Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.
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PERLE PATRISTICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:57
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17/07/2014 07:35
 
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Dal trattato «Sui misteri» di sant'Ambrogio, vescovo
(Nn. 29-30. 34-35. 37. 42; SC 25 bis, 172-178)
Catechesi sui riti postbattesimali

Uscito dal fonte battesimale tu sei salito dal sacerdote. Pensa a ciò che è avvenuto dopo. Non forse ciò che dice Davide: «È come olio profumato sul capo, che scende sulla barba, sulla barba di Aronne»? (Sal 132, 2). È l'unguento del quale Salomone dice così: «Profumo olezzante è il tuo nome, per questo le giovinette ti amano» (Ct 1, 3) e ti hanno attratto a sé. Quante anime rinnovate oggi ti hanno amato, o Signore Gesù, e hanno detto: Attìraci dietro a te, noi correremo dietro la fragranza delle tue vesti (cfr. Ct 1, 4). Esse volevano sentire la fragranza della risurrezione del Signore. Cerca di capire come questo avvenga «Poiché il saggio ha gli occhi in fronte» (Qo 2, 14). Per questo scende sulla barba perché tu abbia la grazia della giovinezza, e sulla barba di Aronne, perché tu diventi «stirpe eletta», sacerdotale, preziosa (1 Pt 2, 9). Noi tutti, infatti, siamo unti con la grazia spirituale per formare il regno di Dio e il suo sacerdozio.
In seguito hai ricevuto le vesti bianche come segno che ti sei spogliato dell'involucro dei peccati e ti sei rivestito delle caste vesti dell'innocenza delle quali il Profeta dice: «Purificami con issòpo e sarò mondo; làvami e sarò più bianco della neve» (Sal 50, 9). Infatti chi è battezzato, appare purificato, sia secondo la legge, sia secondo il vangelo. Secondo la legge, perché Mosè aspergeva il sangue dell'agnello con un mazzetto di issòpo. Secondo il vangelo, perché proprio il vangelo dice che, mentre Cristo mostrava la gloria della sua risurrezione, le sue vesti erano candide come neve. Colui al quale viene rimessa la colpa diventa bianco «più della neve». Così il Signore dice per mezzo di Isaia: «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve» (Is 1, 18).
La Chiesa, con queste vesti che ha indossato «mediante un lavacro di rigenerazione» (Tt 3, 5) dice con le parole del Cantico: Nera sono, ma bella, o figlie di Gerusalemme (cfr. Ct 1, 5). Nera a cagione della fragilità dell'umana condizione, bella per la grazia. Nera perché formata da peccatori, bella per il sacramento della fede. Scorgendo queste vesti, le figlie di Gerusalemme esclameranno stupefatte: Chi è costei che sale tutta vestita di bianco? Era nera, come mai d'un tratto è divenuta bianca?
Cristo, vedendo in vesti candide la sua Chiesa - per la quale egli, come leggi nel libro del profeta Zaccaria, aveva indossato le sue vesti immonde (cfr. Zc 3, 3) -, ossia vedendo l'anima monda e lavata nel lavacro della rigenerazione, dice: «Come sei bella, amica mia, come sei bella! Gli occhi tuoi sono colombe» (Ct 4, 1). E nella figura della colomba lo Spirito Santo è disceso dal cielo.
Ricordati così che hai ricevuto il sigillo spirituale «spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di pietà, spirito di timore del Signore» (Is 11, 2), e conserva quello che hai ricevuto. Dio Padre ti ha marcato di un segno, Cristo Signore ti ha confermato e, come hai appreso dalla lettura dell'Apostolo, ha impresso nel tuo cuore, come sigillo, lo Spirito (cfr. 2 Cor 1, 22).
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18/07/2014 08:07
 
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Dal trattato «Sui misteri» di sant'Ambrogio, vescovo
(Nn. 43. 47. 49; SC 25 bis, 178-180. 182)
Sull'Eucaristia ai neofiti

Così lavata e ricca di tale abbigliamento, la schiera dei neofiti avanza verso gli altari di Cristo dicendo: «Verrò all'altare di Dio, al Dio della mia gioia, del mio giubilo» (Sal 42, 4). Infatti, deposte le spoglie dell'antico errore, e rinnovata nella giovinezza dell'aquila (cfr. Sal 102, 5), s'affretta ad accorrere a quel banchetto celeste. Viene dunque, e vedendo il sacro altare tutto adorno, esclama: «Davanti a me tu prepari una mensa» (Sal 22, 5). Davide così fa parlare ciascuna delle nuove reclute: «Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce». E più avanti: «Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza. Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca» (Sal 22, 1-5).
È mirabile che Dio abbia fatto piovere la manna per i padri e che si nutrissero con un alimento quotidiano disceso dal cielo. Per cui fu detto: «L'uomo mangiò il pane degli angeli» (Sal 77, 25). Ma quelli che mangiarono quel pane «morirono tutti» nel deserto; invece questo alimento che tu ricevi, questo «pane vivo disceso dal cielo» (Gv 6, 51) somministra il sostentamento della vita eterna, e chiunque ne avrà mangiato «non morirà in eterno» (Gv 11, 26) perché è il corpo di Cristo.
Ora fa' attenzione se sia più eccellente il pane degli angeli mangiato dagli Ebrei nel deserto o la carne di Cristo la quale è indubbiamente un corpo che dà la vita. Quella manna veniva dal cielo, questo corpo è al di sopra del cielo. Quella era del cielo, questo del Signore dei cieli. Quella, se si conservava per il giorno seguente, si guastava. Questo è alieno da ogni corruzione. Chiunque lo gusta con sacra riverenza non potrà soggiacere alla corruzione. Per gli Ebrei scaturì acqua dalla rupe, per te sangue dal Cristo. L'acqua dissetò loro per un momento, te, invece, il sangue lava per sempre. Il giudeo beve e ha sete, tu quando avrai bevuto non potrai aver mai più sete. Quell'evento era figura, questo è verità.
Se quello che tu ammiri è ombra, quanto grande è la realtà presente di cui tu ammiri l'ombra! Senti come è ombra quello che si verificò presso i padri: «Bevevano», dice, «da una roccia che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma della maggior parte di loro Dio non si compiacque e perciò furono abbattuti nel deserto. Ora ciò avvenne come esempio, per noi» (1 Cor 10, 4-6). Hai conosciuto ciò che vale di più: è migliore la luce dell'ombra, migliore la verità della figura, migliore il corpo del Creatore della manna del cielo.
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19/07/2014 08:12
 
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Dal trattato «Sui misteri» di sant'Ambrogio, vescovo
(Nn. 52-54. 58; SC 25 bis, 186-188. 190)
Questo sacramento che ricevi si compie con la parola di Cristo

Noi costatiamo che la grazia ha maggiore efficacia della natura, ma la grazia della benedizione profetica è ancora superiore. Se poi la parola del profeta, cioè di un uomo, ha avuto tanta forza da cambiare la natura, che dire della benedizione fatta da Dio stesso dove agiscono le parole medesime del Signore e Salvatore? Giacché questo sacramento che tu ricevi si compie con la parola di Cristo. Che se la parola di Elia ebbe tanta potenza da far scendere il fuoco dal cielo, la parola di Cristo non sarà capace di cambiare la natura degli elementi? A proposito delle creature di tutto l'universo tu hai detto: «Egli parla e tutto è fatto, comanda e tutto esiste» (Sal 32, 9). La parola di Cristo, dunque, che ha potuto creare dal nulla quello che non esisteva, non può cambiare le cose che sono in ciò che esse non erano? Infatti non è meno difficile dare alle cose un'esistenza che cambiarle in altre.
Ma perché servirci di argomentazioni? Serviamoci dei suoi esempi e proviamo la verità del mistero con il mistero stesso della incarnazione. Forse che fu seguito il corso ordinario della natura quando Gesù Signore nacque da Maria? Se cerchiamo l'ordine della natura, la donna suole generare dall'unione con l'uomo. È chiaro dunque che la Vergine ha generato al di fuori dell'ordine della natura. Ebbene, quello che noi ripresentiamo è il corpo nato dalla Vergine. Perché cerchi qui il corso della natura nel corpo di Cristo, mentre lo stesso Signore Gesù Cristo è stato generato dalla Vergine all'infuori del corso della natura? È la vera carne di Cristo che fu crocifissa, che fu sepolta. È dunque veramente il sacramento della sua carne.
Lo stesso Signore Gesù proclama: «Questo è il mio corpo». Prima della benedizione delle parole celesti la parola indica un particolare elemento. Dopo la consacrazione ormai designa il corpo e il sangue di Cristo. Egli stesso lo chiama suo sangue. Prima della consacrazione lo si chiama con altro nome. Dopo la consacrazione è detto sangue. E tu dici: «Amen», cioè, «È così». Ciò che pronunzia la bocca, lo affermi lo spirito. Ciò che enunzia la parola, lo senta il cuore.
Anche la Chiesa vedendo una grazia così grande, esorta i suoi figli, esorta i suoi intimi ad accorrere ai sacramenti dicendo: «Mangiate, amici, bevete; inebriatevi, o cari» (Ct 5, 1). Quello poi che mangiamo, quello che beviamo, lo Spirito Santo te lo ha specificato altrove per mezzo del Profeta dicendo: «Gustate e vedete quanto è buono il Signore; beato l'uomo che in lui si rifugia» (Sal 33, 9). In quel sacramento c'è Cristo, perché è il corpo di Cristo. Non è dunque un cibo corporale, ma un nutrimento spirituale. Onde anche l'Apostolo della sua figura dice: «I nostri padri tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale» (1 Cor 10, 3). Infatti il corpo di Dio è un corpo spirituale, il corpo di Cristo è il corpo dello spirito divino, perché Cristo è spirito, come leggiamo: Cristo Signore è spirito davanti al nostro volto (cfr. Lam 4, 20 secondo i LXX). Questo nutrimento rinsalda il nostro cuore e questa bevanda «allieta il cuore dell'uomo» (Sal 103, 15) come ha ricordato il profeta.
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20/07/2014 07:36
 
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Dalla «Lettera ai cristiani di Magnesia» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire
(Intr.; Capp. 1, 1 - 5, 2; Funk 1, 191-195)
Non basta essere chiamati cristiani, ma bisogna esserlo davvero

Ignazio, detto anche Teoforo, alla chiesa benedetta dalla grazia di Dio Padre, in Cristo Gesù nostro Salvatore: in lui saluto questa chiesa che è a Magnesia sul Meandro e le auguro di godere ogni bene in Dio Padre e in Gesù Cristo.
Ho appreso che la vostra carità è perfettamente ordinata secondo Dio. Ne ho provato grande gioia e ho deciso di rivolgere a voi la parola nella fede di Gesù Cristo. Insignito di un'altissima onorificenza, cioè delle catene che porto ovunque con me, canto le lodi delle chiese e auguro loro l'unione con la carne e lo spirito di Gesù Cristo, nostra vita eterna, nella fede e nella carità, più desiderabile e preziosa d'ogni bene. Auspico per loro soprattutto l'unione con Gesù e il Padre. In lui resisteremo a ogni assalto del principe di questo mondo, sfuggiremo dalle sue mani e giungeremo a Dio.
Ho avuto la grazia di vedervi nella persona del vostro vescovo Damas, uomo veramente degno di Dio, dei santi presbiteri Basso e Apollonio e del diacono Sozione, mio compagno nel servizio del Signore. Possa io trarre profitto dalla presenza di Sozione, perché è sottomesso al vescovo come alla grazia di Dio e al collegio dei presbiteri come alla legge di Gesù Cristo.
Non dovete approfittare della giovane età del vescovo, ma avere per lui ogni rispetto, considerando l'autorità che gli è stata conferita da Dio Padre. So che fanno così anche i venerandi presbiteri, che non abusano della sua evidente età giovanile, ma, da uomini prudenti in Dio, gli stanno soggetti vedendo in lui non la sua persona, ma il Padre di Gesù Cristo, vescovo di tutti. Ad onore di colui che ci ama conviene ubbidire senza ombra di finzione perché altrimenti non si inganna questo vescovo visibile, ma si cerca di ingannare quello invisibile. Qui non si tratta di cose che riguardano la carne, ma Dio, che conosce i segreti dei cuori.
Non basta essere chiamati cristiani, ma bisogna esserlo davvero. Ci sono alcuni che hanno sì il nome del vescovo sulle labbra, ma poi fanno tutto senza di lui. Mi pare che costoro non agiscano con retta coscienza, perché le loro riunioni non sono legittime, secondo il comando del Signore.
Tutte le cose hanno fine, e due termini ci stanno davanti, la vita e la morte. Ciascuno andrà al posto che gli spetta. Vi sono, per così dire, due monete, quella di Dio e quella del mondo, e ciascuna porta impresso il proprio contrassegno. I non credenti hanno l'impronta di questo mondo, ma i fedeli che sono nella carità portano impressa l'immagine di Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo. Se noi, con la grazia sua, non siamo pronti a morire per partecipare alla sua passione, la sua vita non è in noi.
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21/07/2014 07:40
 
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Dalla «Lettera ai cristiani di Magnesia» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire
(Capp. 6, 1 - 9, 2; Funk 1, 195-199)
Una sola preghiera, una sola speranza nella carità, nella gioia santa

Nelle persone che vi ho ricordate, ho conosciuto nella fede e ho amato tutta la vostra comunità. E ora ho una raccomandazione da farvi: procurate di compiere ogni azione nella concordia di Dio, sotto la guida del vescovo che tiene il posto di Dio, dei presbiteri che rappresentano il collegio apostolico e dei diaconi a me tanto cari, ai quali è stato affidato il ministero di Gesù Cristo che era prima dei secoli presso il Padre e si è manifestato alla fine dei tempi.
Poiché partecipate agli stessi sentimenti di Dio, abbiate un grande rispetto reciproco. Nessuno giudichi il prossimo con viste puramente umane, ma amatevi sempre gli uni gli altri in Gesù Cristo. Non vi sia in noi alcun motivo di divisione. Tenetevi uniti al vescovo e a quelli che presiedono, in modo da fornire a tutti un'immagine e una prova della vita immortale nel cielo.
Il Signore Gesù, che è uno con il Padre, non ha fatto nulla senza il Padre, né da se stesso, né per mezzo degli apostoli. Così anche voi non fate nulla senza il vescovo e i presbiteri. Non cercate di far passare per buono ciò che fate in privato e per conto vostro, ma preferite la forma comunitaria. Una sola sia la preghiera, una l'invocazione, uno lo spirito, una la speranza nella carità, nella gioia santa, che è Cristo, di cui nulla c'è di più prezioso. Correte tutti, come ad un unico tempio di Dio, ad un unico altare, all'unico Gesù Cristo che è uscito dall'unico Padre, rimanendo presso di lui e a lui facendo ritorno.
Non lasciatevi sedurre da false dottrine, né da vecchie favole che non giovano a nulla. Se viviamo ancora alla maniera dei Giudei, conformandoci alla legge, dimostriamo di non aver ricevuto la grazia, mentre già i profeti, ispirati da Dio, vissero secondo Gesù Cristo.
Quei santi uomini soffrirono anche persecuzioni, sostenuti dalla sua grazia, per convincere gli increduli che c'è un solo Dio e che egli si sarebbe manifestato per mezzo del Messia, cioè di Gesù Cristo, suo Figlio, che è il suo Verbo uscito dal silenzio. Questi piacque in ogni cosa a colui che l'aveva mandato.
Quelli che vissero nel vecchio ordine di cose hanno abbracciato la nuova speranza e non osservano più il sabato, ma celebrano il giorno del Signore, nel quale abbiamo cominciato a partecipare alla vita del Cristo e anche alla sua morte, mistero che alcuni negano, e che invece è sorgente della nostra fede e della pazienza con la quale noi soffriamo, per essere trovati discepoli di Gesù Cristo, unico nostro maestro. Se così fanno quelli del vecchio ordine, come potremmo vivere noi senza di lui, quando anche i profeti, suoi discepoli in ispirito, lo aspettavano come maestro? Per questo egli, da essi santamente atteso, venuto che fu, li risuscitò dai morti.
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24/07/2014 08:13
 
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Dal «Commento sui salmi» di sant'Ambrogio, vescovo
(Sal 43, 89-90; CSEL 64, 324-326)
Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto

«Perché nascondi il tuo volto?» (Sal 43, 25). Noi crediamo che Dio distolga da noi il suo volto quando ci troviamo in qualche tribolazione. Allora sul nostro spirito si stende un velo tenebroso, che ci impedisce di scorgere il fulgore della verità. Ma se Dio fa attenzione alla nostra intelligenza e si degna di visitare la nostra mente, siamo sicuri che nulla ci può gettare nell'oscurità. Già il volto dell'uomo è come una luce per chi lo guarda. Da esso veniamo a conoscere uno sconosciuto o riconosciamo una persona nota. Chi mostra il volto viene per ciò stesso identificato. Se allora il volto dell'uomo è come una luce, quanto più non lo sarà il volto di Dio per chi lo guarda? «E Dio che disse: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo» (2 Cor 4 6). Abbiamo sentito dunque dove Cristo brilla in noi. Egli infatti è lo splendore eterno delle anime, mandato dal Padre sulla terra per illuminarci con la luce del suo volto, perché potessimo osservare le cose eterne e celesti, noi che prima eravamo immersi nelle tenebre della terra.
Ma perché parlare di Cristo, quando anche l'apostolo Pietro disse a quello storpio dalla nascita: «Guarda verso di noi»? (At 3, 4). Egli guardò verso Pietro e fu illuminato dalla grazia della fede; infatti non avrebbe ricevuto il rimedio della sanità se non avesse creduto con fede.
Nonostante tutta questa luce di gloria, presente negli apostoli, Zaccheo preferì, giustamente, quella di Cristo. Sentendo che passava il Signore, salì su un albero, perché, essendo di bassa statura e piccolo, non poteva vederlo in mezzo alla folla. Vide Cristo e trovò la luce; lo vide, e mentre prima rubava le cose altrui, dopo distribuì le sue.
«Perché nascondi il tuo volto?» (Sal 43, 25). O meglio: Anche se distogli lo sguardo da noi, rimane ugualmente in noi l'impronta luminosa del tuo volto (cfr. Sal 4, 7). La teniamo nei nostri cuori e risplende nell'intimo dello spirito: nessuno infatti può sussistere, se tu distogli completamente da noi il tuo volto.
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26/07/2014 07:20
 
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Dai «Discorsi» di san Giovanni Damasceno, vescovo
(Disc. 6, per la Natività della B. V. Maria 2. 4. 5. 6; PG 96, 663. 667. 670)
Li conoscerete dai loro frutti

Poiché doveva avvenire che la Vergine Madre di Dio nascesse da Anna, la natura non osò precedere il germe della grazia; ma rimase senza il proprio frutto perché la grazia producesse il suo. Doveva nascere infatti quella primogenita dalla quale sarebbe nato il primogenito di ogni creatura «nel quale tutte le cose sussistono» (Col 1, 17). O felice coppia, Gioacchino ed Anna! A voi è debitrice ogni creatura, perché per voi la creatura ha offerto al Creatore il dono più gradito, ossia quella casta madre, che sola era degna del creatore.
Rallègrati Anna, «sterile che non hai partorito, prorompi in grida di giubilo e di gioia, tu che non hai provato i dolori» (Is 54, 1). Esulta, o Gioacchino, poiché dalla tua figlia è nato per noi un bimbo, ci è stato dato un figlio, e il suo nome sarà Angelo di grande consiglio, di salvezza per tutto il mondo, Dio forte (cfr. Is 9, 6). Questo bambino è Dio.
O Gioacchino ed Anna, coppia beata, veramente senza macchia! Dal frutto del vostro seno voi siete conosciuti, come una volta disse il Signore: «Li conoscerete dai loro frutti» (Mt 7, 16). Voi informaste la condotta della vostra vita in modo gradito a Dio e degno di colei che da voi nacque. Infatti nella vostra casta e santa convivenza avete dato la vita a quella perla di verginità che fu vergine prima del parto, nel parto e dopo il parto. Quella, dico, che sola doveva conservare sempre la verginità e della mente e dell'anima e del corpo.
O Gioacchino ed Anna, coppia castissima! Voi, conservando la castità prescritta dalla legge naturale, avete conseguito, per divina virtù, ciò che supera la natura: avete donato al mondo la madre di Dio che non conobbe uomo. Voi, conducendo una vita pia e santa nella condizione umana, avete dato alla luce una figlia più grande degli angeli ed ora regina degli angeli stessi.
O vergine bellissima e dolcissima! O figlia di Adamo e Madre di Dio. Beato il seno, che ti ha dato la vita! Beate le braccia che ti strinsero e le labbra che ti impressero casti baci, quelle dei tuoi soli genitori, cosicché tu conservassi in tutto la verginità! «Acclami al Signore tutta la terra, gridate, esultate con canti di gioia» (Sal 97, 4). Alzate la vostra voce, gridate, non temete.
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27/07/2014 07:58
 
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Dalle «Omelie sulla seconda lettera ai Corinzi» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. 14, 1-2; PG 61, 497-499)
Sovrabbondo di gioia in ogni tribolazione

Paolo riprende il discorso sulla carità, moderando l'asprezza del rimprovero. Dopo avere infatti biasimato e rimproverato i Corinzi per il fatto che, pur amati, non avevano corrisposto all'amore, anzi erano stati ingrati e avevano dato ascolto a gente malvagia, mitiga il rimprovero dicendo: «Fateci posto nei vostri cuori» (2 Cor 7, 2), cioè amateci. Chiede un favore assai poco gravoso, anzi più utile a loro che a lui. Non dice «amate», ma con squisita delicatezza: «Fateci posto nei vostri cuori». Chi ci ha scacciati, sembra chiedere, dai vostri cuori? Chi ci ha espulsi? Per quale motivo siamo stati banditi dal vostro spirito? Dato che prima aveva affermato: «È nei vostri cuori invece che siete allo stretto» (2 Cor 6, 12), qui esprime lo stesso sentimento dicendo: «Fateci posto nei vostri cuori». Così li attira di nuovo a sé. Niente spinge tanto all'amore chi è amato quanto il sapere che l'amante desidera ardentemente di essere corrisposto.
«Vi ho già detto poco fa, continua, che siete nel nostro cuore per morire insieme e insieme vivere» (2 Cor 7, 3). Espressione massima dell'amore di Paolo: benché disprezzato, desidera vivere e morire con loro. Siete nel nostro cuore non superficialmente, in modo qualsiasi, ma come vi ho detto. Può capitare che uno ami, ma fugga al momento del pericolo: non è così per me.
«Sono pieno di consolazione» (2 Cor 7, 4). Di quale consolazione? Di quella che mi viene da voi: ritornati sulla buona strada mi avete consolato con le vostre opere. È proprio di chi ama prima lamentarsi del fatto che non è amato, poi temere di recare afflizione per eccessiva insistenza nella lamentela. Per questo motivo aggiunge: «Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia».
In altre parole: sono stato colpito da grande dispiacere a causa vostra, ma mi avete abbondantemente compensato e recato gran sollievo; non avete solo rimosso la causa del dispiacere, ma mi avete colmato di più abbondante gioia.
Paolo manifesta la sua grandezza d'animo non fermandosi a dire semplicemente «sovrabbondo di gioia», ma aggiungendo anche «in ogni mia tribolazione». È così grande il piacere che mi avete arrecato che neppure la più grande tribolazione può oscurarlo, anzi è tale da farmi dimenticare con l'esuberanza della sua ricchezza, tutti gli affanni che mi erano piombati addosso e ha impedito che io ne rimanessi schiacciato.
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30/07/2014 17:33
 
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Dalle «Catechesi» di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo
(Catech. 18, 23-25; PG 33, 1043-1047)
La Chiesa, cioè l'assemblea del popolo di Dio

La Chiesa senza dubbio è detta cattolica, cioè universale, per il fatto che è diffusa ovunque dall'uno all'altro dei confini della terra, e perché universalmente e senza defezione insegna tutti i dogmi che devono giungere a conoscenza degli uomini, sia riguardo alle cose visibili, che alle invisibili, sia riguardo alle cose celesti, che alle terrestri. La Chiesa si dice cattolica anche perché è destinata a condurre tutto il genere umano, autorità e sudditi, dotti e ignoranti, al giusto culto. È cattolica, infine, perché cura e risana ogni genere di peccati che si compiono per mezzo dell'anima e del corpo. Essa poi possiede ogni genere di santità dell'agire, del parlare e anche quella dei carismi più diversi.
Con termine molto appropriato essa si chiama Chiesa, vale a dire assemblea convocata, poiché riunisce tutti e li raccoglie in unità, come dice il Signore nel Levitico: E convoca tutta l'assemblea davanti alla porta del convegno (cfr. Lv 8, 3). È certamente cosa degna di nota che questo termine «convoca» sia adoperato per la prima volta nella Scrittura proprio in questo passo, dove si legge che il Signore costituisce Aronne sommo sacerdote. E nel Deuteronomio Dio dice a Mosè: Convoca il popolo, e io farò loro udire le mie parole, perché imparino a temermi (cfr. Dt 4, 10). Del nome chiesa fa pure nuovamente menzione quando, riguardo alle tavole, dice: E in esse vi erano scritte tutte le parole che il Signore aveva promulgato per voi sul monte, in mezzo al fuoco, nel giorno della chiesa (cfr. Dt 10, 4), cioè dell'assemblea convocata, come se dicesse più apertamente: «Nel giorno in cui, chiamati dal Signore, siete stati riuniti». Anche il salmista dice: «Ti loderò, Signore, nella grande assemblea, ti celebrerò in mezzo a un popolo numeroso» (Sal 34, 18).
Prima il salmista aveva già cantato: «Benedite Dio nelle vostre assemblee, benedite il Signore, voi della stirpe di Israele» (Sal 67, 27). Dalle genti il Salvatore edificò una seconda santa Chiesa, la nostra di cristiani, riguardo alla quale disse a Pietro: «E su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16, 18).
Ripudiata infatti quella chiesa, che era l'unica ad esistere in Giudea, in seguito per tutto il mondo si moltiplicano le chiese di Cristo, delle quali è stato detto nei salmi: «Cantate al Signore un canto nuovo, la sua lode nell'assemblea dei fedeli» (Sal 149, 1). A questi Giudei il profeta si rivolse con espressioni consimili: «Io non mi compiaccio di voi, dice il Signore degli eserciti», e subito soggiunge: «Per questo dall'oriente all'occidente grande è il mio nome fra le genti» (Ml 1, 10-11). A riguardo di questa stessa santa Chiesa cattolica, scrive Paolo a Timoteo: «Perché tu sappia come comportarti nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità» (1 Tm 3, 14).
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02/08/2014 07:34
 
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Dalla «Lettera a Policarpo» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire
(Capp. 5, 1 - 8, 1. 3; Funk 1, 249-253)
Si faccia tutto ad onore di Dio

Fuggi le male arti e parla in pubblico contro di esse. Raccomanda alle mie sorelle di amare il Signore e di essere contente dei loro mariti nelle cose materiali e spirituali. Ugualmente esorta nel nome di Gesù Cristo i miei fratelli ad «amare le loro mogli come il Signore la Chiesa» (Ef 5, 25).
Se qualcuno è in grado di vivere in perfetta castità, ad onore della carne del Signore, vi rimanga in umiltà. Se se ne vanta è perduto. Se poi volesse ritenersi superiore al vescovo, è già perduto. Conviene che gli uomini e le donne, che si sposano, contraggano la loro unione con l'approvazione del vescovo, perché il loro matrimonio sia secondo il Signore e non secondo la concupiscenza. Tutto si faccia ad onore di Dio.
Abbiate riguardo per il vescovo e Dio avrà riguardo per voi. Io offro la mia vita per coloro che sono sottomessi al vescovo, ai presbiteri, ai diaconi. Possa io aver parte con essi in Dio! Faticate gli uni insieme con gli altri, insieme combattete, correte insieme, soffrite insieme, insieme riposate e insieme alzatevi, come amministratori, assistenti e servitori di Dio. Cercate di piacere a colui per il quale militate e dal quale ricevete lo stipendio; e non ci sia tra voi alcun disertore.
Il vostro battesimo sia come uno scudo, la fede sia il vostro elmo, la carità la lancia, la pazienza l'armatura completa. Vostro deposito siano le opere buone, perché possiate ricevere a suo tempo il compenso a cui avete diritto. Siate pazienti gli uni con gli altri nella dolcezza, come Dio lo è con voi. Possa io sempre godere di voi.
La chiesa che è ad Antiochia in Siria, come mi è stato riferito, per merito delle vostre preghiere gode ora la pace. Così anch'io mi sento più tranquillo nell'abbandono in Dio e il mio unico desiderio è raggiungere Dio attraverso la sofferenza, per essere trovato vostro discepolo nella risurrezione. Sarebbe bene, o Policarpo benedetto da Dio, convocare una scelta assemblea ed eleggere uno a voi molto caro e zelante che possa essere chiamato ambasciatore di Dio. Questi abbia l'incarico di andare in Siria a rendere nota la vostra infaticabile carità, a gloria di Dio. Il cristiano non è padrone di se stesso, ma è al servizio di Dio. Quest'opera, se vorrete compierla, è di Dio e vostra. Confido che, con la sua grazia, voi siate pronti ad eseguire un'opera buona ad onore di Dio. Vi ho indirizzato una breve lettera di esortazione, perché conosco il vostro ardente amore per la verità.
Non ho potuto scrivere a tutte le chiese perché son dovuto partire improvvisamente da Tròade per Napoli di Macedonia, secondo gli ordini. Scrivi tu alle chiese della regione orientale, tu che conosci la volontà di Dio, perché anch'esse facciano lo stesso. Quelle che possono mandino messaggeri, le altre almeno lettere, e le affidino a coloro che tu invierai, e ne avrete ben giustamente gloria eterna.
Vi auguro di star bene sempre in Gesù Cristo nostro Dio: in lui rimanete nell'unità e sotto la sorveglianza di Dio. State bene nel Signore.
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03/08/2014 07:27
 
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Dalla «Lettera», detta di Barnaba
(Capp. 1, 1 - 2, 5; Funk, 1, 3-7)
La speranza della vita è il principio e il termine
della nostra fede

Salute a voi nella pace, figli e figlie, nel nome del Signore che ci ha amato. Grandi e copiosi sono i favori che Dio vi ha concesso. Per questo molto mi rallegro sapendo quanto le vostre anime siano belle e liete per la grazia e i doni spirituali che hanno ricevuto. Ma ancor maggiore è la mia gioia sentendo nascere in me una viva speranza di salvezza nel vedere con quanta generosità la sorgente divina abbia effuso su di voi il suo Spirito. Davvero splendido lo spettacolo che avete offerto alla mia vista!
Persuaso di essermi avvantaggiato molto nella via santa del Signore parlando con voi, mi sento spinto ad amarvi più della mia stessa vita, anche perché vedo in voi grande fede e carità per la speranza della vita divina.
Per l'amore che vi porto voglio mettervi a parte di quanto ho avuto, sicuro di ricevere beneficio dal servizio che vi rendo. Vi scrivo dunque alcune cose perché la vostra fede arrivi ad essere conoscenza perfetta.
Tre sono le grandi realtà rivelate dal Signore: la speranza della vita, inizio e fine della nostra fede; la salvezza, inizio e fine del piano di Dio; il suo desiderio di farci felici, pegno e promessa di tutti i suoi interventi salvifici.
Il Signore ci ha fatto capire, per mezzo dei profeti, le cose passate e presenti, e ci ha messo in grado di gustare le primizie delle cose future. E poiché vediamo ciascuna di esse realizzarsi proprio come ha detto, dobbiamo procedere sempre più sulla via del santo timore di Dio.
Per parte mia vi voglio indicare alcune cose che giovino al vostro bene già al presente. Vi parlo però non come maestro, ma come fratello.
I tempi sono cattivi e spadroneggia il Maligno con la sua attività diabolica. Badiamo perciò a noi stessi e ricerchiamo accuratamente i voleri del Signore. Timore e pazienza devono essere il sostegno della nostra fede, longanimità e continenza le nostre alleate nella lotta. Se praticheremo queste virtù e ci comporteremo come si conviene dinanzi al Signore, avremo la sapienza, l'intelletto, la scienza e la conoscenza. Queste sono le cose che Dio vuole da noi. Il Signore infatti ci ha insegnato per mezzo di tutti i profeti che egli non ha bisogno di sacrifici, né di olocausti, né di offerte. Che m'importa, dice, dei vostri sacrifici senza numero? Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. Non presentatevi nemmeno davanti a me per essere visti. Infatti chi ha mai richiesto tali cose dalle vostre mani? Non osate più calpestare i miei atri. Se mi offrirete fior di farina, sarà vano; l'incenso è un abominio per me. I vostri noviluni e i vostri sabati non li posso sopportare (cfr. Is 1, 11-13).
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05/08/2014 08:23
 
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Dalla «Lettera», detta di Barnaba
(Capp. 5, 1-8; 6, 11-16; Funk, 1, 13-15. 19-21)
Una nuova creazione

Il Signore accettò di dare il suo corpo alla morte, perché ci fossero rimessi i peccati e fossimo santificati mediante il lavacro del suo sangue. Di lui infatti è stato scritto: Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità; per le sue piaghe noi siamo stati guariti; come agnello fu condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori (cfr. Is 53, 5-7). Queste parole riguardano il popolo ebreo, ma anche noi.
Dobbiamo dunque rendere grazie al Signore perché ci ha mostrato le cose passate, ci ha istruito sulle presenti, e non ci ha lasciati privi della conoscenza delle cose future.
Fratelli miei, il Signore ha voluto subire la morte per la nostra vita, lui padrone di tutto il mondo, lui, al quale Dio disse nella creazione del mondo: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza» (Gn 1, 26). Come dunque ha potuto subire la morte per mano di uomini? Rispondono i profeti, che furono illuminati dai suoi carismi proprio per parlare di lui.
Egli doveva apparire nella carne, e così distruggere la morte e mostrare la risurrezione dai morti. Doveva accettare di soffrire per compiere le promesse fatte ai Padri. Si sarebbe preparato un popolo nuovo, e avrebbe dimostrato, già durante la sua vita terrena, che, dopo la risurrezione finale, sarebbe stato il giudice di tutti.
Il Signore, per mezzo della remissione dei peccati, ci fece creature nuove e innocenti come bambini. Ci diede una dignità singolare quando disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza, domini sugli animali della terra, gli uccelli del cielo e i pesci del mare (cfr. Gn 1, 26). Riferendosi poi alla seconda creazione, da lui operata, disse ancora: Ecco che io faccio le ultime cose come le prime. Di questo stato di nuova creatura parla l'autore sacro quando afferma: Entrate nella terra dove scorre latte e miele e prendetene possesso (cfr. Es 33, 3).
Ecco allora che noi siamo stati formati una seconda volta. Lo afferma il profeta: Ecco, dice il Signore, strapperò da loro (cioè da quelli predestinati dallo Spirito divino) i cuori di pietra e vi metterò cuori di carne (cfr. Ez 11, 19). Per questo si fece carne e abitò fra noi. Da allora il nostro cuore è diventato tempio santo e dimora del Signore.
In altro luogo il Verbo si domanda: Dove mi presenterò a Dio, mio Signore, per celebrarlo? E risponde: Ti celebrerò nell'adunanza dei miei fratelli e canterò a te nel mezzo della riunione dei santi (cfr. Sal 21, 23).
Vedete che siamo noi quelli della terra promessa!
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17/08/2014 07:47
 
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Dalle «Omelie sul vangelo di Matteo» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. 15, 6. 7; PG 57, 231-232)
Sale della terra e luce del mondo

«Voi siete il sale della terra» (Mt 5, 13). Vi viene affidato il ministero della parola, dice il Cristo, non per voi, ma per il mondo intero. Non vi mando a due, o dieci, o venti città o a un popolo in particolare, come al tempo dei profeti, ma vi invio alla terra, al mare, al mondo intero, a questo mondo così corrotto. Dicendo infatti: «Voi siete il sale della terra», fa capire che l'uomo è snaturato e corrotto dai peccati. Per questo esige dai suoi quelle virtù che sono maggiormente necessarie e utili per salvare gli altri. Un uomo mite, umile, misericordioso e giusto non tiene nascoste in sé simili virtù, ma fa sì che queste ottime sorgenti scaturiscano a vantaggio degli altri. E chi ha un cuore puro, amante della pace e soffre per la verità, dedica la sua vita per il bene di tutti.
Non crediate, sembra dire, di essere chiamati a piccole lotte e a compiere imprese da poco. No. Voi siete «il sale della terra». A che cosa li portò questa prerogativa? Forse a risanare ciò che era diventato marcio? No, certo. Il sale non salva ciò che è putrefatto. Gli apostoli non hanno fatto questo. Ma prima Dio rinnovava i cuori e li liberava dalla corruzione, poi li affidava agli apostoli, allora essi diventavano veramente «il sale della terra» mantenendo e conservando gli uomini nella nuova vita ricevuta dal Signore. È opera di Cristo liberare gli uomini dalla corruzione del peccato, ma impedire di ricadere nel precedente stato di miseria spetta alla sollecitudine e agli sforzi degli apostoli.
Vedete poi come egli mostra che essi sono migliori dei profeti. Non dice che sono maestri della sola Palestina, ma di tutto il mondo. Non stupitevi, quindi, sembra continuare Gesù, se la mia attenzione si fissa di preferenza su di voi e se vi chiamo ad affrontare difficoltà così gravi. Considerate quali e quante sono le città, i popoli e le genti a cui sto per inviarvi. Perciò voglio che non vi limitiate a essere santi per voi stessi, ma che facciate gli altri simili a voi. Senza di ciò non basterete neppure a voi stessi.
Agli altri, che sono nell'errore, sarà possibile la conversione per mezzo vostro; ma se cadrete voi, trascinerete anche gli altri nella rovina. Quanto più importanti sono gli incarichi che vi sono stati affidati, tanto maggior impegno vi occorre. Per questo Gesù afferma: «Ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini» (Mt 5, 13). Perché poi, udendo la frase: «Quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e diranno ogni sorta di male contro di voi» (Mt 5, 11), non temano di farsi avanti, sembra voler dire: Se non sarete pronti alle prove, invano io vi ho scelti. Così verranno le maledizioni a testimonianza della vostra debolezza. Se, infatti, per timore dei maltrattamenti, non mostrerete tutto quell'ardimento che vi si addice, subirete cose ben peggiori, avrete cattiva fama e sarete a tutti oggetto di scherno. Questo vuol dire essere calpestati.
Subito dopo passa ad un'altra analogia più elevata: «Voi siete la luce del mondo» (Mt 5, 14). Nuovamente dice del mondo, non di un solo popolo o di venti città, ma dell'universo intero: luce intelligibile, più splendente dei raggi del sole. Parla prima del sale e poi della luce, per mostrare il vantaggio di una parola ricca di mordente e di una dottrina elevata e luminosa. «Non può restar nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio» (Mt 5, 14-15). Con queste parole li stimola ancora una volta a vigilare sulla propria condotta, ricordando loro che sono esposti agli occhi di tutti gli uomini e che si muovono dinanzi allo sguardo di tutta la terra.
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23/08/2014 06:45
 
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Dal «Commento sui salmi» di sant'Ambrogio, vescovo

(Sal 48, 14-15; CSEL 64, 368-370)
Cristo ha riconciliato il mondo a Dio
per mezzo del suo sangue

Avendo Cristo riconciliato il mondo a Dio, non ebbe certo lui stesso bisogno di riconciliazione. Infatti quale peccato suo proprio avrebbe espiato lui che non conobbe nessun peccato? Perciò quando i Giudei gli domandarono la tassa, destinata al tempio, e che la legge prescriveva per il peccato, egli disse a Pietro: «Simone, i re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri? Rispose: Dagli estranei. E Gesù: Quindi i figli sono esenti. Ma perché non si scandalizzino, va' al mare, getta l'amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d'argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te» (Mt 17, 25-27).
Il Figlio di Dio dimostra che non deve offrire riparazione per i propri peccati, perché non era schiavo del peccato, ma libero da ogni colpa. Infatti il Figlio libera, mentre il servo è nella colpa. Perciò è esente da tutti i peccati e non paga il prezzo del riscatto per la propria anima colui che nel suo sangue dà un prezzo sufficiente a riscattare i peccati di tutto il mondo. Giustamente dunque libera gli altri chi non deve nulla per sé.
Dirò di più. Non solo Cristo non deve alcun prezzo di redenzione per sé o di propiziazione per il peccato proprio, ma neanche i singoli uomini come tali. Vale a dire il singolo non ha da presentare una propiziazione sua propria, perché propiziazione per tutti è Cristo ed egli è la redenzione di ognuno.
Infatti, il sangue di quale uomo può avere ancora un valore determinante per la sua redenzione, dopo che Cristo ha sparso il suo per la redenzione di tutti? C'è forse il sangue di qualcuno che possa paragonarsi al sangue di Cristo? Oppure qual è quell'uomo tanto potente da offrire per se stesso la propria propiziazione, più efficace di quella che Cristo ha offerto nel suo corpo, lui che solo ha riconciliato il mondo a Dio con il proprio sangue? Quale vittima più grande, quale sacrificio più valido, quale avvocato migliore di colui che si è fatto intercessione per i peccati di tutti e ha dato la sua vita in redenzione per noi?
Ciò che ha il valore determinante non è la riparazione o la redenzione propria dei singoli. Il prezzo pagato per tutti è il sangue di Cristo con il quale il Signore Gesù ci ha redenti. Egli solo ci ha riconciliati al Padre e ha sofferto fino all'estremo, addossandosi la nostra sofferenza. Per questo dice: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11, 28).
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26/08/2014 08:40
 
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Dalle «Omelie» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. sul diavolo tentatore 2, 6; PG 49, 263-264)
Le cinque vie della riconciliazione con Dio

Volete che parli delle vie della riconciliazione con Dio? Sono molte e svariate, però tutte conducono al cielo.
La prima è quella della condanna dei propri peccati. Confessa per primo il tuo peccato e sarai giustificato (cfr. Is 43, 25-26). Perciò anche il profeta diceva: «Dissi: Confesserò al Signore le mie colpe, e tu hai rimesso la malizia del mio peccato» (Sal 31, 5).
Condanna dunque anche tu le tue colpe. Questo è sufficiente al Signore per la tua liberazione. E poi se condanni le tue colpe sarai più cauto nel ricadervi. Eccita la tua coscienza a divenire la tua interna accusatrice, perché non lo sia poi dinanzi al tribunale del Signore.
Questa è dunque una via di remissione, e ottima; ma ve n'è un'altra per nulla inferiore: non ricordare le colpe dei nemici, dominare l'ira, perdonare i fratelli che ci hanno offeso. Anche così avremo il perdono delle offese da noi fatte al Signore. E questo è un secondo modo di espiare i peccati. «Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi» (Mt 6, 14).
Vuoi imparare ancora una terza via di purificazione? È quella della preghiera fervorosa e ben fatta che proviene dall'intimo del cuore.
Se poi ne vuoi conoscere anche una quarta, dirò che è l'elemosina. Questa ha un valore molto grande. Aggiungiamo poi questo: Se uno si comporta con temperanza e umiltà, distruggerà alla radice i suoi peccati con non minore efficacia dei mezzi ricordati sopra. Ne è testimone il pubblicano che non era in grado di ricordare opere buone, ma al loro posto offrì l'umile riconoscimento delle sue colpe e così si liberò dal grave fardello che aveva sulla coscienza.
Abbiamo indicato cinque vie di riconciliazione con Dio. La prima è la condanna dei propri peccati. La seconda è il perdono delle offese. La terza consiste nella preghiera, la quarta nell'elemosina e la quinta nell'umiltà.
Non stare dunque senza far nulla, anzi ogni giorno cerca di avanzare per tutte queste vie, perché sono facili, né puoi addurre la tua povertà per esimertene. Ma quand'anche ti trovassi a vivere in miseria piuttosto grave, potrai sempre deporre l'ira, praticare l'umiltà, pregare continuamente e riprovare i peccati, e la povertà non ti sarà mai di intralcio. Ma che dico? Neppure in quella via di perdono in cui è richiesta la distribuzione del denaro cioè l'elemosina, la povertà è di impedimento. No. Lo dimostra la vedova che offrì i due spiccioli.
Avendo dunque imparato il modo di guarire le nostre ferite, adoperiamo questi rimedi. Riacquistata poi la vera sanità, godremo con fiducia della sacra mensa e con grande gloria andremo incontro a Cristo, re della gloria, e conquisteremo per sempre i beni eterni per la grazia, la misericordia e la bontà del Signore nostro Gesù Cristo.
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30/08/2014 09:46
 
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Dalle «Omelie sul vangelo di Matteo» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. 50, 3-4; PG 58, 508-509)
Adorna il tempio, ma non trascurare i poveri

Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità. Colui che ha detto: «Questo è il mio corpo», confermando il fatto con la parola, ha detto anche: Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare (cfr. Mt 25, 42), e: Ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei più piccoli tra questi, non l'avete fatto neppure a me (cfr. Mt 25, 45). Il corpo di Cristo che sta sull'altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura.
Impariamo dunque a pensare e a onorare Cristo come egli vuole. Infatti l'onore più gradito che possiamo rendere a colui che vogliamo venerare è quello che lui stesso vuole, non quello escogitato da noi. Anche Pietro credeva di onorarlo impedendo a lui di lavargli i piedi. Questo non era onore, ma vera scortesia. Così anche tu rendigli quell'onore che egli ha comandato, fa' che i poveri beneficino delle tue ricchezze. Dio non ha bisogno di vasi d'oro, ma di anime d'oro.
Con questo non intendo certo proibirvi di fare doni alla chiesa. No. Ma vi scongiuro di elargire, con questi e prima di questi, l'elemosina. Dio infatti accetta i doni alla sua casa terrena, ma gradisce molto di più il soccorso dato ai poveri.
Nel primo caso ne ricava vantaggio solo chi offre, nel secondo invece anche chi riceve. Là il dono potrebbe essere occasione di ostentazione; qui invece è elemosina e amore. Che vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è piena di vasi d'oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero? Prima sazia l'affamato, e solo in seguito orna l'altare con quello che rimane. Gli offrirai un calice d'oro e non gli darai un bicchiere d'acqua? Che bisogno c'è di adornare con veli d'oro il suo altare, se poi non gli offri il vestito necessario? Che guadagno ne ricava egli? Dimmi: se vedessi uno privo del cibo necessario e, senza curartene, adornassi d'oro solo la sua mensa, credi che ti ringrazierebbe o piuttosto non si infurierebbe contro di te? E se vedessi uno coperto di stracci e intirizzito dal freddo, trascurando di vestirlo, gli innalzassi colonne dorate, dicendo che lo fai in suo onore, non si riterrebbe forse di essere beffeggiato e insultato in modo atroce?
Pensa la stessa cosa di Cristo, quando va errante e pellegrino, bisognoso di un tetto. Tu rifiuti di accoglierlo nel pellegrino e adorni invece il pavimento, le pareti, le colonne e i muri dell'edificio sacro. Attacchi catene d'argento alle lampade, ma non vai a visitarlo quando lui è incatenato in carcere. Dico questo non per vietarvi di procurare tali addobbi e arredi sacri, ma per esortarvi a offrire, insieme a questi, anche il necessario aiuto ai poveri, o, meglio, perché questo sia fatto prima di quello. Nessuno è mai stato condannato per non aver cooperato ad abbellire il tempio, ma chi trascura il povero è destinato alla geenna, al fuoco inestinguibile e al supplizio con i demoni. Perciò mentre adorni l'ambiente del culto, non chiudere il tuo cuore al fratello che soffre. Questi è un tempio vivo più prezioso di quello.
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13/09/2014 06:30
 
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Dalle «Omelie» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Prima dell'esilio, nn. 1-3; PG 52, 427*-430)
Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno

Molti marosi e minacciose tempeste ci sovrastano, ma non abbiamo paura di essere sommersi, perché siamo fondati sulla roccia. Infuri pure il mare, non potrà sgretolare la roccia. S'innalzino pure le onde, non potranno affondare la navicella di Gesù. Cosa, dunque, dovremmo temere? La morte? «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1, 21). Allora l'esilio? «Del Signore è la terra e quanto contiene» (Sal 23, 1). La confisca de beni? «Non abbiamo portato nulla in questo mondo e nulla possiamo portarne via» (1 Tm 6, 7). Disprezzo le potenze di questo mondo e i suoi beni mi fanno ridere. Non temo la povertà, non bramo ricchezze non temo la morte, né desidero vivere, se non per il vostro bene. È per questo motivo che ricordo le vicende attuali e vi prego di non perdere la fiducia.
Non senti il Signore che dice: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»? (Mt 18, 20). E non sarà presente là dove si trova un popolo così numeroso, unito dai vincoli della carità? Mi appoggio forse sulle mie forze? No, perché ho il suo pegno, ho con me la sua parola: questa è il mio bastone, la mia sicurezza, il mio porto tranquillo. Anche se tutto il mondo è sconvolto, ho tra le mani la sua Scrittura, leggo la sua parola. Essa è la mia sicurezza e la mia difesa. Egli dice: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).
Cristo è con me, di chi avrò paura? Anche se si alzano contro di me i cavalloni di tutti i mari o il furore dei prìncipi, tutto questo per me vale di meno di semplici ragnatele. Se la vostra carità non mi avesse trattenuto, non avrei indugiato un istante a partire per altra destinazione oggi stesso. Ripeto sempre: «Signore, sia fatta la tua volontà» (Mt 26, 42). Farò quello che vuoi tu, non quello che vuole il tale o il tal altro. Questa è la mia torre, questa la pietra inamovibile, il bastone del mio sicuro appoggio. Se Dio vuole questo, bene! Se vuole ch'io rimanga, lo ringrazio. Dovunque mi vorrà, gli rendo grazie.
Dove sono io, là ci siete anche voi. Dove siete voi, ci sono anch'io. Noi siamo un solo corpo e non si separa il capo dal corpo, né il corpo dal capo. Anche se siamo distanti, siamo uniti dalla carità; anzi neppure la morte ci può separare. Il corpo morrà, l'anima tuttavia vivrà e si ricorderà del popolo. Voi siete i miei concittadini, i miei genitori, i miei fratelli, i miei figli, le mie membra, il mio corpo, la mia luce, più amabile della luce del giorno. Il raggio solare può recarmi qualcosa di più giocondo della vostra carità? Il raggio mi è utile nella vita presente, ma la vostra carità mi intreccia la corona per la vita futura.
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16/09/2014 14:38
 
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Dagli «Atti proconsolari del martirio di san Cipriano vescovo»
(Atti, 3-6; CSEL 3, 112-114)
In una cosa così giusta non c'è da riflettere

Al mattino del 14 settembre molta folla si era radunata a Sesti secondo quanto aveva ordinato il proconsole Galerio Massimo. E così lo stesso proconsole Galerio Massimo ordinò che gli fosse condotto Cipriano all'udienza che teneva nel medesimo giorno nell'atrio Sauciolo. Quando gli fu davanti, il proconsole Galerio Massimo disse al vescovo Cipriano: «Tu sei Tascio Cipriano?». Il vescovo Cipriano rispose: «Sì, sono io».
Il proconsole Galerio Massimo disse: «Sei tu che ti sei presentato come capo di una setta sacrilega?». Il vescovo Cipriano rispose: «Sono io».
Galerio Massimo disse: «I santissimi imperatori ti ordinano di sacrificare». Il vescovo Cipriano disse: «Non lo faccio».
Il proconsole Galerio Massimo disse: «Rifletti bene». Il vescovo Cipriano disse: «Fa' ciò che ti è stato ordinato. In una cosa così giusta non c'è da riflettere».
Galerio Massimo, dopo aver conferito con il collegio dei magistrati, a stento e a malincuore pronunziò questa sentenza: «Tu sei vissuto a lungo sacrilegamente e ti sei aggregato moltissimi della tua setta criminale, e ti sei costituito nemico degli dèi romani e dei loro sacri riti. I pii e santissimi imperatori Valeriano e Gallieno Augusti e Valeriano nobilissimo Cesare non riuscirono a ricondurti all'osservanza delle loro cerimonie religiose. E perciò, poiché sei risultato autore e istigatore dei peggiori reati, sarai tu stesso di esempio a coloro che hai associato alle tue scellerate azioni. Col tuo sangue sarà sancito il rispetto delle leggi». E dette queste parole, lesse ad alta voce da una tavoletta il decreto: «Ordino che Tascio Cipriano sia punito con la decapitazione». Il vescovo Cipriano disse: «Rendiamo grazie a Dio».
Dopo questa sentenza la folla dei fratelli diceva: «Anche noi vogliamo esser decapitati insieme a lui». Per questo una grande agitazione sorse fra i fratelli e molta folla lo seguì. E così Cipriano fu condotto nella campagna di Sesti e qui si spogliò del mantello e del cappuccio, si inginocchiò a terra e si prostrò in orazione al Signore. Si tolse poi la dalmatica e la consegnò ai diaconi, restando con la sola veste di lino, e così rimase in attesa del carnefice.
Quando poi questo giunse, il vescovo diede ordine ai suoi di dargli venticinque monete d'oro. Frattanto i fratelli stendevano davanti a lui pannolini e fazzoletti. Quindi il grande Cipriano con le sue stesse mani si bendò gli occhi, ma siccome non riusciva a legarsi le cocche del fazzoletto, intervennero ad aiutarlo il presbitero Giuliano e il suddiacono Giuliano.
Così il vescovo Cipriano subì il martirio e il suo corpo, a causa della curiosità dei pagani, fu deposto in un luogo vicino dove potesse essere sottratto allo sguardo indiscreto dei pagani. Di là, poi, durante la notte, fu portato via con fiaccole e torce accese e accompagnato fino al cimitero del procuratore Macrobio Candidiano che è nella via delle Capanne presso le piscine. Dopo pochi giorni il proconsole Galerio Massimo morì.
Il santo vescovo Cipriano subì il martirio il 14 settembre sotto gli imperatori Valeriano e Gallieno, regnando però il nostro Signore Gesù Cristo a cui è onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.
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28/09/2014 09:14
 
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Dalla «Lettera ai Filippesi» di san Policarpo, vescovo e martire
(Capp. 1, 1 - 2, 3; Funk, 1, 267-269)
Foste salvati gratuitamente

Policarpo e i presbiteri, che sono con lui, alla chiesa di Dio che risiede come pellegrina in Filippi: la misericordia e la pace di Dio onnipotente e di Gesù Cristo nostro salvatore siano in abbondanza su di voi.
Prendo parte vivamente alla vostra gioia nel Signore nostro Gesù Cristo perché avete praticato la parola della carità più autentica. Infatti avete aiutato nel loro cammino i santi avvinti da catene, catene che sono veri monili e gioielli per coloro che furono scelti da Dio e dal Signore nostro. Gioisco perché la salda radice della vostra fede, che vi fu annunziata fin dal principio, sussiste fino al presente e porta frutti in Gesù Cristo nostro Signore. Egli per i nostri peccati accettò di giungere fino alla morte, ma «Dio lo ha risuscitato sciogliendolo dalle angosce della morte» (At 2, 24), e in lui, senza vederlo, credete con una gioia indicibile e gloriosa (cfr. 1 Pt 1, 8), alla quale molti vorrebbero partecipare; e sapete bene che siete stati salvati per grazia, non per le vostre opere, ma per la volontà di Dio mediante Gesù Cristo (cfr. Ef 2, 8-9).
«Perciò dopo aver preparato la vostra mente all'azione» (1 Pt 1, 13), «servite Dio con timore» (Sal 2, 11) e nella verità, lasciando da parte le chiacchiere inutili e gli errori grossolani e «credendo in colui che ha risuscitato nostro Signore Gesù Cristo dai morti e gli ha dato gloria» (1 Pt 1, 21), facendolo sedere alla propria destra. A lui sono sottomesse tutte le cose nei cieli e sulla terra, a lui obbedisce ogni vivente. Egli verrà a giudicare i vivi e i morti e Dio chiederà conto del suo sangue a quanti rifiutano di credergli.
Colui che lo ha risuscitato dai morti, risusciterà anche noi, se compiremo la sua volontà, se cammineremo secondo i suoi comandi e ameremo ciò che egli amò, astenendoci da ogni specie di ingiustizia, inganno, avarizia, calunnia, falsa testimonianza, «non rendendo male per male, né ingiuria per ingiuria» (1 Pt 3, 9), colpo per colpo, maledizione per maledizione, memori dell'insegnamento del Signore che disse: Non giudicate per non esser giudicati; perdonate e vi sarà perdonato; siate misericordiosi per ricevere misericordia; con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi (cfr. Mt 7, 1; Lc 6, 36-38) e: Beati i poveri e i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli (cfr. Mt 5, 3. 10).
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30/09/2014 07:48
 
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Dal «Prologo al commento del Profeta Isaia» di san Girolamo, sacerdote
(Nn. 1. 2; CCL 73, 1-3)
L'ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo

Adempio al mio dovere, ubbidendo al comando di Cristo: «Scrutate le Scritture» (Gv 5, 39), e: «Cercate e troverete» (Mt 7, 7), per non sentirmi dire come ai Giudei: «Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture, né la potenza di Dio» (Mt 22, 29). Se, infatti, al dire dell'apostolo Paolo, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio, colui che non conosce le Scritture, non conosce la potenza di Dio, né la sua sapienza. Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo.
Perciò voglio imitare il padre di famiglia, che dal suo tesoro sa trarre cose nuove e vecchie, e così anche la Sposa, che nel Cantico dei Cantici dice: O mio diletto, ho serbato per te il nuovo e il vecchio (cfr. Ct 7, 14 volg.). Intendo perciò esporre il profeta Isaia in modo da presentarlo non solo come profeta, ma anche come evangelista e apostolo. Egli infatti ha detto anche di sé quello che dice degli altri evangelisti: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi, che annunzia la pace» (Is 52, 7). E Dio rivolge a lui, come a un apostolo, la domanda: Chi manderò, e chi andrà da questo popolo? Ed egli risponde: Eccomi, manda me (cfr. Is 6, 8).
Ma nessuno creda che io voglia esaurire in poche parole l'argomento di questo libro della Scrittura che contiene tutti i misteri del Signore. Effettivamente nel libro di Isaia troviamo che il Signore viene predetto come l'Emmanuele nato dalla Vergine, come autore di miracoli e di segni grandiosi, come morto e sepolto, risorto dagli inferi e salvatore di tutte le genti. Che dirò della sua dottrina sulla fisica, sull'etica e sulla logica? Tutto ciò che riguarda le Sacre Scritture, tutto ciò che la lingua può esprimere e l'intelligenza dei mortali può comprendere, si trova racchiuso in questo volume. Della profondità di tali misteri dà testimonianza lo stesso autore quando scrive: «Per voi ogni visione sarà come le parole di un libro sigillato: si dà a uno che sappia leggere, dicendogli: Lèggilo. Ma quegli risponde: Non posso, perché è sigillato. Oppure si dà il libro a chi non sa leggere, dicendogli: Lèggilo, ma quegli risponde: Non so leggere» (Is 29, 11-12).
(Si tratta dunque di misteri che, come tali, restano chiusi e incomprensibili ai profani, ma aperti e chiari ai profeti. Se perciò dai il libro di Isaia ai pagani, ignari dei libri ispirati, ti diranno: Non so leggerlo, perché non ho imparato a leggere i testi delle Scritture. I profeti però sapevano quello che dicevano e lo comprendevano). Leggiamo infatti in san Paolo: «Le ispirazioni dei profeti devono essere sottomesse ai profeti» (1 Cor 14, 32), perché sia in loro facoltà di tacere o di parlare secondo l'occorrenza.
I profeti, dunque, comprendevano quello che dicevano, per questo tutte le loro parole sono piene di sapienza e di ragionevolezza. Alle loro orecchie non arrivavano soltanto le vibrazioni della voce, ma la stessa parola di Dio che parlava nel loro animo. Lo afferma qualcuno di loro con espressioni come queste: L'angelo parlava in me (cfr. Zc 1, 9), e: (lo Spirito) «grida nei nostri cuori: Abbà, Padre» (Gal 4, 6), e ancora: «Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore» (Sal 84, 9).
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03/10/2014 07:53
 
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Dal trattato «Sulla lettera ai Filippesi» di sant'Ambrogio, vescovo
(PLS 1, 617-618)
Rallegratevi nel Signore, sempre

Come avete sentito nella precedente lettura nella quale l'Apostolo diceva: «Rallegratevi nel Signore sempre» (Fil 4, 4), la carità di Dio, o fratelli carissimi, ci chiama, per la salvezza delle nostre anime, alle gioie della beatitudine eterna. Le gioie del mondo vanno verso la tristezza senza fine. Invece le gioie rispondenti alla volontà del Signore portano alle gioie durature ed intramontabili coloro che le coltivano assiduamente. Perciò l'Apostolo dice: «Ve lo ripeto ancora: rallegratevi» (Fil 4, 4).
Egli esorta ad accrescere sempre più la nostra gioia in Dio mediante l'osservanza dei suoi comandamenti, perché quanto più avremo lottato in questo mondo per obbedire ai precetti del Signore, tanto più saremo beati nella vita futura, e tanto maggior gloria ci guadagneremo agli occhi di Dio.
«La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini» (Fil 4, 5); cioè, la vostra condotta santa sia manifesta non solamente agli occhi di Dio, ma anche a quelli degli uomini, come esempio di onestà e sobrietà per tutti coloro che abitano con voi sulla terra. Lasciate di voi un buon ricordo sia di vita cristiana che di rettitudine umana.
«Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla» (Fil 4, 5-6). Il Signore è sempre vicino a tutti quelli che lo invocano con cuore sincero, con fede retta, con speranza ferma, con carità perfetta; egli infatti sa quello di cui avete bisogno prima che glielo domandiate: egli è sempre pronto a venire in soccorso in ogni necessità a tutti coloro che lo servono fedelmente. Perciò non dobbiamo preoccuparci gran che dei mali che ci sovrastano, quando abbiamo la certezza che Dio, nostra difesa, ci è vicinissimo secondo il detto: «Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito, egli salva gli spiriti affranti. Molte sono le sventure del giusto, ma lo libera da tutte il Signore» (Sal 33, 19-20). Se noi ci sforziamo di compiere e di conservare quanto ci ha comandato, egli non tarda a renderci quello che ci ha promesso.
«Ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti» (Fil 4, 6) per potere affrontare le prove con pazienza e serenità e mai con amare contestazioni - Dio ce ne guardi -, anzi «rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre» (Ef 5, 20).
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06/10/2014 07:38
 
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Dal trattato «Caino e Abele» di sant'Ambrogio, vescovo
(Lib. 1, 9. 34. 38-39; CSEL 32, 369. 371-372)
Si deve pregare in modo speciale
per tutto il corpo della Chiesa

«Offri a Dio un sacrificio di lode e sciogli all'Altissimo i tuoi voti» (Sal 49, 14). Chi promette a Dio e mantiene quello che gli ha promesso, lo loda. Perciò viene privilegiato sugli altri quel samaritano il quale, mondato dalla lebbra per comando del Signore insieme agli altri nove, ritorna a Cristo da solo, magnifica Dio e lo ringrazia. Di esso Gesù affermò: «Non si è trovato chi tornasse a rendere gloria a Dio all'infuori di questo straniero? E gli disse: Alzati e va', la tua fede ti ha salvato!» (Lc 17, 18-19).
Il Signore Gesù ti ha fatto conoscere in modo divino la bontà del Padre che sa concedere cose buone, perché anche tu chieda a lui, che è buono, ciò che è buono. Ha raccomandato di pregare intensamente e frequentemente, non perché la nostra preghiera si prolunghi fino al tedio, ma piuttosto ritorni a scadenze brevi e regolari. Infatti la preghiera troppo prolissa spesso diventa meccanica e d'altra parte l'eccessivo distanziamento porta alla negligenza.
Quando domandi perdono per te, allora è proprio quello il momento di ricordarti che devi concederlo agli altri. Così l'opera sarà una commendatizia alla tua preghiera. Anche l'Apostolo insegna che si deve pregare senza ira e senza contese perché la preghiera non venga turbata e falsata. Insegna anche che si deve pregare in ogni luogo (cfr. 1 Tm 2, 8), laddove il Salvatore dice: «Entra nella tua camera» (Mt 6, 6). Intendi non una camera delimitata da pareti dove venga chiusa la tua persona, ma la cella che è dentro di te dove sono racchiusi i tuoi pensieri, dove risiedono i tuoi sentimenti. Questa camera della tua preghiera è con te dappertutto, è segreta dovunque ti rechi, e in essa non c'è altro giudice se non Dio solo.
Ti si insegna ancora che si deve pregare in maniera tutta speciale per il popolo, cioè per tutto il corpo, per tutte le membra della tua madre: sta in questo il segno della carità vicendevole. Se, infatti, preghi per te, pregherai soltanto per il tuo interesse. E se i singoli pregano soltanto per se stessi, la grazia è solo in proporzione della preghiera di ognuno, secondo la sua maggiore o minore dignità. Se invece i singoli pregano per tutti, tutti pregano per i singoli e il vantaggio è maggiore.
Dunque, per concludere, se preghi soltanto per te, pregherai per te, ma da solo, come abbiamo detto. Se invece preghi per tutti, tutti pregheranno per te. Perché nella totalità ci sei anche tu. La ricompensa è maggiore perché le preghiere dei singoli messe insieme ottengono a ognuno quanto chiede tutto intero il popolo. In questo non vi è alcuna presunzione, ma maggiore umiltà e frutto più abbondante.
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08/10/2014 08:02
 
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Dalla «Lettera ai cristiani di Tralle» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire
(Capp. 8, 1 - 9, 2; 11, 1 - 13, 3; Funk, 1, 209-211)
Rinascete nella fede che è la carne del Signore
e nella carità che è il suo sangue

Rivestitevi di umiltà e rinascete nella fede che è la carne del Signore. Rinnovatevi nella carità che è il sangue di Gesù Cristo. Nessuno abbia qualcosa contro il suo prossimo. Non date pretesto ai pagani di disprezzare la moltitudine che vive in Dio, a causa di pochi stolti. Guai all'uomo per colpa del quale il mio nome è disprezzato, dice il Signore (cfr. Is 52, 5).
Chiudete le orecchie quando qualcuno vi parla d'altro che di Gesù Cristo, della stirpe di David, figlio di Maria, che realmente nacque, mangiava e beveva, che fu veramente perseguitato sotto Ponzio Pilato, che fu veramente crocifisso e morì al cospetto del cielo, della terra e degli inferi, e che poi realmente è risorto dai morti. Lo stesso Padre suo lo fece risorgere dai morti e farà risorgere nella stessa maniera in Gesù Cristo anche noi, che crediamo in lui, al di fuori del quale non possiamo avere la vera vita.
Fuggite, dunque, queste male piante. Esse portano frutti di morte, e se qualcuno ne gusta, subito muore. Queste non sono piante del Padre. Se lo fossero, apparirebbero come rami della croce e il loro frutto sarebbe incorruttibile.
Cristo chiama voi a comportarvi come sue membra autentiche, a unirvi cioè alla sua passione mediante il frutto genuino della croce, che è la fede sincera. Allora formerete un'unità perfetta con lui; il capo infatti non può rimanere separato dalle membra. Lo ha rivelato lo stesso Signore.
Vi saluto da Smirne, insieme alle chiese di Dio che si trovano qui con me e mi sono di grande conforto, sia per il corpo che per lo spirito. Le catene che porto ovunque per amore di Gesù Cristo, mentre prego di poter giungere a Dio, vi esortano: Perseverate nella concordia e nella preghiera in comune. È necessario che ciascuno di voi, e soprattutto i presbiteri, confortino il vescovo ad onore del Padre, di Gesù Cristo e degli apostoli.
Spero che vogliate leggermi con carità, perché questa lettera non diventi una testimonianza contro di voi. E pregate per me, che ho bisogno della vostra carità e della misericordia di Dio per divenire degno di aver parte all'eredità che sto per conseguire, e non essere trovato reprobo.
Vi saluta anche la carità dei cristiani di Smirne e di Èfeso. Ricordate nelle vostre preghiere la chiesa di Siria della quale non sono degno di portare il nome, essendo l'ultimo di tutti. Vi saluto in Gesù Cristo. Siate sottomessi al vescovo come alla legge di Dio e così pure al collegio dei presbiteri. Amatevi tutti a vicenda con cuore indiviso.
La mia vita è offerta in sacrificio per voi, non soltanto ora, ma anche quando avrò raggiunto Dio. Sono ancora esposto al pericolo, ma il Padre è fedele in Gesù Cristo e darà compimento alla mia preghiera e alla vostra. Possiate un giorno trovarvi uniti in lui, senza macchia.
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09/10/2014 08:30
 
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Dalla «Lettera ai cristiani di Filadelfia» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire
(Capp. 1, 1 - 2, 1; 3, 2 - 5; Funk, 1, 226-229)
Uno solo è il vescovo con i presbiteri e i diaconi

Ignazio, detto anche Teoforo, alla chiesa di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo che si trova a Filadelfia, in Asia, che è oggetto dell'amore di Dio e da lui è resa salda nella concordia, ricolma di gioia nella passione del Signore nostro e, irremovibilmente certa della sua risurrezione, gode di ogni dono della misericordia divina.
Io saluto nel sangue di Gesù Cristo questa chiesa, che è mia gioia eterna e indefettibile, soprattutto se sono uniti tutti i suoi membri con il vescovo, con i presbiteri e con i diaconi, scelti secondo il pensiero di Gesù Cristo, e da lui resi forti e saldi, secondo la sua volontà, mediante il suo Santo Spirito.
So che il vostro vescovo non ha ottenuto né da se stesso né dagli uomini il ministero che esercita a servizio della comunità, né per propria ambizione, ma gli è stato affidato dall'amore di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo. Sono rimasto ammirato della sua amabilità; con il suo silenzio egli fa più di quelli che si perdono in vani discorsi. I voleri divini trovano in lui una perfetta risonanza come le corde sonore nella cetra. Perciò la mia anima si compiace dei suoi sentimenti verso Dio, che so virtuosi e perfetti, e della sua fermezza e cordialità che sono un riflesso della bontà del Dio vivente.
Voi, dunque, figli della luce e della verità, fuggite le divisioni e le perverse dottrine. Siate un gregge docile e fedele, che segue ovunque il suo pastore. Quelli, infatti, che appartengono a Dio e a Gesù Cristo sono tutti con il vescovo. E quelli che si ravvedono e ritornano all'unità della Chiesa saranno anch'essi di Dio per vivere secondo Gesù Cristo.
Non illudetevi, fratelli miei, chi segue un fautore di divisioni «non erediterà il regno di Dio» (1 Cor 6, 10); chi cammina nella strada dell'eresia non è in accordo con la passione di Cristo.
Procurate dunque di partecipare ad un'unica Eucaristia, perché non vi è che un'unica carne del Signore nostro Gesù Cristo e un unico calice che ci unisce nel suo sangue e un unico altare, come uno solo è il vescovo con il collegio dei presbiteri e i diaconi, miei compagni di ministero. Comportatevi in modo che qualunque cosa facciate, la facciate secondo Dio.
Fratelli miei, il mio cuore sovrabbonda di amore per voi e con la più grande gioia cerco di premunirvi, non io, ma Gesù Cristo. Sono, è vero, incatenato per lui, ma il mio timore si è fatto più grande perché mi vedo ancora imperfetto. La vostra preghiera mi renderà perfetto dinanzi a Dio. Mi affido al Vangelo come alla carne di Cristo, e mi tengo unito al collegio dei presbiteri come agli apostoli. Così potrò ottenere l'eredità a cui la misericordia di Dio mi ha destinato.
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12/10/2014 07:40
 
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Dal «Commento su Aggeo» di san Cirillo d'Alessandria, vescovo
(Cap. 14; PG 71, 1047-1050)
Il mio nome è glorificato tra le genti

Al tempo della venuta del nostro Salvatore apparve un tempio divino senza alcun confronto più glorioso, più splendido ed eccellente di quello antico. Quanto superiore era la religione di Cristo e del Vangelo al culto dell'antica legge e quanto superiore è la realtà in confronto alla sua ombra, tanto più nobile è il tempio nuovo rispetto all'antico.
Penso che si possa aggiungere anche un'altra cosa. Il tempio era unico, quello di Gerusalemme, e il solo popolo di Israele offriva in esso i suoi sacrifici. Ma dopo che l'Unigenito si fece simile a noi, pur essendo «Dio e Signore, nostra luce» (Sal 117, 27), come dice la Scrittura, il mondo intero si è riempito di sacri edifici e di innumerevoli adoratori che onorano il Dio dell'universo con sacrifici ed incensi spirituali. E questo, io penso, è ciò che Malachia profetizzò da parte di Dio: Io sono il grande Re, dice il Signore; grande è il mio nome fra le genti, e in ogni luogo saranno offerti l'incenso e l'oblazione pura (cfr. Ml 1, 11).
Da ciò risulta che la gloria dell'ultimo tempio, cioè della Chiesa, sarebbe stata più grande. A quanti lavorano con impegno e fatica alla sua edificazione, sarà dato dal Salvatore come dono e regalo celeste Cristo, che è la pace di tutti. Noi allora per mezzo di lui potremo presentarci al Padre in un solo Spirito (cfr. Ef 2, 18). Lo dichiara egli stesso quando dice: Darò la pace in questo luogo e la pace dell'anima in premio a chiunque concorrerà a innalzare questo tempio (cfr. Ag 2, 9). Aggiunge: «Vi do la mia pace» (Gv 14, 27). E quale vantaggio questo offra a quanti lo amano, lo insegna san Paolo dicendo: La pace di Cristo, che sorpassa ogni intelligenza, custodisca i vostri cuori e i vostri pensieri (cfr. Fil 4, 7). Anche il saggio Isaia pregava in termini simili: «Signore, ci concederai la pace, poiché tu dai successo a tutte le nostre imprese» (Is 26, 12).
A quanti sono stati resi degni una volta della pace di Cristo è facile salvare l'anima loro e indirizzare la volontà a compiere bene quanto richiede la virtù.
Perciò a chiunque concorre alla costruzione del nuovo tempio promette la pace. Quanti dunque si adoperano a edificare la Chiesa o che sono messi a capo della famiglia di Dio (cfr. Ef 2, 22) come mistagoghi, cioè come interpreti dei sacri misteri, sono sicuri di conseguire la salvezza. Ma lo sono anche coloro che provvedono al bene della propria anima, rendendosi roccia viva e spirituale (cfr. 1 Cor 10, 4) per il tempio santo, e dimora di Dio per mezzo dello Spirito (cfr. Ef 2, 22).
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17/10/2014 07:52
 
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Dalla «Lettera ai Romani» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire

(Capp. 4, 1-2; 6, 1 - 8, 3; Funk, 1, 217-223)
Sono frumento di Dio:
sarò macinato dai denti delle fiere

Scrivo a tutte le chiese, e a tutti annunzio che morrò volentieri per Dio, se voi non me lo impedirete. Vi scongiuro, non dimostratemi una benevolenza inopportuna. Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle quali mi sia dato di raggiungere Dio. Sono frumento di Dio, e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo. Supplicate Cristo per me, perché per opera di queste belve io divenga ostia per il Signore.
A nulla mi gioveranno i godimenti del mondo né i regni di questa terra. È meglio per me morire per Gesù Cristo che estendere il mio impero fino ai confini della terra. Io cerco colui che è morto per noi, voglio colui che per noi è risorto. È vicino il momento della mia nascita.
Abbiate compassione di me, fratelli. Non impeditemi di vivere, non vogliate che io muoia. Non abbandonate al mondo e alle seduzioni della materia chi vuol essere di Dio. Lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là, sarò veramente un uomo. Lasciate che io imiti la passione del mio Dio. Se qualcuno lo ha in sé, comprenda quello che io voglio e mi compatisca, pensando all'angoscia che mi opprime.
Il principe di questo mondo vuole portarmi via e soffocare la mia aspirazione verso Dio. Nessuno di voi gli dia mano; state piuttosto dalla mia parte, cioè da quella di Dio. Non siate di quelli che professano Gesù Cristo e ancora amano il mondo. Non trovino posto in voi sentimenti meno buoni. Anche se vi supplicassi, quando sarò tra voi, non datemi ascolto: credete piuttosto a quanto vi scrivo ora nel pieno possesso della mia vita. Vi scrivo che desidero morire.
Ogni mio desiderio terreno è crocifisso e non c'è più in me nessun'aspirazione per le realtà materiali, ma un'acqua viva mormora dentro di me e mi dice: «Vieni al Padre». Non mi diletto più di un cibo corruttibile, né dei piaceri di questa vita. Voglio il pane di Dio, che è la carne di Gesù Cristo, della stirpe di David; voglio per bevanda il suo sangue che è la carità incorruttibile.
Non voglio più vivere la vita di quaggiù. E il mio desiderio si realizzerà, se voi lo vorrete. Vogliatelo, vi prego, per trovare anche voi benevolenza. Ve lo domando con poche parole: credetemi. Gesù Cristo vi farà comprendere che dico il vero: egli è la bocca verace per mezzo della quale il Padre ha parlato in verità. Chiedete per me che io possa raggiungerlo. Non vi scrivo secondo la carne, ma secondo il pensiero di Dio. Se subirò il martirio, ciò significherà che mi avete voluto bene. Se sarò rimesso in libertà, sarà segno che mi
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26/10/2014 07:11
 
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Dalla «Lettera ai Corinzi» di san Clemente I, papa
(Capp. 19, 2 - 20, 12; Funk, 1, 87-89)
Dio ordina il mondo con armonia e concordia
e fa del bene a tutti

Fissiamo lo sguardo sul padre e creatore di tutto il mondo e immedesimiamoci intimamente con i suoi magnifici e incomparabili doni di pace e con i suoi benefici. Contempliamolo nella nostra mente e scrutiamo con gli occhi dell'anima il suo amore così longanime. Consideriamo quanto si dimostri benigno verso ogni sua creatura.
I cieli, che si muovono sotto il suo governo, gli sono sottomessi in pace; il giorno e la notte compiono il corso fissato da lui senza reciproco impedimento. Il sole, la luce e il coro degli astri percorrono le orbite prestabilite secondo la sua disposizione senza deviare dal loro corso, e in bell'armonia. La terra, feconda secondo il suo volere, produce a suo tempo cibo abbondante per gli uomini, le bestie e tutti gli esseri animati che vivono su di essa, senza discordanza e mutamento alcuno per rapporto a quanto egli ha stabilito. Gli stessi ordinamenti regolano gli abissi impenetrabili e le profondità della terra. Per suo ordine il mare immenso e sconfinato si raccolse nei suoi bacini e non oltrepassa i confini che gli furono imposti, ma si comporta così come Dio ha ordinato. Ha detto infatti: «Fin qui giungerai e non oltre e qui si infrangerà l'orgoglio delle tue onde» (Gb 38, 11). L'oceano invalicabile per gli uomini e i mondi che si trovano al di là di esso sono retti dalle medesime disposizioni del Signore.
Le stagioni di primavera, d'estate, d'autunno e d'inverno si succedono regolarmente le une alle altre. Le masse dei venti adempiono il loro compito senza ritardi e nel tempo assegnato. Anche le sorgenti perenni, create per il nostro godimento e la nostra salute, offrono le loro acque ininterrottamente per sostentare la vita degli uomini. Persino gli animali più piccoli si stringono insieme nella pace e nella concordia. Tutto questo il grande creatore e signore di ogni cosa ha comandato che si facesse in pace e concordia, sempre largo di benefici verso tutti, ma con maggiore abbondanza verso di noi che ricorriamo alla sua misericordia per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. A lui la gloria e l'onore nei secoli dei secoli. Amen.
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27/10/2014 07:16
 
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Dalla «Lettera ai Corinzi» di san Clemente I, papa
(Capp. 21, 1 - 22, 5; 23, 1-2; Funk, 1, 89-93)
Non andiamo contro la volontà di Dio

Badate, carissimi, che i benefici di Dio, così grandi e numerosi, non abbiano a convertirsi in condanna per noi, se non viviamo in maniera degna di lui, vale a dire se non facciamo concordemente ciò che è buono e accetto davanti a lui. Dice infatti in un certo passo: «Lo Spirito del Signore è come una fiaccola che scruta tutti i segreti recessi del cuore» (Pro 20, 27 volg.).
Pensiamo quanto ci sia vicino, e come a lui nulla resti nascosto dei nostri pensieri e dei nostri propositi. Perciò non andiamo mai contro la sua volontà. Piuttosto che offendere Dio, non esitiamo a metterci in conflitto con gli uomini stolti e senza giudizio, tronfi e superbi e ricchi solo di parole bugiarde.
Adoriamo il Signore Gesù Cristo, il cui sangue fu versato per noi, portiamo rispetto a quelli che ci governano, onoriamo gli anziani e istruiamo i giovani nella scienza del timor di Dio, indirizziamo le nostre spose sulla via del bene. Appaiano amabili nella loro vita morale, diano prova della loro disposizione alla dolcezza, manifestino con il tacere di saper moderare la lingua, offrano uguale amore, senza preferenza di persone, a tutti quelli che santamente servono Dio.
I nostri figli facciano tesoro degli insegnamenti di Cristo; imparino quale forza abbia davanti a Dio l'umiltà, che cosa possa presso di lui un amore casto, e come il suo timore sia buono e grande. Esso salva tutti quelli che lo praticano santamente nella purezza dell'anima. Dio infatti scruta i pensieri e le intenzioni della mente. Il suo soffio è in noi e ce lo toglierà quando vorrà.
Tutto questo è confermato dalla fede che abbiamo in Cristo. Egli infatti per mezzo dello Spirito Santo così ci sprona: «Venite, figli, ascoltatemi; vi insegnerò il timore del Signore. C'è qualcuno che desidera la vita e brama lunghi giorni per gustare il bene? Preserva la lingua dal male, le labbra da parole bugiarde. Sta' lontano dal male e fa' il bene, cerca la pace e perseguila» (Sal 33, 12-15).
Compassionevole e largo di benefici verso tutti, egli è Padre che porta amore speciale verso quanti lo temono. Con dolcezza e bontà egli spande le sue grazie su coloro che si accostano a lui con cuore semplice. Perciò non abbiamo il cuore diviso, e l'anima nostra non insuperbisca per i suoi doni incomparabili e magnifici.
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28/10/2014 07:15
 
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Dal «Commento sul vangelo di Giovanni» di san Cirillo d'Alessandria, vescovo
(Lib. 12, 1; PG 74, 707-710)
Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi

Nostro Signore Gesù Cristo stabilì le guide, i maestri del mondo e i dispensatori dei suoi divini misteri. Volle inoltre che essi risplendessero come luminari e rischiarassero non soltanto il paese dei Giudei, ma anche tutti gli altri che si trovano sotto il sole e tutti gli uomini che popolano la terra. È verace perciò colui che afferma: «Nessuno può attribuirsi questo onore, se non chi è chiamato da Dio» (Eb 5, 4). Nostro Signore Gesù Cristo ha rivestito gli apostoli di una grande dignità a preferenza di tutti gli altri discepoli.
I suoi apostoli furono le colonne e il fondamento della verità. Cristo afferma di aver dato loro la stessa missione che ebbe dal Padre. Mostrò così la grandezza dell'apostolato e la gloria incomparabile del loro ufficio, ma con ciò fece comprendere anche qual è la funzione del ministero apostolico.
Egli dunque pensava di dover mandare i suoi apostoli allo stesso modo con cui il Padre aveva mandato lui. Perciò era necessario che lo imitassero perfettamente e per questo conoscessero esattamente il mandato affidato al Figlio dal Padre. Ecco perché spiega molte volte la natura della sua missione. Una volta dice: Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori alla conversione (cfr. Mt 9, 13). Un'altra volta afferma: «Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 6, 38). Infatti «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3, 17).
Riassumendo perciò in poche parole le norme dell'apostolato, dice di averli mandati come egli stesso fu mandato dal Padre, perché da ciò imparassero che il loro preciso compito era quello di chiamare i peccatori a penitenza, di guarire i malati sia di corpo che di spirito, di non cercare nell'amministrazione dei beni di Dio la propria volontà, ma quella di colui da cui sono stati inviati e di salvare il mondo con il suo genuino insegnamento.
Fino a qual punto gli apostoli si siano sforzati di segnalarsi in tutto ciò, non sarà difficile conoscerlo se si leggeranno anche solo gli Atti degli Apostoli e gli scritti di san Paolo.
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29/10/2014 06:49
 
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Dalla «Lettera ai Corinzi» di san Clemente I, papa
(Capp. 30, 3-4; 34, 2 - 35, 5; Funk, 1, 99, 103-105)
Seguiamo la via della verità

Rivestiamoci di pace, di umiltà, di castità. Teniamoci lontani da ogni mormorazione e maldicenza, e pratichiamo la giustizia non a parole, ma nelle opere. È scritto infatti: Chi parla molto, sappia anche ascoltare, e il loquace non creda di salvarsi per le sue molte parole (cfr. Gb 11, 2).
Bisogna dunque che ci mettiamo di buon animo a fare il bene, poiché tutto ci è dato dal Signore. Egli ci avverte in precedenza: Ecco il Signore, e la sua ricompensa è con lui, per rendere a ciascuno secondo le sue opere (cfr. Ap 22, 12). Perciò ci esorta a credere in lui con tutto il cuore e a non essere pigri, ma dediti ad ogni opera buona.
Lui sia la nostra gloria e in lui riposi la nostra fiducia. Stiamo soggetti alla sua volontà e consideriamo come tutta la moltitudine degli angeli stia alla sua presenza, a servizio della sua volontà. Dice infatti la Scrittura: «Mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano» e «Proclamavano l'uno all'altro: Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la creazione è piena della sua gloria» (Dn 7, 10; Is 6, 3). Anche noi dunque uniamoci nello stesso luogo nella concordia dei sentimenti, e gridiamo continuamente a lui come con una sola bocca, per essere partecipi delle sue grandi e gloriose promesse.
È detto infatti: Occhio mai non vide, né orecchio udì né mai entrarono in cuore d'uomo quelle cose che Dio ha preparato per coloro che lo aspettano (cfr. 1 Cor 2, 9).
Come sono pieni di beatitudine e ammirabili i doni del Signore! La vita nell'immortalità, lo splendore nella giustizia, la verità nella franchezza, la fede nella confidenza, la padronanza di sé nella santità: tutto questo è stato messo alla portata delle nostre capacità. Quali saranno allora i beni che vengono preparati per coloro che lo aspettano? Solo il creatore e padre dei secoli, il santissimo ne conosce la quantità e la bellezza.
Noi dunque, per aver parte ai doni promessi, facciamo di tutto per trovarci nel numero di coloro che aspettano il Signore. E a quali condizioni potrà avvenire questo, o miei cari? Avverrà se il nostro cuore sarà saldo in Dio con la fede, se cercheremo con diligenza ciò che è gradito e accetto a lui, se compiremo ciò che è conforme alla sua santa volontà, se seguiremo la via della verità, rigettando da noi ogni forma di ingiustizia.
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