad esempio John A.T. Robinson e William F. Albright.


 


TRE OBIEZIONI ATEE A QUESTE DATAZIONI:


1) I documenti non sono scritti abbastanza vicini ai fatti accaduti: Alcuni scettici possono credere che un lasso di 15-40 anni tra la morte e resurrezione di Cristo e i documenti sia troppo tempo per credere nella validità di questi documenti, ma si sbagliano.Pensate ad un documento relativo a fatti avvenuti dai 15 e i 40 anni fa. Quando gli storici parlano di questi eventi, noi non diciamo: “Oh, ma questo è impossibile! Nessuno si può ricordare eventi di così tato tempo fa!” Tale scetticismo è palesemente infondato. Gli storici di oggi accuratamente descrivono eventi degli anni ’80, 90’ e 2000 consultando a) le proprie memorie, b) le memorie di altri testimoni e c) fonti scritte di quel tempo. Come vedremo in futuro, il NT è composto di documenti (a) di persone che hanno visto, o (b) di persone che hanno chiesto a coloro che hanno visto o (c) di persone che hanno studiato ciò che è stato scritto da coloro che hanno visto. Infatti, in breve, per esempio, vediamo come Luca, da bravo storico e cronista, intervistò i testimoni oculari della vita di Gesù, rientrando quindi tra le fonti del gruppo (b).Gli autori del NT che invece hanno scritto ciò che hanno visto (a) erano perfettamente in grado di ricordarsi cosa fosse successo 15-40 prima. Infatti gli eventi che hanno avuto un forte impatto emotivo, possono facilmente essere ricordati per tutta la vita. E’ noto a molti come le persone anziane si ricordino bene la loro giovinezza, mentre invece non riescono a ricordare ciò che avviene pochi minuti prima. Diventa per questo molto plausibile credere che così come i cittadini di New York che hanno visto le Torri Gemelle cadere se ne ricorderanno anche dopo 15 anni da quel giorno, gli autori del NT fossero in grado di scrivere e ricordare, anche dopo molti anni, gli eventi come la resurrezione di Gesù.Per di più, se i documenti del NT sono resoconti di testimoni oculari scritti entro la seconda generazione dagli eventi in questione, questi scritti non possono essere una leggenda. Perché? Perché la ricerca storica ci indica che un mito, o meglio una modificazione e distorsione dei fatti realmente accaduti, non può avvenire se i testimoni oculari di quegli eventi sono ancora vivi. Per questo motivo lo storico A.N. Sherwin-White definisce la visione mitica del Nuovo Testamento “non credibile” (Roman society and Roman Law in the New Testament, Sherwin-White, 189).Infatti entro le prime due generazioni, i testimoni oculari sono ancora presenti ed in grado di correggere gli errori dei revisionisti storici. Lo stesso motivo per il quale quelli che negano l’olocausto hanno poco successo perché esistono ancora testimoni ebrei ancora vivi, è applicabile al NT.


2) Perché non prima? A questo punto lo scettico potrebbe dire: “Perché non hanno scritto ciò che hanno visto subito, che bisogno c’era di aspettare 20 anni?”Ecco i seguenti motivi: Primo, gli autori del NT sono vissuti in una cultura in cui la maggioranza delle persone era analfabeta, e quindi non c’era nessun motivo urgente per scrivere subito ciò che avevano visto”. Infatti, gli esperti del mondo antico ci dicono che gli abitanti del primo secolo della Palestina, si basavano sulla trasmissione orale e la memorizzazione. Come dice W.L. Craig: “In una cultura come quella della Palestina del primo secolo, la capacità di memorizzare e trattenere grandi parti di tradizioni orali era un’abilità grandemente incentivata e sviluppata. […] I discepoli avrebbero messo in atto una simile attenzione con gli insegnamenti di Gesù” (W.L.Craig, The Evidence for Jesus).C’è anche evidenza che tali attente trasmissioni orali siano avvenute, come abbiamo visto analizzando 1 Cor 15:3-8. Infatti, lo storico Gary Habermas, individua nel 7° capitolo del suo libro “The Historical Jesus”, ben 41 piccole sezioni del NT che appaino in forma di credi/preghiere orali, finalizzati alla ripetizionemnemonica.Non importa infatti a quanto datano questi documenti del NT, ma bensì a quanto datano le fonti che questi autori, per redigere i loro documenti, hanno utilizzato.Secondo, è possibile che non sentissero il bisogno di scrivere subito in quanto si aspettavano un rapido ritorno di Gesù. Invecchiando è possibile che avessero iniziato a sentire l’esigenza di mettere per iscritto iltutto.Terzo, la messa per iscritto sarebbe potuto essere attuata solo come un’esigenza dovuta alla vastissima espansione del cristianesimo. E’ quindi possibile che non fosse un’intenzione originaria degli autori.Quarto, è plausibile oltretutto che almeno un Vangelo sia stato scritto subito. Infatti è probabile che il frammento dei Manoscritti del Mar Morto appartenesse al Vangelo di Marco. Se infatti tale frammento è stato datato al 50 d.C., e sappiamo che è una copia dell’originale, per forza l’originale sarà stato scritto prima del 50 d.C.Quinto, è molto probabile che autori del NT utilizzarono altre fonti scritte per confermare e corroborare ciò che scrivevano. Ad esempio si vede come Luca, nei primi quattro versi del suo Vangelo, dica come aveva analizzato altre fonti scritte: “Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi” Luca 1:1. Quindi come detto nel punto 1, non importa a quanto datano questi documenti del NT, ma bensì a quanto datano le fonti che questi autori, per redigere i loro documenti, hanno utilizzato.Sesto, in ogni caso, anche se non fossero stati scritti subito, la storicità dei documenti non varierebbe. Infatti, come vedremo nei prossimi articoli, gli autori erano effettivamente i testimoni oculari, o persone che conoscevano i testimoni oculari.


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05/01/2016 23:11
 
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3) Perché non di più? Qualche scettico potrebbe dire: “Se Gesù è veramente risorto, perché non abbiamo più fonti scritte?”Primo, abbiamo una enorme quantità di fonti scritte. Come scritto all’inizio del presente articolo, abbiamo ben 43 autori che parlano di Gesù entro 150 anni dalla sua vita (rispetto a Tiberio che ne ha solo 10). Nove di questi erano testimoni oculari o contemporanei agli eventi e scrissero 27 documenti che descrivono o presuppongono la morte e resurrezione di Gesù.Come sostiene lo storico Craig Blomberg, ci sono inoltre 4 motivi per credere che non dovremmo aspettarci più citazioni di così da parte di autori non cristiani: 1) l’umile inizio del cristianesimo, 2) la remota posizione della Palestina rispetto ai punti più importanti dell’impero Romano, 3) la piccola percentuale di lavori degli storici greci e romani sopravvissuti nel tempo (quasi tutti sono stati distrutti o andati persi) e 4) l’assenza di attenzione data dai documenti romani alle figure ebraiche in generale.Qualcuno infine potrebbe obbiettare dicendo che se è vero che Gesù è apparso a 500 persone dovremmo aspettarci più fonti scritte. Primo, come già detto, in pochi sapevano scrivere, secondo, anche se sapessero scrivere, perché avrebbero dovuto farlo? Anche al giorno d’oggi quante persone scrivono libri o articoli di eventi accaduti al loro tempo? Credo proprio in pochi, infatti ben pochi dei testimoni dell’11/9 hanno scritto libri o documenti, se non giornalisti e scrittori. E stiamo facendo un parallelismo con una società che sa scrivere ed è inclinata a farlo, grazie all’educazione ricevuta. Terzo, anche se avessero scritto qualcosa, perché oggi noi saremmo dovuti venirne a conoscenza? Se siamo a conoscenza dei documenti del NT è perché c’è stata un’accurata trasmissione di migliaia di manoscritti. Perché dovrebbero rinvenirci scritti di un gruppo di contadini della Galilea? Quarto, le testimonianze e i nomi di alcuni di questi 500 ci sono pervenuti e sono trovati nel NT.


 


CONCLUSIONE: Le prove e considerazioni sopra esaminate portano ragionevolmente a concludere che la redazione dei Vangeli sia avvenuta vicino ai fatti narrati. Questa datazione aiuta nel confermare la veridicità dei Vangeli. Se i Vangeli sono stati scritti davvero così vicini ai fatti, e nello stesso luogo in cui questi sono accaduti, sarebbe stato difficile esporre menzogne evidenti, dato che furono scritti proprio per le persone che erano vive al tempo degli eventi contenuti nel NT. Queste persone avrebbero potuto esaminare in dettaglio i contenuti dei Vangeli e dichiarare che erano delle menzogne se avessero contenuto informazioni false.


Amedeo Da Pra e Edoardo Da Pra


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27/01/2016 23:16
 
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Si può ammirare davvero Gesù senza credere in Dio?
Purtroppo no

 La storia e la vita di un uomo che ne delineano ancor più compiutamente la grandezza, in tutta la sua evidenza. Gesù è un uomo che ha saputo mettere in gioco la propria vita, sino a perderla, per un ideale di rinnovamento. Ci sono sempre stati a memoria d’uomo esempi di grande determinazione. Per citarne solo due, Gandhi e Francesco d’Assisi. La storia di Gesù conserva quel fascino irresistibile dove radici, storia, cultura, filosofia e religione si intersecano. Potrei azzardare e dire che dal punto di vista letterario la vita di Gesù è certamente tra le storie più avvincentiche io abbia mai letto».

Molto apprezzabile questa profonda posizione, ben lontana dall’ateismo sciatto e banale di tanti suoi colleghi. Anche Papa Francesco ha ricordato che «il mondo secolarizzato non mostra disponibilità verso la persona di Gesù: non lo ritiene né Messia, né Figlio di Dio. Al più lo considera un uomo illuminato. Separa, dunque, il messaggio dal Messaggero, il dono dal Donatore». Eppure il fascino laico verso Gesù si rivela involontariamente un grave torto verso lo stesso Messia, nonché una posizione poco razionale.

Un grave torto perché per affermare la grandezza di Gesù bisogna censurare il grande tema dei miracoli e degli esorcismi, non a caso sempre accuratamente evitato poiché lo renderebbero immediatamente ben poco apprezzabile agli occhi di tanti moderni. Preferiscono innamorarsi di un Gesù idealizzato. Come ha ben spiegato John P. Meier, tra i più importanti biblisti viventi: «per quanto sconcertante possa apparire alla sensibilità moderna, è abbastanza certo che Gesù fu tra le altre cose, un esorcista ebreo del I secolo e probabilmente dovette non poco della sua fama e del richiamo di seguaci alla sua pratica di esorcismi (insieme al potere di compiere altri tipi di miracolo» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol.2, Queriniana 2003, p. 486). Il prof. Graham Twelftree, docente di Nuovo Testamento e cristianesimo primitivo presso la Regent University, ha ancor meglio precisato: «minimizzare od emettere l’importanza degli esorcismi e dei miracoli di Gesù durante il ministero pubblico può rendere Gesù più comprensibile o accettabile ai moderni, ma crea un’immagine distorta del Gesù storico» (G. Twelftree, “Gospel Perspectives. The miracles of Jesus”, JSOT 1986, p.361).

Proprio la capacità di compiere miracoli è una delle caratteristiche più confermate, avvalorate e certe da parte degli studiosi del Gesù storico, ed è proprio l’aspetto più trascurato dai diversi “atei cristiani”: «liquidare i miracoli così in fretta non rende giustizia all’ampia attestazione dell’attività taumaturgica di Gesù praticamente in tutti gli strati della tradizione evangelica. Le narrazioni dei miracoli di Gesù non si fondano affatto su congetture, né su una apologetica cristiana posteriore», come d’altra parte constaterà anche Flavio Giuseppe. «Un Gesù completamente senza miracoli, idea propagata da pensatori dell’Illuminismo come Thomas Jefferson, è un eccellente esempio di rimaneggiamento e rifusione di un profeta ebreo del I secolo per adattarlo alla sensibilità di un’elité intellettualmente moderna» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol.2, Queriniana 2003, p. 24)

Ma non è soltanto questo aspetto a stridere con la “mitologia di Gesù” da parte di tanti scettici e razionalisti, occorre anche ricordare che è lo stesso Gesù che sostiene di scacciare i demoni con il dito di Dio (Mt 12,22-30//Lc 11,14-23), -detto verificato come autentico dalla maggioranza degli studiosi- attraverso il quale «afferma che il regno di Dio è in relazione con la sua persona in quanto il Regno si fa presente, diviene una realtà ora, attraverso di lui» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol.2, Queriniana 2003, p. 487-521). Egli si pone di fronte al mondo come il Figlio di Dio, tanto da chiamarlo “papà” (“abbà”), «un appellativo sconosciuto nella tradizione giudaico-palestinese precristiana», egli si manifesta come colui che ha introdotto nella realtà il regno di Dio.

Com’è dunque possibile per un non credente ritenere un “uomo illuminato” una persona che afferma esplicitamente di essere il Figlio di Dio, mandato da Lui per annunciare il suo Regno e introdurlo tra gli uomini? Un falegname di Nazareth che si proclama la Via, la Verità e la Vita, che dice di compiere esorcismi e miracoli? Certo, lo abbiamo già fatto notare, l’ammirazione verso Gesù da parte di coloro che sono lontani dalla fede è certamente unaposizione apprezzabile. Tuttavia non crediamo sia possibile ammirare Gesù senza credere in quello che lui diceva di essere. Davanti a lui vediamo solo due posizioni possibili: o Gesù mentiva spudoratamente, e quindi non può essere ammirato in quanto completamente pazzo e fuori di sé, oppure affermava il vero. Era quello che diceva di essere. O è un pazzo scatenato o è il figlio di Dio. Posizioni intermedie, purtroppo, non possono esistere


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02/03/2016 09:56
 
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Jesus Christ in cross © life_in_a_pixel / Shutterstock - it

COME E' STATA RITROVATA LA CROCE DI GESU'

La croce di Gesù da chi è stata ritrovata? E come è stata riconosciuta? Le fonti storiche dipanano un mistero che si trascina da secoli. In “Indagine sulla croce di Cristo” (edizioni La fontana di Siloe)Massimo Olmi, attraverso una inchiesta ben documentata, prova a sciogliere i dubbi e ricostruire quello che è accaduto dopo la morte di Gesù.

GLI SCAVI DI ELENA

Diversi testi patristici ci informano del ritrovamento, nella prima metà del IV secolo, del santo legno e della sua conservazione. Stando al racconto di Rufino, la madre di Costantino si recò a Gerusalemme per cercare il luogo della crocifissione del Signore. In quel luogo, gli antichi nemici della Chiesa avevano eretto una statua di Venere – in modo da far apparire come adoratori della dea tutti quelli che si avvicinavano per adorare Cristo – e avevano ammassato del terriccio.

TRE CROCI SIMILI

Allora Elena fece rimuovere tutto ciò che c’era di profano e, dopo aver fatto scavare fino in profondità, rinvenne tre croci riposte in ordine sparso. La gioia di quel ritrovamento fu inizialmente tanta, ma presto diminuì perché la somiglianza delle tre croci era tale da rendere difficile il riconoscimento di quella del Salvatore. Per la verità, gli addetti ai lavori rinvennero anche il titulus scritto da Pilato in greco, latino ed ebraico, ma anch’esso non offriva sufficienti garanzie al fine di riconoscere la croce.

IL MIRACOLO

A quel punto il vescovo di Gerusalemme, Macario, ebbe un’idea e ordinò di portare i legni rinvenuti presso una donna di alto rango che giaceva in fin di vita a causa di una grave malattia. Si recò dunque con Elena dalla donna morente, s’inginocchiò e pregò il Signore affinché fosse possibile riconoscere il santo legno attraverso la guarigione della malata.

TRA GERUSALEMME E COSTANTINOPOLI

Accostò quindi a lei una delle croci, ma non ottenne nulla. Applicò poi il secondo legno, ma il risultato fu lo stesso. Non appena però accostò la terza croce, la moribonda aprì gli occhi, si alzò dal letto e iniziò a camminare per la casa magnificando la potenza di Dio. Raggiunto dunque il suo scopo, Elena portò via con sé, a Costantinopoli, una parte del santo legno e fece collocare la rimanente parte in una cassetta d’argento, che lasciò a Gerusalemme.

LA PRUDENZA DI SANT’AMBROGIO

Tornando alla croce, oltre a Rufino anche altri scrittori dell’epoca riferiscono che essa fu riconosciuta per via di un miracolo. Sant’Ambrogio (340 circa-397 d.C.), però, nell’orazione funebre per l’imperatore Teodosio, ricorda l’inventio crucis e non parla di alcun fatto prodigioso. Dice semplicemente che Elena riconobbe la croce del Signore dal titulus.

Le fonti sembrano dunque non essere concordi su come si riuscì a riconoscere lo strumento di supplizio utilizzato per Gesù

NEL PALAZZO IMPERIALE

Come abbiamo visto, Rufino riferisce che l’imperatrice lasciò una parte della croce sul luogo e portò via con sé l’altra. Teodoreto afferma che la madre di Costantino fece portare parte della croce nel palazzo imperiale. Il resto del legno, dopo averlo fatto mettere in una teca d’argento appositamente realizzata, lo consegnò al vescovo di Gerusalemme affinché lo custodisse per le future generazioni.

LEGNO DI NOCE

Nel 570 circa, un anonimo pellegrino di Piacenza scrisse nel suo diario di viaggio di aver visto a Gerusalemme, in una stanza della basilica fatta costruire da Costantino, il legno della croce e di averlo «adorato e baciato». Secondo il pellegrino, che ebbe modo di baciare e tenere tra le mani anche il titolo, il lignum crucis era di noce.

71707

 http://it.aleteia.org/2016/02/25/come-e-stata-ritrovata-la-croce-di-gesu/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it-Feb%2027,%202016%2009:01%20am


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03/03/2016 15:17
 
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«Gesù di Nazaret è certamente esistito,
lo dico da studioso agnostico»

ehrman 
 
di Bart D. Ehrman*
*docente di Nuovo Testamento presso l’Università di North Carolina

 
da Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, pp. 3-8

 

Ogni settimana ricevo due o tre e-mail in cui mi si chiede se Gesù sia esistito o meno come essere umano. All’inizio, qualche anno fa, ho pensato che si trattasse di una domanda stravagante e non l’ho presa sul serio. Gesù è esistito, certo. Lo sanno tutti. O no?

Il quesito tuttavia si è ripresentato e ben presto ho cominciato a domandarmi perché tanta gente me lo rivolgesse. Il mio stupore si è accresciuto non appena sono venuto a sapere che in certi ambienti mi viene, erroneamente, attribuita la tesi secondo cui Gesù non è mai esistito. Mi sono meravigliato perché la mia formazione di studioso è avvenuta sul Nuovo Testamento e sul cristianesimo delle origini, e da trent’anni dedico la mia ricerca alla figura storica di Gesù, ai vangeli, al movimento cristiano primitivo e ai primi tre secoli di storia della Chiesa. Come tutti gli studiosi del Nuovo Testamento, ho letto migliaia di libri e articoli in inglese e in altre lingue su Gesù, sui vangeli e sul cristianesimo delle origini, ma ero del tutto all’oscuro, come la maggior parte dei miei colleghi, dell’esistenza di un simile corpus dii testi improntati allo scetticismo.

Va premesso che nessuno di questi libri è stato scritto da esperti del Nuovo Testamento o da studiosi del cristianesimo delle origini che insegnano in scuole di teologia, nei seminari, o nelle università più importanti, e nemmeno in quelle di second’ordine americane o europee (né di altri parti del mondo). Per quanto ne so, nessuno studioso del cristianesimo delle origini, tra le migliaia che insegnano negli istituti citati, nutre alcun dubbio circa l’esistenza di Gesù.

Basta una rapida ricerca su Internet per capire quanta influenza abbia avuto in passato quello scetticismo radicale e con quanta rapidità si stia diffondendo tutt’oggi. Per decenni è stata l’opinione dominanti in paesi come l’Unione Sovietica. Fatto ancora più sorprendente, pare che oggi sia l’opinione prevalente in certe regioni del mondo occidentale, fra cui alcune aree dei paesi scandinavi. Gli autori di questa letteratura scettica si ritengono “miticisti”, cioè persone convinte che Gesù sia un mito, intendendo un racconto privo di basi storiche, una narrazione storicamente verosimile di fatti che in realtà non sono mai avvenuti. Gesù sarebbe un mito perché i tanti racconti antichi che lo vedono protagonista sono privi di basi storiche. La sua vita e i suoi insegnamenti sarebbero stati inventati dai primi narratori orali.

Come ho già detto, l’opinione che Gesù sia esistito è condivisa pressoché da tutti gli specialisti della disciplina. Ciò non costituisce di per sé una prova, naturalmente: l’opinione degli studiosi, in fondo, è solo un’opinione. Eppure, quando dovete prendere un appuntamento con il dentista, volete che sia un esperto, giusto? Qualcuno potrebbe replicare che la storicità di Gesù è un caso diverso, poiché si tratta di storia e gli studiosi hanno la stessa facoltà di accedere al passato di chiunque altro. Ma non è così. Milioni di lettori hanno acquisito le proprie “conoscenze” sul cristianesimo delle origini da Dan Brown, autore del Codice Da Vinci. Ma la lor è stata una scelta sensata? Tutti gli storici seri del movimento cristiano primitivo, nessuno escluso, hanno dedicato molti anni di vita ad acquisire le conoscenze necessarie per diventare esperti nel loro settore di studi. La sola lettura delle fonti richiede competenze in una serie di lingue antiche: greco, ebraico, latino e spesso aramaico, siriaco e copto, per non parlare delle lingue moderne usate nell’ambito specialistico (tedesco e francese, per esempio). E questo è solo l’inizio. Per acquisire competenze sono necessari anni di paziente esame dei testi e una conoscenza approfondita della storia e della cultura greca e romana, delle religioni del mondo mediterraneo antico, pagano ed ebraico, della storia della Chiesa cristiana e dell’evolversi della sua vita sociale e della sua teologia, oltre, naturalmente, a molte altre cose.

Ora, se tutti coloro che hanno dedicato anni di studio al raggiungimento di tali competenze sono convinti che Gesù di Nazaret sia stato una figura storica, il dato deve far riflettere. Non è una prova, lo ripeto, ma se non altro dovrebbe far sorgere qualche dubbio. Eppure, non c’è modo di persuadere i teorici della cospirazione che i loro assunti poggiano su prove troppo esili per essere convincenti, mentre invece sono del tutto persuasive quelle a favore della storicità di Gesù. E sono sostenute da tutti gli studiosi del mondo antico, del Nuovo Testamento, della classicità, delle origini cristiane del Nord America e, in generale, del mondo occidentale. Molti di loro non nutrono interessi personali e, per la verità non lo faccio nemmeno io. Non sono cristiano e non sono interessato ad appoggiare la causa cristiana o a promuovere un programma di orientamento cristiano. Sono un agnostico molto vicino all’ateismo, e la mia vita e la mia visione del mondo non sarebbero diverse se Gesù non fosse esistito.

Come storico, penso che le prove siano importanti. E così il passato. E per chi attribuisce valore alla prove e al passato, l’esame imparziale del caso porta a una conclusione inequivocabile: Gesù è davvero esistito, e se qualcuno lo nega con tanta insistenza non è perché abbia esaminato le fonti con le lenti obiettive delle storico, ma perché il suo diniego serve ad altri propositi. Da una prospettiva imparziale, una sola affermazione è possibile: Gesù di Nazareth è esistito.


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15/03/2016 16:08
 
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I Vangeli sono “imbarazzanti”,
per questo sono attendibili

VangeloI Vangeli sono imbarazzanti! Dietro a quella che potrebbe suonare come un’offesa per i cristiani, si nasconde in realtà un forte argomento a sostegno della loro storicità.

Infatti, tra i diversi criteri che gli storici utilizzano per valutare l’autenticità di un testo c’è proprio il criterio dell’imbarazzo. Questo significa, rispetto ai Vangeli, che difficilmente la chiesa primitiva avrebbe creato del materiale che avrebbe messo in imbarazzo se stessa, un brano controproducente per gli autori dei Vangeli. Attenzione, non bisogna, però, velocemente concludere che allora tutto ciò che c’è di “imbarazzante” è automaticamente “vero” ed, invece, ciò che ci si sarebbe aspettato dagli evangelisti è automaticamente “falso”: si tratta semplicemente di uno dei diversi metodi, da utilizzare in sinergia con altri. Un brano evangelico, infatti, può pretendere di essere autentico in proporzione al numero e al grado di criteri storici che riesce a soddisfare.

In tantissimi scritti del passato si rileva, grazie al confronto tra le fonti, l’omissione, la modifica o la menzogna su determinati elementi che avrebbero portato vergogna o perdita di credibilità verso lo scrittore o verso la sua comunità. Ad esempio il Lachish relief è il racconto che il popolo assiro ci ha lasciato in cui si narra la loro vittoria sul regno di Giuda durante l’assedio di Lachis nel 701 a.C. Sono elencate tutte le 46 città fortificate del regno di Giuda che sono riusciti a conquistare e l’altissimo numero di prigionieri (200mila), una chiara esagerazione per gli storici. I quali, fanno notare, che nel pomposo racconto manca però l’assedio a Gerusalemme, questo perché fu un fallimento tanto che, dopo aver accerchiato la città, tornarono a Ninive senza toccarla. Il racconto imbarazzante venne semplicemente omesso.

Tornando ai Vangeli, i primi cristiani desideravano certamente evangelizzare, convertire al cristianesimo. Lo fecero raccontando i fatti che avevano vissuto, che a loro erano stati raccontati dai testimoni oculari integrandoli tramite fonti precedenti, contemporanee (o quasi) alla vita di Gesù. I testi evangelici, tuttavia, contengono molto materiale che sarebbe stato autolesionistico includere per la chiesa primitiva e la spiegazione più probabile del perché non omisero quei brani è che, essendo fatti storici noti anche dai loro contemporanei, non bisognava e non si poteva censurarli. Vediamone alcuni:

 

1) Il battesimo di Gesù.
Giovanni Battista fu chiamato così perché usava battezzare i suoi discepoli per liberarli dai peccati. E’ scritto chiaramente nel Vangelo di Marco e di Matteo: «si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati» (Mc 1,4-5).«Allora accorrevano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla zona adiacente il Giordano; e, confessando i loro peccati, si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano» (Mt 3,5-6). Eppure, gli stessi Vangeli, raccontano che anche Gesù si presentò da Giovanni Battista chiedendo di essere battezzato. E’ certamente un episodio imbarazzante per i primi cristiani: «Marco racconta l’avvenimento senza una spiegazione teologica del fatto che colui che è superiore, senza peccato, si sottometta a un battesimo destinato ai peccatori», rileva il celebre biblista J.P. Meier. «E’ altamente improbabile che la chiesa si sia data pena di creare la causa del proprio imbarazzo» (Un ebreo marginale, vol.1, Queriniana 2008, p.161).

 

2) Gesù non conosce il giorno della fine.
Un altro brano imbarazzante è l’affermazione di Gesù di non conoscere il giorno esatto o l’ora della fine, nonostante sappia predire gli eventi della fine del tempo, compreso il suo ritorno. Tuttavia, alla fine del suo discorso escatologico, afferma: «Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo, né il Figlio, eccetto il Padre» (Mc 13,32). Ancora J.P. Meier: «E’ assai improbabile che la chiesa si sia preoccupata di inventare un detto che evidenziava l’ignoranza del suo Signore risorto» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol.1, Queriniana 2008, p.162). E ancora: «Il criterio dell’imbarazzo rende probabile che Mc 13,32 sia autentico […]. Per negare la sua autenticità si dovrebbe supporre che un qualche profeta cristiano primitivo abbia fatto ogni sforzo per attribuire l’ignoranza della venuta del Figlio dell’uomo allo stesso Figlio dell’uomo glorioso» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol.2, Queriniana 2003, p. 461,462).

 

3) La sua famiglia non credeva in lui.
Nel Vangelo di Giovanni, da molti ingiustamente ritenuto lontano dai fatti reali, compare questa frase: «Gesù se ne andava per la Galilea […], i suoi fratelli gli dissero: “Parti di qui e va nella Giudea perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu fai. Nessuno infatti agisce di nascosto, se vuole venire riconosciuto pubblicamente. Se fai tali cose, manifèstati al mondo!”. Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui» (Gv 7,1-7). Ora, al di là di chi siano questi “fratelli”, se suoi cugini, fratelli naturali oppure fratelli di primo letto di Giuseppe (la questione non è risolta), sono chiaramente persone molto vicine a Gesù, imparentate con lui, ed è notevole leggere che non venne creduto proprio da chi lo conosceva approfonditamente. Addirittura, in Marco 3,21, si legge: «Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: “È fuori di sé”». Ritenevano che avesse perso la testa, proprio i suoi parenti. E lo sappiamo perché sono i Vangeli che riportano questo, i cui autori non censurarono neppure le cose più imbarazzanti, scomode, controproducenti.

 

4) Il dubbio di Giovanni Battista.
Molti di coloro a cui i Vangeli si rivolgevano erano stati seguaci del Battista, come lo fu per un periodo lo stesso Gesù. E’ significativo quindi che i testi riportino un Giovanni Battista perplesso di fronte al Nazareno, che non lo riconosca immediatamente come la persona che annunciava nelle sue predicazioni, quando profetizzava «colui che viene dopo di me è più forte di me, e io non sono degno neanche di portare i suoi sandali» (Mt 3,11). Tanto che, una volta che Giovanni Battista venne incarcerato e seppe delle opere compiute da Gesù, inviò alcuni suoi discepoli a chiedergli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?» (Mt 11,3). I Vangeli riportano tutto questo, nonostante apparisse controproducente, dato che i primi cristiani ebbero delle dispute proprio con i discepoli del Battista. Un altro dubbio importante compare in Matteo 28,17, quando a dubitare del Gesù risorto sono gli stessi discepoli.

 

5) Le donne sono le prime testimoni della resurrezione.
Le prime ad osservare il sepolcro vuoto e a cui appare Gesù, annunciando la sua resurrezione, sono alcune donne. «Che ci piaccia o no», ha scrittoCraig A. Evans, docente di Nuovo Testamento presso l’Acadia Divinity College di Wolfville, «le donne nel mondo antico non erano affatto considerate testimoni credibili. Dovette a quel tempo rivelarsi estremamente imbarazzante pensare che i principali testimoni di quello straordinario evento fossero state donne e, più ancora che tra esse vi fosse qualcuna di dubbia reputazione come Maria Maddalena» (C.A. Evans, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p.105,106). Il prof. Craig Keener, importante docente di New Testament presso l’Asbury Theological Seminary, ha confermato: «la testimonianza delle donne al sepolcro è molto probabilmente storica, proprio perché risultava decisamente offensiva per la cultura di allora, non certo il tipo di testimonianza che si sarebbe inventata. Non tutte le testimonianze erano considerate di pari merito, l’attendibilità dei testimoni era essenziale e la maggior parte dei contemporanei ebrei di Gesù aveva poca stima della testimonianza delle donne, certamente ritenuta inferiore a quella degli uomini» (C. Keener, The Historical Jesus of the Gospels, Wm. B. Eerdmans Publishing Co. 2012, p. 331). Un eventuale falsario si sarebbe ben guardato dall’inventare un fatto simile, non a caso il fatto fu subito usato dal polemista anticristiano Celso come motivo di scherno: «I galilei credono a una risurrezione testimoniata soltanto da qualche femmina isterica».

 

6) La morte e la resurrezione di Cristo.
Se dobbiamo dirla fino in fondo, tutto quello che riguarda la sua morte e resurrezione è di gran lunga imbarazzante per gli autori dei Vangeli, anche se questo più che il criterio dell’imbarazzo soddisfa il criterio della dissomiglianza (utilizzato per valutare i brani che non possono derivare né dal giudaismo del tempo di Gesù, né dalla chiesa primitiva dopo di lui). Paolo scrive infatti: «noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani» (1 Cor 1,23). La parola usata è skandalon, ovvero “pietra d’inciampo”, ciò che provoca offesa e suscita quindi opposizione. Perché mai, infatti, dei devoti ebrei avrebbero dovuto inventarsi che il loro Messia fosse morto torturato e infine appeso ad un albero, quando proprio il Deuteronomio afferma: «il suo cadavere non dovrà rimanere tutta la notte sull’albero, ma lo seppellirai lo stesso giorno, perché l’appeso è una maledizione di Dio» (Dt 21,23).  «Chi può aver inventato di sana pianta l’idea di un messia crocifisso?», si è domandato Bart D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento presso l’Università del North Carolina. «Nessun ebreo di cui si abbia notizia. E chi furono i seguaci di Gesù negli anni immediatamente successivi alla sua morte? Ebrei palestinesi. E’ difficile capire quanto fosse offensiva, per la maggioranza degli ebrei del I secolo, l’idea di un messia crocifisso. Da dove spunta l’idea, allora? Dalla realtà storica […]. Indipendentemente dal fatto che siano ritenuti o meno scritture ispirate, i Vangeli possono essere considerati e utilizzati come fonti storiche importanti» (B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 75, 164, 165).

Per quanto riguarda la resurrezione corporale, essa era negata dai greci e dai pagani, soltanto gli ebrei la affermavano nel loro credo -anche se non in modo centrale come i primi cristiani-, rifacendosi al popolare brano biblico di Daniele 12: «I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento». Una resurrezione spirituale, dunque, non certo carnale come quella di Gesù, tanto da essere scambiato al sepolcro per un giardiniereo per un compagno di viaggio dai discepoli di Emmaus (Lc 24, 13-53). Come ha rilevato il già citato prof. C.A. Evans«nessun testo biblico predisse che la resurrezione avrebbe avuto a che fare con una tale categoria di corpo. Un simile racconto è senza precedenti. Nessuno avrebbe inventato questi racconti in tale modo» (C.A. Evans, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p.107). Per quale motivo, allora, un pugno di pii ebrei avrebbe dovuto, improvvisamente, andare contro il proprio credo, contro la tradizione dell’Antico Testamento e contro alle convinzioni ebraiche della loro stessa società, dei loro familiari, inventando tale racconto dal nulla? Una verità scomoda, imbarazzante, come quella di un Messia torturato e umiliato, e poi risorto in una modalità contraria a quel che credeva la tradizione ebraica. Oltretutto, affermando questo tenacemente, a discapito delle persecuzioni e della morte a cui furono sottoposti. Il già citato studioso agnostico B.D. Ehrman, ha ammesso: «A questo punto voglio semplicemente identificare il punto più fondamentale. I seguaci di Gesù devono averlo considerato il Messia in un certo senso prima della sua morte, perché nulla della sua morte e risurrezione poteva essere ideato successivamente. Per loro il Messia non doveva morire o risorgere» (B.D. Ehrman, How Jesus Became God, HarperCollins Publishers 2014, p.118).

 

Ci sono tanti altri brani che soddisfano il criterio dell’imbarazzo, pensiamo al rinnegamento di Pietro -scelto da Gesù come leader morale degli apostoli- e al tradimento di Giuda, che rivela un clamoroso errore di scelta dei suoi discepoli da parte del Figlio di Dio. Come già scritto, il criterio di imbarazzo, da solo, non fornisce una garanzia assoluta sull’autenticità dei racconti ma certamente contribuisce a validarne l’autenticità. Tanto che perfino il filosofo illuminista Jean-Jacques Rousseau, a chi accusava i Vangeli di falsità, usava rispondere: «Amico mio, non è così che si inventa»(Rousseau, Emilio o dell’educazione, Armando Editore 2012, p.177).


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24/03/2016 12:30
 
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COS'ERA L'«ORRIBILE FLAGELLO»
CON CUI FURONO TORTURATI GESÙ E L'UOMO DELLA SINDONE

Cos'era l'«orribile flagello» con cui furono torturati Gesù e l'Uomo della Sindone

di Flavia Manservigi

 

L’Uomo della Sindone è Gesù? Per molti studiosi, l’impressionante coincidenza tra i segni di tortura che hanno lasciato un’impronta sul telo e il racconto della Passione che si trova nei Vangeli è sufficiente a dimostrare tale identità. L’Uomo della Sindone, come Gesù, fu incoronato di spine e il suo costato fu trafitto da una lancia. Come il Salvatore, l’Uomo della Sindone fu flagellato abbondantemente – come dimostrato dalla serie di numerosi piccoli segni di forma irregolare impressi sul Lenzuolo, traccia inequivocabile delle ferite provocate dai colpi di sferza -, come se quella fosse l’unica pena cui era stato condannato, mentre in seguito fu anche crocifisso. Ciò concorda pienamente con il Vangelo di Giovanni, che parla delle due condanne inflitte a Gesù da Pilato.

L’ipotesi di una possibile identificazione tra i supplizi subiti dall’Uomo della Sindone e quelli inferti a Gesù comporta la necessità di verificare se effettivamente i segni presenti sul telo siano compatibili con le forme di tortura che erano applicate nel I secolo nel mondo romano.

Per quanto riguarda la flagellazione, in ambito romano essa era codificata secondo un rigido protocollo legislativo, e prevedeva l’utilizzo di un’ampia gamma di strumenti, di cui il più terribile in assoluto - utilizzato per punire i reati più gravi - era l’horribilis flagrum, un flagello dotato di corregge terminanti con estremità contundenti, in grado di battere e lacerare le carni. Secondo gli studiosi, sarebbe stato usato proprio questo strumento per flagellare l’Uomo della Sindone; molti sindonologi ritengono inoltre che questo flagrum fosse del tipo taxillatum, ossia dotato ditaxilli (piccoli ossicini di animale, altrimenti noti come astragali).

È opportuno precisare, però, che il termine taxillatum non è mai usato nelle fonti storiche: è stato infatti coniato solo nel XVI secolo dal filologo e umanista Giusto Lipsio per rendere la parola greca “astragalato”. Meglio quindi, per riferirsi a questo strumento, parlare di flagrum “dotato di astragali”. È inoltre opportuno considerare che questo tipo di flagrum non era usato dai soldati Romani a scopi punitivi, ma veniva utilizzato dai sacerdoti della dea orientale Cibele durante rituali di autoflagellazione. L’associazione tra Gesù, l’Uomo della Sindone e il flagrum “astragalato” è quindi molto improbabile.

Tuttavia, diverse fonti databili all’epoca romana e ai primissimi secoli dell’era cristiana ci parlano di flagra dotati di estremità contundenti, quindi compatibili con le tracce sindoniche: il Codice Teodosiano, così come vari autori - tra cui Zosimo e Prudenzio - descrivono le plumbatae, palline di metallo che erano poste all’estremità degli orribili flagelli per imprimere ancor più orribili punizioni.

Numerosi dizionari di archeologia romana e cristiana, datati tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900, ci informano che esemplari di questo tipo di flagrum sarebbero stati rinvenuti a Ercolano e nelle catacombe di Roma, e sarebbero quindi databili a periodi vicinissimi a quello in cui visse Gesù. Ad oggi, non abbiamo notizie in merito ai flagra di Ercolano: essi sono stati probabilmente dispersi in qualche collezione privata, o potrebbero essere stati smembrati in più parti.

Discorso diverso vale per i flagra delle catacombe, di cui quattro esemplari sarebbero oggi conservati presso i Musei Vaticani, dove essi sono catalogati come flagelli bronzei romani (invv. 60564-60567). La comprovata esistenza di questi flagra dalla forma compatibile con le tracce sindoniche sembrerebbe togliere ogni dubbio circa la possibilità che l’Uomo della Sindone sia stato flagellato con strumenti utilizzati in ambito romano nell’epoca in cui visse Gesù.

È però necessario precisare che i quattro flagelli erano esposti insieme ad altri reperti, a loro volta classificati come strumenti di tortura, ma che in realtà avevano ben altri usi: uno di questi, inventariato come “graffione”, è stato in seguito identificato con un porta lucerne etrusco. Da qui il dubbio che anche i flagelli siano in realtà qualcosa di diverso, non legato all’ambito della tortura; tale eventualità è avvalorata dalla somiglianza tra le terminazioni di questi reperti con quelle di alcuni oggetti rinvenuti nella necropoli villanoviana di Verucchio (RN), classificati come pendenti ornamentali o stimoli per cavalli. Il problema circa l’esatta identificazione dei quattro “flagelli” dovrà quindi essere oggetto di ulteriori approfondimenti.

Ciò non toglie che l’uso di flagelli dotati di corregge terminanti con oggetti contundenti, quindi compatibili con i segni visibili sull’impronta sindonica, fosse sicuramente diffuso in un’epoca prossima al periodo in cui visse Gesù: questo dato è attestato da fonti storiche e letterarie, come abbiamo visto.

Inoltre, il fatto che in un’epoca non lontana dal I secolo si facesse uso di flagelli terminanti con estremità contundenti è dimostrato anche da altre testimonianze: all’interno di un numero del Bollettino dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica datato al 1859, l’etruscologo Gian Carlo Conestabile della Staffa riporta la notizia del ritrovamento, nella zona di Volterra, di un oggetto identificato con un flagello di bronzo, formato da «sei lunghe catenelle che vanno a riunirsi tutte in un’asta serpeggiante […]; tre di quelle catenelle sono doppie, e tre semplici, formate da anelli e fornite in punta di una pallina».

Gli Etruschi, quindi, usavano flagelli terminanti con estremità contundenti; dagli Etruschi, i Romani avevano mutuato non solo la pratica della flagellazione, ma anche l’uso di alcuni strumenti per flagellare: è ipotizzabile, quindi, che i Romani avessero “ereditato” anche questo oggetto.

Sebbene, quindi, le testimonianze archeologiche ad oggi in nostro possesso non siano totalmente sicure, ciò non toglie che esista compatibilità tra gli strumenti in uso per la flagellazione nei primissimi secoli dell’era cristiana e i segni visibili sull’impronta lasciata dall’Uomo della Sindone.

Ovviamente questo dato, da solo, non rappresenta la prova definitiva del fatto che Gesù e l’Uomo della Sindone siano la stessa persona; tuttavia, l’analisi delle fonti porta ad avvalorare la possibilità che l’Uomo della Sindone abbia subito una tortura tipica dei luoghi e dei tempi in cui Gesù visse, operò e accettò di caricare sulle proprie spalle la croce più grande per la salvezza dell’umanità. 


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29/03/2016 18:10
 
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La Resurrezione di Gesù
è storicamente attendibile, non è un mito

sepolcro vuotoDalle biografie liberali su Gesù Cristo di Ernest Renan e Rudolf Bultmann, lo studio sulla storicità dei Vangeli ha fatto enormi passi in avanti. Anche gli studiosi critici più razionalisti hanno dovuto riadattare i loro convincimenti: dal Gesù storico mai esistito siamo finalmente giunti ad avere, anche da parte loro, il riconoscimento della sua esistenza certa, fino addirittura all’ammissione della storicità degli avvenimenti accaduti nei suoi ultimi giorni, dal processo alla sepoltura.

Ne abbiamo parlato l’anno scorso, rilevando un quasi unanime accordo tra gli studiosi, credenti e non credenti, ragionevoli o razionalisti. Le posizioni si discostano dal ritrovamento del sepolcro vuoto e, sopratutto, dalla resurrezione di Gesù. A pochi giorni dalla Pasqua, approfondiamo ancora di più le cose, dopo aver però chiarito che soltanto chi ha ricevuto il dono della fede può “accedere” al Gesù risorto, la storia non ha alcuna capacità di determinare le verità di fede. Può dare il suo importante contributo, ma è sbagliato confondere i piani ed aspettarsi dall’indagine storica certe conferme o certe smentite che non è e non sarà mai in grado di dare.

 

1) Innanzitutto, i Vangeli mostrano che quella di Gesù è una resurrezione completamente diversa da quella degli altri racconti di resurrezione descritti dagli evangelisti (la figlia di Giairo, la vedova di Nain e Lazzaro). Per questi, si tratta di un ritorno alla vita temporale, soggetta nuovamente a morte. Nel caso di Gesù, invece, gli evangelisti usano un altro linguaggio: egli non è più soggetto a morte, appare come visione eppure mantiene una corporalità. «La morte e la resurrezione di Gesù sono considerate un evento unico» nella storia, ha riconosciuto lo studioso agnostico B.D. Ehrman(Did Jesus Exist?, HarperCollins Publisher 2013, p.228), ed effettivamente non esiste nulla di simile nella tradizione ebraica, la quale insegnava semmai una sorta di rapimento corporale in cielo (per esempio nei casi di Enoc, Elia, Esdra e Baruc). Se fosse un’invenzione degli apostoli, perché discostarsi così pesantemente dalla tradizione ebraica? Se volevano affermare che Gesù era il Messia, Colui che compiva le profezie ebraiche, perché inventare una resurrezione tanto distante e inedita dalla tradizione religiosa dell’Antico Testamento?

2) Un secondo aspetto poco ricordato è che per ogni fedele ebreo, il giudizio del sinedrio, il supremo tribunale ebraico, rappresentava nientemeno che il giudizio di Dio, e il sinedrio stabilì che Gesù era un bestemmiatore, un miscredente, un maledetto da Dio. Eppure, un pugno di giudei (pescatori, per lo più) improvvisamente fronteggia tale giudizio, iniziando a predicare che tale condannato è il Salvatore che il mondo attende. Cosa può essere accaduto per motivare questi devoti ebrei a sfidare il supremo (e divino) giudizio del sinedrio, addirittura sostenendo che Dio, risuscitando Gesù, si sarebbe pronunciato in maniera categorica contro tale sentenza? Non erano teologi o membri dello stesso sinedrio, ma un gruppo di pescatori e qualche donna, oltretutto gli stessi che poco prima scappavano impauriti, rinnegavano Gesù, si disperdevano delusi e amareggiati. L’unica risposta ragionevole, anche in questo caso, è quella che loro stessi offrono: furono testimoni di un evento eccezionale, la resurrezione di Gesù, l’unico motivo valido per decidere di lasciare tutto e cambiare vita, sfidando persecuzioni, vessazioni da parte della loro comunità di origine e di appartenenza, da parte dei loro familiari e amici. Fino al martirio.

3) Senza la resurrezione rimarrebbe inspiegabile anche la celebrazione della domenica fin dagli albori del cristianesimo (At 20,7; 1Cor 16,2; Ap 1,10), mentre per gli ebrei il giorno sacro è il sabato, come stabilito dalla legge mosaica. Questi uomini, dunque, non solo osano sfidare la concezione biblica della resurrezione, affermando un concetto totalmente inedito e nuovo, non solo osano sfidare il giudizio del sinedrio (il giudizio di Dio, per gli ebrei), ma correggono anche la legge mosaica per affermare che il giorno sacro è quello in cui è risorto Gesù. Senza considerare, ne abbiamo già parlato in altri contesti, che osano -ancora una volta- raccontare che le prime testimoni di tale resurrezione sono delle donne. Un’altra controproducente follia. «Nel mondo patriarcale in cui vivevano quei cristiani», ha commentato Ben Witherington III, docente di Nuovo Testamento presso l’Asbury Theological Seminary di Wilmore, «non è credibile che un gruppo con una tale mentalità potesse inventarsi una storia simile. Analogamente, non vi sono motivi validi per pensare che questi racconti sulle apparizioni avessero la propria origine nell’Antico Testamento, che a stento menziona il concetto della resurrezione dai morti» (B. Witherington III, Una reposiciòn de la resurrecciòn, in P. Copan, Un sepulcro vacto. Debate en torno a la resurecciòn de Jesùs, Voz de Papel 2005, p.183,184) Per José Miguel Garcia, noto esegeta del Nuovo Testamento presso l’Università Complutense di Madrid, «l’analisi delle testimonianze e degli avvenimenti può portare a concludere che senza il fatto reale della resurrezione, molte cose rimarrebbero senza spiegazione» (J.M. Garcia, Il protagonista della storia, BUR 2008, p.274). Come ha precisato ancheJustin W. Bass, docente di Nuovo Testamento presso il Dallas Theological Seminary, «nessuna spiegazione naturalistica è in grado di spiegare tutti i fatti. Questo è anche il motivo per cui vi è una spiegazione naturalistica diversa per ogni scettico che cerca di spiegare le origini del cristianesimo».

4) Abbiamo già accennato al sepolcro vuoto come elemento di discussione tra gli studiosi, eppure gli argomenti a favore sono schiaccianti. Tra i principali sicuramente il comportamento delle autorità ebraiche: se il corpo di Gesù fosse stato nel sepolcro, senza dubbio lo avrebbero detto, sarebbe stato infatti il miglior modo per screditare l’annuncio della resurrezione. Se non lo hanno fatto è perché non hanno potuto: per tutto il tempo in cui hanno cercato di impedire la diffusione del cristianesimo, i membri del sinedrio non hanno mai negato il dato del sepolcro vuoto, semplicemente lo hanno spiegato appellandosi alle dicerie del furto del corpo di Gesù da parte degli apostoli. Ebbene, anche se lo avessero rubato, rimane la domanda già fatta in precedenza: perché inventare dal nulla un concetto, difficile e totalmente inedito, di resurrezione come quella descritta per Gesù? Avrebbero potuto semplicemente avvalersi dei contenuti della tradizione ebraica.

Vi sono altri argomenti decisivi a favore del sepolcro vuoto, ben sintetizzati dal filosofo W.L. Craig, docente presso la Houston Baptist University: «Diverse ragioni hanno portato la maggior parte degli studiosi a questa conclusione: a) Il racconto del sepolcro vuoto fa parte del materiale più antico utilizzato da Marco. b) L’antica tradizione citata da Paolo 1 Corinzi 15,3-5 implica il sepolcro vuoto. c) Il racconto è semplice e non mostra i segni di abbellimento tipici delle leggende. d) Il fatto che la testimonianza femminile non avesse molto peso nella Palestina del I secolo gioca a favore della storicità di tale informazione. e) L’iniziale accusa, da parte degli ebrei, che i discepoli avevano trafugato il corpo di Gesù presuppone che il corpo, di fatto, non si trovava nel sepolcro» (W.L. Craig, Intervenciones iniciales, in P. Copan, Un sepulcro vacto. Debate en torno a la resurecciòn de Jesùs, Voz de Papel 2005, p.30). Tanto che uno dei principali biblisti del secolo scorso, Jacob Kremer, ha concluso:«Decisamente, la maggior parte degli eruditi rimane salda sull’affidabilità di quanto è scritto nella Bibbia a proposito del sepolcro vuoto» (“Die Osterevangelien–Geschichten um Geschichte”, Katholisches Bibelwerk, 1977, pp. 49-50).

 

La Resurrezione di Gesù, dunque, è l’elemento centrale che illumina diversi fatti ed eventi storici che altrimenti rimarrebbero senza alcuna ragionevole spiegazione. Per questo, in mancanza di argomenti alternativi degni di plausibilità, è possibile definirlo come fatto storico, descritto nei Vangeli che sono indubbiamente libri di fede, ma anche «fonti storiche importanti», come ammette lo studioso agnostico B.D. Ehrman (Did Jesus Exist?, HarperCollins Publisher 2013, p.75). Alcuni di questi fatti storici, che trovano ragionevole spiegazione soltanto se si considera un evento realmente accaduto anche la Resurrezione, sono stati elencati da Justin W. Bass, docente di Nuovo Testamento presso il Dallas Theological Seminary: «La tomba vuota, le apparizioni a Pietro e Paolo (che sappiamo anche essere andati incontro alla morte per questa convinzione), la conversione improvvisa del persecutore dei cristiani Paolo di Tarso, l’esplosione incredibile di questa setta ebraica che adorava come Dio un uomo crocifisso e risorto di nome Gesù, la trasformazione di secolari usanze ebraiche, come la circoncisione e la Pasqua, e così via. Come si spiega questo esplosivo movimento a Gerusalemme nel primo secolo, basato su queste inedite convinzioni in un falegname crocifisso e risorto di nome Gesù? La sua resurrezione è l’unica spiegazione che rappresenta tutti i dati e ogni spiegazione alternativa naturale è morta un migliaio di volte nel corso degli ultimi 200 anni». Gli ha fatto eco Craig A. Evans, docente di Nuovo Testamento e direttore del programma di specializzazione presso l’Acadia Divinity College: «L’argomentazione storica non può da sola forzare a credere che Gesù sia risorto dai morti; essa è tuttavia utilissima a spazzar via la sterpaglia sotto la quale vari tipi di scetticismo sono andati a nascondersi. La proposta che Gesù è risorto corporalmente dai morti possiede un’ineguagliabile capacità di spiegare i dati che sono al cuore stesso del primo cristianesimo» (C.A. Evans, Gli ultimi giorni di Gesù, San Paolo 2010, p.114).

Si è liberi di essere scettici ed agnostici sulla questione, ovviamente, ma se si segue la ragionevolezza e ci si avvale dei criteri storici, si finirà inevitabilmente come Tommaso ai piedi del Gesù risorto. Dicendo: “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20,28).


[Modificato da Credente 31/01/2017 10:58]
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11/04/2016 15:03
 
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Possediamo i Vangeli originali?
No, ma non è un problema

AmanuensiIl professore di Nuovo Testamento presso il Dallas Theological Seminary, nonché direttore del Center for the Study of New Testament ManuscriptsDaniel B. Wallaceha pubblicato di recente una risposta ad alcune affermazioni di un intellettuale americano contro la storicità dei Vangeli e contro il cristianesimo in generale.

Tra le tante confutazioni proposte, ci interessa in particolare quella che risponde a questa tesi d’accusa: «nessuno di noi oggi ha mai letto l’originale dei Vangeli, tranne una cattiva traduzione che è stato alterata centinaia di volte, prima di arrivare a noi». Ovvero: nessuno possiede le copie originali dei Vangeli ma soltanto traduzioni di traduzioniche inevitabilmente avrebbero modificato il senso e le parole contenute nel testo originale, dunque non si può sapere cosa davvero scrissero gli autori dei Vangeli.

La tesi è citata dallo studioso agnostico Bart Ehrman nel suo noto libro “Misquoting Jesus”, tuttavia la posizione di Ehrman non è così radicalecome viene riportata da quanti lo usano a loro supporto. Egli ad esempio riconosce che «la gran parte delle differenze tra le copie in nostro possessosono del tutto irrilevanti. In genere dimostrano solo che gli antichi scribi non conoscevano l’ortografia meglio della maggioranza di noi (oltre a non disporre di dizionari ne, tantomeno, del controllo ortografico automatico)» (Harper Collins Publishers 2005, p.16). E ancora: «Gli scribi, sia i non professionisti dei primi secoli sia gli amanuensi professionisti del Medioevo, erano decisi a “salvaguardare” la tradizione testuale che trasmettevano. La loro principale preoccupazione non era quella di modificare la tradizione, bensì di preservarla per se stessi e per coloro che sarebbero venuti dopo. La maggioranza tentava senza dubbio di lavorare in modo fedele accertandosi che l’opera riprodotta fosse uguale a quella ereditata. Ciononostante, ai primi testi cristiani furono apportate delle modifiche. Talvolta (spesso) gli scribi commettevano errori, sbagliando l’ortografia di una parola, tralasciando una riga o anche solo confondendo le frasi che avrebbero dovuto copiare. E di tanto in tanto modificavano il testo di proposito, introducendovi una “correzione” che in realtà finiva per essere un’alterazione di ciò che aveva scritto in origine l’autore». Tuttavia, ha aggiunto, «non vorrei destare la falsa impressione che questo tipo di modifica di ordine teologico si verificasse ogni volta che uno scriba si metteva a copiare un brano. Accadde in modo sporadico» (p. 205, 206).

Il prof. Wallace ha quindi aggiunto che «in realtà oggi ci stiamo avvicinando sempre di più al testo originale del Nuovo Testamento e sempre più manoscritti vengono scoperti e catalogati». Anche se alcune traduzioni, soprattutto quelle successive, si basano su traduzioni in altre lingue dal testo greco (quindi, una traduzione di una traduzione del greco), queste non sono affatto le traduzioni che gli studiosi utilizzano per arrivare fedelmente alla formulazione originale. Complessivamente, ha spiegato, «possediamo almeno 20.000 manoscritti in greco, latino, siriaco, copto e altre lingue antiche che ci aiutano a determinare la formulazione originale». Quasi 6000 di questi manoscritti sono in greco. Abbiamo inoltre più di un milione di citazioni del Nuovo Testamento da parte dei padri della Chiesa. «Non c’è assolutamente nulla nel mondo greco-romano che arrivaneanche lontanamente vicino a questa ricchezza di dati, il Nuovo Testamento ha più manoscritti all’interno di un secolo o due dall’originale di ogni altra cosa del mondo greco-romano. Se dobbiamo essere scettici sull’originale del Nuovo Testamento, allora lo scetticismo dovrebbe esseremoltiplicato mille volte per tutta la letteratura greco-romana e antica». Proprio in questi giorni, per l’appunto, è stato scoperto un testo che potrebbe essere la più antica copia di un vangelo, ovvero un frammento del Vangelo di Marco, risalente al primo secolo.

Anche Ehrman offre comunque una confutazione della sua stessa tesi nel libro “Did Jesus Exist?”, rispondendo proprio a quelli che chiama “miticisti” (coloro che non credono ai Vangeli e all’esistenza di Gesù), i quali usano questo argomento contro l’attendibilità dei Vangeli: «I Vangeli sono tra i libri del mondo antico che hanno più riscontri». E’ vero, le migliaia di manoscritti che possediamo non sono le copie originali e presentano delle varianti,«ma la portata del problema non è tale da rendere impossibile farsi un’idea di quanto scrissero gli antichi autori cristiani. Non esiste un solo critico testuale che la pensa diversamente perché nella stragrande maggioranza dei casi la formulazione delle frasi da parte degli autori non è in discussione» (Harper Collins Publishers 2012, p.181-183). Ovvero l’autenticità e non autenticità di un brano è tranquillamente rilevabile.


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15/04/2016 12:06
 
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Dall’«ebraicità di Gesù» alla «cristicità dell’ebraismo»:
il percorso della ricerca storica

gesù ebreoCon questo articolo siamo lieti di dare avvio alla collaborazione con don Silvio Barbaglia, biblista e docente di Scienze bibliche presso lo Studio teologico “San Gaudenzio” di Novara, istituto affiliato alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano. Da poco ha pubblicato il volume Gesù e il matrimonio (Cittadella 2016), ed è anche autore di Il digiuno di Gesù all’ultima cena. Confronto con le tesi di J. Ratzinger e di J. Meier (Cittadella 2011), è diventato noto al grande pubblico in particolare per aver ottimamente confutato le tesi di Luigi Cascioli sulla non esistenza storica di Gesù di Nazareth.

 

di don Silvio Barbaglia*
*docente di Scienze bibliche presso lo Studio teologico “San Gaudenzio” di Novara

 

Come è noto, la Terza ricerca sul Gesù storico è stata caratterizzata dalla riscoperta della cosiddetta «ebraicità di Gesù»; si è sostenuto con forza, in queste posizioni, che Gesù fosse anzitutto ebreo e che appartenesse, dalla sua nascita e per la sua provenienza, a quelle strutture culturali del mondo ebraico, anzitutto.

Invece, l’immagine di Gesù, promossa dalla tradizione credente e dalla critica, nel corso della storia della ricerca, era centrata sull’istanza dell’originalità di Gesù rispetto al suo contesto storico, funzionale a coglierne l’unicità e la peculiarità entro tale originalità; all’opposto, la linea interpretativa che volle vedere e rileggere Gesù nel suo contesto culturale ebraico – promossa in buona parte da alcuni eminenti studiosi di parte ebraica e non solo – ha condotto sempre più ad assottigliare tutti gli aspetti di originalità delle posizioni e delle azioni del Nazareno nel suo contesto, fino a rendere il paradigma dell’unicità e della peculiarità di Gesù sempre più inconsistente e frutto di operazione meramente ideologica, lontana da una presunta fedeltà storica. Questa è, in sintesi, oggi, la posta in gioco della deriva scaturita dalla riscoperta dell’«ebraicità di Gesù».

Occorre però rimarcare un elemento di novità in tutto ciò. Le ricerche pubblicate dal rabbino Daniel Boyarin e del suo seguito, in tema di «ebraicità di Gesù», hanno contribuito, in anni recenti, ad assottigliare ulteriormente le differenze tra Gesù e il suo contesto giudaico nella linea, però, di riconoscervi già in origine, una connessione stretta e connaturata tra ebraismo e cristianesimo, nel momento dell’origine (I secolo d.C.); poiché non di due religioni si trattava ma della stessa, entro distinte forme di comprensione delle identiche fonti e riferimenti istituzionali e legislativi. Diversamente, però, da come il teorema dell’«ebraicità di Gesù» era prima declinato – sostenendo che gli elementi di netta differenza tra ebraismo e cristianesimo fossero opera dell’interpretazione ecclesiale ma non certo del Gesù storico – Boyarin ritiene, in controtendenza, che questi stessi tratti (come la divinizzazione del personaggio gesuano, l’idea di una divinità sdoppiata in Padre e Figlio, di un redentore Dio e uomo insieme, soggetto agente di un processo di salvazione con la sua morte e resurrezione) sono già tutti inscritti e attestati tra i Giudaismi del Secondo Tempio, e l’esperienza storica di Gesù si sarebbe collocata in dialettica con tali aspetti.

Ciò che tradizionalmente veniva inteso come il «pacchetto teologico» della differenza e novità assoluta del cristianesimo, secondo il Boyarin, è invece già presente e preparato dallo stesso Giudaismo: l’originalità di Gesù consisterebbe, invece, nell’avere rivolto a sé e, con lui i suoi seguaci, tali caratteristiche già presenti nelle tradizioni teologiche di alcuni Giudaismi del Secondo Tempio. Il paradosso di tale esito di ricerca sull’«ebraicità di Gesù», che originariamente aveva spinto verso una radicalizzazione della differenza e della distanza tra Gesù e il Cristo, tra l’ebreo di Galilea e la Chiesa di Paolo, giunge con queste più recenti interpretazioni a ritrovare una sintesi di unità tra quelli che si ritenevano essere aspetti inconciliabili proprio in seno allo stesso ebraismo.

Questo significa riqualificare lo stesso paradigma dell’«ebraicità di Gesù»: non più teso a strappare il Gesù storico al cristianesimo, per ricollocarlo tra i suoi pari, nel contesto giudaico del primo secolo, attribuendo unicamente alla comunità primitiva la responsabilità d’avere, in qualche modo, tradito la realtà storica e l’intenzionalità originaria del proprio maestro, bensì rileggere e rieditare le stesse radici giudaiche al fine di aprirle ad interpretazioni che il cristianesimo ha fatto proprie nella storia, ma che già risiedevano presso la coscienza ebraica del I sec. della nostra era. Più che una relativizzazione del personaggio cristologico di Gesù di Nazaret, tale posizione tende ad un ampliamento di prospettive dello stesso contesto culturale e religioso dell’ebraismo di allora, troppo spesso letto in antagonismo con le idee teologiche che il cristianesimo ha fatto proprie e quindi ritenuto alieno a ciò che di più proprio appartenne al cristianesimo delle origini.

Questo tipo di apertura, dopo l’epoca della scoperta dell’«ebraicità di Gesù» vede ora, potremmo dire, una riscoperta della «cristicità dell’ebraismo», ovvero di quelle categorie storiche e teologiche che il cristianesimo delle origini è andato a rivisitare perché presenti nelle operazioni stesse della ricerca midrashica sulle Sacre Scritture, ricerca già avviata e istruita dallo stesso rabbì Gesù. La conseguenza più diretta che ne scaturisce è quella di far cadere la tradizionale frattura storica ed ermeneutica che ha caratterizzato tutta l’epoca della riscoperta dell’«ebraicità di Gesù» e, ancor prima, della ellenizzazione del cristianesimo: ovvero la rottura tra il Gesù della storia e il Cristo della fede, dove al primo corrispondeva l’istanza storica, meramente ebraica e al secondo l’interpretazione di una chiesa in missione e quindi profondamente ellenizzata nei suoi contenuti e intenti; il tutto a discapito di una continuità nella fedeltà storica del dato originario. Tale prospettiva più recente offre forse più chances nelripensare una continuità sistemica già connaturata allo stesso alveo originante dove si diffuse l’input iniziale che diede vita ad una costellazione ideologica basilare e identitaria del personaggio Gesù di Nazaret, fondata su attese e riletture convalidate da alcune linee teologiche già preparate e attestate in alcuni Giudaismi del Secondo Tempio.

La stessa istanza universalistica che ha caratterizzato la missione del Giudaismo cristiano del I sec. è possibile rintracciarla al livello del Gesù storico in dialettica con il teorema maggioritario dei gruppi giudaici, quello universalistico-gerosolimitano che vedeva il convenire di tutte le nazioni a Gerusalemme, al monte Sion, verso il Tempio (cfr. Is 2,1-5 e Mi 4,1-3), sostenuto ulteriormente dall’opera di Erode il Grande e i suoi successori per l’ampliamento dell’area templare al fine di favorire al massimo livello le feste di pellegrinaggio e la centralizzazione dell’unico luogo di culto, con evidenti ricadute economiche di profitto. La posizione di Gesù si colloca invece entro uno schema che relativizzava il principio dell’unicità del luogo di culto in Gerusalemme, in difesa della libertà di Dio Padre di entrare ed uscire dal suo Tempio, e di abbandonarlo a motivo dell’infedeltà del popolo eletto; teologia conosciuta e consacrata nel libro santo del profeta Ezechiele che, dall’esilio, vede la «gloria del Signore» lasciare ed allontanarsi dal Tempio. Posizione teologica che Gesù fa propria, in territorio critico, come la Samaria: «Né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre…» (cfr. Gv4,21ss).

E su queste e molte altre premesse vissute e difese fino alla morte da Gesù ha avuto inizio una storia millenaria di testimonianza di fede. Tale prospettiva richiede di prendere le distanze anche rispetto ad alcune conclusioni o sollecitazioni di Daniel Boyarin ma di trattenere l’intuizione di fondo, funzionale ad ampliare le facce del poliedro dell’interpretazione giudaica della cristologia, in origine.


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30/04/2016 16:40
 
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Il Gesù storico
e i criteri per valutare l’autenticità del Nuovo Testamento

studio 

di Michael R. Licona*
*docente di Teologia presso la Houston Baptist University e studioso di Nuovo Testamento.

 tratto da S. McDowell, A New Kind of Apologist, Harvest House Publishers 2016.

 La prima questione è quella di definire cosa si intende per “Gesù storico”. Sebbene gli studiosi non siano d’accordo su una definizione, la maggior parte sembra soddisfatta della seguente: dopo che i dati sono stati setacciati, ordinati e valutati, il “Gesù storico” è il Gesù storico che si può dimostrare con ragionevole certezza, non partendo dalla fede in Lui.

E ‘importante osservare che il “Gesù storico” non è il vero Gesù, quello che camminava e insegnava in Giudea e Galilea, ma è il Gesù che si può conoscere tramite i risultati dell’indagine storica. Il vero Gesù era molto di più del “Gesù storico”, c’è inoltre il Gesù nei Vangeli. Questo terzo Gesù è anch’esso una rappresentazione parziale del vero Gesù, che aveva molti più elementi della sua personalità, disse e fece molte altre cose rispetto a quanto possa essere stato riportato in un Vangelo con una lunghezza inferiore a venticinquemila parole. Capire queste distinzioni è molto importante. Come fanno gli storici ad arrivare a conclusioni per quanto riguarda Gesù? Ci sono diversi approcci e vari strumenti utilizzati all’interno di ogni approccio, quello più comune al momento è riconoscere che Gesù era un predicatore itinerante ebreo che è vissuto nella Palestina del primo secolo, all’interno di una una cultura ebrea e greco-romana. In questo modo si assume un contesto di fondo che aiuta ad una comprensione più precisa di ciò che Gesù ha insegnato e l’impatto che può avere avuto su coloro che lo ascoltavano.

Vengono poi applicati dei criteri di autenticità alle parole e alle azioni di Gesù conservate nei Vangeli, essi riflettono principi del senso comune. Se due o più fonti indipendenti una dall’altra forniscono resoconti simili dello stesso evento, possiamo avere più fiducia che l’evento si è realmente verificato rispetto a quando ci riferiamo ad una fonte soltanto. Questo è chiamato il criterio dell’attestazione multipla. Un esempio concreto è la sepoltura di Gesù, riferita sia dal Vangelo di Marco che dalle lettere di Paolo, fonti indipendenti tra loro, evento che quindi soddisfa il criterio della attestazione multipla. Se una fonte ostile od estranea alla fede cristiana offre un resoconto che conferma le fonti cristiane, possiamo avere più fiducia che tale evento si è verificato, dal momento che la fonte ostile non dovrebbe essere influenzata dagli autori delle fonti cristiane. Questo è chiamato ilcriterio delle fonti indifferenti. Ad esempio, Tacito -per il quale il cristianesimo era il male e una malevole superstizione (Annali 15,44), riporta l’esecuzione di Gesù da parte di Ponzio Pilato, un resoconto del tutto compatibile con quello che troviamo nei Vangeli. Gli storici possono così avere più fiducia nel fatto che l’evento si è realmente verificato.

Se i Vangeli forniscono un episodio o un detto di Gesù che sarebbe stato imbarazzante per il movimento paleocristiano, possiamo avere più fiducia che tale elemento sia storico, dal momento che è improbabile che l’autore cristiano inventi contenuti che avrebbero potuto sminuire la causa per il quale scriveva. Questo è chiamato il criterio dell’imbarazzo. Ad esempio, Marco riporta che Pietro ha rimproverato da Gesù, il quale, a sua volta, ha rimproverato Pietro, chiamandolo “Satana” (Marco 8, 31-33). Dal momento che Pietro era il leader della chiesa di Gerusalemme, sembra davvero improbabile che i primi cristiani abbiano inventato e conservato una tradizione che lo discreditava in modo così pesante. Gli storici preferiscono avere resoconto da testimoni oculari o da una fonte scritta vicino all’evento che si propone di descrivere. Questo è chiamato il criterio dell’attestazione precoce. Ad esempio, quasi tutti gli studiosi concordano sul fatto che Paolo ha conservato una tradizione orale in 1 Corinzi 15, 3-7, che risale ai primi giorni della chiesa cristiana e il cui contenuto, anche se non necessariamente nella forma in cui è stato scritto, molto probabilmente risale agli apostoli di Gerusalemme.

Sarebbe bello se gli storici potessero salire su una macchina del tempo, tornare al passato e verificare le loro conclusioni. Dal momento che non è possibile, si può soltanto stabilire le questioni solo con diversi gradi di certezza. Ed è del tutto normale che la mancanza di dati possa portare gli storici ad una falsa conclusione, questo è vero sia per gli eventi biblici che per ogni altro evento dell’antichità. Di conseguenza, la soddisfazione di uno o più criteri di autenticità in relazione a specifici detti o azioni di Gesù, può stabilire la loro autenticità con “ragionevole”, ma non “assoluta”, certezza.  Molti scettici, dentro e fuori del mondo accademico, hanno un approccio del genere: “Fino a quando non vi è una spiegazione alternativa al racconto biblico che non possa essere assolutamente smentita, il racconto biblico non deve essere preso sul serio”. Un tale approccio suggerisce una comprensione superficiale di come funziona l’indagine storica. Uno storico competente abbraccia quello che ritiene essere la spiegazione più probabile dei dati disponibili, dal momento che c’è poco che può essere stabilito con una tale certezza del lontano passato non c’è spazio per stabilire un’alternativa estremamente improbabile.

Nel corso degli ultimi venti anni sono comparsi una serie di libri e articoli dove si sostiene che Gesù è un mito mai esistito, ma soltanto una manciata degli autori hanno qualche credenziale accademica. Purtroppo, la maggior parte dei lettori dei “miticisti” (come vengono comunemente chiamati questi autori) non sono abituati al pensiero critico e a confrontare le fonti. Per loro, Earl Doherty e Dee Murdock (aka Acharya S) sono credibili quanto John Meier e NT Wright. Eppure, né Doherty né Murdock sono mai andati oltre ad una laurea, mentre Meier e Wright vantano diversi dottorati in settori pertinenti ed insegnano studi neotestamentari presso le prestigiose università. Non sto affermando che la mancanza di credenziali accademiche vieta di avere buoni argomenti, ma che l’assenza di un’adeguata formazione ed esperienza nei campi appropriati è la causa dei loro eclatanti errori e delle inverosimili tesi “negazioniste”.  I lettori dovrebbero capire che la pubblicazione sul World Wide Web non basta a rendere studiosi di fama mondiale, dal momento che l’unica credenziale che si deve avere per pubblicare su Internet è quella di saper respirare.

E’ comunque importante riconoscere che presentare buoni argomenti ad uno scettico non ci assicura che ne uscirà convinto. Le loro obiezioni a seguire Gesù possono essere intellettuali, emotive o volitive. E’ loro responsabilità prendere una decisione corretta, è nostra responsabilità condividere il messaggio di speranza di Cristo “con dolcezza e rispetto” e “con grazia”, ​​come Pietro e Paolo ci hanno insegnato. Il messaggio del Vangelo è già offensivo per qualcuno, non abbiamo bisogno di renderlo ancora più ostile presentandolo in un modo che manca di dolcezza, rispetto e tolleranza. Quando combiniamo la conoscenza intellettuale con un cuore profondamente attento ai nostri amici non credenti, saremo piacevolmente sorpresi di trovarci impegnati in dialoghi molto più divertenti ed efficaci di quanto potremmo mai immaginare.


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05/05/2016 18:41
 
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L’alfabetizzazione nel primo secolo e la scrittura dei Vangeli



papiriAlcuni critici negano la tradizionale paternità dei vangeli sostenendo che difficilmente possono essere stati scritti da qualcuno vicino a Gesù, poiché l’analfabetismo sarebbe stato molto diffuso nell’antico Israele.


E’ allora importante segnalare la recente scoperta realizzata da ricercatori della Tel Aviv University e pubblicata negli atti della National Academy of Sciences, secondo cui l’alfabetizzazione in quell’area era molto più diffusa di quanto si pensi già dal 600 a.C., cioè verso la fine del primo tempio di Gerusalemme, quindi prima del periodo secondo il quale molti studiosi ritengono sia stata composta la maggior parte dei testi biblici, tra cui il Pentateuco, rifacendosi proprio ai livelli di alfabetizzazione della popolazione all’epoca. Ed invece, il team di ricerca di Tel Aviv ha suggerito che nel regno di Giuda vi potevano essere almeno 100.000 persone alfabetizzate e questo «implica la presenza di una infrastruttura educativa che potrebbe sostenere che la composizione dei testi biblici esisteva già prima della distruzione del primo Tempio».


Si potrebbe quindi estendere queste interessanti conclusioni dei ricercatori israeliani anche per quanto riguarda la composizione dei Vangeli. Se l’alfabetizzazione ebraica in quella zona era già diffusa e prolifica prima del 600 a.C., certamente lo sarà stato ancora di più nel 30 d.C. Ciò significa che le persone attorno a Gesù erano in grado di creare i loro appunti con i detti e le azioni di Gesù già durante la sua vita pubblica, ai quali hanno potuto far riferimento gli autori dei vangeli. Già oggi gran parte degli studiosi sostengono l’esistenza di fonti scritte, non soltanto orali, presinottichechiamate fonte Q (a cui hanno fatto riferimento gli evangelisti Matteo e Luca), fonte L (a cui ha fatto riferimento il solo Luca), una fonte indipendente per Matteo, Marco e una per Giovanni. Documenti molto antichi, tanto che San Paolo nella seconda lettera ai Corinzi, datata tra il 54 e il 57 d.C., riferisce di scritti esistenti prima della sua conversione, avvenuta nel 35 d.C. (ad esempio in 2 Cor 8,18-19), che la scuola esegetica di Madridritiene essere «gli originali semitici delle fonti di Luca, scritte nel primo decennio dopo la morte di Gesù, tra l’anno 30 e il 40» (J.M. Garcia, Los orígenes históricos del cristianismo, Ediciones Encuentro 2008, p.59).


Lo studioso agnostico Bart D. Ehrman è forse il più importante portavoce di questa critica ai vangeli, nel suo libro Did Jesus Exist? (HarperCollins Publishers 2012) infatti scrive: «è stato dimostrato quanto fosse scarso il livello di alfabetizzazione nel mondo antico», sostenendo questa affermazione attraverso due studi. Il primo è quello di William Harris, secondo il quale «nei periodi migliori solo il 10% della popolazione del mondo antico sapeva leggere e forse copiare qualche parola scritta», il secondo è di Catherine Heszer, la quale «dimostra come all’epoca di Gesù forse solo il 3% degli ebrei palestinese fosse in grado di leggere e scrivere» (p. 49). Mentre lo studio di Harris è un’analisi comparativa che sembra essere stata smentita dallo studio dell’Università di Tel Aviv citato in precedenza, sulla “dimostrazione” della Heszer bisogna rilevare una bugia da parte di Ehrman.


Infatti, il noto studioso cita il titolo dello studio della ricercatrice della London University, ma senza far riferimento alla pagina o al capitolo in cui essa dimostrerebbe quello che Ehrman le vuole far sostenere. Questo perché, se ci si reca a leggere il lavoro della Heszer –come ha fatto Jimmy Akin-, si legge: «il tasso esatto di alfabetizzazione tra gli antichi ebrei non può essere determinato». Facendo a sua volta riferimento ad un altro autore, cioè alle affermazioni del rabbino ortodosso Meir Bar-Ilan, la studiosa afferma: «se il tasso medio di alfabetizzazione tra gli ebrei palestinesi era solo il 3 per cento, come sostiene Bar-Ilan, o leggermente superiore, deve in ultima analisi rimanere senza risposta» (C. Heszer, Jewish Literacy in Roman Palestine, Mohr Siebeck 2001, p.496).


Quindi, al contrario di quanto scrive Ehrman, la Heszer non dimostra nulla, ma semplicemente si rifà ad una affermazione del rabbino Bar-Ilan e allo studio di William Harris. Entrambi, però, hanno ricevuto buona risposta dal recente studio israeliano, secondo il quale l’alfabetizzazione ebraica era già ampiamente diffusa prima del 600 d.C. e quindi, per deduzione, ancor di più nel primo secolo d.C.. Tanto che Alan Ralph Millard, professore emerito di Ebraico e di Lingue semitiche presso la School of Archaeology, Classics and Egyptology dell’Università di Liverpool, ha scritto (per leggere l’intera pubblicazione bisogna essere registrati alla rivista scientifica): «le prove che dimostrano che la lettura e la scrittura erano ampiamente praticatenell’era di Gesù cresce alla scoperta di ogni nuova iscrizione, abbiamo diverse testimonianze che ci conducono a ritenere in quel luogo e in quel tempo un maggior livello di alfabetizzazione di quanto a volte si suppone e molte persone comuni, non soltanto l’élite, sapevano leggere e probabilmente anche scrivere». Per questo, ha concluso, «non c’è motivo di dubitare dell’esistenza di fonti e testimoni oculari di ciò che ha detto e fatto Gesù di Nazareth».



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16/05/2016 13:02
 
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29/05/2016 22:22
 
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Nel Vangelo di Marco,
perché non si parla delle apparizioni del Gesù risorto?

dubbio tommasoSpesso il finale del Vangelo di Marco suscita qualche perplessità, in particolare quando si racconta delle donne che videro la tomba vuota di Gesù e ricevettero l’invito di un angelo ad avvertire gli apostoli della resurrezione del Signore. Il brano si conclude così: «Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite» (Mc 16,1-8).

Molti obiettano: se non dissero niente a nessuno, come si è trasmesso il messaggio della risurrezione agli apostoli? E perché negli altri Vangeli si racconta, invece, che esse corsero a riferire l’annuncio? Alla domanda ha risposto recentemente il teologo domenicano padre Angelo Bellon, riportando un’osservazione intelligente:«Questo non esclude che, cessata la paura, abbiamo raccontato tutto, come si evince dagli altri vangeli. E infatti l’hanno raccontato. Diversamente come avrebbe potuto Marco dire che esse tennero per sé la notizia e non dissero nulla? Se la notizia non si fosse risaputa, Marco non avrebbe dovuto scrivere più nulla e avrebbe dovuto fermarsi al racconto della morte e sepoltura».

La riflessione è logicamente valida: se le donne non avessero mai raccontato quanto riferito dall’angelo al sepolcro, Marco non avrebbe potuto scrivere che “non dissero niente a nessuno”. Lo stesso è stato sostenuto dal celebre studioso di Nuovo Testamento, l’olandese William Hendriksen(in Exposition of the Gospel According to Mark, Grand Rapids 1975).

Risolta questa questione, rimane aperto il dibattito sul finale del Vangelo di Marco, la maggior parte degli studiosi sostiene infatti -con valide ragioni- che la parte riguardante Marco 16,9-20 sia stata aggiunta in un secondo momento. Sulla prestigiosa Bibbia di Gerusalemme, si legge: «tra il versetto 8 e il versetto 9 c’è nel racconto una soluzione di continuità. D’altronde si fatica ad accettare che il secondo Vangelo nella prima redazione si arrestasse bruscamente al versetto 8. Da qui la supposizione che la finale originaria sia scomparsa per una causa a noi sconosciuta e che la finale attuale sia stata redatta per colmare la lacuna. Essa si presenta come un riassunto sommario delle apparizioni del Cristo risorto, la cui redazione è sensibilmente diversa dallo stile abituale di Marco, concreto e pittoresco. Tuttavia l’attuale finale è stata conosciuta fin dal II secolo da Taziano e da Ireneo e ha trovato posto nella stragrande maggioranza dei manoscritti greci e traduzioni dei primi secoli. Se non si può provare che ha avuto Marco per autore, resta sempre, secondo l’espressione di Swete, un’autentica reliquia della prima comunità cristiana».

Il prof. Michael R. Licona, docente di Teologia a Houston Baptist University e noto studioso del Vangelo, ha affermato«Concordo con quasi tutti gli studiosi sul fatto che il Vangelo di Marco probabilmente si è concluso con 16,8 e che i versi 16,9-20 sono stati aggiunti in seguito. E’ possibile che Marco non avesse intenzione di concludere così il suo Vangelo, credo che non fosse stato in grado di concluderlo a causa di una malattia, della prigionia o la morte. E’ anche possibile che il finale di Marco sia andato perduto». La perdita del finale del Vangelo di Marco è ipotizzata anche da altri studiosi importanti, come Craig A. Evans e RT France .

In ogni caso, certamente Marco era a conoscenza delle apparizioni del Risorto dopo la morte, anche perché lo predisse lo stesso Gesù durante l’Ultima Cena: «Ma dopo che sarò risuscitato, vi precederò in Galilea» (Mc 18,28). E lo stesso disse l’angelo alle donne che trovarono il sepolcro vuoto: «Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”» (Mc 16,7). Inoltre, ha proseguito ilprof. Licona«le apparizioni di Gesù sono descritte anche nelle lettere di Paolo, il quale probabilmente le ha scritte prima che Marco scrivesse il suo Vangelo. E se gli Atti degli Apostoli sono corretti (vedi capitoli 12 e 15), Marco conosceva Paolo e aveva anche viaggiato con lui durante uno dei suoi viaggi missionari. Quindi, è molto probabile che aveva familiarità con i racconti che Paolo menziona. Sostenere, perciò, che Marco non sapeva delle apparizioni è del tutto speculativo e, a mio parere, sbagliato».


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29/05/2016 22:28
 
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Il Vangelo di Marco si basa sulla testimonianza di Pietro



Vangelo di MarcoAll’estero, sopratutto in America, tantissimi studiosi del cristianesimo primitivo hanno un loro blog personale in cui pubblicano documenti, riflessioni, rispondono a domande e dialogano tra loro. Storici, teologi, biblisti, studiosi del Nuovo Testamento di diverso orientamento: cattolici, agnostici, protestanti, ebrei.


E’ molto interessante seguire il dibattito, in particolare recentemente sul blog di Larry W. Hurtado, noto docente di Nuovo Testamento presso l’Università di Edimburgo, è apparso uno scambio epistolare tra lui e Richard Bauckham, tra i maggiori biblisti americani, docente all’University of St Andrews e membro della British Academy e della Royal Society of Edinburgh. Bauckham, discutendo con Hurtado sul ruolo dei testimoni oculari nella formazione dei Vangeli, ha spiegato di stare lavorando ad un sequel del suo fortunato libro “Jesus and the Eyewitnesses: The Gospels as Eyewitness Testimony” (2008) (“Gesù e i testimoni oculari: i Vangeli come testimonianze oculari”), e che, in questo nuovo volume, presenterà nuove prove sul fatto che il Vangelo di Marco è basato in gran parte sulla testimonianza oculare dell’apostolo Pietro (come d’altra parte affermava già Papia).


Diciamo che non è proprio una novità, da tempo la comunità scientifica ha accertato questo dato. Secondo un’ampia parte degli studiosi, Marco avrebbe composto il suo vangelo attorno al 70 d.C., seppur utilizzando materiale redatto molti anni prima, trascrivendo fonti pre-sinottiche diffuse fin dagli anni immediatamente successivi alla morte di Gesù: ad esempio secondo Barth Ehrman tutto quello che riguarda la Passione. Rudolp Peschle chiama fonti “pre-marciane”, scritte uno-due anni dopo la morte di Gesù. Willibald Bosen, ad esempio, ha fatto notare che Marco non cita il sommo sacerdote Caifa, come se esso fosse ancora in attività (vi restò fino al 37 d.C.).


Altri studiosi, invece, ritengono che tutto il Vangelo di Marco vada anticipato al 44 d.C., quando l’evangelista accompagnò Pietro a Roma. Ad affermarlo è anche la scuola dei sostenitori del papirologo José O’Callaghan, il quale ha attribuito il frammento 7Q5 dei rotoli di Qumran (trovati in grotte chiuse nel 68 d.c.) al VI capitolo del Vangelo di Marco (Mc 6, 52-53), comparazione confermata da successivi studi e sostenuta da innumerevoli studiosi (in Italia, ad esempio, Orsolina Montevecchi, presidente dell’Associazione Internazionale Papirologi: «è praticamente impossibile che possa trattarsi di un altro testo, magari sconosciuto. Mi pare giunto il tempo di inserire il frammento 7Q5 nella lista ufficiale dei papiri del Nuovo Testamento», “Aegyptus” 1994, p. 206-207), compresi molti iniziali critici, come J.M. Vernet che nel Simposio a Roma nel 2002 intitolato “Contributo delle scienze storiche allo studio del Nuovo Testamento”, ha pubblicamente decretato, assieme ad altri studiosi, che «è divenuta praticamente unanime l’idea che l’identificazione del gesuita catalano sul 7Q5 è la più sicura e la più chiara, comparata alle numerose altre presentate come alternative. Lo studio e il metodo scientifico di O’Callaghan e di altri autori favorevoli all’identificazione di 7Q5 con Mc 6, 52-53 sono corretti, seri e scientifici» (firmato da P.Parker, C. Roberts, C. Hemer, P. Gamet, V. Spottorno ecc). Le conclusioni di Vernet corrispondono a quelle del Simposio internazionale sul frammento 7Q5 dell’ottobre 1991 a Eichstätt, dove quasi tutti gli studiosi che vi hanno partecipato si sono detti d’accordo con la attribuzione di O’Callaghan (gli atti del Simposio sono pubblicati in M. Bernhard, “Christen und Christliches in Qumran?, Eichstätt Studien XXXII, Regensburg, Verlag Friedrich Prustet 1992).


In ogni caso l’autore del Vangelo di Marco è da ritenersi un testimone oculare, secondo Bauckham. Il quale ha anche aggiunto: «Penso anche che il “discepolo amato” scrisse lui stesso il Vangelo di Giovanni, e che anche lui è stato quindi un testimone oculare. Naturalmente il suo Vangelo è il prodotto della sua riflessione, su ciò che aveva visto durante la sua vita». Per quanto riguarda Luca, così come ha fatto Marco, «ha preso ogni occasione per incontrare i testimoni oculari e li ha intervistati. Ha raccolto materiale probabilmente da un certo numero di testimoni oculari minori dai quali ha ricevuto storie o detti individuali».



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26/06/2016 22:53
 
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La città di Nazareth
esisteva certamente anche al tempo di Gesù

nazarethPiù passa il tempo, più l’analisi critica dei Vangeli viene approfondita e più ci viene restituita un’immagine del Gesù storico che è tranquillamente sovrapponibile a quella che tutti i cristiani hanno ricevuto nella loro educazione.

Ma, come è giusto accettare le numerose conferme che arrivano dalla comunità scientifica sulla storicità di Gesù, è altrettanto doveroso tenere in considerazione le perplessità o le smentite di alcuni particolari sulla vita del Nazareno. Una questione assai discussa in campo accademico, ad esempio, è la sua città di nascita. Betlemme, come da sempre viene insegnato, oppure Nazareth? Gli studiosi sono divisi, anche se quest’ultima sembra essere sostenuta dall’opinione dominante. John P. Meier, docente di Nuovo Testamento alla Notre Dame University, tra i principali biblisti viventi e colui che è riuscito volutamente ad offrire, nel suo monumentale lavoro, l’opinione sulla vita del Gesù storico maggiormente condivisa dai suoi colleghi, seppur tendente anche lui ad accreditare Nazareth come effettivo luogo di nascita, ammette che «non è possibile avere certezza su questo punto» (J.P. Meier, Un ebreo marginale, vol.1, Queriniana 2008, p.210). Diversi studiosi, infatti, sostengono la storicità della nascita a Betlemme, il prof.Jerome Murphy-O’Connor, docente di Nuovo Testamento presso l’École Biblique di Gerusalemme, è stata forse la voce più autorevole tra essi.

In entrambi i casi, tuttavia, la vera città di origine di Gesù è stata Nazareth, in essa è avvenuta l’Annunciazione a Maria e in essa il Messia ha abitato ed è cresciuto. Non a caso, viene chiamato il Nazareno. Ci è stato tuttavia segnalato un articolo di un miticista scettico, René Salm, il più recente critico dell’esistenza storica della città di Nazareth ai tempi di Gesù. «Se Nazareth non esistesse»ha scritto Salm, «significa che gli evangelisti hanno mentito in modo piuttosto significativo. Dopo tutto, tale luogo è citato almeno dieci volte nei Vangeli canonici e gli Atti degli Apostoli. In altre parole, questo non sarebbe un singolo errore, ma un’invenzione calcolata e ricorrente nei vangeli». Questo comprometterebbe totalmente l’attendibilità degli scritti evangelici ed infatti, continua Salm, «la paletta dell’archeologo fa paura perché potrebbe dimostrare che le cose non sono accadute come dicono le Scritture, quindi la Bibbia non è la parola di Dio». Lo scettico si avventura quindi in una lunga (quanto scarna di note bibliografiche) ricostruzione storica della cittadina, affermando: «possiamo quindi trarre una conclusione scioccante per i fedeli cristiani: l’archeologia mostra abbastanza chiaramente che i racconti evangelici di Nazareth sono fittizi, non veri. Stando così le cose, si può chiedere: “Anche Gesù di Nazareth è stato una finzione?”».

Per lui, la cittadina è stata abitata durante l’età del Bronzo, ma non annoverò alcun abitante ai tempi dei romani, nel I secolo. Basandosi sulle tombe rinvenute nell’area, afferma che venne ripopolata nel II° secolo dagli ebrei in cerca di nuova sistemazione dopo la distruzione di Gerusalemme. Per confutare tale tesi, bisognerebbe innanzitutto prendere sul serio tale René Salm, e questa è la parte più difficile. Non soltanto questo signore è privo di qualunque titolo accademico in ambito storico o archeologico, ma nemmeno presenta le sue credenziali generali. Senza considerare che si autodefinisce “miticista”, negando quindi l’esistenza storica di Gesù di Nazareth, una posizione antiscientifica che non è più possibile sostenere nel 2016.

Potrebbe comunque dire cose vere, anche senza competenze specifiche, per cui vale la pena -data anche l’ampia visibilità che ha guadagnato sul web- replicare alle sue affermazioni. Bisognerebbe però premettere una notazione fondamentale, ben espressa dallo studioso agnostico Bart D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento presso l’Università del North Carolina: «Una delle asserzioni più frequenti negli scritti dei miticisti è che Nazareth non sarebbe mai esistita, la logica inerente a questa tesi sembra quella secondo cui se i cristiani inventarono la città di Gesù, probabilmente inventarono anche il personaggio. Potrei sbarazzarmene con relativa facilità, facendo presente che è un’argomentazione poco pertinente: se Gesù è esistito, come suggeriscono le prove a nostra disposizione, ma Nazareth è un’invenzione, come asseriscono i miticisti, ebbeneGesù arriverà da altrove. Che Barack Obama sia nato o no negli Stati Uniti non conferma e non smentisce il dato della sua nascita» (B.D. Ehrman,Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p.194). E’ una tesi non pertinente sulla storicità di Gesù, dunque.

Entrando nel merito, stupisce che Salm dia ampio risalto a qualcosa che gli studiosi sanno da tempo: Nazareth non è mai menzionata nella Bibbia ebraica, negli scritti di Giuseppe Flavio o nel Talmud, ma compare per la prima volta solo nei vangeli. Capiremo, alla fine di questo articolo, il perché. Lo stesso Ehrman dedica un’ampia risposta proprio alle tesi di questo scettico, dopo aver a sua volta sottolineato che non si tratta né di uno studioso, né di un archeologo. Salm sottolinea che le tombe ritrovate nell’area di Nazareth non erano in uso nella Galilea della metà del I secolo, pertanto non risalgono ai tempi di Gesù e quindi la cittadina non esisteva. «E’ difficile comprendere perché le tombe di Nazareth che si possono far risalire all’epoca immediatamente successiva dovrebbero indicare che ai tempi di Gesù non c’era una città. In che modo il fatto che si possa stabilire l’esistenza di un centro abitato in un periodo più tardo dimostra che in precedenza la città non era popolata? Il fatto che nessuna delle tombe ritrovate risalga all’epoca di Gesù che cosa dimostra? Assolutamente nulla» (p. 197), ha risposto il prof. Ehrman. Inoltre, occorre considerare che le tombe delle persone non facoltose (nessuna testimonianza di famiglie facoltose a Nazareth) erano poco profonde e non sepolcri scavati nella roccia come quelle trovate in epoca successiva. «Non succede quasi mai che le fosse dei poveri resistano tanto a lunga da essere scoperte dagli archeologi» (p. 197), scrive lo studioso. Tuttavia, a proposito di tombe, il biblista americano Jack Finegan, professore emerito di Storia del Nuovo Testamento e Archeologia al Pacific School of Religion di Berkeley (California), ha precisato: «Delle ventitré tombe ritrovate, due di esse contenevano ancora oggetti come lampade di ceramica, vasi e recipienti di vetro risalenti al I, III o IV secolo dell’era cristiana. Quattro delle tombe erano invece chiuse con pietre rotolate, un tipo di chiusura tipico del tardo periodo ebraico, fino al 70 d.C. Dalle tombe, pertanto, si può concludere che Nazareth era un insediamento fortemente ebraico nel periodo romano» (J. Finegan, The Archaeology of the New Testament, Princeton University Press 1992, pp. 44-46). Ovvero, al tempo di Gesù.

Al di là dei «macroscopici errori logici» (p. 198) della tesi di Salm relativi al fianco della collina dove tradizionalmente viene collocata Nazareth, Ehrman riferisce che «molti reperti archeologici degni di fede indicano che Nazareth esisteva ai tempi di Gesù e che, analogamente ad altri villaggi e cittadine di quella parte della Galilea, era stata edificata sul fianco della collina, nei pressi delle future tombe scavate nella roccia. Inoltre, gli archeologi hanno portato alla luce una fattoria collegata al villaggio che risale all’epoca di Gesù» (p. 198). Ehrman si riferisce al ritrovamentodel 1996-1997 di una sorta di azienda agricola di epoca romana, con terreno agricolo, torchio, torri di guardia, pietre per la frantumazione delle olive, sistemi di irrigazione e un’antica cava, sono state anche rinvenute 165 monete risalenti al periodo ellenistico, al XIV o XV secolo, ma anche a quello romano, in cui visse Gesù. Questo ha portato gli studiosi a sostenere che «la prova archeologica a disposizione, suggerisce che l’insediamento di Nazareth è esistito nel periodo del Secondo Tempio, compresa la zona intorno alla attuale Basilica dell’Annunciazione».

Il prof. Gregory Jenks, della facoltà di Teologia presso la Charles Sturt University, ha anche segnalato che gli antichi materiali ritrovati sotto l’attuale convento delle Sisters of Nazareth, scoperti nel 1884, sono stati datati al I° secolo, basandosi su analisi stratigrafiche (K.R. Dark, “Early Roman-Period Nazareth and the Sisters of Nazareth Convent” Antiquaries Journal 2012). Nel 2009, inoltre, è stata anche scoperta a Nazareth una casa risalente al tempo di Gesù, come l’archeologa Yardenna Alexandre, direttrice degli scavi dell’Israel Antiquity Autority ha confermato a Ehrman. I frammenti ceramici collegati all’abitazione, spaziano dal 100 a.C. al 100 d.C., i vasi sono di gesso e argilla, a conferma della povertà di chi l’ha abitata. Lo ha spiegato la stessa Yardenna all’Associated Pressscrivendo«La prima abitazione trovata a Nazareth può essere fatta risalire al tempo di Gesù. Le scoperte suggeriscono che Nazareth era un piccolo villaggio fuori mano composto da circa 50 case, costruite su un appezzamento di crica quattro acri (1,6 ettari), popolato da ebrei di modesta condizione economica». Non sorprende, dunque, che tale insignificante cittadina non sia mai stata nominata dalla Bibbia ebraica, da Giuseppe Flavio o dal Talmud.

Grazie a tutte queste prove, nessuno studioso serio mette più in dubbio l’esistenza di Nazareth nel I° secolo. Diversi archeologi hanno anche direttamente replicato a Salm, tra essi Ken Dark, direttore del Nazareth Archaeological Project: «Non ci risulta che Salm possieda titoli in ambito archeologico o che vanti esperienze di lavoro sul campo», ha precisato prima di replicare dettagliatamente a tutte le sue asserzioni. «Nel complesso, la sua tesi di fondo è insostenibile sul piano archeologico» (K. Dark, Review of Salm, Myth of Nazareth, in “Bullettin of the Anglo-Israel Archaelogical Society”, 2007). Gli archeologi Stephen J. Pfann e Yehudah Rapuano, a loro volta hanno scritto: «le valutazioni personali di Salm rivelano una mancanza di competenza nel settore e l’assenza di una seria ricerca delle fonti. La sua analisi e critica vanno relegati nell’ambito del “mito”» (S.J. Pfann & Y. Rapuano, On the Nazaret Village Farm Report: A Reply to Salm, in “Bullettin of the Anglo-Israel Archaelogical Society”, 2008). Ecco che fine fanno le tesi dei miticisti: ridotte, loro sì, a dei “miti”.


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30/01/2017 14:07
 
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La risurrezione di Gesù,
evento inconcepibile per gli ebrei del primo secolo

sindonePerché la Chiesa primitiva ha applicato la parola “risurrezione” a Gesù? La domanda si pone perché non esisteva la concezione della risurrezione corporale ed individuale tra gli ebrei suoi contemporanei. La risurrezione per loro sarebbe accaduta a tutti i giusti alla fine del mondo, non prima di essa.

Uno tra i principali studiosi del Nuovo Testamento del mondo anglosassone, N.T. Wright, alla fine di una vasta indagine sul pensiero del popolo ebraico, e non solo, del primo secolo, ha proprio verificato tutto ciò: l’idea di una risurrezione del corpo era per loro impossibile e inconcepibile«A differenza dei greci e dei romani», ha scritto N.T. Wright, «la morte non era vista dai Giudei come la liberazione dal mondo materiale, ma come una tragedia. Secondo l’insegnamento ebraico ci sarebbe stata una risurrezione corporale di tutti i giusti nel momento in cui Dio avrebbe rinnovato il mondo intero e rimosso tutta la sofferenza e la morte. La risurrezione, tuttavia, era solo una parte del completo rinnovamento del mondo e l’idea di un individuo resuscitato, nel bel mezzo della storia, mentre il resto del mondo continuava ad essere gravato dalla malattia, dal decadimento e dalla morte, era inconcepibile».

Il celebre storico ha proseguito: «Se qualcuno avesse detto ad un ebreo del primo secolo: “E’ stato risuscitato dai morti!”, la risposta sarebbe: “Sei pazzo? Come può essere? La malattia e la morte sono scomparse? La vera giustizia è stata ristabilita in tutto il mondo? Il lupo si è riconciliato con l’agnello? Ridicolo!”. L’idea stessa di una resurrezione individuale sarebbe stata letteralmente impossibile da immaginare sia da un ebreo che da un greco» (N.T. Wright, Jesus, the final days, Westminster John Knox Press 2010, p. 99). La speranza ebraica nella risurrezione dei morti era invariabilmente una speranza puramente escatologica.

Il lavoro di N.T. Wright è stato confermato dalla ricerca effettuata dal prof. Joachim Jeremias, celebre docente di Nuovo Testamento presso l’Università di Gottinga. Esaminando la letteratura ebraica, Jeremias ha concluso: «Nell’antico ebraismo non esisteva l’attesa di una risurrezione come un evento della storia. Certamente erano conosciute le risurrezioni dei morti, ma queste erano semplicemente rianimazioni per il ritorno alla vita terrena. Da nessuna parte nella letteratura giudaica si trova qualcosa di paragonabile alla risurrezione di Gesù» (J. Jeremias, “Die älteste Schicht der Osterüberlieferungen”, in Resurrexit, Libreria Editrice Vaticana 1974, p.194). Anche il teologo non credente Gerd Lüdemann ha ammesso che «l’analisi storica porta all’origine brusca della fede pasquale dei discepoli» (G. Lüdemann, Zwischen Karfreitag und Ostern in Osterglaube ohne Auferstehung?, Freiburg: Herder 1995, p. 27).

Soltanto una mente folle e autolesionista avrebbe scelto di inventarsi cose talmente inconcepibili se avesse avuto l’intenzione di convincere altri ebrei. C’erano strade ben più semplici a disposizione, non è così che si inventa. Inoltre, questo replica anche all’accusa di qualche scettico moderno secondo cui i discepoli avrebbero rubato il corpo di Gesù per far trovare vuoto il sepolcro. «Questo presuppone», commenta infatti N.T. Wright, «che i discepoli si sarebbero aspettati che gli altri ebrei fossero stati aperti alla convinzione che un individuo avrebbe potuto risuscitare dai morti. Ma niente di tutto questo era possibile. La gente di quel tempo avrebbe considerato una risurrezione corporale impossibile, esattamente come la ritengono molte persone del nostro tempo, seppur per motivi diversi».

Occorre anche considerare che secondo la legge dell’Antico Testamento, chiunque veniva condannato e appeso ad un albero era sotto la maledizione di Dio (Dt. 21.23), e gli ebrei applicarono questo verdetto anche ai condannati da crocifissione. Così, visto attraverso gli occhi di un seguace ebreo di Gesù del primo secolo, la crocifissione non era affatto la morte del proprio amato Maestro, ma una vera catastrofe: significava che, lungi dall’essere l’Unto di Dio, Gesù di Nazareth era semplicemente stato maledetto da Dio. Certo, nel primo secolo vi furono molti altri “rivoluzionari” che vennero giustiziati, ma, prosegue N.T. Wright, «nonostante la delusione, i loro seguaci mai sostennero che il loro eroe era stato risuscitato dai morti. La risurrezione non era concepibile come evento privato, i rivoluzionari ebrei il cui leader era stato ucciso dalle autorità e che erano riusciti a fuggire all’arresto, avevano solo due opzioni: rinunciare alla rivoluzione o trovare un altro leader. Affermare che il leader era tornato in vita, semplicemente non era un’opzione ragionevole. A meno che, naturalmente, fosse accaduto davvero così» (N.T. Wright, Jesus, the final days, Westminster John Knox Press 2010, pp.100-108).

C’è solo un ebreo che ha sostenuto di essere il Messia e i cui seguaci -andando contro la loro stessa concezione teologica- lo hanno inspiegabilmente proclamato risorto dai morti dopo essere stato giustiziato, venendo uccisi come martiri pur di testimoniare quel che avevano visto. E se avessero fatto questo semplicemente perché così realmente accadde?


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31/01/2017 11:02
 
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 IL PROBLEMA DELLA SCARSITA’ DELLE FONTI NON CRISTIANE


Per la maggior parte le fonti non cristiane sono di scarso valore per chi è interessato al Gesù storico. Come ha spiegato il biblista J.M. Garcia, direttore della Cattedra di Teologia dell’Università Complutense e docente di Sacra Scrittura dell’Università Ecclesiastica di San Damaso, «le fonti pagane ed ebraiche sul cristianesimo dei primi secoli sono per lo più scarse e brevi. Tale peculiarità è dovuta sopratutto all’origine insignificante della fede cristiana, che fa la sua comparsa nel mondo come un fatto umano qualsiasi e per giunta in Palestina, una regione del tutto emarginata dai centri di potere» (J.M. Garcia, Il protagonista della storia. Nascita e natura del cristianesimo, Rizzoli 2008, p. 19).


L’eminente studioso J.P. Meier, professore di Nuovo Testamento alla Notre Dame University e tra i più importanti biblisti viventi, ha confermato: «Dal punto di vista della letteratura giudaica e pagana del secolo successivo a Gesù, il Nazareno fu al massimo un puntino sullo schermo del radar […]. Fu semplicemente insignificante per la storia nazionale e mondiale, agli occhi degli storici giudei e pagani del I. sec. e dell’inizio del II sec. d.C.», senza contare che «il processo e l’esecuzione di Gesù lo resero marginale in un modo terrificante e ripugnante». Se si ipotizza un bilancio possiamo dire che «Gesù è stato un ebreo vissuto in una Palestina giudaica direttamente o indirettamente controllata dai romani. In un certo senso, egli appartenne a entrambi i mondi; alla fine fu rigettato da entrambi. Gesù per primo marginalizzò se stesso» (J.P. Meier, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico, Queriniana 2008, p. 16). Il biblista italiano Romano Penna, ordinario di Origini Cristiane presso la Pontificia Università Lateranense, ha confermato: «Il mondo della grande cultura greca e romana del I secolo è rimasto del tutto estraneo alle origini del fatto cristiano, le quali da una parte non avevano titoli umani sufficienti per richiamare la sua attenzione, e dall’altra neppure lo pretendevano» (R. Penna, L’ambiente storico-culturale delle origini cristiane: una documentazione ragionata, EDB 1986, p. 270). Gli evangelisti, come ha giustamente ricordato il prof. R. Penna, non avevano alcuna intenzione di creare quella che oggi intendiamo essere una biografia storica, «le fonti rimaste su Gesù non hanno mai avuto l’intenzione di registrare tutto o la maggior parte delle parole e delle azioni del suo ministero pubblico, per non parlare del resto della sua vita» (J.P. Meier, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, p. 27).


Occorre considerare che, per chi crede, tutto questo non fa altro che confermare la principale caratteristica di Dio: l’umiltà dell’introdursi tra gli uomini silenziosamente, partendo da un pugno di poveri pescatori in una piccola e povera regione di una marginale provincia romana. Eppure, bisogna anche ricordare che «le distruzioni di massa operata da Vespasiano e poi da Adriano spazzarono via tutti gli archivi di Gerusalemme», come ha notato la storica Barbara Frale (B. Frale, La Sindone di Gesù Nazareno, Il Mulino 2009, p. 127). Anche Karl Adam, professore di teologia morale presso l’Università di Strasburgo, ha fatto notare che «l’insieme della tradizione letteraria dell’epoca dell’impero romano fino ai tempi di Tacito e Svetonio è andata perduta» (K. Adam, Gesù il Cristo, Morcelliana 1943, p. 61). Restando sullo storico romano Tacito, ad esempio, sono andati perduti molti libri della sua opera Annali, nella quale ha delineato la storia di Roma dal 14 al 68 d.C. «Sfortunatamente per noi», ha osservato il prof. J.P. Meier«una delle lacune negli Annali si trova nella trattazione del 29 d.C., con la narrazione che riprende nel 32 d.C. Di conseguenza, l’anno più probabile del processo e della morte di Gesù (30 d.C.) non è presente negli attuali manoscritti degli Annali» (J.P. Meier, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, p. 86).


In secondo luogo, occorre precisare che «chiunque abbia familiarità con la storia antica non dovrebbe turbarsi perché i dati principali nella vita di Gesù devono restare approssimativi, lo stesso vale per la maggioranza dei personaggi storici dell’epoca grecoromana […]. Le lamentele per la scarsità e la ambiguità delle fonti sono un tratto comune alla maggior parte delle biografie degli imperatori romani» (J.P. Meier, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, p. 28, 355). Flavio Giuseppe, ad esempio, non viene mai nominato nelle fonti greche e romane, non c’è nessun testimone oculare per lui. Non conosciamo le date di nascita e/o morte di Erode Antipa, di Ponzio Pilato, di Girolamo e degli imperatori Nerva e Traiano. Quello che sappiamo con certezza di Alessandro Magno può essere raccolto in poche pagine (oltretutto risalenti a 400 anni dopo la sua morte), così come per Socrate, la prima menzione di Erodoto risale a 100 anni dopo la morte. Dobbiamo anche pensare che «giudei e pagani di questo periodo, se pure erano informati di un nuovo fenomeno religioso all’orizzonte, sarebbero stati più informati sul gruppo nascente chiamato cristianesimo che su colui che era ritenuto il suo fondatore, Gesù. Alcuni di questi scrittori, almeno, avevano avuto contatti diretti o indiretti con cristiani; nessuno di loro aveva avuto contatti con il Cristo che i cristiani adoravano» (B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins 2012).


Se dunque consideriamo la volontaria emarginazione di Gesù di Nazareth, l’insignificanza geografica del luogo in cui ha vissuto, l’impotenza sociale e politica dei suoi discepoli (pescatori, poveri, donne ecc.), la perdita della maggior parte del materiale storico relativo agli anni di Gesù che avrebbe potuto riferire notizie su di lui, se consideriamo che conosciamo poche cose certe della maggior parte dei personaggi storici grecoromani e che le intenzioni degli evangelisti non erano quelle di realizzare una biografia ufficiale e completa di Gesù, allora, risulta davvero ancora più sorprendente essere in possesso di numerose notizie coincidenti e attendibili al di fuori dei Vangeli sugli eventi iniziali del cristianesimo, che confermano quanto già sappiamo dai vangeli. Come ha spiegato il prof. J.P. Meier«Gesù fu un ebreo marginale, che guidò un movimento marginale in una provincia marginale di un immenso impero romano. Desta meraviglia che qualche giudeo o pagano colto lo abbia conosciuto o si sia minimamente riferito a lui nel I sec. o all’inizio del II. Sorprendentemente, c’è un certo numero di possibili riferimenti a Gesù» (J.P. Meier, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico 1, Queriniana 2001, p. 57). Il prof. Michael K. Licona, studioso di Nuovo Testamento e docente di Teologia presso la Houston Baptist University, ha scritto«sfido a citarne qualcuno diverso da Gesù che sia vissuto nel primo secolo (ad esempio, Augusto, Tiberio, Nerone, ecc) e che è stato menzionato da almeno 10 scrittori che non condividono le sue convinzioni, e che scrivono entro 150 anni dalla sua vita. Non esiste alcuna persona del primo secolo così attestata come lo è Gesù».


 
 


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