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La SUMMA TEOLOGICA

Ultimo Aggiornamento: 12/10/2019 08:45
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30/06/2010 10:23
 
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Capitolo 44

Conclusione di quanto è stato premesso

Risulta chiaramente dalle premesse che tutte le predette condizioni della divina generazione mostrano che il Figlio è consostanziale al Padre, e perciò alla fine si aggiunge quasi in sintesi: "della stessa sostanza del Padre".

Capitolo 45

Dio è in se stesso come l'amato nell'amante

Come la cosa pensata è in colui che pensa in quanto è pensata, così anche l'amato è presente in colui che ama in quanto è amato. Infatti chi ama è in qualche modo mosso dall'amato per un'intima inclinazione: per questo, essendo colui che muove in contatto con la realtà mossa, necessariamente l'amato deve essere presente in colui che ama. Come quindi Dio pensa se stesso, così ama necessariamente se stesso: il bene pensato è infatti in se stesso amabile. Perciò Dio è in se stesso come l'amato nell'amante.

Capitolo 46

In Dio l'amore viene chiamato Spirito

Essendo la realtà pensata in colui che pensa e l'amato in colui che ama, dobbiamo ora considerare il diverso modo di essere nell'altro in entrambi i casi. La conoscenza infatti avviene per una certa assimilazione di colui che pensa all'oggetto pensato, per cui quest'ultimo deve essere presente in colui che pensa mediante una sua similitudine. L'amare invece provoca una certa mozione dell'amato su colui che ama: l'amato infatti attira a sé lo stesso amante. Perciò l'amore non si compie con la similitudine dell'amato, come invece la conoscenza si compie con la similitudine dell'oggetto inteso, ma si compie con l'attrazione dell'amante verso lo stesso amato. Ora, la trasmissione di una somiglianza avviene principalmente nella generazione univoca, quale si verifica nei viventi e nella quale colui che genera è chiamato padre e colui che è generato è chiamato figlio; e anche in essi la prima mozione avviene secondo uno spirito vitale. Perciò nella realtà divina, come il modo con il quale Dio è in Dio come pensato viene espresso chiamando Figlio il Verbo di Dio, così il modo con il quale Dio è in Dio come l'amato nell'amante viene espresso dicendo che vi è in Dio lo Spirito, che è l'Amore di Dio. Perciò secondo la regola della fede dobbiamo credere nello Spirito.

Capitolo 47

Lo Spirito che è in Dio è Santo

Avendo presente che il bene amato ha ragione di fine, e che il moto della volontà è reso buono o cattivo dal fine, ne segue che l'amore con il quale è amato il sommo bene, che è Dio, ha necessariamente una bontà eminente. Ora, questa bontà prende il nome di santità, sia che si intenda "santo" nel senso di "puro" secondo l'uso greco, dato che in Dio la bontà è purissima, esente da ogni difetto, sia che si intenda "santo" nel senso latino di "fermo", perché in Dio la bontà è immutabile. Per questa ragione anche tutto ciò che ha riferimento a Dio si dice "santo", come il tempio, i vasi del tempio e tutto ciò che è destinato al culto divino. Opportunamente quindi lo Spirito, per mezzo del quale viene infuso in noi l'amore con il quale Dio ama Dio viene chiamato Spirito Santo; e per questo motivo la regola della fede cattolica chiama "Santo" il predetto Spirito quando dice: "Credo nello Spirito Santo".

Capitolo 48

L'amore in Dio non comporta nulla di accidentale

Come il pensare di Dio è il suo stesso essere, così anche il suo amare è il suo essere. Di conseguenza Dio non ama se stesso per mezzo di qualcosa che sopravvenga alla sua essenza, ma secondo la sua essenza. Amando dunque se stesso secondo che Egli è in se stesso come l'amato è nell'amante, Dio amato non è in Dio amante in un modo accidentale (come le cose amate sono in un modo accidentale in noi amanti), ma Dio è in se stesso come l'amato nell'amante in modo sostanziale.

Quindi lo stesso Spirito Santo, per mezzo del quale viene infuso in noi l'amore, non è qualcosa di accidentale in Dio, ma è una realtà sussistente nell'essenza divina, come il Padre e il Figlio. Per questa ragione nella regola della fede cattolica viene insegnato che lo Spirito Santo deve essere adorato e glorificato insieme con il Padre e il Figlio.

Capitolo 49

Lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio

Bisogna ancora considerare che il pensare proviene dalla capacità intellettiva dell'intelletto, e quando l'intelletto pensa in atto l'oggetto pensato è presente nell'intelletto. Il fatto dunque che l'oggetto inteso sia in colui che intende procede dalla virtù intellettiva di quest'ultimo, e questo è il suo verbo, come si è detto. E similmente ciò che è amato è nell'amante in quanto è amato in atto. Ora, che una cosa sia amata in atto deriva e dalla capacità di amare di chi ama e dal bene amabile conosciuto dall'intelletto. Perciò che l'amato sia nell'amante proviene da due cose: dal principio che ama e dall'intelligibile appreso, cioè dall'idea concepita del bene amabile.

Siccome in Dio che pensa e ama se stesso il Verbo è il Figlio e Colui del quale è Verbo - come si è detto - è il Padre del Verbo, necessariamente lo Spirito Santo, che appartiene all'amore secondo che Dio è in se stesso come l'amato nell'amante, procede dal Padre e dal Figlio. Per cui nel Simbolo si dice: "che procede dal Padre e dal Figlio".

Capitolo 50

In Dio la Trinità delle Persone non ripugna all'unità dell'essenza

Da tutto quanto è stato detto finora dobbiamo concludere che in Dio vi è una Trinità, che tuttavia non ripugna all'unità e alla semplicità dell'essenza divina. Si deve infatti ammettere che Dio è, che esiste per la sua stessa natura, che conosce e ama se stesso. Ciò avviene però in modo diverso in Dio e in noi. Essendo infatti l'uomo nella sua natura una sostanza, mentre il suo pensare e amare non sono la sua sostanza, se si considera l'uomo secondo la sua natura esso è una realtà sussistente, ma se si considera ciò che vi è nel suo intelletto questo non è una realtà sussistente, ma l'idea di una realtà sussistente; e similmente in quanto l'uomo è in se stesso come l'amato nell'amante. Quindi, benché nell'uomo si possano considerare queste tre cose: l'uomo esistente nella sua natura, l'uomo esistente nel suo intelletto e l'uomo esistente nel suo amore, queste tre cose non sono una cosa sola, perché il suo pensare non è il suo essere e neppure lo è il suo amore. E di queste tre cose una sola è una realtà sussistente, cioè l'uomo esistente nella sua natura. In Dio invece essere, pensare e amare sono la stessa cosa. Perciò Dio esistente nel suo essere naturale, Dio esistente nel suo intelletto e Dio esistente nel suo amore sono una sola cosa, e tuttavia ognuna di esse è sussistente. E siccome le realtà sussistenti in una natura spirituale sono dette dai Latini persone e dai Greci ipostasi, per questa ragione i Latini parlano di tre Persone in Dio e i Greci di tre Ipostasi, cioè del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Capitolo 51

Sembra esservi incompatibilità nel porre in Dio la Trinità delle Persone

Da quanto è stato detto sembra però sorgere una certa incompatibilità con la ragione. Se infatti si pone in Dio il numero ternario e si considera che ogni numero comporta una divisione, bisognerà porre in Dio una qualche differenza in forza della quale i Tre siano fra loro distinti; ma in questo modo non ci sarebbe più in Dio la somma semplicità. Se infatti i Tre in qualche cosa convengono e in qualche altra differiscono, vi sarebbe necessariamente una composizione, il che va contro a quanto è stato detto.

D'altra parte, se è necessario ammettere un solo Dio - come si è visto -, e se nessuna cosa può procedere da se stessa, sembra impossibile che vi sia un Dio generato o un Dio che procede. È dunque falso porre in Dio il nome del Padre e del Figlio e dello Spirito che procede da entrambi.

Capitolo 52

Soluzione dell'obiezione. In Dio non vi è distinzione che secondo le relazioni

Per risolvere questa difficoltà occorre avere presente il principio secondo cui in realtà diverse vi è un modo diverso di nascere o di procedere. Infatti nelle realtà prive di vita che non muovono se stesse, ma possono essere mosse solo dall'esterno, una cosa nasce da un'altra quasi alterata e mutata dall'esterno: come dal fuoco ha origine il fuoco e l'aria dall'aria. Nei viventi invece, la cui proprietà è di muovere se stessi, ciò che è generato è in colui che genera, come il feto degli animali e il frutto delle piante. Nei viventi poi bisogna considerare il diverso modo di nascere secondo la diversità delle loro potenze e delle loro operazioni. Vi sono infatti in loro delle potenze le cui operazioni si estendono solo ai corpi, essendo materiali, come appare nelle potenze dell'anima vegetativa, quali la capacità di nutrirsi, di crescere e di generare. Ora, secondo questo genere di potenze dell'anima vegetativa non si genera se non qualcosa di corporeo, fisicamente distinto e tuttavia in qualche modo congiunto nei viventi a ciò da cui deriva. Vi sono però alcune facoltà le cui operazioni, benché non trascendano i corpi, tuttavia si estendono alle "specie" dei corpi ricevendole senza materia, come avviene nelle facoltà dell'anima sensitiva: il senso infatti, come dice il Filosofo, è ricettivo delle forme senza la materia. Tali facoltà comunque, benché ricevano in certo qual modo le forme delle cose immaterialmente, tuttavia non le ricevono senza un organo corporeo. Se si trova dunque in queste facoltà dell'anima una qualche processione, ciò che è generato non sarà qualcosa di corporeo, o fisicamente congiunto o distinto da ciò da cui deriva, ma sarà qualcosa che procede in certo qual modo incorporalmente e immaterialmente, benché non senza l'aiuto di un organo corporeo. Così infatti negli animali nascono le forme delle realtà immaginate, che si trovano nell'immaginazione non come un corpo in un corpo, ma in un certo modo spirituale: per cui anche S. Agostino chiama "spirituale" la visione immaginaria.

Ora, se già nell'operazione dell'immaginazione viene originato qualcosa non in modo corporale, a maggior ragione ciò avviene nell'operazione della parte intellettiva, che nella sua operazione non ha bisogno di un organo fisico, essendo la sua operazione del tutto immateriale. Infatti il verbo procede secondo l'operazione dell'intelletto come esistente nell'intelletto di colui che lo dice, non però contenuto quasi localmente, né fisicamente separato, ma esistente in esso secondo la potenza dell'operazione naturale, e tuttavia distinto secondo l'ordine dell'origine. E la stessa cosa si può dire della processione che si verifica nell'operazione della volontà, secondo la quale, come si è detto sopra, la realtà amata è in colui che ama.

Ora, benché le facoltà intellettuali e sensitive secondo la loro natura siano più nobili di quelle dell'anima vegetativa, tuttavia nel caso degli uomini o degli animali nella processione della parte immaginativa o sensitiva non si genera niente di sussistente nella medesima specie, ma ciò si verifica solo nella processione propria della vita vegetativa: e questo perché nei composti di materia e forma gli individui di una stessa specie si moltiplicano secondo la loro specie per la divisione della materia. Per questa ragione negli uomini e negli altri animali, essendo essi composti di materia e forma, gli individui si moltiplicano nella medesima specie secondo la divisione corporale propria della processione che è secondo l'operazione dell'anima vegetativa, e non nelle altre operazioni dell'anima. Invece nelle realtà che non sono composte di materia e forma non vi può essere se non una distinzione "formale". Ma se la forma per la quale una cosa si distingue dalle altre è la sostanza di quella cosa, necessariamente la distinzione è quella delle realtà sussistenti; il che non accade se la forma non è la sostanza della cosa.

Da quanto abbiamo detto risulta chiaramente che è comune a ogni intelletto il fatto che quanto viene concepito dall'intelletto proceda in qualche modo da colui che pensa in quanto pensa, e che in forza di questa sua processione sia distinto da lui così come il concetto dell'intelletto - che è l'intentio pensata - si distingue dall'intelletto che pensa. E così pure è necessario che l'affetto dell'amante, per il quale l'amato è nell'amante, proceda dalla volontà dell'amante in quanto ama.

Ma è proprio dell'intelletto divino, il cui pensare è il proprio essere, che la concezione dell'intelletto, che è l'intentio pensata, sia la sua sostanza; e lo stesso si dica dell'amore in Dio stesso che ama. Resta dunque provato che l'intentio dell'intelletto divino, che è il suo Verbo, non si distingue da Colui che lo produce in ciò che è l'essere sostanza, ma solo secondo la relazione di processione dell'uno dall'altro. E la medesima cosa va detta dell'affezione amorosa in Dio che ama, che riguarda lo Spirito Santo.

Così è chiaro che niente proibisce al Verbo di Dio, che è il Figlio, di essere una sola cosa con il Padre quanto alla sostanza, e tuttavia di distinguersi da Lui secondo la relazione di processione, come si è detto. Per cui è evidente che una cosa non nasce né procede da se stessa, perché il Figlio procedendo dal Padre è da Lui distinto; e la stessa ragione vale dello Spirito Santo rispetto al Padre e al Figlio.

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