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BRANI SCELTI DI S.AGOSTINO

Ultimo Aggiornamento: 19/06/2023 00:52
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26/09/2017 10:13
 
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Dal «Discorso sui pastori» di sant'Agostino, vescovo
(Disc. 46, 18-19; CCL 41, 544-546)
*La Chiesa, come una vite,
crescendo si è diffusa in ogni luogo*
Vanno errando le mie pecore per tutti i monti e su ogni colle e sono disperse su tutta la faccia della terra (cfr. Ez 34, 6). Che significa disperdersi su tutta la faccia della terra? Seguire tutte le cose terrene, amare e avere a cuore tutto quello che alletta sulla faccia della terra.
Non vogliono morire di quella morte che renda la loro vita nascosta in Cristo.
«Su tutta la faccia della terra», perché amano i beni terreni e perché le pecore che si smarriscono sono sparse su tutta la faccia della terra. Si trovano in molti luoghi, sono figlie di un'unica madre, la superbia, all'opposto di tutti i veri cristiani diffusi in ogni angolo della terra e generati dall'unica madre che è la Chiesa cattolica.
Non c'è pertanto da meravigliarsi che, se la superbia genera la divisione, l'amore generi l'unità. Tuttavia la stessa madre Chiesa cattolica, e in essa lo stesso pastore, ricerca dovunque gli smarriti, rinfranca i deboli, cura i malati, fascia i feriti, prendendo gli uni di qui, gli altri di là, senza che si conoscano tra di loro. Ma essa ben li conosce tutti, perché si estende a tutti.
Essa è come una vite che, crescendo, si propaga in ogni parte; quelli invece sono tralci inutili recisi dal vignaiuolo per la loro sterilità, perché la vite resti potata, non già amputata. Dunque quei tralci sono rimasti là dove furono recisi. La vite invece, spandendosi dovunque, conosce sia i tralci che le sono rimasti uniti, sia quelli che ne furono recisi, e sono rimasti lì vicino ad essa.
Ma tuttavia la Chiesa continua a richiamare chi si smarrisce, perché anche di questi rami tagliati l'Apostolo dice: «Dio infatti ha la potenza di innestarli di nuovo» (Rm 11, 23). Sia dunque che si tratti di pecore erranti lontane dal gregge, sia che si tratti di rami recisi dalla vite, non per questo Dio è meno potente per ricondurre le pecore o per reinnestarle nella vite. Egli infatti è il sommo Pastore, egli è il vero agricoltore.
«Vanno errando tutte le mie pecore in tutto il paese e nessuno» tra quei cattivi pastori «va in cerca di loro e se ne cura» (Ez 34, 6). Non c'è, tra i pastori umani, chi le ricerchi.
Perciò, o pastori, ascoltate: Com'è vero che io vivo, dice il Signore Dio (cfr. Ez 34, 7). Vedete come comincia? È come un giuramento di Dio, prende la sua vita a testimonianza. «Come è vero che io vivo, dice il Signore». I pastori sono morti, ma le pecore sono al sicuro, c'è il Signore che vive. «Come è vero che io vivo, dice il Signore».
Ma quali pastori sono morti? Quelli che cercavano i propri interessi e non già gli interessi di Gesù Cristo. Ma vi saranno dunque e si troveranno ancora dei pastori, che cercano non i loro interessi ma quelli di Gesù Cristo? Certamente ce ne saranno. Certamente se ne troveranno, perché non mancano, né mancheranno.
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28/09/2017 09:58
 
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Dal «Discorso sui pastori» di sant'Agostino, vescovo
(Disc. 46, 24-25. 27; CCL 41, 551-553)
In pascoli ubertosi pascolerò le mie pecore
«Le ritirerò dai popoli e le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella loro terra e le farò pascolare sui monti di Israele» (Ez 34, 13).
Per «monti di Israele» devono intendersi le pagine delle Sacre Scritture. Lì pascolate, se volete pascolare con sicurezza. Tutto quello che ascolterete da quella fonte, gustatelo con piacere; tutto quello invece che è al di fuori, rigettatelo. Per non andare errando nella nebbia, ascoltate la voce del pastore. Radunatevi sui monti delle Sacre Scritture. Ivi troverete le delizie del vostro cuore, ivi non c'è nulla di velenoso, nulla di dannoso: solo pascoli ubertosi. Venite solamente voi; pecore sane, venite; voi solo pascolate sui monti di Israele.
«E lungo i ruscelli e in ogni luogo abitato del paese» (Ez 34, 13 volg.). Infatti dai monti, di cui abbiamo parlato, sono scaturiti i fiumi della predicazione evangelica quando per tutta la terra si è diffusa la loro voce (cfr. Sal 18, 5) ed ogni contrada della terra è diventata rigogliosa e fertile per pascervi le pecore.
«Le condurrò in ottime pasture e il loro ovile sarà sui monti alti d'Israele: lì riposeranno in un buon ovile» (Ez 34, 14) cioè dove possano trovare riposo, dove possano dire: Si sta bene. Dove possano riconoscere: È vero, è chiaro, non ci inganniamo. Troveranno riposo nella gloria di Dio, come in casa propria. «E dormiranno», cioè riposeranno, in grandi delizie.
«E avranno rigogliosi pascoli sui monti di Israele» (Ez 34, 14). Ho già parlato di questi monti di Israele, monti floridi, verso i quali leviamo gli sguardi perché di là ci venga l'aiuto. Ma il nostro aiuto ci viene dal Signore, «che ha fatto il cielo e la terra» (Sal 123, 8).
Infatti perché la nostra speranza non si arrestasse ai monti floridi, dopo aver detto: «Pascolerò le mie pecore sui monti di Israele», soggiunse subito: «Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo» (Ez 34, 15). Leva pure il tuo sguardo verso i monti, donde verrà il tuo aiuto, ma non dimenticare chi dice: «Io le condurrò al pascolo». Perché l'aiuto ti viene dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra.
E conclude così: E le pascolerò come è giusto, con giudizio (cfr. Ez 34, 16). Considera come egli solo sappia pascolare il gregge, perché solo lui lo pascola come è giusto, con giudizio. Quale uomo infatti è in grado di giudicare un altro uomo? Il mondo è pieno di giudizi avventati. Colui del quale dovremmo disperare, ecco che all'improvviso si converte e diviene ottimo. Colui dal quale ci saremmo aspettati molto, ad un tratto si allontana dal bene e diventa pessimo. Né il nostro timore, né il nostro amore sono stabili e sicuri.
Che cosa sia oggi ciascun uomo, a stento lo sa lo stesso uomo. Tuttavia fino a un certo punto egli sa che cosa è oggi, ma non già quello che sarà domani. Dio solo dunque pascola con giudizio, distribuendo a ciascuno il suo: a chi questo, a chi quello, secondo che gli è dovuto. Egli infatti sa quello che fa. Pascola con giudizio coloro che ha redento, lui che si è sottoposto a un giudizio umano. Dunque è lui solo che pascola con giudizio.
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19/10/2017 08:50
 
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Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo
(Tratt. 26, 4-6; CCL 36, 261-263)
Ecco, io salverò il mio popolo
«Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre» (Gv 6, 44). Non pensare di essere attirato contro la tua volontà: l'anima è attirata anche dall'amore. Né dobbiamo temere di essere criticati per queste parole evangeliche della Sacra Scrittura da quanti stanno a pesare le parole, ma sono del tutto incapaci di comprendere le realtà divine. Costoro potrebbero obiettarci: Come posso ammettere che la mia fede sia un atto libero, se vengo trascinato? Rispondo: Nessuna meraviglia che sentiamo una forza di attrazione sulla volontà. Anche il piacere ha una tale forza di attrazione.
Che significa essere attratti dal piacere? «Cerca la gioia nel Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore» (Sal 36, 4). Esiste dunque una certa delizia del cuore, per cui esso gode di quel pane celeste. Il poeta Virgilio poté affermare: Ciascuno è attratto dal proprio piacere. Non dunque dalla necessità, ma dal piacere, non dalla costrizione, ma dal diletto. Tanto più noi possiamo dire che viene attirato a Cristo l'uomo che trova la sua delizia nella verità, nella beatitudine, nella giustizia, nella vita eterna, dal momento che Cristo è proprio tutto questo.
O forse che i sensi del corpo hanno i loro piaceri e l'anima non dovrebbe averli? Se l'anima non ha le sue delizie, come mai il salmo dice: «Si rifugiano gli uomini all'ombra delle tue ali, si saziano dell'abbondanza della tua casa, e li disseti al torrente delle tue delizie. È in te la sorgente della vita e alla tua luce vediamo la luce»? (Sal 35, 8-10).
Dammi uno che ami, e capirà quello che sto dicendo. Dammi uno che arda di desiderio, uno che abbia fame, che si senta pellegrino e assetato in questo deserto, uno che sospiri alla fonte della patria eterna, dammi uno che sperimenti dentro di sé tutto questo ed egli capirà la mia affermazione. Se invece parlo ad un cuore freddo e insensibile, non potrà capire ciò che dico.
Tu mostri ad una pecora un ramoscello verde e te la tiri dietro. Mostri ad un fanciullo delle noci, ed egli viene attratto e là corre dove si sente attratto: è attirato dall'amore, è attirato senza subire costrizione fisica; è attirato dal vincolo che lega il cuore. Se, dunque, queste delizie e piaceri terreni, presentati ai loro amatori, esercitano su di loro una forte attrattiva - perché rimane sempre vero che ciascuno è attratto dal proprio piacere - come non sarà capace di attrarci Cristo, che ci viene rivelato dal Padre? Che altro desidera più ardentemente l'anima, se non la verità? Di che cosa dovrà essere avido l'uomo, a qual fine dovrà desiderare che il suo interno palato sia sano nel giudicare il vero, se non per saziarsi della sapienza, della giustizia, della verità, della vita immortale?
Dice perciò il Signore: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia», quaggiù, «perché saranno saziati», lassù (Mt 5, 6). Gli concedo quello che ama, gli rendo quello che spera. Vedrà quello che ora senza vedere accetta per fede. Si ciberà di ciò di cui ora ha fame, sarà dissetato con ciò di cui ora ha sete. Ma quando e dove? Nella risurrezione dei morti, perché: «Io lo risusciterò nell'ultimo giorno» (Gv 6, 54).
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20/10/2017 07:59
 
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Da «La Città di Dio» di sant'Agostino, vescovo
(Lib. 10, 6; CCL 47, 278-279)
In ogni luogo si sacrifica e si offre al mio nome una vittima pura
Il vero sacrificio consiste in ogni azione con cui miriamo a unirci con Dio in un santo rapporto, rivolgendoci a quel sommo Bene che ci può rendere veramente beati. Perciò anche le stesse opere di misericordia, con cui si viene in soccorso dell'uomo, se non si fanno per Dio, non possono dirsi vero sacrificio. Infatti, benché il sacrificio venga compiuto e offerto dall'uomo, tuttavia è cosa divina, tanto che gli antichi latini l'hanno designato anche con quest'ultimo nome. Perciò un uomo consacrato a Dio e votato a lui, in quanto muore al mondo per vivere a Dio, è un sacrificio. È anche un'opera di misericordia che ciascuno fa verso se stesso, come sta scritto: «Abbi misericordia della tua anima, rendendoti gradito a Dio» (Sir 30, 24 volg.).
Dunque veri sacrifici sono le opere di misericordia sia verso se stessi, sia verso il prossimo in riferimento a Dio. D'altra parte le opere di misericordia non si compiono per altro motivo, se non per essere liberi dalla miseria e rendersi così beati di quella beatitudine che non si consegue se non per mezzo di quel bene di cui fu detto: «Il mio bene è stare vicino a Dio» (Sal 72, 28). Ne consegue senza dubbio che tutta la città redenta, cioè la comunità e la società dei fedeli, viene offerta a Dio quale sacrificio universale, per mezzo del grande Sacerdote, che ha offerto anche se stesso per noi nella sua passione, sotto le sembianze di servo, perché divenissimo corpo di così grande capo. Ha offerto, infatti, questa natura umana e in essa venne offerto perché proprio per essa è mediatore, sacerdote, sacrificio.
L'Apostolo ci esorta ad offrire i nostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, come nostro atto di culto spirituale (cfr. Rm 12, 1). Ci raccomanda di non conformarci al mondo presente, ma a trasformarci rinnovando la nostra mente per poter discernere qual è la volontà di Dio, per capire qual è il vero bene a lui gradito e perfetto, per comprendere che noi stessi costituiamo tutto intero il sacrificio. Per questo soggiunge: «Per la grazia che mi è stata concessa, io dico a ciascuno di voi: Non valutatevi più di quanto è conveniente, ma valutatevi in maniera da avere di voi un giusto concetto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri. Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi» (Rm 12, 3-6).
Questo è il sacrificio dei cristiani: «Pur essendo molti siamo un corpo solo in Cristo» (1 Cor 10, 17). E questo sacrificio la Chiesa lo celebra anche con il sacramento dell'altare ben noto ai fedeli, in cui le viene mostrato che, in ciò che essa offre, essa stessa è offerta nella cosa che offre.
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22/10/2017 10:08
 
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Dalla «Lettera a Proba» di sant'Agostino, vescovo
(Lett. 130, 8, 15. 17 - 9, 18; CSEL 44, 56-57. 59-60)
Le aspirazioni del cuore, anima della preghiera
Quando preghiamo non dobbiamo mai perderci in tante considerazioni, cercando di sapere che cosa dobbiamo chiedere e temendo di non riuscire a pregare come si conviene. Perché non diciamo piuttosto col salmista: «Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore e ammirare il suo santuario»? (Sal 26, 4). Ivi infatti non c'è successione di giorni come se ogni giorno dovesse arrivare e poi passare. L'inizio dell'uno non segna la fine dell'altro, perché vi si trovano presenti tutti contemporaneamente. La vita, alla quale quei giorni appartengono, non conosce tramonto.
Per conseguire questa vita beata, la stessa vera Vita in persona ci ha insegnato a pregare, non con molte parole, come se fossimo tanto più facilmente esauditi, quanto più siamo prolissi. Nella preghiera infatti ci rivolgiamo a colui che, come dice il Signore medesimo, già sa quello che ci è necessario, prima ancora che glielo chiediamo (cfr. Mt 6, 7-8).
Potrebbe sembrare strano che Dio ci comandi di fargli delle richieste quando egli conosce, prima ancora che glielo domandiamo, quello che ci è necessario. Dobbiamo però riflettere che a lui non importa tanto la manifestazione del nostro desiderio, cosa che egli conosce molto bene, ma piuttosto che questo desiderio si ravvivi in noi mediante la domanda perché possiamo ottenere ciò che egli è già disposto a concederci. Questo dono, infatti, è assai grande, mentre noi siamo tanto piccoli e limitati per accoglierlo. Perciò ci vien detto: «Aprite anche voi il vostro cuore! Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli» (2 Cor 6, 13-14).
Il dono è davvero grande, tanto che né occhio mai vide, perché non è colore; né orecchio mai udì, perché non è suono; né mai è entrato in cuore d'uomo (cfr. 1 Cor 2, 9), perché è là che il cuore dell'uomo deve entrare. Lo riceveremo con tanta maggiore capacità, quanto più salda sarà la nostra fede, più ferma la nostra speranza, più ardente il nostro desiderio.
Noi dunque preghiamo sempre in questa stessa fede, speranza e carità, con desiderio ininterrotto.
Ma in certe ore e in determinate circostanze, ci rivolgiamo a Dio anche con le parole, perché, mediante questi segni, possiamo stimolare noi stessi e insieme renderci conto di quanto abbiamo progredito nelle sante aspirazioni, spronandoci con maggiore ardore a intensificarle. Quanto più vivo, infatti, sarà il desiderio, tanto più ricco sarà l'effetto. E perciò, che altro vogliono dire le parole dell'Apostolo: «Pregate incessantemente» (1 Ts 5, 17) se non questo: Desiderate, senza stancarvi, da colui che solo può concederla quella vita beata, che niente varrebbe se non fosse eterna?

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23/10/2017 08:02
 
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Dalla «Lettera a Proba» di sant'Agostino, vescovo
(Lett. 130, 9, 18 - 10, 20; CSEL 44, 60-63)
I tempi fissi della preghiera
Manteniamo sempre vivo il desiderio della vita beata, che ci viene dal Signore Dio e non cessiamo mai di pregare. Ma, a questo fine, è necessario che stabiliamo certi tempi fissi per richiamare alla nostra mente il dovere della preghiera, distogliendola da altre occupazioni o affari, che in qualche modo raffreddano il nostro desiderio, ed eccitandoci con le parole dell'orazione a concentrarci in ciò che desideriamo. Facendo così, eviteremo che il desiderio, tendente a intiepidirsi, si raffreddi del tutto o si estingua per mancanza di un frequente stimolo.
La raccomandazione dell'Apostolo: «In ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste» (Fil 4, 6) non si deve intendere nel senso che dobbiamo portarle a conoscenza di Dio. Egli infatti le conosceva già prima che fossero formulate. Esse devono divenire piuttosto maggiormente vive nell'ambito della nostra coscienza. Esse, poi, devono contare su un atteggiamento fatto di fiduciosa attesa dinanzi a Dio, più che ambire la manifestazione reclamistica dinanzi agli uomini.
Stando così le cose, non è certo male o inutile pregare a lungo, quando si è liberi, cioè quando non si è impediti dal dovere di occupazioni buone o necessarie. Però anche in questo caso, come ho detto, si deve sempre pregare con quel desiderio. Infatti il pregare a lungo non è, come qualcuno crede, lo stesso che pregare con molte parole. Altro è un lungo discorso, altro uno stato d'animo prolungato. Consideriamo come del Signore stesso sia scritto che passava le notti in preghiera, e che nell'orto pregò a lungo. Ed in ciò, che altro intendeva, se non darci l'esempio, egli che nel tempo è l'intercessore propizio, mentre nell'eternità è, insieme al Padre, colui che ci esaudisce?
Sappiamo che gli eremiti d'Egitto fanno preghiere frequenti, ma tutte brevissime. Esse sono come rapidi messaggi che partono all'indirizzo di Dio. Così l'attenzione dello spirito, tanto necessaria a chi prega, rimane sempre desta e fervida e non si assopisce per la durata eccessiva dell'orazione. E in ciò essi mostrano anche abbastanza chiaramente che non si deve voler insistere in un prolungato sforzo di concentrazione, quando si vede che non può durare oltre un certo tempo, e d'altra parte non si deve interrompere alla leggera o bruscamente la preghiera, quando si vede che la presenza vigile della mente può continuare.
Lungi dunque dalla preghiera ogni verbosità, ma non si tralasci la supplica insistente, se perdura il fervore e l'attenzione. Il servirsi di molte parole nella preghiera equivale a trattare una cosa necessaria con parole superflue.
Il pregare consiste nel bussare alla porta di Dio e invocarlo con insistente e devoto ardore del cuore.
Il dovere della preghiera si adempie meglio con i gemiti che con le parole, più con le lacrime, che con i discorsi. Dio, infatti, «pone davanti al suo cospetto le nostre lacrime» (Sal 55, 9 volg.), e il nostro gemito non rimane nascosto (cfr. Sal 37, 10) a lui che tutto ha creato per mezzo del suo Verbo, e non cerca le parole degli uomini.
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24/10/2017 07:31
 
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Dalla «Lettera a Proba» di sant'Agostino, vescovo
(Lett. 130, 11, 21 - 12, 22; CSEL 44, 63-64)
Il Padre nostro
A noi sono necessarie le parole per richiamarci alla mente e considerare quello che chiediamo, ma non crediamo di dovere informare con esse il Signore, o piegarlo ai nostri voleri.
Quando dunque diciamo: «Sia santificato il tuo nome», stimoliamo noi stessi a desiderare che il suo nome, che è sempre santo, sia ritenuto santo anche presso gli uomini, cioè non sia disprezzato. Cosa questa che giova non a Dio, ma agli uomini.
Quando poi diciamo: «Venga il tuo regno» che, volere o no, certamente verrà, eccitiamo la nostra aspirazione verso quel regno, perché venga per noi e meritiamo di regnare in esso.
Quando diciamo: «Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra», gli domandiamo la grazia dell'obbedienza, perché la sua volontà sia adempiuta da noi, come in cielo viene eseguita dagli angeli.
Dicendo: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano», con la parola «oggi» intendiamo nel tempo presente. Con il termine «pane» chiediamo tutto quello che ci è necessario, indicandolo con quanto ci occorre maggiormente per il sostentamento quotidiano. Domandiamo anche il sacramento dei fedeli, necessario nella vita presente per conseguire la felicità, non quella temporale, ma l'eterna.
Quando diciamo: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori», richiamiamo alla memoria sia quello che dobbiamo domandare, sia quello che dobbiamo fare per meritare di ricevere il perdono.
Quando diciamo: «E non ci indurre in tentazione», siamo esortati a chiedere l'aiuto indispensabile per non cedere alle tentazioni e per non rimanere vinti dall'inganno o dal dolore.
Quando diciamo: «Liberaci dal male», ricordiamo a noi stessi che non siamo ancora in possesso di quel bene nel quale non soffriremo più alcun male. Questa domanda è l'ultima dell'orazione domenicale. Essa ha un significato larghissimo. Perciò, in qualunque tribolazione si trovi il cristiano, con essa esprima i suoi gemiti, con essa accompagni le sue lacrime, da essa inizi la sua preghiera, in essa la prolunghi e con essa la termini.
Le espressioni che abbiamo passato in rassegna hanno il vantaggio di ricordarci le realtà che esse significano. Tutte le altre formule destinate o a suscitare o ad intensificare il fervore interiore, non contengono nulla che non si trovi già nella preghiera del Signore, purché naturalmente la recitiamo bene e con intelligenza.
Chiunque prega con parole che non hanno alcun rapporto con questa preghiera evangelica, forse non fa una preghiera mal fatta, ma certo troppo umana e terrestre. Del resto stenterei a capacitarmi che una tale preghiera si possa dire ancora ben fatta per i cristiani. E la ragione è che, essendo essi rinati dallo Spirito, devono pregare solo in modo spirituale.
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25/10/2017 10:17
 
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Dalla «Lettera a Proba» di sant'Agostino, vescovo
(Lett. 130, 12, 22 - 13, 24; CSEL 44, 65-68)
*Non troverai nulla che non sia già contenuto
in questa preghiera*
Chi dice: «Come ai loro occhi ti sei mostrato santo in mezzo a noi, così ai nostri occhi mostrati grande fra di loro» (Sir 36, 3) e: I tuoi profeti siano trovati pii (cfr. Sir 36, 15), che altro dice se non: «Sia santificato il tuo nome»?
Chi dice: «Rialzaci, Signore nostro Dio; fa' risplendere il tuo volto e noi saremo salvi» (Sal 79, 4), che altro dice se non: «Venga il tuo regno»?
Chi dice: «Rendi saldi i miei passi secondo la tua parola e su di me non prevalga il male» (Sal 118, 133), che altro dice se non: «Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra»?
Chi dice: «Non darmi né povertà né ricchezza» (Pro 30, 8), che altro dice se non: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano»?
Chi dice: «Ricordati, o Signore, di Davide, di tutte le sue prove» (Sal 131, 1) oppure: Signore, se così ho agito, se c'è iniquità nelle mie mani, se ho reso male a coloro che mi facevano del male, salvami e liberami (cfr. Sal 7, 1-4), che altro dice se non: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori»?
Chi dice: «Liberami dai nemici, mio Dio, proteggimi dagli aggressori» (Sal 58, 2), che altro dice se non: «Liberaci dal male»?
E se passi in rassegna tutte le parole delle sante invocazioni contenute nella Scrittura, non troverai nulla, a mio parere, che non sia contenuto e compreso nel Padre nostro. Nel pregare, insomma, siamo liberi di servirci di altre parole, pur domandando le medesime cose, ma non dobbiamo permetterci di domandare cose diverse.
Queste cose dobbiamo domandarle nelle nostre preghiere per noi e per i nostri cari, per gli estranei e, senza dubbio, anche per gli stessi nemici, quantunque nel cuore di chi prega possa sorgere o prevalere un sentimento differente per l'una o l'altra persona, a seconda del grado più o meno stretto di parentela o di amicizia.
Eccoti così, a mio modo di pensare, non solo le disposizioni con le quali devi pregare, ma anche che cosa devi chiedere. Non perché te l'insegno io, ma perché ti viene detto da colui che si è degnato di istruire noi tutti.
Si deve cercare la vita beata e chiederla al Signore Dio. In che consista l'essere beato è stato discusso a lungo da molti con motivazioni diverse. Ma non è necessario ricorrere a tanti autori e a tante trattazioni. Nella Sacra Scrittura è stato detto tutto con poche parole e con piena verità: «Beato il popolo il cui Dio è il Signore» (Sal 143, 15). Per appartenere a questo popolo e arrivare a contemplare Dio e vivere eternamente con lui, teniamo presente questo: Il fine del precetto è la carità che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera (cfr. 1 Tm 1, 5).
Nella enumerazione di queste tre virtù invece di «coscienza» si trova «speranza».
Risulta dunque che la fede, la speranza e la carità conducono a Dio colui che prega. Chi crede, spera, desidera e considera attentamente che cosa debba chiedere al Signore nell'orazione domenicale, arriva certamente fino a Dio.
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26/10/2017 08:19
 
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Dalla «Lettera a Proba» di sant'Agostino, vescovo
(Lett. 130, 14, 25-26; CSEL 44, 68-71)
Non sappiamo che cosa sia conveniente domandare
Forse hai da farmi una domanda: Come mai l'Apostolo ha detto: «Noi non sappiamo che cosa sia conveniente domandare»? (Rm 8, 26). Non possiamo davvero supporre che colui che diceva ciò, o coloro ai quali egli si rivolgeva, non conoscessero la preghiera del Signore.
Eppure da questa ignoranza non si dimostrò esente neppure l'Apostolo, benché egli forse sapesse pregare convenientemente. Infatti, quando gli fu conficcata una spina nella carne e un messo di satana fu incaricato di schiaffeggiarlo, perché non montasse in superbia per la grandezza delle rivelazioni, per ben tre volte pregò il Signore di liberarlo dalla prova. E così dimostrò di non sapere in questo caso che cosa gli era più conveniente domandare. Alla fine però sentì la risposta di Dio, che gli spiegava perché non avveniva quello che un uomo così santo chiedeva, e perché non conveniva che l'ottenesse: «Ti basta la mia grazia: la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Cor 12, 9).
Pertanto nelle tribolazioni, che possono giovare come anche nuocere, non sappiamo quello che ci conviene chiedere, e tuttavia, perché si tratta di cose dure, moleste e contrarie all'inclinazione della natura, seguendo un desiderio comune a tutti gli uomini, noi preghiamo che ci vengano tolte. Dobbiamo però mostrare di fidarci del Signore. Se egli non allontana da noi le prove, non per questo dobbiamo credere di esser da lui dimenticati, ma piuttosto, con la santa sopportazione dei mali, dobbiamo sperare beni maggiori. Così infatti «la potenza si manifesta pienamente nella debolezza».
Questo è stato scritto perché nessuno si insuperbisca se viene esaudito quando chiede con impazienza quanto gli sarebbe più utile non ottenere. D'altra parte non si perda d'animo né disperi della divina misericordia se non viene esaudito quando domanda un benessere, che, a conti fatti, potrebbe amareggiarlo di più o mandarlo completamente in rovina. In queste cose dunque non sappiamo davvero quello che ci conviene chiedere.
Perciò, se accade proprio il contrario di quanto abbiamo chiesto nella preghiera, noi, sopportando pazientemente e rendendo grazie per ogni evenienza, non dobbiamo affatto dubitare che era più conveniente per noi quello che Dio ha voluto, che non quello che volevamo noi.
Ce ne dà la prova il nostro divino mediatore, il quale avendo detto: «Padre, se è possibile, passi da me questo calice», subito dopo, modificando la volontà umana, che aveva in sé dalla umanità assunta, soggiunse: «Però non come voglio io, ma come vuoi tu, o Padre» (Mt 26, 39). Ecco perché giustamente per l'obbedienza di uno solo tutti sono costituiti giusti (cfr. Rm 5, 19).
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27/10/2017 08:38
 
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Dalla «Lettera a Proba» di sant'Agostino, vescovo
(Lett. 130, 14, 27 - 15, 28; CSEL 44, 71-73)
Lo Spirito intercede per noi
Chiunque chiede al Signore un'unica cosa e quella sola cerca di ottenere (cfr. Sal 26, 4), chiede con certezza e sicurezza e non teme che gli possa nuocere quando l'ha ottenuta. Ma, senza di essa, nulla potrebbe giovargli tutto ciò che avrà ottenuto, pregando come si conviene. Questa cosa è l'unica e vera vita, la sola beata, perché in essa si godono le delizie del Signore per l'eternità, dopo di essere divenuti immortali e incorruttibili nel corpo e nell'anima. È la cosa alla quale va subordinata la domanda di ogni altro dono, l'unica che non si sbaglierà mai a chiedere. Chiunque avrà conseguito questa vita, avrà tutto ciò che vuole, né potrà desiderare colà di avere cosa che non conviene.
In essa infatti si trova la sorgente della vita, di cui ora dobbiamo aver sete quando preghiamo, finché viviamo nella speranza e non vediamo ancora quello che speriamo di vedere quando saremo sotto la protezione delle sue ali. Per ora poniamo dinanzi a lui ogni nostro desiderio di inebriarci dell'abbondanza della sua casa e di dissetarci al torrente delle sue delizie; perché presso di lui è la sorgente della vita e nella sua luce vedremo la luce (cfr. Sal 35, 8-10). Quando poi il nostro desiderio sarà saziato di beni, non vi sarà più da chiedere con gemiti, ma solo da possedere con gioia.
Tuttavia siccome questa pace trascende ogni umana intelligenza, anche quando la chiediamo nella preghiera, non sappiamo che cosa chiedere come si conviene. Ciò che non possiamo infatti immaginare come è in realtà, certo non possiamo dire di conoscerlo. Vi sono tante cose che noi rigettiamo, rifiutiamo, disprezziamo, quando la loro immagine si affaccia alla nostra mente. Sappiamo che non è ciò che cerchiamo, quantunque non sappiamo ancora come sia in realtà l'oggetto dei nostri desideri.
Vi è dunque in noi, per così dire, una dotta ignoranza, ma istruita dallo Spirito di Dio, che aiuta la nostra debolezza. Avendo infatti detto l'Apostolo: «Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza», subito aggiunge: «Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, perché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (Rm 8, 25-27).
Non dobbiamo intendere però questo nel senso che lo Spirito Santo di Dio, il quale nella Trinità è Dio immortale e un solo Dio con il Padre e il Figlio, interceda per i santi, come uno che non sia quello che è, cioè Dio. In realtà è detto: «Intercede per i santi», perché muove i santi alla preghiera. Allo stesso modo è scritto: «Il Signore vostro Dio vi mette alla prova per sapere se lo amate» (Dt 13, 4), cioè per far conoscere a voi stessi se lo amate.
Lo Spirito di Dio dunque muove i santi a pregare con gemiti inesprimibili, ispirando loro il desiderio di una cosa tanto grande, ma ancora sconosciuta, che noi aspettiamo mediante la speranza. Altrimenti come si potrebbe descrivere nella preghiera un bene che si desidera senza conoscerlo? In realtà se fosse del tutto sconosciuto non sarebbe oggetto di desiderio, e se d'altra parte lo si vedesse, come realtà già posseduta, non sarebbe né desiderato, né ricercato con gemiti.
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21/11/2017 08:32
 
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Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo
(Disc. 25, 7-8; PL 46, 937-938)
*Colei che credette in virtù della fede,
in virtù della fede concepì*
Fate attenzione, vi prego, a quello che disse il Signore Gesù Cristo, stendendo la mano verso i suoi discepoli: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre» (Mt 12, 49-50). Forse che non ha fatto la volontà del Padre la Vergine Maria, la quale credette in virtù della fede, concepì in virtù della fede, fu scelta come colei dalla quale doveva nascere la nostra salvezza tra gli uomini, fu creata da Cristo, prima che Cristo in lei fosse creato? Ha fatto, sì certamente ha fatto la volontà del Padre Maria santissima e perciò conta di più per Maria essere stata discepola di Cristo, che essere stata madre di Cristo. Lo ripetiamo: fu per lei maggiore dignità e maggiore felicità essere stata discepola di Cristo che essere stata madre di Cristo. Perciò Maria era beata, perché, anche prima di dare alla luce il Maestro, lo portò nel suo grembo.
Osserva se non è vero ciò che dico. Mentre il Signore passava, seguito dalle folle, e compiva i suoi divini miracoli, una donna esclamò: «Beato il grembo che ti ha portato!» (Lc 11, 27). Felice il grembo che ti ha portato! E perché la felicità non fosse cercata nella carne, che cosa rispose il Signore? «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano» (Lc 11, 28). Anche Maria proprio per questo è beata, perché ha ascoltato la parola di Dio e l'ha osservata. Ha custodito infatti più la verità nella sua mente, che la carne nel suo grembo. Cristo è verità, Cristo è carne; Cristo è verità nella mente di Maria, Cristo è carne nel grembo di Maria. Conta di più ciò che è nella mente, di ciò che è portato nel grembo.
Santa è Maria, beata è Maria, ma è migliore la Chiesa che la Vergine Maria. Perché? Perché Maria è una parte della Chiesa: un membro santo, un membro eccellente, un membro che tutti sorpassa in dignità, ma tuttavia è sempre un membro rispetto all'intero corpo. Se è membro di tutto il corpo, allora certo vale più il corpo che un suo membro. Il Signore è capo, e il Cristo totale è capo e corpo. Che dire? Abbiamo un capo divino, abbiamo per capo Dio.
Perciò, o carissimi, badate bene: anche voi siete membra di Cristo, anche voi siete corpo di Cristo. Osservate in che modo lo siete, perché egli dice: «Ecco mia madre, ed ecco i miei fratelli» (Mt 12, 49). Come potrete essere madre di Cristo? Chiunque ascolta e chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre (cfr. Mt 12, 50).
Quando dico fratelli, quando dico sorelle, è chiaro che intendo parlare di una sola e medesima eredità. Perciò anche nella sua misericordia, Cristo, essendo unico, non volle essere solo, ma fece in modo che fossimo eredi del Padre e suoi coeredi nella medesima sua eredità.
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22/11/2017 09:34
 
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Dal «Commento sui salmi» di sant'Agostino, vescovo
(Sal. 32, Disc. 1, 7-8; CCL 38, 253-254)
Cantate a Dio con arte nel giubilo
«Lodate il Signore con la cetra, con l'arpa a dieci corde a lui cantate. Cantate al Signore un canto nuovo!» (Sal 32, 2. 3). Spogliatevi di ciò che è vecchio ormai; avete conosciuto il nuovo canto. Un uomo nuovo, un testamento nuovo, un canto nuovo. Il nuovo canto non si addice ad uomini vecchi. Non lo imparano se non gli uomini nuovi, uomini rinnovati, per mezzo della grazia, da ciò che era vecchio, uomini appartenenti ormai al nuovo testamento, che è il regno dei cieli. Tutto il nostro amore ad esso sospira e canta un canto nuovo. Elevi però un canto nuovo non con la lingua, ma con la vita.
Cantate a lui un canto nuovo, cantate a lui con arte (cfr. Sal 32,3). Ciascuno si domanda come cantare a Dio. Devi cantare a lui, ma non in modo stonato. Non vuole che siano offese le sue orecchie. Cantate con arte, o fratelli. Quando, davanti a un buon intenditore di musica, ti si dice: Canta in modo da piacergli; tu, privo di preparazione nell'arte musicale, vieni preso da trepidazione nel cantare, perché non vorresti dispiacere al musicista; infatti quello che sfugge al profano, viene notato e criticato da un intenditore dell'arte. Orbene, chi oserebbe presentarsi a cantare con arte a Dio, che sa ben giudicare il cantore, che esamina con esattezza ogni cosa e che tutto ascolta così bene? Come potresti mostrare un'abilità così perfetta nel canto, da non offendere in nulla orecchie così perfette?
Ecco egli ti dà quasi il tono della melodia da cantare: non andare in cerca delle parole, come se tu potessi tradurre in suoni articolati un canto di cui Dio si diletti. Canta nel giubilo. Cantare con arte a Dio consiste proprio in questo: Cantare nel giubilo. Che cosa significa cantare nel giubilo? Comprendere e non saper spiegare a parole ciò che si canta col cuore. Coloro infatti che cantano sia durante la mietitura, sia durante la vendemmia, sia durante qualche lavoro intenso, prima avvertono il piacere, suscitato dalle parole dei canti, ma, in seguito, quando l'emozione cresce, sentono che non possono più esprimerla in parole e allora si sfogano in sola modulazione di note. Questo canto lo chiamiamo «giubilo».
Il giubilo è quella melodia, con la quale il cuore effonde quanto non gli riesce di esprimere a parole. E verso chi è più giusto elevare questo canto di giubilo, se non verso l'ineffabile Dio? Infatti è ineffabile colui che tu non puoi esprimere. E se non lo puoi esprimere, e d'altra parte non puoi tacerlo, che cosa ti rimane se non «giubilare»? Allora il cuore si aprirà alla gioia, senza servirsi di parole, e la grandezza straordinaria della gioia non conoscerà i limiti delle sillabe. Cantate a lui con arte nel giubilo (cfr. Sal 32, 3).

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28/11/2017 09:33
 
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Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo
(Tratt. 35, 8-9; CCL 36, 321-323)
Verrai alla sorgente, vedrai la stessa luce
A paragone degli infedeli, noi cristiani siamo ormai luce. Perciò dice l'Apostolo: «Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore; comportatevi perciò come i figli della luce» (Ef 5, 8). E altrove disse: «La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente come in pieno giorno» (Rm 13, 12-13).
Ma poiché, in confronto di quella luce alla quale stiamo per giungere, anche il giorno in cui ci troviamo è quasi notte, ascoltiamo l'apostolo Pietro. Egli ci dice che a Cristo Signore dalla divina maestà fu rivolta questa parola: «Tu sei il mio Figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Questa voce, prosegue, noi l'abbiamo udita scendere dal cielo, mentre eravamo con lui sul santo monte» (2 Pt 1, 17-18). Noi però non c'eravamo sul monte e non abbiamo udito questa voce scendere dal cielo e perciò lo stesso Pietro soggiunge: Noi abbiamo una conferma migliore della parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l'attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino non si levi nei vostri cuori (cfr. 2 Pt 1, 19).
Quando dunque verrà nostro Signore Gesù Cristo e, come dice l'apostolo Paolo, «metterà in luce i segreti delle tenebre, e manifesterà le intenzioni dei cuori: allora ciascuno avrà la sua lode da Dio» (1 Cor 4, 5).
Allora, essendo un tal giorno così luminoso, non saranno più necessarie le lucerne. Non ci verrà più letto il profeta, non si aprirà più il libro dell'Apostolo; non andremo più a cercare la testimonianza di Giovanni, non avremo più bisogno del vangelo stesso. Saranno perciò eliminate tutte le Scritture, che nella notte di questo secolo venivano accese per noi come lucerne, perché non restassimo nelle tenebre.
Eliminate tutte queste cose, giacché non avremo più bisogno della loro luce, e venuti meno anche gli stessi uomini di Dio, che ne furono i ministri, perché anch'essi vedranno con noi quella luce di verità in tutta la sua chiarezza, messi da parte insomma tutti questi mezzi sussidiari, che cosa vedremo? Di che cosa si pascerà la nostra mente? Di che cosa si delizierà la nostra vista? Da dove verrà quella gioia, che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrò in cuore d'uomo? (cfr. 1 Cor 2, 9). Che cosa vedremo?
Vi scongiuro, amate con me, correte con me saldi nella fede: aneliamo alla patria del cielo, sospiriamo alla patria di lassù; consideriamoci quali semplici pellegrini quaggiù. Che vedremo allora? Ce lo dica ora il vangelo: «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1, 1). Verrai alla sorgente, da cui ti sono giunte poche stille di rugiada. Vedrai palesemente quella luce, di cui solo un raggio, per vie indirette e oblique, ha raggiunto il tuo cuore, ancora avvolto dalle tenebre e che ha ancora bisogno di purificazione. Allora potrai vederla quella luce e sostenerne il fulgore.
«Carissimi, dice lo stesso san Giovanni, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 2).
Mi accorgo che i vostri affetti si levano con me verso l'alto; ma «un corpo corruttibile appesantisce l'anima e la tenda d'argilla grava la mente dai molti pensieri» (Sap 9, 15). Ecco che io sto per deporre questo libro e voi per tornarvene ciascuno a casa sua. Ci siamo trovati assai bene sotto questa luce comune, ne abbiamo davvero gioito, ne abbiamo davvero esultato: ma, mentre ci separiamo gli uni dagli altri, badiamo bene a non allontanarci da lui.
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02/12/2017 09:57
 
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Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo
(Disc. 256, 1. 2. 3; PL 38, 1191-1193)
*Cantiamo l'alleluia a Dio che è buono,
che ci libera da ogni male*
Cantiamo qui l'alleluia, mentre siamo ancora privi di sicurezza, per poterlo cantare un giorno lassù, ormai sicuri. Perché qui siamo nell'ansia e nell'incertezza. E non vorresti che io sia nell'ansia, quando leggo: Non è forse una tentazione la vita dell'uomo sulla terra? (cfr. Gb 7, 1). Pretendi che io non stia in ansia, quando mi viene detto ancora: «Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione»? (Mt 26, 41). Non vuoi che io mi senta malsicuro, quando la tentazione è così frequente, che la stessa preghiera ci fa ripetere: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori»? (Mt 6, 12).
Tutti i giorni la stessa preghiera e tutti i giorni siamo debitori! Vuoi che io resti tranquillo quando tutti i giorni devo domandare perdono dei peccati e aiuto nei pericoli? Infatti, dopo aver detto per i peccati passati: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori», subito, per i pericoli futuri, devo aggiungere: «E non ci indurre in tentazione» (Mt 6, 13).
E anche il popolo, come può sentirsi sicuro, quando grida con me: «Liberaci dal male»? (Mt 6, 13). E tuttavia, o fratelli, pur trovandoci ancora in questa penosa situazione, cantiamo l'alleluia a Dio che è buono, che ci libera da ogni male.
Anche quaggiù tra i pericoli e le tentazioni, si canti dagli altri e da noi l'alleluia. «Dio infatti è fedele; e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze» (1 Cor 10, 13). Perciò anche quaggiù cantiamo l'alleluia. L'uomo è ancora colpevole, ma Dio è fedele. Non dice: «Non permetterà che siate tentati», bensì: «Non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d'uscita e la forza per sopportarla» (1 Cor 10, 13). Sei entrato nella tentazione, ma Dio ti darà anche il modo di uscirne, perché tu non abbia a soccombere alla tentazione stessa: perché, come il vaso del vasaio, tu venga modellato con la predicazione e consolidato con il fuoco della tribolazione. Ma quando vi entri, pensa che ne uscirai, «perché Dio è fedele». Il Signore ti proteggerà da ogni male ... veglierà su di te quando entri e quando esci (cfr. Sal 120, 7-8).
Ma quando questo corpo sarà diventato immortale e incorruttibile, allora cesserà anche ogni tentazione, perché «il corpo è morto». Perché è morto? «A causa del peccato». Ma «lo Spirito è vita». Perché? «A causa della giustificazione» (Rm 8, 10). Abbandoneremo dunque come morto il corpo? No, anzi ascolta: «Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Cristo dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti, darà la vita anche ai vostri corpi mortali» (Rm 8, 10-11). Ora infatti il nostro corpo è nella condizione terrestre, mentre allora sarà in quella celeste. O felice quell'alleluia cantato lassù! O alleluia di sicurezza e di pace! Là nessuno ci sarà nemico, là non perderemo mai nessun amico. Ivi risuoneranno le lodi di Dio. Certo risuonano anche ora qui. Qui però nell'ansia, mentre lassù nella tranquillità. Qui cantiamo da morituri, lassù da immortali. Qui nella speranza, lassù nella realtà. Qui da esuli e pellegrini, lassù nella patria. Cantiamo pure ora, non tanto per goderci il riposo, quanto per sollevarci dalla fatica. Cantiamo da viandanti. Canta, ma cammina. Canta per alleviare le asprezze della marcia, ma cantando non indulgere alla pigrizia. Canta e cammina. Che significa camminare? Andare avanti nel bene, progredire nella santità. Vi sono infatti, secondo l'Apostolo, alcuni che progrediscono sì, ma nel male. Se progredisci è segno che cammini, ma devi camminare nel bene, devi avanzare nella retta fede, devi progredire nella santità. Canta e cammina.
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17/11/2022 18:16
 
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QUESTIONI SULLA MALVAGITA' UMANA E L'AGIRE DIVINO

7. 9. "Dio - dicono alcuni - avrebbe dovuto creare l'uomo di tal natura che gli fosse assolutamente estranea la volontà di peccare". Ora, io ammetto che è migliore la natura a cui è assolutamente estranea la volontà di peccare; ma ammettano anch'essi a loro volta che, se da un lato non è cattiva una natura fatta in modo che poteva non peccare qualora non lo avesse voluto, dall'altro lato è giusto il verdetto con cui essa fu punita, dal momento che aveva peccato con il suo libero arbitrio senz'esservi costretta. Allo stesso modo quindi che la retta ragione c'insegna che è migliore la natura, alla quale non piace assolutamente nulla d'illecito, così la retta ragione c'insegna nondimeno che è buona anche la natura che ha in suo potere di reprimere il piacere illecito qualora esso sorga [nell'animo] in modo da rallegrarsi non solo delle altre sue azioni lecite e buone ma anche della repressione dello stesso piacere cattivo. Poiché quindi questa natura è buona ma l'altra è migliore, perché mai Dio avrebbe dovuto creare quella sola e non piuttosto l'una e l'altra? Per conseguenza coloro, che erano pronti a lodar Dio d'aver creato solo la prima [specie di creature], dovrebbero lodarlo ancora di più per aver creato l'una e l'altra; l'una infatti si trova nei santi angeli, l'altra negli uomini santi. Coloro invece che hanno scelto per sé di mettersi dalla parte del male, hanno corrotto la loro natura degna di lode; il fatto poi che Dio prevedeva la loro condotta non è certo una ragione che non avrebbero dovuto esser creati. Anch'essi infatti hanno [tra gli esseri] il loro posto che devono occupare per l'utilità dei fedeli servi di Dio. Poiché Dio non ha bisogno della bontà d'alcun uomo retto, tanto meno dell'iniquità di un malvagio.

Perché Dio crea individui che prevede di condannare.
8. 10. Chi, dopo seria riflessione potrebbe dire: "Dio avrebbe fatto meglio a non creare uno che egli prevedeva sarebbe potuto esser corretto per mezzo del peccato d'un altro anziché creare anche uno che prevedeva sarebbe dovuto essere condannato per il suo peccato"? Ciò infatti equivale a dire: "Sarebbe meglio che non ci fosse alcuno che per la misericordia di Dio venisse premiato per aver fatto buon uso del peccato di un altro, anziché esistesse un malvagio che fosse castigato giustamente per il proprio peccato". Quando la ragione ci mostra senz'ombra di dubbio due beni non ugualmente buoni, ma uno migliore dell'altro, i tardi di mente non comprendono che, quando dicono: "Questi due beni dovrebbero essere uguali", non dicono altro che: "Dovrebbe esistere solo il bene migliore". In tal modo, desiderando stabilire l'uguaglianza tra le diverse specie di buoni, ne diminuiscono il numero e, aumentandone a dismisura quello d'una sola specie, sopprimono l'altra specie. Chi mai però darebbe ascolto a costoro, se dicessero: "Siccome il senso della vista è più eccellente dell'udito, ci dovrebbero essere quattro occhi ma non dovrebbero esserci le orecchie"? Così pure, se è più eccellente la creatura razionale che senza alcuna paura del castigo e senz'alcuna superbia si sottomette a Dio, e se al contrario tra gli uomini è stato creato un altro fatto in modo che possa riconoscere i benefici di Dio soltanto vedendo il castigo d'un altro - e perciò non monti in superbia ma abbia timore 15, ossia non presuma di sé ma riponga la sua fiducia in Dio - chi, se fosse sano di mente, potrebbe dire: "Questa creatura dovrebbe essere uguale a quell'altra", senza capire che non direbbe nient'altro che: "Non dovrebbe esistere questa creatura ma solo quell'altra"? Siffatte affermazioni sono espressioni d'individui ignoranti e sciocchi. Perché mai Dio non avrebbe dovuto creare anche coloro che prevedeva sarebbero stati malvagi, volendo manifestare la sua collera e far crescere la sua potenza, sopportando perciò con grande pazienza vasi di collera già pronti per la perdizione, al fine di far conoscere la ricchezza della sua gloria verso vasi di misericordia predisposti da lui per la gloria 16? Così però chi si vanta non deve vantarsi se non nel Signore 17, sapendo che non da lui ma da Dio dipende la propria esistenza ma che anche la propria felicità dipende solo da Colui dal quale ha il proprio essere.

Lo stesso argomento.
8. 11. È perciò molto irragionevole dire: "Non dovrebbero esistere individui ai quali Dio concederebbe il gran beneficio della sua misericordia, se non potessero esistere senza ch'esistessero anche quelli per mezzo dei quali egli potesse manifestare la giustizia del suo castigo".

9. 11. Perché mai, infatti, non dovrebbero esistere piuttosto ambedue queste specie di persone, dal momento che per mezzo dell'una e dell'altra vien fatta conoscere - com'è doveroso - la bontà e l'equità di Dio?

Prescienza di Dio e libertà dell'uomo.
9. 12. Ma qualcuno potrebbe obiettare: "Se Dio avesse voluto, sarebbero stati buoni anche i cattivi". Quanto è meglio, invece, che Dio abbia voluto così: che cioè gli uomini fossero come vogliono essere, ma che i buoni non restassero senza il premio né i malvagi senza il castigo, e con ciò stesso fossero utili agli altri! "Ma Dio - replicheranno - prevedeva che la volontà di siffatti individui sarebbe stata cattiva". Sì, la prevedeva di certo e, poiché la sua prescienza non può sbagliare, cattiva era la volontà di essi, non quella di Dio. "Perché allora creò individui che prevedeva sarebbero stati malvagi?". Perché, allo stesso modo che prevedeva il male che avrebbero commesso, così prevedeva anche qual bene avrebbe ricavato dalle loro cattive azioni. Egli infatti li creò formandoli sì da lasciar loro la facoltà di compiere anch'essi qualcosa per cui, qualunque cosa avessero scelto anche in modo colpevole, avrebbero potuto costatare che l'azione di Dio nei loro riguardi era degna di lode. Proprio da loro infatti deriva la loro cattiva volontà, da lui invece la natura buona e il giusto castigo che rappresenta la funzione meritata da essi, e cioè: per gli altri un mezzo perché siano messi alla prova e un esempio per incutere timore.

Perché Dio non converte i malvagi.
10. 13. "Ma Dio - si replica - dal momento che è onnipotente, avrebbe potuto volgere al bene anche le volontà dei malvagi". Lo avrebbe potuto certamente. "E perché allora non lo fece?". Perché non lo volle. "E perché non lo volle?". Il motivo per cui non lo volle è un segreto che sa lui solo. Non dobbiamo infatti sapere più di quanto dobbiamo sapere 18. Credo tuttavia d'aver dimostrato assai chiaramente poco più sopra che non è un bene di poco pregio una creatura razionale, anche quella che evita il male riflettendo sulla sorte dei malvagi. Ora questa specie di creature non esisterebbe di certo, se Dio avesse convertito tutte le volontà malvage verso il bene e non avesse inflitto il meritato castigo ad alcuna violazione della legge di Dio; in tal modo non ci sarebbe che la sola specie delle persone che progrediscono nella virtù senza bisogno di considerare i peccati o il castigo dei malvagi. Così, col pretesto d'ingrandire il numero delle persone più perfette, verrebbe diminuito il numero delle diverse specie dei buoni.

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19/11/2022 11:32
 
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Prescienza e provvidenza di Dio.

11. 15. Grandi sono le opere del Signore, da ricercare in tutte le sue volontà! 19 Egli prevede coloro che saranno buoni e li crea; prevede coloro che saranno cattivi e li crea, dando se stesso ai buoni affinché possano trovare la loro gioia in lui; ma anche ai cattivi egli concede generosamente molti dei suoi doni, perdonandoli con misericordia, castigandoli con giustizia, e in modo analogo castigandoli con misericordia e perdonandoli con giustizia, senza temer nulla dalla malizia di nessuno né aver bisogno della giustizia di nessuno; senza cercare per se stesso alcun vantaggio neppure dalle azioni dei buoni, ma avendo di mira il vantaggio dei buoni procurato anche con il castigo dei cattivi, Perché dunque non avrebbe dovuto permettere che l'uomo fosse tentato perché con quella tentazione si rivelasse, fosse convinto di peccato e punito quando il superbo desiderio d'essere padrone di se stesso avesse partorito ciò ch'esso aveva concepito 20 e sarebbe rimasto pieno di vergogna a causa del peccato commesso e con il suo giusto castigo avrebbe distolto dal peccato di superbia e disubbidienza gli uomini avvenire per i quali era stato stabilito che quei fatti dovevano essere messi in iscritto e fatti conoscere.
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02/02/2023 12:06
 
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COLPA DEGLI UOMINI NON DEI TEMPI

Voi dite: I tempi sono cattivi; i tempi sono pesanti; i tempi sono difficili . Vivete bene, e muterete i tempi; se mutate i tempi, non avrete più da lamentarvi. Cosa sono infatti i tempi, fratelli miei? Estensioni e rotazioni di mondi. Il sole è sorto; passate dodici ore tramonta in un altra parte del mondo; la prossima mattina sorgerà di nuovo. Conta quante volte: questi sono i tempi. Chi è stato danneggiato dal sorgere del sole? Chi è stato danneggiato dal suo tramonto? Dunque, il tempo non ha mai danneggiato nessuno. Coloro che danneggiano, sono uomini; coloro che vengono danneggiati, sono uomini. O quale grande dolore! Gli uomini sono danneggiati, gli uomini sono derubati, gli uomini sono oppressi. Da chi? Non dai leoni, non dai serpenti, non dagli scorpioni, ma dagli uomini. Chi viene offeso, ne soffre. Ma se potesse, non farebbe egli ciò che condanna? Vivete bene, e muterete i tempi; se mutate i tempi, non avrete più da lamentarvi.

Agostino, Discorsi, 311, 8,8
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19/06/2023 00:52
 
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Pene salutari e pene sterili.
3. [v 2.] Orbene, questi narra e raccomanda a Dio l'inquietudine per cui soffre, temendo qualcosa di più grave dello stato in cui si trovava. In effetti, che si trova nel male lo dice apertamente, e non c'è bisogno di interpretare, né di ricorrere a sospetti o a congetture; dalle sue parole risulta chiaro in qual male si trovi, non c'è bisogno che noi indaghiamo, ma che comprendiamo ciò che dice. E se non temesse qualcosa di peggio di ciò da cui era stretto, non comincerebbe col dire: Signore, nel tuo sdegno non mi rimproverare e non correggermi nella tua ira. Accadrà infatti che alcuni siano corretti nell'ira di Dio, e siano rimproverati nel suo sdegno. E forse non tutti coloro che sono rimproverati si correggeranno; accadrà invece che taluni saranno salvi nell'essere corretti. Accadrà certamente cosi, perché si parla di correzione; ma [di correzione] come attraverso il fuoco. Accadrà pure che vi saranno alcuni che sono rimproverati e non si correggeranno. Infatti rimprovera il Signore coloro cui dice: Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere e le altre cose che ivi proseguendo incolpa alla disumanità e alla sterilità dei malvagi che stanno alla sua sinistra, ai quali è detto: Andate nel fuoco eterno, che è stato preparato per il diavolo e gli angeli suoi 5. Temendo costui questi più gravi mali, lasciando da parte la stessa vita, nelle cui sofferenze piange e geme, prega e dice: Signore, non mi rimproverare nel tuo sdegno. Che io non sia tra coloro cui dirai: Andate nel fuoco eterno, che è stato preparato per il diavolo e gli angeli suoi. E non mi correggere nella tua ira, in modo da purificarmi in questa vita e da rendermi tale da non aver ormai più bisogno del fuoco della correzione, come accade per coloro che si salveranno, ma attraverso il fuoco. E perché avviene questo, se non perché qui edificano sopra il fondamento legno, erba e paglia? Se avessero edificato invece oro, argento e pietre preziose, sarebbero sicuri dall'uno e dall'altro fuoco; non solo da quello eterno che eternamente tormenterà gli empi, ma anche da quello che correggerà coloro che saranno salvi attraverso il fuoco. Sta scritto: Ma anche egli sarà salvo, tuttavia come attraverso il fuoco 6. E poiché è detto sarà salvo, è disprezzato quel fuoco. Pertanto, anche se essi saranno salvi attraverso il fuoco, tuttavia quel fuoco sarà più doloroso di qualsiasi cosa l'uomo possa patire in questa terra. E voi sapete quante sofferenze i malvagi hanno patito sulla terra, e quante ne possono subire: tuttavia tante ne hanno subite quante ne possono patire anche i buoni. Che cosa infatti ha sopportato, a causa delle leggi, qualunque malfattore, ladro, adultero, scellerato, sacrilego, che non abbia sopportato il martire nel confessare Cristo? Molto più sopportabili sono dunque le sofferenze terrene: e tuttavia voi vedete che gli uomini, pur di non subirle, sono pronti a fare qualunque cosa tu gli comandi. Quanto sarebbe meglio se facessero ciò che Dio comanda, in modo da non dover subire quelle altre ben più gravi sofferenze!

Dalla esposizione sul salmo 37
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