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Maria, la Madre del Signore

Ultimo Aggiornamento: 27/02/2016 20:56
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03/02/2010 17:02
 
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L'ERRORE CIRCA L'UNIONE DEL VERBO CON L'UOMO

Dalla "Summa contra Gentiles" di S.Tommaso D'Aquino; libro Quarto cap.34

(Alcuni come Nestorio: ndr) ...affermavano che in Cristo, l'anima umana e un vero corpo umano, confluiscono in una unione naturale a costituire un uomo della stessa specie e natura degli altri uomini; e che in tale uomo Dio ha abitato come nel proprio tempio, cioè mediante la grazia, ossia come negli altri uomini santi.

Ecco perché egli avrebbe detto ai Giudei (Giov., II, 19): «Distruggete questo tempio ed io in tre giorni lo rimetterò in piedi » ; e l'Evangelista spiega [v. 21] : «Egli però diceva del tempio del proprio corpo>. Inoltre l'Apostolo scrivendo ai Colossesi afferma: «In lui Dio volle che abitasse tutta la pienezza » (Col,, I, 19). - Da ciò sarebbe poi derivata un'unione affettiva tra quell'uomo e Dio; poiché quell'uomo avrebbe aderito a Dio con la sua buona volontà, e Dio con la sua volontà lo avrebbe accolto, secondo le parole riferite in Giov., VIII, 29 : « Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo; perciò io faccio sempre quello che a lui piace>>; cosicché in Cristo l'unione tra l'uomo e Dio sarebbe simile all'unione di cui parla l'Apostolo in I Cor., VI, 17: «Chi aderisce a Dio diviene un solo spirito con lui>>. - E come per quest'unione vengono attribuiti agli uomini nomi che propriamente appartengono a Dio, cosicché essi vengono denominati « dèi », « figli di Dio», « signori », «santi» e «cristi», come risulta dai vari testi della Scrittura; così convengono all'uomo suddetto nomi divini, in modo da potersi denominare, per l'inabitazione di Dio e per l'unione affettiva con lui, « Dio », « Figlio di Dio », « Signore », «Santo » e « Cristo ». - Tuttavia, siccome in codesto uomo la pienezza della grazia fu maggiore che negli altri santi, egli fu più di tutti gli altri tempio di Dio, e più di essi unito a Dio con l'affetto, così da partecipare i nomi divini per un singolare e particolare privilegio. E per questa eccellenza della grazia egli fu reso partecipe della dignità e dell'onore di Dio, in modo da essere coadorato con Dio. - E così, secondo codeste tesi, è necessario che la persona del Verbo di Dio sia distinta da quella di quell'uomo il quale è coadorato col Verbo di Dio. E se si attribuisce ad entrambi un'unica persona, lo si fa per l'unione affettiva suddetta: cosicché di essi si direbbe che sono un'unica persona, come si dice che marito e moglie « non sono più due, ma un'unica carne» [Matt., 19, 6]. " E poiché tale unione non fa sì che quanto si dice di uno si possa affermare dell'altro (infatti non tutto ciò che si attribuisce al marito è vero della moglie, e viceversa), nell'unione del Verbo con l'uomo suddetto costoro pensano che si debba fare attenzione, perché non si possono predicare del Verbo di Dio, o di Dio, cose che sono proprie dell'uomo assunto, e riguardanti la natura umana. Dell'uomo assunto, per es. si dice che è nato dalla Vergine, che ha patito, che e morto ed è stato sepolto, ed altre cose del genere; e queste cose, secondo loro, non si devono dire di Dio, o del Verbo di Dio. - Invece ci sono dei nomi, che pur riferendosi principalmente a Dio, vengono in qualche modo comunicati agli uomini, quali «Cristo», «Signore», «Santo», e persino «Figlio di Dio»; ebbene, codesti nomi, secondo costoro, niente impedisce di attribuirli all' uomo assunto. Perciò sarebbe giusto, secondo loro, dire che Cristo, « Signore della gloria », « Santo dei Santi » e « Figlio di Dio » è nato dalla Vergine, ha sofferto e morto ed è stato sepolto. -

Ecco perché essi affermano che la Beata Vergine deve essere denominata non madre di Dio, o del Verbo di Dio, bensì madre di Cristo.

Ma a ben considerare le cose, si avverte che codesta tesi esclude la verità dell'Incarnazione.

Infatti:

1. Secondo codesta tesi il Verbo di Dio non si sarebbe unito all'uomo assunto se non secondo l'inabitazione che si ha con la grazia, dalla quale deriva l'unione della volontà. Ma l'inabitazione del Verbo di Dio nell'uomo non equivale alla sua incarnazione. Poiché il Verbo di Dio e Dio stesso, fin dall'origine ha abitato in tutti i santi, come si rileva dalle parole di S. Paolo in // Cor., VI, 16: «Voi siete il tempio del Dio vivo, come dice il Signore: "Io abiterò in mezzo a loro" »; ma codesta inabitazione non può dirsi incarnazione; altrimenti Dio si sarebbe incarnato spesso dall'inizio del mondo. - E per avere l'incarnazione non basta neppure che il Verbo di Dio, o Dio, abbia abitato nell'uomo assunto con una grazia più abbondante : perché il più e il meno non possono diversificare la specie della loro unione. - Perciò, siccome la religione cristiana si fonda sulla fede dell'Incarnazione, è evidente che la tesi suddetta distrugge il fondamento della religione cristiana.

2. Dal modo stesso di esprimersi della Scrittura appare la falsità della tesi suddetta. Infatti la Sacra Scrittura esprime l'inabitazione del Verbo di Dio nei santi con le frasi seguenti: «II Signore parlo a Mosè»; «Disse il Signore a Mosè»; «La parola di Dio fu rivolta a Geremia», oppure a qualche altro profeta; «La parola del Signore fu comunicata ad Aggeo profeta » ; e mai si legge che « la parola o Verbo di Dio si è fatta » o Mosè, o Geremia, o qualche altro. Invece l'Evangelista descrive in questo modo singolare, di cui già sopra abbiamo parlato [c. 33] l'unione del Verbo di Dio con la carne di Cristo: «II Verbo si è fatto carne» [Giov., I, 14]. Perciò è evidente che secondo l'insegnamento della Scrittura, il Verbo di Dio era nell'uomo Cristo non mediante la sola inabitazione.

3. Tutto ciò che si è fatto qualcosa, è appunto la cosa che si è fatta: l'essere che si è fatto uomo, p. es., è uomo; e ciò che si è fatto bianco è bianco. Ma il Verbo di Dio si è fatto uomo, come si rileva da quanto abbiamo detto. Perciò il Verbo di Dio è un uomo. Ora, è impossibile che due esseri i quali differiscono per la persona, ipostasi o supposito, possano predicarsi l'uno dell'altro: poiché quando si dice che « l'uomo è un animale », la realtà stessa che è animale è uomo; e quando si dice che « l'uomo è bianco », si vuoi dire che quel dato uomo è bianco, sebbene la bianchezza sia estranea alla nozione di uomo. Quindi in nessun modo si può dire che Socrate sia Plafone, o un altro soggetto singolare della medesima o di un'altra specie. Perciò se il «Verbo si è fatto carne», cioè « uomo », come afferma l'Evangelista, è impossibile che il Verbo di Dio e l'uomo assunto abbiano due persone distinte, o due ipostasi, o due suppositi.

4. I pronomi dimostrativi si riferiscono alla persona, ipostasi o supposito: infatti nessuno direbbe: «Io corro», mentre è un altro a correre, se non in senso figurato, in quanto l'altro corre al posto mio. Ora, l'uomo che fu chiamato Gesù dice di se stesso: «Prima che Abramo fosse, io sono» (Giov., VIII, 58); e ancora: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Giov., 10, 30), e molte altre cose che si riferiscono chiaramente alla divinità del Verbo. Dunque è evidente che la persona o ipostasi di quell'uomo che parlava così è la persona stessa del Figlio di Dio.

5. Dalle cose già dette è evidente che non discesero dal cielo nè il corpo di Cristo, secondo l'errore di Valentino [c. 30], nè la sua anima, secondo l'errore di Origene [e. 33]. Si deve quindi concludere che il Verbo di Dio è disceso non localmente, bensì per la sua unione con una natura inferiore, come abbiamo già spiegato [c. 30]. Ebbene, codesto uomo, parlando in prima persona, dice di essere disceso dal cielo : « Io sono il pane vivo disceso dal cielo » (Giov 6, 51). Dunque e necessario che la persona, o ipostasi di codesto uomo sia la persona del Verbo di Dio.

6. È chiaro che a Cristo in quanto uomo va attribuita l'ascensione al cielo; poiché, come è detto in Atti, I, 9, « vedendolo gli Apostoli, egli si elevò ». E d'altra parte discendere dal cielo va attribuito al Verbo di Dio. Ora, l'Apostolo afferma in Ef., 4, 10 : « Colui che discese è quello stesso che ascese.». Dunque la persona, o ipostasi di codesto uomo è identica alla persona, o ipostasi del Verbo di Dio.

7. A colui che ha origine dal mondo e che prima di essere nel mondo non esìsteva, non si può attribuire di « venire nel mondo ». Ora, l'uomo Cristo, secondo la carne ha origine dal mondo, poiché come abbiamo già visto [cc. 29 ss.], egli ebbe un vero corpo umano e terrestre; e secondo l'anima non è esistito prima di essere nel mondo. Egli infatti ebbe una vera anima umana, la quale per natura non esiste prima di unirsi al corpo [cfr. lib. II, cc. 83 ss.]. Quindi a codesto uomo non spetta di « venire nel mondo » in forza della sua umanità. Ora, lui dice di essere venuto nel mondo : « Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo » (Giov. 16, 28). Dunque è chiaro che quanto spetta al Verbo di Dio viene con verità affermato di quell'uomo: che infatti al Verbo di Dio spetti di venire al mondo lo mostra chiaramente l'Evangelista Giovanni, quando scrive: « Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, e il mondo non lo conobbe: venne in casa propria» (Giov. I, 10). Dunque è necessario che la persona, o ipostasi di colui che così si esprime sia la persona o ipostasi del Verbo di Dio.

8. L'Apostolo scrive: «Entrando nel mondo egli dice: Non hai voluto nè sacrificio nè oblazione, ma a me hai formato un corpo » (Ebr., 10, 5). Ebbene, colui che cosi entra nel mondo è il Verbo di Dio, come qui sopra abbiamo visto [a. 7]. Quindi il corpo fu formato al Verbo di Dio, in modo da essere il suo corpo. Ora, questo non si potrebbe affermare, se l'ipostasi dell'uomo assunto non fosse identica a quella del Verbo di Dio. Dunque è necessariamente identica l'ipostasi del Verbo di Dio a quella dell'uomo assunto,

9. Ogni mutazione o menomazione inflitta al corpo di qualcuno, si può attribuire a colui cui quel corpo appartiene. Infatti se il corpo di Pietro, p. es., viene ferito, flagellato o ucciso, si può dire che viene ferito, flagellato e ucciso Pietro stesso. Ora, il corpo dell'uomo assunto era il corpo del Verbo di Dio, come sopra abbiamo visto [n. 8]. Quindi tutte le menomazioni inflitte al corpo di quell'uomo si possono attribuire al Verbo di Dio. Dunque giustamente si può affermare che il Verbo di Dio, e Dio stesso, ha sofferto, è stato crocifìsso, è morto ed è stato sepolto. Cosa che invece Teodoro e Nestorio negavano.

10. L'Apostolo scrive : « Era conveniente che colui dal quale e per il quale tutte le cose furono fatte, e che aveva condotto alla gloria molti figliuoli, quale autore della loro salvezza, raggiungesse il compimento mediante la passione » (Ebr., 2, 10). Dalle quali parole si rileva che colui dal quale e per il quale esistono tutte le cose, che conduce gli uomini alla gloria, ed è l'autore della salvezza umana, ha sofferto ed è morto. Ora, queste quattro cose appartengono esclusivamente a Dio, e non si possono attribuire a nessun altro; poiché sta scritto in Prov., 16, 4: «Tutte le cose il Signore le ha create da se stesso»; e del Verbo di Dio è detto in Giov., I, 3: «Tutte le cose furono fatte per mezzo di lui»; e nei Salmi [83, 12] si legge: «La grazia e la gloria la darà il Signore»; e ancora: «La salvezza dei giusti viene dal Signore» [Sal., 36, 39]. Dunque è evidentemente giusto affermare che Dio, o il Verbo di Dio ha sofferto ed è morto.

11. Sebbene anche certi uomini si possano chiamare signori, in quanto partecipi del dominio [di Dio], tuttavia nessun uomo e nessuna creatura può dirsi « Signore della gloria » : poiché solo Dio possiede per natura la gloria della futura beatitudine, mentre gli altri possono averla come dono di grazia. Infatti nei Salmi si legge:

« II Signore delle virtù, egli è il rè della gloria » [Sal., 23, 8, 10]. Ebbene l'Apostolo afferma che il Signore della gloria è stato crocifisso (/ Cor., 2, 8). Quindi si può dire in verità che Dio è stato crocifisso.

12. Il Verbo di Dio è Figlio di Dio per natura, l'uomo invece è detto figlio di Dio per la grazia di adozione, in quanto Dio inabita in lui. Perciò, stando alle tesi di costoro, nel Signore Gesù Cristo dovrebbero esserci tutti e due questi tipi di filiazione: poiché il Verbo inabitante è Figlio di Dio per natura; mentre l'uomo « inabitato » è figlio di Dio per adozione. Dunque l'uomo assunto non si può dire Figlio di Dio in senso proprio, o unigenito; ma è tale solo il Verbo di Dio, il quale per la sua propria nascita è singolarmente generato dal Padre. Invece la Scrittura attribuisce al Figlio di Dio proprio ed unigenito la passione e la morte. Infatti l'Apostolo scrive in Rom., 8, 32: «Dio non risparmiò il suo proprio Figlio, ma per noi tutti lo ha consegnato alla morte ». E in Giov., 3, 16, si legge: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unigenito, affinchè chiunque creda in lui non perisca, ma abbia la vita eterna». E che si tratti della consegna alla morte risulta evidente dalle parole precedenti che si riferiscono al Figlio dell'uomo crocifìsso : « Come Mosé innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell'uomo, affinchè chiunque crede in lui, ecc. )> [Rom., 8, 14]. Inoltre l'Apostolo presenta la morte di Cristo quale prova dell'amore di Dio verso il mondo, dicendo Ìn Rom., 5, 8, 9: « Dio mostra il suo amore verso di noi, poiché mentre eravamo ancora i suoi nemici, Cristo è morto per noi ». Dunque si può affermare correttamente che il Verbo di Dio, o Dio, ha sofferto ed è morto.

13. Si dice che uno è figlio di una data madre, per il fatto che ha desunto da essa il proprio corpo, sebbene l'anima derivi da una causa esteriore. Ora, il corpo di Cristo fu desunto dalla Vergine Madre; e d'altra parte abbiamo già dimostrato [n. 8] che quel corpo era il corpo del Figlio naturale di Dio, cioè del Verbo di Dio. Dunque è giusto dire che la Beata Vergine è « Madre del Verbo di Dio », e anche « Madre di Dio », sebbene la divinità del Verbo non sia desunta dalla madre. Infatti non e necessario che un figlio desuma dalla madre tutto quello che egli è nella sua sostanza, ma basta che ne desuma il corpo.

14. L'Apostolo afferma in Gal., 4, 4: « Dio mandò il Figlio suo fatto da una donna »; mostrando con queste parole come sia da intendersi la missione del Figlio di Dio: e cioè che egli si dice inviato perché fu fatto da una donna. Ora, ciò non potrebbe esser vero, se il Figlio di Dio non fosse esistito prima di essere fatto da una donna. poiché chi è inviato per una missione si presuppone che esista prima della missione stessa. Ma l'uomo assunto, che secondo Nestorio sarebbe figlio adottivo di Dio, non esisteva prima di nascere da una donna. Dunque l'affermazione : «Dio mandò il Figlio suo...)), non può riferirsi al figlio adottivo, ma bisogna riferirlo al Figlio naturale, cioè a Dio, ossia al Verbo di Dio. Ma dal momento che uno è fatto da una donna, è figlio di codesta donna. Dunque Dio, ossia il Verbo di Dio, è figlio di una donna.

Ma forse qualcuno potrebbe cavillare, dicendo che l'affermazione dell'Apostolo non va intesa nel senso che il Figlio di Dio è stato inviato per il fatto che fu generato da una donna; bensì nel senso che il Figlio di Dio, il quale è stato fatto da una donna, è stato inviato allo scopo « di redimere coloro che erano sotto la legge )) [ibid., v. 5]. E in tal senso, l'espressione « il figlio suo » bisognerebbe riferirla non al Figlio naturale, ma al figlio adottivo. - Ma codesto senso viene escluso dalle parole stesse dell'Apostolo. Infatti:

a) Liberare da una legge rientra nella facoltà solo di chi è sopra la legge, e che è autore di essa. Ora, la legge è stata posta da Dio. Quindi è solo di Dio liberare dal dominio della legge. Ebbene, l'Apostolo attribuisce questo al Figlio di Dio di cui parla. Dunque codesto Figlio di Dio è il Figlio naturale. Perciò è vero affermare che il Figlio naturale di Dio, cioè Dio Verbo di Dio, è stato fatto da una donna.

b) Lo stesso risulta chiaramente dal fatto che la redenzione del genere umano è attribuita nei Salmi a Dio stesso : « Tu mi hai redento, o Signore, Dio di verità )> (Sal.,30, 6).

c) L'adozione a figli di Dio è opera dello Spirito Santo, come risulta dalle parole di S. Paolo (Rom. 8, 15): «Avete ricevuto lo Spirito di adozione a figli ». Ma lo Spirito Santo non è dono dell'uomo, bensì dono di Dio. quindi l'adozione dei figli non è causata dall'uomo, ma da Dio. Ebbene, essa viene causata dal Figlio di Dio mandato da Dio e fatto da una donna; il che è evidente dalle parole successive dell'Apostolo [loco rit.] : « affinchè noi ricevessimo l'adozione a figli». Dunque le parole dell'Apostolo vanno riferite al Figlio naturale di Dio. Quindi Dio, ossia il Verbo di Dio, « fu fatto da una donna », cioè dalla Vergine Madre.

15. S. Giovanni afferma: « II Verbo si è fatto carne » [1, 14]. Ma egli non riceve la carne che da una donna. Dunque il Verbo si è fatto [carne] da una donna, cioè dalla Vergine Madre. Perciò la Vergine è madre del Verbo di Dio.

16. L'Apostolo in Rom. 9, 5, afferma che «Cristo secondo la carne proviene dai Patriarchi, egli che è sopra tutte le cose, Dio benedetto nei secoli ». Ma egli non proviene dai padri che mediante la Vergine. Dunque Dio, che è sopra tutte le cose, secondo la carne proviene dalla Vergine. Quindi la Vergine, secondo la carne, è la Madre di Dio.

17. L'Apostolo, a proposito di Gesù scrive che, « essendo egli nella forma o natura di Dio, annienta se stesso, prendendo natura di schiavo, facendosi a somiglianza degli uomini » (Fil.,2, 6, 7). Ora, è evidente che dividendo il Cristo in due, come fa Nestorio, cioè nell'uomo assunto, che è figlio di Dio per adozione, e nei Figlio naturale di Dio, che è il Verbo di Dio, è impossibile che queste parole si possano applicare all'uomo assunto. Questi infatti, se è un puro uomo, non esisteva prima di essere « nella forma di Dio », per poi diventare « a somiglianza degli uomini » : ma piuttosto, al contrario, essendo un uomo è stato fatto partecipe della divinità, per cui non fu annientato, ma esaltato. Quindi vanno applicate al Verbo di Dio, il quale prima, dall'eternità, era « nella forma di Dio », ossia nella natura di Dio, e poi annientò se stesso facendosi a somiglianza degli uomini. - Ora, questo annientamento non può concepirsi mediante la sola inabitazione del Verbo di Dio nell'uomo Gesù Cristo. Poiché il Verbo di Dio abitò con la grazia in tutti i santi fin dal principio del mondo, e tuttavia non si parla di annientamento: poiché Dio comunica la sua bontà alle creature in modo da non depauperarle di nulla, ma piuttosto esaltandole; in quanto la sua grandezza risalta dalla bontà delle creature, e tanto più chiaramente, quanto le sue creature sono più perfette. Perciò se il Verbo di Dio abitò più pienamente nell'uomo Cristo che negli altri santi, a lui meno che agli altri si può attribuire l'annientamento del Verbo. - Dunque è chiaro che l'unione del Verbo con la natura umana non va concepita mediante la sola inabitazione del Verbo di Dio nell'uomo assunto, come diceva Nestorio: ma in quanto il Verbo di Dio veramente si è fatto uomo. Allora soltanto, infatti, abbiamo l'annientamento: si può dire, cioè, che il Verbo di Dio si è « annientato », ovvero «rimpicciolito», non per la perdita della propria grandezza, ma per l'assunzione della piccolezza umana; come se, p. es., si dicesse che un'anima umana, preesistente al suo corpo, diventa la sostanza corporea che è l'uomo, non per la mutazione della propria natura, ma per l'assunzione della natura corporea.

18. È evidente che nell'uomo Cristo inabitava lo Spirito Santo; poiché in Luca, 4,1 si legge: «Gesù pieno di Spirito Santo si allontanò dal Giordano». Se quindi l'incarnazione del Verbo dovesse concepirsi solo nel senso che il Verbo di Dio abitò nella sua pienezza nell'uomo assunto, si dovrà dire che si è incarnato anche lo Spirito Santo. Il che è assolutamente incompatibile con l'insegnamento della fede.

19 È noto che il Verbo di Dio dimora anche negli angeli santi. I quali per partecipazione sono ripieni dell'intelligenza del Verbo. Eppure l'Apostolo afferma, in Ebr., 2, 16: «Egli non prese affatto gli angeli, ma prese il seme di Abramo ». Perciò è evidente che l'assunzione della natura umana da parte del Verbo, non va concepita quale semplice inabitazione.

20. Se in Cristo, secondo la tesi di Nestorio, separiamo due esseri distinti secondo l'ipostasi, cioè il Verbo di Dio e l'uomo assunto, è impossibile che il Verbo di Dio si possa denominare Cristo. Ciò risulta, sia dal modo di esprimersi della Scrittura, la quale prima dell'incarnazione non chiama mai col nome di Cristo nè Dio, nè il Verbo di Dio; sia dal significato stesso di codesto nome. Cristo infatti significa unto, e s'intende unto « con l'olio di esultanza » [Ebr., I, 9], cioè «con lo Spirito Santo» come spiega S. Pietro in Atti, 10, 38. Ora però, non si può dire che il Verbo di Dio sia stato unto di Spirito Santo: perché lo Spirito Santo sarebbe superiore al Figlio, come chi santifica è superiore al santificato. Perciò è necessario che l'appellativo di Cristo si riferisca solo all'uomo assunto. -Perciò quando l'Apostolo scrive ai Filippesi (2, 5): «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono nel Cristo Gesù », le sue parole vanno riferite all'uomo assunto. Egli però aggiunge: «II quale, essendo nella forma di Dio, non ritenne come una rapina l'essere uguale a Dio». Perciò è vero affermare che codesto uomo è «nella forma », ossia nella natura di Dio, e «uguale a Dio ». Ora, sebbene gli uomini siano denominati « dèi », o « figli di Dio », per la presenza di Dio in essi, tuttavia per essa non si dice mai che essi sono «uguali a Dio». Dunque è chiaro che l'uomo Cristo non è chiamato Dio per la sola inabitazione divina.

21. Sebbene per l'inabitazione causata dalla grazia agli uomini santi venga attribuito l'appellativo di Dio, tuttavia ad essi non vengono mai attribuite per questo le opere che sono esclusivamente di Dio, come creare il cielo e la terra, e altre cose del genere. Invece all'uomo Cristo viene- attribuita la creazione di tutte le cose. Si legge infatti in Ebr., 3, 1, 2: «Considerate l'apostolo e il pontefice della nostra fede. Gesù Cristo, il quale è fedele a Colui che lo fece, come lo fu Mosè in tutta la sua casa»; le quali espressioni vanno riferite all'uomo Cristo e non al Verbo, sia perché secondo Nestorio il Verbo di Dio non può chiamarsi Cristo; sia perché il Verbo di Dio non è stato fatto, ma è generato. Ebbene, l'Apostolo così continua [v. 3] : « Questi [il Cristo] è stato reputato degno di una gloria tanto superiore a quella di Mosè, quanto l'onore di chi fabbricò la casa è più grande dell'onore della casa stessa». Dunque Cristo ha fabbricato la casa di Dio. E l'Apostolo lo dimostra con le parole che seguono [v. 4] : « Infatti ogni casa è fabbricata da qualcuno; ma colui che ha creato tutte le cose è Dio». Dunque l'Apostolo dimostra che l'uomo Cristo ha fabbricato la casa di Dio, dal fatto che Dio ha creato tutte le cose. Ora, questa prova sarebbe nulla, se Cristo non fosse Dio creatore di tutte le cose. Perciò a codesto uomo viene attribuita la creazione dell'universo: che è opera esclusivamente di Dio. Quindi l'uomo Cristo è Dio secondo l'ipostasi, non già solo a motivo dell'inabitazione divina.

22. È noto che Cristo, parlando di se stesso, si attribuisce molte cose divine e soprannaturali; p. es., in Giov., 4, 40 egli afferma: " Io lo risusciterò nell'ultimo giorno"; e in Giov., 10, 28: « Io dò loro la vita eterna». Ora, queste parole sarebbero di somma superbia, se chi le ha pronunziate non fosse secondo l'ipostasi, Dio stesso, ma avesse solo l'inabitazione di Dio. E la superbia non si può certo attribuire all'uomo Cristo, il quale dice di se stesso : « Imparate da me, che sono mite e umile di cuore>>(Mt.11,29). Dunque la persona di codesto uomo è identica a quella di Dio.

23. Nella Scrittura [quando si parla di Cristo] come si legge che l'uomo suddetto è esaltato, p. es., in Atti, II, 33: « Esaltato perciò alla destra di Dio, ecc.»; così si legge che Dio si è annientato, p. es., in Fil., II, 7: «Annientò se stesso, ecc.». Perciò a motivo dell'unione, come si possono dire di quell'uomo cose sublimi, ossia che è Dio, che risuscita i morti, e altre cose del genere; così di Dio si possono dire cose umili, ossia che è nato dalla Vergine, che ha sofferto, che è morto, e che è stato sepolto.

24. Sia i nomi che i pronomi relativi si riferiscono all'identico supposito. Ebbene, l'Apostolo scrive, parlando del Figlio di Dio (Col., I, 16): « In lui sono state fatte tutte le cose in cielo e in terra, quelle visibili e quelle invisibili »; e poi aggiunge [v. 18] : « Ed egli è il capo del corpo della Chiesa, colui che è il principio, il primogenito [nella resurrezione] dai morti». Ora, è evidente che l'espressione, « in lui sono state create tutte le cose », va riferita al Verbo di Dio: mentre la frase, «primogenito dai morti», va riferita a Cristo in quanto uomo. Perciò il Verbo di Dio e l'uomo Cristo sono un unico supposito, e quindi un'unica persona; ed è necessario che quanto è detto di quell'uomo sia attribuito al Verbo di Dio, e viceversa.

25. L'Apostolo afferma, in I Cor., 8, 6 : « Unico è il Signore Gesù, per mezzo del quale tutte le cose esistono ». Ora, è chiaro che Gesù, nome di quell'uomo per mezzo del quale tutte le cose esistono, va attribuito al Verbo di Dio. Perciò il Verbo di Dio e l'uomo suddetto sono un unico Signore, e non due signori, o due figli, come diceva Nestorio. Quindi da ciò segue che il Verbo di Dio e codesto uomo hanno un'unica persona.

Questa opinione di Nestorio circa il mistero dell'Incarnazione differisce poco dall'opinione di Fotino [cfr. cc. 4, 28]. Perché essi concordano nell'asserire che l'uorno assunto si denominerebbe Dio solo per l'inabitazione dovuta alla gloria. Fotino diceva però che l'uomo suddetto avrebbe meritato il nome e la gloria di Dio mediante la passione e le opere buone; mentre Nestorio confessava che tale uomo avrebbe avuto codesto nome e codesta gloria fin dall'inizio del suo concepimento, per la pienissima inabitazione di Dio esistente in lui. - Invece circa l'eterna generazione del Verbo essi differivano assai: poiché Nestorio l'ammetteva, mentre Fotino la negava del tutto.

Nota. Questi argomenti che S. Tommaso ha diretto efficacemente contro l'eresia nestoriana, valgono pure, e a maggior ragione, contro tutti quei razionalisti che tentano di negare la divinità di Cristo, facendosi forti di questa o di quell'altra frase del Nuovo Testamento.

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