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MARIA ALLA LUCE DELLA SCRITTURA

Ultimo Aggiornamento: 02/03/2023 19:13
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03/02/2010 17:19
 
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Gv 19, 26-27

Dopo aver ricordato la presenza di Maria e delle altre donne presso la croce del Signore, san Giovanni riferisce: "Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: 'Donna, ecco il tuo figlio!'. Poi disse al discepolo: 'Ecco la tua madre!'" (Gv 19,26-27).

Le parole di Gv 19, 26-27 sono state interpretate da molti credenti, unicamente come manifestazione della pietà filiale di Gesù verso la Madre, affidata al discepolo per la necessità contingente di risolvere un problema familiare. Seguendo questa lettura si deduce che Gesù abbia atteso gli ultimi istanti della sua vita per “trovare una sistemazione” a Maria. Occorre però tenere presenti alcuni particolari interessanti, che il Vangelo opportunamente ci rivela, ovvero che la morte di Gesù pur causando la massima sofferenza a Maria, non cambia di per sé le sue abituali condizioni di vita presenti e future. Infatti, abbandonando Nazaret per iniziare la sua vita pubblica, Gesù aveva lasciato sola la Madre già da tempo. Inoltre, volendo andare anche sulle sfumature, ricordiamo la presenza presso la croce della sua parente, Maria di Cleofa; cosa che permette di capire che la Vergine era in buoni rapporti con la famiglia e il parentado (cosa ravvisabile anche in altri "momenti" raccontati dal Vangelo). Quindi sia per il rispetto umano di cui godeva in famiglia, sia per l’oggettiva condizione di prestigio di cui godeva presso coloro che seguivano Gesù, di certo non vi erano difficoltà per cui avrebbe potuto trovare accoglienza dopo la morte del Figlio presso parenti o rispettosi fratelli. Fermo restando che Maria, sola da tempo, non avesse già una situazione serena dal punto di vista del sostentamento.

Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: 'Donna, ecco il tuo figlio!'. Poi disse al discepolo: 'Ecco la tua madre!' (Gv 19,26-27).

Queste parole, particolarmente commoventi, costituiscono una "scena di rivelazione": rivelano i profondi sentimenti del Cristo morente e racchiudono una grande ricchezza di significati per la fede e la spiritualità cristiana. Infatti, volgendosi, alla fine della sua vita terrena, alla Madre e al discepolo che amava, il Messia crocifisso stabilisce relazioni nuove di amore tra Maria e un uomo, Giovanni. Un uomo che amava in quanto Dio d’Amore e che stimava in quanto Vero Uomo. Quell’Amore Gesù lo ha però provato, prova e proverà non solo per Giovanni ma anche per tutti gli uomini in quanto Agnello immolatosi per Amore nostro.

Ecco che Giovanni è segno di una generazione spirituale riguardante l'intera umanità. E qui sta la chiave di tutto.

Quanto detto sopra apre la strada a una verità complessa e straordinaria, ineffabile e misteriosa. In ogni caso queste parole, non casuali, racchiudono l’ennesimo compimento del disegno di Dio (qui dovremmo poi andare a capire cosa si compie, ma riserviamo la questione per ulteriori approfondimenti che esulano da questa discussione specifica). La considerazione attenta di queste parole (confermata dall'interpretazione di molti Padri della Chiesa) ci pone dinanzi nella duplice consegna di Gesù, ad una rivelazione preziosa.

Le parole di Gesù morente sono straordinarie: Maria riceve la missione di essere “Madre” per un uomo che non è suo figlio naturale e Giovanni riceve Maria come Madre sua.

Un ordine chiaro che sottintende una nuova missione, un nuovo ruolo, per la Madre terrena del Redentore. Ma notiamo anche cosa dice l'Evangelista dopo le espressioni di Gesù alla Madre. Riporta un inciso significativo: "Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta..." (Gv 19,28 ), quasi a voler sottolineare che con questo dono della Madre anche quest’ultimo particolare del progetto divino era compiuto.

Gesù morente affidò la propria madre a un discepolo: "Poi disse al discepolo: " Ecco tua madre ". E da quel momento il discepolo la prese in casa sua" (Giovanni 19,, 27).

Questo discepolo non era un figlio di Maria. Quasi certamente era Giovanni, in quanto lo designa col titolo: il discepolo "che egli amava", e che è unanimemente riconosciuto come l'evangelista, figlio di Zebedeo (Matteo 4, 21).

Il gesto di Gesù morente è comprensibile solo se si ammette che Gesù era figlio unico. Se Maria avesse avuto altri fìgli, quel gesto di Gesù sarebbe stato offensivo o almeno poco riguardoso ed anche illegale. I supposti figli di Maria, le fìglie, i generi, le nuore, oltre a sentirsi offesi, avrebbero contestato a Giovanni il diritto di avere con sé la loro madre. Avrebbero giudicato irresponsabile il gesto di un morente.

Nulla di tutto questo nei vangeli. Giovanni prese Maria con sé in casa sua, pacificamente, senza contestazione alcuna. Gesù, perché figlio unico, poteva e doveva provvedere a sua madre un rifugio conveniente dopo la sua morte. Scelse quello di un discepolo.

Si obietta di solito: Gesù affidò sua madre a un estraneo perché i suoi fratelli non credevano in lui (cf. Giovanni 7,5).

Ma dal Vangelo appare che solo al principio della vita pubblica di Gesù i suoi parenti non l'hanno capito troppo. Ma con l'andare del tempo cambiarono idea e divennero suoi discepoli.

Infatti, li troviamo concordi con gli Apostoli ed assidui nella preghiera in attesa dello Spirito Santo (cf. Atti 1, 14). Giacomo fu messo alla guida della comunità cristiana di Gerusalemme (cf. Galati 2, 9; Atti 15, 13,) e gli altri parenti si dedicarono alla predicazione del Vangelo anche fuori della Palestina (cf. 1 Corinzi 9, 5).

Perché allora Gesù avrebbe dovuto affidare sua madre ad uno che non fosse figlio naturale di Maria se vi fossero stati dei figli naturali, tra cui anche persone che sarebbero presto divenuti tra i suoi testimoni più importanti?
La risposta logica è che Maria non aveva altri figli naturali.
[Modificato da AmarDio 03/02/2010 17:25]
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03/02/2010 17:29
 
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PRESENZA DI MARIA ALL'ORIGINE DELLA CHIESA "
da una catechesi di Giovanni Paolo II

I Padri del Concilio Vaticano II,dopo aver esposto la dottrina sulla realtà storico-salvifica del Popolo di Dio, hanno voluto completarla con l’illustrazione del ruolo di Maria nell’opera della salvezza. Il capitolo VIII della Costituzione conciliare Lumen gentium infatti, ha lo scopo non solo di sottolineare la valenza ecclesiologica della dottrina mariana, ma di mettere altresì in luce il contributo che la figura della Beata Vergine offre alla comprensione del mistero della Chiesa.

2. Prima di esporre l’itinerario mariano del Concilio, desidero rivolgere uno sguardo contemplativo a Maria, così come, all’origine della Chiesa, è descritta negli Atti degli Apostoli. Luca, all’inizio di questo scritto neotestamentario che presenta la vita della prima comunità cristiana, dopo aver ricordato singolarmente i nomi degli Apostoli (1,13), afferma: "Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù, e con i fratelli di lui" (1,14).

In questo quadro spicca la persona di Maria, la sola che viene ricordata con il proprio nome, oltre agli apostoli: ella rappresenta un volto della Chiesa diverso e complementare rispetto a quello ministeriale o gerarchico.


3. La frase di Luca, infatti, riferisce la presenza, nel cenacolo, di alcune donne, manifestando così l’importanza del contributo femminile alla vita della Chiesa, sin dai primordi. Questa presenza viene messa in rapporto stretto con la perseveranza della comunità nella preghiera e con la concordia. Questi tratti esprimono perfettamente due aspetti fondamentali del contributo specifico delle donne alla vita ecclesiale. Più propensi all’attività esterna, gli uomini hanno bisogno dell’aiuto delle donne per essere riportati alle relazioni personali e per progredire verso l’unione dei cuori. "Benedetta fra le donne" (Lc 1,42), Maria assolve in modo eminente questa missione femminile. Chi, meglio di Maria, favorisce in tutti i credenti la perseveranza nella preghiera? Chi promuove, meglio di lei, la concordia e l’amore?

Riconoscendo la missione pastorale affidata da Gesù agli Undici, le donne del cenacolo, con Maria in mezzo a loro, si uniscono alla loro preghiera e testimoniano, nello stesso tempo, la presenza nella Chiesa di persone che, pur non avendo ricevuto quella missione, sono ugualmente membri, a pieno titolo, della comunità radunata nella fede in Cristo.


4. La presenza di Maria nella comunità, che attende in preghiera l’effusione dello Spirito (cfr. At 1,14), evoca la parte da lei avuta nell’incarnazione del Figlio di Dio per opera dello Spirito Santo (cfr. Lc 1,35). Il ruolo della Vergine in quella fase iniziale e il ruolo che essa svolge ora, nella manifestazione della Chiesa a Pentecoste, sono strettamente collegati.

La presenza di Maria nei primi momenti di vita della Chiesa è posta in singolare evidenza dal confronto con la partecipazione assai discreta che Ella ha avuto precedentemente, durante la vita pubblica di Gesù. Quando il Figlio inizia la sua missione, Maria resta a Nazaret, anche se tale separazione non esclude contatti significativi, come a Cana, e, soprattutto, non le impedisce di partecipare al sacrificio del Calvario.

Nella prima comunità, invece, il ruolo di Maria assume notevole rilevanza. Dopo l’Ascensione ed in attesa della Pentecoste, la Madre di Gesù è presente personalmente ai primi passi dell’opera avviata dal Figlio.
5. Gli Atti degli Apostoli, sottolineano che Maria si trovava nel Cenacolo "con i fratelli di Gesù" (At 1,14), cioè con i suoi parenti, come ha sempre interpretato la tradizione ecclesiale: non si tratta tanto di un raduno di famiglia, quanto del fatto che, sotto la guida di Maria, la famiglia naturale di Gesù è venuta a far parte della famiglia spirituale del Cristo: "Chi compie la volontà di Dio, - aveva detto Gesù - costui è mio fratello, sorella e madre" (Mc 3,34). Nella medesima circostanza Luca qualifica esplicitamente Maria come "la Madre di Gesù" (At 1,14), quasi a voler suggerire che qualcosa della presenza del Figlio asceso al cielo rimane nella presenza della madre. Ella ricorda ai discepoli il volto di Gesù ed è, con la sua presenza in mezzo alla Comunità, il segno della fedeltà della Chiesa a Cristo Signore.

Il titolo di "Madre", in questo contesto, annuncia l’atteggiamento di premurosa vicinanza con cui la Vergine seguirà la vita della Chiesa. Ad essa Maria aprirà il suo cuore per manifestare le meraviglie operate in lei da Dio onnipotente e misericordioso. Sin dall’inizio Maria esercita il suo ruolo di "Madre della Chiesa": la sua azione favorisce l’intesa fra gli Apostoli che Luca presenta "concordi" e molto lontani dalle dispute che talvolta erano sorte tra loro.

Maria esercita, infine, la sua maternità verso la comunità dei credenti, non solo pregando per ottenere alla Chiesa i doni dello Spirito Santo, necessari per la sua formazione ed il suo futuro, ma educando, altresì, i discepoli del Signore alla costante comunione con Dio.

Ella si rende così educatrice del popolo cristiano alla preghiera, all’incontro con Dio, elemento centrale e indispensabile perché l’opera dei Pastori e dei fedeli abbia sempre nel Signore il suo inizio e la sua motivazione profonda.


6. Da queste brevi considerazioni emerge chiaramente come il rapporto tra Maria e la Chiesa costituisca un confronto affascinante tra due madri. Esso ci rivela chiaramente la missione materna di Maria e impegna la Chiesa a cercare sempre la sua vera identità nella contemplazione del volto della Theotokos.

[Modificato da AmarDio 03/02/2010 17:33]
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27/02/2010 21:00
 
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Annunci di Maria nell’Antico Testamento

Secondo la visione cristiana, Eva, la prima donna, è ben presto divenuta quella che, con Adamo, ha condotto tutta l’umanità nel naufragio del peccato originario. Dio ha promesso un Salvatore, e, nello stesso momento, è stata annunciata la madre del Redentore, nel testo della Genesi già citato: « Io porrò inimicizia tra te e la donna» (Gn 3, 15).

La più autentica delle figlie di Abramo

Abramo, il nostro «padre nella fede», ha obbedito in maniera totale ed incondizionata alle promesse di Dio, anche quando, a causa di eventi esterni, gli è stato difficile vedere come queste promesse si sarebbero compiute. Il Papa Giovanni Paolo II, nella sua omelia a Nazaret, il 25 marzo 2000, ha definito Maria « la più autentica delle figlie di Abramo » poiché, con una grande fede, ella divenne la Madre del Messia e la Madre di tutti coloro che credono (cf l’omelia pubblicata nell’Osservatore Romano, edizione settimanale in lingua italiana, 4/4/2000, p. 11). Ecco i simboli della Vergine Maria che si possono incontrare nella Bibbia ebraica, l’Antico Testamento per i cristiani:

Immagini e figure di Maria nell’Antico Testamento:

Si trova la Vergine Maria annunciata nella Genesi ed in Isaia, la Figlia di Sion, il Giardino dell’Eden, la Beata del Cantico dei Cantici, e l’Arca dell’Alleanza. Rut è un simbolo di Maria e della Chiesa, poiché ella è collocata in maniera provvidenziale nell’albero genealogico del Cristo. Anche Ester e Giuditta sono simboli di Maria, in quanto associate al Salvatore nello svolgimento del piano divino della salvazione (1).

A lato del Cristo, Maria è la maggiore gloria del popolo ebreo

La Vergine Maria potrebbe essere considerata, a lato del Cristo, come la maggior gloria del popolo ebreo. È nel seno di questo popolo dell’Alleanza, che Dio ha scelto questa eccezionale figura che avrebbe partorito il Salvatore dell’umanità. Noi non possiamo che pregare la Santa Vergine di ottenere per noi la grazia di promuovere, sempre meglio, le relazioni judaico-cristiane.



________________

(1) Si possono classificare questi differenti annunci di Maria nell’Antico Testamento in 3 “categorie”:
- Le immagini: Stella del mattino; Torre di Davide; Trono della Saggezza, etc...;
- Le figure: Sara, Rachele, Debora, Giuditta, Ester e tante altre...;
- Le profezie: Gn 3,15; Is 7,14 ...etc).


Cardinal Francis Arinze
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27/02/2010 21:03
 
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Maria nel Nuovo Testamento

Sebbene l’Apocalisse non accenni a Maria se non in maniera velata e gli Atti degli Apostoli non ne segnalino la presenza che al momento dell’Ascensione e della Pentecoste, la Vergine Maria è continuamente presente, in maniera implicita, in tutti gli avvenimenti del Nuovo Testamento.

Nella Scrittura, la prima identità di Maria è quella d’essere “Madre”

Certamente, il ruolo di Maria appare, in maniera eminente, nelle Scritture della Nuova Alleanza, come indicato da Mons. Lambiasi: “L’identità fondamentale di Maria è quella di essere "Madre". È quanto sottolinea il Nuovo Testamento che indica in quale senso questa maternità interessi i discepoli di Gesù, quali noi siamo. L’attenzione e l’amore per la Parola di Dio sono i tratti caretteristici della spiritualità contemporanea. Nella coscienza dei pastori e di numerosi cristiani, la Bibbia è venuta ad occupare il posto centrale e primordiale che le appartiene. In questo clima di interesse rinnovato per la Scrittura, è evidente che l’immagine emergente di Maria sia evangelica.



Un indice di questa attenzione sono le numerose pubblicazioni che hanno come titolo « Maria secondo il Vangelo » o altri titoli similari. Certamente studi del genere non mancavano nel passato, ma nella nostra epoca sono fioriti in grande numero e mostrano come la parola di Dio sia ricca e feconda per la vita spirituale. Dando una occhiata al percorso generale dei libri del Nuovo Testamento, si nota che l’interesse verso Maria non sorge da motivazioni accentrate in maniera autonoma sulla sua persona, ma per "attrazione" dell’interesse relativo a suo figlio Gesù.



Quando a poco a poco si allarga il campo di riflessione su Cristo, aumenta anche il numero di dati offerto per definire l’identità di Maria. Maria è designata nell’identità fondamentale della sua maternità: è « la madre di Gesù ». Per fare emergere questa identità è interessante osservare la linea di sviluppo che, a partire dal seme germinale di Paolo, e attraverso le riletture, arriva alla densità della visione giovannea (di Giovanni Paolo II). Il popolo cristiano, chiamato a vivere integralmente la Parola di Dio, in particolare quando si riferisce a Maria, è portato anche ad incontrarla come Madre e a introdurla "in tutto lo spazio della propria vita interiore " (Redemptoris Mater 45).

Nella Scrittura, Maria è la Madre degli Inizi fondamentali

Mentre tra i Sinottici esistono 11 occorrenze di questo termine, nel solo quarto Vangelo ve ne son ben otto. Ciò rivela uno speciale interesse per gli inizi come “fondazione” sia della rivelazione di Gesù, sia sulla testimonianza degli apostoli (Gv 1,1 ; 2,11 ; 6,64 ; 8,25 ; 15,27 ; 16,14.). Già nel prologo l’intestazione è sintomatica: : « In principio era il Verbo. » Questo primo “inizio” eterno del mondo e dei tempi è orientato verso l’Incarnazione di Gv 1,14, dove menziona il “Verbo” per l’ultima volta.



Dopo il prologo narrativo (Gv 1,19-52) si passa subito dopo allo ”inizio dei segnali” (Gv 2, 11), è l’inizio della vera relazione, secondo il finale del Vangelo (Gv 20,30-31). Ma l’inizio deve avere un compimento, che apra su un nuovo “inizio”, quello della comunità cristiana con l’lelevazione di Gesù sulla croce e la sua elevazione nella gloria.



La madre di Gesù, in maniera discreta e velata, è presente in questi tre inizi. Come « Madre di Gesù », « sua Madre », « la madre », « la madre » del discepolo molto caro, Maria è la madre degli “inizi”: quello del Dio incarnato (Gv 19,25-27). Come madre, lei dice ancora e sempre a coloro che sono al servizio di Gesù: «Fate quello che vi dirà !» (Gv 2,5). «Al giorno d’oggi i cristiani hanno trasformato il cristianesimo in ideologia e astrazione. Le astrazioni non hanno bisogno di una madre» affermava uno dei più grandi teologi del XX secolo, Karl Rahner. E aveva ragione."

Il Vangelo mostra anche a che punto Maria fu strettamente legata al mistero della salvezza attraverso suo Figlio

Il Vangelo dice, Madre di Dio, Madre della Chiesa, Madre degli uomini; Maria, nostra Avvocata e nostra Educatrice, è anche e in altri aspetti fondamentali della sua vocazione unica, la nostra mediatrice presso il Signore, come è mostrato chiaramente nel Nuovo Testamento.

Tra l’altro, i passaggi che riguardano direttamente Maria nel Nuovo Testamento mostrano molto bene a che punto Maria , presente molto particolarmente negli avvenimenti cruciali della vita di Cristo, sia stata strettamente legata all’opera salvifica della Resurrezione del mondo; mostrano, inoltre, a che punto la Vergine Maria sia legata al mistero del Corpo eucaristico di Cristo, che è la Chiesa...
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02/04/2010 22:31
 
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Dalla Scrittura possiamo fare alcune osservazioni di paragone tra il patriarca Abramo e Maria di Nazareth.

 

Abramo lasciò la sua casa e la sua terra per una terra migliore, scortato dalla sua gente.

Maria lasciò la sua reputazione per Dio dicendo “Eccomi, sono l’ancella del Signore, si faccia di me secondo la tua parola…rischiando la lapidazione e poi si avventurò profuga, con un Bimbo da accudire, senza più sicurezze nè casa nè terra, verso l'Egitto.

 

Abramo credette che avrebbe avuto un figlio a cent’anni, e ne provò molta gioia.

Maria dovette credere addirittura che l’avrebbe avuto senza nessun concorso d’uomo, con la prospettiva di un giustificato disprezzo da parte di tutti e dell'abbandono di Giuseppe.

 

Abramo fu chiamato a sacrificare il suo unigenito per propria mano.

Maria sotto la Croce vide sacrificare il Figlio Unigenito di Dio, che era anche il suo unico figlio, e per di più per mano di peccatori.

 

Abramo non vide morire il figlio, ma lo riebbe subito salvo, senza sofferenza e senza spargimento di sangue.

Maria non solo lo vide morire ma partecipò alla sua passione di sangue e morte, mentre una spada le trafiggeva l’anima.

 

Se Abramo è giustamente considerato il Patriarca dei credenti in Dio Padre, vi sono molte e fondate ragioni che Maria debba essere considerata la Madre dei credenti in Dio Figlio.

 


[Modificato da Credente 15/04/2019 17:34]
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02/04/2010 22:46
 
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La Donna gloriosa del Messia Salvatore.
La scena della Donna dell'Apocalisse (12, 1-6) nelle doglie del parto e il rapimento del suo Neonato al Trono di Dio, possiamo intenderlo alla luce del Mistero Pasquale che non prettamente ad un atto fisico della Notte Santa di Betlemme. Anche qui, come a Cana, come alla Croce, ci si riferisce all'Ora della Passione e Resurrezione del Figlio di Dio: è questo il motivo conduttore da un capo all'altro dell'Apocalisse.
La Donna che partorisce il Figlio maschio è così da intendersi più genericamente la Chiesa Madre che, dopo il triduo pasquale, dà alla luce il Salvatore la Domenica di Resurrezione nella celebrazione e nelle opere del Regno. Ma appunto perché Maria è la Chiesa prima della Chiesa, dal momento che ha portato in grembo il Messia partorendolo nella realtà, e poichè la Chiesa già perfetta dal momento che è Santa, è legittimo vedere la Madre di Dio nella Donna del grande segno.
Maria che ha concepito a Nazaret e partorito a Betlemme il Messia escatologico, lo genera nella fede sulla Croce gloriosa (Gv 19, 25-27; Gal 4, 19). Nel capitolo 12 dell'Apocalisse, senza prescindere dalla Madre vergine se non vogliamo, si concentra maggiormente l'attenzione sulla Chiesa: l'Autore mostra qui come la generazione del Verbo di Dio, nato dalla Figlia di Sion, nato comunque da Maria e perciò l'una inscindibile dall'altra, si prolunga nella sacramentalità della Chiesa e nella fede dei singoli cristiani. Ogni fedele che crede, come Maria "concepisce e partorisce" quotidianamente il Verbo del Padre.

(Sergio Gaspari, Celebrare con Maria l'anno di grazia del Signore, ed. Monfortane, pp. 109-110). 
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31/05/2010 08:28
 
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Il Vangelo ci presenta due caratteristiche della Madonna che meditiamo per comprendere meglio la sua visita alla cugina. In questo viaggio Maria Santissima si mostra quale Regina della comunicazione e dell’accoglienza. Nel loro incontro avviene una comunicazione tutta soprannaturale, Elisabetta si trova impreparata e scopre la maternità Divina della cugina Maria quando il suo bambino nel grembo sussulta perchè sente parlare proprio la Madonna. Elisabetta parla sospinta dallo Spirito Santo, afferma verità che non poteva sapere, ed è la presenza di Dio a illuminarla sullo stato della cugina Maria, diventata la nuova Arca di Dio, il Paradiso terrestre del Figlio di Dio. La Madonna è ricolma di Spirito Santo, ogni sua parola esce dal Cuore di Dio, ed Ella comprende il peso delle sue profetiche parole. Invece i Santi che noi veneriamo, per esempio anche Padre Pio, quando dicevano profezie non ne sapevano molto, parlavano come portavoce dello Spirito Santo. L’accoglienza vicendevole tra Elisabetta e la Madonna è commovente, come conviene alla Madre di Dio e la madre del precursore Giovanni Battista. La loro carità non è spinta dalla maternità che le riguarda entrambe, il motivo è la loro santità, sono due donne straordinarie, una è addirittura inarrivabile ed irripetibile: la Madonna. La cugina diventerà Santa Elisabetta, una donna umile e devota. Il loro incontro era stato annunciato dall’Arcangelo Gabriele quando era apparso alla Madonna e aveva detto che Elisabetta era incinta nonostante l’età, lasciando intendere che l’unica in grado di comprendere il mistero che nascondeva Maria Santissima nel grembo era proprio ella. Tutte e due avevano vissuto nel nascondimento i primi momenti della maternità, la Madonna perché non era ancora sposata, Elisabetta perché anziana. Due storie piene di fede e di totale abbandono alla volontà di Dio. Le poche parole che si dicono nell’incontro, esprimono l’esultanza di essere al servizio di Dio, che le loro vite sono donate a Dio. La loro serena felicità è la consapevolezza di vivere nella volontà di Dio. Vediamo che nell’incontro la Madonna è Regina nel salutare, nell’accogliere, nel confortare, nell’esprimere la sua gioia. Ogni donna dovrebbe imitare nella vita questi comportamenti della Madonna. È possibile se si porta Gesù nel cuore, come accadde alla Madre, che Lo portava nel Cuore e nel grembo. Questa Festa della Visitazione deve spingerci ad agire con carità e accoglienza, vedendo sempre negli altri un mezzo per amare e un dono da accogliere con il massimo rispetto.
[Modificato da Credente 30/11/2011 22:26]
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05/06/2011 18:00
 
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Luca 1,34 " Non conosco uomo "

Luca 1,30-34:

L'angelo le disse: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32 Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33 e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine".
34 Allora Maria disse all'angelo: "Come è possibile? Non conosco uomo
".

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S.Agostino riferisce a proposito di coloro che avversavano la perpetua verginità di Maria:

-Sono chiamati "antidicomarianiti" quegli eretici, i quali combattono la verginità di Maria sino ad affermare che essa dopo la nascita di Cristo si unì carnalmente al suo marito.

-Gioviniano distruggeva la verginità di Maria, affermando che nel parto era stata violata.

-Gli Elvidiani, che hanno origine da Elvidio, combattono la verginità sostenendo che doo Cristo essa partorì ancora altri figli al suo marito Giuseppe. Ma questi appunto, lasciando da parte il nome di Elvidio, Epifanio li chiamò "antidicomarianiti".

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Tratto dalla "Vita di Gesù Cristo" di Giuseppe Ricciotti

§ 231. Presso i Giudei il matrimonio legale si compiva, dopo alcun trattative preparatorie, con due procedimenti successivi, che erano il fidanzamento e le nozze. Il fidanzamento (ebr. qiddùshin o 'erù. sin) non era, come presso di noi oggi, la semplice promessa di futuro matrimonio, bensì era il perfetto contratto legale di matrimonio ossia il vero matrimonium ratum: quindi la donna fidanzata era già moglie, poteva ricevere la scritta di divorzio dal suo fidanzato-marito, alla morte dì costui diventava regolarmente vedova, e in caso d'infedeltà era punita come vera adultera conforme alla norma del Deuteronomio, 22, 23-24; questo stato giuridico è riassunto con esattezza da Filone quando afferma che presso i Giudei, contemporanei di lui e di Gesù, il fidanzamento vale quanto il matrimonio (De special, leg., m, 12). Compiuto questo fidanzamento-matrimonio, i due fidanzati-coniugi restavano nelle rispettive famiglie ancora per qualche tempo, che di solito si protraeva fino a un anno se la fidanzata era una vergine e fino a un mese se era una vedova : questo tempo era impiegato nei preparativi per la nuova casa e per l'arredo familiare. Fra i due fidanzati-coniugi non avrebbero dovuto avvenire, a rigore, relazioni matrimoniali; ma in realtà queste avvenivano comunemente, come attesta la tradizione rabbinica (Ketuboth, 1, 5; febamoth, iv, 10; babli Ketuboth, 12 a; ecc.), la quale informa anche che tale disordine si riscontrava nella Giudea ma non nella Galilea.

Le nozze (ebr. nissù'm) avvenivano quand'era trascorso il tempo suddetto, e consistevano nell'introduzione solenne della sposa in casa dello sposo: cominciava allora la coabitazione pubblica, e con ciò le formalità legali del matrimonio erano compiute. Generalmente il fidanzamento di una vergine avveniva quando essa era in età fra i 12 e i 13 anni, ma talvolta anche alquanto prima : quindi le nozze, in conseguenza di quanto si è visto sopra, cadevano di solito fra Ì 13 e i 14 anni. Tale era probabilmente l'età di Maria all'apparizione dell'angelo. L'uomo si fidanzava fra i 18 e i 24, e perciò questa doveva essere l'età di Giuseppe.

Concludendo, sappiamo da Luca che Maria era una vergine in questa condizione di fidanzata; inoltre, da Matteo, 1, 18, apprendiamo che ella divenne gravida prima che andasse a coabitare con Giuseppe, cioè prima delle nozze giudaiche. Alla luce di queste notizie, quale significato hanno le sue parole rivolte all'angelo : Come sarà ciò, poiché non conosco uomo?

232. Prese isolatamente in se stesse, non possono avere che uno di questi due sensi:

1) o richiamare alla memoria la nota legge di natura per cui ogni figlio presuppone un padre;

2) oppure esprimere per il futuro il proposito di non sottoporsi a questa legge e quindi di rinunziare alla figliolanza.

Un terzo senso, per quanto ci si pensi, non è dato scoprirlo.

Ora, in bocca a Maria, fidanzata giudea, le parole in questione non possono avere il primo di questi due sensi, perché sarebbero state di una puerilità sconcertante, tale da costituire un vero non-senso; a chi avesse espresso un pensiero di tal genere, se era una fidanzata giudea, era facile replicare : "Ciò che non è avvenuto fino ad oggi, può avvenire regolarmente domani ".

È quindi inevitabile il secondo senso, nel quale il verbo non conosco non si riferisce soltanto alle condizioni presenti ma si estende anche alle future, esprimendo cioè un proposito per l'avvenire : tutte le lingue, infatti, conoscono questo impiego del presente esteso al futuro, tanto più se tra presente e futuro non cade interruzione e se si tratta di uno stato sociale (non mi sposo; non mi faccio avvocato, ecc.). Se Maria non fosse stata una fidanzata-coniuge le sue parole, un po' forzatamente, avrebbero potuto interpretarsi come un implicito desiderio di avere un compagno nella propria vita : ma nel caso effettivo di Maria il compagno già c'era, legittimo e regolare; quindi, se l'annunzio dell'angelo avesse dovuto avverarsi in maniera naturale, non esisteva alcun ostacolo. E invece l'ostacolo esisteva : era rappresentato da quel non conosco, che valeva come un proposito per il futuro, e che giustificava pienamente la domanda come sarà ciò? L'unanime tradizione cristiana, che ha interpretato in tal senso il non conosco, ha battuto una strada che è certamente la più agevole e facile ma anche l’unica ragionevole e logica.

I razionalisti di solito non negano alle parole giacenti nel loro contesto il senso di un proposito, ma per dimostrare che non hanno valore storico sono costretti a ricorrere alla solita e comoda ipotesi dell’interpolazione, supponendo che uno o più rimanipolatori abbiano introdotto in quel punto le parole in questione. Senonché i presunti rimanipolatori sarebbero stati di una ottusità senza pari, giacché non si sarebbero accorti che le parole interpolate erano smentite da tutto il contesto.

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S.Agostino a proposito della domanda di Maria:

Come avverrà ciò, poiché io non conosco uomo?

E’ promesso a Zaccaria un figlio, è promesso anche alla santa Maria un figlio, e dice anch'essa quasi le medesima parole che aveva detto Zaccaria. Che cosa infatti aveva detto Zaccaria? Come avverrà questo a me? Che io son vecchio e la mia moglie è sterile e avanzata nei suoi giorni (Le 1,18). E che dice la santa Maria? Come avverrà ciò? (Lc 1,34). E simile la voce, dissimile il cuore. La voce simile ascoltiamo con l'orecchio, il cuore dissimile apprendiamo dalla parola dell'angelo. Peccò David, e rimproverato dal profeta disse: Ho peccato, subito gli fu detto: Ti è stato rimesso il peccato (2Sam 12,13). Peccò Saul; e rimproverato dal profeta disse: Ho peccato; e il peccato non gli fu rimesso, ma l'ira di Dio rimase su di lui (cf I Sam 15,30.35). Che significa ciò, se non che è simile la voce, dissimile il cuore? L'uomo infatti ode la voce, Dio scruta il cuore. In quelle parole dunque di Zaccaria l'angelo vide che non c'era fede, ma dubbio e sfiducia; e l'angelo lo fece conoscere, privandolo della voce, condannando l'incredulità. La santa Maria, invece: Come avverrà ciò, poiché io non conosco uomo? Riconoscete il proposito della vergine. Quando mai avrebbe detto, se avesse avuto intenzione d'unirsi con un uomo: Come avverrà ciò? Se fosse dovuto avvenire come suoi avvenire di tutti i bambini, non avrebbe detto: Come avverrà? Ma essa, memore del suo proposito e consapevole del santo voto, perché sapeva che cosa aveva promesso, col dire: Come avverrà ciò, poiché non conosco uomo?, siccome sapeva che non può avvenire che nascano i figli se non da donne coniugate e che si uniscono ai loro mariti, ciò ch'essa aveva proposto d'ignorare, con dire: Come avverrà ciò?, s'informò del modo, senza dubitare dell'onnipotenza di dìo. Come avverrà ciò?

Qual è il modo con cui avverrà ciò? Mi annunzi un figlio; il mio animo è pronto: dimmi il modo.

Poteva la Vergine santa temere, o almeno ignorare il disegno di Dio, in qual modo volesse che Ella avesse un figlio, quasi riprovasse il voto della vergine? Infatti, che cosa sarebbe avvenuto se avesse detto: Sposati, congiungiti a un uomo? Non l'avrebbe detto Iddio, perché accolse il voto della Vergine, come l'accoglie Dio. Accolse da lei quello ch'egli stesso aveva donato. Dimmi dunque, messaggero di Dio: Come avverrà ciò? Vedi che l'angelo sa, ed essa cerca, non diffida. Avendo dunque veduto che essa cercava, non diffidava, non ricusò d'istruirla. Ascotta in qual modo: Resterà la tua verginità; tu credi solamente alla verità, conserva la verginità, ricevi l’integrità.

[Modificato da Coordin. 28/03/2012 20:48]
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Matteo 1,25

Letteralmente:

. ..non la conobbe fino a che non diede alla luce un figlio e Giuseppe gli pose nome Gesù

(alcuni manoscritti aggiungono: "primogenito").

Nella traduzione di Mat.1,25 della LDC, (concordata ) troviamo:

E senza che avessero avuto fin allora rapporti matrimoniali, Maria partorì il bambino e Giuseppe gli mise nome Gesù.

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La maggior parte delle traduzioni cattoliche , riportano "finchè", o "fino a quando", come già traduceva anche il Martini del 1500, il che significa che la questione della traduzione non è in discussione.

Mentre invece è in questione l’interpretazione di questo versetto.

Su questa frase, com'è noto, i negatori della perpetua verginità di Maria hanno trovato un buon argomento Ma è facile rilevare che l'evangelista, pur mettendo 1 accento sul periodo precedente alla nascita di Gesù, non lascia affatto capire che l’atteggiamento di Giuseppe nei riguardi di Maria sia in seguito mutato. Nel linguaggio biblico (cf Gn 8,7, 1Tm 4,13, ecc ) la congiunzione temporale finché (gr eòs ou, ebr. ad k1) non implica necessariamente un cambiamento di situazione per il tempo successivo. Del resto, la preoccupazione principale di Matteo non è tanto quella di far sapere che Maria non ebbe rapporti con Giuseppe nella concezione del bambino, attribuita inizialmente allo Spinto Santo (cf 1,8), ma di legittimare la presenza e l'azione di Giuseppe nei riguardi del Messia, nonostante che egli non ne sia il padre, può essergli al fianco e imporgli persino il nome. Infatti la primitiva generazione cristiana non ha dovuto difendere direttamente la verginità di Maria, ma spiegare la paternità " putativa " di Giuseppe.

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Da "i quaderni" di N.Tornese

A proposito di Matteo 1, 25, san Girolamo ha così commentato:

"Dal fatto che è detto "Giuseppe non la conobbe" (cioè, non ebbe rapporti) non ne segue che la conobbe dopo. La Scrittura mostra solo ciò che non avvenne".

d - Con san Girolamo concordano i grandi studiosi della Bibbia dei nostri giorni. Commentando Matteo 1, 25, La Sacra Bibbia di Salvatore Garofalo osserva:

"Il finché, nell'uso della Bibbia, nega un'azione per il tempo passato ma non implica che essa sia stata compiuta in seguito. Per esempio, nel Salmo 110, 1, Dio invita il Messia alla sua destra finché pone i nemici a sgabello dei suoi piedi: ciò non può evidentemente significare che, dopo la vittoria, il Messia abbandonerà il suo posto".

La TOB, ossia Traduzione Ecumenica della Bibbia francese, a proposito di Matteo 1, 25 fa notare:

"Il testo non permette di affermare che Maria abbia avuto in seguito rapporti con Giuseppe."

La Bibbia di Gerusalemme (con traduzione CEI) commenta:

"Il testo non considera il periodo successivo e per sé non afferma la verginità perpetua di Maria; ma il resto del vangelo, così come la tradizione della chiesa, la suppongono".

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Tratto dalla "Vita di Gesù Cristo" di Giuseppe Ricciotti

Matteo, 1, 25, parlando delle relazioni fra Giuseppe e Maria dice letteralmente: Ed (egli) non la conosceva, finché partorì (un) figlio.

La congiunzione finchè, ews, corrisponde all'ebraico '•ad, il quale si riferisce soltanto al compimento dell’azione annunziata appresso, astraendo pero da ciò che avverrà ancora in seguito. Vi sono esempi in tal senso sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento (Genesi 8, 7, Salmo 110 ebr, 1, Matteo, 12, 20 / 22, 44 / 28, 20 / 1Tim. 4, 13) Perciò giustamente il Loisy ha fatto notare che Matteo in questo passo ha di mira la nascita di Gesù alla quale nega ogni intervento paterno, senza estendersi al tempo successivo.

il figlio primogenito

L'espressione è tipicamente ebraica: il figlio primogenito è l'ebraico bèkor, termine di particolare importanza giuridica perché il primogenito ebreo doveva essere presentato al Tempio, e Luca impiega qui questo termine quasi per preparare il racconto della presentazione di Gesù al Tempio, che narra egli solo fra i quattro evangelisti Ma il termine, m questo contesto, forni 1 appiglio per attribuire a Luca l'affermazione implicita che Maria ebbe m seguito altri figli, altrimenti primogenito sarebbe stata una parola priva di senso Già nel secolo v S Girolamo aveva risposto a Elvidio, primo rappresentante di questo ragionamento, facendo notare che omnis unigenitus est primogenitus non omnis primogenitus est unigenitus (Adv. Helvidium, 10), ma invano e si tornava a ripetere l'argomentazione di Luciano: Se è primo non è solo, se è solo non è primo (Demonax, 29).

Naturalmente la Riforma protestante fece di questa espressione lucana il suo cavallo di battaglia contro il culto cattolico di Maria, ma anche i razionalisti, che spesso hanno egregie osservazioni storico-filologiche, non hanno interpretato il termine in senso storico filologico e hanno preferito il ragionamento di Elvidio. Solo pochi, fra cui il Loisy, sono rimasti dubbiosi. Oggi la discussione è terminata, e chi ha avuto ragione non è stato certamente Elvidio con i suoi seguaci.

Nell'anno 5 a. C. , cioè a pochi mesi di distanza dal parto di Maria partorì m Egitto una giovane sposa giudea lasciandovi però la vita, la stele sepolcrale, finendo che la defunta parli, le fa dire fra l'altro questo: "La sorte mi condusse al termine della vita fra le doglie del primogenito figlio", l'iscrizione fu pubblicata da C. C. Edgar nelle Annales du Serbice des Antiquités de l'Ègypte, sotto il titolo More tomb-stones from Teli el yahoudieh, tomo 22 (1922), pagg 7-16, e riprodotta in Biblica, 1930, pag 386.

La morte della puerpera dimostra, contro Elvidio e seguaci, che quel primogenito fu anche unigenito, come nel caso di Gesù.

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S.Ambrogio: Dal commento al Vangelo di Luca

Così non ci deve turbare quest'affermazione dell'evangelista : " E non la conobbe finché diede alla luce un figlio "

Anzitutto perché questo è un particolare modo di esprimersi della Scrittura, come trovi in un altro passo : " E finché sarete invecchiati, io sarò ". Forse che Dio cessò di essere dopo la loro vecchiaia? E nel Salmo: " II Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi!".

Forse che dopo non starà più seduto? Poi, perché quando si difende una causa, si giudica sufficiente dire solo ciò che vi ha stretta attinenza, e non si cercano prove superflue, basta infatti sostenere la causa proposta, rinviando quella accessoria.

Così l'evangelista, il quale aveva assunto l'impegno di provare l'immacolato mistero dell'Incarnazione, credette bene di non cercare ulteriori testimonianze sulla verginità di Maria, per non sembrare piuttosto il difensore della Vergine che il banditore del mistero.

Sicuramente, affermando che Giuseppe era un giusto, spiegò a sufficienza che egli non avrebbe potuto contaminare il tempio dello Spirito Santo, la madre del Signore, il grembo fecondato dal mistero.

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Tratto dal commento al Vangelo di Matteo di S.Giovanni Crisostomo.

Giuseppe, avendo presa Maria definitivamente come sua sposa, "non la conobbe fino a quando ella partorì il suo figlio primogenito". Questa espressione " fino a quando ", non deve affatto farvi credere che Giuseppe l'abbia conosciuta in seguito. Queste parole ci indicano che egli non l'ha conosciuta prima della nascita divina e inoltre che la madre di Gesù è rimasta sempre vergine. La Scrittura è solita usare questa espressione " fino a quando ", senza voler con ciò stabilire un tempo limitato. La Scrittura dice, quando il corvo usci dall'arca di Noè, che non vi rientrò " finché la terra non fu asciutta ", e tuttavia il corvo non rientrò nell'arca neppure dopo che la terra si fu asciugata. Parlando di Dio, la Scrittura dice: " Tu sei dall'eternità e fino all'eternità ", senza volere con questo assegnare dei limiti all'eternità divina. E cosi, quando preannunzia la nascita di Gesù Cristo, dice: " Fiorirà ai suoi dì la giustizia e somma pace, finché non si spenga la luna ": ma con ciò non segna la fine di questo bell'astro. Cosi l'evangelista si serve qui di questa espressione per garantire ciò che accadde prima della nascita di Gesù, lasciando a voi di giudicare quanto è accaduto dopo. Egli vi dice solo quello che voi non avreste potuto sapere da altri se non da lui, e cioè che Maria era vergine fino al parto; lascia a voi trarre la conclusione ovvia e necessaria dopo quanto ha detto e cioè che un uomo giusto come Giuseppe si è ben guardato di accostarsi, dopo la nascita di Cristo, a colei che era divenuta madre in modo tanto divino e che era stata onorata da una fecondità tanto nuova e miracolosa. Se Giuseppe avesse vissuto in seguito con Maria come con la sua sposa effettiva, avendo cioè dei figli da lei, perché Gesù Cristo avrebbe, sulla croce, affidato sua madre al discepolo, comandandogli di prenderla nella sua casa, come se ella non avesse avuto nessuno che si potesse prendere cura di lei? Ma perché allora — voi direte — Giacomo e altri sono chiamati nel Vangelo fratelli di Gesù Cristo? Sono chiamati fratelli di Gesù nello stesso modo in cui Giuseppe è chiamato sposo di Maria. Dio ha voluto coprire con molti veli questo grande mistero, in modo che la nascita divina restasse per qualche tempo nascosta. Per questo anche Giovanni li chiama fratelli del Signore, quando dice che " i suoi fratelli non credevano in lui ". Ed ecco, coloro che dapprima non credevano in lui, si sono più tardi segnalati all'ammirazione di tutti per l'ardore della loro fede. Quando Paolo sali a Gerusalemme per discutere con gli altri apostoli sulle verità che andava predicando, venne dapprima a trovare Giacomo. Egli era cosi degno di ammirazione che meritò di essere il primo vescovo di Gerusalemme. E' stato detto di lui anzi che conduceva una vita cosi rigida e austera, che tutte le sue membra erano come morte, e che si prostrava cosi spesso a terra per pregare che la sua fronte si era indurita come le ginocchia del cammello tanto l'aveva abbassata e trattenuta al suolo. Ed è sempre Giacomo che, quando Paolo sale di nuovo a Gerusalemme, gli parla con tanta saggezza dicendogli: "Vedi, fratello, quante migliaia sono i credenti giudei". Grande era la sua prudenza e il suo zelo o, meglio, grande era in lui la potenza di Gesù Cristo. Coloro, dunque, che spesso mormorarono contro Gesù Cristo vivo, dopo la sua morte lo ammirarono tanto da morire per lui con gioia: quale grande segno è questo dell'efficacia della sua risurrezione! Egli ha riservato dopo la sua morte le più gloriose manifestazioni della sua potestà, affinchè tali prove risultassero indubitabili. Infatti, se noi con facilità dimentichiamo, dopo la morte, coloro che pure avevamo molto ammirato in vita, come potrebbero coloro che avevano disprezzato Gesù Cristo durante la sua vita considerarlo Dio dopo la morte, se egli fosse stato soltanto uno dei tanti uomini? Come avrebbero accettato di morire per lui, se non avessero avuto la prova certa della sua risurrezione?

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Una implicita conferma al fatto che Maria non ebbe altri figli dopo Gesù ci viene data soprattutto da due dettagli evangelici.

1) L’affidamento di Maria da parte di Gesù morente a Giovanni, il quale non aveva parentela di sangue con la famiglia di Maria;

2) le parole stesse di Maria in Luca 1,30-34:

L'angelo le disse: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32 Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33 e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine".
34 Allora Maria disse all'angelo: "Come è possibile? Non conosco uomo".

[Modificato da Coordin. 28/03/2012 20:50]
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05/06/2011 18:09
 
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(Luca 1:28): traduzioni cattoliche
'L'Angelo, essendo entrato presso di lei, le disse: 'Ave, o piena di grazia, il Signore è con te';

Traduzione interconfessionale:
"COLMATA DI GRAZIA"

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I non cattolici obiettano:
Quel 'pieno di grazia' è stato messo per sostenere che Maria era nata senza peccato, ma  il greco smentisce questa traduzione. E' chiaro che con queste parole ('piena di') che l'angelo Gabriele non disse mai a Maria, i Cattolici riescono a presentare Maria come una donna che aveva in sé ogni grazia, anche quella di essere senza peccato. Coloro che hanno adulterato queste parole dell'angelo Gabriele definendo Maria 'piena di grazia' hanno voluto così mettere Maria sullo stesso livello del Figliuolo di Dio (anche se a parole dicono che Maria aveva meno grazia di Gesù Cristo) e questo perché di Gesù Cristo è detto che egli era pieno di grazia secondo che é scritto in Giovanni: "E la Parola é stata fatta carne ed ha abitato per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità" (Giov. 1:14). Ecco perché milioni di persone in tutto il mondo sono convinte che Maria era piena di grazia e perciò anche senza peccato; ecco perché moltitudini di pecore erranti la invocano dicendole: 'Ave Maria, piena di grazia....', con la speranza di essere esauditi! E se qualcuno fa notare loro che anche di Stefano è detto che era pieno di grazia? In questo caso rispondono che il 'piena di grazia' che l'angelo Gabriele gli disse 'appare, in un certo modo, come un nome caratteristico che sta al posto di nome proprio; ed per questo che non si può ammettere alcuna somiglianza con S. Stefano (Atti 6,8)...'. Come potete vedere da voi stessi i teologi romani hanno un'astuta risposta da dare anche a questa domanda.

RISPOSTA CATTOLICA
Esaminiamo i vari punti del testo evidenziate con il grassetto:

1) mentre il testo dice: "E l'angelo, entrato da lei, disse: Ti saluto, o favorita dalla grazia: il Signore è con te"
2) E se qualcuno fa notare loro che anche di Stefano è detto che era pieno di grazia?
3) ... rispondono che il 'piena di grazia' che l'angelo Gabriele gli disse 'appare, in un certo modo, come un nome caratteristico che sta al posto di nome proprio; ed per questo che non si può ammettere alcuna somiglianza con S. Stefano (Atti 6,8)...'

Risposta al punto:
1) Non è vero che il testo greco si traduce letteralmente con "favorita dalla grazia". Il testo dice esplicitamente "kekaritomène" che tradotto, questa volta sì, letteralmente significa " arricchita di grazia" oppure "riempita di grazia". Il tempo usato in greco ( passivo perfetto) indica un'azione cominciata nel passato e che prosegue tutt'ora. Volendo dare lo stesso senso in italiano dovremmo dire: "nel passato sei stata riempita dalla grazia e continui ad esserlo anche adesso". Ovviamente questo passaggio non ci dice QUANDO Maria è stata resa "piena di grazia" ma ci conferma che questo è successo PRIMA dell' annunciazione da parte dell 'Angelo e quindi PRIMA del concepimento di Gesù.

2) Stefano è detto "pieno di grazia" nella traduzione in italiano di At 6,8 ma il testo greco che, non dimentichiamolo, è scritto sempre da Luca, non usa "kekaritomène" bensì  "plères charitos". In italiano la differenza non si nota ma leggendo il testo in greco la differenza si nota.

3) Il nome di Maria non è stato cambiato, dato che lei continua ad essere chiamata sempre Maria.Semplicemente lei è stata chiamata in questo modo dall' Angelo come se fosse un titolo o un nome aggiunto per meglio identificarla. Questo non sarebbe stato messo in evidenza se non avesse avuto un significato particolare. Nella mentalità semitica ( e quindi nella Bibbia) i nomi hanno un significato simbolico e descrittivo molto importante. Per capire meglio il senso di questo "titolo" bisogna tenere presente che la "grazia" è in antitesi al  "peccato" e lo sovrasta ( cfr fra gli altri. Rm 5,20-21)

A questo punto dobbiamo fare una serie di considerazioni:

Il termine "grazia" traduce l'equivalente greco "karis" ed è il genere di appellativo usato dall' Angelo in Lc 1,28 per descrivere lo stato di Maria, cioè "kekaritomene".

Da questo possiamo desumere che:

a) La grazia ci salva
b) La grazia ci rende santi e giusti e pertanto senza peccato
Quindi una persona "piena di grazia" è contemporaneamente salvata e completamente santa. Da quest'affermazione noi desumiamo inoltre.
    a) Essere pieni di grazia ( che è quella che salva) significa essere sicuramente salvati
    b) Essere pieni di grazia ( che ci rende santi e giusti e senza peccato) significa essere completamente svuotati dal peccato
Tutte queste affermazioni derivano dalla Bibbia.
Fatta questa premessa possiamo dire che:

a) La Bibbia insegna che siamo salvati dalla grazia di Dio
b) La Bibbia insegna che noi abbiamo bisogno della grazia di Dio per vivere una vita santa e senza peccato
c) Chi è pieno di grazia è salvato
d) Maria (la "piena di grazia") è salvata
e) Quindi Maria è santa ed è senza peccato
f) Dal termine "kekaritomène" sappiamo che la sua santità e la sua salvezza sono precedenti all' Annunciazione.
Concludiamo dicendo semplicemente che la traduzione "Altamente favorita" non è conforme al testo greco e che "piena di grazia" non rende ancora l'idea, molto più profonda, dello stato di grazia di Maria

----------------

 

La traduzione interconfessionale traduce molto appropriatamente il termine Kekaritomene con "COLMATA DI GRAZIA" (che sostanzialmente è alternativo e pari a "PIENA DI GRAZIA"), e siccome PIENO DI GRAZIA era anche Stefano, è opportuno tradurre KeKaritomene in un modo più confacente per non generare confusioni come quelle tirate in campo dai non cattolici.

Il termine "colmata di grazia" rispetta anche il tempo passato del verbo e fa capire che l'azione di essere "ricolmata", "colmata","ripiena", "riempita" è iniziata PRIMA dell'annuncio e perdura nel momento in cui l’angelo lo annuncia. Nello stesso tempo fa capire anche che è stata attuata da un Altro, per cui lo stato di pienezza di grazia della Vergine non è una condizione che ha da se stessa ma perchè Dio lo ha resa tale.

 


[Modificato da Coordin. 28/03/2012 21:07]
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15/03/2012 14:55
 
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Pontifex.RomaPapa Benedetto XVI, in Piazza San Pietro e davanti a 20000 fedeli, ha dedicato la sua catechesi del mercoledì alla Madonna. 

Ha detto il Santo Padre: "non si può parlare di Chiesa se non è presente Maria". Infatti: "Lei ha vissuto in modo unico ciò che la Chiesa sperimenta ogni giorno sotto l'azione dello Spirito Santo". Il Pontefice ha ricordato che: "spesso la preghiera è dettata da situazioni di difficoltà. Maria, invita ad aprire le dimensioni della preghiera, a rivolgersi a Dio non solamente nel bisogno e non solo per sé stessi". Il Pontefice ha ricordato il ruolo di Maria: "ci insegna la necessità della preghiera e ci indica come solo con un costante legame unico col suo Figlio possiamo raggiungere i confini de mondo e annunciare il Signore". Il Papa visiterà il prossimo 3 maggio a Roma l'Università cattolica. 

 -L’UDIENZA GENERALE, 14.03.2012 - La presenza orante di Maria nel gruppo dei discepoli che saranno la prima Chiesa nascente. Cari fratelli e sorelle, con la Catechesi di oggi vorrei iniziare a parlare della preghiera negli Atti degli Apostoli e nelle Lettere di san Paolo.

San Luca ci ha consegnato, come sappiamo, uno dei quattro Vangeli, dedicato alla vita terrena di Gesù, ma ci ha lasciato anche quello che è stato definito il primo libro sulla storia della Chiesa, cioè gli Atti degli Apostoli.

In entrambi questi libri, uno degli elementi ricorrenti è proprio la preghiera, da quella di Gesù a quella di Maria, dei discepoli, delle donne e della comunità cristiana.

Il cammino iniziale della Chiesa è ritmato anzitutto dall’azione dello Spirito Santo, che trasforma gli Apostoli in testimoni del Risorto sino all’effusione del sangue, e dalla rapida diffusione della Parola di Dio verso Oriente e Occidente. Tuttavia, prima che l’annuncio del Vangelo si diffonda, Luca riporta l’episodio dell’Ascensione del Risorto (cfr At 1,6-9). Ai discepoli il Signore consegna il programma della loro esistenza votata all’evangelizzazione e dice: «Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea, e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8). A Gerusalemme gli Apostoli, rimasti in Undici per il tradimento di Giuda Iscariota, sono riuniti in casa per pregare, ed è proprio nella preghiera che aspettano il dono promesso da Cristo Risorto, lo Spirito Santo.

In questo contesto di attesa, tra l’Ascensione e la Pentecoste, san Luca menziona per l’ultima volta Maria, la Madre di Gesù, e i suoi familiari (v. 14).

A Maria ha dedicato gli inizi del suo Vangelo, dall’annuncio dell’Angelo alla nascita e all’infanzia del Figlio di Dio fattosi uomo. Con Maria inizia la vita terrena di Gesù e con Maria iniziano anche i primi passi della Chiesa; in entrambi i momenti il clima è quello dell’ascolto di Dio, del raccoglimento.

Oggi, pertanto, vorrei soffermarmi su questa presenza orante della Vergine nel gruppo dei discepoli che saranno la prima Chiesa nascente. Maria ha seguito con discrezione tutto il cammino di suo Figlio durante la vita pubblica fino ai piedi della croce, e ora continua a seguire, con una preghiera silenziosa, il cammino della Chiesa.

Nell’Annunciazione, nella casa di Nazaret, Maria riceve l’Angelo di Dio, è attenta alle sue parole, le accoglie e risponde al progetto divino, manifestando la sua piena disponibilità: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua volontà» (cfr Lc 1,38). Maria, proprio per l’atteggiamento interiore di ascolto, è capace di leggere la propria storia, riconoscendo con umiltà che è il Signore ad agire. In visita alla parente Elisabetta, Ella prorompe in una preghiera di lode e di gioia, di celebrazione della grazia divina, che ha colmato il suo cuore e la sua vita, rendendola Madre del Signore (cfr Lc 1,46-55). Lode, ringraziamento, gioia: nel cantico del Magnificat, Maria non guarda solo a ciò che Dio ha operato in Lei, ma anche a ciò che ha compiuto e compie continuamente nella storia. Sant’Ambrogio, in un celebre commento al Magnificat, invita ad avere lo stesso spirito nella preghiera e scrive: «Sia in ciascuno l’anima di Maria per magnificare il Signore; sia in ciascuno lo spirito di Maria per esultare in Dio» (Expositio Evangelii secundum Lucam 2, 26: PL 15, 1561).

Anche nel Cenacolo, a Gerusalemme, nella «stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi» i discepoli di Gesù (cfr At 1,13), in un clima di ascolto e di preghiera, Ella è presente, prima che si spalanchino le porte ed essi inizino ad annunciare Cristo Signore a tutti i popoli, insegnando ad osservare tutto ciò che Egli aveva comandato (cfr Mt 28,19-20).

Le tappe del cammino di Maria, dalla casa di Nazaret a quella di Gerusalemme, attraverso la Croce dove il Figlio le affida l’apostolo Giovanni, sono segnate dalla capacità di mantenere un perseverante clima di raccoglimento, per meditare ogni avvenimento nel silenzio del suo cuore, davanti a Dio (cfr Lc 2,19-51) e nella meditazione davanti a Dio anche comprenderne la volontà di Dio e divenire capaci di accettarla interiormente.

La presenza della Madre di Dio con gli Undici, dopo l’Ascensione, non è allora una semplice annotazione storica di una cosa del passato, ma assume un significato di grande valore, perché con loro Ella condivide ciò che vi è di più prezioso: la memoria viva di Gesù, nella preghiera; condivide questa missione di Gesù: conservare la memoria di Gesù e così conservare la sua presenza.

L’ultimo accenno a Maria nei due scritti di san Luca è collocato nel giorno di sabato: il giorno del riposo di Dio dopo la Creazione, il giorno del silenzio dopo la Morte di Gesù e dell’attesa della sua Risurrezione.

Ed è su questo episodio che si radica la tradizione di Santa Maria in Sabato.

Tra l’Ascensione del Risorto e la prima Pentecoste cristiana, gli Apostoli e la Chiesa si radunano con Maria per attendere con Lei il dono dello Spirito Santo, senza il quale non si può diventare testimoni. Lei che l’ha già ricevuto per generare il Verbo incarnato, condivide con tutta la Chiesa l’attesa dello stesso dono, perché nel cuore di ogni credente «sia formato Cristo» (cfr Gal 4,19). Se non c’è Chiesa senza Pentecoste, non c’è neanche Pentecoste senza la Madre di Gesù, perché Lei ha vissuto in modo unico ciò che la Chiesa sperimenta ogni giorno sotto l’azione dello Spirito Santo. San Cromazio di Aquileia commenta così l’annotazione degli Atti degli Apostoli: «Si radunò dunque la Chiesa nella stanza al piano superiore insieme a Maria, la Madre di Gesù, e insieme ai suoi fratelli.

Non si può dunque parlare di Chiesa se non è presente Maria, Madre del Signore… La Chiesa di Cristo è là dove viene predicata l’Incarnazione di Cristo dalla Vergine, e, dove predicano gli apostoli, che sono fratelli del Signore, là si ascolta il Vangelo» (Sermo 30,1: SC 164, 135).

Il Concilio Vaticano II ha voluto sottolineare in modo particolare questo legame che si manifesta visibilmente nel pregare insieme di Maria e degli Apostoli, nello stesso luogo, in attesa dello Spirito Santo.

La Costituzione dogmatica Lumen gentium afferma: «Essendo piaciuto a Dio di non manifestare apertamente il mistero della salvezza umana prima di effondere lo Spirito promesso da Cristo, vediamo gli apostoli prima del giorno della Pentecoste "perseveranti d’un sol cuore nella preghiera con le donne e Maria madre di Gesù e i suoi fratelli" (At 1,14); e vediamo anche Maria implorare con le sue preghiere il dono dello Spirito che all'Annunciazione l’aveva presa sotto la sua ombra» (n. 59). Il posto privilegiato di Maria è la Chiesa, dove è «riconosciuta quale sovreminente e del tutto singolare membro…, figura ed eccellentissimo modello per essa nella fede e nella carità» (ibid., n. 53).

Venerare la Madre di Gesù nella Chiesa significa allora imparare da Lei ad essere comunità che prega: è questa una delle note essenziali della prima descrizione della comunità cristiana delineata negli Atti degli Apostoli (cfr 2,42).

Spesso la preghiera è dettata da situazioni di difficoltà, da problemi personali che portano a rivolgersi al Signore per avere luce, conforto e aiuto. Maria invita ad aprire le dimensioni della preghiera, a rivolgersi a Dio non solamente nel bisogno e non solo per se stessi, ma in modo unanime, perseverante, fedele, con un «cuore solo e un’anima sola» (cfr At 4,32).

Cari amici, la vita umana attraversa diverse fasi di passaggio, spesso difficili e impegnative, che richiedono scelte inderogabili, rinunce e sacrifici. La Madre di Gesù è stata posta dal Signore in momenti decisivi della storia della salvezza e ha saputo rispondere sempre con piena disponibilità, frutto di un legame profondo con Dio maturato nella preghiera assidua e intensa. Tra il venerdì della Passione e la domenica della Risurrezione, a Lei è stato affidato il discepolo prediletto e con lui tutta la comunità dei discepoli (cfr Gv 19,26). Tra l’Ascensione e la Pentecoste, Ella si trova con e nella Chiesa in preghiera (cfr At 1,14).

Madre di Dio e Madre della Chiesa, Maria esercita questa sua maternità sino alla fine della storia. Affidiamo a Lei ogni fase di passaggio della nostra esistenza personale ed ecclesiale, non ultima quella del nostro transito finale. Maria ci insegna la necessità della preghiera e ci indica come solo con un legame costante, intimo, pieno di amore con suo Figlio possiamo uscire dalla «nostra casa», da noi stessi, con coraggio, per raggiungere i confini del mondo e annunciare ovunque il Signore Gesù, Salvatore del mondo.

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15/08/2012 14:08
 
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 Figlia di Sion" è ormai uno dei titoli ai quali ricorre la pietà cristiana per onorare la Vergine Diciamo 'ormai' nel senso che tale attributo è da poco entrato nell'uso liturgico E' stato messo in luce la prima volta dal p Lyonnet (1939) e ripreso successivamente da studiosi prote­stanti e da vari biblisti cattolici Scrive R Laurentm "Esso è stato un elemento di dialogo, di comuni scoperte e d'un approfondimento comune sul posto proprio a Maria nella sto­na della salvezza" II Concilio l'ha adottato ufficialmente nel suo linguaggio, quando definisce la Vergine come "eccelsa figlia di Sion" (Lumen Genfium, 55)


Nei tempi antichi "Sion" era la rocca della Gerusalemme gebusea, sorgeva sul lato orientale del colle Fu espugnata da rè Davide, e proprio la sorse la sua reggia Gerusalemme-Sion è perciò detta anche "città di Davide", soprattutto dopo che vi fu trasportata l'arca (2 Sam 5, 67, 9-1 1/6, 1-12) Salomone costruì e il Tempio e la sua reggia Allora con il nome di "Sion" venne designato il monte del Tempio In seguito "Sion" designò anche l'intera città e/ a volte, la regione stessa o i suoi abitanti, cioè tutto Israele, come si può dedurre da altri paralle­lismi figlia di Babilonia, figlia di Edom/ figlia d'Egitto, figlia di Tiro, figlia di Sidone


Nei libri dell'Antico Testamento quindi una città, una regione, gli abitanti vengono indicati con il loro nome proprio preceduto dal termine "figlia".


Negli oracoli profetici la "figlia di Sion" è caratterizzata da appellativi come santa, sposa, vergine, madre, dimora di Dio, città del Dio vivente, gente o nazione eletta, Gerusalemme celeste, adunanza festosa, assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli Allora questa personificazione femminile riassume e sublima la realizzazione perfetta della nazione ebraica


LA FIGLIA DI SION E IL VANGELO DI LUCA


Per gli esegeti del Nuovo Testamento è l'evangelista Luca a vedere m Maria la figlia di Sion, intendendola come la per­sonificazione dell'Israele perfetto degli ultimi tempi In lei giun­ge a perfezione la nazione eletta Maria è figlia di Abramo secondo la discendenza, ma soprattutto per la fede perfetta E' al culmino dell'attesa millenaria di un popolo del proprio Messia-redentore


Tuttavia il passo di Luca 1, 2833 che postula il titolo di figlia di Sion non dimostra immediatamente ed esplicitamente tale tesi, ma solo per via indiretta mediante precisi riferimenti a tré testi dell'Antico Testamento


II racconto dell'Annunciazione appare come l'eco di tré profezie 1 Sofonia 3, 14-17 "Giubila, figlia di Sion, esulta Israele, rallegrati con tutto il cuore, figlia d'Israele è il Signore in mezzo a tè... Non tei lasciarti cadere le braccio, Yahvè, tuo Dio, è un salvatore potente .


2. Gioele 2, 21-27. "Non temere, terra, esulta perché grandi cose ha fatto il Signore... Voi, figli di gratevi e gioite nel Signore vostro Dio.. Voi riconoscerete che io sono in mezzo ad Israele...”


3. Zaccaria 2, 14-15; 9, 9-10: "Giubila, esulta, figlia di Sion, perché ecco io vengo ad abitare in mezzo a tè II Signore dimorerà in mezzo a tè e tu saprai che il Signore degli eserciti mi ha inviato a tè... Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme: ecco a tè viene il tuo rè, colui che è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio di asina... il suo potere si estenderà da un mare all'altro e dal fiume ai confini nella terra...


La "figlia di Sion", cui si rivolge il profeta Sofonia (e con lui Gioie e Zaccaria) è il "resto d'Israele", cioè la comunità ebraica reduce dall'esilio babilonese. La dimora coatta in terra straniera sarebbe stata il crogiuolo della purificazione Da popolo infedele, tornerà ad essere un popolo di poveri ossia di gente che riconosce il suo Dio come unico Rè e Salvatore, col rifiuto conseguente di alleanze e sicurezze in contrasto con la sua Legge II tempio di Gerusalemme sarà ricostruito fra il tripu­dio indicibile dei rimpatriati, lì si avrà come il segno sensibile di Jahvè che torna ad abitare nel seno del suo popolo.


Basandosi su questi testi, ma soprattutto su Sofonia, Luca riconosce in Maria la personificazione della Figlia di Sion. Nella vergine di Nazareth culmina il processo di preparazio­ne, promesso da Dio, nel corso dei secoli ecco viene il Messia salvatore.


Nel brano di Luca 1, 28-33 vengono ripresi vari vocaboli usati dai tré profeti: "Ti saluto, o piena di grazia", ma il verbo greco khàire, significa sì saluto, ma anche godi, esulta, ralle­grati. "Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce... gli fu messo nome Gesù come era stato chiamato dall'angelo prima di esser concepito nel grembo della madre" (Le 2, 21); i due periodi riprendono l'espressione dei tré profeti. in mezzo a te è il re d'Israele . abitare in mezzo a te, o Sion.


Infine i rallegrati, esulta, gioisci danno il tono gioioso a tutto il primo capitolo di Luca Come l'esortazione: non temere, è usata nelle tré profezie.


Con l'Incarnazione il grembo di Maria diviene la nuova arca dell'Alleanza, il nuovo tabernacolo del Tempio del Dio vivente in mezzo alla sua gente. Di nulla dovrà temere la nuova Sion, la Chiesa, di cui la Vergine Madre è la primizia e l'icona perfetta. Come figlia di Sion, Maria è legata indissolubilmente alla gens hebraica, a quel popolo che ha come caposnpite Abramo. E le genealogie impiegate da Matteo e Luca confer­mano in pieno questa tesi. Da Abramo in poi attraverso varie generazioni si arriva alla Vergine, ultimo anello di una catena che percorre la storia di un popolo. In Lei trovano riscatto anche le zone d'ombra legate a personaggi famosi non sem­pre dediti totalmente al Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. In Lei, figlia di Èva, confluiscono le aspirazioni di tutti i figli della promessa, finalmente realizzata.


Si tratta del piccolo resto, le cui caratteristiche sono la povertà e l'umiltà. Si distingue dagli orgogliosi che si pavoneg-giano sulla collina di Sion. Per i profeti l'orgoglio, la sicurezza basata sul potere e sui beni materiali generano presunzione e tracotanza.


Il nuovo popolo deve distinguersi in povertà e umiltà; eia permetterà di fondare le proprie speranze non sul potere politi­co, ne sugli armamenti, ne sulla ricchezza, ma sul riconosci­mento e la sottomissione a Dio: è questo l'atteggiamento glo­bale dell'uomo di fronte a Dio, atteggiamento che si confonde con quello della fede.


// resto, chiamato figlia di Sion, gode del privilegio de//a presenza nel proprio seno del Signore.


"Sono gli anawim, cioè i poveri e gli umili d'Israele, che attendono la salvezza del Dio di Àbramo, le donne sterili della prima Alleanza e lo stesso Israele sterile, al culmine di tale traiettoria c'è Maria, Arca dell'era messianica, Israele benedet­to, figura della Chiesa e dell'intera umanità" (Enzo Bianchi, Magnificat, Benedictus, Nunc Dimittis, ed. QiqaJon-Bose 1989/pp.32ss.).


Questa introduzione è utile per comprendere appieno la prima delle "Messe della Beato Vergine Maria", contenuta nella raccolta di "Formular! secondo l'anno liturgico", edita dall'Ed. Vaticana nel 1987.


MARIA VERGINE FIGLIA ELETTA DELLA STIRPE D'ISRAELE


Nell'anno liturgico l'assemblea ecclesiale celebra il proget­to della salvezza secondo il quale Dio, nella sua misericordia, chiamò i Patriarchi e strinse con loro un'alleanza d'amore; diede la legge di Mosè; suscitò i Profeti; elesse Davide, dalla cui stirpe sarebbe nato il Salvatore del mondo


I libri dell'Antico Testamento mentre preannunziano l'av­vento del Cristo, "mettono sempre più chiaramente m luce la figura della donna, madre del Redentore" (LG 55), cioè della beata Vergine Maria, che la Chiesa proclama letizia d'Israele ed eccelsa Figlia di Sion.


Infatti, la beata Vergine Maria, che cooperò con la sua innocenza a riparare la colpa di Èva, è figlia di Adamo per la nascita (Prefazio) colei che accoglie nella fede l'annunzio del l'angelo e concepisce nel grembo verginale il Figlio di Dio, è discendente di Abramo per la fede (Prefazio), per la stirpe è pianta della radice di Jesse (Prefazio), da cui spuntò il fiore, Gesù Cristo Signore nostro


Maria obbedendo con sincerità di cuore alla Legge e abbracciando con tutta l'anima la volontà di dio/ come affer­ma il Concilio Vaticano II, primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la sai vezza


Con Maria, eccelsa Figlia di Sion/ dopo la lunga attesa della promessa, si compiono i tempi e si instaura la nuova eco­nomia, quando il Figlio di Dio assume da lei la natura umana, per liberare l'uomo dal peccato (LG 55)


E' questo disegno della misericordia di Dio e della salvez­za che viene commemorato e celebrato in questa messa di Maria Vergine, figlia eletta della stirpe d'Israele Opportunamente, quindi, nella prima lettura si ricorda a scelta


- la promessa di Dio ad Abramo "In tè si diranno benedet­te tutte le famiglie della terra" (Gn 12, 1-7),


- la promessa fatta a Davide per bocca del profeta Natan "La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre" (2 Sam 7, 1-5 8b-ll/16) Nel vangelo poi si proclama la genealogia di Gesù Cristo (Mt 1, 1-17), dalla quale appare che il nostro Salvatore è figlio di Davide e figlio di Abramo.


Nell'antifona d'ingresso risalta un canto di gioia, tratto dal profeta Sofoma "gioisci ed esulta con tutto il cuore figlia di Gerusalemme ecco viene l'Atteso delle genti e la casa del Signore sarà inondata di gioia".


Nella colletta si dice che come gli umili e i poveri di Israele, di cui Maria è la vetta eccelsa, dobbiamo accogliere "con fede viva la tua parola ed imparare a riporre solo m tè ogni speranza di salvezza".


II prefazio elogia Maria "culmine della stona del popolo eletto", "pianta della radice di jesse", "discendente di Abramo per fede" e "credendo divenne madre", "dal cui grembo è ger­mogliato il fiore della salvezza".


Nell'orazione dopo la comunione si prega il Padre "affin­chè nel Cristo giungano a compimento le attese della nostra speranza".


L'itinerario, gioioso e sofferto, del nuovo Israele approderà alla gloria finale quanto "Dio sarà tutto in tutti"


[Modificato da Credente 15/04/2019 17:35]
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15/09/2012 18:30
 
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I DOLORI DI MARIA

La devozione alla Madonna Addolorata, che trae origine dai passi del Vangelo, dove si parla della presenza di Maria Vergine sul Calvario, prese particolare consistenza a partire dalla fine dell’XI secolo e fu anticipatrice della celebrazion
e liturgica, istituita più tardi. 
Il “Liber de passione Christi et dolore et planctu Matris eius” di ignoto (erroneamente attribuito a s. Bernardo), costituisce l’inizio di una letteratura, che porta alla composizione in varie lingue del “Pianto della Vergine”.
Testimonianza di questa devozione è il popolarissimo ‘Stabat Mater’ in latino, attribuito a Jacopone da Todi, il quale compose in lingua volgare anche le famose ‘Laudi’; da questa devozione ebbe origine la festa dei “Sette Dolori di Maria SS.” Nel secolo XV si ebbero le prime celebrazioni liturgiche sulla “compassione di Maria” ai piedi della Croce, collocate nel tempo di Passione.
A metà del secolo XIII, nel 1233, sorse a Firenze l’Ordine dei frati “Servi di Maria”, fondato dai Ss. Sette Fondatori e ispirato dalla Vergine. L’Ordine che già nel nome si qualificava per la devozione alla Madre di Dio, si distinse nei secoli per l’intensa venerazione e la diffusione del culto dell’Addolorata; il 9 giugno del 1668, la S. Congregazione dei Riti permetteva all’Ordine di celebrare la Messa votiva dei sette Dolori della Beata Vergine, facendo menzione nel decreto che i Frati dei Servi, portavano l’abito nero in memoria della vedovanza di Maria e dei dolori che essa sostenne nella passione del Figlio.
Successivamente, papa Innocenzo XII, il 9 agosto 1692 autorizzò la celebrazione dei Sette Dolori della Beata Vergine la terza domenica di settembre.
Ma la celebrazione ebbe ancora delle tappe, man mano che il culto si diffondeva; il 18 agosto 1714 la Sacra Congregazione approvò una celebrazione dei Sette Dolori di Maria, il venerdì precedente la Domenica delle Palme e papa Pio VII, il 18 settembre 1814 estese la festa liturgica della terza domenica di settembre a tutta la Chiesa, con inserimento nel calendario romano.
Infine papa Pio X (1904-1914), fissò la data definitiva del 15 settembre, subito dopo la celebrazione dell’Esaltazione della Croce (14 settembre), con memoria non più dei “Sette Dolori”, ma più opportunamente come “Beata Vergine Maria Addolorata”. 

Le devozioni 
I Sette Dolori di Maria, corrispondono ad altrettanti episodi narrati nel Vangelo: 1) La profezia dell’anziano Simeone, quando Gesù fu portato al Tempio “E anche a te una spada trafiggerà l’anima”. – 2) La Sacra Famiglia è costretta a fuggire in Egitto “Giuseppe destatosi, prese con sé il Bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto”. – 3) Il ritrovamento di Gesù dodicenne nel Tempio a Gerusalemme “Tuo padre ed io angosciati ti cercavamo”. – 4) Maria addolorata, incontra Gesù che porta la croce sulla via del Calvario. – 5) La Madonna ai piedi della Croce in piena adesione alla volontà di Dio, partecipa alle sofferenze del Figlio crocifisso e morente. – 6) Maria accoglie tra le sue braccia il Figlio morto deposto dalla Croce. – 7) Maria affida al sepolcro il corpo di Gesù, in attesa della risurrezione.
La liturgia e la devozione hanno compilato anche le Litanie dell’Addolorata, ove la Vergine è implorata in tutte le necessità, riconoscendole tutti i titoli e meriti della sua personale sofferenza.
La tradizione popolare ha identificato la meditazione dei Sette Dolori, nella pia pratica della ‘Via Matris’, che al pari della Via Crucis, ripercorre le tappe storiche delle sofferenze di Maria e sempre più numerosi sorgono questi itinerari penitenziali, specie in prossimità di Santuari Mariani, rappresentati con sculture, ceramiche, gruppi lignei, affreschi.
Le processioni penitenziali, tipiche del periodo della Passione di Cristo, comprendono anche la figura della Madre dolorosa che segue il Figlio morto, l’incontro sulla salita del Calvario, Maria posta ai piedi del Crocifisso; in certi Comuni le processioni devozionali, assumono l’aspetto di vere e proprie rappresentazioni altamente suggestive, specie quelle dell’incontro tra il simulacro di Maria vestita a lutto e addolorata e quello di Gesù che trasporta la Croce tutto insanguinato e sofferente.
In certe località queste processioni, che nel Medioevo diedero luogo anche a rappresentazioni sacre dette “Misteri”, assumono un’imponenza di partecipazione popolare, da costituire oggi un’attrattiva oltre che devozionale e penitenziale, anche turistica e folcloristica, cito per tutte la grande processione barocca di Siviglia. 

Le espressioni artistiche
Al testo del celebre “Stabat Mater”, si sono ispirati musicisti di ogni epoca; tra i più illustri figurano Palestrina, Pergolesi, Rossini, Verdi, Dvorak.
La Vergine Addolorata è stata raffigurata lungo i secoli in tante espressioni dell’arte, specie pittura e scultura, frutto dell’opera dei più grandi artisti che secondo il proprio estro, hanno voluto esprimere in primo luogo la grande sofferenza di Maria.
La vergine Addolorata è di solito vestita di nero per la perdita del Figlio, con una spada o con sette spade che le trafiggono il cuore.
Altro soggetto molto rappresentato è la Pietà, penultimo atto della Passione, che sta fra la deposizione e la sepoltura di Gesù. Il termine ‘Pietà’ sta ad indicare nell’arte, la raffigurazione dei due personaggi principali Maria e Gesù, la madre e il figlio; Maria lo sorregge adagiato sulle sue ginocchia, oppure sul bordo del sepolcro insieme a s. Giovanni apostolo (Michelangelo e Giovanni Bellini). Capolavoro dell’intensità del dolore dei presenti, è il ‘Compianto sul Cristo morto’ di Giotto. 
Nel Santuario dell’Addolorata di Castelpetroso (Isernia), secondo l’apparizione del 1888, Gesù è adagiato a terra e Maria sta in ginocchio accanto a lui e con le braccia aperte lo piange e lo offre nello stesso tempo.

In virtù del culto così diffuso all’Addolorata, ogni città e ogni paese ha una chiesa o cappella a lei dedicata; varie Confraternite assistenziali e penitenziali, come pure numerose Congregazioni religiose femminili e alcune maschili, sono poste sotto il nome dell’Addolorata, specie se collegate all’antico Ordine dei Servi di Maria.
L’amore e la venerazione per la Consolatrice degli afflitti e per la sua ‘compassione’, ha prodotto, specie nell’Ordine dei Servi splendide figure di santi, ne citiamo alcuni: I Santi Sette Fondatori, s. Giuliana Falconieri, s. Filippo Benizi, s. Pellegrino Laziosi, s. Antonio Maria Pucci, s. Gabriele dell’Addolorata (passionista), senza dimenticare, primo fra tutti, s. Giovanni apostolo ed evangelista, sempre accanto a lei per confortarla e condividerne l’indicibile dolore, accompagnandola fino al termine della sua vita.

Il nome Addolorata ebbe larga diffusione nell’Italia Meridionale, ma per l’evidente significato, ora c’è la tendenza a sostituirlo con il suo derivato spagnolo Dolores.

Autore: Antonio Borrelli


[Modificato da Credente 22/02/2014 18:51]
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03/10/2012 23:47
 
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da un articolo di V.Messori

 Una verità su Maria che la Chiesa ha sempre creduto e proclamato, nascosta nel versetto 13 del primo capitolo del Vangelo di Giovanni.

....Vediamo, dunque, come stiano le cose, riproducendo il breve versetto su cui tutto si basa. E’ il tredicesimo del primo capitolo, quel Prologo giovanneo cui sopra accennavamo e che diamo nell’ultima versione (quella del 2007) della Conferenza Episcopale Italiana. Ma per comprendere, dobbiamo prima riprodurre anche i due  versetti precedenti, l’undicesimo e il dodicesimo: <<Venne tra i suoi e i suoi non l’hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome>>. Seguono le righe su cui si è appuntata la ricerca del nostro studioso: <<I quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati>>.

Questa, dunque, la versione tradizionale e questa, invece, secondo il docente del Biblico, la versione autentica: <<Non da sangui, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio egli (Gesù) è stato generato>>.

Come si vede, il verbo “generare“ è al singolare e non al plurale come nella versione delle nostre edizioni della Scrittura. In effetti, il soggetto è uno solo: Gesù. Mentre nella versione tradizionale, è al plurale, il soggetto essendo <<quelli che credono nel suo nome>>. Dunque, per ripeterci ma per maggior chiarezza, in questo punto decisivo: messo al singolare, il versetto parla della generazione divina del Cristo;  messo al plurale parla della trasformazione dei credenti in lui. Da notare subito, anche, che – in tutti i manoscritti antichi  che abbiamo – “sangue“, in greco, è al plurale ma mentre nella Vulgata latina il plurale è stato rispettato (ex sanguinibus), in italiano è stato sempre tradotto al singolare. Eppure (si controlli anche su dizionari classici come quello del  Tommaseo), “sangui “ in italiano è raro ma esiste ed è impiegato anche da buoni autori. Se nelle traduzioni italiane non lo si è usato e non lo si usa tuttora, non è (come molti hanno detto) perché “sangui“ non c’è nella nostra lingua, ma perché non si è compreso quale fosse la sua importanza nel pensiero di Giovanni. Come vedremo.

La prima domanda da fare è questa: i documenti antichi che abbiamo del Nuovo Testamento, autorizzano a usare la terza persona singolare del verbo “generare “ (attribuendola a Gesù) invece della terza persona plurale, attribuendola ai cristiani?

Va subito detto: tutti, o quasi, i manoscritti greci hanno il plurale. Ma i più antichi di essi risalgono solo al quarto secolo, se si escludono dei frammenti casuali su papiro. E,  invece, abbiamo testi di scrittori cristiani e poi di padri della Chiesa, risalenti al   secondo secolo, che citano questo versetto al singolare. Per risalire ai più antichi, Sant’Ireneo di Leone, verso il 190, usa il singolare. Addirittura, il sempre polemico Tertulliano, attorno all’anno 200 , imbastisce una disputa  proprio attorno a questo brano e accusa una setta di eretici di avere falsificato le parole di Giovanni, mettendole- appunto- al plurale. Cioè, quello  che è entrato nel testo ufficiale del Vangelo e  che  ancora usano le nostre edizioni attuali. Oltre al latino, abbiamo la testimonianza del singolare nei testi più antichi in siriaco, in copto, in etiope.

Va precisato per coloro che non hanno familiarità con la critica biblica: la ricostruzione del testo originale della Scrittura condotta solo  sui documenti superstiti  è detta “critica esterna“. Ma questa va completata (tutti gli studiosi moderni concordano)   con la “critica interna“, che scende più in profondo e che, in questo nostro caso, porta a preferire  un “è stato generato“ piuttosto che un “sono stati generati“.

Insomma, la situazione è tale che padre de la Potterie poteva scrivere, già nel 1978 e poi ribadire nel 1983, nel suo secondo articolo-saggio, che proprio la ricerca non solo sugli antichi manoscritti evangelici ma anche sulle citazioni dei primissimi autori cristiani, sembra rendere necessario tornare al <<da Dio è stato generat >> , avendo per soggetto Gesù. Rileggiamoci il versetto in quella che sembra essere davvero la versione originaria finalmente restaurata secondo le intenzioni dell’evangelista e ci renderemo subito conto (come vedremo ancor meglio qui sotto) che qui abbiamo una testimonianza preziosissima sulla triplice verginità di Maria. Eravamo convinti che Giovanni si riferisse a quella che non chiama mai col suo nome, ma con quello di “madre di Gesù”, soltanto per l’episodio di Cana e per la presenza ai piedi della croce: ecco invece riemergere una terza testimonianza mariana, di importanza davvero primaria.

Chiediamoci ora: perché già prima del  IV secolo è sparito il riferimento all’origine divina di Gesù e nei testi evangelici si è imposto quel plurale che è giunto sino a noi e che, a ben guardare, inserisce una sorta di corpo  estraneo? In effetti, tutto il prologo di Giovanni è un inno solenne alla incarnazione del Verbo ed ecco apparire a sorpresa e in modo che non sembra giustificato <<quelli che credono nel suo nome>>, cioè i membri della Chiesa. E in che modo, poi, questi battezzati, uomini concreti in carne ed ossa e non eterei angeli, sarebbero stati generati <<non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomini >>?

Sembra che sia avvenuto questo: nella Chiesa primitiva infieriva la setta detta dei “doceti“, i quali negavano la natura umana di Gesù e di conseguenza, il suo concepimento da parte di Maria . Questa sarebbe stata non la madre che ha per nove mesi la creatura nel ventre, ma una sorta di tubo dell'acqua attraverso il quale il Cristo – la cui immagine umana era soltanto apparente - sarebbe passato. Il docetismo (il cui “spiritualismo” era particolarmente pericoloso, rendendo Gesù non una persona,  ma una sorta di superarcangelo) si appoggiava proprio  sul versetto 13 del prologo che stiamo esaminando: il Cristo era venuto tra noi non solo in modo verginale, come attestato dal <<né da volere di carne>> e dal <<né  da volere di uomo>>. Ma, soprattutto, le tesi doceta sarebbe provata da quel <<nec ex sanguinibus>>. Ma che cosa sono quei “sangui“ ? Come dicevo sopra, che questo plurale faccia parte del testo originale non c’è alcuna discussione, tutte le testimonianze lo riportano, sia quelle in cui Gesù è il soggetto, sia quelle in cui soggetto sono i suoi discepoli. Ma se (come Giovanni doveva avere  scritto nel suo prologo) soggetto era il Messia, questa espressione  poteva essere utilizzata facilmente dal docetismo: se Egli non era stato “generato da sangui“, era perché non aveva un corpo come ogni altra persona umana, non c’era stato un parto, sempre accompagnato da effusione di sangue da parte della donna. Dunque, per citare testualmente il nostro padre de la Potterie, << per risolvere radicalmente la questione e togliere agli eretici un’arma, probabilmente all’inizio del III secolo gli scrittori ecclesiastici cominciarono a cambiare il verbo al plurale, spostando il tutto sui cristiani ma interrompendo così, tra l’altro, l’unità del Prologo giovanneo, tutto incentrato sul mistero del Logos fattosi carne>>. Il “ritocco“  ecclesiale finì per coinvolgere anche l’originale del Vangelo ed è giunto sino a noi.

Ma riflettiamo soprattutto  su quel “sangui“, facendoci aiutare dalla sintesi del padre Domenico Marcucci, uno dei pochi studiosi che ha avuto il coraggio di rompere il conformismo dei colleghi, prendendo radicalmente sul serio lo studio del biblista della Gregoriana: <<Nei testi  greci, aima, sangue, si trova solo al singolare. Ma Giovanni usa il plurale. Perché? Per capire, de la Potterie si è rivolto all’ebraico, visto che il quarto evangelista è intriso profondamente della sua cultura, quella giudaica.

Nell’Antico Testamento in ebraico, la parola “sangui“ (damim) sta a significare il sangue versato dalla donna durante le mestruazioni e durante il parto. Esso la rendeva impura, per cui doveva recarsi al tempio per la purificazione>>. Dunque: <<Il “non da sangui“ sta a significare che la nascita di Gesù è avvenuta, a differenza di ogni altra, senza l’effusione del  sangue, dunque verginalmente >>.

Proviamo a rivedere il versetto 13 nella versione  che sarebbe quella originale e vediamone le conseguenze: Gesù  <<è stato generato da Dio>> e, dunque, <<non da volere di carne, né da volere di uomo>> (virginitas ante partum). Inoltre, il parto si svolse <<non da sangui>>, dunque senza le consuete lesioni corporali, il che sottintende sia la virginitas in partu che quella post partum, non avendo il passaggio del corpo del figlio provocato sanguinamenti e avendo dunque lasciata intatta la madre. Come si vede, un risultato di straordinaria importanza: e questo, soltanto rimettendo al singolare un verbo, come pare proprio fosse nelle intenzioni di Giovanni. Questi, tra l’altro, chiarisce subito che ciò  non mette in discussione la materialità corporea, la realtà umana di Gesù. E, in effetti, il prologo prosegue con le parole: <<E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi…>>. Sta di fatto che, come nota giustamente de la Potterie, se i primi Padri della Chiesa trovavano già in Matteo e in Luca elementi per la concezione verginale, è proprio nel primo capitolo di Giovanni che trovavano non solo conferma ad essa, ma anche un riferimento diretto a un dare alla luce verginale, senza perdite che l’ebraismo considerava impure come quelle  di tutte le partorienti.

Ora: perché tanta noncuranza, tanto silenzio su questa riscoperta del possibile, preciso fondamento scritturale di una verità come la semper Virgo, già presente nella Tradizione  cristiana  nel secondo secolo e divenuta poi dogmatica nella Chiesa? Un punto di fede considerato così importante che, in Oriente, tra le rigide regole date agli iconografi vi è quella di non rappresentare mai la Theotokos senza tre stelle - una sul capo e due sulle spalle –a segno della triplice verginità. Il padre Ignace non aveva torto nel denunciare il conformismo di tanti suoi colleghi, per i quali un simile tema è fonte di imbarazzo, tanto che, come dice padre Marcucci : <<In molti manuali di mariologia usati nei seminari cattolici, la verginità ante, in, post è oggetto di silenzi imbarazzati più  che di seria trattazione>>. Ma, attenzione! In uno dei suoi ultimi libri, il padre Stefano De Fiores – forse il nostro maggior mariologo, purtroppo scomparso  da poco, docente anche alla Gregoriana– citava gli studi di la Potterie e  ne accettava con convinzione i risultati, giudicandoli fondati non solo sui documenti ma anche sulla dinamica di Giovanni. Un riconoscimento davvero importante.

Ma l’ultimo studio in proposito  del docente della Gregoriana è, come dicevo, del 1983. Perché la traduzione della Bibbia, rivista e aggiornata della CEI e  che è di 24  anni dopo, non segnala almeno in nota a Gv 1,13 la possibilità, che sembra avvicinarsi alla certezza, che il testo primitivo avesse Gesù e non il suo popolo come soggetto?

Una cosa, comunque è confermata per l’ennesima volta: la Scrittura è ancora in grado di riservarci sorprese, alcune delle quali –come nel caso ci cui parliamo– riguardano quella Madre di Dio il cui mistero è al contempo discreto e inesauribile.

© Il Timone

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20/01/2014 21:34
 
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Il salmo 45 ci offre alcuni spunti di riflessione sulla figura di una regina che siede in trono accanto al Re.


Ecco il testo per cercare di comprenderne il significato:


Salmo 45 (44)


2Effonde il mio cuore liete parole,
io canto al re il mio poema.
La mia lingua è stilo di scriba veloce.

3Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo,
sulle tue labbra è diffusa la grazia,
ti ha benedetto Dio per sempre.
4Cingi, prode, la spada al tuo fianco,
nello splendore della tua maestà ti arrida la sorte,
5avanza per la verità, la mitezza e la giustizia.
6La tua destra ti mostri prodigi:
le tue frecce acute
colpiscono al cuore i nemici del re;
sotto di te cadono i popoli.

7Il tuo trono, Dio, dura per sempre;
è scettro giusto lo scettro del tuo regno.
8Ami la giustizia e l'empietà detesti:
Dio, il tuo Dio ti ha consacrato
con olio di letizia, a preferenza dei tuoi eguali.

9Le tue vesti son tutte mirra, aloè e cassia,
dai palazzi d'avorio ti allietano le cetre.

10Figlie di re stanno tra le tue predilette;
alla tua destra la regina in ori di Ofir.

11Ascolta, figlia, guarda, porgi l'orecchio,
dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre;
12al re piacerà la tua bellezza.
Egli è il tuo Signore: pròstrati a lui.
13Da Tiro vengono portando doni,
i più ricchi del popolo cercano il tuo volto.

14La figlia del re è tutta splendore,
gemme e tessuto d'oro è il suo vestito.
15È presentata al re in preziosi ricami;
con lei le vergini compagne a te sono condotte;
16guidate in gioia ed esultanza
entrano insieme nel palazzo del re.

17Ai tuoi padri succederanno i tuoi figli;
li farai capi di tutta la terra.
18Farò ricordare il tuo nome
per tutte le generazioni,
e i popoli ti loderanno in eterno, per sempre.

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Da una lettura del salmo fatta  considerando gli elementi presenti nel Nuovo Testamento, questo salmo è innanzitutto da considerare in chiave messianica, e per noi cristiani,  riferito a Cristo Re .
 
Tuttavia mi sono detto:  Il Re è certamente Cristo che siede in trono. A lui si riferisce l'espressione: "Il tuo trono, o Dio, dura in eterno". Questo  lo conferma anche la lettera agli Ebrei nel primo capitolo.
---Ma a chi si riferisce invece l'espressione  del salmo ?:
10 Figlie di re stanno tra le tue predilette;
alla tua destra la regina in ori di Ofir.


Mi tornano alla mente alcune parole di Gesù ai suoi discepoli:  "quanto al sedere alla mia destra o alla mia sinistra, non sta a me concederlo ma è per coloro ai quali è stato riservato dal Padre mio".

Se ne può dedurre che accanto a Gesù, alla sua destra ci sarà qualcuno: e il profeta Davide vi vedeva una regina.

Se si tiene conto del fatto che Gesù è risorto e possiede un corpo, accanto a
Lui ci dev'essere, qualcuno che abbia un corpo. Non è pensabile che si tratti dell'intera Chiesa, formata da tante persone tutte insieme, anche se la Chiesa insieme forma la Sposa di Gesù. Anche perchè oltre alla REGINA vengono citate a parte le "vergini compagne"  che fanno pensare ad un insieme di persone che potrebbero più logicamente indicare la Chiesa nel suo insieme. Mentre accanto a queste vergini, sul trono accanto al Re, siede da sola la REGINA. E' più probabile riferire alla persona di Maria, la quale si trova insieme alle altre vergini ma ne è distinta. Maria è il prototipo della Chiesa, la incarna, la rappresenta, e ne è la capostipite

proseguiamo con il salmo 45 :

14 La figlia del re è tutta splendore,
gemme e tessuto d'oro è il suo vestito.
15 È presentata al re in preziosi ricami;

Essa siede accanto al Re, infatti viene chiamata REGINA. Ma qui dice che ne è figlia.

 Maria è figlia di suo Figlio essendo anch'essa una sua creatura, e nello stesso tempo ne è madre nel tempo terreno.

Nell'Apoc. Giovanni descrive una "donna vestita di sole" che fa ricordare questa regina che è "tutta splendore"

Le gemme e il tessuto d'oro con i preziosi ricami, possono indicare le virtù di cui è stata arricchita.

15 ...con lei le vergini compagne a te sono condotte;
16 guidate in gioia ed esultanza
entrano insieme nel palazzo del re.

con lei vergine sono condotte altre vergini dal Re.
Maria è detta esplicitamente Vergine da Isaia e dall'evangelista.


Fa pensare anche al verso di Apoc 14,4: Questi non si sono contaminati con donne, sono infatti vergini e seguono l'Agnello dovunque va. Essi sono stati redenti tra gli uomini come primizie per Dio e per l'Agnello.

Tra le vergini, il salmista ne scorge una in particolare: la regina.

Da notare è poi l'espressione del salmista:
18Farò ricordare il tuo nome
per tutte le generazioni,
e i popoli ti loderanno in eterno, per sempre.

Non è chiaro dal testo del salmo, che passa frequentemente da un soggetto all'altro, se tale espressione si riferisca al Re oppure alla Regina. Ma è davvero singolare la straordinaria corrispondenza di questa frase ispirata e profetica del salmista, con le stesse parole pronunciate dalla Vergine e che riguardavano se stessa:
Luca 1,48 .... D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. 49 Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome... 
Parimenti anche l'espressione del versetto 17 potrebbe attribuirsi alla Regina:
17Ai tuoi padri succederanno i tuoi figli;
li farai capi di tutta la terra.

I padri possono essere tutti gli ascendenti regali e sacerdotali di Maria, mentre i suoi figli sono coloro che hanno accolto Cristo e hanno vinto con il loro martirio, secondo le parole di Apoc 12,17 Allora il drago si infuriò contro la donna e se ne andò a far guerra contro il resto della sua discendenza,... 
e di Apoc 5,10: e li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti e regneranno sopra la terra».
---- La discendenza della Donna è distinta dalla Donna e può essere appunto l'insieme dei cristiani (la Chiesa) che nel corso dei secoli avrebbero dovuto affrontare le avversità scatenate dal maligno contro di essa. --- Così possiamo dedurre che  quella Regina, che siede accanto al Re, avrebbe avuto dei "figli"=discendenza,  che sarebbero stati  fatti"capi di tutta la terra".

[Modificato da Credente 02/03/2023 19:13]
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30/08/2014 12:58
 
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Genesi 3,15

Io porrò inimicizia tra te e la donna,
tra la tua stirpe
e la sua stirpe:
questa ti schiaccerà la testa
e tu le insidierai il calcagno».
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