Nuova Discussione
Rispondi
 

PERLE PATRISTICHE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2017 23:57
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
18/02/2014 07:27
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dai «Discorsi contro gli Ariani» di sant'Atanasio, vescovo
(Disc. 2, 78. 81-82; PG 26, 311. 319)
La conoscenza del Padre ci viene per mezzo della Sapienza creatrice e incarnata

La Sapienza unigenita di Dio è creatrice e autrice di tutte le cose. Perciò è detto: Hai fatto tutte le cose nella tua sapienza e anche: la terra è stata riempita dalla tua creazione (cfr. Sal 103, 24). Ora perché le cose create non solo esistessero, ma esistessero ordinatamente, piacque a Dio di commisurare se stesso alle cose create con la sua Sapienza, per imprimere in tutte e in ciascuna di esse una certa impronta e sembianza della sua immagine e fosse così ben manifesto che le cose create erano state adornate dalla Sapienza, e che le opere costruite erano degne di Dio.
Come infatti la nostra parola è immagine del Verbo, che è Figlio di Dio, così in noi la sapienza è fatta ad immagine del medesimo Verbo, che è la Sapienza stessa. Il dono della sapienza ci dà la facoltà di apprendere e di conoscere, ci rende capaci di accogliere la Sapienza creatrice, e di poter conoscere, per mezzo di essa, lo stesso Padre. Infatti chi possiede il Figlio, possiede anche il Padre (cfr. 1 Gv 2, 23) e ancora: «Chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato» (Mt 10, 40). Poiché dunque l'immagine di questa stessa Sapienza è stata creata in noi e in tutte le cose, giustamente la vera Sapienza, quella creatrice, attribuendo a se stessa le proprietà che appartengono alla sua immagine, afferma: «Il Signore mi ha creato nelle sue opere».
Ma «poiché nel disegno sapiente di Dio», come abbiamo spiegato, «il mondo con tutta la sua sapienza non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione» (1 Cor 1, 21). Dio non ha più voluto essere conosciuto come nei tempi passati, attraverso l'immagine e l'ombra della sapienza. Volle che la stessa vera Sapienza assumesse la carne, si facesse uomo, e sopportasse la morte di croce, perché attraverso la fede, che in lei si fonda, tutti i credenti potessero di nuovo essere salvi.
La Sapienza di Dio manifestava se stessa e il Padre attraverso la propria immagine, impressa nelle cose create. Per questo fatto si dice che viene creata. In seguito, quella stessa Sapienza, che è il Verbo, si è fatta carne, come afferma san Giovanni. Distrutta la morte e liberato il genere umano, manifestò se stessa più chiaramente e, per mezzo suo, il Padre; donde queste sue parole: Concedi loro «che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17, 3).
Dunque la terra intera è ripiena della sua conoscenza. Poiché una sola è la conoscenza del Padre per mezzo del Figlio e del Figlio da parte del Padre. Della stessa gioia di cui si compiacque il Padre, gioisce pure il Figlio nel Padre, come risulta da questa espressione: Ero io colui del quale si compiaceva. Ogni giorno mi dilettavo al suo cospetto (cfr. Pro 8, 3).
OFFLINE
20/02/2014 08:29
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dal «Commento sui salmi» di sant'Ambrogio, vescovo
(Sal 36, 65-66; CSEL 64, 123-125)
Apri la tua bocca alla parola di Dio

Sia sempre nel nostro cuore e sulla nostra bocca la meditazione della sapienza e la nostra lingua esprima la giustizia. La legge del nostro Dio sia nel nostro cuore (cfr. Sal 36, 30). Per questo la Scrittura ci dice: «Parlerai di queste cose quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai» (Dt 6, 7). Parliamo dunque del Signore Gesù, perché egli è la Sapienza, egli è la Parola, è la Parola di Dio. Infatti è stato scritto anche questo: Apri la tua bocca alla parola di Dio.
Chi riecheggia i suoi discorsi e medita le sue parole la diffonde. Parliamo sempre di lui. Quando parliamo della sapienza, è lui colui di cui parliamo, così quando parliamo della virtù, quando parliamo della giustizia, quando parliamo della pace, quando parliamo della verità, della vita, della redenzione, è di lui che parliamo.
Apri la tua bocca alla parola di Dio, sta scritto. Tu la apri, egli parla. Per questo Davide ha detto: Ascolterò che cosa dice in me il Signore (cfr. Sal 84, 9) e lo stesso Figlio di Dio dice: «Apri la tua bocca, la voglio riempire» (Sal 80, 11). Ma non tutti possono ricevere la perfezione della sapienza come Salomone e come Daniele. A tutti però viene infuso lo spirito della sapienza secondo la capacità di ciascuno, perché tutti abbiano la fede. Se credi, hai lo spirito di sapienza.
Perciò medita sempre, parla sempre delle cose di Dio, «quando sarai seduto in casa tua» (Dt 6, 7). Per casa possiamo intendere la chiesa, possiamo intendere il nostro intimo, per parlare all'interno di noi stessi. Parla con saggezza per sfuggire al peccato e per non cadere con il troppo parlare. Quando stai seduto parla con te stesso, quasi come dovessi giudicarti. Parla per strada, per non essere mai ozioso. Tu parli per strada se parli secondo Cristo, perché Cristo è la via. In cammino parla a te stesso, parla a Cristo. Senti come devi parlargli: «Voglio, dice, che gli uomini preghino dovunque si trovino, alzando al cielo mani pure senza ira e senza contese» (1 Tm 2, 8). Parla, o uomo, quando ti corichi affinché non ti sorprenda il sonno di morte. Senti come potrai parlare sul punto di addormentarti: «Non concederò sonno ai miei occhi né riposo alle mie palpebre, finché non trovi una sede per il Signore, una dimora per il Potente di Giacobbe» (Sal 131, 4-5).
Quando ti alzi, parlagli per eseguire ciò che ti è comandato. Senti come Cristo ti sveglia. La tua anima dice: «Un rumore! È il mio diletto che bussa» (Ct 5, 2) e Cristo dice: «Aprimi, sorella mia, mia amica» (Ivi). Senti come tu devi svegliare Cristo. L'anima dice: «Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, svegliate, ridestate l'amore» (Ct 3, 5). L'amore è Cristo.
OFFLINE
24/02/2014 07:58
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalle «Omelie sull'Ecclesiaste» di san Gregorio di Nissa, vescovo
(Om. 5; PG 44, 683-686)
Il saggio ha gli occhi in fronte

Se l'anima solleverà gli occhi verso il suo capo, che è Cristo, come dichiara Paolo, dovrà ritenersi felice per la potenziata acutezza della sua vista, perché terrà fissi gli occhi là dove non vi è l'oscurità del male.
Il grande apostolo Paolo, e altri grandi come lui, avevano «gli occhi in fronte» e così pure tutti coloro che vivono, che si muovono e sono in Cristo.
Colui che si trova nella luce non vede tenebre, così colui che ha il suo occhio fisso in Cristo, non può contemplare che splendore. Con l'espressione «occhi in fronte», dunque, intendiamo la mira puntata sul principio di tutto, su Cristo, virtù assoluta e perfetta in ogni sua parte, e quindi sulla verità, sulla giustizia, sull'integrità; su ogni forma di bene. Il saggio dunque ha gli occhi in fronte, ma lo stolto cammina nel buio (Qo 2, 14). Chi non pone la lucerna sul candelabro, ma sotto il letto, fa sì che per lui la luce divenga tenebra. Quanti si dilettano di realtà perenni e di valori autentici sono ritenuti sciocchi da chi non ha la vera sapienza. È in questo senso che Paolo si diceva stolto per Cristo. Egli nella sua santità e sapienza non si occupava di nessuna di quelle vanità, da cui noi spesso siamo posseduti interamente. Dice infatti: Noi stolti a causa di Cristo (1 Cor 4, 10) come per dire: Noi siamo ciechi di fronte a tutte quelle cose che riguardano la caducità della vita, perché fissiamo l'occhio verso le cose di lassù. Per questo egli era un senza tetto, non aveva una sua mensa, era povero, errabondo, nudo, provato dalla fame e dalla sete.
Chi non lo avrebbe ritenuto un miserabile, vedendolo in catene, percosso e oltraggiato? Egli era un naufrago trascinato dai flutti in alto mare e portato da un luogo all'altro, incatenato. Però, benché apparisse tale agli uomini, non distolse mai i suoi occhi da Cristo, ma li tenne sempre rivolti al capo dicendo: Chi ci separerà dalla carità che è in Cristo Gesù? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? (cfr. Rm 8, 35). Vale a dire: Chi mi strapperà gli occhi dalla testa? Chi mi costringerà a guardare ciò che è vile e spregevole?
Anche a noi comanda di fare altrettanto quando prescrive di gustare le cose di lassù (cfr. Col 3, 1-2) cioè di tenere gli occhi sul capo, vale a dire su Cristo.
OFFLINE
25/02/2014 09:13
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalle «Omelie sull'Ecclesiaste» di san Gregorio di Nissa, vescovo
(Om 6; PG 44, 702-705)
Tempo di nascere e tempo di morire

«C'è un tempo per nascere», dice, «e un tempo per morire» (Qo 3, 2). Voglia il cielo che sia concesso anche a me di nascere al tempo giusto e di morire al momento più opportuno.
Noi infatti siamo in certo modo padri di noi stessi, quando per mezzo delle buone disposizioni di animo e del libero arbitrio, formiamo, generiamo, diamo alla luce noi stessi.
Questo poi lo realizziamo quando accogliamo Dio in noi stessi e diveniamo figli suoi, figli della virtù e figli dell'Altissimo. Mentre invece rimaniamo imperfetti e immaturi, finché non si è formata in noi, come dice l'Apostolo, «l'immagine di Cristo». È necessario però che l'uomo di Dio sia integro e perfetto. Ecco la vera nascita nostra.

«C'è un tempo per morire». Per san Paolo ogni tempo era adatto per una buona morte. Grida infatti nei suoi scritti: «Ogni giorno io affronto la morte» (1 Cor 15, 31) e ancora: «Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno» (Rm 8, 36). E proprio in noi stessi portiamo la sentenza di morte. È chiaro poi in che modo Paolo muoia ogni giorno, egli che non vive per il peccato, ma mortifica il suo corpo e porta sempre in se stesso la mortificazione del corpo di Cristo, ed è sempre crocifisso con Cristo, lui che non vive mai per se stesso, ma porta in sé il Cristo vivente. Questa, secondo me, è stata la morte opportuna che ha dato la vera vita. Infatti dice: Io farò morire e darò la vita (cfr. Dt 32, 39) perché ci si persuada veramente che è un dono di Dio esser morti al peccato e vivificati nello spirito. La parola di Dio, infatti, promette la vita proprio come effetto della morte.
OFFLINE
26/02/2014 07:52
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dal «Commento all'Ecclesiaste» di san Girolamo, sacerdote
(PL 23, 1057-1059)
Cercate le cose di lassù

«Ogni uomo, a cui Dio concede ricchezze e beni, ha anche facoltà di goderli e prendersene la sua parte, e di godere delle sue fatiche: anche questo è dono di Dio. Egli non penserà infatti molto ai giorni della sua vita, poiché Dio lo tiene occupato con la gioia del suo cuore» (Qo 5, 18-19). A paragone di colui che si nutre delle sue sostanze nel turbinio delle sue preoccupazioni e dei suoi affanni e, con grave peso e tedio della vita, accumula cose destinate poi a perire, il sapiente afferma che è migliore colui che gode di quanto gli sta davanti. In questo secondo caso, infatti, per quanto piccola, una certa soddisfazione c'è e precisamente nell'uso dei beni. Nel primo caso c'è solo un cumulo di fastidi. Il sapiente dimostra anche perché deve ritenersi un dono di Dio poter godere delle ricchezze affermando: «non penserà molto ai giorni della sua vita».
Certamente il Signore concede gioia al suo cuore: non sarà nella tristezza, non sarà tormentato dall'ansia, assorbito com'è dalla letizia e dal piacere presente. Ma è meglio, secondo l'Apostolo, scorgere il bene da godere non tanto nel cibo e nella bevanda materiale, ma nel nutrimento dello spirito concesso da Dio. C'è un bene nelle fatiche proprio perché solo attraverso fatiche e sforzi possiamo arrivare alla contemplazione dei veri beni. Ed è proprio ciò che dobbiamo fare: rallegrarci nelle nostre occupazioni ed attività. Quantunque però questo sia un bene, tuttavia «fino a che Cristo nostra vita non si sarà manifestato» (cfr. Col 3, 4) non è ancora il bene completo.
Deve ritenersi veramente saggio colui che, istruito nelle divine Scritture, ha tutta la sua fatica sulle sue labbra e la sua brama non è mai sazia (cfr. Qo 6, 7), dal momento che sempre desidera di imparare. In questo il savio si trova in condizione migliore dello stolto (cfr. Qo 6, 8), perché, sentendosi povero (quel povero che è proclamato beato dal vangelo), si affretta ad abbracciare ciò che riguarda la vera vita, cammina sulla strada stretta e angusta che conduce alla vita ed è povero di opere malvage, e sa dove risiede Cristo, che è la vita.
OFFLINE
05/03/2014 09:04
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalla «Lettera ai Corinzi» di san Clemente I, papa
(Cap. 7, 4-8, 3; 8, 5-9, 1; 13, 1-4; 19, 2; Funk 1, 71-73. 77-78, 87)
Fate penitenza

Teniamo fissi gli occhi sul sangue di Cristo, per comprendere quanto sia prezioso davanti a Dio suo Padre: fu versato per la nostra salvezza e portò al mondo intero la grazia della penitenza.
Passiamo in rassegna tutte le epoche del mondo e constateremo come in ogni generazione il Signore abbia concesso modo e tempo di pentirsi a tutti coloro che furono disposti a ritornare a lui.
Noè fu l'araldo della penitenza e coloro che lo ascoltarono furono salvi.
Giona predicò la rovina ai Niniviti e questi, espiando i loro peccati, placarono Dio con le preghiere e conseguirono la salvezza. Eppure non appartenevano al popolo di Dio.
Non mancarono mai ministri della grazia divina che, ispirati dallo Spirito Santo, predicassero la penitenza. Lo stesso Signore di tutte le cose parlò della penitenza impegnandosi con giuramento: Com'è vero ch'io vivo - oracolo del Signore - non godo della morte del peccatore, ma piuttosto della sua penitenza.
Aggiunse ancora parole piene di bontà: Allontànati, o casa di Israele, dai tuoi peccati. Di' ai figli del mio popolo: Anche se i vostri peccati dalla terra arrivassero a toccare il cielo, fossero più rossi dello scarlatto e più neri del silicio, basta che vi convertiate di tutto cuore e mi chiamiate «Padre», ed io vi tratterò come un popolo santo ed esaudirò la vostra preghiera.
Volendo far godere i beni della conversione a quelli che ama, pose la sua volontà onnipotente a sigillo della sua parola.
Obbediamo perciò alla sua magnifica e gloriosa volontà. Prostriamoci davanti al Signore supplicandolo di essere misericordioso e benigno. Convertiamoci sinceramente al suo amore. Ripudiamo ogni opera di male, ogni specie di discordia e gelosia, causa di morte. Siamo dunque umili di spirito, o fratelli. Rigettiamo ogni sciocca vanteria, la superbia, il folle orgoglio e la collera. Mettiamo in pratica ciò che sta scritto. Dice, infatti, lo Spirito Santo: Non si vanti il saggio della sua saggezza, né il forte della sua forza, né il ricco delle sue ricchezze, ma chi vuol gloriarsi si vanti nel Signore, ricercandolo e praticando il diritto e la giustizia (cfr. Ger 9, 23-24; 1 Cor 1, 31, ecc.).
Ricordiamo soprattutto le parole del Signore Gesù quando esortava alla mitezza e alla pazienza: Siate misericordiosi per ottenere misericordia; perdonate, perché anche a voi sia perdonato; come trattate gli altri, così sarete trattati anche voi; donate e sarete ricambiati; non giudicate, e non sarete giudicati; siate benevoli, e sperimenterete la benevolenza; con la medesima misura con cui avrete misurato gli altri, sarete misurati anche voi (cfr. Mt 5, 7; 6, 14; 7, 1. 2. 12, ecc.).
Stiamo saldi in questa linea e aderiamo a questi comandamenti. Camminiamo sempre con tutta umiltà nell'obbedienza alle sante parole. Dice infatti un testo sacro: Su chi si posa il mio sguardo se non su chi è umile e pacifico e teme le mie parole? (cfr. Is 66, 2).
Perciò avendo vissuto grandi e illustri eventi corriamo verso la meta della pace, preparata per noi fin da principio. Fissiamo fermamente lo sguardo sul Padre e Creatore di tutto il mondo, e aspiriamo vivamente ai suoi doni meravigliosi e ai suoi benefici incomparabili.
OFFLINE
08/03/2014 07:24
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dal trattato «Contro le eresie» di sant'Ireneo, vescovo
(Lib. IV, 13, 4-14, 1; SC 100, 534-540)
L'amicizia di Dio

Nostro Signore, Verbo di Dio, prima condusse gli uomini a servire Dio, poi da servi li rese suoi amici, come disse egli stesso ai discepoli: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma io vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi» (Gv 15, 15). L'amicizia di Dio concede l'immortalità a quanti vi si dispongono debitamente.
In principio Dio plasmò Adamo non perché avesse bisogno dell'uomo, ma per avere qualcuno su cui effondere i suoi benefici. In effetti il Verbo glorificava il Padre, sempre rimanendo in lui, non solamente prima di Adamo, ma anche prima di ogni creazione. Lo ha dichiarato lui medesimo: «Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria, che avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17, 5).
Egli ci comandò di seguirlo non perché avesse bisogno del nostro servizio, ma per dare a noi stessi la salvezza. Seguire il Salvatore, infatti, è partecipare della salvezza, come seguire la luce significa essere circonfusi di chiarore.
Chi è nella luce non è certo lui ad illuminare la luce e a farla risplendere, ma è la luce che rischiara lui e lo rende luminoso. Egli non dà nulla alla luce, ma è da essa che riceve il beneficio dello splendore e tutti gli altri vantaggi.
Così è anche del servizio verso Dio: non apporta nulla a Dio, e d'altra parte Dio non ha bisogno del servizio degli uomini; ma a quelli che lo servono e lo seguono egli dà la vita, l'incorruttibilità e la gloria eterna. Accorda i suoi benefici a coloro che lo servono per il fatto che lo servono, e a coloro che lo seguono per il fatto che lo seguono, ma non ne trae alcuna utilità.
Dio ricerca il servizio degli uomini per avere la possibilità, lui che è buono e misericordioso, di riversare i suoi benefici su quelli che perseverano nel suo servizio. Mentre Dio non ha bisogno di nulla, l'uomo ha bisogno della comunione con Dio.
La gloria dell'uomo consiste nel perseverare al servizio di Dio. E per questo il Signore diceva ai suoi discepoli: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15, 16), mostrando così che non erano loro a glorificarlo, seguendolo, ma che, per il fatto che seguivano il Figlio di Dio, erano glorificati da lui. E ancora: «Voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria» (Gv 17, 24).
OFFLINE
10/03/2014 07:10
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo
(Disc. 14 sull'amore verso i poveri, 23-25; PG 35, 887-890)
Dimostriamoci vicendevolmente l'amore di Dio

Riconosci l'origine della tua esistenza, del respiro, dell'intelligenza, della sapienza e, ciò che più conta, della conoscenza di Dio, della speranza del Regno dei cieli, dell'onore che condividi con gli angeli, della contemplazione della gloria, ora certo come in uno specchio e in maniera confusa, ma a suo tempo in modo più pieno e più puro. Riconosci, inoltre, che sei divenuto figlio di Dio, coerede di Cristo e, per usare un'immagine ardita, sei lo stesso Dio!
Donde e da chi vengono a te tante e tali prerogative? Se poi vogliamo parlare di doni più umili e comuni, chi ti permette di vedere la bellezza del cielo, il corso del sole, i cicli della luce, le miriadi di stelle e quell'armonia ed ordine che sempre si rinnovano meravigliosamente nel cosmo, rendendo festoso il creato come il suono di una cetra?
Chi ti concede la pioggia, la fertilità dei campi, il cibo, la gioia dell'arte, il luogo della tua dimora, le leggi, lo stato e, aggiungiamo, la vita di ogni giorno, l'amicizia e il piacere della tua parentela?
Come mai alcuni animali sono addomesticati e a te sottoposti, altri dati a te come cibo?
Chi ti ha posto signore e re di tutto ciò che è sulla terra?
E, per soffermarci solo sulle cose più importanti, chiedo ancora: Chi ti fece dono di quelle caratteristiche tutte tue che ti assicurano la piena sovranità su qualsiasi essere vivente? Fu Dio. Ebbene, egli in cambio di tutto ciò che cosa ti chiede? L'amore. Richiede da te continuamente innanzitutto e soprattutto l'amore a lui e al prossimo.
L'amore verso gli altri egli lo esige al pari del primo. Saremo restii a offrire a Dio questo dono dopo i numerosi benefici da lui elargiti e quelli da lui promessi? Oseremo essere così impudenti? Egli, che è Dio e Signore, si fa chiamare nostro Padre, e noi vorremmo rinnegare i nostri fratelli?
Guardiamoci, cari amici, dal diventare cattivi amministratori di quanto ci è stato dato in dono. Meriteremmo allora l'ammonizione di Pietro: Vergognatevi, voi che trattenete le cose altrui, imitate piuttosto la bontà divina e così nessuno sarà povero.
Non affatichiamoci ad accumulare e a conservare ricchezze, mentre altri soffrono la fame, per non meritare i rimproveri duri e taglienti già altra volta fatti dal profeta Amos, quando disse: Voi dite: Quando sarà passato il novilunio e il sabato, perché si possa vendere il grano e smerciare il frumento, diminuendo le misure e usando bilance false? (cfr. Am 8, 5)
Operiamo secondo quella suprema e prima legge di Dio che fa scendere la pioggia tanto sui giusti che sui peccatori, fa sorgere il sole ugualmente per tutti, offre a tutti gli animali della terra l'aperta campagna, le fontane, i fiumi, le foreste; dona aria agli uccelli e acqua agli animali acquatici; a tutti dà con grande liberalità i beni della vita, senza restrizioni, senza condizioni, senza delimitazioni di sorta; a tutti elargisce abbondantemente i mezzi di sussistenza e piena libertà di movimento. Egli non fece discriminazioni, non si mostrò avaro con nessuno. Proporzionò sapientemente il suo dono al fabbisogno di ciascun essere e manifestò a tutti il suo amore.
OFFLINE
21/03/2014 08:02
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dal Trattato «Contro le eresie» di sant'Ireneo, vescovo
(Lib. IV, 16, 2-5; SC 100, 564-572)
Il patto del Signore

Mosè nel Deuteronomio dice al popolo: «Il Signore nostro Dio ha stabilito con noi un'alleanza sull'Oreb. Il Signore non ha stabilito quest'alleanza con i nostri padri, ma con noi che siamo qui oggi tutti in vita» (Dt 5, 2-3).
Perché dunque non fece il patto con i loro padri? Proprio perché «la legge non è fatta per il giusto» (1 Tm 1, 9). Ora i loro padri erano giusti, essi che avevano scritto nei loro cuori e nelle loro anime la virtù del decalogo, perché amavano Dio che li aveva creati e si astenevano da ogni ingiustizia contro il prossimo; perciò non fu necessario ammonirli con leggi correttive, dal momento che portavano in se stessi la giustizia della legge.
Ma quando questa giustizia e amore verso Dio caddero in dimenticanza anzi si estinsero del tutto in Egitto, Dio per la sua grande misericordia verso gli uomini manifestò se stesso facendo sentire la sua voce. Con la sua potenza condusse fuori dall'Egitto il popolo perché l'uomo ridiventasse discepolo e seguace di Dio. Castigò i disobbedienti perché non disprezzassero colui che li aveva creati.
Sfamò, poi, il popolo con la manna, perché ricevesse un cibo spirituale come aveva detto Mosè nel Deuteronomio: «Ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che neppure i tuoi padri avevano mai conosciuto, per farti capire che l'uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore» (Dt 8, 3).
Comandò l'amore verso Dio e suggerì la giustizia che si deve al prossimo perché l'uomo non fosse ingiusto e indegno di Dio. Così predisponeva, per mezzo del decalogo, l'uomo alla sua amicizia e alla concordia con il prossimo. Tutto questo giovava all'uomo stesso, senza che di nulla Dio avesse bisogno da parte dell'uomo. Queste cose poi rendevano ricco l'uomo perché gli davano quanto a lui mancava, cioè l'amicizia di Dio, ma a Dio non apportavano nulla, perché il Signore non aveva bisogno dell'amore dell'uomo.
L'uomo invece era privo della gloria di Dio, che non poteva acquistare in nessun modo se non per mezzo di quell'ossequio che a lui si deve. E per questo Mosè dice al popolo: «Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità» (Dt 30, 19-20).
Allo scopo di preparare l'uomo a questa vita il Signore proferì egli stesso le parole del decalogo per tutti indistintamente. Perciò rimasero presso di noi, dopo aver ricevuto sviluppo e arricchimento, non certo alterazioni e tagli, quando egli venne nella carne.
Quanto ai precetti limitati all'antico stato di servitù, essi furono prescritti a parte dal Signore al popolo per mezzo di Mosè in modo adatto alla loro istruzione e formazione. Lo dice Mosè stesso: A me allora il Signore ordinò di insegnarvi leggi e norme (cfr. Dt 4, 5).
Per questo ciò che fu dato loro per quel tempo di schiavitù e in figura, fu abolito col nuovo patto di libertà. Quei precetti, invece, che sono insiti nella natura e convengono a uomini liberi sono comuni a tutti e furono sviluppati con il dono largo e generoso della conoscenza di Dio Padre, con la prerogativa dell'adozione a figli, con la concessione dell'amore perfetto e della sequela fedele al suo Verbo.
OFFLINE
22/03/2014 07:18
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dal trattato «Sulla fuga dal mondo» di sant'Ambrogio, vescovo
(Cap. 6, 36; 7, 44; 8, 45; 9, 52; CSEL 32, 192. 198-199. 204)
Aderiamo a Dio, unico vero bene

Dov'è il cuore dell'uomo ivi è anche il suo tesoro. Infatti il Signore non suole negare il buon dono a quanti lo pregano.
Pertanto, poiché il Signore è buono e lo è soprattutto per quelli che lo aspettano pazientemente, aderiamo a lui, stiamo con lui con tutta la nostra anima, con tutto il cuore, con tutta la forza, per restare nella sua luce, vedere la sua gloria e godere della grazia della felicità suprema. Eleviamo dunque l'anima a quel Bene, restiamo in esso, aderiamo ad esso; a quel Bene, che è al di sopra di ogni nostro pensiero e di ogni considerazione e che elargisce pace e tranquillità senza fine, una pace che supera ogni nostra comprensione e sentimento.
Questo è il Bene che pervade tutto, e tutti viviamo in esso e da esso dipendiamo, mentre esso non ha nulla al di sopra di sé, ma è divino. Nessuno infatti è buono se non Dio solo: perciò tutto quello che è buono è divino e tutto quello che è divino è buono, per cui è detto: «Tu apri la mano, si saziano di beni» (Sal 103, 28); a ragione, infatti, per la bontà di Dio ci vengono date tutte le cose buone perché a esse non è mischiato alcun male.
Questi beni la Scrittura li promette ai fedeli dicendo: «Mangerete i frutti della terra» (Is 1, 19).
Siamo morti con Cristo; portiamo sempre e in ogni luogo nel nostro corpo la morte di Cristo perché anche la vita di Cristo si manifesti in noi. Dunque, ormai non viviamo più la nostra vita, ma la vita di Cristo, vita di castità, di semplicità e di tutte le virtù. Siamo risorti con Cristo, viviamo dunque in lui, ascendiamo in lui perché il serpente non possa trovare sulla terra il nostro calcagno da mordere.
Fuggiamo di qui. Anche se sei trattenuto dal corpo, puoi fuggire con l'anima, puoi essere qui e rimanere presso il Signore se la tua anima aderisce a lui, se cammini dietro a lui con i tuoi pensieri, se segui le sue vie nella fede, non nella visione, se ti rifugi in lui; perché è rifugio e fortezza colui al quale Davide dice: In te mi sono rifugiato e non mi sono ingannato (cfr. Sal 76, 3 volg.).
Pertanto siccome Dio è rifugio, e Dio è in cielo e sopra i cieli, allora dobbiamo fuggire di qui verso lassù dove regna la pace, il riposo dalle fatiche, dove festeggeremo il grande sabato, come disse Mosè: «Ciò che la terra produrrà durante il suo riposo servirà di nutrimento a te» (Lv 25, 6). Infatti riposare in Dio e vedere le sue delizie è come sedere a mensa ed essere pieni di felicità e di tranquillità.
Fuggiamo dunque come cervi alle fonti d'acqua, anche la nostra anima abbia sete di quello di cui era assetato Davide. Qual è quella sorgente? Ascolta colui che dice: «È in te la sorgente della vita» (Sal 35, 10): dice la mia anima a questa fonte: Quando verrò e vedrò il tuo volto? (cfr. Sal 41, 3). La sorgente infatti è Dio.
OFFLINE
27/03/2014 07:23
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dal trattato «L'orazione» di Tertulliano, sacerdote
(Cap. 28-29; CCL 1, 273-274)
Ostia spirituale

L'orazione è un sacrificio spirituale, che ha cancellato gli antichi sacrifici. «Che m'importa», dice, «dei vostri sacrifici senza numero? Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. Chi richiede da voi queste cose?» (cfr. Is 1, 11).
Quello che richiede il Signore, l'insegna il vangelo: «Verrà l'ora», dice, «in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità. Dio infatti è Spirito» (Gv 4, 23) e perciò tali adoratori egli cerca.
Noi siamo i veri adoratori e i veri sacerdoti che, pregando in spirito, in spirito offriamo il sacrificio della preghiera, ostia a Dio appropriata e gradita, ostia che egli richiese e si provvide.
Questa vittima, dedicata con tutto il cuore, nutrita dalla fede, custodita dalla verità, integra per innocenza, monda per castità, coronata dalla carità, dobbiamo accompagnare all'altare di Dio con il decoro delle opere buone tra salmi e inni, ed essa ci impetrerà tutto da Dio.
Che cosa infatti negherà Dio alla preghiera che procede dallo spirito e dalla verità, egli che così l'ha voluta? Quante prove della sua efficacia leggiamo, sentiamo e crediamo!
L'antica preghiera liberava dal fuoco, dalle fiere e dalla fame, eppure non aveva ricevuto la forma da Cristo.
Quanto è più ampio il campo d'azione dell'orazione cristiana! La preghiera cristiana non chiamerà magari l'angelo della rugiada in mezzo al fuoco, non chiuderà le fauci ai leoni, non porterà il pranzo del contadino all'affamato, non darà il dono di immunizzarsi dal dolore, ma certo dà la virtù della sopportazione ferma e paziente a chi soffre, potenzia le capacità dell'anima con la fede nella ricompensa, mostra il valore grande del dolore accettato nel nome di Dio.
Si sente raccontare che in antico la preghiera infliggeva colpi, sbaragliava eserciti nemici, impediva il beneficio della pioggia ai nemici. Ora invece si sa che la preghiera allontana ogni ira della giustizia divina, è sollecita dei nemici, supplica per i persecutori. Ha potuto strappare le acque al cielo, e impetrare anche il fuoco. Solo la preghiera vince Dio. Ma Cristo non volle che fosse causa di male e le conferì ogni potere di bene.
Perciò il suo unico compito è richiamare le anime dei defunti dallo stesso cammino della morte, sostenere i deboli, curare i malati, liberare gli indemoniati, aprire le porte del carcere, sciogliere le catene degli innocenti. Essa lava i peccati, respinge le tentazioni, spegne le persecuzioni, conforta i pusillanimi, incoraggia i generosi, guida i pellegrini, calma le tempeste, arresta i malfattori, sostenta i poveri, ammorbidisce il cuore dei ricchi, rialza i caduti, sostiene i deboli, sorregge i forti.
Pregano anche gli angeli, prega ogni creatura. Gli animali domestici e feroci pregano e piegano le ginocchia e, uscendo dalle stalle o dalle tane, guardano il cielo non a fauci chiuse, ma facendo vibrare l'aria di grida nel modo che a loro è proprio. Anche gli uccelli quando si destano, si levano verso il cielo, e al posto delle mani aprono le ali in forma di croce e cinguettano qualcosa che può sembrare una preghiera.
Ma c'è un fatto che dimostra più di ogni altro il dovere dell'orazione. Ecco, questo: che il Signore stesso ha pregato.
A lui sia onore e potenza nei secoli dei secoli. Amen.
OFFLINE
29/03/2014 09:59
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo
(Disc. 14 sull'amore ai poveri, 38, 40; PG 35, 907. 910)
Serviamo Cristo nei polveri

Afferma la Scrittura: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5, 7). La misericordia non ha l'ultimo posto nelle beatitudini. Osserva ancora: Beato l'uomo che ha cura del misero e del povero (cfr. Sal 40, 2) e parimenti: Buono è colui che è pietoso e dà in prestito (cfr. Sal 111, 5). In un altro luogo si legge ancora: Tutto il giorno il giusto ha compassione e dà in prestito (cfr. Sal 36, 26). Conquistiamoci la benedizione, facciamo in modo di essere chiamati comprensivi, cerchiamo di essere benevoli. Neppure la notte sospenda i tuoi doveri di misericordia. Non dire: «Ritornerò indietro e domani ti darò aiuto». Nessun intervallo si interponga fra il tuo proposito e l'opera di beneficenza. La beneficenza, infatti, non consente indugi. Spezza il tuo pane all'affamato e introduci i poveri e i senza tetto in casa tua (cfr. Is 58, 7) e questo fallo con animo lieto e premuroso. Te lo dice l'Apostolo: Quando fai opere di misericordia, compile con gioia (cfr. Rm 12, 8) e la grazia del beneficio che rechi ti sarà allora duplicata dalla sollecitudine e tempestività. Infatti ciò che si dona con animo triste e per costrizione non riesce gradito e non ha nulla di simpatico.
Quando pratichiamo le opere di misericordia, dobbiamo essere lieti e non piangere: «Se allontanerai da te la meschinità e le preferenze», cioè la grettezza e la discriminazione come pure le esitazioni e le critiche, la tua ricompensa sarà grande. «Allora la tua luce sorgerà come l'aurora e la tua ferita si rimarginerà presto» (Is 58, 8). E chi è che non desideri la luce e la santità?
Perciò, o servi di Cristo, suoi fratelli e coeredi, se ritenete che la mia parola meriti qualche attenzione, ascoltatemi: finché ci è dato di farlo, visitiamo Cristo, curiamo Cristo, alimentiamo Cristo, vestiamo Cristo, ospitiamo Cristo, onoriamo Cristo non solo con la nostra tavola, come alcuni hanno fatto, né solo con gli unguenti, come Maria Maddalena, né soltanto con il sepolcro, come Giuseppe d'Arimatea, né con le cose che servono alla sepoltura, come Nicodemo, che amava Cristo solo per metà, e neppure infine con l'oro, l'incenso e la mirra, come fecero, già prima di questi nominati, i Magi. Ma, poiché il Signore di tutti vuole la misericordia e non il sacrificio, e poiché la misericordia vale più di migliaia di grassi agnelli, offriamogli appunto questa nei poveri e in coloro che oggi sono avviliti fino a terra. Così quando ce ne andremo di qui, verremo accolti negli eterni tabernacoli, nella comunione con Cristo Signore, al quale sia gloria nei secoli. Amen.
OFFLINE
31/03/2014 08:16
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalle «Omelie sul Levitico» di Origene, presbitero
(Om. 9, 5. 10; PG 12, 515. 523)
Cristo Pontefice è la nostra propiziazione

Una volta all'anno il sommo sacerdote, lasciando fuori il popolo, entra nel luogo dove sta il propiziatorio con i cherubini su di esso. Entra nel luogo dove c'è l'arca dell'alleanza e l'altare dell'incenso. Là a nessuno è permesso di entrare fuorché al Pontefice.
Ora se considero che il mio vero Pontefice, il Signore Gesù Cristo, vivendo nella carne, durante tutto l'«anno stava col popolo, quell'«anno, di cui egli stesso dice: Il Signore mi ha mandato a predicare la buona novella ai poveri, a promulgare un anno di grazia del Signore e il giorno di remissione (cfr. Lc 4, 18-19) noto che una volta sola in quest'anno, nel giorno cioè dell'espiazione, entra nel santo dei santi, il che significa che, eseguito il suo compito, penetra nei cieli e si pone davanti al Padre per renderlo propizio al genere umano, e per pregare per tutti coloro che credono in lui.
Conoscendo questa sua propiziazione con cui rende il Padre benevolo verso gli uomini, l'apostolo Giovanni dice: Questo dico, figlioletti miei, perché non pecchiamo. Ma anche se siamo caduti in peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre, Gesù Cristo giusto, ed egli stesso è il propiziatore per i nostri peccati (cfr. 1 Gv 2, 1).
Ma anche Paolo ricorda questa propiziazione, quando dice di Cristo: Dio lo ha posto quale propiziatorio nel sangue di lui mediante la fede (cfr. Rm 3, 25). Perciò il giorno della propiziazione durerà per noi fino a che non abbia fine il mondo.
Dice la parola divina: E imporrà l'incenso sopra il fuoco davanti al Signore, e il fumo dell'incenso coprirà il propiziatorio che è sopra l'arca dell'alleanza, e non morirà, e prenderà del sangue del vitello, e col suo dito lo spargerà sul propiziatorio sul lato orientale (cfr. Lv 16, 12-14).
Insegnò agli antichi Ebrei come si doveva celebrare il rito della propiziazione per gli uomini, che si faceva a Dio. Ma tu che sei venuto dal Pontefice vero, dal Cristo, il quale col suo sangue ti rese propizio Dio e ti riconciliò col Padre, non fermarti al sangue della carne, ma impara invece a conoscere il sangue del Verbo, ed ascolta lui che ti dice: «Questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati» (Mt 26, 28).
Non ti sembri poi senza senso il fatto che è sparso sul lato orientale. La propiziazione ti è venuta dall'oriente. Di là è infatti il personaggio che ha nome Oriente, e che è diventato mediatore di Dio e degli uomini. Sei invitato quindi per questo a guardare sempre ad oriente, da dove per te sorge il sole di giustizia, da dove per te sempre nasce la luce, perché tu non abbia mai a camminare nelle tenebre, né quell'ultimo giorno ti sorprenda nelle tenebre. Perché la notte e l'oscurità dell'ignoranza non ti si avvicinino di soppiatto; perché tu abbia a trovarti sempre nella luce della conoscenza, e nel giorno luminoso della fede e sempre ottenga il lume della carità e della pace.
OFFLINE
04/04/2014 07:53
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalle «Lettere pasquali» di Sant'Atanasio, vescovo
(Lett. 5, 1-2; PG 26, 379-1380)
Il mistero pasquale riunisce nell'unità della fede coloro che sono lontani col corpo

Fratelli miei, è bello passare da una festa all'altra, passare da una orazione all'altra e, infine, da una celebrazione all'altra. È vicino ora quel tempo che ci porta e ci fa conoscere un nuovo inizio, il giorno della santa Pasqua, nella quale il Signore si è immolato. Noi ci alimentiamo del suo nutrimento e sempre deliziamo la nostra anima con il suo sangue prezioso, quasi attingendo a una sorgente. Tuttavia abbiamo sempre sete e sempre ardiamo di desiderio. Il nostro Salvatore però è vicino a chi si sente riarso e per la sua benevolenza nel giorno di festa invita a sé coloro che hanno cuori assetati, secondo la sua parola: «Se uno ha sete, venga a me e beva» (Gv 7, 37). Ma per estinguere l'arsura interiore non è necessario portare la bocca alla sorgente, basta far domanda dell'acqua alla fonte stessa. La grazia della celebrazione festiva non è limitata ad un solo momento, né il suo raggio splendente si spegne al tramonto del sole, ma resta sempre disponibile per lo spirito di chi lo desidera. Esercita una continua forza su quanti hanno già la mente illuminata e giorno e notte meditano la Sacra Scrittura. Questi sono come quell'uomo che viene chiamato beato, secondo quanto è scritto nel salmo: «Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte» (Sal 1, 1-2).
Pertanto, miei cari, Dio che per noi istituì questa festa, ci concede anche di celebrarla ogni anno. Egli che, per la nostra salvezza consegnò alla morte il Figlio suo, per lo stesso motivo ci fa dono di questa festività che spicca nettamente fra le altre nel corso dell'anno. La celebrazione liturgica ci sostiene nelle afflizioni che incontriamo in questo mondo. Per mezzo di essa Dio ci accorda quella gioia della salvezza, che accresce la fraternità. Mediante l'azione sacramentale della festa, infatti, ci fonde in un'unica assemblea, ci unisce tutti spiritualmente e fa ritrovare vicini anche i lontani. La celebrazione della Chiesa ci offre il modo di pregare insieme e innalzare comunitariamente il nostro grazie a Dio. Questa anzi è un'esigenza propria di ogni festa liturgica. È un miracolo della bontà di Dio quello di far sentire solidali nella celebrazione e fondere nell'unità della fede lontani e vicini, presenti e assenti.
OFFLINE
06/04/2014 07:25
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalle «Lettere pasquali» di sant'Atanasio, vescovo
(Lett. 14, 1-2; PG 26, 1419-1420)
Celebriamo la vicina festa del Signore con autenticità di fede

Il Verbo, Cristo Signore, datosi a noi interamente ci fa dono della sua visita. Egli promette di restarci ininterrottamente vicino. Per questo dice: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).
Egli è pastore, sommo sacerdote, via e porta e come tale si rende presente nella celebrazione della solennità. Viene fra noi colui che era atteso, colui del quale san Paolo dice: «Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato» (1 Cor 5, 7). Si verifica anche ciò che dice il salmista: O mia esultanza, liberami da coloro che mi circondano (cfr. Sal 31, 7). Vera esultanza e vera solennità è quella che libera dai mali. Per conseguire questo bene ognuno si comporti santamente e dentro di sé mediti nella pace e nel timore di Dio.
Così facevano anche i santi. Mentre erano in vita si sentivano nella gioia come in una continua festa. Uno di essi, il beato Davide, si alzava di notte non una volta sola ma sette volte e con la preghiera si rendeva propizio Dio. Un altro, il grande Mosè, esultava con inni, cantava lodi per la vittoria riportata sul faraone e su coloro che avevano oppresso gli Ebrei. E altri ancora, con gioia incessante attendevano al culto sacro, come Samuele ed il profeta Elia.
Per questo loro stile di vita essi raggiunsero la libertà e ora fanno festa in cielo. Ripensano con gioia al loro pellegrinaggio terreno, capaci ormai di distinguere ciò che era figura e ciò che è divenuto finalmente realtà.
Per prepararci, come si conviene, alla grande solennità che cosa dobbiamo fare? Chi dobbiamo seguire come guida? Nessun altro certamente, o miei cari, se non colui che voi stessi chiamate, come me, «Nostro Signore Gesù Cristo». Egli per l'appunto dice: «Io sono la via» (Gv 14, 6). Egli è colui che, al dire di san Giovanni, «toglie il peccato del mondo» (Gv 1, 29). Egli purifica le nostre anime, come afferma il profeta Geremia: «Fermatevi nelle strade e guardate, e state attenti a quale sia la via buona, e in essa troverete la rigenerazione delle vostre anime» (cfr. 6, 16).
Un tempo era il sangue dei capri e la cenere di un vitello ad aspergere quanti erano immondi. Serviva però solo a purificare il corpo. Ora invece, per la grazia del Verbo di Dio, ognuno viene purificato in modo completo nello spirito.
Se seguiremo Cristo potremo sentirci già ora negli atri della Gerusalemme celeste e anticipare e pregustare anche la festa eterna. Così fecero gli apostoli, costituiti maestri della grazia per i loro coetanei ed anche per noi. Essi non fecero che seguire il Salvatore: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» (Mt 19, 27).
Seguiamo anche noi il Signore, cioè imitiamolo, e così avremo trovato il modo di celebrare la festa non soltanto esteriormente, ma nella maniera più fattiva, cioè non solo con le parole, ma anche con le opere.
OFFLINE
12/04/2014 07:22
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo
(Disc. 45, 23-24; PG 36, 654-655)
Saremo partecipi del mistero pasquale

Saremo partecipi della Pasqua, presentemente ancora in figura (certo già più chiara di quella dell'antica legge, immagine più oscura della realtà figurata), ma fra non molto ne godremo di una più trasparente e più vera, quando il Verbo festeggerà con noi la nuova Pasqua nel regno del Padre. Allora ci manifesterà e insegnerà quelle realtà che non ci mostra ora se non di riflesso.
Infatti quali siano la bevanda e il cibo del nuovo banchetto pasquale, il nostro compito è solo di apprenderlo. Spetta al Verbo di insegnarcelo e comunicarcene il significato. L'insegnamento effettivamente è come un cibo, il cui possessore è colui che lo distribuisce. Entriamo, dunque, nella sfera della legge, delle istituzioni e della Pasqua antica in modo nuovo per poter arrivare alle realtà nuove simboleggiate dalle figure antiche.
Diveniamo partecipi della legge in maniera non puramente materiale, ma evangelica, in modo completo e non limitato e imperfetto, in forma duratura e non precaria e temporanea. Facciamo nostra capitale adottiva non la Gerusalemme terrena, ma la metropoli celeste, non quella che viene calpestata dagli eserciti, ma quella acclamata dagli angeli.
Sacrifichiamo non giovenchi, né agnelli, con corna e unghie, che appartengono più alla morte che alla vita, mancando d'intelligenza. Offriamo a Dio un sacrificio di lode sull'altare celeste insieme ai cori degli angeli. Superiamo il primo velo del tempio, accostiamoci al secondo e penetriamo nel «Santo dei santi». E più ancora, offriamo ogni giorno a Dio noi stessi e tutte le nostre attività. Facciamo come le parole stesse ci suggeriscono. Con le nostre sofferenze imitiamo le sofferenze, cioè la passione di Cristo. Con il nostro sangue onoriamo il sangue di Cristo. Saliamo anche noi di buon animo sulla sua croce. Dolci sono infatti i suoi chiodi, benché duri.
Siamo pronti a patire con Cristo e per Cristo, piuttosto che desiderare le allegre compagnie mondane.
Se sei Simone di Cirene prendi la croce e segui Cristo. Se sei il ladro e se sarai appeso alla croce, se cioè sarai punito, fai come il buon ladrone e riconosci onestamente Dio, che ti aspettava alla prova. Egli fu annoverato tra i malfattori per te e per il tuo peccato, e tu diventa giusto per lui. Adora colui che è stato crocifisso per te. Se vieni crocifisso per tua colpa, trai profitto dal tuo peccato. Compra con la morte la tua salvezza, entra con Gesù in paradiso e così capirai di quali beni ti eri privato. Contempla quelle bellezze e lascia che il mormoratore, del tutto ignaro del piano divino, muoia fuori con la sua bestemmia.
Se sei Giuseppe d'Arimatèa, richiedi il corpo a colui che lo ha crocifisso, assumi cioè quel corpo e rendi tua propria, così, l'espiazione del mondo.
Se sei Nicodemo, il notturno adoratore di Dio, seppellisci il suo corpo e ungilo con gli unguenti di rito, cioè circondalo del tuo culto e della tua adorazione.
E se tu sei una delle Marie, spargi al mattino le tue lacrime. Fa' di vedere per prima la pietra rovesciata, vai incontro agli angeli, anzi allo stesso Gesù.
Ecco che cosa significa rendersi partecipi della Pasqua di Cristo.
OFFLINE
15/04/2014 08:09
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dal libro «Su lo Spirito Santo» di san Basilio Magno, vescovo
(15, 35; PG 32, 127-130)
Unica è la morte al mondo e unica la risurrezione dei morti

L'economia di salvezza di Dio, nostro salvatore consiste nel rialzare l'uomo dalle sue cadute e nel farlo ritornare alla intimità divina, liberandolo dall'alienazione a cui l'aveva portato la disobbedienza. La venuta di Cristo nella carne, gli esempi di vita evangelica, le sofferenze, la croce, la sepoltura, la risurrezione sono per la salvezza dell'uomo perché abbia di nuovo, mediante l'imitazione di Cristo, l'adozione a figlio di cui era dotato all'inizio.
Per l'autenticità della vita cristiana è dunque necessario imitare non solo i suoi esempi di dolcezza, di umiltà e di pazienza manifestati durante la vita, ma anche la sua stessa morte. Lo dice san Paolo, imitatore di Cristo: «Divenuto conforme a lui nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti» (Fil 3, 11).
Ma come possiamo renderci conformi alla morte di lui? Facendoci conseppellire con lui per mezzo del battesimo. Qual è allora il modo della sepoltura e quale il frutto della sua imitazione? Prima di tutto è necessario interrompere il modo di vivere di prima. Ma nessuno può arrivare a tanto se non rinasce di nuovo, secondo le parole del Signore. La rigenerazione infatti, come emerge dalla parola stessa, è l'inizio di una seconda vita. Perciò prima di iniziare una seconda vita, bisogna por fine alla prima. A coloro che sono arrivati alla fine del giro nello stadio, si dà un po' di sosta e di riposo prima di far loro iniziare un altro giro. Così anche nel mutamento di vita appare necessario che la morte si interponga tra la prima e la seconda vita, e che questa morte costituisca la fine della condizione precedente e l'inizio di quella futura.
E come debbiamo morire, cioè compiere la discesa agli inferi? Imitando la sepoltura di Cristo per mezzo del battesimo. Infatti i corpi di coloro che vengono battezzati, in certo modo sono sepolti nell'acqua. Perciò il battesimo significa in maniera arcana la deposizione delle opere della carne, secondo quello che dice l'Apostolo: «In lui voi siete stati anche circoncisi, di una circoncisione però non fatta da mano d'uomo, mediante la spogliazione del vostro corpo di carne, ma della vera circoncisione di Cristo. Con lui infatti siete stati sepolti nel battesimo» (Col 2, 11).
E il battesimo, in certo qual modo, lava l'anima dalle brutture, che si accumulano su di essa a causa delle tendenze della carne, secondo quanto sta scritto: «lavami e sarò più bianco della neve» (Sal 50, 9). Per questo motivo noi conosciamo un unico battesimo di salvezza, dal momento che unica è la morte al mondo e unica la risurrezione dei morti, delle quali cose figura è il battesimo.
OFFLINE
17/04/2014 07:35
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dall'«Omelia sulla Pasqua» di Melitone di Sardi, vescovo
(Capp. 65-67; SC 123, 95-101)
L'agnello immolato ci strappò dalla morte

Molte cose sono state predette dai profeti riguardanti il mistero della Pasqua, che è Cristo, «al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen» (Gal 1, 5 ecc.). Egli scese dai cieli sulla terra per l'umanità sofferente; si rivestì della nostra umanità nel grembo della Vergine e nacque come uomo. Prese su di sé le sofferenze dell'uomo sofferente attraverso il corpo soggetto alla sofferenza, e distrusse le passioni della carne. Con lo Spirito immortale distrusse la morte omicida.
Egli infatti fu condotto e ucciso dai suoi carnefici come un agnello, ci liberò dal modo di vivere del mondo come dall'Egitto, e ci salvò dalla schiavitù del demonio come dalla mano del Faraone. Contrassegnò le nostre anime con il proprio Spirito e le membra del nostro corpo con il suo sangue.
Egli è colui che coprì di confusione la morte e gettò nel pianto il diavolo, come Mosè il faraone. Egli è colui che percosse l'iniquità e l'ingiustizia, come Mosè condannò alla sterilità l'Egitto.
Egli è colui che ci trasse dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla tirannia al regno eterno. Ha fatto di noi un sacerdozio nuovo e un popolo eletto per sempre. Egli è la Pasqua della nostra salvezza.
Egli è colui che prese su di sé le sofferenze di tutti. Egli è colui che fu ucciso in Abele, e in Isacco fu legato ai piedi. Andò pellegrinando in Giacobbe, e in Giuseppe fu venduto. Fu esposto sulle acque in Mosè, e nell'agnello fu sgozzato.
Fu perseguitato in Davide e nei profeti fu disonorato.
Egli è colui che si incarnò nel seno della Vergine, fu appeso alla croce, fu sepolto nella terra e, risorgendo dai morti, salì alle altezze dei cieli. Egli è l'agnello che non apre bocca, egli è l'agnello ucciso, egli è nato da Maria, agnello senza macchia. Egli fu preso dal gregge, condotto all'uccisione, immolato verso sera, sepolto nella notte. Sulla croce non gli fu spezzato osso e sotto terra non fu soggetto alla decomposizione.
Egli risuscitò dai morti e fece risorgere l'umanità dal profondo del sepolcro.
OFFLINE
18/04/2014 09:14
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalle «Catechesi» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Catech. 3, 13-19; SC 50, 174-177)
La forza del sangue di Cristo

Vuoi conoscere la forza del sangue di Cristo? Richiamiamone la figura, scorrendo le pagine dell'Antico Testamento.
«Immolate, dice Mosè, un agnello di un anno e col suo sangue segnate le porte» (cfr. Es 12, 1-14). Cosa dici, Mosè? Quando mai il sangue di un agnello ha salvato l'uomo ragionevole? Certamente, sembra rispondere, non perché è sangue, ma perché è immagine del sangue del Signore. Molto più di allora il nemico passerà senza nuocere se vedrà sui battenti non il sangue dell'antico simbolo, ma quello della nuova realtà, vivo e splendente sulle labbra dei fedeli, sulla porta del tempio di Cristo.
Se vuoi comprendere ancor più profondamente la forza di questo sangue, considera da dove cominciò a scorrere e da quale sorgente scaturì. Fu versato sulla croce e sgorgò dal costato del Signore. A Gesù morto e ancora appeso alla croce, racconta il vangelo, s'avvicinò un soldato che gli aprì con un colpo di lancia il costato: ne uscì acqua e sangue. L'una simbolo del Battesimo, l'altro dell'Eucaristia. Il soldato aprì il costato: dischiuse il tempio sacro, dove ho scoperto un tesoro e dove ho la gioia di trovare splendide ricchezze. La stessa cosa accadde per l'Agnello: i Giudei sgozzarono la vittima ed io godo la salvezza, frutto di quel sacrificio.
E uscì dal fianco sangue ed acqua (cfr. Gv 19, 34). Carissimo, non passare troppo facilmente sopra a questo mistero. Ho ancora un altro significato mistico da spiegarti. Ho detto che quell'acqua e quel sangue sono simbolo del battesimo e dell'Eucaristia. Ora la Chiesa è nata da questi due sacramenti, da questo bagno di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito santo per mezzo del Battesimo e dell'Eucaristia. E i simboli del Battesimo e dell'Eucaristia sono usciti dal costato. Quindi è dal suo costato che Cristo ha formato la Chiesa, come dal costato di Adamo fu formata Eva.
Per questo Mosè, parlando del primo uomo, usa l'espressione: «ossa delle mie ossa, carne della mia carne» (Gn 2, 23), per indicarci il costato del Signore. Similmente come Dio formò la donna dal fianco di Adamo, così Cristo ci ha donato l'acqua e il sangue dal suo costato per formare la Chiesa. E come il fianco di Adamo fu toccato da Dio durante il sonno, così Cristo ci ha dato il sangue e l'acqua durante il sonno della sua morte.
Vedete in che modo Cristo unì a sé la sua Sposa, vedete con quale cibo ci nutre. Per il suo sangue nasciamo, con il suo sangue alimentiamo la nostra vita. Come la donna nutre il figlio col proprio latte, così il Cristo nutre costantemente col suo sangue coloro che ha rigenerato.
OFFLINE
21/04/2014 07:22
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dall'«Omelia sulla Pasqua» di Melitone di Sardi, vescovo
(Capp. 2-7; 100-103; SC 123, 60-64. 120-122)
L'agnello immolato ci trasse dalla morte alla vita

Prestate bene attenzione, carissimi: il mistero della Pasqua è nuovo e antico, eterno e temporale, corruttibile e incorruttibile, mortale e immortale. Antico secondo la legge, nuovo secondo il Verbo; temporaneo nella figura, eterno nella grazia; corruttibile per l'immolazione dell'agnello, incorruttibile per la vita del Signore; mortale per la sua sepoltura nella terra, immortale per la sua risurrezione dai morti.
La legge è antica, ma il Verbo è nuovo; temporale è la figura, eterna la grazia; corruttibile l'agnello, incorruttibile il Signore, che fu immolato come un agnello, ma risorse come Dio.
«Era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca» (Is 53, 7).
La similitudine è passata ed ha trovato compimento la realtà espressa: invece di un agnello, Dio, l'uomo-Cristo, che tutto compendia.
Perciò l'immolazione dell'agnello, la celebrazione della Pasqua e la scrittura della legge ebbero per fine Cristo Gesù. Nell'antica legge tutto avveniva in vista di Cristo. Nell'ordine nuovo tutto converge a Cristo in una forma assai superiore.
La legge è divenuta il Verbo e da antica è fatta nuova, ma ambedue uscirono da Sion e da Gerusalemme. Il precetto si mutò in grazia, la figura in verità, l'agnello nel Figlio, la pecora nell'uomo e l'uomo in Dio.
Il Signore pur essendo Dio, si fece uomo e soffrì per chi soffre, fu prigioniero per il prigioniero, condannato per il colpevole e, sepolto per chi è sepolto, risuscitò dai morti e gridò questa grande parola: Chi è colui che mi condannerà? Si avvicini a me (Is 50, 8). Io, dice, sono Cristo che ho distrutto la morte, che ho vinto il nemico, che ho messo sotto i piedi l'inferno, che ho imbrigliato il forte e ho elevato l'uomo alle sublimità del cielo; io, dice, sono il Cristo.
Venite, dunque, o genti tutte, oppresse dai peccati e ricevete il perdono. Sono io, infatti, il vostro perdono, io la Pasqua della redenzione, io l'Agnello immolato per voi, io il vostro lavacro, io la vostra vita, io la vostra risurrezione, io la vostra luce, io la vostra salvezza, io il vostro re. Io vi porto in alto nei cieli. Io vi risusciterò e vi farò vedere il Padre che è nei cieli. Io vi innalzerò con la mia destra.
OFFLINE
22/04/2014 07:22
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dai «Discorsi» di sant'Anastasio, vescovo di Antiochia
(Disc. 4, 1-2; PG 89, 1347-1349)
Cristo doveva patire e così entrare nella sua gloria

Cristo, dopo aver mostrato con l'insegnamento e con le sue opere di essere il vero Dio e il Signore dell'universo, mentre stava per recarsi a Gerusalemme diceva ai suoi discepoli: Ecco stiamo salendo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo verrà dato in mano ai pagani, ai sommi sacerdoti e agli scribi per esser flagellato, vilipeso e crocifisso (cfr. Mt 20, 18-19). Diceva che queste cose erano conformi alle predizioni dei profeti, i quali avevano preannunziato la sua morte, che doveva avvenire in Gerusalemme. Avendo pertanto la Sacra Scrittura predetto fin dal principio la morte di Cristo e la sua passione prima della morte, predice ancora ciò che accadde al suo corpo dopo la morte. Afferma però anche che, come Dio, era impassibile e immortale.
Osservando la verità dell'incarnazione, ne deduciamo i motivi per proclamare rettamente e giustamente l'una e l'altra cosa, cioè la passione e l'impassibilità. Il motivo per cui il Verbo di Dio, impassibile in se stesso, sostenne la passione era che l'uomo non poteva essere salvato in altro modo. Egli lo sapeva bene e con lui anche coloro ai quali volle manifestarlo. Il Verbo, infatti, conosce tutto del Padre, come lo «Spirito ne scruta le profondità» (1 Cor 2, 10) cioè i misteri impenetrabili.
Era davvero necessario che Cristo soffrisse, e non poteva non farlo, come egli stesso affermò. Per questo chiamò stolti e tardi di mente quanti ignoravano che Cristo doveva in tal modo soffrire ed entrare nella sua gloria. Egli venne per la salvezza del suo popolo. Per lui si privò, in un certo senso, di quella gloria che possedeva presso il Padre prima che il mondo fosse. La salvezza era l'evento che doveva maturare attraverso la passione dell'autore della vita. Lo insegna san Paolo: Egli è l'autore della vita, reso perfetto mediante le sofferenze (cfr. Eb 2, 10). La gloria di Unigenito, poi, che egli aveva abbandonato per noi, gli venne restituita per mezzo della croce, nella carne che aveva assunta. Dice infatti san Giovanni nel suo vangelo, quando spiega quale fosse l'acqua di cui parlò il Salvatore: Scorrerà come fiume dal seno di chi crede. Questo disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato (Gv 7, 38-39), e chiama gloria la morte in croce. Perciò il Signore, mentre innalzava preghiere prima di subire la croce, supplicava il Padre di essere glorificato con quella gloria che aveva presso di lui, prima che il mondo esistesse.
OFFLINE
24/04/2014 08:41
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalle «Catechesi» di Gerusalemme
(Catech. 20, Mistagogica 2, 4-6; PG 33, 1079-1082)
Il battesimo, segno della passione di Cristo

Siete stati portati al santo fonte, al divino battesimo, come Cristo dalla croce fu portato al sepolcro.
E ognuno è stato interrogato se credeva nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; avete professato la fede salutare e siete stati immersi tre volte nell'acqua e altrettante siete riemersi, e con questo rito avete espresso un'immagine e un simbolo. Avete rappresentato la sepoltura di tre giorni del Cristo.
Il nostro Salvatore passò tre giorni e tre notti nel seno della terra. Nella prima emersione voi avete simboleggiato il primo giorno passato da Cristo nella terra. Nell'immersione la notte. Infatti, chi è nel giorno si trova nella luce, invece colui che è immerso nella notte, non vede nulla. Così voi nell'immersione, quasi avvolti dalla notte, non avete visto nulla. Nell'emersione invece vi siete ritrovati come nel giorno.
Nello stesso istante siete morti e siete nati e la stessa onda salutare divenne per voi e sepolcro e madre.
Ciò che Salomone disse di altre cose, si adatta pienamente a voi: «C'è un tempo per nascere e un tempo per morire» (Qo 3, 2), ma per voi al contrario il tempo per morire è stato il tempo per nascere. L'unico tempo ha causato ambedue le cose, e con la morte ha coinciso la vostra nascita.
O nuovo e inaudito genere di cose! Sul piano delle realtà fisiche noi non siamo morti, né sepolti, né crocifissi e neppure risorti. Abbiamo però ripresentato questi eventi nella sfera sacramentale e così da essi è scaturita realmente per noi la salvezza.
Cristo invece fu veramente crocifisso e veramente sepolto ed è veramente risorto, anche nella sfera fisica, e tutto questo è stato per noi dono di grazia. Così infatti partecipi della sua passione mediante la rappresentazione sacramentale, possiamo realmente ottenere la salvezza.
O traboccante amore per gli uomini! Cristo ricevette i chiodi nei suoi piedi e nelle sue mani innocenti e sopportò il dolore, e a me, che non ho sopportato né dolore, né fatica, egli dona gratuitamente la salvezza mediante la comunicazione dei suoi dolori.
Nessuno pensi che il battesimo consista solo nella remissione dei peccati e nella grazia di adozione, come era il battesimo di Giovanni che conferiva solo la remissione dei peccati. Noi invece sappiamo che il battesimo, come può liberare dai peccati e ottenere il dono dello Spirito Santo, così anche è figura ed espressione della Passione di Cristo. È per questo che Paolo proclama: «Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme con lui nella morte» (Rm 6, 3-4a).
OFFLINE
25/04/2014 07:28
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalle «Catechesi» di Gerusalemme
(Catech. 21, Mistagogica 3, 1-3; PG 33, 1087-1091)
L'unzione dello Spirito Santo

Battezzati in Cristo e rivestiti di Cristo, avete assunto una natura simile a quella del Figlio di Dio. Il Dio, che ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi, ci ha resi conformi al corpo glorioso di Cristo.
Divenuti partecipi di Cristo, non indebitamente siete chiamati «cristi» cioè «consacrati», perciò di voi Dio ha detto: «Non toccate i miei consacrati» (Sal 104, 15).
Siete diventati «consacrati» quando avete ricevuto il segno dello Spirito Santo. Tutto si è realizzato per voi in simbolo, dato che siete immagine di Cristo. Egli, battezzato nel fiume Giordano, dopo aver comunicato alle acque i fragranti effluvi della sua divinità, uscì da esse e su di lui avvenne la discesa del consustanziale Spirito Santo: l'Uguale si posò sull'Uguale.
Anche a voi, dopo che siete emersi dalle sacre acque, è stato dato il crisma, di cui era figura quello che unse il Cristo, cioè lo Spirito Santo. Di lui anche il grande Isaia, parlando in persona del Signore, dice nella profezia che lo riguarda: «Lo Spirito del Signore è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri» (Is 61, 1).
Cristo non fu unto dagli uomini con olio o altro unguento materiale, ma il Padre lo ha unto di Spirito Santo, prestabilendolo salvatore di tutto il mondo, come dice Pietro: Gesù di Nazareth, che Dio unse di Spirito Santo (cfr. At 10, 38). E il profeta David proclama: «Il tuo trono, Dio, dura per sempre; è scettro giusto lo scettro del tuo regno. Ami la giustizia e l'empietà detesti; Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato con olio di letizia, a preferenza dei tuoi eguali» (Sal 44, 7-8).
Egli fu unto con spirituale olio di letizia, cioè con lo Spirito Santo, il quale è chiamato olio di letizia, perché è lui l'autore della spirituale letizia. Voi, invece, siete stati unti con il crisma, divenendo così partecipi di Cristo e solidali con lui.
Guardatevi bene dal ritenere questo crisma come un puro e ordinario unguento. Santo è quest'unguento e non più puro e semplice olio. Dopo la consacrazione non è più olio ordinario, ma dono di Cristo e dello Spirito Santo. È divenuto efficace per la presenza della sua divinità e viene spalmato sulla tua fronte e sugli altri tuoi sensi con valore sacramentale. Così mentre il corpo viene unto con l'unguento visibile, l'anima viene santificata dal santo e vivificante Spirito.
OFFLINE
26/04/2014 07:27
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalle «Catechesi» di Gerusalemme
(Catech. 22, Mistagogica 4, 1. 3-6. 9; PG 33, 1098-1106)
Il pane del cielo e la bevanda di salvezza

«Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: Prendete e mangiate; questo è il mio corpo. E preso il calice rese grazie, e disse: Prendete e bevete; questo è il mio sangue» (1 Cor 11, 23). Poiché egli ha proclamato e detto del pane: «Questo è il mio corpo», chi oserà ancora dubitare? E poiché egli ha affermato e detto: «Questo è il mio sangue» chi mai dubiterà, affermando che non è il suo sangue?
Perciò riceviamoli con tutta certezza come corpo e sangue di Cristo. Nel segno del pane ti vien dato il corpo e nel segno del vino ti vien dato il sangue, perché, ricevendo il corpo e il sangue di Cristo, tu diventi concorporeo e consanguineo di Cristo. Avendo ricevuto in noi il suo corpo e il suo sangue, ci trasformiamo in portatori di Cristo, anzi, secondo san Pietro, diventiamo consorti della natura divina.
Un giorno Cristo, disputando con i Giudei, disse: Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue, non avrete in voi la vita (cfr. Gv 6, 53). E poiché quelli non capirono nel giusto senso spirituale le cose dette, se ne andarono via urtati, pensando che li esortasse a mangiare le carni.
C'erano anche nell'antica alleanza i pani dell'offerta, ma poiché appartenevano all'Antico Testamento, ebbero termine. Nel Nuovo Testamento c'è un pane celeste e una bevanda di salvezza, che santificano l'anima e il corpo. Come infatti il pane fa bene al corpo, così anche il Verbo giova immensamente all'anima.
Perciò non guardare al pane e al vino eucaristici come se fossero semplici e comuni elementi. Sono il corpo e il sangue di Cristo, secondo l'affermazione del Signore. Anche se i sensi ti fanno dubitare, la fede deve renderti certo e sicuro.
Bene istruito su queste cose e animato da saldissima fede, credi che quanto sembra pane, pane non è, anche se al gusto è tale, ma corpo di Cristo. Credi che quanto sembra vino, vino non è, anche se così si presenta al palato, ma sangue di Cristo. Di queste divine realtà già in antico David diceva nei Salmi: «Il pane che sostiene il suo vigore e l'olio che fa brillare il suo volto» (Sal 103, 15). Ebbene sostieni la tua anima, prendendo quel pane come pane spirituale, e fa' brillare il volto della tua anima.
Voglia il cielo che con la faccia illuminata da una coscienza pura, contempli la gloria del Signore come in uno specchio, e proceda di gloria in gloria, in Cristo Gesù, Signore nostro. A lui onore, potestà e gloria nei secoli dei secoli. Amen.
OFFLINE
02/05/2014 07:23
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dai «Discorsi» di sant'Atanasio, vescovo
(Disc. sull'incarnazione del Verbo, 8-9; PG 25, 110-111)
L'incarnazione del Verbo


Il Verbo di Dio, immateriale e privo di sostanza corruttibile, si stabilì tra noi, anche se prima non ne era lontano. Nessuna regione dell'universo infatti fu mai priva di lui, perché esistendo insieme col Padre suo, riempiva ogni realtà della sua presenza.
Venne dunque per amore verso di noi e si mostrò a noi in modo sensibile. Preso da compassione per il genere umano e la nostra infermità e mosso dalla nostra miseria, non volle rimanessimo vittime della morte. Non volle che quanto era stato creato andasse perduto che l'opera creatrice del Padre nei confronti dell'umanità fosse vanificata. Per questo prese egli stesso un corpo, e un corpo uguale al nostro perché egli non volle semplicemente abitare un corpo o soltanto sembrare un uomo. Se infatti avesse voluto soltanto apparire uomo, avrebbe potuto scegliere un corpo migliore. Invece scelse proprio il nostro.
Egli stesso si costruì nella Vergine un tempio, cioè il corpo e, abitando in esso, ne fece un elemento per potersi rendere manifesto. Prese un corpo soggetto, come quello nostro, alla caducità e, nel suo immenso amore, lo offrì al Padre accettando la morte. Così annullò la legge della morte in tutti coloro che sarebbero morti in comunione con lui. Avvenne che la morte, colpendo lui, nel suo sforzo si esaurì completamente, perdendo ogni possibilità di nuocere ad altri. Gli uomini ricaduti nella mortalità furono resi da lui immortali e ricondotti dalla morte alla vita. Infatti in virtù del corpo che aveva assunto e della risurrezione che aveva conseguito distrusse la morte come fa il fuoco con una fogliolina secca. Egli dunque prese un corpo mortale perché questo, reso partecipe del Verbo sovrano, potesse soddisfare alla morte per tutti. Il corpo assunto, perché inabitato dal Verbo, divenne immortale e mediante la risurrezione, rimedio di immortalità per noi. Offrì alla morte in sacrificio e vittima purissima il corpo che aveva preso e offrendo il suo corpo per gli altri liberò dalla morte i suoi simili.
Il Verbo di Dio a tutti superiore offrì e consacrò per tutti il tempio del suo corpo e versò alla morte il prezzo che le era dovuto. In tal modo l'immortale Figlio di Dio con tutti solidale per il comune corpo di morte con la promessa della risurrezione rese immortali tutti a titolo di giustizia. La morte ormai non ha più nessuna efficacia sugli uomini per merito del Verbo, che ha posto in essi la sua dimora mediante un corpo identico al loro.
OFFLINE
03/05/2014 08:28
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dal Trattato «Sulla prescrizione degli eretici» di Tertulliano, sacerdote
(Cap. 20, 1-9; 21, 3; 22, 8-10; CCL 1, 201-204)
La predicazione apostolica

Cristo Gesù, Signore nostro, per tutto il tempo che visse sulla terra manifestò chi egli era, chi era stato, qual era la volontà del Padre, che cosa l'uomo dovesse fare. Questa rivelazione la fece apertamente al popolo e separatamente ai discepoli, fra i quali scelse i Dodici, come partecipi del suo magistero universale.
Perciò, escluso uno di loro, sul punto di ritornare al Padre, dopo la risurrezione, ordinò agli altri Undici di andare e di ammaestrare le nazioni, battezzandole nel Padre e Figlio e Spirito Santo.
Gli apostoli, il cui nome significa «mandati», sorteggiarono come dodicesimo del loro gruppo Mattia al posto di Giuda e ciò in ossequio all'autorità profetica del salmo di Davide. Avendo ricevuto, secondo la promessa, lo Spirito Santo che doveva renderli capaci di fare i miracoli e di predicare, testimoniarono la fede in Gesù Cristo prima in Giudea e poi in tutto il mondo istituendo ovunque chiese particolari. Ovunque fecero risuonare il medesimo insegnamento e annunziarono la medesima fede.
Così fondarono chiese in ogni città. Da queste ricevettero la linfa della fede e i segni della dottrina tutte le altre chiese e tutte le altre popolazioni che tendono a divenire chiese. Tutte queste chiese venivano considerate apostoliche come figlie delle chiese degli apostoli.
È necessario che ogni cosa risalga alle sue origini. Perciò tra tante e tanto grandi chiese, unica è la prima fondata dagli apostoli e dalla quale derivano tutte le altre. Così tutte sono prime e tutte apostoliche, perché tutte sono una. La comunione di pace, la fraternità che le caratterizza, la vicendevole disponibilità dimostrano la loro unità. Titolo di queste prerogative è la medesima tradizione e il medesimo sacro legame.
Che cosa poi gli apostoli abbiano predicato, cioè che cosa Cristo abbia loro rivelato, non può essere altrimenti provato che per mezzo delle chiese stesse che gli apostoli hanno fondato, e alle quali hanno predicato sia a viva voce, sia in seguito per mezzo di lettere.
Un giorno il Signore aveva detto apertamente: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso»; aveva tuttavia soggiunto: «Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera» (Gv 16, 12-13). Dimostrò con questo che essi non ignoravano nulla. Essi avevano la promessa di ricevere «tutta la verità» per mezzo dello Spirito di verità. La promessa fu mantenuta come provano gli Atti degli Apostoli quando narrano la discesa dello Spirito Santo.
OFFLINE
04/05/2014 09:56
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalla «Prima Apologia a favore dei cristiani» di san Giustino, martire
(Cap. 66-67; PG 6, 427-431)
La celebrazione dell'Eucaristia

A nessun altro è lecito partecipare all'Eucaristia, se non a colui che crede essere vere le cose che insegniamo, e che sia stato purificato da quel lavacro istituito per la remissione dei peccati e la rigenerazione, e poi viva così come Cristo ha insegnato.
Noi infatti crediamo che Gesù Cristo, nostro Salvatore, si è fatto uomo per l'intervento del Verbo di Dio. Si è fatto uomo di carne e sangue per la nostra salvezza. Così crediamo pure che quel cibo sul quale sono state rese grazie con le stesse parole pronunciate da lui, quel cibo che, trasformato, alimenta i nostri corpi e il nostro sangue, è la carne e il sangue di Gesù fatto uomo.
Gli apostoli nelle memorie da loro lasciate e chiamate vangeli, ci hanno tramandato che Gesù ha comandato così: Preso il pane e rese grazie, egli disse: «Fate questo in memoria di me. Questo è il mio corpo». E allo stesso modo, preso il calice e rese grazie, disse: «Questo è il mio sangue» e lo diede solamente a loro.
Da allora noi facciamo sempre memoria di questo fatto nelle nostre assemblee e chi di noi ha qualcosa, soccorre tutti quelli che sono nel bisogno, e stiamo sempre insieme. Per tutto ciò di cui ci nutriamo benediciamo il creatore dell'universo per mezzo del suo Figlio Gesù e dello Spirito Santo.
E nel giorno, detto del Sole, si fà l'adunanza. Tutti coloro che abitano in città o in campagna convengono nello stesso luogo, e si leggono le memorie degli apostoli o gli scritti dei profeti per quanto il tempo lo permette.
Poi, quando il lettore ha finito, colui che presiede rivolge parole di ammonimento e di esortazione che incitano a imitare gesta così belle.
Quindi tutti insieme ci alziamo ed eleviamo preghiere e, finito di pregare, viene recato pane, vino e acqua. Allora colui che presiede formula la preghiera di lode e di ringraziamento con tutto il fervore e il popolo acclama: Amen! Infine a ciascuno dei presenti si distribuiscono e si partecipano gli elementi sui quali furono rese grazie, mentre i medesimi sono mandati agli assenti per mano dei diaconi.
Alla fine coloro che hanno in abbondanza e lo vogliono, dànno a loro piacimento quanto credono. Ciò che viene raccolto, è deposto presso colui che presiede ed egli soccorre gli orfani e le vedove e coloro che per malattia o per altra ragione sono nel bisogno, quindi anche coloro che sono in carcere e i pellegrini che arrivano da fuori. In una parola, si prende cura di tutti i bisognosi.
Ci raduniamo tutti insieme nel giorno del Sole, sia perché questo è il primo giorno in cui Dio, volgendo in fuga le tenebre e il caos, creò il mondo, sia perché Gesù Cristo nostro Salvatore risuscitò dai morti nel medesimo giorno. Lo crocifissero infatti nel giorno precedente quello di Saturno e l'indomani di quel medesimo giorno, cioè nel giorno del Sole, essendo apparso ai suoi apostoli e ai discepoli, insegnò quelle cose che vi abbiamo trasmesso perché le prendiate in seria considerazione.
OFFLINE
07/05/2014 07:45
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dalla «Prima Apologia a favore dei cristiani» di san Giustino, martire
(Cap. 61; PG 6, 418-422)
Il lavacro della rigenerazione

Esporremo come noi, rinnovati per mezzo di Cristo, ci siamo consacrati a Dio. Coloro, che arrivati alla certezza, hanno creduto alle verità da noi insegnate e proclamate e hanno promesso di vivere in modo ad esse conforme, vengono guidati a pregare, e a domandare a Dio il perdono dei peccati. Noi insegniamo loro ad accompagnare la preghiera con il digiuno, ma anche noi preghiamo e digiuniamo in piena solidarietà con essi.
Quindi li conduciamo al fonte dell'acqua e là vengono rigenerati allo stesso modo con cui siamo stati rigenerati anche noi. Infatti allora ricevono il lavacro dell'acqua nel nome del Creatore e Dio Signore di tutte le cose, del Salvatore nostro Gesù Cristo e dello Spirito Santo.
Gesù infatti ha detto: Se non rinascerete, non entrerete nel regno dei cieli (cfr. Mt 18, 3). Non si tratta, ovviamente, di rientrare nel grembo materno, perché la nascita di cui parliamo è spirituale.
Il profeta Isaia ha spiegato in quale modo si liberano dai peccati coloro che li hanno commessi e fanno penitenza: Lavatevi, purificatevi, togliete il male dalle vostre anime. Imparate a fare il bene, rendete giustizia all'orfano, difendete la causa della vedova. Sù, venite e discutiamo, dice il Signore. Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, li renderò bianchi come la neve. Ma se non ascolterete, sarete divorati dalla spada, perché la bocca del Signore ha parlato (cfr. Is 1, 16-20).
Questa dottrina l'abbiamo ricevuta dagli apostoli. Nella nostra prima nascita siamo stati messi al mondo dai genitori per istinto naturale e in modo inconscio. Ora non vogliamo restare figli della semplice natura e dell'ignoranza, ma di una scelta consapevole. Vogliamo ottenere nell'acqua salutare la remissione delle colpe commesse. Per questo su chi desidera di essere rigenerato e ha fatto penitenza dei peccati, si pronunzia il nome del Creatore e Signore Dio dell'universo. È questo solo nome che invochiamo su colui che viene condotto al lavacro per il battesimo.
Il lavacro si chiama illuminazione, perché coloro che imparano le verità ricordate sono illuminati nella loro mente. Colui che viene illuminato è anche lavato. È illuminato e lavato nel nome di Gesù Cristo crocifisso sotto Ponzio Pilato, è illuminato e lavato nel nome dello Spirito Santo, che ha preannunziato per mezzo dei profeti tutte le cose riguardanti Gesù.
OFFLINE
08/05/2014 08:01
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dal Trattato «Contro le eresie» di sant'Ireneo, vescovo.
(Lib. 5, 2, 2-3; SC 153, 30-38)
L'Eucaristia pegno di risurrezione

Se la carne non viene salvata, allora né il Signore ci ha redenti col suo sangue, né il calice dell'Eucaristia è la comunione del suo sangue, né il pane che spezziamo è la comunione del suo corpo. Il sangue infatti non viene se non dalle vene e dalla carne e da tutta la sostanza dell'uomo nella quale veramente si è incarnato il Verbo di Dio. Ci ha redenti con il suo sangue, come dice anche il suo Apostolo: in lui abbiamo la redenzione e la remissione dei peccati per mezzo del suo sangue (cfr. Ef 1, 7).
Noi siamo sue membra, ma siamo nutriti dalle cose create, che egli stesso mette a nostra disposizione, facendo sorgere il suo sole e cadere la pioggia come vuole. Questo calice, che viene dalla creazione, egli ha dichiarato che è il suo sangue, con cui alimenta il nostro sangue. Così pure questo pane, che viene dalla creazione, egli ha assicurato che è il suo corpo con cui nutre i nostri corpi.
Il vino mescolato nel calice e il pane confezionato ricevono la parola di Dio e diventano Eucaristia, cioè corpo e sangue di Cristo. Da essi è alimentata e prende consistenza la sostanza della nostra carne. E allora come possono alcuni affermare che la carne non è capace di ricevere il dono di Dio, cioè la vita eterna, quando viene nutrita dal sangue e dal corpo di Cristo, al quale appartiene come parte delle sue membra? Lo dice l'Apostolo nella lettera agli Efesini: Siamo membra del suo corpo, della sua carne e delle sue ossa (cfr. Ef 5, 30), e queste cose non le dice di un uomo spirituale e invisibile - uno spirito infatti non ha né ossa né carne (cfr. Lc 24, 39) - ma di un uomo vero, che consta di carne, nervi e ossa, e che viene alimentato dal calice che è il sangue di Cristo e sostenuto dal pane, che è il corpo di Cristo.
Il tralcio della vite, piantato in terra, porta frutto a suo tempo, e il grano di frumento caduto nella terra, e in esso dissolto, risorge moltiplicato per virtù dello Spirito di Dio, che abbraccia ogni cosa. Tutto questo poi dalla sapienza è messo a disposizione dell'uomo, e, ricevendo la parola di Dio, diventa Eucaristia, cioè corpo e sangue di Cristo. Così anche i nostri corpi, nutriti dall'Eucaristia, deposti nella terra e andati in dissoluzione, risorgeranno a suo tempo, perché il Verbo dona loro la risurrezione, a gloria di Dio Padre. Egli circonda di immortalità questo corpo mortale, e largisce gratuitamente l'incorruzione alla carne corruttibile. In questa maniera la forza di Dio si manifesta pienamente nella debolezza degli uomini.
OFFLINE
10/05/2014 08:43
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Dal «Commento sul vangelo di san Giovanni» di san Cirillo d'Alessandria, vescovo
(Lib. 4, 2; PG 73, 563-566)
Cristo ha dato il suo corpo per la vita di tutti

Muoio, dice il Signore, per tutti, per vivificare tutti per mezzo mio. Con la mia carne ho redento la carne di tutti. La morte infatti morrà nella mia morte e la natura umana, che era caduta, risorgerà insieme con me.
Per questo infatti sono divenuto simile a voi, uomo cioè della stirpe di Abramo, per essere in tutto simile ai fratelli.
Ben comprendendo il progetto divino lo stesso san Paolo dice: «Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch'egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza, mediante la morte, colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo» (Eb 2, 14). Infatti in nessun'altra maniera si sarebbe potuto distruggere chi aveva il potere della morte, e con lui la morte stessa, se non con il sacrificio di Cristo. Uno solo si è immolato per la redenzione di tutti, perché la morte regnava su tutti.
Cristo, offrendo se stesso a Dio Padre per noi come ostia immacolata, dice nel salmo: «Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto. Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. Allora ho detto: Ecco, io vengo. Sul rotolo del libro di me è scritto che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero» (Sal 39, 7-9).
Fu poi crocifisso per tutti e a causa di tutti, perché, morto uno per tutti, viviamo tutti in lui. Infatti non poteva accadere che la vita per se stessa fosse sottoposta alla morte o soccombesse alla corruzione. Che Cristo, poi, abbia offerto la sua carne per la vita del mondo, lo sappiamo con certezza dalle sue parole: Padre santo, custodiscili (cfr. Gv 17, 11). E di nuovo: Per loro io santifico me stesso (cfr. Gv 17, 19). Santifico, dice, cioè: mi consacro e mi offro quasi ostia immacolata di soave odore. Veniva santificato infatti, veniva chiamato santo, secondo la legge, ciò che era offerto sull'altare. Cristo dunque diede il suo corpo per la vita di tutti e così di nuovo innestò in noi la vita.
Dopo che il Verbo vivificante di Dio abitò nella carne, la ristabilì nel suo bene, cioè nella vita. Stabilì con essa una comunione misteriosa e così la rese partecipe della sua stessa vita.
Perciò il corpo di Cristo vivifica coloro che comunicano con esso. Scaccia la morte dai mortali e la corruzione dai corruttibili in virtù di quella potenza rigeneratrice che porta sempre con sé.
Nuova Discussione
Rispondi
Cerca nel forum
Tag discussione
Discussioni Simili   [vedi tutte]
BRANI SCELTI DI S.AGOSTINO (348 messaggi, agg.: 19/06/2023 00:52)
BRANI SCELTI DI ASCETICA CRISTIANA (7 messaggi, agg.: 07/12/2022 16:16)
BRANI SCELTI di SANTI e DOTTORI della Chiesa (708 messaggi, agg.: 02/12/2017 23:58)
TESTI SCELTI DEI PAPI PRECEDENTI (222 messaggi, agg.: 02/12/2017 23:59)
BRANI DEL MAGISTERO (75 messaggi, agg.: 02/12/2017 23:59)
BRANI SCELTI di s.Girolamo (21 messaggi, agg.: 07/09/2014 18:06)
 
*****************************************
Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra | Regolamento | Privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 05:29. Versione: Stampabile | Mobile - © 2000-2024 www.freeforumzone.com