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L'ESERCIZIO DEI DONI e le attivita' del RnS

Ultimo Aggiornamento: 21/01/2019 20:32
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23/01/2010 00:32
 
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INTERCESSIONE:
UN CARISMA DA APPROFONDIRE E SVILUPPARE
 Fabio Calandrella

Tutti i battezzati sono intercessori, in qualità di re, profeti e sacerdoti. Esiste, però, un'intercessione come carisma; allora l'intercessore, colui che ha ricevuto un impegno specifico, chi è? L'articolo traccia un profilo dell'intercessione nel Rinnovamento approfondendo alcuni aspetti fondamentali, di natura pratico-pastorale, sull'intercessione come carisma.

Intercessione: chiamati a consolare

Credo che si debba, prima di ogni cosa, sgombrare il campo da una falsa rappresentazione di questo servizio, chiarendo che tutti noi battezzati siamo intercessori, perché in qualità di re, profeti e, soprattutto in questo caso, sacerdoti, abbiamo il dovere di sostenere, con la nostra preghiera, le necessità dei fratelli. Ma l'intercessore, colui cioè che ha sentito di aver ricevuto un impegno specifico, chi è?

E colui, chiamato dal Signore a farsi interprete della sua hesed, dei suo sentimento per l'uomo. E che cosa è questa hesed? Noi, forse, potremmo tradurla con un unico termine: misericordia. In realtà ciò che Dio prova per l'uomo non si può ridurre a un solo termine. Occorrerebbe, infatti, un insieme di vocaboli per provare a rendere appena l'idea.

In Osea, il Signore che attira l'anima a sé usa un'espressione sponsale, dice: «ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa [..] Nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore» (Os 2,21-22).

Questo è ciò che Dio vuoi far conoscere di sé al suo popolo: benevolenza, amore, misericordia, giustizia: questo è ciò che l'intercessore deve, come uno specchio, come un ripetitore, come un'antenna, trasmettere.

Il Signore va in cerca di chi si faccia portavoce di questa sua tenerezza per l'uomo, di questo amore e gli presti, per così dire, mani, voce, gambe, parole per chinarsi sul suo popolo, sulle miserie dei suo popolo.

Allora l'intercessore è colui che si china a guardare l'uomo, l'altro uomo, il fratello, con il cuore di Dio, con gli occhi di Dio: è colui al quale il Signore chiede di fare da ponte tra la sua generosità e le nostre debolezze.

Il Signore va in cerca di chi faccia questo per lui: «Ho atteso compassione, ma invano, consolatori, ma non ne ho trovati » (Sai 69, 21 b).

Ma il Signore prova sentimenti di pietà per il suo popolo e non rimane lontano, non se ne sta in disparte; ricordiamo quanto avviene nel libro dell'Esodo: «Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio» (Es 2, 23).

E' a questo punto che il Signore suscita intercessori: «il Signore fa attento il mio orecchio», dirà il profeta (cf Is 50, 4), e l'intercessore, infatti, è colui al quale il Signore apre l'orecchio alle necessità, alle miserie, al pianto dei suo popolo che si rivolge a lui perché si chini, perché agisca, perché si ricordi dei suo patto d'amore, perché si muova a pietà.

Chi è chiamato a intercedere deve, nel mondo di oggi, essere attento alle mille voci di pianto che salgono dall'uomo, rappresentate dalle vecchie, ma soprattutto nuove povertà, dai problemi di sempre, ma anche da quelli dei nostro tempo e, fra questi, primo fra tutti la solitudine.

Chi intercede deve saper prestare grande ascolto ai fratelli, donare tempo a questa attività che il mondo non conosce più: la fretta, i ritmi vertiginosi della nostra società inducono, in maniera sempre più incalzante, a fare, ad agire, a non perdere tempo, ma ciò conduce troppo spesso a vivere come monadi, amplificando problemi e drammi dell'uomo solo.

Come agisce l'intercessore: le due prospettive

La fede

La prima prospettiva nella quale deve porsi l'intercessore è quella della fede: «Abbiate fede in Dio» (Me 11, 22); «in verità vi dico: se uno dice a questo monte... » (Me 11, 23).
L'atteggiamento di fede non solo è primario rispetto a tutto quanto il resto, ma rappresenta anche una forte responsabilità per l'intercessore, che è data dal fatto di credere e di porre il suo credere a base della preghiera che sta formulando.

Ricordiamo l'episodio, narrato nel vangelo di Luca, degli amici dei paralitico (cf Lc 5, 17-26): è «vista la loro fede» (Lc 5, 20) che il Signore agisce. Gesù si appropria, si serve, fa leva sulla fede degli amici che intercedono per guarirlo!

E questo atteggiamento di fede è tanto più importante se consideriamo (cosa che in pratica si fa poche volte!) che non si può imporre la fede a nessuno, si può soltanto suscitare, in chi si rivolge a noi, la fiducia in colui che deve prendersi cura della situazione.

Lo stile di vita

La seconda prospettiva in cui si deve porre l'intercessore è un indirizzo di vita, uno stile di vita che deve osservare e praticare ed è dato dall'ascolto continuo, dal dialogo ininterrotto con Dio, che può avvenire solo nella e attraverso la preghiera: mettersi all'ascolto di Dio per conoscerlo, per capire qual è la sua volontà, per sentire la sua voce.

Gesù stesso (l'unico intercessore da imitare), si appartava spesso in preghiera per stare con il Padre, per ascoltarlo e poi annunciarlo; anche i discepoli, a volte, erano invitati a stare in disparte per imparare da lui e poi andare ad annunciare le opere dei Padre.

Concretamente, allora, l'intercessore è colui che si mette costantemente al l'ascolto di Dio e dei fratelli e fa in modo che si incontrino; è colui che suscita la fiducia nelle opere dei Padre, ma non può suscitare, ovviamente, fiducia in qualcuno che non conosce o di cui non è veramente amico!

l'intercessore è in tale confidenza amichevole con Dio da poter patteggiare con lui, può addirittura riuscire a "tirare sul prezzo", quasi quasi lo sfida, è capace di gridare al Signore con forza e fede: "fino a quando, Signore, starai a guardare?" (Sal 35, 17a); è colui che lo provoca fino a dirgli: «non per noi, ma per il tuo nome» agisci (cf Sal 115, 1).

E come si comprende se l'intercessore "ha chiesto bene". Dalla risposta che Dio dà alle sue richieste, risposta più o meno immediata, più o meno conforme alla richiesta, ma sicura, puntuale, vera.

L'intercessore, infine, è colui che indica sempre Dio, senza mai mostrare se stesso, colui che, consapevolmente, rivolge al Signore ciò che sant'Agostino diceva di Giovanni il Battista, rispetto a Gesù: «io ascolto, egli è colui che parla; io sono illuminato, egli è la luce; io sono l'orecchio, egli è il Verbo».

L'INTERCESSIONE NEL RINNOVAMENTO

L'intercessione è uno degli ambiti privilegiati d'intervento della preghiera carismatica. Spesso, però, se molta è la richiesta di intercessione,rimane carente nei gruppi una presenza di persone realmente formate teologicamente e motivate.

A conclusione delle settimane di formazione al ministero di intercessione tutti i partecipanti sono stati stimolati a rivedere, al di là del ministero specificamente svolto da ciascuno, la propria disponibilità al servizio nelle situazioni particolari di provenienza. Inoltre è stata ribadita l'esigenza di rivisitare il ministero dell'intercessione, ritenuto ancora da molti legato solo alla sfera del fenomenico, per ricondurlo alla chiamata che il Signore rivolge ad alcuni a farsi "altare" per l'offerta dei fratelli e i fratelli.

In passato molti sono stati spinti a operare più sulla scia di una spinta emozionale o per colmare un vuoto di servizio, intercedendo per le varie necessità prospettate dal gruppo, con disparate forme di preghiera. Da questa situazione scaturiva una certa disomogeneità di maturità, di servizio, di formazione, di motivazioni personali e comunitarie.

Per dare la giusta risposta alle richieste di intercessione, alle situazioni di di sofferenza, di qualunque natura, con i corsi di formazione si è cercato di privilegiare alcuni aspetti imprescindibili di natura pratico-pastorale, come: - l'intercessione come carisma; - discernimento sulle situazioni proprie del ministero; - modo pratico di condurre una preghiera di intercessione; - accompagnamento spirituale del malato e delle situazioni di bisogno; - inserimento nel cammino di gruppo; - uso dei carismi nella preghiera di intercessione;

 


SINTESI

- Chi può intercedere: tutti i battezzati sono chiamati all'intercessione generale, ma c'è un'intercessione particolare che è specifica risposta a a chiamata del Signore.

- Il giusto atteggiamento di chi intercede: la prospettiva di fede; lo stile di vita.

- Come riconoscere l'efficacia dell'intercessione: dalla risposta del Signore alle richieste, risposta più o meno immediata, più o meno conforme alla richiesta, ma sicura, puntuale, vera.

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23/01/2010 00:34
 
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LA CHIESA ESISTE PER EVANGELIZZARE

Lidia Stefani
Responsabile Ministero dell'Evangelizzazione del RnS

Il significato di Evangelii nuntiandi, nella sintesi della relazione di p. Rinaldo Paganellí, tenuta in occasione della settimana di formazione di Caserta. Un appello agli animatori per meglio comprendere come l'evangelizzazione sia il compito che Dio ha affidato a tutti i cristiani.


Ogni evangelizzato sia evangelizzatore

Quando il Vaticano Il afferma che la Chiesa è missionaria per sua natura, che la Chiesa non può non essere missionaria, che la missione è la ragion d'essere della Chiesa, è in questione l'essere o il non essere della Chiesa (Lumen gentium n. 1; cf Evangelii nuntiandi n. 13).

La missione non è un'operazione che la Chiesa può fare o non fare in sovrappiù ad altre attività. Non è un compito che riguarda prima di tutto i missionari. La missione tocca il cuore dei problema, è la pietra di paragone della nostra fede. Di conseguenza sappiamo che ogni evangelizzato deve essere un evangelizzatore, ma sappiamo anche che soltanto coloro che sono evangelizzati possono evangelizzare in modo autentico.

Ora sarebbe meglio non classificare i cattolici in praticanti e non, ma in evangelizzatori e non evangelizzatori.

Colui che si accontenta di salvare la propria anima e non è disposto a prendere parte all'evangelizzazione del mondo, a essere un punto interrogativo evangelico per gli altri, non ha capito il significato dei cristianesimo.

L'evangelizzazione non è opera di navigatori solitari. Non è fatta per avventure individuali. L'evangelizzazione si svolge nella barca di Pietro, in comunione di vita e di azione con tutti i fratelli, ciascuno secondo il dono ricevuto.

Certo, la convinzione che la Chiesa e la missione hanno comunque un futuro può anche diventare pericolosa. Si potrebbe essere troppo rassicurati e lasciare che il mondo evolva per conto suo. Nella Chiesa vi sono alcuni che pensano: «La Chiesa vecchia e sapiente non può perire; ha già superato tante tempeste, si può continuare a dormire sonni tranquilli».

Ma l'avvenire della Chiesa, contro la quale le forze degli inferi non prevarranno, è una promessa di Cristo alla Chiesa, non tanto per la Chiesa stessa quanto piuttosto come segno di salvezza per il trionfo, poiché il mondo ha bisogno della Chiesa.

L'annunciatore portavoce della tradizione viva

La proposta che la Chiesa sente di poter fare al mondo di oggi è ben interpretata da san Paolo che, scrivendo ai cristiani di Corinto, così dice: «Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto» (1Cor 15, 3a)_

San Paolo espone qui un carattere essenziale dei suo ministero apostolico che è anche regola del fondamento, non solo dell'attività ministeriale, ma della stessa essenza e vita della Chiesa, che, in ogni epoca della sua vita, si è, sempre ispirata a questo assoluto rispetto della tradizione. Fra missione e tradizione esiste, dunque, uno stretto legame, che però non bisogna dare per scontato, occorre realizzarlo fra due realtà dinamiche in continua tensione, un deposito della fede che è immutabile ma che bisogna far vivere in ogni epoca, in ogni uomo.

Questo deposito della fede parte dal Padre, che ci dona il Figlio, uomo-Dio, e dall'uomo-Dio, mediante lo Spirito, passa agli apostoli, alla comunità primitiva e da questa alle contemporanee e successive chiese. Ora, se è importante rimanere fedeli alla tradizione, è anche vero che l'esperienza viva della realtà di fede si può fare solo all'interno della Chiesa; è questa la condizione perché. essa sia in grado di trasmetterla. Questa esperienza ha tre momenti essenziali: la vocazione, la convocazione e la missione.

Il momento personale: la vocazione

Lo Spirito Santo che, vivifica la Chiesa, vive e opera in ciascun battezzato, benché sia certamente difficile mettere insieme unità e varietà, persone e gruppo. Lo sperimentò anche sari Paolo, soprattutto nella chiesa di Corinto.

Vi era una varietà di carismi che rendeva difficile la vita della comunità, fino a crearvi divisioni e fazioni. Ebbene cosa pensa di fare Paolo in questa comunità malata? In casi simili, a noi, verrebbe la tentazione di perdere la fiducia nei carismi e nei carismatici, e di mettere tutto in ordine limitando la varietà dei carismi.

San Paolo, al contrario, inizia la sua lettura dei fatto in modo inaspettato: « Ringrazio continuamente il mio Dio per voi [...] perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni» (1Cor 1, 4-5a). Come vediamo, mantiene fiducia piena nei suoi cristiani di Corinto. Una fiducia nello Spirito che spira come vuole e, a volte, in maniera imbarazzante (cf 1 Cor 12, 13 -14; Rm 12, 4).

E' un discorso difficile quello di Paolo, e a volte disatteso oggi. Si insiste più frequentemente sulla convocazione e sulla missione. Ed è anche più facile farlo: c'è in queste due componenti dell'esperienza ecclesiale anche qualche elemento di carattere psicologico, sociologico ed esperienziale. E' più facile parlarne ed è più facile venire capiti quando se ne parla.

Mentre, quando si parla di vocazione, si sperimenta la difficoltà di annunciare un mistero, senza possibilità di sussidi psicologici. Eppure è necessario metterla alla base di ogni ecclesiologia, altrimenti, sia l'appartenenza alla Chiesa come la conseguente missione, possono ricevere le più varie motivazioni (cf Rinnovamento della catechesi n. 185). Infatti, se provate a domandare a un cristiano perché si sente un cristiano impegnato, forse verranno risposte marginali, ma con fatica arriva quella giusta. I più preparati, riferendosi a Lumen gentium n. 33, ricorderanno che per mezzo dei battesimo e della confermazione sono deputati alla missione salvifica della Chiesa.

Ci sono poi quelli che leggono le Scritture e si sentono interpellati.

In ambedue i casi, comunque, la vocazione è incompleta perché l' hanno ricevuta mediante strumenti e se, attraverso tali strumenti, non si arriva all'incontro con Gesù morto e risorto, la vocazione non sarà autentica. C'è anche chi si sente chiamato a seguito di un invito del parroco o chi si sente interpellato a un servizio per tenere presenti i mali dei mondo, Tutti casi da non trascurare. Ma un'autentica vocazione ecclesiale deve essere sempre un incontro personale.

Il momento comunitario: la convocazione

Lo Spirito vive e opera in ciascun battezzato «per formare un sol corpo» (1 Cor 12, 13).
Cosi al rapporto verticale della vocazione si aggiunge ora questo rapporto orizzontale, manifestato dalla comunità. Lo Spirito offre doni diversi ma complementari perché si formi un'organica comunità ecclesiale. Paolo stabilisce due criteri normativi:

- Gesù è il Signore (cf 1 Cor 12, 3);

- l'edificazione della comunità (cf 1 Cor 12, 7).

Pertanto chi esercita un ministero nella Chiesa, deve tenerlo sempre presente: è un servo di Cristo e per questo, sul suo esempio, si mette a servizio dei fratelli.

L'edificazione non è semplice "buon esempio" ma ha il senso forte di «costruire pietra su pietra» (cf 1 Pt 2, 4-5), di edificare il corpo di Cristo che è la Chiesa (cf Ef 4,12).

La ministerialità non è per reintrodurre nella Chiesa una distinzione di classi, ma per recuperare quella sorta di primato ontologico del l'intero popolo di Dio, che porta a stimare la pari dignità di ogni persona, ciascuna con il suo dono, perché non sarà senza l'apporto di ciascuno che il Vangelo si fa vita.

Il momento dell'azione: la missione

Ci può guidare opportunamente, in questa riflessione sul momento dell'azione, il comando del Signore: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16, 15b).
Nel comando missionario tre elementi sono da tenere presenti:

- andate;
- evangelizzate;
- ogni creatura.

Alcuni assolutizzano il primo elemento e si sentono investiti da una chiamata di Dio a compiere un servizio. Ma si fermano l'i. Non hanno un solido contenuto dottrinale da esporre.

Altri si fermano alla missione: cioè al contenuto da annunciare. Essi costituiscono una specie di Chiesa ripetitiva. Amano la dottrina più che il Cristo salvatore e il fratello da salvare.

Ci sono poi quelli che si sentono inviati al popolo, tengono presenti i destinatari senza far riferimento né a Cristo né alla sua Chiesa. Si lasciano sollecitare solo dai destinatari e accettano condizionamenti solo da loro.

Per evitare questi fraintendimenti vediamo allora di approfondire meglio i tre elementi proposti da Cristo Gesù.

- Andate. «Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi» (Gv 20, 21 b). Questa equivalenza tra la missione di Gesù e la missione del cristiano, tende a costruire, fra il cristiani e Gesù, quella stessa identità che esisteva fra Gesù e il Padre.

La missione ecclesiale deve ancorarsi a questa fede nella presenza nascosta e misteriosa dei Cristo. Occorre allora essere avvertiti del fatto che la testimonianza dei singolo non esaurisce la vocazione ecclesiale alla missione. La Chiesa non ha bisogno di protagonisti individuali, ma ha bisogno di una presa di coscienza globale dei battezzati, in cui ciascuno abbia il diritto di parola e senta le decisioni da prendere come decisioni vitali per la sua vita.

- Predicate il Vangelo: la missione di predicare il Vangelo ha come soggetto primario e radicale la comunità ecclesiale. in essa nasce e da essa emana ogni forma autentica di annuncio e di ministero della Parola.

Inviata ed evangelizzata, a sua volta invia gli evangelizzatori, mette in bocca la parola dei Salvatore, spiega loro il messaggio di cui lei è depositaria, dà loro il mandato che essa stessa ha ricevuto e li manda a predicare, ma non per predicare le proprie persone e le loro idee, ma i I vangelo di cui né gli uni né l'altra sono padroni e proprietari assoluti, ma ministri per trasmetterlo con fedeltà (Evangelii nuntiandi n. 15).

Il Vangelo che la Chiesa annuncia è una persona, è il Cristo. E' lui il soggetto che opera nello Spirito di chi evangelizza. E allora ne consegue, per la Chiesa, l'esigenza di non appartenere che a lui, di esserne la serva, di lasciarsi praticamente evangelizzare e rigenerare dalla Parola.

La verità che annunciamo non è qualcosa che si possiede ma è qualcuno che ci possiede. Il catechista è sempre e soltanto il servo della verità.

- Ad ogni creatura: la predicazione dei Vangelo non ha limiti perché non è fatto per la sagrestia. Ha il diritto-dovere di arrivare ovunque ci sia un uomo da salvare, è per l'uomo nella sua fatica di vivere e nel suo coraggio di essere veramente uomo. Possiamo dire che con la Pentecoste ha avuto diritto di cittadinanza universale. A nessuno è lecito restringere la cerchia dei destinatari, né i nostri limiti né l'indifferenza o l'eventuale rifiuto dei destinatari.

Già sant'Agostino si poneva questo problema. Prendendo lo spunto dalla paraboia del seminatore, egli così la commenta in un suo discorso: «Coloro che accettano l'insegnamento sono cristiani, riguardo a coloro che ascoltano, ma non l'accettano non sta al seminatore giudicare. Né la strada, né le pietre, né le spine possono trattenere la mano dei seminatore: egli getta ciò che ha. Colui che teme che cada in terra cattiva, non arriva alla terra buona. Noi parliamo, gettiamo il seme, spargiamo il seme. Ci sono quelli che disprezzano, quelli che rimproverano, quelli che irridono. Se noi temiamo costoro, non abbiamo più nulla da seminare, e il giorno della mietitura resteremo senza raccolto. Perciò venga il seme sulla terra buona» (Agostino, Discorso sulla disciplina cristiana, PL 40, 677-678).

Che l'annuncio comporti fatica, incomprensione, insuccesso c'è da aspettarselo. Un giusto annuncio è comunque importante. Accade oggi che, per i nostri interlocutori, ci siano troppe domande senza risposta e troppe risposte senza domande e così si fa un annuncio fra sordi.

Ministerialità per la missione

Tutto questo, per diventare vita nella Chiesa, esige uno stile di comunione e una Chiesa tutta ministeriale. Il concilio Vaticano II ha pensato la Chiesa come popolo di Dio tutto intero ministeriale e al vecchio binomio gerarchia-laicato ha sostituito il binomio comunità tutta intera vivificata dal dono dello Spirito, al cui interno si pone la varietà dei carismi e dei ministeri.

Prima si pensava che il carisma fosse qualcosa di straordinario dato a qualcuno. Il Concilio ha fatto riscoprire che la fantasia dello Spirito è inesauribile. Tutti nella Chiesa, in forza del battesimo, hanno ricevuto doni diversi e meravigliosi da mettere a disposizione degli altri e, nel momento in cui viene messo al servizio in forma stabile e riconosciuto dalla Chiesa, ecco che si ha il ministero nella Chiesa.

Per "promuovere" il laicato non occorre chiedergli di superare esami per passare di grado: i sacramenti e i doni carismatici lo "attrezzano" prima ancora che il riconoscimento ufficiale della Chiesa venga a ordinare e disciplinare il suo apporto. L'impegno evangelizzante non è dunque un di più da assumere volontaristicamente: è un dover essere da coscientizzare e da rivalutare (Evangelii nuntiandi n. 24).

Non manca una certa pressione per riconoscere all'evangelizzatore il grado di ministro. Pressione non incoraggiata dal sinodo sulla catechesi e non ripresa dalla prassi ecclesiale. Si preferisce, ancora e sempre, considerare il catechista non un ministro stabile, ma un volontario. Dargli l'investitura, sarebbe molto più che attribuirgli il normale mandato. E poi, non si è ancora trovato lo spazio per la definizione di un ministero distinto del catechista fra i genitori, il prete, gli educatori, il gruppo, l'associazione e la comunità.

Sicuramente la riscoperta dei carismi e dei ministeri è decisiva per il futuro di una chiesa meno clericale e più partecipe.

Ma occorre anche evitare di tendere, con questo, sempre più a una chiesa elitaria e promuovere un'ecclesiologia che si incarna nella comunità e genera il popolo di Dio. E' da valorizzare il sensus fidei che c'è in ogni cristiano, un sensus fidei che è il traguardo ideale del cammino. Di fatto il vero primo cammino della Chiesa dovrebbe essere quello di una comunità non solo orante, ma che, mentre celebra la preghiera, veramente esprime il consenso della fede attraverso il quale passa lo Spirito Santo.

Ogni gruppo, ogni comunità, ogni parrocchia deve essere teologale. Se manca un pensare nello Spirito Santo, le azioni migliori che si fanno sono sprecate. L'ideale è che in ogni diocesi, in ogni parrocchia, ci sia anche il momento della riflessione e non solo il momento della preghiera e della predica, per scoprire come, attraverso ogni uomo, passa l'azione dello Spirito Santo.

In tal senso è vero catechista colui che attinge. la sapienza non solo da concetti o da libri, ma interroga tutti coloro che sono stati protagonisti di sapienza lungo i secoli. Per questo la catechesi tende a diventare narrativa. Il catechista deve far sua e rendere presente all'oggi tutta la sapienza che Dio ha seminato nell'umanità.

E' importante narrare il più possibile grandi figure, ma anche figure minori, per recuperare tutta la ricchezza dei segni attraverso i quali Dio ha parlato e, soprattutto, per dare valore ai protagonismo degli uomini. Non si può far catechesi amando i concetti. Si fa catechesi amando le persone.

I portatori di verità non sono i concetti ne le parole, ma chi annuncia, anzi esperimenta la fede. Molle volte anche la catechesi è stata dai teologi orientata a diventare sapere, conoscenza di una dottrina. Ora, invece, nella Chiesa tutti sono chiamati a offrire se stessi come portatori della Parola. Non parole che passarlo, anche attraverso le labbra, ma parole che si incarnano. Bisogna quindi che la pastorale diventi più teologale nel senso di dare maggior affidamento a tutti i fronti dai quali può emergere la Parola. Concretamente tutti nella Chiesa sono in qualche maniera sotto e tutti sono sopra, tutti in qualche maniera sono contemporaneamente discepoli e maestri. E' importante maturare questo stile di condivisione perché, avendo ognuno un piccolo dono di sapienza da dare, diventa più facile far crescere una matura ministerialità.

Si aiuta a crescere crescendo insieme

Una caratteristica della nostra vita, limitata dalla civilizzazione tecnica, è la funzionalizzazione della comunicazione interpersonale. Il dialogo, fin dentro la realtà familiare, è dominato dalle necessità quotidiane. I rari spazi di libertà sono spesso occupati, a volte fino alla dipendenza malata, dai media.

Lo scambio di esperienze vitali importanti, a volte anche determinanti, è diventato tabù. Per quanto riguarda la religione l'incapacità di dire e di dirsi si è diffusa e ha portato a una sorta di solitudine metafisica dell'individuo.

Colui che scopre, di nuovo la religione in generale o la fede cristiana, o colui per il quale questa fede deve rimanere vivente, ha bisogno soprattutto di un testimone, un partner competente in esperienza religiosa.

Non si può trasmettere la fede se non con la voce di una generazione spirituale in un dialogo vivente, verbale e non verbale. La paternità e la maternità spirituale fondano l'annuncio dell'evangelo.

La miglior "traduzione" della fede è realizzata da persone cambiate dalla fede e intrise dalle sue speranze, perché la fede è altra cosa dal voler persuadere.

Questo implica anche in catechesi una rinuncia alla posizione di superiorità di colui che possiede e dei gesto unilaterale dei dono verso colui che non ha nulla.

L'immagine deve generare, così come l'essenza dei dialogo non può essere compresa che dentro un confronto tra i partner. Non c'è né unicamente un donatore e un recettore né un parlatore e un uditore. Il catechista e i catecumeni sono rinviati l'uno all'altro e sono quasi dentro lo stesso "mezzo divino" dello Spirito e si tengono sotto la stessa parola di Dio.

La catechesi è dialogica, è scambio. Anche quando il catechista possiede un di più nell'ordine dei sapere egli non è per questo superiore ai catecumeni, al più si instaura tra loro una certa paternità/maternità (cf Mt 23, 37), ma soprattutto una fraternità.

La catechesi è mal compresa secondo il modello gerarchico-autoritario, essa non trasmetterà che difficilmente una semplice istruzione dall'alto in basso.
In un rapporto di fraternità il catechista rimane sempre uno che impara, non soltanto in riferimento alla Parola che ascolta, ma anche dentro la stessa catechesi insieme con i catecumeni.

Se la catechesi è effettivamente dialogo, i protagonisti vi apporteranno tutta la loro esperienza di vita: è là che risiede la competenza indispensabile a questo atto dialogale.

Ogni esperienza espressa, sia quella dei ragazzo che si apre al nuovo, come quella banale e quotidiana, rende il catechista cosciente delle molteplici realtà della vita umana, ma anche delle sue povertà. In tal senso la catechesi aiuta il dialogo vitale dell'uomo con Dio e accompagna i credenti ad attingere al depositum fidei, costituito da Scrittura, liturgia e tradizione, stadi e forme diverse dei grande dialogo tra Dio e l'uomo.

Il RnS, realtà ecclesiale suscitata dallo Spirito Santo come corrente di grazia, per la riscoperta dei doni battesimali e dell'incontro con Gesù vivo, per realizzare in pienezza l'evento di Pentecoste, è chiamato ad assumere la stessa missione della Chiesa. Le proposte che emergono dalle settimane di formazione per l'evangelizzazione ad intra e ad extra, nel gruppo e nella vita sociale.

Il RnS esiste per evangelizzare

Se l'Evangelii nuntiandi, al n. 14, ci dice che la Chiesa «esiste per evangelizzare», anche il Rinnovamento, come movimento ecclesiale è chiamato ad annunciare il Cristo e testimoniarlo secondo l'insegnamento della prima lettera di san Giovanni: «Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita [...] quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è coi Padre e coi Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta» (1 Gv 1, 1A).

Non possiamo restare indifferenti, allora, di fronte agli appelli dei Santo Padre che ci invita ad assumere il compito di evangelizzare con ardore, metodi ed espressioni nuove (cf Discorso di Giovanni Paolo Il ad Haiti, 1983).

Come Rinnovamento, nell'ambito dei corsi di formazione all'evangelizzazione, abbiamo cercato di rispondere pienamente sia alla chiamata evangelica (cf Mc 16,15-20; Mt 28,18-20), sia alle esortazioni del magistero (cf Evangelii nuntiandi; Christifideles laici).

Affinché si realizzi l'auspicio di Giovanni Paolo II che «ogni uomo incontri personalmente il Cristo» (cf Discorso di Giovanni Paolo II a Parigi, 1997), riteniamo necessario che ciascun gruppo, a partire dalla sensibilizzazione specifica degli animatori e dei responsabili, prenda coscienza della missione evangelizzatrice di ciascuno e della comunità intera.

Presentiamo di seguito alcune linee guida emerse nell'ambito dei corsi di formazione. e relative alle due principali direttrici dell'evangelizzazione: all'interno dei gruppi (ad intra) e all'esterno (ad extra).

Evangelizzazione nel gruppo

Secondo le diversità dei carismi e dei ministeri, il gruppo dovrà farsi carico dell'annuncio e dell'evangelizzazione di tutti i nuovi arrivati.

Sarà necessario promuovere l'accoglienza per i nuovi, creando un clima che li sostenga e li sappia accompagnare fino alla preghiera di effusione avvalendosi, comunque, in questo cammino, del diverso contributo che possono offrire lutti i fratelli del gruppo, capaci di collaborare per raggiungere uno stesso fine.

A questo scopo, come, sintesi dei corsi di formazione e frutto di una approfondita riflessione svolta a livello regionale e nazionale, va sottolineata l'importanza di alcuni criteri da seguire per una efficace evangelizzazione. all'interno dei gruppo, rivolta principalmente ai nuovi fratelli, quali:

- prestare la massima attenzione e cura per far sentire il fratello nuovo ben accolto;

- ascoltare, seguire, accompagnare, guidare i fratelli nella conoscenza dei RnS (sue caratteristiche specifiche), della Chiesa (elementi fondamentali) e dei sacramenti (elementi pastorali e liturgici);

- favorire la formazione di piccoli gruppi di crescita, limitati a poche persone, costituiti sia da fratelli nuovi che anziani dei gruppo, dove la preghiera, l'ascolto, la comunicazione, la comunione, il sostegno e, la crescita sono sicuramente favoriti;

- promuovere iniziative di formazione per i fratelli che, più di altri, dovranno accogliere e accompagnare i nuovi, mirate a una formazione umana, cristiana e di annuncio;

- promuovere incontri per i nuovi e la preparazione di seminari per la preghiera di effusione che siano maggiormente improntati sulla preghiera, l'annuncio e la testimonianza, piuttosto che sulla catechesi.

Evangelizzare all'esterno

Sarà altresì necessario che il RnS si adoperi per un'evangelizzazione all'esterno, ossia ad extra, nei più svariati settori della vita sociale

Per poter valorizzare l'abbondanza di carismi e capacità dei fratelli che frequentano il RnS, si dovrà creare una rete. che, dai gruppi fino a livello regionale e nazionale, permetta di portarli in luce, favorendo una capillare diffusione delle iniziative. A questo scopo, potrebbero risultare particolarmente idonee le seguenti proposte:

- evangelizzazione tramite i canali dello spettacolo (concerti, teatro, mimo, danza); dell'arte (mostre, murales, bricolage, abbigliamento); della letteratura (romanzi, favole, racconti per bambini e adulti, poesie); della stampa (raccolte di vignette, giochi);

- evangelizzazione tramite i mass inedia (televisione, radio, stampa, internet);

- evangelizzazione negli ambienti di vita e di lavoro (scuole, carceri, ospedali, case di riposo, caserme; luoghi di ritrovo come bar, sale giochi, discoteche, ecc.);

- nel periodo estivo attuare iniziative di evangelizzazione nei campeggi, nei villaggi turistici, sulle spiagge e nei luoghi di turismo;

- interventi e collaborazione con le parrocchie e le diocesi, nell'animazione di celebrazioni eucaristiche, negli oratori, nelle feste patronali, missioni popolari, incontri con gli adulti;

- preparazione di corsi esperienziali per bambini, da offrire sia alle parrocchie che ai fratelli del RriS.

- raccolta e archiviazione di tutte le esperienze realizzate nei gruppi, con possibilità di pubblicazione in fascicoli tematici, che permettano di riproporre e diffondere le iniziative più efficaci.

Proposte di formazione

Le iniziative di formazione per chi si prepara a evangelizzare non dovranno essere sostitutive di quelle già presenti nelle diverse aree del Progetto unitario di formazione del RnS, ma mirare a una formazione specifica in questo settore, cori alcune iniziative:

- mantenere il corso base, di formazione all'evangelizzazione che permetta di dare ai partecipanti una forte motivazione alla missione e far conoscere il contenuto del primo annuncio. La partecipazione a questo corso dovrà poi spingere i fratelli a impegnarsi in diversi campi dell'evangelizzazione, secondo i diversi carismi di ciascuno, e approfondirli con corsi mirati ed esperienze;

- predisporre iniziative o corsi mirati a una maggiore preparazione per l'evangelizzazione ad intra, fondata sull'accoglienza, annuncio, testimonianza, accompagnamento dei nuovi e sulla catechesi esperienziale;

- offrire iniziative a livello nazionale, destinate ai responsabili, da riproporre nelle rispettive regioni agli animatori, per diffondere contenuti e metodi utili per l'evangelizzazione;

- formulare nuovi corsi atti a formare i fratelli evangelizzatori secondo specifici settori di intervento, senza trascurare gli aspetti spirituali, umanitari e della comunicazione;

- promuovere giornate di ritiro per gruppi, diocesi o regioni, dove motivare i fratelli del RnS all'evangelizzazione, suscitare, raccogliere e diffondere nuove iniziative a livello locale.

Per garantire la continuità dell'impegno sia ad intra che ad extra, sarebbe oltremodo auspicabile la costituzione di una scuola permanente di formazione, sostenendo alcuni fratelli che possano dedicarsi, a tempo pieno, alla formazione degli evangelizzatori e dei loro formatori

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23/01/2010 00:36
 
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IL MINISTERO PASTORALE: UN MINISTERO
 D'AMORE E DI COMUNIONE
 

Giovannella Giummarra

AGAPE = Amore, quale Amore?

Fra i diversi significati ( accezioni ) del termine amore la chiesa delle origini ha scelto il termine Agape, in latino Caritas per esprimere l’amore stesso di Dio, partecipando a noi - il che significa "amare col cuore di Gesù.

In Gv. 15,9 -"Come il Padre ha amato me così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore"

Attraverso la fede e la bontà.

In Rm.5,5 – " La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio ( che parte da Dio Padre ) è stato effuso ( riversato ) nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. "

Si ha la certezza di avere lo Spirito Santo quando si ama con affetto, cioè con Caritas e Agape, quando vedo nell’altro il volto di Gesù che va restaurato, ma non buttato fuori, maltrattato.

Dobbiamo diventare portatori di vita e di amore agapico, con quali mezzi?

Come possiamo riflettere, imitare e testimoniare questa vita divina, per poi comunicare, per poi vivere una vita comunitaria?

Ci facciamo aiutare dal testo di Atti 2,42: "Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere"

Il R.n.S. ci ha resi amici, fratelli. L’amore di dio è stato effuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo che ci è stato donato.

Gesù ha detto non vi chiamo più servi, ma amici, perché vi ho aperto il cuore e vi ho rivelato quello che il Padre mi ha detto.

L’amicizia è un dono di Dio, necessario al nostro perfezionamento, perché, non si cresce senza gli altri, senza confronto.

L’Agape, poi, è la condizione indispensabile per farci sviluppare con armonia.

Gesù ci chiama ad amare tutti anche gli amici.

E’ il progetto basato sull’Agape.

Per alcuni l’amicizia è un fatto spontaneo, ma per noi non è un fatto casuale, punto di partenza è Gesù il Suo progetto, è Gesù, la comunione nella fede e nella speranza.

Non c’è amicizia se non cerchiamo di lavorare insieme, ma non basterà scambiarci le idee, progetti, preoccupazioni, condivisioni etc…. se non partiamo dalla dimensione di fede alimentata dalla Parola di Dio, --------> dalle preghiere ------------> dall’Eucaristia.-

Questa visione comporta: distacco da noi stessi;

Attenzione sincera agli altri;

Disponibilità;

Umiltà;

Spirito di povertà, per accogliere e capire insieme:

La conversione nel R.n.S. è collegiale, tanto più, che è stato un movimento senza fondatore.

  • Collegialità: significa sapere ascoltare per poi, discernere e portare avanti il progetto.

  • L’incontro esige la reciprocità, il dono dell’altro: richiama = accoglienza;

  • Al bando i pregiudizi;

  • La diffidenza e la distrazione perché la loro presenza esclude l’amicizia.

Rom. 15,7 ci dà la misura della reciprocità: "Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo accolse voi per la gloria di Dio"

L’amicizia esige rispetto e proclamare il Signore a viso aperto.

Noi dobbiamo gridare che abbiamo incontrato Gesù nella nostra vita, e ci ha donato la gioia e la

Pace, parole che nessuno può donarci, se non Gesù il nostro Signore, il nostro vero amico che non ci tradisce mai.

Abbiamo avuto la grazia di conoscere Gesù e la Gioia di essere fratelli. I chiamati sono i diletti di Dio.

Se vogliamo ritrovare l’entusiasmo dobbiamo cogliere lo stupore che si presenta a noi quando lo Spirito Santo agisce per rinnovare la Chiesa secondo un progetto di amore e di sapienza: ha scelto il R.n.S., quindi noi, perché, si sappia quanto Dio ci ama.

Il R.n.S. è questo atto d’amore e di comunione, "Dobbiamo entrare nella verità di questa chiamata avvenuta dalla Croce di Cristo, abbiamo bisogna di fare un discepolato di amore e di comunione, per essere testimoni dell’amore.

E’ necessario che la Chiesa sia la casa e la scuola di comunione, così anche i nostri comitati regionali e diocesani, i gruppi, potranno diventare casa e scuola di comunione, ncessari per farci passare dall’uomo psichico a quello spirituale.

La pastoralità dei Comitati diocesani e regionali consiste nel promuovere e garantire la spiritualità del R.n.S. secondo le linee regionali e nazionali.

Infatti, è importante che ci sia sinergia tra il livello diocesano e quello regionale per una visione pastorale sia dei contenuti formativi, sia della visione pastorale condivisa e realizzata a livello regionale.

Possiamo dire a questo punto che: il Comitato regionale e i Comitati diocesani sono organi pastorali a servizio della crescita spirituale, carismatica ed ecclesiale dei gruppi.

Ma se i comitati si ripiegano in se stessi, se diventano semplici organizzatori o ripetitori di iniziative regionali e nazionale; se non si preoccupano di vigilare paternamente nei confronti dei gruppi, sicuramente vengono meno al compito a loro affidato.

Pastoralità vuol dire avere tempo per:

  • Condividere insieme;

  • Pregare e intercedere;

  • Ascoltare;

  • Condividere la Parola di Dio;

  • Conoscere i bisogni dei fratelli;

  • Partecipare agli appuntamenti formativi specifici;

  • Meditare e riflettere sulla esperienza carismatica;

  • Incontrare i Gruppi;

  • Esercitare collegialmente, il discernimento spirituale.

S. Paolo ci aiuta con la 2 Cor.6,6-7 definendo i ministri di Dio coloro che vivono il mandato ricevuto con purezza, sapienza, pazienza, benevolenza, spirito di santità, amore sincero, con parole di verità, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra; nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama."

E’ determinante, poi, all’interno dei Comitati la comunicazione fraterna da cui dipende l’impronta che diamo ai nostri gruppi – l’identità e la visione pastorale.

Ma un buon comunicatore deve essere un buon ascoltatore.

Un membro di Comitato diocesano non può essere mai un semplice riferitore di ciò che è stato deliberato a livello regionale, ma, si fa garante della visione regionale, secondo le modalità che si richiedono.

  • Ascoltare vuol dire comprendere, prendere-con, cioè fare proprio ciò che si ascolta, senza, però, snaturare il significato oggettivo di ciò che si è ascoltato.

A questo punto, possiamo dire che "Condizione necessaria" per un ascolto autentico è la "comunione."

1Cor. 1,10 - "Siate unanimi nel parlare, in perfetta unione di pensiero e di intenti"

Fil.2,2 seg.- "Rendete piena la mia gioia ( la nostra e di tutto il Comitato ) con l’unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti. Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri."

Comunque la comunione non può derivare

  • Dal non ascolto, da compromessi che condizionano la nostra pastoralità;

  • Dalla mancanza di formazione e informazione;

  • Dall’arroganza con cui esprimiamo l’autorità carismatica;

  • Dalle preferenze che abbiamo per alcuni fratelli emarginando altri.

Anche quando non dialoghiamo, non condividiamo con i fratellli e non accettiamo alcuna verifica o un altro modo di intendere.

La vera comunicazione si esprime quando ci riconosciamo umili e consapevoli che senza l’aiuto, la presenza, la saggezza, il carisma, l’amore verso l’altro, non possiamo esercitare alcun ruolo nella comunità.

Comunicare vuol dire crescere nella reciprocità del dare e del ricevere e nel "gareggiare nello stimarsi a vicenda" Rm.12,10; certamente non esercitando autorità e potere verso gli altri.

L’autorità carismatica ed evangelica è per la crescita degli altri e mai per la propria affermazione.

Un esempio è ciò che Giovanni Battista dice in Gv.3,30 "Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e io invece diminuire"

  • Esercita autorità vera chi è capace di chinarsi a lavare i piedi ai fratelli (Gv.13);

  • Ogni forma di autorità che diventa potere contro l’altro, non è opera di Dio;

  • Evangelicamente vissuta l’autorità invece promuove la comunicazione, la condivisione fraterna, non teme il dialogo, o, il confronto leale con i fratelli soprattutto per ciò che riguarda con i fratelli soprattutto per ciò che riguarda la vita e il bene della comunità.

La sola cosa necessaria è: Cercare Cristo; - Amare Cristo; - Vivere Cristo; - Obbedire a Cristo;

La sola cosa che conta è essere in comunione con Gesù, una comunione viva vivificante.

Noi siamo sua proprietà, tralci inseriti nella vite.

Grazie Signore Gesù perché ci hai dato una comunità da servire e con cui camminare. E se questa comunità è povera ed ha difficoltà a decollare, se ci sono anche problemi di relazione fra noi ed è proprio qui che bisogna rimanere; è qui che dobbiamo esprimere l’obbedienza a Dio è qui che dobbiamo realizzare con l’aiuto dello Spirito il Corpo di Cristo.

Così si costruisce l’amore fraterno, siamo poveri, ma a questi poveri Gesù si è rivolto, di cui si fida; questi poveri Gesù vuole salvare e li vuole salvare tutti insieme e ci riuscira!!!

Da una relazione alla 3 Giorni formazione animatori 2001 Sicilia - Capaci 30 marzo- 1aprile

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23/01/2010 00:39
 
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PASTORALITA' E AMORE FRATERNO 

di Corrado Di Gennaro
Membro del CNS - RnS


Il modello.- comunità cristiana di Gerusalemme

Se i carismi sono il segno tangibile della sconvolgente esperienza dei giorno della Pentecoste, la nascita della prima comunità dei credenti ne è stato il frutto più straordinario. Nel libro degli Atti degli Apostoli, Luca presenta un quadro d'insieme sicuramente entusiasmante:

«Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione dei pane e delle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli, Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano i I pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. intanto il Signore aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» (At 2, 42-48).

Amore verso Dio e verso il prossimo

Da questa descrizione della prima comunità cristiana nata a Gerusalemme si nota un dinamismo in cui si sintetizzano, in maniera molto evidente, quelli che Gesù definisce i due grandi comandamenti dai quali dipendono tutta la legge e i profeti: l'amore verso Dio e l'amore verso il prossimo (cf. Mt 22, 36-40).

Dagli Atti degli Apostoli sappiamo che i fratelli della prima comunità cristiana:

«Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio» (At 2, 46a) ed «erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli» (At 2, 42a), e questo è certamente un segno della pratica del primo comandamento.

Tuttavia l'amare Dio con tutto il cuore, la mente e le forze si concretizza proprio con la pratica dell'amore fraterno «La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune» (At 4, 32), a tal punto che, dirà poi Luca: «nessuno infatti tra loro era bisognoso» (At 4, 34a).

Da questo stile di vita conseguiva una spontanea simpatia dei popolo verso i cristiani e il desiderio, da parte di molti, di abbracciare la fede in Cristo Gesù e sperimentarne la salvezza: «Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati» (At 2, 48).

Gli antipodi: la chiesa di Corinto

Sul modello della prima comunità di Gerusalemme, altre comunità nasceranno ben presto in altri territori e nel constatare quanta edificazione e quanta benedizione comporterà questo stile di vita comunitario, Luca si spingerà fino al punto di affermare che «la Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria; essa cresceva e camminava nel timore dei Signore, colma dei conforto dello Spirito Santo» (At 9, 31).

Alcune comunità non manterranno la purezza e la semplicità della comunità di Gerusalemme: con i Galati, San Paolo, si sdegnerà per il rischio concreto dì tradimento della fede (cf. Gai 1, 6-8), mentre lo stesso Paolo proverà un doloroso imbarazzo davanti all'incostanza e alla vanità dei Corinti.

Infatti non esiterà a rimproverare questi ultimi per le numerose divisioni, per la mentalità mondana dilagante, per l'orgoglio, per una situazione di incesto, per la presenza dei peccato di fornicazione, per il ricorso ai tribunali pagani per dirimere liti tra loro, per una strisciante idolatria e per la professione di false dottrine sulla risurrezione (cf. 1 Cor 1 -11).

Come si nota in questa realtà viene particolarmente mortificata la vita fraterna. Pur in presenza
dell'universalità dei carismi, che spingerà San Paolo ad affermare: «nessun dono di grazia più vi manca» (1 Cor 1, 7a), proprio la vita fraterna, che dovrebbe trarre beneficio ed edificazione dall'esercizio dei carismi, è invece quella che risulta offesa e mortificata (cf. 1 Cor 11, 18).

Modelli per la verifica

Gerusalemme e Corinto sono due quadri d'insieme, sicuramente uno agli antipodi dell'altro, dinanzi ai quali oggi possiamo verificare, non solo la storia e la nostra realtà contemporanea, ma anche la strada che, come animatori, decidiamo da qui in avanti di percorrere e far percorrere al nostro gruppo/comunità.

Da un lato vediamo la comunità di Gerusalemme, contrassegnata da una vita fraterna intensamente vissuta e da un interscambio di doni materiali e spirituali, che per questi motivi gode del conforto dello Spirito Santo e diventa segno di evangelizzazione per i non credenti.

Dall'altro notiamo la comunità di Corinto che, pur ricca di potenzialità spirituali, agonizza per mancanza di unità, di amore reciproco, di mutuo sostegno e di rispetto per il fratello.

Dinanzi a questo spettacolo così poco edificante Paolo non esiterà a manifestare il suo disappunto con parole veementi: «Non sapete che [voi, cioè la comunità] siete tempio di Dio e che lo Spirito abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi » (1 Cor 3, 16-17).

Gerusalemme è una comunità spirituale per la presenza di tutti i frutti dello Spirito, ma è anche una comunità eucaristica perché la sua quotidianità è fondata sulla celebrazione eucaristica, infatti, dalla descrizione di Luca sappiamo che tutti «erano assidui i ... i nella frazione dei pane» (At 2, 42).

Corinto, di contro, è una comunità decisamente carnale. Pur partecipando alla stessa celebrazione, a causa delle divisioni, molti mangiano il pane e molti bevono il calice dei Signore indegnamente, cori la devastante conseguenza di mangiare e di bere la propria condanna (cf. 1 Cor 11, 2 9),

Dirà, a riguardo, san Paolo: "E' per questo motivo che tra voi ci sono molti malati e infermi, e un buon numero sono morti» (1 C or 11,30).

Allo stesso modo, anche un gruppo di preghiera o una comunità dei Rinnovamento, a seconda dei tenore spirituale che li contraddistingue, possono tendere con decisione verso Gerusalemme o scivolare irrimediabilmente verso Corinto, e determinante in questo è il ruolo dei responsabili, cioè dei pastorale di servizio.

Il traguardo della santità

A proposito dì responsabili, da sempre il Signore ha voluto accostare coloro che hanno il ruolo di guida del suo popolo, alla figura del pastore che guida le sue pecorelle. Lo stesso Gesù usando questa similitudine si definisce il «buon pastore», che cura e protegge le pecore fino ad offrire liberamente la vita per ciascuna di foro (cf. Cv 10, 14-17).

Quindi, il termine "pastorale di servizio", con il quale definiamo l'organo che guida un gruppo/comunità dei rinnovamento, definisce con molta chiarezza quello che è il mandato specifico dei responsabili: guidare con cura amorevole i fratelli «perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (Gv 10, 10b), proprio come fa Gesù, buon pastore, con le proprie pecore.

Un pastorale può anche organizzare, promuovere iniziative, costituire ministeri di fatto, ma lo scopo principale è quello di condurre le persone affidate, attraverso un cammino di vera conversione e di vita nuova, al traguardo della santità.

L'apostolo Pietro senza mezzi termini afferma nella sua prima lettera: «ad immagine dei Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta; poiché sta scritto: Voi sarete santi perché io sono santo» (1 Pt 1,15-16).

I responsabili devono fare questo con un atteggiamento di "timore e tremore", come chi deve rendere conto al Signore. Il loro compito, infatti, non è quello di essere dei "manager dello Spirito". Il manager d'azienda al termine della sua gestione deve rendere conto dei profitti economici che l'azienda stessa ha conseguito. Il pastore, invece, al termine dei suo mandato deve rendere conto di un risultato ben più importante: la salvezza delle anime dei fratelli che il Signore gli ha affidato.

In base all'insegnamento dei Maestro, l'apostolo Pietro chiama questi ultimi il «gregge di Dio» (1 Pt 5,2) e precisa quale deve essere il comportamento dei responsabili, perché possano essere ritenuti degni dell'incarico ricevuto dal Pastore supremo:

«Esorto gli anziani che sono fra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è stato affidato sorvegliandolo non per forza, ma volentieri, secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà ìI pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce» (1 Pt 5, 1A).

L'esortazione dell'Apostolo ci svela quella che è la triplice funzione di un responsabile e cioè: guida, sentinella e custode.

Essere guida

Il responsabile non è una guida "cieca", ma una guida autorevole che si fa modello del gregge.
Paolo dice a Tito dì esortare: «Offrendo te stesso come esempio in tutto di buona condotta» (Tt 2,7a).
Scrivendo al giovane Timoteo dirà: «Sii esempio ai fedeli nelle parole, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza» (1 Tm 4,12).
Il responsabile, in quanto guida, non spadroneggia sui fratelli, ma li aiuta e li indirizza a prendere delle giuste decisioni seguendo il pensiero di Dio e gli insegnamenti dei Magistero ordinario della Chiesa, rifiutando nel contempo le deviazioni e i luoghi comuni che appartengono alla mentalità dei mondo, secondo l'insegnamento dell'apostolo Giovanni che dice: «Non amate il mondo, né le cose dei mondo! Se uno ama il mondo, l'amore dei Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dai mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno! » (1 Gv 2, 15-17).

Essere dei modelli vuoi dire poi, testimoniare con la propria condotta quello che si insegna agli altri. Come Paolo ogni responsabile deve poter dire ai fratelli a lui affidati: «Vi esorto dunque, fatevi miei imitatori» (1 Cor 4, 16).
Bisogna camminare con il Signore in modo che la propria testimonianza arrivi al punto da poter affermare, nella verità e senza presunzione: «Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo» (ICor 11,1).

Essere sentinella

Prendendo spunto da ciò che il Signore dice al profeta Ezechiele, i responsabili svolgono anche la funzione di sentinella, in quanto aiutano i fratelli che il Signore ha affidato loro a combattere il peccato che sempre è in agguato: «Figlio dell'uomo, io ti ho costituito sentinella per gli israeliti; ascolterai una parola dalla mia bocca e tu li avvertirai da parte mia» (Ez 33, 7).

I responsabili hanno quindi anche il compito di esortarli a tenere alta la guardia nei combattimento spirituale, aiutandoli ad attingere forza nel Signore e vigore nella sua potenza, attraverso l'uso di tutte quelle armi necessarie per avere la vittoria contro le insidie dei diavolo: la verità, la giustizia, lo zelo per il Vangelo, la fede e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio (cf. Ef 6, 10-17).

Ogni buon responsabile spinge inoltre i fratelli verso una vita sacramentale regolare e non occasionale, motivandoli nel desiderio di crescere nel cammino di santità e non solo di "sanità" (leggi: "guarigione"). Sia chiaro che tutti siamo favorevoli affinché avvengano guarigioni e miracoli nei nostri gruppi, e il Rinnovamento deve favorire e promuovere l'azione dello Spirito Santo anche in tal senso, ma questi devono essere strumenti per accrescere il desiderio di santità e non il fine della nostra partecipazione alla vita dei gruppo.

Essere custode

Altra funzione fondamentale dei responsabili è quella di custode, in duplice veste: custode dell'identità dei Rinnovamento e custode dei l'appartenenza al Rinnovamento.

Riguardo all'identità, l'impegno è quello di far crescere i fratelli, sia nella vita personale sia nel contesto comunitario, in quelli che sono i fondamenti dell'esperienza dei Rinnovamento: il battesimo nello Spirito Santo (o effusione), che ci proietta nella vita nuova nello Spirito, l'esercizio dei carismi, la preghiera comunitaria, il servizio ministeriale.

Riguardo all'appartenenza i responsabili devono continuamente sensibilizzare e stimolare i fratelli loro affidati all'accoglienza della visione profetica e pastorale che il Consiglio Nazionale attraverso - e non in alternativa - ai vari consigli regionali propone dopo opportuno discernimento.

Naturalmente compito implicito dei responsabili è quello di esercitare, con maturità e sapienza, la necessaria mediazione e, talvolta, correzione, perché ogni fratello affidato cresca nella misura della propria fede e secondo la grazia donatagli dallo Spirito. Dice a riguardo San Paolo: «Correggete gli indisciplinati, confortate ì pusillanimi, sostenete i deboli, siate pazienti con tutti» (1Ts 5,14b).

Portare la vita

Il vangelo di Giovanni ci ricorda che Cristo Gesù, il buon pastore, ha detto: «Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (Gv 10,10b).

Gesù oggi esorta noi, pastori dei Rinnovamento, ad immagine e somiglianza dei buon pastore, a portare la vita nei nostri gruppi, nelle nostre comunità, nelle nostre diocesi, nelle nostre regioni, e a portarla in abbondanza.

Ci esorta a portare la vita anche, e soprattutto, in quelle realtà dove invece è presente la morte spirituale, come Corinto, e dove talvolta viene spontaneo rivolgersi a Gesù, con il cuore gonfio di tristezza, con le stesse parole di Marta: «Maestro, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! » (Gv I I, 21b).

Si, Signore, se tu fossi stato qui, se qualcuno ti avesse portato qua, in questo o in quel gruppo, in questa o in quella comunità, in questa o in quella diocesi, in questa o in quella regione, questi fratelli non sarebbero morti.

Che cosa vuoi dire per noi "portare la vita", l'i dove siamo stati chiamati da Dio ad esercitare il nostro servizio di responsabili, se non portare Gesù che è «la resurrezione e la vita» (Gv 11, 25)?

Perché ciò avvenga, e avvenga ai più presto, poiché «il tempo si è fatto breve» (1Cor 7, 29) e non sappiamo se i fratelli persi oggi potranno essere recuperati domani, prendiamo ora la decisione di servire il Signore, e dì servirlo con integrità e fedeltà; e a nome nostro e dei gregge di Dio che ci è stato affidato, diciamo con sacro timore, insieme con Giosuè, l'audace guida, sentinella e custode dei popolo di Israele: «Quanto a me e alla mia casa, vogliamo servire il Signore! » (Gs 24, 1 5b).

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09/06/2010 22:30
 
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Il RnS animerà la giornata di ritiro dei Carismatici Basilica di San Giovanni in Laterano - 8 giugno 2010 Stampa E-mail

Il  RnS animerà la giornata di ritiro dei Carismatici Basilica di San  Giovanni in Laterano - 8 giugno 2010Il Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS) curerà l’animazione della giornata di ritiro per vescovi, sacerdoti e seminaristi, aperta a tutti, promossa dal Rinnovamento Carismatico Cattolico (ICCRS) e della Fraternità Cattolica sul tema “Il dono del sacerdozio” che si terrà martedì 8 giugno, presso la Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, dalle ore 9.30 alle ore 19.30. L’evento è stato voluto alla vigilia ed in preparazione del Convegno internazionale “Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote” (9-11 giugno) organizzato dalla Congregazione per il Clero alla chiusura dell’Anno Sacerdotale. Il Servizio Nazionale della Musica e del Canto RnS animerà l’accoglienza, la preghiera carismatica e i canti della Celebrazione Eucaristica in quattro lingue. Il Movimento offrirà anche il servizio che verrà curato dai volontari del Lazio. In mattinata, l’Adorazione del Santissimo Sacramento sarà guidata da mons. Mauro Piacenza, segretario della Congregazione ...

... per il Clero; nel pomeriggio, la Santa Messa sarà celebrata dal card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace.

All’incontro interverranno: mons. Joseph Grech, vescovo di Sandhurst (Australia); Michelle Moran, presidente dell’ICCRS; Matteo Calisi, presidente della Fraternità Cattolica; padre Kevin Scallon cm; suor Briege McKenna osc; padre Tom Forrest.

Per il Rinnovamento nello Spirito Santo parteciperanno, tra gli altri: Salvatore Martinez, presidente nazionale RnS; Mario Landi, coordinatore nazionale RnS; don Guido Pietrogrande sdb, consigliere spirituale nazionale RnS.

“Questa giornata di ritiro dedicata ai sacerdoti, alla vigilia del Convegno internazionale organizzato dalla Congregazione per il Clero alla chiusura dell’Anno Sacerdotale - ha commentato Martinez - è stata pensata per porre in luce il dono grande dello Spirito Santo che è il sacerdozio nella Chiesa e per il mondo. Nell’impegno di rinnovamento spirituale e morale, nella cura delle anime, nella lotta al peccato, nella diffusione del Vangelo, nella testimonianza della carità, rimane imprescindibile il ministero dei preti e la collaborazione di questi con i laici impegnati e associati. Dopo la grande ‘Festa Sacerdotale’ svoltasi recentemente a Rimini in occasione della 33° Convocazione Nazionale RnS, intendiamo ancora una volta ribadire la nostra fiducia e il nostro affetto ai tanti sacerdoti che si prendono cura di noi accompagnando i nostri gruppi e comunità o simpatizzanti con l’esperienza carismatica caratteristica del nostro Movimento. Attendiamo mille sacerdoti e religiosi provenienti da tutto il mondo per un’intensa giornata di ritiro spirituale in cui si godrà degli effetti benefici dell’effusione sacramentale e carismatica dello Spirito Santo”.

Il Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS) è un Movimento ecclesiale che in Italia conta più di 200 mila aderenti, raggruppati in oltre 1.900 gruppi e comunità.

Ufficio Stampa RnS: Via degli Olmi, 62 - 00172 Roma - cell. 3349974314
E-mail: ufficiostampa@rns-italia.it Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. – Sito: rns-italia.it

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10/03/2012 00:36
 
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Un accorato appello di Don DINO FOGLIO ad una assemblea del Rinnovamento nello Spirito. Richiami che possono essere sempre ritenuti di attualità non solo per questo movimento ma per tutti i credenti in generale


[Modificato da Credente 21/01/2019 20:32]
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